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MOZART

MOZART - Vita

Nato a Salisburgo nel 1756 e morto a Vienna nel 1791, comincia la propria carriera di interprete e
compositore da giovanissimo, figlio del compositore, teorico e didatta Leopold Mozart (1719-1787),
compositore alla corte di Salisburgo e importante trattatista al tempo egli fece di tutto perché i figli
potessero avere tutti i mezzi necessari per intraprendere la carriera musicale a lui negata a causa
del suo impiego a corte.
Mozart da giovanissimo intraprende quindi molti viaggi, dal 1763, nelle principali capitali europee
per fara fronte ai numerosi impegni concertistici, Vienna, Mannheim, Monaco, Londra, Milano, Pa-
rigi, Roma e Bologna. ed in particolare l’Italia, preferita da Wolfgang, sia dal punto di vista concerti-
stico che da quello mecenatistico, dove potrà beneficiare dell’insegnamento di molte personalità
musicali dell’epoca.
Particolarmente importanto saranno gli incontri con Padre Martini a Bologna, Giovanni Battista
Sammartini a Milano, esperto di contrappunto e di opera, mentre a Londra incontra J. C. Bach, al
tempo uno dei maggiori compositori viventi, ciò favorisce anche un passaggio di stile dal figlio di
Bach al giovane Mozart.

Finito il periodo di viaggi il lungimirante Leopold si prodiga per far sì che il giovane prodigio trovas-
se un impiego stabile presso una delle corti più importanti, con scarsi risultati, ciò obbliga i due a ri-
tornare a Salisburgo e a trovare impiego lì, seppur al giovane Mozart l’impiego stesse particolar-
mente stretto.
Alla presa di potere di un certo arcivescovo Colloredo, particolarmente detestato da Mozart, il gio-
vane compositore decide di trasferirsi nel 1980 a Vienna, dove avrà luogo la composizione di molti
dei suoi maggiori lavori quali Don Giovanni, Le nozze di Figaro (1786), la Clemenza di Tito (1791),
Così fan tutte (1789).
Mozart in generale va considerato come compositore di opere italiane, particolarmente note le
opere buffe in collaborazione con Da Ponte (Don Giovanni, Figaro e Così fan tutte) e in seguito le
opere serie su libretti di Metastasio (la Clemenza di Tito).
Egli scrive anche sonate, musica sacra, sinfonie, concerti per vari solisti, esempi di musica da ca-
mera con e senza pianoforte, quartetti, svariate messe brevi risalenti al periodo salisberghese, poi
a Vienna (la famosa Messa per l’incoronazione ed infine il famoso Requiem rimasto incompiuto e
terminato dall’allievo Sultzmaiem).

IL DON GIOVANNI

L’opera trae il soggetto da un testo teatrale, El Burlador del Sevilla del 1630ca, di Tirso de Molìna,
gesuita del ‘600, che riceverà vari adattamenti teatrali e musicali ad esempio: L’empio punito,
1669, Roma, su testo di Filippo Acciaioli e Alessandro Melani, riadattato per le scene romane e fa-
vorito grazie alla presenza del cardinale Rospigliosi (futuro Clemente IX) alla corte spagnola, il
quale fu uno dei più importante librettista romano del ‘600 e, grazie al proprio soggiorno, esportò
molto del gusto drammturgico spagnolo.
Vi sono poi numerosi riaddattamenti, in particolare, in ambito viennese, il Don Juan, ou le festin de
tierre di Gluck su coreografia di Gasparo Angiolini del 1761; Il convitato di pietra di V. Righini e N.
Porta del 1776 a Praga; un’ulteriore versione del Convitato di pietra Gazzaniga e Bertazzi rappre-
sentato a Venezia nel 1777, che ispirerà poi Lorenzo Da Ponte a scrivere una sua interpretazione
del tema.

L’opera è densa di un atmosfera concitata ed energica densa di pathos, dal carattere dei alcune
scene ai temi tattati, che seppur a tratti buffi e leggeri non riesce a nascondere la profondità e
l’intensità del soggetto, che si rifà alla morte e al passaggio all’Inferno dell’anima dannata del Don
Giovanni.
In particolare A cenar teco (scena in quale il Don Giovanni invita la statua del commendatore mor-
to a cena) che riprende l’estetica dello Sturm und Drang, mentre l’aria di Zerlina, Vedrai carino, ri-
prende invece un’estetica quasi galante.
L’opera va definita come dramma giocoso, ovvero un opera nella quale compaiono allo stesso
tempo sia personaggi seri che buffi, che implicano quindi la convivenza nello stesso libretto di
elementi buffi e leggeri che presuppongono uno stile galante e di elementi drammatici, che presup-
pongono uno stile più intenso e profondo, con elementi della tragedia che portano ad uno stile, det-
to dionisiaco, di Pre-Romanticismo.

Nell’estetica del tempo i personaggi buffi erano solitamente aristocatici, legati ad uno stile elevato
(e quindi tragico), con un carattere legato a temi di morte, guerra o amore, che li conducono ad
uno stato di squilibrio mentale e dunque di follia; musicalmente ciò si tradurrà in una sorta di turbo-
lenza, spirito guerriero, lamento e passione insiti nel personaggio.
Lo stile musicale richiama ovviamente Arie di bravura (agili e virtuose) o patetiche (lente e legate)
ed implicava l’assegnazione di ruoli maschili e femminili a soprani (in seguito da 1780 verrà intro-
dotto il tenore).
I personaggi buffi d’altro canto erano quasi sempre servitori, legati ad uno stile basso, giocoso, a
volte volgare e a volte malefico, in generale comico atto a portare allegria e leggerezza e in questo
caso rinfrancando dalle intense scene tragiche.
Lo stile musicale richiamava dunque arie parlanti leggere e divertenti e l’assegnazione dei ruoli
maschili a bassi o baritoni, e di quelli femminili a soprani o contralti.
Il connubio tra i due e la compresenza genera spesso un clima comico, leggero e surreale e più ra-
ramente genera un clima serio e tragico, anche se ciò dipende dalla quantità di personaggi seri in
scena rispetto a quelli buffi, ad esempio nella scena della cena dove il Don Giovanni passa
all’Inferno vi sono presenti sia il Commendatore e il Don Giovanni (seri) che Leporello, tuttavia la
prevalenza è più che altro di temi seri.

La trama si sviluppa dal tentativo di Don Giovanni di violentare Donna Anna, sventato dall’arrivo
del Commendatore, padre di Anna, con cui il seduttore ingaggia una lotta fatale per il Commenda-
tore, seguito dalla fuga e dalla maledizione di Anna.
In questa prima scena coesistono sia il peccato della carne (più grave) che della violenza con
l’uccisione del commendatore, secondo la morale cristiana vigente a Vienna, aspetti esportati diret-
tamente dal testo originale di Molina, avente funzione “educativa” essendo scritto in un contesto
collegiale che, facente utilizzo dell’esemplare libertino e della sua amoralità ,dimostra le conse-
guenze che questa condotta avranno sulla sua vita.
D’altro canto più di 100 anni dopo nell’ambito viennese convivevano sia lo spirito cattolico e mora-
le, sia la voglia di rappresentare soggetti dissoluti e “libertini” tipici di Da Ponte.

Dal momento della fuga fino alla fine dell’opera il ruolo di tutti i personaggi è quello di tentare di ri-
portare il Don Giovanni sulla retta via (senza riuscirci), da Donna Elvira al fidanzato di Donna Anna
alla statua dell’ormai defunto commendatore.

Leporello

Particolare attenzione va data a Leporello, uno dei personaggi principali, servitore comico derivato
dalla commedia dell’arte, genere teatrale nel quale non esistevano copioni ma canovacci da svilup-
pare improvvisando tramite l’utilizzo di maschere; egli è l’”umile” servitore di Don Giovanni che invi-
dia, vuole diventare a sua volta un aristocratico, che si traduce in una raffinatezza musicale con
conseguente effetto di comicità e leggerezza sul bilancio finale della scena; oltre a vestirsi come il
proprio padrone, ad imitarlo e a coprirlo egli possiede una caratteristica che lo rende “inferiore” e
più umano, ovvero quella della paura: ciò lo rende timoroso delle proprie azioni (al contrario del se-
duttore che, per definizione, è estremamente dissoluto e sprezzante del pericolo e sopratutto della
moralità).
Il personaggio poi cerca anche di riportare sulla retta via il proprio padrone e proprio per questo
possiamo giudicarlo come sfaccettato, in quanto egli ambisce sia allo status di potere, sia alla re-
denzione del protettore, dimostra di essere sia volgare (nei confronti di Donna Elvira) ma anche di
compatirla, dimostra inoltre un certo carattere quasi malvagio e da qui la somiglianza con la ma-
schera di Arlecchino (in origine Hellequin), spesso rappresentato con le corna da diavolo in quanto
personaggio “demoniaco”, il quale, allo stesso modo di Leporello, ambiva a sembrare nobile e, per
ovviare alla propria condizione di povertà, si costruiva vestiti sgargianti e multicolori fatti di pezze
diverse.
Il personaggio di Arlecchino dimostrava di essere furbo, desideroso di cambiare la propria condi-
zione, quindi di sovvertire l’ordine naturale, pauroso, manipolatore e perennemente affamato e vie-
ne citato anche nell’Inferno dantesco con il nome di Alichino.

Madamina il catalogo è questo

Atto I, scena 5, recitativo e aria di Leporello.

Dopo essere sfuggito a Donna Anna, il duo incontra molte persone, di cui una vecchia conquista di
Don Giovanni: Donna Elvira.
Ella è una ragazza precedentemente sedotta dal nobile e poi abbandonata, e al momento
dell’incontro il seduttore tenta (secondo la propria natura) di conquistare, dimenticando di averla
già abbandonata in passato, questo getta luce sulla natura del protagonista, il quale non si cura
dell’amore o del sesso, quindi del piacere carnale, ma solamente della seduzione in sé e nell’appa-
gamento che questa procura al nobile, dopodiché egli lascia sistematicamente la conquista e pas-
sa a quella successiva.

In questa scena, dopo essersi reso conto dell’errore, Don Giovanni scappa e lascia a Leporello il
compito di illustrare alla ragazza il carattere del padrone, a questo punto Leporello intona un’aria
brillante e allegra, tipica dei personaggi buffi di fine ‘700 nella quale illustra le caratteristiche del se-
duttore, le sue numerose conquiste (in toni anche volgari).
Alla fine del recitativo egli prova compassione per la donna, cercando di consolarla (“egli non mer-
ta che di lui ci pensiate”) usando anche toni di sfida quasi volgare (“e consolatevi, non siete voi,
non foste e non sarete l’ultima”), per poi, alla fine dell’aria, riprendere toni bassi e volgari (“voi sa-
pete quel che fa”).

verso testo sillabe partitura stile

1 Madamina, il catalogo è questo 10 Allegro sillabico, personag-


delle belle che amò il padron mio; 10 gio buffo
un catalogo egli è che ho fatt’io. 10
Osservate, leggete con me. 10
5 In Italia seicento e quaranta, 10
in Almagna duecento e trentuna, 10
cento in Francia, in Turchia novantuna, 10
ma in Ispagna son già mille e tre! 10
V’han fra queste contadine, 8
10 cameriere e cittadine, 8
v’han contesse, baronesse, 8
marchesane, principesse, 8
e v’han donne d’ogni grado, 8
d’ogni forma, d’ogni età. 8
15 Nella bionda egli ha l’usanza 8 Andante più lento e cantabile
di lodar la gentilezza, 8 con moto
nella bruna la costanza, 8
nella bianca la dolcezza. 8
Vuol d’inverno la grassotta, 8
20 vuol d’estate la magrotta; 8
è la grande maestosa, 8
la piccina è ognor vezzosa… 8
Delle vecchie fa conquista 8
pel piacer di porle in lista: 8
25 sua passion predominante 8
è la giovin principiante. 8
Non si picca se sia ricca, 8
se sia brutta, se sia bella; 8
purché porti la gonnella, 8
30 voi sapete quel che fa! 8

Dopo che Don Giovanni fugge e Leporello è chiamato a “spiegare” il padrone, espone il cosiddetto
catalogo cercando di consolare Elvira dicendole che non sarà né la prima né lultima, la peculiarità
dell'interpretazione di Corbelli lascia per esempio molto spazio alla compassione e all'imbarazo
ostentato dal servitore che, al contrario, secondo la tradizione e le altre interpretazioni era rappre-
sentato come aggressivo e quasi cattivo.
Possiamo anche identificare dei topoi nella costruzione dei personaggi buffi che in genere posso-
no essere sia vecchi che anziani (vedi La serva padrona), e sono spesso bassi baritoni, presenta-
no poi delle caratteristiche piuttosto ripetitive che ricorrono in molte opere come il carattere testua-
le e musiclmente gioioso, un testo generalmente poco ripetitivo e molto lungo, che consente ap-
punto il linguaggio musicale parlante, proprio dei personaggi buffi, un testo che non consente vo-
calizzi o note tenute ma piuttosto lo snocciolare il testo in maniera veloce e divertente, questo è ul-
teriormente sottolineato dal fatto che spesso la melodia non è affidata al cantante in queste arie,
per cui il cantante si pone al centro della tessitura orchestrale e quindi non esprime direttamente
quello che gli ascoltatori ascoltano come tema, che è invece riprodotto dall'orchestra, tipico dei
personaggi bassi-baritoni.

Esistono però varie interpretazioni di Leporello e una di queste punta ad enfatizzare i toni arrogan-
ti, cattivi, molto più volgari e sfacciati, quasi demoniaci del personaggio (che non sono mai espres-
se direttamente nel testo di Da Ponte) e sopratutto recentemente trovano spazio nelle rappresen-
tazioni dell'opera (da Claudio Abbado in poi).

Riguardo Donna Elvira, una delle possibili rappresentazioni comporta che ella sia allo stesso tem-
po innamorata e arrabbiata con Don Giovanni (sebbene ciò non sia espresso direttamente nel li-
bretto), questa interpretazione consente all'attrice di aggiungere una certa rotondità al personag-
gio, smarcandolo dalla piattezza iniziale riservata al carattere di personaggio secondario.

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