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Il titolo 5° TFUE è dedicato allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Si tratta di un ambito di competenza
dell’UE piuttosto articolato e complesso che comprende anche lo Jus Migrandi, ma non solo.
Ad esempio, se si pensa allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, automaticamente si pensa anche al
mutuo riconoscimento delle sentenze dei giudici nazionali tra stati membri dell’UE, che non è per forza
riferito allo Jus Migrandi. Questo in quanto il contenitore lo spazio di liberà, sicurezza e giustizia comprende
più materie.
In questo spazio, in particolare, si parla di ingresso, soggiorno e circolazione dei cittadini degli stati terzi.
Lo Jus Migrandi, quindi, non è una materia che disciplina la libera circolazione all’interno dell’UE dei
cittadini europei, bensì riguarda invece tutte le regole di ingresso, soggiorno e circolazione dei cittadini non
europei e, pertanto, cittadini di stati non membri dell’UE (stati terzi). A questi cittadini si applica lo Jus
Migrandi.
Gli ambiti d’azione dello Jus Migrandi sono Ambiti di azione (artt. 77-79 TFUE)
descritti dagli art. 77-78 TFUE. Inoltre, esiste una • Controllo delle frontiere
dimensione esterna della politica immigratoria • Concessione della protezione internazionale
che, però, non è disciplinata dagli articoli 77-79 • Disciplina dell’immigrazione regolare
TFUE, o per lo meno c’è solamente un cenno. • Disciplina dell’immigrazione illegale
Strumenti normativi
• Atti di diritto derivato
Aggiornamento norme vigenti o codificazione di nuove e dettagliate (ma no efficacia diretta)
• Azioni sul piano internazionale: Es., accordi, dialogo
Con riguardo alla normativa non primaria e applicabile allo Jus Migrandi dell’UE dobbiamo fare riferimento
agli atti di diritto derivato, ovvero atti inizialmente approvati e continuamente aggiornati, ma anche di atti
che introducono delle regole nuove, perché è necessario disciplinare il fenomeno migratorio, introducendo
un nuovo tipo di normativa. Per il tipo di competenze dell’UE non si tratta quasi mai di norme che sono
provviste di efficacia diretta, nel senso che sono norme principalmente indirizzate agli Stati membri e quindi
non sono, nella stragrande maggioranza dei casi, suscettibili all'applicazione di tipo orizzontale tra individui.
Un altro aspetto basilare della politica migratoria dell’UE, dal trattato di Lisbona, questa è disciplinata
attraverso la procedura legislativa ordinaria, quindi consiglio e Parlamento adottano insieme gli atti.
In questa disciplina è presente un'unica eccezione, descritta dall’art 78 (3) TFUE, che riguarda la possibilità
che, a fronte di un afflusso improvviso di cittadini degli stati terzi dentro l’UE, il consiglio possa assumere
delle misure di emergenza secondo una procedura legislativa speciale, quindi senza il concorso del
Parlamento europeo come decisore, ma con la partecipazione del Parlamento europeo nella fase di
adozione dell'atto. La decisione ultima resta, quindi, quella del consiglio.
Inoltre, esiste un'importante convenzione internazionale, approvata nel dopoguerra e modificata poco
prima degli anni 70, che è la convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, convenzione, conclusa sotto
l'ombrello dell'organizzazione delle Nazioni unite, che disciplina la protezione internazionale a livello
internazionale, dunque anche con riguardo all' ambito territoriale a cui fa riferimento l'unione europea.
L’art 78 (1) TFUE fa riferimento alla convenzione in questione come vincolo di cui tener conto nel legiferare
lo Jus Migrandi, perché si deve tener conto di quelli che sono i vincoli internazionali che la convenzione
pone, con riguardo la concessione della protezione internazionale, a coloro che scappano da un luogo e
possono definirsi rifugiati. La convenzione è del 1951, ma nel 1967 venne stipulato un protocollo aggiuntivo
che la va ad integrare.
A questa convenzione se ne aggiungono altre di ambito ONU, perché il panorama internazionale delle
convenzioni in materia di diritti umani e di concessione della protezione internazionale è ampio e articolato.
L’UE non può prescindere dal rispetto del
diritto internazionale e pertanto deve tener
conto anche di queste altre convenzioni.
Tra gli obiettivi contenuti nell’art 77, comma 1, TFUE, in particolare alle lettere a, b, c.
L'obiettivo di cui alla lettera a afferma di garantire l'assenza di qualsiasi controllo sulle persone a
prescindere dalla nazionalità quindi anche i cittadini stati terzi all'atto dell’attraversamento delle frontiere
interne. Una volta che il cittadino di uno stato terzo entra nella frontiera dell’UE, poi può circolare
liberamente, a prescindere dalla nazionalità, senza qualsiasi controllo.
Nel momento in cui un cittadino di uno stato terzo entra nel territorio dell'area Schengen, che in buona
parte corrisponde al territorio dell’UE, deve essere effettuata una forma di controllo e l'intangibilità delle
frontiere deve essere garantita. Se non avviene questo passaggio non ci può essere quell’allargamento, in
termini di circolazione dei cittadini dello Stato terzo regolarmente entrato in tutto il territorio dell'area
Schengen. Pertanto, l’obbiettivo b è funzionale alla realizzazione dell’obbiettivo a.
Lo stesso si può dire per l'obiettivo c, per il fatto che questo tipo di obiettivo si propone di creare uno
strumento per gestire le frontiere esterne. Nel momento in cui si devono garantire controlli sulle persone,
la creazione di un sistema unico fa sì che i controlli e tutte le frontiere dell'unione possono essere gestite in
maniera del tutto uniforme per fa sì che si realizzi l’obbiettivo della lettera a, ovvero quello di garantire la
libera circolazione nel momento in cui i cittadini dello Stato terzo entrano nel territorio dell'unione e le
varie frontiere interne non presentano più dei limiti territoriali di controllo, come invece era in passato.
Obiettivi a), b) e c) Armonizzazione delle modalità di controllo praticate dagli Stati membri in ingresso
nell’UE e delle condizioni che devono essere possedute per l’ingresso.
Per raggiungere questi tre obiettivi si cerca di raggiungere l'armonizzazione, quindi, la tendenziale
uniforme, senza raggiungere la perfetta uniformità in quanto lo Jus Migrandi è una competenza
concorrente dell’UE, e pertanto gli Stati restano in una certa misura di legiferare.
Armonizzazione delle modalità di controllo praticate dagli Stati membri ingresso: questo riguarda
l'intangibilità delle frontiere, ovvero il fatto che per entrare bisogna ricevere una forma di controllo da
parte delle autorità doganali e sulla persona attraverso delle modalità, indicate alle autorità doganali
stesse.
Inoltre, quest’armonizzazione comporta l'allineamento delle condizioni che devono essere possedute per
l'ingresso. Quindi un cittadino di uno Stato terzo non è che deve soggiacere a condizioni diverse, a seconda
che entri in un punto italiano, francese, finlandese o di altro stato. Le condizioni di ingresso devono essere
tendenzialmente uniformi.
Atto principe: Regolamento 2016/399 ( codecisione) sul «codice frontiere Schengen» (cd. «CFS»)
Misure collegate – regolamenti relativi a:
(a) Paesi giungendo dai quali è necessario il visto d’ingresso nell’area Schengen e (b) armonizzazione dei
visti («codice dei visti» europeo)
L’atto principale è il regolamento 2016/399, ovvero il codice frontiere Schengen, detto anche CFS.
Un regolamento che riunisce in un codice l’armonizzazione di cui abbiamo parlato. Si tratta di un
regolamento approvato in codecisione, e quindi con procedura legislativa ordinaria (competenza sia del
consiglio e del Parlamento della nell’approvare l'atto su proposta della commissione).
Lo Jus Migrandi, però, con particolare riguardo al controllo delle frontiere, non si risolve ed esaurisce il
codice frontiere Schengen, bensì ci sono alcuni atti collegati che sono necessari a far sì che il codice
frontiere Schengen, con ciò che prevede in termini di gestione delle frontiere esterne dell'unione, possa
funzionare ugualmente. E pertanto, ci sono regolamenti in cui si indicano i paesi terzi dai quali è necessario
provenire per entrare nell’area Schengen muniti di visto oppure no. Questo a seguito di accordi specifici
che ha fatto l'unione europea per cui in taluni casi non è necessario possedere il visto per entrare in area
Schengen.
Misure tese ad allineare ad avvicinare il più possibile le modalità di rilascio dei visti per l'ingresso nell’area
Schengen in quanto i visti non vengono rilasciati dall’UE, bensì dagli Stati membri, dunque diverse autorità
nazionali, le quali se si armonizzano o si allineano daranno vita ad un uniformità.
(b) creazione del Sistema Integrato Schengen (SIS - database per i controlli di frontiera)
(c) creazione della guardia di frontiera e costiera europea «FRONTEX» (coordina l’azione degli Stati membri)
e disciplina delle operazioni condotte sotto il suo coordinamento
(d) creazione di EUROSUR (scambio di informazioni)
Altri atti hanno regolato la creazione del sistema integrato Schengen: il SIS, un database dei controlli di
frontiera, che contiene le informazioni relative alle persone che hanno commesso reati e che sono
ricercate.
Quindi, rientrare nelle ricerche all'interno del sistema di integrazione integrato Schengen non è certamente
positivo per la per la persona che sta ricevendo il controllo. Potrebbe essere arrestata.
Un altro atto estremamente importante è l'atto che crea Frontex, cioè l'agenzia competente a gestire la
Guardia di frontiera e costiera europea, che spesso si sente nominare al telegiornale quando si tratta di dar
conto di difficili operazioni, come le operazioni di salvataggio in mare.
Frontex è in grado di coordinare le autorità di soccorso e controllo delle frontiere statali che sono impegnati
di volta in volta nelle operazioni. Quindi, ha sostanzialmente una funzione di coordinamento, la quale
comporta anche la possibilità di dare indicazioni.
Un altro atto importante è la creazione di EUROSUR, che trova applicazione nella gestione delle frontiere
marittime, una sorta di forma di scambio di informazioni, utili per meglio sorvegliare le frontiere
dell'unione.
Con riguardo all’ingresso, la circolazione e soggiorno dei cittadini degli stati terzi nell’area Schengen, il
riferimento principale è costituito dal regolamento che approva il codice frontiere Schengen, il CFS.
Come abbiamo visto, la tendenza è quella di fissare condizioni uniformi nell’area, sia di ingresso,
circolazione e soggiorno, in capo ai cittadini degli stati terzi che intendono entrare nell’area Schengen e poi
circolare al suo interno liberamente. Questo i cittadini dell’UE già lo fanno senza necessità di alcun tipo di
visto.
Esiste la possibilità che un cittadino di uno stato terzo abbia un familiare cittadino dell’UE. In questo caso il
cittadino dello Stato terzo, nel momento in cui entra nell'unione, non ha bisogno del visto perché esercita il
ricongiungimento familiare con il cittadino dell'unione, e pertanto è al di fuori della disciplina dettata dal
codice frontiere Schengen.
In ogni caso la disciplina dettata non reca alcun pregiudizio alla possibilità che venga chiesto protezione
internazionale, perché le ragioni umanitarie, che portano alla protezione internazionale, “sfuggono” dire
alla disciplina che normalmente viene fissata per l'ingresso, circolazione e soggiorno dei cittadini degli stati
terzi.
Art. 6 CFS: possesso di 5 (e non oltre) condizioni di ingresso nell’Area Schengen, cioè …
1. documento di viaggio (es., biglietto)
2. visto per soggiorni di breve durata, se non assorbito da altri titoli [es. permesso di soggiorno]
3. autosufficienza economica (minimo richiesto)
4. nessuna segnalazione su SIS
5. l’ingresso non configura una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica e le
relazioni internazionali degli Stati membri
Con riguardo alla regola generale, l’art 6 CFS indica il possesso di 5 requisiti condizioni per poter entrare
nell'area Schengen stessa. Solo ed esclusivamente 5 requisiti, in quanto non è possibile che gli Stati membri
aggiungano autonomamente altre condizioni per poter entrare nell’area Schengen, questo perché esiste un
regolamento dell'unione e le condizioni fissate devono essere uguali in tutti gli Stati.
La 4 e la 5 condizione sono molto simili perché se una persona è segnalata su SIS vuol dire che costituisce
un pericolo per la sicurezza interna e gli Stati membri dell'area Schengen. L’unica differenza sta nel fatto
che SIS non segnala le persone che possono costituire un pericolo per la salute pubblica.
Qualora manchino queste condizioni o anche una di queste condizioni lo straniero deve essere respinto.
Per poter respingere uno straniero cittadino di Stato terzo è necessario emanare un provvedimento da
parte dell'autorità nazionale in ossequio al diritto dell'unione e al suo Jus Migrandi.
Ciò deve essere un provvedimento individuale in quanto non possono essere presi un gruppo di persone ed
espulse quanto tali, perché si tratterebbe di espulsione collettiva, vietata, non solo dal diritto dell'UE, ma
anche dal diritto internazionale.
Poiché si tratta di un provvedimento individuale questo deve essere motivato, quindi deve spiegare
esattamente il motivo per cui si procede al respingimento.
Inoltre, poiché si tratta di provvedimenti diretti alla persona, qualora l'atto presenti degli elementi di
legittimità è persino impugnabile. Ovvero, il cittadino dello stato terzo respinto può chiedere al giudice
nazionale dello Stato che ha emanato il provvedimento di verificare la legittimità di quanto accaduto.
L'assenza di tutte o una delle condizioni fissate dal codice frontiere Schengen non va ad influenzare la
possibilità che la persona possa chiedere protezione internazionale per motivi umanitari. C'è, però, una
deroga, che consiste nella possibilità che ha uno Stato membro di ovviare a uno o più delle 5 condizioni,
quindi a non considerarle tutte 5 parallelamente sussistenti, qualora lo Stato membro stesso si assume la
responsabilità di far entrare la persona.
Ciò può accadere per transito, cioè uno Stato membro può fare entrare un cittadino di uno stato terzo, non
in possesso delle 5 condizioni, in modo che questo possa transitare altrove, per motivi umanitari e per
possibilità che il cittadino di Stato terzo arrivi alla frontiera sprovvisto di visto ma lo richieda, e sussistano le
condizioni per poterlo tenere.
Ci sono, inoltre, altre due possibilità affinché si possa giungere a respingimento, ovvero la prima possibilità
è che lo straniero venga trovato sprovvisto delle 5 condizioni previste in prossimità della frontiera, perché si
presume che ci sia stato un illegittimo attraversamento della frontiera. La seconda condizione è che lo
straniero si è entrato in area Schengen in possesso delle 5 condizioni, ma poi ne perde alcune (come lo
scadere del visto o la perdita del titolo di viaggio).
Il codice dei visti dell’UE, regolamento 2018/1806, indica le modalità di rilascio dei visti e i tipi di visti
previsti, ma soprattutto indica i paesi dai quali è necessario giungere provvisti di visto o no, questo si ha per
la presenza di due elenchi diversi allegati al regolamento. In taluni casi, un cittadino di uno stato terzo può
entrare in area Schengen in quanto sussiste un accordo tra l’UE e lo stato terzo in questione, per cui si è
concordato che non si rende necessaria la concessione del visto. Laddove, invece, è previsto il visto si dà
per presupposto che gli stati lascino uscire abbastanza liberamente i loro cittadini.
Per quanto riguarda i visti di breve durata, di massimo 90 giorni, ci sono tre tipi di visto.
Il visto uniforme, di tipo classico, che serve sia per entrare nell’area Schengen sia per transitare.
Il visto con validità territoriale limitata è un visto che viene concesso al cittadino dello Stato terzo affinché
possa entrare, circolare e soggiornare soltanto in alcuni stati, indicati sul visto stesso.
Infine, il visto di transito aeroportuale riguarda tutte le ipotesi in cui un cittadino di uno stato terzo entra in
zona Schengen in aeroporto (zona internazionale) in vista di cambiare volo per andare in una persa un'altra
destinazione.
Chi rilascia i visti? Sono rilasciati dalle autorità (rappresentanze diplomatiche e consolari) dello Stato
membro di destinazione o di primo ingresso per transito
I visti sono rilasciati dalle autorità nazionali, degli Stati membri, e sono sempre le autorità diplomatiche
consolari, perché il visto si richiede al momento della partenza e, pertanto, una determinata persona deve
recarsi presso la rappresentanza diplomatica consolare dello Stato in cui intende andare o transitare come
prima destinazione in area Schengen e richiedere il visto.
Esiste l'eventualità che lo stato che dovrebbe rilasciare il visto non ha una rappresentanza diplomatica e
consolare nel paese di partenza del cittadino dello Stato terzo. Questo è piuttosto comune soprattutto per
gli Stati più piccoli che non possono permettersi un’ampia rete di rappresentanza diplomatica e consolare.
In questo caso è possibile che le rappresentanze diplomatiche e consolari di altri Stati membri dell'area
Schengen possano rilasciare il visto, a seguito di un accordo tra lo stato senza rappresentanza diplomatica e
consolare in loco e uno Stato dell’area Schengen con, invece, rappresentanza diplomatica e consolare in
loco.
Questo accordo di cooperazione consente la possibilità di ottenere un visto anche se non c'è l'autorità
nazionale presente dello Stato interessato che possa rilasciare il visto.
L'organizzazione del sistema di rilascio di visti, come anche le procedure, sono tendenzialmente
armonizzate, quindi sono molto simili per tutti gli stati dell’area Schengen.
I controlli sono svolti dalle autorità di frontiera sia terrestre che marittima, e riguardano soltanto le
frontiere esterne dell’area Schengen e non quelle interne.
Per individuare le frontiere dell’area Schengen basta consultare una cartina dell’Area Schengen e guardare i
confini considerando anche gli aeroporti che possano costituire delle forme di primo ingresso.
I controlli devono essere svolti in maniera assolutamente accurata ed efficace. Si tratta di un passaggio
particolarmente importante, in quanto, nel momento in cui il cittadino di uno stato terzo entra nell’UE, poi
può circolare liberamente in tutti gli stati membri dell’area Schengen.
Proprio per questo motivo che, all'ingresso dell’UE, Romania e Bulgaria non hanno aderito all’area
Schengen perché non sono in grado di garantire l'efficacia dei loro controlli anche a nome di tutti gli altri
stati dell'area.
La conduzione di questi controlli deve avvenire nel rispetto dei diritti fondamentali della persona
I controlli effettuati dalle guardie di frontiera nazionali devono essere coordinati ( FRONTEX – materiale
di supporto allo studio delle pp. 35-40)
Il regolamento in questione prevede i principi da seguire nella sorveglianza marittima, le regole applicabili
alle unità navali coinvolte (ufficiali, militari) che gli Stati membri pongono a disposizione per lo svolgimento
delle operazioni di sorveglianza delle frontiere (nave della guardia costiera), che, in quanto statali, sono
soggette a delle regole specifiche in termini di condotta e requisiti.
E infine, gli obblighi solo in materia di soccorso, e non di intercettazione, perché il soccorso internazionale,
in mare, è oggetto di diverse convenzioni internazionali, pertanto, ci sono gli obblighi ben precisi da
rispettare.
Nel momento in cui la persona viene intercettata o soccorso deve essere sbarcata in sicurezza, ovvero in un
luogo in cui non corra il rischio di aggravare la propria salute o addirittura la propria vita.
È uno sbarco sicuro lo sbarco nello Stato membro costiero, se l’intercettazione è avvenuta in prossimità
delle proprie coste, oppure lo stato dal quale il natante è partito con l’ipotesi, in questo caso, di
intercettazione con respingimento ma sempre verificando la sicurezza dello sbarco, se non è sicuro non sa
non può essere effettuata.
In ogni caso è fatto divieto di refoulement (respingimento) ma fa riferimento alla specifica ipotesi prevista
dal diritto internazionale per cui una persona non può essere rimandata nel paese da cui arriva, se esiste la
possibilità che subisca un pregiudizio per la propria vita, la propria incolumità o la propria salute.
Ad esempio, nel caso in cui una persona, a seguito di una fuga, tornando al proprio paese di origine, rischia
la condanna a morte. Il divieto, inoltre, riguarda anche la possibilità in cui la persona possa essere respinta
in una paese che successivamente la respingerà al paese di origine dove subisca il rischio alla propria
incolumità.
Il primo caso viene definito refoulement diretto, mentre il secondo refoulement indiretto.
Non soltanto, non si può respingere in un luogo pericoloso la persona intercettata, ma deve essere sempre
data la possibilità alla persona di invocare la protezione internazionale. Se sussistono determinati requisiti,
la persona può rimanere a titolo di protezione umanitari. Inoltre, una volta avvenuto lo sbarco e verificato
se la persona è beneficiaria di protezione internazionale, devono essere attuati alcuni accorgimenti
riguardanti il rispetto di esigenze piuttosto specifiche. Deve essere svolto un colloquio personale con la
persona, al fine di capire da dove viene e perché scappa. Poi devono esserci dei benefici una volta che la
persona atterra, quindi, visite sanitarie, assistenza di un traduttore se la persona non conosce la lingua.
L’assenza di controlli interni: Sono possibili i controlli di polizia interni che non mascherino, nei fatti, dei
controlli di frontiera (aboliti dentro l’Area Schengen!)
Possibile ripristino temporaneo dei controlli di frontiera interni come misura eccezionale, in caso di
pericolo per l’ordine pubblico o la sicurezza di uno Stato membro
Più modalità:
1. Può disporlo uno Stato membro (o più), coinvolgendo però gli altri Stati membri e la Commissione
oppure
2. Raccomandazione del Consiglio in caso di carenze nei sistemi nazionali di controllo delle frontiere
esterne
All’interno dell’area Schengen tutti i controlli sono aboliti, pertanto, il cittadino dello Stato terzo può
circolare liberamente, senza pregiudizio.
Ciò che hanno tentato di attuare gli Stati membri fu di eseguire dei controlli di polizia normalissimi sul piano
interno, volendo, con ciò, in realtà, conseguire degli obiettivi che dovrebbero essere propri dei controlli
doganali e di frontiera.
In area Schengen, però, non è possibile svolgere internamente dei controlli che siano simili o che
conseguano obbiettivi che, invece, sono propri della guardia di frontiera.
I controlli di polizia riguardano la pubblica sicurezza interna mentre i controlli fatti dalla guardia di frontiera
riguardano l'ingresso in area Schengen, si tratta, dunque, di due competenze completamente diverse.
È, però, possibile che temporaneamente siano ripristinati i controlli interni. Ciò si tratta, però, di una misura
di natura eccezionale in caso in cui si configuri un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza di uno stato
membro. Quindi, qualora si configurino queste ipotesi, di cui devono essere ben spiegati i motivi, è
possibile che i controlli interni possono essere ristabiliti. Pertanto, per entrare in uno stato membro è
possibile che si subisca un secondo controllo di frontiera
Esiste anche una seconda possibilità qualora si registri su uno o su più stati una carenza o
malfunzionamento dei sistemi nazionali di controllo delle frontiere esterne, la cosiddetta fiducia viene
minata e pertanto il consiglio, con una raccomandazione , può appunto indicare che sia necessario
ristabilire delle forme di controllo delle frontiere interne in quanto c'è una frontiera esterna che è
particolarmente friabile, attraversabile con eccessiva facilità e quindi non in grado di garantire il controllo
delle 5 condizioni previste dal codice frontiere.
Quando si parla di asilo si fa riferimento al fatto che esistono delle regole comuni, che, però, non
esauriscono tutti gli aspetti della materia.
Uno dei principi che ispira il sistema europeo comune di asilo è la condivisione e la ripartizione delle
responsabilità tra gli Stati membri e questo perché, geograficamente parlando, l’UE ha degli stati interni
degli stati che invece sono posti sul bordo, ed è chiaro che è su questi ultimi che si verifica il fenomeno
migratorio.
Uno stato come il Belgio ha problemi migratori di una certa importanza ma non quelli relativi all’essere un
paese di primo arrivo.
Un altro caposaldo del sistema europeo comune di asilo è il forte aggancio alla convenzione di Ginevra del
1951 sui rifugiati, convenzione internazionale stipulata su collegi dell’organizzazione delle Nazioni unite in
tema di rifugiati, che, essendo arrivata subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, è stata in parte
integrata da un protocollo (atto aggiuntivo) del 1967, da allora è rimasta immutata.
La convenzione offre riferimento, dal punto di vista internazionalistico, relativo alla tutela del migrante che
si sposta perché si qualifica come rifugiato e pertanto l'unione non può non prendere in considerazione
questa convenzione nell’esercitare questa competenza in materia di protezione internazionale
Tra l'altro la convenzione e il suo protocollo sono espressamente indicate all’art 78 par. 1 TFUE a
dimostrazione che il diritto migratorio dell'unione si deve adeguare a quanto previsto dalla convenzione.
Le direttive attuano quanto previsto dalla convenzione di Ginevra (che ne costituisce, dunque, il riferimento
interpretativo).
• Regolamento 604/2013 (codecisione) sulla competenza a esaminare la domanda di protezione
internazionale (cd. Dublino III)
• Regolamento 603/2013 (codecisione) su Eurodac – applicazione Dublino III
• Regolamento 439/2010 (codecisione) sulla creazione dell’Ufficio europeo di sostegno all’asilo (EASO)
funzioni attuative e di coordinamento
• Regolamento 516/2014 (codecisione) istitutivo del Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (FAMI) –
finanziamento progetti
Tra le principali fonti riguardanti lo status di rifugiato emanate dall’UE abbiamo la direttiva 2001/95
adottata in codecisione e quindi procedura legislativa ordinaria dove Parlamento e consiglio decidono sullo
stesso testo.
La direttiva 2013/32, anch’essa in codecisione, riguarda le procedure comuni applicabili in materia di
concessione della protezione internazionale e pertanto si chiama direttiva procedure.
Il fatto che si usino questi termini molto brevi è piuttosto comune quando più direttive riguardano la stessa
materia ma regolano aspetti separati e ben circoscritti. La direttiva qualifica si occupa di definire quando si
può ottenere la protezione internazionale, la direttiva procedure con quali procedure si concede la
protezione internazionale.
Il regolamento 604/2013 (cd. Dublino III), anch’esso in codecisione, approvato sulla competenza esaminare
la domanda di protezione internazionale, fissa le regole in base alle quali stabilire a quale paese può essere
richiesta la protezione internazionale
Il regolamento 603/2013 istituisce Eurodac va applicare i regolamenti precedenti. Si tratta di un database
che rileva le impronte digitali e serve a fare i controlli relativi alle persone che non sono entrate
regolarmente nel territorio dell’area Schengen.
Il regolamento 439/2010, sempre in codecisione, sulla creazione dell'ufficio europeo di sostegno all'asilo,
un'agenzia dell'unione con funzioni attuative e fornisce sostegno a Stati membri in materia
Infine, il regolamento 516/2014, anch’esso in codecisione, che disciplina l’erogazione di finanziamenti tesi a
conseguire l'obiettivo dell'integrazione all'interno dell’UE area Schengen.
3 forme di protezione La protezione internazionale è data ad una persona che lascia uno
(art. 78, par. 2, TFUE) scenario di crisi per entrare in UE, area Schengen. Una persona lascia
1. Protezione come rifugiato proprio paese per diversi motivi ed è proprio per questo motivo che
2. Protezione sussidiaria a determinate persone possono essere date protezione diverse.
3. Protezione temporanea queste tre forme di protezione internazionale hanno un
cambiano presupposti riconoscimento di rango primario perché sono espressamente
e intensità della protezione indicate all’art. 78, par 2, TFUE
Non possono essere classificati come rifugiati i cittadini dell’UE, per ovvi motivi. Anche se in casi eccezionali
è previsto che un cittadino dell’UE scappi dal suo stato ed entri in un altro stato membro chiedendo
protezione internazionale come rifugiato.
In questo caso si tratta, però, di ipotesi che riguarda la violazione dei diritti fondamentali, quindi, la
violazione dell’art 6 TUE e dell’art 7 TUE, che prevede la procedura secondo cui lo stato, che viola
persistentemente i valori su cui si fonda l'unione, tra cui i diritti fondamentali, può essere sospeso dalle
votazioni in seno agli organi. Alcuni problemi fi questo tipo si sono verificati in Polonia e Ungheria in quanto
stavano mettendo in discussione lo stato di diritto, inteso come stato nel quale le regole sono predefinite e
il potere sono separati e realizzando delle interferenze che hanno creato un contenzioso con l'unione.
Solo in questa condizione è possibile concedere asilo ai cittadini dell’UE che scappano verso altri stati
membri.
Lo status è riconosciuto
• Per rischio di persecuzione in base a vari ground ( si riprende quanto affermato dalla convenzione di
Ginevra)
Lo status di rifugiato si riconosce per il rischio che una persona corre, esiste la possibilità che l'individuo
subisca una persecuzione basata su vari motivi.
I ground di discriminazione possono essere diversi: religiosi, politichi, legati all’orientamento sessuale, al
genere. Perciò sono diversi i motivi per cui una persona, rimanendo nel proprio stato di appartenenza o in
un altro stato in cui è legalmente residente, può subire delle forme di persecuzione nei propri confronti.
• alto dettaglio delle norme europee minima discrezionalità degli Stati membri (la concessione dello
status è un atto declaratorio)
La normativa dell’UE in materia di concessione dello status di rifugiato attua ciò che la convenzione di
Ginevra ha deciso, per cui non si può “uscire” da ciò che la convenzione ha affermato. Perciò, c’è un basso
livello di discrezione degli stati membri nella materia della concessione dello stato di rifugiato.
lo status dura finché permangono le condizioni della concessione, ovvero:
almeno rischio fondato di subire persecuzioni (orizzontale e verticale), prima o dopo lo spostamento
lo stato di origine o dimora non è in grado di offrire protezione all’individuo
Naturalmente, lo status di rifugiato non è uno status permanente ma dura finché durano le condizioni che
ne hanno costituito il presupposto e, quindi, nel caso venissero meno queste condizioni viene meno anche
lo status di rifugiato. Tra queste condizioni troviamo il rischio di subire persecuzioni, sia orizzontali che
verticali, prima o dopo lo spostamento. Si richiede che la persona corre il rischio di essere perseguitato, o
già lo sia stata, nel suo stato, sia ad opera di privati (persecuzione orizzontale) e sia ad opera dello Stato
(persecuzione verticale). Lo stato di origine o dimora della persona che subisce forme di persecuzione non
è in grado di offrire protezione all' individuo.
Forme di persecuzione
La persecuzione si concreta in atti specifici che vengono compiuti su una persona e si intendono:
• atti che per natura o frequenza possono rappresentare una violazione grave dei diritti fondamentali
(diritto alla vita, divieto di tortura, schiavitù e principio di legalità, quindi la privazione all’individuo di
diritti che attengono alla possibilità di avere giustizia in maniera equa)
• sul punto, vedi art. 9 direttiva qualifiche e giurisprudenza della Corte di giustizia sugli atti di
persecuzione
Il diritto dell'unione prevede, inoltre, un'altra ipotesi, non in linea con la convenzione di Ginevra:
• Pericolosità dell’individuo per lo Stato di destinazione (che comunque mantiene la tutela minima
apprestata dalla convenzione di Ginevra refoulement)
Si prende in considerazione Ipotesi che l'individuo, una volta giunto nello Stato membro, ponga problemi di
pericolosità sociale. Quest’ipotesi è molto simile alla situazione di indegnità, ma è diversa in quanto prende
in considerazione l'ipotesi che l'individuo abbia già un legame con lo stato di destinazione o che siano
accaduti dei fatti pregressi che hanno visto l'individuo allontanarsi per poi tornare e chiedere la protezione
internazionale.
Un grave danno è un grave pregiudizio alla vita o all'incolumità personale, cui c’è un forte aggancio al diritto
internazionale dei diritti umani, quindi alle convezioni internazionali e alla giurisprudenza delle corti che
sono poste a tutela dei diritti umani, come la corte europea dei diritti dell’uomo.
Tendenzialmente, sono tre le ipotesi in cui trova espressione il grave danno:
1. Condanna o esecuzione della pena di morte
2. Tortura o trattamento analogo
3. Minaccia alla vita in situazioni di conflitto armato
Per esempio, nella causa di indegnità, viene aggiunta l'ipotesi della commissione di reati gravi senza
limitazione geografica, in quanto, nei casi dei rifugiati, si pensa che questi reati siano stati commessi nello
stato in cui si intende chiedere la protezione internazionale, mentre per avere la protezione sussidiaria,
anche se non si e commesso alcun tipo di reato nello stato in cui si richiede la protezione, viene comunque
sporcata la fedina penale.
Inoltre, non c’è protezione sussidiaria se lo straniero fugge dalla giustizia del suo Paese, per non consentire
il rispetto delle regole democratiche.
A differenza della protezione sussidiaria, la protezione temporanea è cumulabile con le altre forme di
protezione internazionale, quindi un individuo può essere qualificato come rifugiato e titolare di protezione
temporanea in quanto parte di un gruppo che si è sfollato.
Lo status di titolare di protezione temporanea è europeo, cioè vale in tutti gli Stati membri dell'unione
europea. non c'è prassi su questo tipo di protezione, nel senso che per poter concedere questa protezione
e necessaria l'emanazione di una decisione del consiglio che non è mai stata attuata.
La direttiva 2001/55, che interviene in materia di sfollati, prevede che qualora si verifichi l'ipotesi di un
passaggio di un grande numero di persone, si deve prevedere la distribuzione, per una questione di equa
solidarietà e ripartizione di responsabilità tra gli Stati dell'UE Area Schengen. Questa distribuzione non può
avvenire in termini numerici, ma deve seguire dei criteri che sono sia individuali che statali.
Per individuali abbiamo, ad esempio, il rispetto dei rapporti familiari degli sfollati, mentre per statali si
intende la capacità effettiva di ciascuno Stato membro di poter accogliere un gruppo di sfollati.
1. Non refoulement, ovvero il diritto al non essere rimpatriati in uno stato in cui c’è il rischio di subire
persecuzioni e mettere a rischio la propria incolumità personale.
2. Diritto di soggiorno (per se stessi e per i propri familiari) permesso di soggiorno. Lo stato può
concedere un permesso di soggiorno ai familiari che esercitano il diritto di rimanere nello stato.
3. Diritti «in più»: es., unità del nucleo familiare, accesso al lavoro, istruzione, circolazione nello Stato
ospitante – su base paritaria nazionale (efficacia diretta) o con gli altri stranieri
Tra i diritti in più c’è l’unità del nucleo familiare, che assicura di non essere separati dalla propria famiglia.
Inoltre, c’è la possibilità per i richiedenti di protezione internazionale di poter accedere al mercato del
lavoro e poter ottenere un occupazione. Il diritto di istruzione, soprattutto per i minori che necessitano di
un ulteriore educazione e, infine, la possibilità di poter circolare nello stato ospitante, la persona non deve
rimanere ferma nel punto in cui è stata collocata, ma può circolare liberamente, come gli altri cittadini.
Questo è concesso nell’idea che il trattamento del richiedente di protezione internazionale debba avvenire
su base paritaria con i cittadini dello stato che lo ospita o dagli stranieri già presenti. Questo tipo di
indicazione, proveniente dalla normativa derivata, è una disposizione avente efficacia diretta, quindi
l’individuo può invocare davanti al giudice un provvedimento che lo riguarda e che lo veda trattato
diversamente dai cittadini dello stato ospitante o dagli altri stranieri già presenti.
1. Riguarda coloro che hanno richiesto protezione, senza che sia ancora intervenuta una decisione
definitiva
2. Garantisce il suo accesso effettivo alla protezione
3. I richiedenti possono restare regolarmente nello Stato ospitante che esamina la domanda di protezione
4. In caso di esito negativo, il soggiorno dura fino alla scadenza del termine per ricorrere o fino all’esito
del ricorso
5. Nel caso di più richieste di protezione ritenute inammissibili, può venir meno il soggiorno
6. È comunque fatto divieto di refoulement
Il fatto di prevedere che lo status di richiedente sia uno status particolare e ben disciplinato costituisce la
garanzia per la persona di avere, se ha i requisiti, l’accesso effettivo alla protezione internazionale.
Nel periodo tra la domanda e la decisione sulla domanda, il richiedente può rimanere regolarmente nello
stato che lo sta ospitando e che sta esaminando la domanda di protezione internazionale. La permanenza è
in loco. Nel caso in cui la domanda porti a un esito negativo il soggiorno resta sempre un diritto ma fin tanto
che sia possibile mettere in discussione la domanda di esito negativo. Ovvero, se un richiedente riceve
risposta alla sua domanda in termini di niego della protezione internazionale, poiché gli vanno riconosciuti i
diritti di legalità, e pertanto la possibilità di mettere in discussione la decisione, la può impugnare,
ricorrendo davanti all’autorità prevista a livello internazionale. Il soggiorno dura finche dura l’esperimento
del ricorso e fino al suo esito che se negativo toglie la possibilità alla persona di beneficiarne.
Quando le richieste di protezione internazionale sono tante e sono tute inammissibili, in quanto non
presentano i presupposti, può venir meno il diritto di soggiorno.
In attesa dell’esito sulla domanda di protezione, al richiedente spettano dei diritti di accoglienza.
In particolare:
• diritto di informazione sui benefici connessi allo status di richiedente. Perciò la persona deve essere
informata dei propri diritti e le sue prerogative.
• diritto alla documentazione attestante lo status, in quanto ciò costituisce il documento d’identità o
l’integrazione del documento d’identità che la persona già possiede e che gli permette di circolare
liberamente nello stato che lo sta ospitando.
• residenza e circolazione nello Stato ospitante (o sua porzione). A volte è permesso lo spostamento
all’interno di una porzione dello stato, come le regioni, se le condizioni specifiche lo richiedono.
• tutela del nucleo familiare presente e istruzione per i minori (no ricongiungimento, che consegue
all’esito della domanda). Con “presente” si fa riferimento all’impossibilità del richiedente di asilo di
chiedere di farsi raggiungere dalla propria famiglia. Non è possibile il ricongiungimento con familiari
all’esterno del paese che lo sta ospitando.
• Accesso al mercato del lavoro. Lo stato ospitante deve garantire le condizioni materiali dell’accoglienza.
Deve garantire un sostentamento minimo dignitoso alla persona: vitto, alloggio, spese giornaliere.
Anche se non sempre viene garantito a tutti.
Può essere previsto il pagamento di un’indennità giornaliera il cui ammontare, deciso a livello nazionale e
non europeo, deve garantire una vita dignitosa per se e la famiglia. Questo tipo di trattamento non viene,
ovviamente, concesso a chi ha risorse sufficienti. Può essere ridotto nel caso in cui c’è un temporaneo
esaurimento delle capacità di alloggio da parte dello stato membro.
Riduzione e revoca
Riduzione
• in via eccezionale, in caso di temporaneo esaurimento delle capacità di alloggio
• sicuramente in caso di mancato rispetto delle condizioni poste per il riconoscimento della protezione
Revoca
• «abuso» (es., occultamento delle risorse che, se emerse, non darebbero diritto ai benefici)
Tali misure sono adottate con decisione individuale, motivata e rispettosa di esigenze specifiche (ed è
anche impugnabile!)
C’è una clausola relativa alla condotta del richiedente che, se non rispetta le condizioni poste per il
riconoscimento della protezione, nel momento in cui sta aspettando la decisione, possono essere ridotti, o
del tutto revocati, i diritti che gli spettano. La revoca completa della protezione si ha a seguito ad un abuso,
ovvero che il richiedente d’asilo abbia fatto richiesta producendo dei titoli falsi o occultando delle risorse
che, se verificate, non gli avrebbero dato il diritto ai benefici connessi allo status di richiedente.
È abbastanza comune che i richiedenti di asilo siano minori e che non siano accompagnati da familiari.
Lo stato che sta ospitando il minore deve mobilitarsi al fine di potere rintracciare i familiari, anche per
comprendere il motivo per cui non sia stato accompagnato, e se ci siano persone che hanno la
responsabilità in termini familiari.
In attesa della decisione della concessione della protezione internazionale, e dei benefici che essa
comporta, il minore deve essere accudito in maniera particolare. La convenzione di New York del 1984 sui
diritti del fanciullo detta le regole internazionali, riguardanti i diritti e i pochi obblighi dei minori, professa il
principio fondamentale del best interest del minore, ovvero l’interesse preminente dei minori, il cui vuole
che ogni qual volta si assuma una decisione su un minore, il primo criterio da guardare è che venga
realizzato ciò che è di interesse per il minore, e successivamente possono essere prese in considerazione
altri elementi.
Il trattenimento del richiedente
Riguarda l’ipotesi in cui il richiedente protezione sia privato della libertà di circolazione e che, pertanto, sia
costretto a rimanere in un posto. Ciò può avvenire in 2 casi:
• in casi eccezionali e sulla base di una valutazione individuale. Possono esserci diverse cause per cui si
richiede che l’individuo, in attesa di capire se benefici della protezione internazionale, non possa
beneficiare della fondamentale libertà di circolare.
• in assenza della possibilità di assumere misure alternative per conseguire il medesimo fine
I criteri generali sono 3 e vanno applicati in ordine gerarchico, quindi si considera prima il criterio 1, poi il 2
e poi il 3. Il fatto di dover cambiare criterio significa che il criterio precedente non era applicabile.
1. Stato membro idoneo al ricongiungimento familiare ( salvaguardia della famiglia) – con vari
‘sottocriteri’ (p. 112-113)
• attenzione: in caso di minori non accompagnati, va tenuto conto del loro best interest
Se questo criterio non può essere applicabile dato che non c’è un ricongiungimento familiare da effettuare,
si passa al secondo criterio, e così via.
In più, alcuni criteri speciali si applicano al fine di garantire la vita familiare, laddove si deve realizzare un
ricongiungimento, e laddove sussista una dipendenza (economica o di altro tipo come quello assistenziale).
esiste l’ipotesi che, rispetto a familiari legalmente residenti in area Schengen, esiste una forma di
dipendenza:
• del richiedente rispetto ai familiari legalmente residenti
• Dei familiari rispetto al richiedente
• La residenza legale dei familiari determina la competenza dello Stato membro
In questo caso l’elemento della dipendenza deve essere assolutamente valorizzato e detta un criterio di
attribuzione della competenza allo stato dove deve avvenire la riunione familiare, primo, in quanto l’unità
familiare è la ragione dell’esistenza di questo criterio, secondo perché, essendoci già dei familiari
legalmente residenti, lo stato in questione risulta competente a decidere sulla domanda di protezione
internazionale.
La circostanza che esista una competenza europea nella definizione dei tipi di soggiorno legali nell’UE Area
Schengen, non completa tutte le possibilità che la normativa derivata può disciplinare nel senso che ci sono
materie che sfuggono alla competenza europea. Tra queste materie, due sono particolarmente importanti:
restano nella competenza statale i volumi di ingresso, che fa sì che ciascuno stato membro può stabilire il
volume sostenibile di immigrazione di cui può farsi carico, ovvero quanto può essere accogliente.
Inoltre, resta della competenza nazionale la disciplina dell’acquisto della cittadinanza per cui, il diritto
dell’unione, anche a di fronte dell’arrivo dello straniero che permane legalmente per diverso tempo, non
può intervenire nel definire quando possa chiedere la cittadinanza dello stato che lo sta ospitando
Rispetto al soggiornante di lungo periodo, il diritto dell’unione chiede che, per poter acquisire lo status di
soggiornante di lungo periodo:
• Il soggiorno deve durare almeno 5 anni, non per forza senza interruzioni. Sono consentite assenze, ma
non superiori a 6 mesi e in questi 5 anni non deve assentarsi per più di 10 mesi, in quanto il soggiorno
di lungo periodo è basato sulla presenza effettiva sul territorio.
• Rappresenta uno strumento di integrazione sociale in quanto mette la persona alla pari dei cittadini.
• Per poter ottenere questo status è richiesto il possesso di risorse stabili e regolari, sufficienti al
sostentamento, e di assicurazione di malattia (requisiti non ampliabili)
• Possibilità di porre, a livello nazionale, una ‘condizione di integrazione’ (es, lingua e cultura locali) e il
possesso di un alloggio.
È capitato che alcuni stati membri abbiano fissato, come regole per l’ottenimento dello status di
soggiornante di lungo periodo, lo svolgimento di un test o di una prova che rivelasse il grado di
conoscenza della lingua e della cultura dello stato ospitante.
Una volta che lo status di soggiornante di lungo periodo è stato ottenuto il soggiornante ha dei diritti:
• ha diritto al permesso di soggiorno, rinnovabile su sola richiesta
• Può essere sottoposto a misure di integrazione (diverse dalle ‘condizioni di integrazione’) che lasciano
però impregiudicato lo status ottenuto
• La scadenza del permesso di soggiorno non fa venir meno lo status (che, invece, viene meno in casi
specifici)
• Può essere allontanato per ragioni di ordine pubblico
• Ha diritto alla parità di trattamento in molti aspetti della vita quotidiana
• Può circolare e trasferirsi nell’Area Schengen
• Gli Stati membri possono prolungare il periodo (fino a 3 anni) dopo il quale può avvenire il
ricongiungimento familiare. Il ricongiungimento, che di norma può avvenire dopo 1 anno, può essere
prolungato fino a 3 anni
• L’ingresso dei familiari non è consentito per ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità
pubblica
Nell’ipotesi in cui lo straniero, legalmente residente in area Schengen, venga ricongiunto alla propria
famiglia, la Dir 2003/86 individua due tipi di familiari:
1. (familiari più stretti) Coniuge e figli minori non coniugati: devono essere ricongiunti (vedi però l’ipotesi
del matrimonio poligamo e dei figli minori ma con età indicate dalla direttiva – p. 208-209).
Gli ordinamenti giuridici degli stati terzi non sono tutti uguali. Sono previste delle varie forme familiari, tra
cui la poligamia, costituzionalmente legittimo in alcuni stati terzi, che, in area Schengen, genera un
problema di contrasto tra gli ordinamenti giuridici, ciascuno dei quali può non essere disposto a riconoscere
quanto l’altro prevede. Dal momento che all’interno dell’ordinamento giuridico degli stati membri non è
previsto il matrimonio poligamo, quando si tratta di effettuare un ricongiungimento con coloro che, invece,
hanno contratto matrimoni poligami, questo spetta solo alla prima moglie e solo ai figli, minori e non
coniugati, avuti con la prima moglie. In questo caso la normativa è altamente lacunosa perché divieta il
ricongiungimento dalla seconda moglie in poi, mentre diverso è il caso dei figli, in quanto si tratta di legame
di sangue. L’UE esorta gli stati membri a favorire il più possibile il ricongiungimento per non minare il
legame che esiste tra genitori e figli (pp 208-209)
2. Sono considerati familiari gli ascendenti di I grado a carico, figli adulti non coniugati con esigenze di
salute e conviventi stabili: esso possono essere ricongiunti
Diritti dei familiari ricongiunti
Per quanto riguarda la presenza dei familiari ricongiunti, una volta arrivati nello stato ospitante, vengono
loro riconosciuti una serie di diritti.
• Accesso al lavoro e ai vantaggi sociali
• Dopo 5 anni, si ottiene un permesso di soggiorno autonomo, indipendente dai familiari (le cui regole
sono nazionali, dunque subordinabile a ‘verifiche di integrazione’)
La possibilità di circolazione è prevista dall’art. 45, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali: possibilità per
i soggiornanti a titolo legale
L’UE deve, però, legiferare a riguardo e, in tal senso, le norme europee prevedono la circolazione per breve
durata a favore di:
• Stranieri con visto uniforme
• Stranieri non soggetti all’obbligo di visto
• Stranieri con titolo di soggiorno di lunga durata attribuito a livello nazionale
Quanto alla circolazione e al soggiorno di lunga durata, è disciplinata da singole direttive rivolte a specifiche
categorie di lavoratori (no regole generali)
I soggiornanti di lungo periodo beneficiano di tale diritto, anche se a livello nazionale possono essere fissate
delle quote d’ingresso.
Una volta acquisito lo status di lungo periodo nel nuovo Stato, il precedente status è perso. È incluso il
diritto al ricongiungimento familiare.
Le Norme di riferimento a livello di diritto primario vigente: artt. 82-89 TFUE (materiale)
• Trattasi di basi giuridiche atte al contrasto della criminalità che agisce anche sull’immigrazione,
sfruttandola
La Dir. 2008/115 (rimpatri) non esclude/consente la qualificazione del soggiorno irregolare come reato,
purché non ostacoli l’obiettivo della direttiva (il rimpatrio!)
Caso El Didri (focus nel libro)
Tale scelta è nazionale
• sono esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva i cittadini (e loro familiari) di Stati Schengen non
UE (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera)
Sono esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva i cittadini alcune categorie di familiari. Innanzitutto, i
familiari cittadini di stati terzi che sono cittadini dell’UE (fuori dall’area Schengen). Sono esclusi dall’ambito
di applicazione della direttiva rimpatri, quindi coloro che non vanno rimpatriati, i familiari dei cittadini
dell’UE che si siano spostati dentro l’unione. Il presupposto è che il cittadino dell’UE abbia esercitato il
diritto di circolazione, disciplinato dal diritto dell’Unione, e che, successivamente, abbia esercitato il diritto
di ricongiungimento familiare. A quel punto lo straniero, cittadino di stato terzo, che raggiunge il cittadino
dell’unione, suo familiare, lo fa legalmente. Il problema, invece, sorge se il cittadino straniero non si sposta
dal proprio stato membro in quanto, affinché si possa invocare il diritto dell’Unione bisogna spostarsi.
Se non c’è dipendenza tra il cittadino di uno stato terzo e il familiare e non esiste una particolare esigenza di
unità familiare non sussistono i requisiti per poter far trattenere legalmente lo straniero nel territorio
dell’Unione anche se, pur non trovando applicazione nel diritto dell’Unione, nulla esclude che ciascun stato
membro autonomamente decida che, in assenza dell’applicazione del diritto dell’Unione quando non
sussistono forme di dipendenza, il cittadino possa ricongiungersi sulla base, però, di una normativa
nazionale.
Sono, altresì, esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva i cittadini degli stati Area Schengen non UE
Ovvero Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera, così come i loro familiari.
Il rimpatrio
La dir. 2008/115 prevede che il rimpatrio avvenga in condizioni dignitose, dunque offre diverse possibilità
(intensità graduale crescente):
• Rimpatrio volontario (pp. 239-243 attenta lettura autonoma), la cui effettuazione è lasciata al consenso
del destinatario, ovvero lo straniero volontariamente decide di rimpatriarsi entro il termine previsto
• Rimpatrio coattivo (con varie modalità, a seconda della situazione), in questo caso devono essere
attuate una serie di modalità per realizzare il rimpatrio dello straniero:
Ci sono due step della procedura di rimpatrio:
1. Accertamento presenza irregolare
2. Decisione di rimpatrio, che deve essere un atto motivato, e adottato secondo una procedura equa
• In alternativa al rimpatrio, lo Stato membro può rilasciare un permesso di soggiorno per motivi
caritatevoli, umanitari o di altra natura (protezione complementare)
Non è per forza necessario rimpatriare lo straniero se ricorrono le condizioni di cui alla direttiva perché,
comunque, lo stato membro nel quale lo straniero irregolare si trova può decidere di concedergli un
permesso di soggiorno di tipo nazionale, quindi rilasciato al di fuori della disciplina dell’Unione, e può farlo
per vari motivi, caritatevoli o umanitari, politici etc.
Inoltre, ci sono 3 casi in cui non deve essere adottata la decisione di rimpatrio
Lo straniero ha un permesso di soggiorno rilasciato da altro Stato membro, nel quale lo straniero dovrà
recarsi pena il rimpatrio
Lo straniero può essere accolto da altro Stato membro in base ad accordi bilaterali
Il rinnovo del permesso di soggiorno è in corso (eventuali ritardi amministrativi)
La decisione di rimpatrio può prevedere Il divieto di ingresso, ovvero l’impossibilità che lo straniero ritorni
dal luogo dal quale è stato rimpatriato.
La decisione di rimpatrio può contenerlo, prevedendolo per un periodo di tempo determinato dal
momento (dies a quo) in cui lo straniero è ripartito
• Quanto tempo dura il divieto d’ingresso? Decidono gli Stati membri, ma al massimo 5 anni
• Oltre 5 anni nel caso di ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sicurezza nazionale)
• Validità: per tutti gli Stati membri (cd. dimensione europea) – però: uno Stato membro può ‘esentarsi’
Un’altra ipotesi, lasciata alla discrezionalità degli stati membri, si ha quando il divieto d’ingresso può essere
facoltativo, quindi non accompagnato dal divieto d’ingresso.
Qualora si giunga ad un rimpatrio di valore coattivo, quindi ad un allontanamento vero e proprio, lo
straniero viene fisicamente accompagnato da un vettore (aereo) che procede al rimpatrio.
Il rimpatrio coattivo è ostacolato qualora si preveda che lo straniero possa subire un pericolo per la propria
incolumità, ma se ciò non dovesse avvenire si procederebbe con il rimpatrio.
In attesa del rimpatrio coattivo lo straniero può essere trattenuto in carcere ma non riguarda un
trattamento di tipo penale, bensì strumentale al fine di garantire il successo del rimpatrio, pertanto, si
evitano i rischi della probabile fuga della persona. In quanto la detenzione non ha carattere punitivo lo
straniero viene collocato in un area diversa ai detenuti. Nel caso in cui allo straniero venga ritirato il
passaporto non c’è bisogno di dover ricorrere al carcere in quanto lo straniero non potrà mai scappare
senza essere munito di un documento valido per l’espatrio.
Nell’ipotesi in cui si pone il problema di garantire il rimpatrio di colui che è già stato trattenuto ma non è
stato potuto rimpatriare e pertanto è rimasto nello stato membro ma ha terminato il trattenimento: se lo
straniero ha già subito una forma di intrattenimento e il rimpatrio è stato rinviato non è possibile un
secondo trattenimento.