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Lo Spirito Santo nella

Tradizione Latina
TD 2225

Lo Spirito Santo
nella Tradizione Latina
del II millennio
Lezione 2
dall’Ecclesia Sponsa all’Ecclesia Spiritualis

PUTTI – Lezione 2
n LA PNEUMATOLOGIA NELLA TEOLOGIA MONASTICA
n GUGLIELMO DI S. THIERRY
E RICCARDO DI S. VITTORE

Lo Spirito Santo nella


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Gv 16, 1-11
7 Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne
vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il
Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo
manderò. 8 E quando sarà venuto, egli convincerà il
mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.
9 Quanto al peccato, perché non credono in me;
10 quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi
vedrete più; 11 quanto al giudizio, perché il principe di
questo mondo è stato giudicato.
PUTTI – Lezione 2

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Tra XI e XIII secolo
i cambiamenti nel tessuto sociale ed ecclesiale innescarono
un movimento di riforma che caratterizzò il periodo della
Riforma Gregoriana.
I monasteri e le scuole furono luoghi teologici
deputati allo studio della Scrittura ed alla teologia:
• luoghi di culto e di studio,
• di preghiera e di insegnamento
• attraverso i quali la cultura e la fede si diffusero,

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• insieme al desiderio di una riforma dei costumi ecclesiali
• ed una ristrutturazione degli organismi ecclesiastici.

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Tra i numerosi nomi di teologi e di santi,


alcuni diedero significativo impulso alla
pneumatologia segnando il corso della
storia di questo ambito della teologia: la
teologia monastica di
Guglielmo di San Thierry
e Riccardo di San Vittore,
la concezione di Gioacchino da Fiore e dei
suoi seguaci,
e le posizioni degli scolastici, che
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strutturarono nelle Summae gli


insegnamenti teologici, ne sono un
esempio.
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« Lo Spirito Santo come dono
In Europa sorsero forme cenobitiche differenziate che si
caratterizzarono come forme del monachesimo benedettino,
che già aveva assimilato il pensiero monastico antico.
Lo splendore della gloria di Cristo, ricercato nella scelta radicale
del Vangelo e nella vita severa di chi vuole vivere fino
all’estremo le promesse battesimali, divenne segno di quella
gloria riservata a coloro che attendono alla vita eterna. «Nella
Regola di S. Benedetto non si trova alcun giudizio di valore, né
favorevole né sfavorevole, sulle lettere e lo studio delle lettere. I
soli valori sui quali sia messo l’accento sono quelli della vita

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eterna; la sola realtà sulla quale sia pronunciato un giudizio
sfavorevole è il peccato. Lo studio è ordinato, come un mezzo
fra molti altri, alla vita eterna»: D.J. LECLERCQ , Cultura
umanistica, 26.
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• Questo modello di vita e di perfezione si diffuse


insieme alla sua cultura, la quale si propagò
proprio grazie al monachesimo benedettino,
favorita in modo particolare dal lavoro dei
monaci che erano tenuti a copiare per sé e per
commissione le opere necessarie per lo studio
della Scrittura e per la cura liturgica.
• Tra il IX e il XIII secolo le esperienze monastiche
si riconobbero figlie del modello introdotto da
San Benedetto, come di un unico Padre si
attenevano alla sua Regola, vero e proprio
elemento di continuità nella storia di questi
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secoli.

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Il cambiamento
del costume monastico
• Nel difficile momento che vide il succedersi di tempi di rovina
e difficoltà – con le devastazioni e le conquiste normanne,
saracene ed ungare, che causarono la distruzione di numerosi
chiostri, francesi ed italiani – il monachesimo si stabilì con
sempre maggior incisività nella società medievale. Nello stesso
periodo alcune abbazie divennero veri e propri possedimenti
amministrati da uomini privilegiati, gli abati, i quali
detenevano gli obblighi e i privilegi dei signori feudatari.
Questa affermazione di potere nella società medievale fu
ragione di cambiamento del costume monastico, che si

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corruppe nel tempo fino al momento della sua ripresa operata
in Borgogna dal monastero di Cluny.

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• L’impostazione monastica benedettina ebbe diffusione e


stabilità anche grazie a fattori direi complementari: uno
dimostrato nel IX sec. dallo studio di Benedetto di Aniane
che raccolse regole in vigore nei monasteri europei,
individuò la convergenza di molte regole religiose in
quella benedettina e ne intravide il primato spirituale.
• Un elemento fu di tipo ecclesiologico; il Concilio
Lateranense II (1139), infatti, indicò alcune regole di vita
evangelica indicandole come riconosciute e consigliate
dalla Chiesa: quelle di Basilio, quella di Agostino e quella
di Benedetto.
• In seguito, il Concilio Lateranense IV (1213) obbligò le
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nuove fondazioni ad accogliere delle regole già approvate.

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In tal modo la caratterizzazione monastica della vita
religiosa medievale veniva fissata su elementi comuni:
preghiera, lavoro, disciplina. A conferma di ciò vi furono le
eccezioni degli ordini mendicanti, le cui regole furono
approvate — proprio perché inconsuete — con il nome di
costitutiones o instituta.
«Durante gli ultimi anni del secolo XI, e i primi del XII, si
ebbe un’autentica fioritura di ordini nuovi, ma la
maggioranza di essi hanno lasciato poche tracce nella
storia della Chiesa al tempo di S. Bernardo. Tra di essi, solo
i Certosini e i Cistercensi meritano attenzione, mentre
Cluny continua ad incarnare una certa forma di vita
benedettina e Premontré, sulle frontiere della Chiesa

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secolare, prolunga, dandogli un carattere nuovo, il
movimento del secolo XI che aveva indotto i capitoli ad
organizzarsi, sottoponendosi alla regola di S. Agostino».
A. FLICHE – R. FOREVILLE – J. ROUSSET – DE PINA, Storia della Chiesa IX/1, 137. 9
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• Le nuove fondazioni monastiche ebbero,


infatti, un ruolo primario nel processo di
trasformazione della società ecclesiastica e
laica dell’XI e XII secolo, come riferito dagli
studi sui rapporti esistenti tra le nuove
istituzioni monastiche e la Sede Apostolica.
• dato chiaro anche per l’enfasi posta sul
ruolo assunto dai monasteri nella
maturazione sociale medievale, di cui
riferisce il Violante, mettendo in risalto
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il carattere riformistico ed innovatore del


monachesimo post-carolingio

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Gregorio VII
q nella visione di cambiamento che ebbe il suo pontificato e
nelle stesse contraddizioni di un’epoca storica di per sé molto
articolata. Proprio attorno alle espressioni e manifestazioni
della riforma della Chiesa, nel suo concreto manifestarsi
come supremazia papale nei confronti dell’Impero, emerge il
legame esistente tra mondo monastico e società civile —
perché il monachesimo aveva assunto un ruolo di guida in
quel periodo — con l’affermazione del primato dello
spirituale sul temporale, della Chiesa sull’Impero.
Divenivano così riconoscibili i presupposti di natura storico

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giuridica che spinsero alla riforma Gregoriana: il rapporto tra
l’autorità ecclesiastica e civile, gli sviluppi nel campo del
diritto patrimoniale e del diritto di famiglia.

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• La Fondazione del MONASTERO DI CLUNY


operata da parte di Guglielmo di Aquitania
(875-918), si ritiene sia iniziato un nuovo
periodo della storia ecclesiale europea a causa
della relazione che venne a stabilirsi tra impero
e papato. Nel fondare questo monastero, in
effetti, il sovrano volle concedere alla Chiesa di
Roma tutti i suoi diritti sull’abbazia,
concessione che poi si estese a tutti i monasteri
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cluniacensi.

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• L’abbazia godeva di una sorta di immunità per la sua
localizzazione. «Dal momento che l’abazia si trovava
nell’allodio (cioè nei beni familiari) di Guglielmo, e non in
terre appartenenti al fiscus regio o, almeno in linea
teorica, amministrate da rappresentanti del potere
pubblico, dal momento cioè che era stata fondata su terre
private e non su terre del fisco, essa si trovò in questo
modo svincolata da qualunque autorità o forma di
controllo delle autorità secolari: era lo stato di “immunità”.
Nel corso del X secolo conseguì interamente anche lo stato
di “esenzione”, prefigurato da Guglielmo con la donazione,
che ne aveva fatto contestualmente, ai santi Pietro e
Paolo: fu cioè sottratta all’autorità del proprio ordinario

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diocesano, il vescovo di Mâcon, per essere subordinata
direttamente e soltanto al papa [...] appartenente alla
giurisdizione degli apostoli Pietro e Paolo»: G.M.
CANTARELLA, Cluny e il suo abate Ugo, 11.
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La spiritualità cluniacense
si diffuse velocemente
• I primi monaci che iniziarono la fondazione cluniacense
vissero la regola di San Benedetto, iniziando un
processo di riforma con l’intento di costruire la Chiesa
nel segno della contemplazione, della fedeltà e della
stabilità tra impero e papato.
• L’esperienza di Cluny rappresenta l’inizio di un
momento di mutamento radicale religioso, politico e
confessionale, che ha congiunto l’intera Europa in un
unico sentimento di fede esprimendosi per più di
duecento anni come il luogo di diffusione della
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cristianità.

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• Ciò che ebbe inizio a Cluny, cioè l’esperienza di riforma
maturata nel silenzio dei monasteri, diventò strumento di
riorganizzazione ai vertici della cristianità. Il movimento
monastico cluniacense fu l’espressione più evidente di
potenti impulsi spirituali che, in pochi anni dalla
fondazione del primo monastero, aveva portato altri
luoghi a condividere ideali e condotta religiosa.

• Gli obiettivi della vita nascosta in Dio, in un clima di


orazione e lavoro, erano la conquista delle anime e la loro
salvezza eterna. Così sintetizza Paolo Brezzi:

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• «A trenta anni dalla fondazione, l’ideale di Cluny aveva già


conquistato altri monasteri in Normandia come in
Germania, a Roma come in Lorena ed in Fiandra, poi
vennero varie altre nuove case nell’Italia settentrionale e
meridionale, come in località d’oltr’Alpe, così da far
raggiungere al principio del secolo XII l’apogeo della
potenza cluniacense (seguito immediatamente da una
rapida decadenza)».
P. BREZZI, La civiltà del medioevo europeo, II, 282-283.
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La Gerusalemme del cielo
• «La Gerusalemme celeste è il fine al quale tende il
monaco. Egli si innalzerà fino ad essa attraverso tutto ciò
che evoca — e realizza — una ascensione e questo
introduce tutta un’altra serie di temi. Dapprima quello
dell’Ascensione per eccellenza, che è quella di Cristo; è
questo uno dei misteri di Cristo sul quale S. Bernardo ha
scritto la maggior parte dei suoi sermoni, più ancora che
sul mistero della Passione. Il monaco lascia il mondo.
Come ogni cristiano se ne distacca, ma in più per una
vocazione particolare, lo abbandona. Va nella solitudine,
spesso su una montagna, per meglio realizzare il
programma che la Chiesa, nella festa dell’Ascensione,

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presenta ad ogni fedele: “abitare le regioni celesti, in
caelestibus habitemus”»
J. LECLERCQ , Cultura umanistica e desiderio di Dio, 68.

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Nulla anteporre
all’opus laudis
• La palestra della più alta perfezione era l’eremo, [...]
secondo la primitiva tradizione di S. Romualdo e S. Pier
Damiani. [...] Il cenobio esplicava una funzione protettiva
affinché cioè in esso si fermasse il rumore del mondo e gli
eremiti potessero attendere unicamente alla
contemplazione senza altre preoccupazioni di indole
economica o amministrativa, le due gravi cause che
l’eremitismo rimproverava al monachesimo del sec. X-XI.
G. PENCO, Storia del Monachesimo in Italia, 200.
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• La situazione decadente del clero intorno al Mille, i
contrasti tra Chiesa e Stato per i privilegi feudali
implicati nelle elezioni episcopali furono i motivi
iniziali perché si intraprendesse una riforma, la cui
azione era destinata a investire l’intera società del
tempo e a plasmare una nuova cultura.
BREZZI, Il Papato, 107-115.

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Dalla Lectio alle Summe


• Fu ancora il mondo monastico a coltivare e
sviluppare, attraverso soprattutto un pensiero
nutrito dalla Scrittura, la riforma teologica. Dalla
pratica della lectio divina fluì quella teologia
monastica che alimentò e sostenne la vita della
Chiesa in quel periodo. I suoi contenuti mancavano
di sistematicità, legati come erano al testo della
Scrittura, riducendosi il più delle volte ad un
commento corsivo o ad una sua amplificazione;
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contengono spesso sviluppi originali sugli argomenti


teologici che in seguito verranno sistematizzati nelle
Summe dei grandi Scolastici.
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In questo contesto di differenziazione nella tradizione

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cristiana è maturata l’esperienza monastica e la riflessione
mistico-teologica di abati e monaci europei, i cui scritti sono
giunti fino ai nostri giorni, come Abelardo, Lombardo,
Bernardo di Chiaravalle, Ugo e Riccardo di San Vittore,
Guglielmo di San Thierry e Gioacchino da Fiore.
si sviluppa una riforma della vita cristiana che ha grande
attenzione agli aspetti spirituali e in particolare all’azione
dello Spirito Santo. Egli, presenza attiva e dono divino offerto
all’uomo, era riconosciuto quale presenza necessaria: per
l’intelligenza della Sacra Scrittura, per la comprensione dei
misteri divini e per la santità della vita.

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Se già nella tradizione dei Padri della Chiesa la Rivelazione
era il fulcro principale per conoscere l’identità divina, per
apprendere il messaggio salvifico in essa contenuto per poi
attuarlo nella vita, allo stesso modo essa è ripresa nei testi
monastici e scolastici. 21
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Nei testi monastici e


scolastici
• la persona dello Spirito interviene come dono nella storia
della salvezza, che si attua nell’esperienza di vita dell’uomo
schiuso al suo agire. Tuttavia gli eventi storici sopra descritti
hanno pian piano causato una separazione, all’interno della
prassi teologica — tra la riflessione dottrinale e
dogmatica — e la prassi della vita cristiana riferita allo
Spirito Santo. Alcune esperienze monastiche conobbero
derive teologiche sullo Spirito, capaci di minare l’ortodossia
della fede. Se in quel periodo si era intenti a formare nella
pietà popolare una maggiore consapevolezza della propria
identità di appartenenza a Cristo ed alla sua Chiesa, il
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principio che ordinava questo processo riformatore mirava a


mettere in atto un modello verticistico della Chiesa ordinata
nella gerarchia e rigorosa negli insegnamenti.

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Si sviluppano due modelli
• Da questo momento in poi si procederà su due
ambiti che raramente avranno punti di contatto:
da una parte la Chiesa gerarchica e istituzionale,
dall’altra la Chiesa spirituale. Due i modelli
ecclesiologici che incontreremo:
• L’Ecclesia sponsa della teologia monastica
• e l’Ecclesia spiritualis dei gruppi riformatori.

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Due visioni di chiesa


Ecclesia Sponsa
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Due visioni di chiesa
Ecclesia Spiritualis

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Guglielmo di Saint-Thierry (1075-1148)

• Monaco del monastero di Saint-Thierry, di cui venne


eletto Abate nel 1121, Guglielmo è stato uno dei massimi
esponenti della teologia monastica.
• Scrisse infatti sugli ideali della vita mistica, condivisi con
San Bernardo col quale corrispose a lungo.
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Nelle opere, a lui attribuite, si avverte l’orientamento
deciso per una teologia organica maturata attorno ai
principi fondamentali della vita monastica:
obiettivo della vita del credente
era per Guglielmo
vivere in intimità con Dio per cui preghiera,
meditazione, ascesi interiore, si univano
in un trasporto amoroso dell’anima.
Il fine era quello di

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fortificare sempre più la relazione con il Creatore divino
per un dialogo che, animando lo spirito, accordasse
all’uomo religioso l’esperienza dell’inabitazione di Dio.
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• Secondo i maestri delle scuole monastiche come


Guglielmo di Saint-Thierry, l’uomo può credere
grazie ad una volontà assistita dalla ragione, ma
solo se questa è illuminata dalla luce dello
Spirito. L’esercizio umano da solo non basterebbe
a compiere l’unione con Dio, ma l’ardire della
contemplazione deve trovare il sostegno divino
che ricongiunge l’uomo alla sua origine.
• propose nelle sue opere una teologia nutrita
dalla tradizione dei Padri latini e greci. Questo
autore attinge alle fonti della Scrittura e della
Tradizione e agli scritti dei Padri per dissetarsi alla
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pienezza originaria della vita divina.

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• Ne risulta una visione trinitaria che individua
nella persona divina del Padre il principio di
tutto: c’è, infatti, una priorità assoluta del Padre
rispetto alle altre persone divine perché egli è
origine della divinità, è il principio da cui il Figlio
è generato e da cui lo Spirito principalmente
procede. Pertanto la pneumatologia che ne
deriva è espressa dall’unità delle persone divine
stabilita nello Spirito: lo Spirito è la carità del
Padre e del Figlio, l’amore attraverso cui essi si
amano e per cui sono una cosa sola, e quindi lo

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Spirito stesso è amore.

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• Teologia e spiritualità trovano un’unica espressione


nella persona del monaco che cerca il vero, che
vede nello Spirito Santo colui che porta a
compimento l’unificazione dell’uomo in Dio: così
l’uomo può essere unito a Dio nello Spirito fino alla
perfezione del suo essere, ma solo nella misura in
cui l’anima giunge ad essere accolta nello Spirito;
nel momento in cui lo Spirito prende posto
nell’anima dell’uomo, allora questi potrà conoscere
Dio così come Egli è.
• Accoglimento ed unione definiscono i limiti della
dinamica comunionale con le persone divine, sono
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sinonimo della perfetta conoscenza spirituale, della


pienezza della sapienza, che si spinge fino all’unità,
e significano l’identità dell’uomo nell’interezza di
tutto il suo essere.
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Visione antropologia e
pneumatologica congiunta
• In tal senso la visione antropologica e quella pneumatologica di
Guglielmo sono strettamente connesse, e svincolandosi da ogni
spiegazione teologica elaborata, sono radicate nella Scrittura che
permea invece i testi e li modella nella scorrevolezza di uno stile
pregnante e coinvolgente.
• Lo Spirito Santo è protagonista insieme all’uomo religioso di
contenuti teologici rilevati. Il metodo teologico usato dal nostro è
quello agostiniano, riletto nel quadro della spiritualità monastico-
ascetica. L’intento è di condurre l’uomo — il monaco — ad un
cammino interiore di continua conversione per il raggiungimento
della conoscenza divina, attraverso cui l’uomo impara a riconoscere

PUTTI – Lezione 2
le proprie capacità e i propri limiti, misurandosi così nel
superamento delle proprie debolezze, percorrendo l’itinerario che
lo conduce all’unico bene a cui anela e che solo può appagare la
sua sete: il bene divino che è Dio stesso.
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Ogni uomo nel proprio cuore può fare esperienza di Dio, entrare in una
relazione di intima conoscenza che lo introdurrà e guiderà fino all’u-
nione assoluta, ma solo se sarà aperto alla vita di ascesi; infatti l’anima
umana desiderosa della verità, inabitata e mossa dallo Spirito Santo,
possiede la stessa carità divina che lo Spirito effonde nei cuori
rinnovandoli per poter temere Dio e conoscerlo, amandolo ed
osservando i suoi precetti, divenendo con Lui un unico spirito.

Coloro che riconoscono il bene e lo desiderano, ma ancora non lo


posseggono, quando vengono mossi dallo Spirito sono illuminati e
sentono il gusto del bene. È lo Spirito stesso infatti che riveste questi
perfetti e li chiama spirituali.
L’illuminazione interiore che ricevono nel soffio vitale dello Spirito si
innesta nella virtù teologale della carità, rinvigorendo anche le altre
virtù teologali. Lo Spirito Santo, che è l’amore stesso di Dio, donandosi
PUTTI – Lezione 2

all’uomo lo possiede, lo fa suo, e Dio, amando l’uomo, lo rende una


cosa sola con Sé. Per questo l’uomo ispirato e sospinto dallo Spirito, ha
beneficio di tutti i suoi frutti. È lo Spirito, infatti, che vivifica ogni cosa,
è «come il cuore al centro del corpo», vitale e necessario nella vita di
ogni uomo.
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Il dono dello Spirito fatto ai credenti, effuso in ogni realtà creata è
ciò che rinnova la terra e che santifica riportando l’uomo alla sua
origine, poiché lo associa a Dio secondo il legame originario già
presente dalla sua creazione, in un legame di affinità e parentela.
Così Guglielmo introduce il suo scritto destinato alla formazione
dei monaci:
«Ai fratelli del Monte di Dio, che irradiano nelle tenebre
dell’Occidente e nel gelo delle Gallie la luce dell’Oriente e quel
celebre antico fervore dei monaci dell’Egitto — vale a dire
l’esempio della vita solitaria e il modello della comunità celeste —
corri incontro, anima mia, e corri insieme a loro nella gioia dello
Spirito santo e col sorriso nel cuore, col favore della carità e con
tutto l’ossequio di una volontà devota»

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GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, Epistola ad Fratres de Monte Dei, PL
184, 307; trad. it., Lettera d’Oro, 1, 97.

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«La fede lo concepisce (l’uomo), la speranza lo partorisce, la


carità, che è lo Spirito santo, lo forma e gli dà vita. L’amore
di Dio, infatti, o l’amore-Dio, lo Spirito santo, infondendosi
nell’amore e nello spirito dell’uomo, lo fa suo; e Dio,
amando se stesso nell’uomo, fa dello spirito e dell’amore
dell’uomo un’unica cosa con se stesso. Come, infatti, il
corpo non riceve la vita se non dal suo spirito, allo stesso
modo quel sentimento dell’uomo, che si chiama amore,
non vive, cioè non ama Dio, se non in virtù dello Spirito
santo»: GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, Epistola ad Fratres de
Monte Dei, PL 184; trad. it., Lettera d’Oro, n.170, 157.
«Guarda infatti come ha posto lo Spirito santo, autore,
PUTTI – Lezione 2

ordinatore, vivificatore di ogni cosa, al centro delle buone


virtù, come il cuore al centro del corpo»: GUGLIELMO DI SAINT-
THIERRY, Lettera d’Oro, 264; 189.

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Riccardo di San Vittore (1123-1173)
• teologo e filosofo, fu priore dell’abbazia benedettina di San
Vittore a Parigi dal 1162 al 13 marzo 1173, giorno della sua
morte. Scozzese di nascita (1123), visse dedicandosi
interamente allo studio della Scrittura ed alla produzione di
numerosi scritti teologici e spirituali

• La dottrina agostiniana, a cui si rifà Riccardo e con lui autori


occidentali medievali, risulta nei suoi scritti ampliata ed
arricchita, perché schiudendo una via nuova per lo sviluppo
dello studio dell’azione dello Spirito e le sue relazioni con le
persone della Trinità ed introducendo anche il tema di Dio

PUTTI – Lezione 2
come amore, ponendo lo Spirito al centro del mutuo scambio
delle persone divine. La Trinità è perfezione ideale dell’amore
relazionale interpersonale, di cui le relazioni umane esprimono
un esempio analogo.

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Dare ragione della propria fede


• L’obiettivo delle sue opere teologiche è quello di dare
ragione della propria fede con l’apporto della riflessione e
l’affetto del cuore: la fede conduce così l’uomo nella
verità fino alla vera conoscenza che è la sola che permette
di riconoscere la profondità del cristianesimo.
• L’affetto del cuore verso le verità credute, infatti, da solo
non può bastare per approfondire i contenuti da credere
e per appagare il desiderio della visione di Dio.
• La contemplazione è il raggiungimento della verità
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conosciuta con la ragione ed amata con animo sincero;


sebbene l’esistenza di Dio non possa essere provata
razionalmente, essa è però nota attraverso la Rivelazione.

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Lo Spirito
persona in relazione
• È chiaro, quindi, che la conoscenza della Scrittura e la sua
interpretazione sono lo strumento attraverso il quale Riccardo
si avvicina alle verità credute e le contempla, distinguendo le
persone divine, i loro attributi e le relazioni che esse
stabiliscono nell’amore.

• In questa concezione teologica lo Spirito Santo è l’elemento


unitivo delle persone divine ed anche colui che consente
all’uomo di amare Dio e di entrare in relazione con lui. Dio, che
è amore, entra in relazione e si comunica, ad intra della Trinità,
per il conseguimento dell’intimo diletto, che si accresce nella

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pienezza della carità.
• RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitatae, III, c.14; PL 196.

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L’analogia agapica
• La visione di Riccardo di San Vittore, pur poggiandosi
sulla teologia psicologica di sant’Agostino, la supera
offrendo una lettura sicura, delle relazioni trinitarie in
prospettiva teologica. «L’analogia agapica ha inoltre il
vantaggio di scongiurare il pericolo di svuotare il mistero
riducendo la Trinità a un’applicazione alla divinità dei dati
della psicologia umana semplicemente trasposta»: B.
MONDIN, Storia della Teologia, II, 145.
• Questo tipo di argomentazione che pone l’accento
sull’aspetto interpersonale era a fondamento della
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teologia trinitaria dei padri greci.

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• L’autore propone una naturale analogia tra amore umano
e amore divino: infatti quest’ultimo si esprime in pienezza
nel rapporto delle tre persone divine, nella loro
interazione sociale ed interpersonale, in cui ciascuna
persona esprime a pieno la propria essenza personale e
divina.
• L’originalità di Riccardo in particolare e, più in generale
della scuola dei Vittorini, sta nell’aver sistematizzato il
percorso che l’anima compie per il raggiungimento della
perfezione: a differenza dei loro predecessori, i Vittorini
scrissero non solo della loro esperienza personale in
relazione al raggiungimento dell’appagamento interiore di
coloro che incontrano Dio, ma seppero trarne una dottrina

PUTTI – Lezione 2
sistematica. Per la prima volta nella storia della teologia la
sistematizzazione riguardava prima Dio in se stesso e le
sue relazioni e in secondo luogo l’uomo che, desideroso di
conoscerlo, segue un percorso di ascesi personale. 39
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«Teologia sociale»
L’ascesi poteva essere valutata e sistematizzata in una vera e
propria dottrina a se stante «Usando il linguaggio moderno si
potrebbe dire che Riccardo anziché una dottrina psicologica ha
elaborato una “teoria sociale” della Trinità, assumendo come
punto di partenza l’amore:
dall’eternità c’è una persona che non è preceduta da null’altro; al
suo fianco esiste però necessariamente un’altra persona, che
essa ama e da cui è riamata; da queste due segue
necessariamente una terza, eguale a esse, così che il loro
comune amore non subisce nessun limite.
Questa concezione “sociale” della Trinità presenta molte
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consonanze con la concezione di Guglielmo di Saint-Thierry e di


Isacco della Stella. È una concezione essenzialmente agapica che
pone quale principio supremo di tutto il dinamismo trinitario
l’amore»: B. MONDIN, Storia della Teologia, II, 142.
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Concludendo
1. Sembra giusto annotare, a questo punto, le
differenti prospettive di Guglielmo di San Thierry e
Riccardo di San Vittore: proposte in due contesti
simili, esse mostrano alcuni elementi comuni che,
pur segnati dalla stessa teologia monastica, sono
trattati in modo diverso, quantomeno con una
sensibilità diversa, che ha contribuito a
caratterizzare la riflessione pneumatologica del
tempo. Lo Spirito Santo costituisce in questa

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prospettiva l’esistenza della divina sostanza in
quanto amore (condilectus).
Cfr. G. O’COLLINS, «The Holy Trinity», 11.

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2. L’interazione tra la conoscenza di Dio e


l’amore vissuto nel gaudio della
contemplazione rappresenta la via della
salvezza per l’uomo: nel ricercare Dio,
amandolo e lasciandosi amare da lui, l’uomo
matura una relazione stabile, perché sorretta
ed orientata dallo Spirito, che gli permette di
giungere alla perfezione della propria
esistenza nella carità di Dio. Contemplazione,
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compassione e amore si integrano in una


armonia di pratica religiosa e sana dottrina.

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Bibliografia
• Per la Lettura

CANTARELLA G.M. , I monaci di Cluny, 256-263


BREZZI P., Il Papato, Roma 1967, 107-115.
_______, La civiltà del medioevo europeo, II, Città di Castello
1978, 282-283.
LAMBIASI F., – VITALI D., Lo Spirito Santo: mistero e presenza,

PUTTI – Lezione 2
Bologna 20052, pp. 129-143.
PUTTI A.M., Il difficile recupero dello Spirito, Roma 2016, 52-69.

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