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Parte I - § 12.

Le attività di collegamento investigativo con riferimento ai


Distretti delle Corti di Appello: BOLOGNA.
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D.N.A. – Relazione annuale – Dicembre 2010
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Distretto di BOLOGNA
Relazione del Cons. Giusto Schiacchitano
1. La Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna
La DDA di Bologna nell’anno in riferimento ha subito una importante
modifica nella sua struttura, avendo preso possesso dell’Ufficio di Procuratore
della Repubblica il dott. Roberto Alfonso, già Aggiunto presso la Procura
Nazionale Antimafia.
Non può qui non ricordarsi subito che, quasi contemporaneamente, si è
insediato anche il nuovo Procuratore Generale presso la Corte di Appello, dott.
Emilio Ledonne anch’egli già Aggiunto presso la medesima DNA.
La doppia nomina è da un lato una felice coincidenza e, dall’altro, è
certamente segno di una particolare attenzione alla realtà criminale dell’Emilia
Romagna.
Una analisi delle principali manifestazioni di criminalità organizzata
riguardanti il Distretto di Bologna, non può non prendere le mosse dalla
accertata presenza di evidenti ramificazioni dei principali gruppi di criminalità
organizzata che sono radicati nel nostro meridione.
È ben vero che da un lato si deve constatare che – in termini assoluti e/o
relativi – essa è ravvisabile in intensità e diffusione in misura molto minore che
in altre zone d’Italia, ma d’altro lato si deve registrare la crescente importanza di
nuovi processi di aggregazione criminale che contrassegnano il controllo dei
tradizionali mercati illegali di stupefacenti, prostituzione, di infiltrazioni nel
tessuto economico regionale.
Le organizzazioni criminali italiane che si sono da tempo insediate nella
Regione sono soprattutto la camorra e la ‘ndrangheta; ma nuove realtà criminali
oramai segnalano una presenza sempre più attiva e pericolosa: si tratta di
gruppi organizzati stranieri sia extracomunitari che comunitari (es. rumeni) che
si muovono soprattutto nel traffico e nello spaccio di stupefacenti.
Il quadro complessivo che pertanto si ha della situazione nel Distretto
impone una forte attività di contrasto, ma anche una altrettanto forte attività di
prevenzione per tentare di impedire che gli ancora piccoli e poco articolati
gruppi stranieri si radichino nel territorio, acquistino maggiore virulenza, trovino
più ampie aggregazioni o vengano in contrasto tra loro per assicurarsi nuovi
mercati così da creare maggiore allarme sociale.
La realtà criminale regionale si presta infatti ad un diversificato interesse
da parte di soggetti criminali plurimi, spesso occasionalmente e
rudimentalmente costituiti.
Le strutture delle c.d. nostre “mafie storiche” o “tradizionali” stentano ad
inserirsi nel territorio secondo gli schemi e le modalità con cui operano nelle
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regioni meridionali, ma tendono a strumentalizzare le capacità a mirati fini di
reimpiego dei capitali.
Agevola altresì il fatto che il territorio dell’Emilia Romagna ha offerto e
offre a molti aggregati criminali (italiani e stranieri) la possibilità di operare e di
intraprendere le attività illecite più svariate.
In tale contesto i gruppi criminali, anche non rigorosamente organizzati,
sviluppano le loro iniziative e in particolare quelle propriamente e direttamente a
sfondo economico – patrimoniale sopra evocati.
La realtà osservata nella Regione ha evidenziato, infatti, una rilevante
capacità dei gruppi criminali di confondere le proprie iniziative con quelle di
operatori economici che si muovono nell’ambito della legalità, di talché si
determinano situazioni nelle quali non solo si inseriscono fattori di inquinamento
del mercato di beni e servizi, ma si determinano condizioni che rendono spesso
indecifrabili gli stessi fattori di inquinamento.
Con riferimento, in particolare, alle modalità con le quali si evidenzia la
penetrazione nel territorio della criminalità organizzata, essa non è
caratterizzata, in generale, dagli elementi costitutivi dell’art. 416 bis c.p.:
mancano infatti le condizioni di assoggettamento e omertà, presenti in altre
zone del Paese, e che pertanto rendono oltremodo difficile configurare tale
reato.
Nel Distretto è invece più frequentemente configurabile l’ipotesi prevista
dall’art. 7 L. 203/91, che prevede una aggravante quando i fatti sono commessi
per agevolare l’attività delle associazioni criminali di stampo mafioso.
In questa diversa realtà è da sottolineare la necessità di un costante
rapporto della Polizia giudiziaria e della DDA con gli omologhi organismi
investigativi delle Regioni meridionali dove hanno origine e sono più radicate le
tradizionali organizzazioni mafiose.
Spesso infatti il territorio è il punto terminale di indagini che nascono e si
sviluppano in Campania o in Calabria e che consentono di individuare in Emilia
Romagna collegamenti con persone qui residenti o attività dove le
organizzazioni criminali hanno investito i loro capitali e dalle quali ricavano
ulteriori ricchezze.
Su questo particolare aspetto, come appresso si vedrà, sono state già
prese numerose iniziative, ma va subito dato atto che questa collaborazione già
avviene e molto stretti sono stati i collegamenti tra la DDA di Bologna con quelle
soprattutto di Napoli, Roma e Reggio Calabria.
I gruppi criminali maggiormente presenti nel territorio sono riconducibili
soprattutto ai Casalesi, altri alla ‘ndrangheta, altri ad organizzazioni straniere (in
particolare nigeriani, rumeni, albanesi) altri ad organizzazioni dedite al traffico di
stupefacenti ma non ricollegabili a quelle appena indicate.
Sulla base di queste acquisizioni il Procuratore della Repubblica in data 1
giugno 2010 ha emesso un provvedimento teso ad organizzare la DDA
secondo nuovi criteri e in particolare in gruppi di lavoro ciascuno dei quali
competente ad occuparsi dei procedimenti riguardanti gli affiliati a una specifica
organizzazione criminale.
Altro aspetto subito affrontato dal provvedimento è l’impegno della DDA
al contrasto ai patrimoni illecitamente accumulati dalle predette organizzazioni,
sia mediante approfondite indagini in materia di riciclaggio e reimpiego di
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proventi illeciti e di intestazioni fittizie di beni, sia mediante la proposta di misure
di prevenzione patrimoniali.
Si tratta di una materia che in molti Distretti dell’Italia Centro Nord non è
stata molto approfondita, e si sconta pertanto un gap anche culturale di
approccio che riguarda in primo luogo le Forze di Polizia e le Procure della
Repubblica, ma – ovviamente – si estende anche alla Magistratura giudicante.
L’attacco ai patrimoni illeciti e l’attuazione delle norme sulle misure di
prevenzione patrimoniali sono invece la nuova frontiera del contrasto alla
criminalità organizzata e la DNA non ha mancato di sollecitare in tal senso tutte
le DDA.
Sulla presenza nel Distretto di varie organizzazioni criminali la DDA e le
Forze di Polizia hanno svolto non solo importanti indagini, ma anche
approfondite analisi per meglio conoscere l’ampiezza e la profondità del
fenomeno criminale nella Regione e prevenirne la diffusione.
La presente relazione tiene conto di queste analisi e le corroborerà con
le conoscenze proprie della DNA (rilevate soprattutto dalla banca dati del
sistema SIDDA – SIDNA ) e dal riferimento ad alcune ordinanze di custodia
cautelare emesse nei confronti di appartenenti alle organizzazioni criminali, che
valgono ad evidenziare gli aspetti più salienti prospettati nella parte generale.
2. Insediamenti della camorra
La camorra e in particolare il clan dei casalesi è presente in Emilia
Romagna ormai da decenni, quando – specie nella provincia di Modena – si
cominciò a riscontrare la presenza di personaggi che, benché sconosciuti alla
realtà locale, appartenevano in maniera conclamata all’organizzazione
criminale indicata.
La presenza dei casalesi nel tessuto economico si è concretizzata per lo
più nell’attività estorsiva, spesso sotto la forma del “contributo”.
La camorra ha dimostrato di conoscere bene che la realtà locale
imponeva loro di agire in maniera diversa rispetto ai sistemi tradizionali operanti
nel Sud; per tal motivo era necessario adattare l’attività estorsiva ad una realtà
sociale poco avvezza all’omertà e alla connivenza.
Come osservato da uno studio dello S.C.O. spesso per far leva sugli
imprenditori locali, si è fatto ricorso – oltre la forza intimidatrice del vincolo
associativo – alla comune origine meridionale, corredata dall’esercizio da parte
della vittima di una attività imprenditoriale tipica, solitamente nel settore edile:
una trattativa prima mediata tramite conoscenze comuni, poi diretta con la
vittima con eventuali concessioni di “sconti” e “dilazioni temporali”.
Altra attività lecita sottoposta alle vessazioni camorristiche è stata quella
di esercenti di locali pubblici; anche in questo caso le vittime erano spesso
provenienti dalla provincia di Caserta, e quindi ben consci dello spessore
criminale dei loro estorsori e, allo stesso tempo, del concreto pericolo che
sarebbe loro derivato dall’eventuale rifiuto di sottostare alle richieste di
pagamento di somme di denaro.
Il loro stato di timore e sottomissione era tale da sconsigliare ogni
denuncia alle Forze di Polizia.
Si inseriscono in questo filone di indagini, due Ordinanze di custodia
cautelare emesse, su richiesta della DDA, dal GIP di Bologna in data 17
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febbraio 2010 e 2 marzo 2010; in esse sono stati contestati diversi episodi di
estorsione aggravata ai sensi dell’art. 7 L. 203/91, lesioni personali gravi, porto
e detenzione abusiva di armi da fuoco a carico di componenti del clan dei
casalesi (tra i principali indagati Perrone Alfonso e Pasquale, Raviola Paolo)
attivi in Emilia Romagna, dediti a estorsioni in danno di piccoli imprenditori edili
e titolari di locali notturni.
Nel corso delle operazioni sono stati sottoposti a sequestro preventivo
beni mobili e immobili per un complessivo valore di 6 milioni di euro.
Il GIP nella citata ordinanza, al fine di meglio evidenziare la presenza nel
territorio della camorra, ha compiuto la ricostruzione storica delle principali
attività investigative e processuali che hanno riguardato il clan dei casalesi:
operazione Zeus del 2001, operazione Zeus 2 del 2003, operazione Minerva
del 2004, operazione condotta dal ROS del 2008, operazione Medusa del 2009;
e infine ha osservato che elementi significativi da prendere in considerazione
sono quelli relativi alla individuazione delle vittime delle estorsioni provenienti
dalla stessa area geografica degli indagati: tutto questo ha reso maggiormente
agevole la commissione dei reati e facilitato l’impunità degli agenti.
Elemento alquanto significativo della presenza dei casalesi nella
Regione, è l’arresto del figlio di Schiavone Francesco, per detenzione e spaccio
di stupefacenti, avvenuto in provincia di Rimini il 23 agosto 2009.
La DIA ha rilevato inoltre che ai rapporti estorsivi spesso consegue una
soggezione psicologica ed economica funzionale, oltre che al riciclaggio e
reinvestimento speculativo, anche a più complessi obiettivi di infiltrazione nella
realtà socio-economica.
Quest’ultimo fenomeno si rileva soprattutto nel sistema dei contratti di
sub-affidamento e fornitura connessi all’esecuzione di grandi opere pubbliche.
3. Infiltrazioni della ‘ndrangheta
Molte osservazioni fatte per l’infiltrazione in Emilia Romagna della
camorra, valgono anche per la ‘ndrangheta.
Lo sviluppo economico della Regione, infatti, determinato grazie allo
spiccato dinamismo di grandi e piccole imprese, rappresenta indubbiamente
motivo di attrazione per la criminalità organizzata, italiana e straniera.
La ‘ndrangheta anche di recente ha confermato il suo assetto
organizzativo e la sua presenza sul territorio, come conferma – tra l’altro –
l’arresto effettuato dalla Polizia di Stato di Bellocco Carmelo nel giugno 2009 e
Barbieri Vincenzo, che continuavano a tenere i contatti con le ‘ndrine di
riferimento e il circuito criminale locale degli stupefacenti e delle estorsioni.
La provincia di Reggio Emilia è luogo di tradizionale insediamento di
affiliati alle ‘ndrine di Cutro e Isola di Capo Rizzuto.
Nel rispondere ad una interpellanza parlamentare, la DDA di Bologna ha
osservato che in quella zona si ripropongono le contrapposizioni tra le
associazioni mafiose operanti in Calabria, anche se in Emilia Romagna
raramente vi sono episodi di sangue ascrivibili a contrasti tra dette
organizzazioni.
Indagini svolte dalla DDA hanno riscontrato la presenza in Reggio e
provincia delle cosche Grande Aracri, Nicosia, Dragone e Arena: le prime due si
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contrappongono alle altre, riproducendo così gli schieramenti delle zone di
origine.
La presenza di queste cosche risale ormai agli inizi degli anni ’80 e,
come osserva il Comando Provinciale CC di Reggio Emilia, hanno interessi
economici nell’edilizia, nella gestione di locali notturni, nel traffico di droga, nelle
estorsioni.
Molti appartenenti sono titolari di imprese operanti nella costruzione di
immobili ad uso abitativo e nel movimento terra, e proprio le attività edili
rappresentano il principale interesse illecito con una gestione degli affari
esercitata secondo i classici metodi mafiosi di intimidazioni e tentativi di
controllo di altre ditte per accaparrarsi i numerosi appalti esistenti in questa
regione. Nello stesso settore i suddetti affiliati della cosca Grande Aracri
riescono poi ad esercitare un’oscura attività di pressione sui propri dipendenti r
di estorsioni su quanti non si allineano ai loro voleri.
Altra attività della famiglia Grande Aracri è quella della gestione dei locali
notturni, di concerto con alcuni membri della famiglia Muto di Gualtieri (RE).
In alcuni casi i reati consumati nel territorio del Distretto di Bologna sono
stati attratti nella competenza della DDA di Catanzaro dove è stato possibile
contestare il reato di associazione di stampo mafioso (art.l 416 bis c.p.).
In data 16 novembre 2009 il GIP di quel capoluogo ha emesso ordinanza
di custodia cautelare nei confronti di numerose persone (proc. pen. contro
Arena Fabrizio + 53); in essa esamina le singole fattispecie di reato e ritiene la
propria competenza anche per i fatti commessi in Lombardia e Reggio Emilia
perché commessi in quanto gli autori erano appartenenti alle cosche radicate in
territorio calabrese.
È da segnalare che pochi giorni dopo l’esecuzione in Reggio Emilia di
questa ordinanza, si sono verificati due incendi alle autovetture di due vittime di
estorsione e usura perpetrati da persone colpite dalla citata misura cautelare.
La cosca Arena è stata oggetto di altro procedimento penale, incardinato
presso la DDA di Bologna, e che ha evidenziato altra forma di infiltrazione
compiuta dalla stessa con l’impiego di denaro di provenienza illecita in attività
economiche, truffe, evasione IVA, emissione di fatture per operazioni
inesistenti, bancarotta, detenzione di esplosivo, danneggiamento aggravato a
mezzo di esplosione, reati tutti aggravati ai sensi dell’art. 7 L. 203/91.
L’indagine ha preso le mosse dall’attentato dinamitardo perpetrato ai
danni dell’Agenzia delle Entrate di Sassuolo e svelato le attività delittuose di
vari personaggi (Gentile Fiore, Pelaggi Paolo e altri) legati alla cosca Arena di
Isola Capo Rizzzuto.
È stato subito evidente che la verifica fiscale più importante che l’Agenzia
di Sassuolo aveva in corso era nei confronti della s.p.a. POINT ONE i cui soci
erano i fratelli Pelaggi Davide ed Emanuele, che risultavano essere stati
indagati dalla DDA di Catanzaro perché facenti parte della cosca Arena.
La POINT ONE, operante nel settore informatico, in pochi anni aveva
raggiunto un fatturato di decine di milioni di euro e risultò subito che essa era
gestita con ricorso alla falsa fatturazione, a truffa e altri reati.
Un ruolo centrale era svolto dalla MT Trading, con sede in Svizzera e
amministrata da Pezzati Sergio, mero esecutore delle direttive di Pelaggi Paolo.
Le indagini hanno dimostrato che l’attività illecita organizzata dai Pelaggi
costituiva da tempo un investimento per l’associazione Arena – Gentile che
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affidava a Pelaggi Paolo il denaro dell’associazione che egli reinvestiva in
attività apparentemente lecite.
In data 17 giugno 2010, su richiesta della DDA, il GIP emetteva
ordinanza di custodia cautelare nei confronti di numerosi indagati, nella quale
ricostruiva i vari fatti delittuosi loro ascritti e, per quello che qui rileva, i metodi di
penetrazione della ‘ndrina calabrese nel tessuto economico emiliano.
In relazione alla presenza e all’attivismo nell’area di personaggi calabresi
con elevata caratura criminale, sono giunte ulteriori conferme – come nota la
DIA – dagli esiti dell’operazione “Zalenco” sviluppata dalla DDA di Reggio
Calabria, nella quale è emerso l’intervento di un imprenditore bolognese,
indagato per concorso in associazione mafiosa, per aver corrisposto gli onorari
dei difensori di fiducia di alcuni affiliati alla cosca “Pelle – Vottari”.
La ‘ndrangheta è altresì dedita al traffico di droga nella regione e a
riprova va ricordato l’arresto, avvenuto il 13 marzo 2010 nei pressi del casello
autostradale di Bologna – Arcoveggio, di tre corrieri calabresi (Strangio Maria,
Rappazzo Fabio Sebastiano e Scipione Stefano) per detenzione di kg 1,430 di
cocaina.
Le successive indagini hanno individuato una organizzazione composta
da pregiudicati affiliati al clan Mammoliti – Strangio e da persone di varie
nazionalità, tutte già residenti nella Regione e dedite al traffico di stupefacenti.
4. Criminalità organizzata straniera
La forza attrattiva del florido tessuto economico della Regione,
coniugata, come si è visto dalla mancanza di gruppi criminali autoctoni in grado
di esercitare un pervasivo controllo nel territorio, favoriscono il progressivo
radicamento di fenomeni delinquenziali di diversa provenienza, che sono spinti
verso i traffici illegali maggiormente remunerativi.
Tra le organizzazioni straniere che si connotano per una accresciuta
offensività vi sono certamente quelle albanesi e nigeriane.
Per quanto riguarda le prime, la DDA ha osservato che i gruppi che sono
stati oggetto di specifiche investigazioni hanno palesato una crescente capacità
di organizzazione del narcotraffico, anche con legami internazionali, finalizzati
all’approvvigionamento di sostanze stupefacenti del tipo eroina e cocaina.
Il principale canale di approvvigionamento della cocaina risulta essere
l’Olanda.
Nell’anno in corso, peraltro, si segnala che in un caso è stato anche
accertato un nuovo paese di importazione, la Spagna, territorio notoriamente
interessato – soprattutto nell’area della Galizia – dall’arrivo e stoccaggio della
cocaina importata dal Sud America.
L’importazione dal nord Europa viene gestita attraverso contatti che i
gruppi operanti in Emilia hanno con connazionali albanesi che solitamente
dimorano stabilmente in Olanda o in Belgio; ciò agevola gli associati nel
predisporre viaggi all’estero, nell’intrattenere contatti con i fornitori, nel
concludere trattative che talvolta hanno carattere seriale.
Soltanto indagini collegate, non sempre facilitate dai contatti con Stati
esterni, potrebbero disvelare l’esistenza delle fonti all’origine
dell’approvvigionamento della cocaina.
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L’Albania, invece, risulta tutt’ora essere il canale privilegiato di
approvvigionamento dell’eroina.
Le principali indagini condotte a Bologna hanno evidenziato che la droga
giunge in Italia via terra (ad esempio, come risulta in un procedimento,
viaggiando attraverso la Macedonia e paesi dell’ex Jugoslavia sino a giungere
in Italia).
Il volume del traffico gestito dalle organizzazioni sin qui investigate è
caratterizzato da quantitativi ingenti di sostanza stupefacente.
In alcuni procedimenti sono stati effettuati anche in Regione sequestri
nell’ordine di decine di chilogrammi.
Anche la fase dello spaccio della droga è spesso opera dei gruppi
organizzati, sia per quanto riguarda l’eroina che la cocaina e per quantitativi
inferiori al mezzo chilogrammo.
Si è notato, al riguardo, che per lo spaccio le organizzazioni albanesi
utilizzano gruppi magrebini per l’eroina e gruppi italiani per la cocaina.
La DDA ha cercato anche di cogliere “giuridicamente” la peculiarità dei
nuovi modus operandi delle organizzazioni albanesi dedite all’importazione
dall’estero di sostanze stupefacenti, e da alcuni mesi ha iniziato a raccogliere
specifici elementi di riscontro probatorio idonei alla contestazione del reato
transnazionale.
Allo stato, però, non vi sono pronunce del locale ufficio GIP-GUP o del
Tribunale in merito alla fondatezza di queste contestazioni.
Sul particolare aspetto della collaborazione giudiziaria internazionale la
DNA svolge una costante opera di impulso sia verso il nostro interno che verso
l’esterno.
La collaborazione internazionale, infatti, è assolutamente essenziale per
individuare e colpire i vari anelli della catena dei traffici illeciti (droga, persone,
armi, riciclaggio, rifiuti e altro) che dal Paese di origine giungono a quello di
destinazione, attraverso vari passaggi e spesso anche cambi di proprietà.
Questa collaborazione, però, non è del tutto soddisfacente perché in
molti Paesi mancano le norme adeguate, perché mancano le strutture
investigative efficaci, perché le risposte sono spesso dilazionate nel tempo e
giungono con ritardo.
La DNA, per migliorare questa situazione, si rivolge anche alle Autorità
straniere con le quali ha intessuto una rete di contatti per uno scambio di dati e
informazioni che hanno anche lo scopo di rendere un servizio agli Uffici
giudiziari italiani in questa materia.
In ogni caso, dalla DDA di Bologna, sono state avviate alcune rogatorie
internazionali.
Nell’ultimo anno si segnalano quella – sia attiva che passiva – con la
Svizzera, ove ha operato un gruppo albanese stabilmente radicato a Bologna e
quella con l’Albania.
I proventi dell’attività di spaccio risultano nella maggior parte dei casi
reinvestiti in acquisto di beni mobili, soprattutto autovetture di grossa cilindrata e
motocicli.
In altri casi il denaro contante viene direttamente trasportato in Albania.
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È proprio questo il caso emerso in un procedimento nel quale è stata
avviata la rogatoria verso l’A.G. albanese, tendente a seguire e ricostruire il
flusso di denaro nel paese d’origine degli appartenenti alle organizzazioni
albanesi, anche al fine dell’adozione di successive iniziative di sequestro.
Sotto diverso profilo, si segnala che in molte delle organizzazioni
criminali oggetto di investigazione, si sta progressivamente affermando la
presenza – accanto alle tradizionali figure degli associati coinvolti in ruoli di
direzione e promozione, e quelli deputati alla fase operativa di rivendita ai clienti
dello stupefacente – di figure di “raccordo” fra gli associati, con funzioni
“fiduciarie”soprattutto del vertice organizzativo.
Tali compiti risultano affidati ad indagati di sesso femminile (al riguardo si
segnala la condanna per art. 74 D.P.R. 309/90 di BOGDANI Silvana, donna del
capo LILE Elion, nel proc. pen. 13312/2005; MIRCEA Elena, associata,
fidanzata del capo HORANLLI Eduart, nel proc. pen. 1395/2008), che non
necessariamente vengono coinvolte nelle condotte dei reati fine di spaccio.
Per quanto riguarda le organizzazioni nigeriane, va ricordata l’ordinanza
che, su richiesta della DDA, è stata emessa il 5 agosto 2009 dal GIP di Bologna
contro 35 persone (Adebayo David e altri) per il delitto di traffico di stupefacenti.
L’indagine traeva origine da attività di intercettazione iniziate presso la
Procura di Reggio Emilia dalle quali risultava il coinvolgimento di alcune
persone nello spaccio di droga che venivano successivamente arrestate; la
compagna di uno di loro confermava le attività illecite di quest’ultimo e spiegava
i rapporti tra costui e altri personaggi dimoranti in Emilia e in Nigeria.
L’indagine a questo punto veniva trasmessa per competenza alla DDA di
Bologna e si è estesa a numerosi casi di importazione di stupefacenti dalla
Nigeria, sia direttamente in Italia che via Spagna o Olanda, alla struttura della
organizzazione che distingueva i compiti tra che la dirigeva, chi teneva i contatti
tra i fornitori e gli spacciatori, chi organizzava e predisponeva l’utilizzo di
persone e mezzi, chi infine reclutava anche ragazze e le avviava alla
prostituzione.
Le varie attività illecite (compreso lo sfruttamento della prostituzione)
avvenivano in varie parti non solo dell’Emilia ma anche di altre Regioni, a
ulteriore conferma dell’inserimento della criminalità nigeriana nel nostro Paese,
la quale svolge contemporaneamente diverse attività illecite addirittura in diversi
Paesi.
5. Incontri tra DNA – DDA – Procura Generale - Procure circondariali
del Distretto
a) Tra le principali funzioni della DNA, vi è quello del coordinamento tra
le varie DDA quando sorgono necessità di scambio di dati e informazioni e
occorre evitare duplicazioni di investigazioni o possibili conflitti.
In questa materia sono state effettuate numerose riunioni di
coordinamento (alcune a Bologna tra la DNA e la locale DDA, altre a Roma con
altre Procure); esse hanno dato sempre esito positivo e si sono concluse con
ulteriore impulso alla prosecuzione delle indagini.
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Tra queste vanno qui ricordate:
• 7 luglio 2009 a Roma tra la DNA e le di DDA Bologna –
Catanzaro – Reggio Calabria;
• 21 gennaio 2010 a Roma tra la DNA e le di DDA Bologna
– Campobasso - Napoli
• 12 gennaio 2010 a Bologna;
• 23 marzo 2010 a Bologna;
• 26 aprile 2010 a Bologna;
• 29 giugno 2010 a Bologna.
b) Coordinamento intradistrettuale
È stata svolta una importante attività per assicurare il necessario
coordinamento tra tutti gli Uffici del P.M. del Distretto, e in particolare tra la DDA
e le Procure circondariali.
Va infatti ricordato che spesso le indagini di competenza DDA hanno
origine presso le Procure Circondariali (si pensi, a titolo esemplificativo alle
indagini sul traffico di droga come evidenziato nell’ultima indagine citata sui
nigeriani) o alle indagini sulla tratta di persone che possono iniziare da quelle
sullo sfruttamento di clandestini o sulla prostituzione, o quando un gruppo
criminale organizzato è insediato in località diversa da quella ove ha sede la
DDA (si pensi al clan dei casalesi insediato a Modena).
In passato, su input del Procuratore Nazionale Antimafia sono stati
siglati presso molte Procure Generali (e segnatamente presso la Procura
Generale di Bologna) Protocolli d’Intesa tra tutti i Procuratori del Distretto per
agevolare lo scambio di informazioni e il trasferimento degli atti per competenza
alla DDA quando ne ricorrono i presupposti.
Il nuovo Procuratore Generale di Bologna ha subito voluto dare
impulso a questo coordinamento e ha organizzato, in data 23 marzo 2010, una
riunione tra tutti i Procuratori del Distretto ai quali ha chiesto una maggiore
attenzione ai contenuti dei Protocolli, che già contengono l’indicazione delle
buone prassi da seguire.
In altra più recente riunione il Procuratore Generale ha riunito ancora
i Procuratori del Distretto per un più attento esame sulla materia delle Misure di
prevenzione patrimoniale e sulla confisca dei beni anche nei confronti di
persone condannate, quando ciò non è avvenuto durante il processo penale.
La materia delle Misure di Prevenzione patrimoniali è stata, inoltre, in
più occasioni trattata dal Procuratore Distrettuale sia all’interno dell’Ufficio che
con le Forze di Polizia.
In particolare nel corso di un incontro con tutti i Questori dell’Emilia
Romagna, tenuto il 29 giugno, ha esposto le principali modifiche apportate dalla
L. 24/2009, soffermandosi sui titolari del potere di proposte, sul tipo di indagini
che ciascun Ufficio deve compiere, sulle nuove competenze della DNA.
Preliminarmente, però, aveva ricordato l’importanza e la necessità di
dare incremento a questo istituto che, anche se certamente non è nuovo, nella
Regione ha avuto sempre poca applicazione per non essersi sufficientemente
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considerato che invece proprio da noi la criminalità organizzata opera il
riciclaggio del denaro di provenienza illecita e comunque lo investe.
In precedenza avevo trasmesso al Procuratore Generale e a quello
Distrettuale l’elenco di tutte le persone condannate in via definitiva, nell’ultimo
biennio, per uno dei delitti ex art. 51/3 bis c.p.p., in relazione ai quali può trovare
applicazione la confisca per espropriazione prevista dall’art. 12 sexies della
L.356/92, al fine di verificare lo stato di attivazione della Giurisprudenza della
Corte di Cassazione che ammette la confisca in executivis.
Con nota del 21 aprile 2010 la Procura Generale di Bologna
trasmetteva l’elenco a tutte le Procure del Distretto al fine di iniziare i primi
accertamenti volti alla confisca dei beni.
Si è in attesa dei riscontri, delegati alle Forze di Polizia, ma già è
stata programmata una nuova riunione cui parteciperanno gli stessi Procuratori
e lo SCICO della Guardia di Finanza per individuare le iniziative più concrete e
veloci per dare esecuzione al dettato normativo.
In realtà le parole chiave nel contrasto alla criminalità organizzata
oggi sono: attacco ai patrimoni e coordinamento.
Sono principalmente questi gli obiettivi che tutti gli Uffici del P.M. del
Distretto di Bologna intendono raggiungere.

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