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Lo Jus Migrandi dell’UE: Fonti del diritto dell’UE

Per Jus Migrandi si intende il diritto dell’immigrazione dell’unione europea


Titolo V TFUE, «Spazio di libertà, sicurezza e giustizia»
 ingresso, soggiorno e circolazione dei cittadini degli Stati terzi

Il titolo 5° TFUE è dedicato allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Si tratta di un ambito di competenza
dell’UE piuttosto articolato e complesso che comprende anche lo Jus Migrandi, ma non solo.
Ad esempio, se si pensa allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, automaticamente si pensa anche al
mutuo riconoscimento delle sentenze dei giudici nazionali tra stati membri dell’UE, che non è per forza
riferito allo Jus Migrandi. Questo in quanto il contenitore lo spazio di liberà, sicurezza e giustizia comprende
più materie.
In questo spazio, in particolare, si parla di ingresso, soggiorno e circolazione dei cittadini degli stati terzi.
Lo Jus Migrandi, quindi, non è una materia che disciplina la libera circolazione all’interno dell’UE dei
cittadini europei, bensì riguarda invece tutte le regole di ingresso, soggiorno e circolazione dei cittadini non
europei e, pertanto, cittadini di stati non membri dell’UE (stati terzi). A questi cittadini si applica lo Jus
Migrandi.

Gli ambiti d’azione dello Jus Migrandi sono Ambiti di azione (artt. 77-79 TFUE)
descritti dagli art. 77-78 TFUE. Inoltre, esiste una • Controllo delle frontiere
dimensione esterna della politica immigratoria • Concessione della protezione internazionale
che, però, non è disciplinata dagli articoli 77-79 • Disciplina dell’immigrazione regolare
TFUE, o per lo meno c’è solamente un cenno. • Disciplina dell’immigrazione illegale

Strumenti normativi
• Atti di diritto derivato
 Aggiornamento norme vigenti o codificazione di nuove e dettagliate (ma no efficacia diretta)
• Azioni sul piano internazionale: Es., accordi, dialogo
Con riguardo alla normativa non primaria e applicabile allo Jus Migrandi dell’UE dobbiamo fare riferimento
agli atti di diritto derivato, ovvero atti inizialmente approvati e continuamente aggiornati, ma anche di atti
che introducono delle regole nuove, perché è necessario disciplinare il fenomeno migratorio, introducendo
un nuovo tipo di normativa. Per il tipo di competenze dell’UE non si tratta quasi mai di norme che sono
provviste di efficacia diretta, nel senso che sono norme principalmente indirizzate agli Stati membri e quindi
non sono, nella stragrande maggioranza dei casi, suscettibili all'applicazione di tipo orizzontale tra individui.

Procedura: Da Lisbona: procedura legislativa ordinaria (cd. «codecisione»)


Eccezione: misure di emergenza (afflussi improvvisi): procedura legislativa speciale ex art. 78 (3) TFUE

Un altro aspetto basilare della politica migratoria dell’UE, dal trattato di Lisbona, questa è disciplinata
attraverso la procedura legislativa ordinaria, quindi consiglio e Parlamento adottano insieme gli atti.
In questa disciplina è presente un'unica eccezione, descritta dall’art 78 (3) TFUE, che riguarda la possibilità
che, a fronte di un afflusso improvviso di cittadini degli stati terzi dentro l’UE, il consiglio possa assumere
delle misure di emergenza secondo una procedura legislativa speciale, quindi senza il concorso del
Parlamento europeo come decisore, ma con la partecipazione del Parlamento europeo nella fase di
adozione dell'atto. La decisione ultima resta, quindi, quella del consiglio.

Vincoli a «legiferare» per l’UE in termini di rispetto dei diritti fondamentali


1) Carta dei diritti/principi generali
2) Convenzioni internazionali
 CEDU
 Convenzione sullo status dei rifugiati [Ginevra, 1951 e 1967]) – aggancio nell’art. 78 (1) TFUE
 Altre convenzioni di ambito ONU
Anche lo Jus Migrandi soffre di alcuni limiti. Nel senso che l’UE, nel momento in cui va ad adottare delle
norme Jus migranti, quindi riguardati ingresso, circolazione e soggiorno dei cittadini degli stati terzi, deve
tenere conto di alcuni vincoli che fanno riferimento al rispetto dei diritti fondamentali dell'unione europea.
Innanzitutto, perché il rispetto dei diritti fondamentali non è destinato soltanto ai cittadini dell’UE, ma a
chiunque si trovi all'interno di uno Stato membro dell’UE.
Un altro motivo è costituito dalla presenza della carta dei diritti fondamentali dell’UE, la quale contiene un
ampio catalogo di diritti che si applica anche ai non cittadini.
La politica migratoria non può assolutamente prescindere dai trattati internazionali in materia di rispetto
dei diritti umani e di concessione della protezione internazionale (ex Convenzione europea dei diritti
dell’uomo).

Inoltre, esiste un'importante convenzione internazionale, approvata nel dopoguerra e modificata poco
prima degli anni 70, che è la convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, convenzione, conclusa sotto
l'ombrello dell'organizzazione delle Nazioni unite, che disciplina la protezione internazionale a livello
internazionale, dunque anche con riguardo all' ambito territoriale a cui fa riferimento l'unione europea.
L’art 78 (1) TFUE fa riferimento alla convenzione in questione come vincolo di cui tener conto nel legiferare
lo Jus Migrandi, perché si deve tener conto di quelli che sono i vincoli internazionali che la convenzione
pone, con riguardo la concessione della protezione internazionale, a coloro che scappano da un luogo e
possono definirsi rifugiati. La convenzione è del 1951, ma nel 1967 venne stipulato un protocollo aggiuntivo
che la va ad integrare.

A questa convenzione se ne aggiungono altre di ambito ONU, perché il panorama internazionale delle
convenzioni in materia di diritti umani e di concessione della protezione internazionale è ampio e articolato.
L’UE non può prescindere dal rispetto del
diritto internazionale e pertanto deve tener
conto anche di queste altre convenzioni.

Jus Migrandi e Area Schengen


La disciplina di Schengen è parte del diritto
dell’UE.
Ma essa (1) non copre tutti gli Stati membri e
(2) comprende Stati terzi europei [v. cartina]

La seguente cartina fa riferimento al


collegamento che c’è tra lo Jus Migrandi
dell’UE e l’area Schengen, ovvero un area
creata attraverso un trattato internazionale, al
di fuori delle allora cosiddette comunità
europee, che ha visto, nel tempo, una
partecipazione a geometria variabile, in quanto
non tutti gli Stati membri dell’UE fanno parte
dell’area Schengen, così come dell’area
Schengen fanno parte alcuni stati che, invece,
non sono membri dell’UE. Ciò significa che non
esiste una coincidenza tra l’area Schengen e
l’area territoriale dell’UE. Ma, è vero che la
disciplina di Schengen è stata interiorizzata nel
diritto dell'unione europea come acquisizione e pertanto trasformandolo in diritto dell'unione europea, con
la specifica che alcuni stati hanno ritenuto di non doverla applicare.
Lo Jus Migrandi dell’UE: Il controllo delle frontiere
Art. 77, comma 1, TFUE
a) garantire l'assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all'atto
dell'attraversamento delle frontiere interne;
b) garantire il controllo delle persone e la sorveglianza efficace dell'attraversamento delle frontiere
esterne;
c) instaurare progressivamente un sistema integrato («comune») di gestione delle frontiere esterne.
Obiettivi b) e c): funzionali all’obiettivo a)

Tra gli obiettivi contenuti nell’art 77, comma 1, TFUE, in particolare alle lettere a, b, c.
L'obiettivo di cui alla lettera a afferma di garantire l'assenza di qualsiasi controllo sulle persone a
prescindere dalla nazionalità quindi anche i cittadini stati terzi all'atto dell’attraversamento delle frontiere
interne. Una volta che il cittadino di uno stato terzo entra nella frontiera dell’UE, poi può circolare
liberamente, a prescindere dalla nazionalità, senza qualsiasi controllo.

Nel momento in cui un cittadino di uno stato terzo entra nel territorio dell'area Schengen, che in buona
parte corrisponde al territorio dell’UE, deve essere effettuata una forma di controllo e l'intangibilità delle
frontiere deve essere garantita. Se non avviene questo passaggio non ci può essere quell’allargamento, in
termini di circolazione dei cittadini dello Stato terzo regolarmente entrato in tutto il territorio dell'area
Schengen. Pertanto, l’obbiettivo b è funzionale alla realizzazione dell’obbiettivo a.
Lo stesso si può dire per l'obiettivo c, per il fatto che questo tipo di obiettivo si propone di creare uno
strumento per gestire le frontiere esterne. Nel momento in cui si devono garantire controlli sulle persone,
la creazione di un sistema unico fa sì che i controlli e tutte le frontiere dell'unione possono essere gestite in
maniera del tutto uniforme per fa sì che si realizzi l’obbiettivo della lettera a, ovvero quello di garantire la
libera circolazione nel momento in cui i cittadini dello Stato terzo entrano nel territorio dell'unione e le
varie frontiere interne non presentano più dei limiti territoriali di controllo, come invece era in passato.

Obiettivi a), b) e c) Armonizzazione delle modalità di controllo praticate dagli Stati membri in ingresso
nell’UE e delle condizioni che devono essere possedute per l’ingresso.

Per raggiungere questi tre obiettivi si cerca di raggiungere l'armonizzazione, quindi, la tendenziale
uniforme, senza raggiungere la perfetta uniformità in quanto lo Jus Migrandi è una competenza
concorrente dell’UE, e pertanto gli Stati restano in una certa misura di legiferare.
Armonizzazione delle modalità di controllo praticate dagli Stati membri ingresso: questo riguarda
l'intangibilità delle frontiere, ovvero il fatto che per entrare bisogna ricevere una forma di controllo da
parte delle autorità doganali e sulla persona attraverso delle modalità, indicate alle autorità doganali
stesse.
Inoltre, quest’armonizzazione comporta l'allineamento delle condizioni che devono essere possedute per
l'ingresso. Quindi un cittadino di uno Stato terzo non è che deve soggiacere a condizioni diverse, a seconda
che entri in un punto italiano, francese, finlandese o di altro stato. Le condizioni di ingresso devono essere
tendenzialmente uniformi.

Atto principe: Regolamento 2016/399 ( codecisione) sul «codice frontiere Schengen» (cd. «CFS»)
Misure collegate – regolamenti relativi a:
(a) Paesi giungendo dai quali è necessario il visto d’ingresso nell’area Schengen e (b) armonizzazione dei
visti («codice dei visti» europeo)
L’atto principale è il regolamento 2016/399, ovvero il codice frontiere Schengen, detto anche CFS.
Un regolamento che riunisce in un codice l’armonizzazione di cui abbiamo parlato. Si tratta di un
regolamento approvato in codecisione, e quindi con procedura legislativa ordinaria (competenza sia del
consiglio e del Parlamento della nell’approvare l'atto su proposta della commissione).
Lo Jus Migrandi, però, con particolare riguardo al controllo delle frontiere, non si risolve ed esaurisce il
codice frontiere Schengen, bensì ci sono alcuni atti collegati che sono necessari a far sì che il codice
frontiere Schengen, con ciò che prevede in termini di gestione delle frontiere esterne dell'unione, possa
funzionare ugualmente. E pertanto, ci sono regolamenti in cui si indicano i paesi terzi dai quali è necessario
provenire per entrare nell’area Schengen muniti di visto oppure no. Questo a seguito di accordi specifici
che ha fatto l'unione europea per cui in taluni casi non è necessario possedere il visto per entrare in area
Schengen.

Misure tese ad allineare ad avvicinare il più possibile le modalità di rilascio dei visti per l'ingresso nell’area
Schengen in quanto i visti non vengono rilasciati dall’UE, bensì dagli Stati membri, dunque diverse autorità
nazionali, le quali se si armonizzano o si allineano daranno vita ad un uniformità.

(b) creazione del Sistema Integrato Schengen (SIS - database per i controlli di frontiera)
(c) creazione della guardia di frontiera e costiera europea «FRONTEX» (coordina l’azione degli Stati membri)
e disciplina delle operazioni condotte sotto il suo coordinamento
(d) creazione di EUROSUR (scambio di informazioni)

Altri atti hanno regolato la creazione del sistema integrato Schengen: il SIS, un database dei controlli di
frontiera, che contiene le informazioni relative alle persone che hanno commesso reati e che sono
ricercate.
Quindi, rientrare nelle ricerche all'interno del sistema di integrazione integrato Schengen non è certamente
positivo per la per la persona che sta ricevendo il controllo. Potrebbe essere arrestata.

Un altro atto estremamente importante è l'atto che crea Frontex, cioè l'agenzia competente a gestire la
Guardia di frontiera e costiera europea, che spesso si sente nominare al telegiornale quando si tratta di dar
conto di difficili operazioni, come le operazioni di salvataggio in mare.
Frontex è in grado di coordinare le autorità di soccorso e controllo delle frontiere statali che sono impegnati
di volta in volta nelle operazioni. Quindi, ha sostanzialmente una funzione di coordinamento, la quale
comporta anche la possibilità di dare indicazioni.

Un altro atto importante è la creazione di EUROSUR, che trova applicazione nella gestione delle frontiere
marittime, una sorta di forma di scambio di informazioni, utili per meglio sorvegliare le frontiere
dell'unione.

Ingresso, circolazione e soggiorno nell’area Schengen ( CFS)


• condizioni uniformi nell’area (UE e non)
• solo cittadini Stati terzi (non familiari di cittadini UE)
• nessun pregiudizio per i richiedenti protezione internazionale

Con riguardo all’ingresso, la circolazione e soggiorno dei cittadini degli stati terzi nell’area Schengen, il
riferimento principale è costituito dal regolamento che approva il codice frontiere Schengen, il CFS.
Come abbiamo visto, la tendenza è quella di fissare condizioni uniformi nell’area, sia di ingresso,
circolazione e soggiorno, in capo ai cittadini degli stati terzi che intendono entrare nell’area Schengen e poi
circolare al suo interno liberamente. Questo i cittadini dell’UE già lo fanno senza necessità di alcun tipo di
visto.
Esiste la possibilità che un cittadino di uno stato terzo abbia un familiare cittadino dell’UE. In questo caso il
cittadino dello Stato terzo, nel momento in cui entra nell'unione, non ha bisogno del visto perché esercita il
ricongiungimento familiare con il cittadino dell'unione, e pertanto è al di fuori della disciplina dettata dal
codice frontiere Schengen.
In ogni caso la disciplina dettata non reca alcun pregiudizio alla possibilità che venga chiesto protezione
internazionale, perché le ragioni umanitarie, che portano alla protezione internazionale, “sfuggono” dire
alla disciplina che normalmente viene fissata per l'ingresso, circolazione e soggiorno dei cittadini degli stati
terzi.
Art. 6 CFS: possesso di 5 (e non oltre) condizioni di ingresso nell’Area Schengen, cioè …
1. documento di viaggio (es., biglietto)
2. visto per soggiorni di breve durata, se non assorbito da altri titoli [es. permesso di soggiorno]
3. autosufficienza economica (minimo richiesto)
4. nessuna segnalazione su SIS
5. l’ingresso non configura una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica e le
relazioni internazionali degli Stati membri

Con riguardo alla regola generale, l’art 6 CFS indica il possesso di 5 requisiti condizioni per poter entrare
nell'area Schengen stessa. Solo ed esclusivamente 5 requisiti, in quanto non è possibile che gli Stati membri
aggiungano autonomamente altre condizioni per poter entrare nell’area Schengen, questo perché esiste un
regolamento dell'unione e le condizioni fissate devono essere uguali in tutti gli Stati.

1. Il possesso di un documento di viaggio indica che è stato legittimamente raggiunta la frontiera


dell'unione. Ad eccezione che venga raggiunta con un automobile per il quale si presume che non esista.
2. Possesso del visto per soggiorni di breve durata, che è il primo tipo di ingresso che si può effettuare
nell’area Schengen. È sempre possibile che il visto di breve durata sia assorbito da altri, come ad esempio, il
permesso di soggiorno, la cui materia è ancora nella competenza degli Stati membri. Pertanto, ciascuno
Stato membro ha i propri tipi di permessi di soggiorno, soprattutto con riguardo alla durata per poter
rimanere in quel determinato stato. Nel momento in cui il cittadino di uno stato terzo ottiene un permesso
di soggiorno da uno Stato membro è implicito (viene assorbito) il possesso il visto per ingresso per soggiorni
brevi.
3. Autosufficienza economica. Non si richiede un livello alto ma si ritiene di chiedere al cittadino dello stato
terzo di dover dimostrare il possesso del minimo dell'autosufficienza economica che costituisca quanto
meno sostentamento individuale.
Questo per evitare che l'ingresso sia accordato a persone che immediatamente ricadono sul sistema di
previdenza sociale degli Stati membri.
4. Nessuna segnalazione su SIS, il server per effettuare i controlli sulle persone, pertanto, se una persona è
segnalata non può entrare in area Schengen
5. L’ingresso non configura una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica e le
relazioni internazionali degli Stati membri dell'area Schengen.

La 4 e la 5 condizione sono molto simili perché se una persona è segnalata su SIS vuol dire che costituisce
un pericolo per la sicurezza interna e gli Stati membri dell'area Schengen. L’unica differenza sta nel fatto
che SIS non segnala le persone che possono costituire un pericolo per la salute pubblica.

In absentia, lo straniero va respinto con provvedimento individuale motivato (dunque, impugnabile) e


senza pregiudizio per la protezione internazionale
però: L’assenza di una o più delle 5 condizioni può portare all’ingresso (in deroga) se lo Stato membro lo
autorizza per:
• transito
• motivi umanitari
• rilascio di visto alla frontiera

Qualora manchino queste condizioni o anche una di queste condizioni lo straniero deve essere respinto.
Per poter respingere uno straniero cittadino di Stato terzo è necessario emanare un provvedimento da
parte dell'autorità nazionale in ossequio al diritto dell'unione e al suo Jus Migrandi.
Ciò deve essere un provvedimento individuale in quanto non possono essere presi un gruppo di persone ed
espulse quanto tali, perché si tratterebbe di espulsione collettiva, vietata, non solo dal diritto dell'UE, ma
anche dal diritto internazionale.

Poiché si tratta di un provvedimento individuale questo deve essere motivato, quindi deve spiegare
esattamente il motivo per cui si procede al respingimento.
Inoltre, poiché si tratta di provvedimenti diretti alla persona, qualora l'atto presenti degli elementi di
legittimità è persino impugnabile. Ovvero, il cittadino dello stato terzo respinto può chiedere al giudice
nazionale dello Stato che ha emanato il provvedimento di verificare la legittimità di quanto accaduto.

L'assenza di tutte o una delle condizioni fissate dal codice frontiere Schengen non va ad influenzare la
possibilità che la persona possa chiedere protezione internazionale per motivi umanitari. C'è, però, una
deroga, che consiste nella possibilità che ha uno Stato membro di ovviare a uno o più delle 5 condizioni,
quindi a non considerarle tutte 5 parallelamente sussistenti, qualora lo Stato membro stesso si assume la
responsabilità di far entrare la persona.
Ciò può accadere per transito, cioè uno Stato membro può fare entrare un cittadino di uno stato terzo, non
in possesso delle 5 condizioni, in modo che questo possa transitare altrove, per motivi umanitari e per
possibilità che il cittadino di Stato terzo arrivi alla frontiera sprovvisto di visto ma lo richieda, e sussistano le
condizioni per poterlo tenere.

Altri casi di respingimento


• Straniero privo delle 5 condizioni e in prossimità della frontiera
• Straniero che permane in uno Stato membro dopo la scadenza del visto o del documento di viaggio

Ci sono, inoltre, altre due possibilità affinché si possa giungere a respingimento, ovvero la prima possibilità
è che lo straniero venga trovato sprovvisto delle 5 condizioni previste in prossimità della frontiera, perché si
presume che ci sia stato un illegittimo attraversamento della frontiera. La seconda condizione è che lo
straniero si è entrato in area Schengen in possesso delle 5 condizioni, ma poi ne perde alcune (come lo
scadere del visto o la perdita del titolo di viaggio).

I visti di ingresso ( CDV)


Il regolamento 2018/1806 indica i Paesi dai quali giungere con visto e quelli giungendo dai quali non è
necessario

Il codice dei visti dell’UE, regolamento 2018/1806, indica le modalità di rilascio dei visti e i tipi di visti
previsti, ma soprattutto indica i paesi dai quali è necessario giungere provvisti di visto o no, questo si ha per
la presenza di due elenchi diversi allegati al regolamento. In taluni casi, un cittadino di uno stato terzo può
entrare in area Schengen in quanto sussiste un accordo tra l’UE e lo stato terzo in questione, per cui si è
concordato che non si rende necessaria la concessione del visto. Laddove, invece, è previsto il visto si dà
per presupposto che gli stati lascino uscire abbastanza liberamente i loro cittadini.

Tipi di visti di breve durata (max 90 gg)


• Visto uniforme (classico, per ingresso e transito)
• Visto con validità territoriale limitata (in uno o più Stati membri)
• Visto di transito aeroportuale (per il transito nelle zone internazionali degli aeroporti)

Per quanto riguarda i visti di breve durata, di massimo 90 giorni, ci sono tre tipi di visto.
Il visto uniforme, di tipo classico, che serve sia per entrare nell’area Schengen sia per transitare.
Il visto con validità territoriale limitata è un visto che viene concesso al cittadino dello Stato terzo affinché
possa entrare, circolare e soggiornare soltanto in alcuni stati, indicati sul visto stesso.
Infine, il visto di transito aeroportuale riguarda tutte le ipotesi in cui un cittadino di uno stato terzo entra in
zona Schengen in aeroporto (zona internazionale) in vista di cambiare volo per andare in una persa un'altra
destinazione.
Chi rilascia i visti? Sono rilasciati dalle autorità (rappresentanze diplomatiche e consolari) dello Stato
membro di destinazione o di primo ingresso per transito

 Possibile rilascio da altri Stati membri, se stabilito con accordo internazionale


 Armonizzazione dell’organizzazione di rilascio dei visti e delle procedure di rilascio (pp. 27-32, studio
autonomo)

I visti sono rilasciati dalle autorità nazionali, degli Stati membri, e sono sempre le autorità diplomatiche
consolari, perché il visto si richiede al momento della partenza e, pertanto, una determinata persona deve
recarsi presso la rappresentanza diplomatica consolare dello Stato in cui intende andare o transitare come
prima destinazione in area Schengen e richiedere il visto.
Esiste l'eventualità che lo stato che dovrebbe rilasciare il visto non ha una rappresentanza diplomatica e
consolare nel paese di partenza del cittadino dello Stato terzo. Questo è piuttosto comune soprattutto per
gli Stati più piccoli che non possono permettersi un’ampia rete di rappresentanza diplomatica e consolare.
In questo caso è possibile che le rappresentanze diplomatiche e consolari di altri Stati membri dell'area
Schengen possano rilasciare il visto, a seguito di un accordo tra lo stato senza rappresentanza diplomatica e
consolare in loco e uno Stato dell’area Schengen con, invece, rappresentanza diplomatica e consolare in
loco.
Questo accordo di cooperazione consente la possibilità di ottenere un visto anche se non c'è l'autorità
nazionale presente dello Stato interessato che possa rilasciare il visto.
L'organizzazione del sistema di rilascio di visti, come anche le procedure, sono tendenzialmente
armonizzate, quindi sono molto simili per tutti gli stati dell’area Schengen.

Controlli alle frontiere esterne


Sono «esterne» le frontiere «non interne»: dunque il confine esterno dell’UE (es, le coste italiane) e degli
Stati terzi che partecipano all’area Schengen (es, Norvegia)
I controlli devono essere efficaci (fiducia reciproca tra Stati coinvolti!) e condotti dalle guardie di frontiera
nazionali ai valichi di frontiera

I controlli sono svolti dalle autorità di frontiera sia terrestre che marittima, e riguardano soltanto le
frontiere esterne dell’area Schengen e non quelle interne.
Per individuare le frontiere dell’area Schengen basta consultare una cartina dell’Area Schengen e guardare i
confini considerando anche gli aeroporti che possano costituire delle forme di primo ingresso.

I controlli devono essere svolti in maniera assolutamente accurata ed efficace. Si tratta di un passaggio
particolarmente importante, in quanto, nel momento in cui il cittadino di uno stato terzo entra nell’UE, poi
può circolare liberamente in tutti gli stati membri dell’area Schengen.
Proprio per questo motivo che, all'ingresso dell’UE, Romania e Bulgaria non hanno aderito all’area
Schengen perché non sono in grado di garantire l'efficacia dei loro controlli anche a nome di tutti gli altri
stati dell'area.

La conduzione di questi controlli deve avvenire nel rispetto dei diritti fondamentali della persona
I controlli effettuati dalle guardie di frontiera nazionali devono essere coordinati ( FRONTEX – materiale
di supporto allo studio delle pp. 35-40)

La sorveglianza delle frontiere marittime esterne (ancora coordinamento FRONTEX)


Atto di riferimento: regolamento 656/2014
Oggetto della sorveglianza: intercettazione e soccorso
Prevede i principi da seguire nella sorveglianza marittima, le regole applicabili dalle unità navali coinvolte e
gli obblighi in materia di soccorso.
L’atto di riferimento in relazione alla sorveglianza delle frontiere marittime esterne, che riguarda il
funzionamento di Frontex e del suo coordinamento, è il regolamento 656/2014, il cui oggetto è la
sorveglianza. L’oggetto di sorveglianza riguarda due ipotesi, ovvero l’intercettazione e il soccorso di cittadini
di stati terzi. Per quanto riguarda il soccorso, la sorveglianza riguarda l'ipotesi in cui uno o più cittadini di
uno stato terzo debbano essere soccorsi perché in pericolo.
Mentre l’intercettazione riguarda, invece, i cittadini che devono essere intercettati perché colpevoli di un
reato connesso allo spostamento all'interno, quindi l'ingresso in area Schengen, o alla possibilità che venga
favorito l'ingresso di altre persone (coloro che esercitano la tratta dei migranti)

Il regolamento in questione prevede i principi da seguire nella sorveglianza marittima, le regole applicabili
alle unità navali coinvolte (ufficiali, militari) che gli Stati membri pongono a disposizione per lo svolgimento
delle operazioni di sorveglianza delle frontiere (nave della guardia costiera), che, in quanto statali, sono
soggette a delle regole specifiche in termini di condotta e requisiti.
E infine, gli obblighi solo in materia di soccorso, e non di intercettazione, perché il soccorso internazionale,
in mare, è oggetto di diverse convenzioni internazionali, pertanto, ci sono gli obblighi ben precisi da
rispettare.

Lo sbarco in sicurezza di persone intercettate o soccorse


Aspetto importante!  ci sono diversi criteri atti a stabilire il luogo di sbarco
Sempre: divieto di refoulement diretto o indiretto  e verifica del diritto alla protezione internazionale
Sempre: rispetto di esigenza specifiche (es., colloquio, facilities a terra, minori)

Nel momento in cui la persona viene intercettata o soccorso deve essere sbarcata in sicurezza, ovvero in un
luogo in cui non corra il rischio di aggravare la propria salute o addirittura la propria vita.
È uno sbarco sicuro lo sbarco nello Stato membro costiero, se l’intercettazione è avvenuta in prossimità
delle proprie coste, oppure lo stato dal quale il natante è partito con l’ipotesi, in questo caso, di
intercettazione con respingimento ma sempre verificando la sicurezza dello sbarco, se non è sicuro non sa
non può essere effettuata.

In ogni caso è fatto divieto di refoulement (respingimento) ma fa riferimento alla specifica ipotesi prevista
dal diritto internazionale per cui una persona non può essere rimandata nel paese da cui arriva, se esiste la
possibilità che subisca un pregiudizio per la propria vita, la propria incolumità o la propria salute.
Ad esempio, nel caso in cui una persona, a seguito di una fuga, tornando al proprio paese di origine, rischia
la condanna a morte. Il divieto, inoltre, riguarda anche la possibilità in cui la persona possa essere respinta
in una paese che successivamente la respingerà al paese di origine dove subisca il rischio alla propria
incolumità.
Il primo caso viene definito refoulement diretto, mentre il secondo refoulement indiretto.

Non soltanto, non si può respingere in un luogo pericoloso la persona intercettata, ma deve essere sempre
data la possibilità alla persona di invocare la protezione internazionale. Se sussistono determinati requisiti,
la persona può rimanere a titolo di protezione umanitari. Inoltre, una volta avvenuto lo sbarco e verificato
se la persona è beneficiaria di protezione internazionale, devono essere attuati alcuni accorgimenti
riguardanti il rispetto di esigenze piuttosto specifiche. Deve essere svolto un colloquio personale con la
persona, al fine di capire da dove viene e perché scappa. Poi devono esserci dei benefici una volta che la
persona atterra, quindi, visite sanitarie, assistenza di un traduttore se la persona non conosce la lingua.

L’assenza di controlli interni: Sono possibili i controlli di polizia interni che non mascherino, nei fatti, dei
controlli di frontiera (aboliti dentro l’Area Schengen!)
Possibile ripristino temporaneo dei controlli di frontiera interni come misura eccezionale, in caso di
pericolo per l’ordine pubblico o la sicurezza di uno Stato membro

Più modalità:
1. Può disporlo uno Stato membro (o più), coinvolgendo però gli altri Stati membri e la Commissione
oppure
2. Raccomandazione del Consiglio in caso di carenze nei sistemi nazionali di controllo delle frontiere
esterne

All’interno dell’area Schengen tutti i controlli sono aboliti, pertanto, il cittadino dello Stato terzo può
circolare liberamente, senza pregiudizio.

Ciò che hanno tentato di attuare gli Stati membri fu di eseguire dei controlli di polizia normalissimi sul piano
interno, volendo, con ciò, in realtà, conseguire degli obiettivi che dovrebbero essere propri dei controlli
doganali e di frontiera.
In area Schengen, però, non è possibile svolgere internamente dei controlli che siano simili o che
conseguano obbiettivi che, invece, sono propri della guardia di frontiera.
I controlli di polizia riguardano la pubblica sicurezza interna mentre i controlli fatti dalla guardia di frontiera
riguardano l'ingresso in area Schengen, si tratta, dunque, di due competenze completamente diverse.

È, però, possibile che temporaneamente siano ripristinati i controlli interni. Ciò si tratta, però, di una misura
di natura eccezionale in caso in cui si configuri un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza di uno stato
membro. Quindi, qualora si configurino queste ipotesi, di cui devono essere ben spiegati i motivi, è
possibile che i controlli interni possono essere ristabiliti. Pertanto, per entrare in uno stato membro è
possibile che si subisca un secondo controllo di frontiera

Come si procedono gli stati a ripristinare i controlli interni?


Se si tratta di un esigenza di un unico stato membro, questo lo può fare autonomamente, però deve
coinvolgere gli altri stati dell’area Schengen che non intendono ripristinare questi controlli perché si riflette
sul funzionamento dell’area Schengen, e soprattutto alla commissione europea, guardiana dei trattati, che
verifica se si tratta di misure eccezionali dovute ad esigenze collettive.

Esiste anche una seconda possibilità qualora si registri su uno o su più stati una carenza o
malfunzionamento dei sistemi nazionali di controllo delle frontiere esterne, la cosiddetta fiducia viene
minata e pertanto il consiglio, con una raccomandazione , può appunto indicare che sia necessario
ristabilire delle forme di controllo delle frontiere interne in quanto c'è una frontiera esterna che è
particolarmente friabile, attraversabile con eccessiva facilità e quindi non in grado di garantire il controllo
delle 5 condizioni previste dal codice frontiere.

Lo Jus Migrandi dell’UE: Quadro generale


Principi del sistema europeo comune di asilo
• Sistema comune di concessione dell’asilo con criteri e procedure comuni
• Condivisione ed equa ripartizione delle responsabilità tra Stati membri
• Garanzia di protezione e di non respingimento (convenzione di Ginevra del 1951 e successivo
Protocollo del 1967)  art. 78, par. 1, TFUE e citazione della convenzione

Il sistema di concessione della protezione internazionale, in particolare l'asilo, è organizzato in modo


comune, quindi, esiste un sistema europeo comune di asilo che non offre una disciplina dettagliata e
completa la numerosa quantità delle direttive.

Quando si parla di asilo si fa riferimento al fatto che esistono delle regole comuni, che, però, non
esauriscono tutti gli aspetti della materia.
Uno dei principi che ispira il sistema europeo comune di asilo è la condivisione e la ripartizione delle
responsabilità tra gli Stati membri e questo perché, geograficamente parlando, l’UE ha degli stati interni
degli stati che invece sono posti sul bordo, ed è chiaro che è su questi ultimi che si verifica il fenomeno
migratorio.
Uno stato come il Belgio ha problemi migratori di una certa importanza ma non quelli relativi all’essere un
paese di primo arrivo.

Un altro caposaldo del sistema europeo comune di asilo è il forte aggancio alla convenzione di Ginevra del
1951 sui rifugiati, convenzione internazionale stipulata su collegi dell’organizzazione delle Nazioni unite in
tema di rifugiati, che, essendo arrivata subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, è stata in parte
integrata da un protocollo (atto aggiuntivo) del 1967, da allora è rimasta immutata.

La convenzione offre riferimento, dal punto di vista internazionalistico, relativo alla tutela del migrante che
si sposta perché si qualifica come rifugiato e pertanto l'unione non può non prendere in considerazione
questa convenzione nell’esercitare questa competenza in materia di protezione internazionale
Tra l'altro la convenzione e il suo protocollo sono espressamente indicate all’art 78 par. 1 TFUE a
dimostrazione che il diritto migratorio dell'unione si deve adeguare a quanto previsto dalla convenzione.

Misure del sistema europeo comune di asilo


• Direttiva 2001/95 (codecisione) sulla concessione della protezione internazionale (cd. direttiva
qualifiche)
• Direttiva 2013/32 (codecisione) sulle procedure comuni applicabili (cd. direttiva procedure)
• Direttiva 2013/33 (codecisione) sulla sull’accoglienza (cd. direttiva accoglienza)
• Direttiva 2001/55 del Consiglio sull’afflusso massiccio di sfollati (cd. direttiva sfollati)

Le direttive attuano quanto previsto dalla convenzione di Ginevra (che ne costituisce, dunque, il riferimento
interpretativo).
• Regolamento 604/2013 (codecisione) sulla competenza a esaminare la domanda di protezione
internazionale (cd. Dublino III)
• Regolamento 603/2013 (codecisione) su Eurodac – applicazione Dublino III
• Regolamento 439/2010 (codecisione) sulla creazione dell’Ufficio europeo di sostegno all’asilo (EASO) 
funzioni attuative e di coordinamento
• Regolamento 516/2014 (codecisione) istitutivo del Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (FAMI) –
finanziamento progetti

Tra le principali fonti riguardanti lo status di rifugiato emanate dall’UE abbiamo la direttiva 2001/95
adottata in codecisione e quindi procedura legislativa ordinaria dove Parlamento e consiglio decidono sullo
stesso testo.
La direttiva 2013/32, anch’essa in codecisione, riguarda le procedure comuni applicabili in materia di
concessione della protezione internazionale e pertanto si chiama direttiva procedure.
Il fatto che si usino questi termini molto brevi è piuttosto comune quando più direttive riguardano la stessa
materia ma regolano aspetti separati e ben circoscritti. La direttiva qualifica si occupa di definire quando si
può ottenere la protezione internazionale, la direttiva procedure con quali procedure si concede la
protezione internazionale.

La direttiva 2013/33, sempre in codecisione, sull’accoglienza ed è infatti chiamata direttiva accoglienza. La


direttiva 2001/55 va a integrare il quadro delle direttive del consiglio sull’afflusso massiccio di sfollati.
L’ipotesi di questo caso riguarda la possibilità che più persone si siano mossi scappando da scenario di crisi
ed è normale, pertanto, che la potenza internazionale richiesta da tante persone.
Nella misura in cui degli atti di diritto derivato danno attuazione ad un altro atto giuridico, in questo caso la
convenzione di Ginevra del 51, l'atto giuridico cui da l'attuazione, dunque la convenzione del 51,
costituiscono un riferimento interpretativo per la normativa attuativa di queste direttive.

Il regolamento 604/2013 (cd. Dublino III), anch’esso in codecisione, approvato sulla competenza esaminare
la domanda di protezione internazionale, fissa le regole in base alle quali stabilire a quale paese può essere
richiesta la protezione internazionale
Il regolamento 603/2013 istituisce Eurodac va applicare i regolamenti precedenti. Si tratta di un database
che rileva le impronte digitali e serve a fare i controlli relativi alle persone che non sono entrate
regolarmente nel territorio dell’area Schengen.
Il regolamento 439/2010, sempre in codecisione, sulla creazione dell'ufficio europeo di sostegno all'asilo,
un'agenzia dell'unione con funzioni attuative e fornisce sostegno a Stati membri in materia
Infine, il regolamento 516/2014, anch’esso in codecisione, che disciplina l’erogazione di finanziamenti tesi a
conseguire l'obiettivo dell'integrazione all'interno dell’UE area Schengen.

Lo Jus Migrandi dell’UE: I beneficiari di protezione internazionale


Il diritto dell'UE prevede tre forme di protezione internazionale, che può essere accordata oltre a quella
classica. Quindi i beneficiari di protezione internazionale possono essere diversi. La protezione ai rifugiati
venne stabilita dalla convenzione del 1959 e dal protocollo successivo, pertanto, si tratta della forma di
protezione più classica.
Inoltre, l’UE concede anche un tipo di protezione sussidiaria e una temporanea. Ciò che cambia tra questi
due tipi di protezione sono i presupposti per poterle ottenere, anche se molto spesso ciò che si richiede allo
straniero è tendenzialmente uniforme. Un altro aspetto che distingue questi due tipi di protezione è
l'intensità della protezione, ovvero quanta protezione viene accordata effettivamente.

3 forme di protezione La protezione internazionale è data ad una persona che lascia uno
(art. 78, par. 2, TFUE) scenario di crisi per entrare in UE, area Schengen. Una persona lascia
1. Protezione come rifugiato proprio paese per diversi motivi ed è proprio per questo motivo che
2. Protezione sussidiaria a determinate persone possono essere date protezione diverse.
3. Protezione temporanea queste tre forme di protezione internazionale hanno un
cambiano presupposti riconoscimento di rango primario perché sono espressamente
e intensità della protezione indicate all’art. 78, par 2, TFUE

• solo cittadini degli Stati terzi e apolidi


• non cittadini UE, salvo ipotesi eccezionali (violazione dei diritti fondamentali – art. 7 TUE)
Può essere definito rifugiato, e pertanto avente diritto alla protezione, soltanto un cittadino di uno stato
terzo oppure un apolide, ovvero un individuo che non ha una cittadinanza.
I casi di apolidia sono ancora presenti nello scenario internazionale e diversi atti dell’ONU invitano a ridurre
il fenomeno il più possibile perché la cittadinanza crea un legame con uno stato, anche in termini di diritti e
doveri. Detto ciò, l'apolide può beneficiare di alcuni diritti ma non di tutti quelli di cui beneficiano i cittadini.

Non possono essere classificati come rifugiati i cittadini dell’UE, per ovvi motivi. Anche se in casi eccezionali
è previsto che un cittadino dell’UE scappi dal suo stato ed entri in un altro stato membro chiedendo
protezione internazionale come rifugiato.
In questo caso si tratta, però, di ipotesi che riguarda la violazione dei diritti fondamentali, quindi, la
violazione dell’art 6 TUE e dell’art 7 TUE, che prevede la procedura secondo cui lo stato, che viola
persistentemente i valori su cui si fonda l'unione, tra cui i diritti fondamentali, può essere sospeso dalle
votazioni in seno agli organi. Alcuni problemi fi questo tipo si sono verificati in Polonia e Ungheria in quanto
stavano mettendo in discussione lo stato di diritto, inteso come stato nel quale le regole sono predefinite e
il potere sono separati e realizzando delle interferenze che hanno creato un contenzioso con l'unione.
Solo in questa condizione è possibile concedere asilo ai cittadini dell’UE che scappano verso altri stati
membri.

Lo status è riconosciuto
• Per rischio di persecuzione in base a vari ground ( si riprende quanto affermato dalla convenzione di
Ginevra)
Lo status di rifugiato si riconosce per il rischio che una persona corre, esiste la possibilità che l'individuo
subisca una persecuzione basata su vari motivi.
I ground di discriminazione possono essere diversi: religiosi, politichi, legati all’orientamento sessuale, al
genere. Perciò sono diversi i motivi per cui una persona, rimanendo nel proprio stato di appartenenza o in
un altro stato in cui è legalmente residente, può subire delle forme di persecuzione nei propri confronti.

• alto dettaglio delle norme europee  minima discrezionalità degli Stati membri (la concessione dello
status è un atto declaratorio)
La normativa dell’UE in materia di concessione dello status di rifugiato attua ciò che la convenzione di
Ginevra ha deciso, per cui non si può “uscire” da ciò che la convenzione ha affermato. Perciò, c’è un basso
livello di discrezione degli stati membri nella materia della concessione dello stato di rifugiato.
lo status dura finché permangono le condizioni della concessione, ovvero:
almeno rischio fondato di subire persecuzioni (orizzontale e verticale), prima o dopo lo spostamento
lo stato di origine o dimora non è in grado di offrire protezione all’individuo

Naturalmente, lo status di rifugiato non è uno status permanente ma dura finché durano le condizioni che
ne hanno costituito il presupposto e, quindi, nel caso venissero meno queste condizioni viene meno anche
lo status di rifugiato. Tra queste condizioni troviamo il rischio di subire persecuzioni, sia orizzontali che
verticali, prima o dopo lo spostamento. Si richiede che la persona corre il rischio di essere perseguitato, o
già lo sia stata, nel suo stato, sia ad opera di privati (persecuzione orizzontale) e sia ad opera dello Stato
(persecuzione verticale). Lo stato di origine o dimora della persona che subisce forme di persecuzione non
è in grado di offrire protezione all' individuo.

Forme di persecuzione
La persecuzione si concreta in atti specifici che vengono compiuti su una persona e si intendono:
• atti che per natura o frequenza possono rappresentare una violazione grave dei diritti fondamentali
(diritto alla vita, divieto di tortura, schiavitù e principio di legalità, quindi la privazione all’individuo di
diritti che attengono alla possibilità di avere giustizia in maniera equa)
• sul punto, vedi art. 9 direttiva qualifiche e giurisprudenza della Corte di giustizia sugli atti di
persecuzione

Carenza o ineffettività della protezione nel Paese d’origine


• Valutazione che guarda all’ordinamento giuridico e della sua capacità di proteggere i diritti
fondamentali dell’uomo
• Però, alternativa della ‘fuga interna’ verso una zona del Paese che sia sicura e accessibile da parte
dell’interessato (attenta valutazione delle informazioni ufficiali)
Per quanto riguarda la condizione per cui il paese d'origine non è in grado di offrire protezione all'
individuo, ciò che va valutato e la carenza inefficacia nel sistema di protezione che questo stato in grado di
mettere in piedi. Questa valutazione consegue all'esame dell'ordinamento giuridico di quel determinato
stato, verificando, quindi, che si tratti di uno stato che dà garanzie ai propri cittadini e, inoltre, viene data
grande attenzione alle tutele che vengono offerte alla persona nell’esercizio dei suoi diritti fondamentali.
Non sempre la verificata carenza può Realizzare la condizione necessaria per diventare il rifugiato perché
esiste un'alternativa, prevista dal diritto dell'unione, Ovvero la cosiddetta “fuga interna” che si verifica
quando l'individuo e in grado di spostarsi all'interno del suo paese d'origine in una zona in cui, invece, è
possibile la sua protezione. in questo caso non è realizzata la condizione di paese non è in grado di fornire
protezione all' individuo.

Esclusione dalla concezione della protezione internazionale


Due ipotesi in linea con la convenzione di Ginevra:
• Possibilità di ottenere una protezione alternativa (ambito ONU, ma non l’Alto Commissariato per i
rifugiati), finché dura ( protezione UE)
Qualora ciò sia possibile non viene concesso lo status di rifugiato dentro l’UE, invece, quando la protezione
offerta in ambito ONU viene meno può essere concessa la protezione dell’UE

• Situazioni soggettive di indegnità (es., crimini internazionali, terrorismo e suo favoreggiamento), da


valutare individualmente  permane però il non refoulement
Non viene, inoltre, concessa la protezione internazionale per situazioni che riguardano l'indegnità
personale.
ovvero, quando un soggetto ha commesso crimini internazionali o terrorismo. l'aver commesso reati gravi
da vita ho un'indennità che ostacola l'ottenimento della protezione internazionale
Il principio di non refoulement è professato dalla convenzione di Ginevra che, nel contenuto, afferma:” un
individuo non può essere restituito al paese d'origine, rimpatriato, laddove là rischi forme di persecuzione”
con ciò, non si restituisce l'individuo al paese d'origine e allo stesso tempo non gli si può concedere la
protezione internazionale.

Il diritto dell'unione prevede, inoltre, un'altra ipotesi, non in linea con la convenzione di Ginevra:
• Pericolosità dell’individuo per lo Stato di destinazione (che comunque mantiene la tutela minima
apprestata dalla convenzione di Ginevra  refoulement)
Si prende in considerazione Ipotesi che l'individuo, una volta giunto nello Stato membro, ponga problemi di
pericolosità sociale. Quest’ipotesi è molto simile alla situazione di indegnità, ma è diversa in quanto prende
in considerazione l'ipotesi che l'individuo abbia già un legame con lo stato di destinazione o che siano
accaduti dei fatti pregressi che hanno visto l'individuo allontanarsi per poi tornare e chiedere la protezione
internazionale.

Titolari di protezione sussidiaria e altri soggetti protetti


La Protezione sussidiaria:
• Prevista dal diritto dell’UE (oltre la convenzione di Ginevra) in assenza di persecuzioni ma in presenza di
potenziale grave danno alla persona
• È una garanzia in più a favore dei cittadini degli Stati terzi
• Può essere concessa se non è attribuibile lo status di rifugiato (dunque, è alternativa)

Un grave danno è un grave pregiudizio alla vita o all'incolumità personale, cui c’è un forte aggancio al diritto
internazionale dei diritti umani, quindi alle convezioni internazionali e alla giurisprudenza delle corti che
sono poste a tutela dei diritti umani, come la corte europea dei diritti dell’uomo.
Tendenzialmente, sono tre le ipotesi in cui trova espressione il grave danno:
1. Condanna o esecuzione della pena di morte
2. Tortura o trattamento analogo
3. Minaccia alla vita in situazioni di conflitto armato

Esclusione dalla protezione sussidiaria


È esclusa la concessione della protezione sussidiaria quando ricorrono cause simili (ma non identiche) a
quelle relative allo status di rifugiato. Nel caso della commissione di reati gravi, non c’è limitazione
geografica (che, invece, sussiste nel caso dei rifugiati)

Per esempio, nella causa di indegnità, viene aggiunta l'ipotesi della commissione di reati gravi senza
limitazione geografica, in quanto, nei casi dei rifugiati, si pensa che questi reati siano stati commessi nello
stato in cui si intende chiedere la protezione internazionale, mentre per avere la protezione sussidiaria,
anche se non si e commesso alcun tipo di reato nello stato in cui si richiede la protezione, viene comunque
sporcata la fedina penale.

Inoltre, non c’è protezione sussidiaria se lo straniero fugge dalla giustizia del suo Paese, per non consentire
il rispetto delle regole democratiche.

Per quanto riguarda la protezione temporanea


• Destinata agli sfollati, cioè coloro che, collettivamente, abbandonano il loro Paese senza possibilità di
rimpatrio a breve periodo
• Dunque, gruppi di persone e protezione provvisoria (1 anno, rinnovabile di 1) in attesa della
«normalizzazione» del Paese d’origine  rispetto a tale evento può cessare anticipatamente
Questo tipo di protezione viene concesso inizialmente per un anno ed è poi rinnovabile di un altro anno,
perché si considerano i tempi di normalizzazione del paese d'origine. Se la normalizzazione del paese
avviene prima della scadenza della concessione della protezione temporanea viene meno anche la
protezione stessa.
Se, ad esempio, Non si è arrivati a compiere il primo anno ma 8 mesi, la situazione è tale per cui gli sfollati
possono rientrare nel paese di origine ed automaticamente cessa la protezione temporanea.

• È cumulabile con altre forme di protezione internazionale


• Vale in tutti gli Stati dell’UE (cd. «status europeo»)
• Non c’è prassi attuativa ( decisione del Consiglio) – la dir. 2001/55 prevede che la distribuzione deve
tenere conto di più elementi individuali e ‘statali’

A differenza della protezione sussidiaria, la protezione temporanea è cumulabile con le altre forme di
protezione internazionale, quindi un individuo può essere qualificato come rifugiato e titolare di protezione
temporanea in quanto parte di un gruppo che si è sfollato.
Lo status di titolare di protezione temporanea è europeo, cioè vale in tutti gli Stati membri dell'unione
europea. non c'è prassi su questo tipo di protezione, nel senso che per poter concedere questa protezione
e necessaria l'emanazione di una decisione del consiglio che non è mai stata attuata.

La direttiva 2001/55, che interviene in materia di sfollati, prevede che qualora si verifichi l'ipotesi di un
passaggio di un grande numero di persone, si deve prevedere la distribuzione, per una questione di equa
solidarietà e ripartizione di responsabilità tra gli Stati dell'UE Area Schengen. Questa distribuzione non può
avvenire in termini numerici, ma deve seguire dei criteri che sono sia individuali che statali.
Per individuali abbiamo, ad esempio, il rispetto dei rapporti familiari degli sfollati, mentre per statali si
intende la capacità effettiva di ciascuno Stato membro di poter accogliere un gruppo di sfollati.

Ulteriori forme di protezione


• Gli Stati possono ampliare (a più tipi di beneficiari) la protezione concessa dall’UE
• Gli Stati possono concedere una protezione complementare (in più) su base nazionale (diritto interno),
dunque distinta da quella europea
Esistono, inoltre, ulteriori forme di protezione non europee. Innanzitutto, gli Stati membri possono,
nell'ambito della loro discrezionalità, ampliare il novero dei beneficiari della protezione concessa dall’UE.
L’UE chiede soltanto che venga concessa agli individui che presentano quei determinati requisiti.
Gli Stati possono decidere di istituire una protezione complementare, esclusivamente concepita a livello
nazionale, sulla base della legislazione interna.

I diritti dei beneficiari di protezione internazionale (anche sussidiaria)


 riferimento alla convenzione di Ginevra
 al netto di cause ostative (es, ordine pubblico)
I diritti dei beneficiari di protezione internazionale riguardano il tipo di trattamento che lo straniero riceve
nel momento in cui chiede protezione internazionale. I diritti del richiedente di protezione internazionale
sono allineati a quanto prevede la convenzione di Ginevra sui rifugiati, anche se è stata inserita la
previsione che per determinate ragioni, quali pubblica sicurezza o sanità pubblica, può esserci una
riduzione dei diritti concessi ai richiedenti di protezione internazionale.

1. Non refoulement, ovvero il diritto al non essere rimpatriati in uno stato in cui c’è il rischio di subire
persecuzioni e mettere a rischio la propria incolumità personale.
2. Diritto di soggiorno (per se stessi e per i propri familiari)  permesso di soggiorno. Lo stato può
concedere un permesso di soggiorno ai familiari che esercitano il diritto di rimanere nello stato.

3. Diritti «in più»: es., unità del nucleo familiare, accesso al lavoro, istruzione, circolazione nello Stato
ospitante – su base paritaria nazionale (efficacia diretta) o con gli altri stranieri
Tra i diritti in più c’è l’unità del nucleo familiare, che assicura di non essere separati dalla propria famiglia.
Inoltre, c’è la possibilità per i richiedenti di protezione internazionale di poter accedere al mercato del
lavoro e poter ottenere un occupazione. Il diritto di istruzione, soprattutto per i minori che necessitano di
un ulteriore educazione e, infine, la possibilità di poter circolare nello stato ospitante, la persona non deve
rimanere ferma nel punto in cui è stata collocata, ma può circolare liberamente, come gli altri cittadini.
Questo è concesso nell’idea che il trattamento del richiedente di protezione internazionale debba avvenire
su base paritaria con i cittadini dello stato che lo ospita o dagli stranieri già presenti. Questo tipo di
indicazione, proveniente dalla normativa derivata, è una disposizione avente efficacia diretta, quindi
l’individuo può invocare davanti al giudice un provvedimento che lo riguarda e che lo veda trattato
diversamente dai cittadini dello stato ospitante o dagli altri stranieri già presenti.

Segue: studio individuale


• Diritto all’assistenza sociale (pp. 86-87)
• Diritto al ricongiungimento familiare (pp. 87-91)

I soggetti esclusi dalla protezione internazionale


Sono soggetti esclusi dalla protezione internazionale, non solo coloro che non presentano le condizioni per
poterla ottenere, ma anche coloro che presentano un legame con un Paese “sicuro”, ovvero nel quale
possono ricevere adeguata e alternativa protezione (cd. «Paese sicuro»)

Ci sono 4 fattispecie di “stato sicuro”:


• Stato terzo sicuro (assenza di rischi, non refoulement, rispetto della convenzione di Ginevra).
L’individuo arriva da uno stato terzo all’UE dove non è presente alcun tipo di rischio.
• Paese terzo europeo sicuro (non membro dell’UE, ma analogo allo Stato terzo sicuro). Gli stati europei
che non siano parte dell’UE, ad esempio l’UK, ma che presentino lo stesso grado di garanzia di
sicurezza.
• Paese di primo asilo (non europeo e garante di protezione). Un paese non europeo che ha concesso
asilo alla persona che, successivamente, chiede protezione all’UE, la quale viene negata in quanto è già
tutelato da uno stato che gli ha già concesso asilo.
• Paese di origine sicuro (salvo prova contraria fornita dall’interessato). Qualora l’individuo arrivi da un
paese, il proprio paese d’origine, che viene considerato sicuro, salvo che la persona non dimostri di
mettere a rischio la propria incolumità.

Lo Jus Migrandi dell’UE: Lo status di richiedente


La tutela a favore del richiedente protezione internazionale:
Il richiedente è colui che ha presentato la domanda di protezione internazionale, sussidiaria o temporanea,
ma non ha ancora ricevuto una domanda relativa alla sua domanda. Se, invece, gli fosse stato concessa
protezione verrebbe definito come “beneficiario”.

1. Riguarda coloro che hanno richiesto protezione, senza che sia ancora intervenuta una decisione
definitiva
2. Garantisce il suo accesso effettivo alla protezione
3. I richiedenti possono restare regolarmente nello Stato ospitante che esamina la domanda di protezione
4. In caso di esito negativo, il soggiorno dura fino alla scadenza del termine per ricorrere o fino all’esito
del ricorso
5. Nel caso di più richieste di protezione ritenute inammissibili, può venir meno il soggiorno
6. È comunque fatto divieto di refoulement

Il fatto di prevedere che lo status di richiedente sia uno status particolare e ben disciplinato costituisce la
garanzia per la persona di avere, se ha i requisiti, l’accesso effettivo alla protezione internazionale.
Nel periodo tra la domanda e la decisione sulla domanda, il richiedente può rimanere regolarmente nello
stato che lo sta ospitando e che sta esaminando la domanda di protezione internazionale. La permanenza è
in loco. Nel caso in cui la domanda porti a un esito negativo il soggiorno resta sempre un diritto ma fin tanto
che sia possibile mettere in discussione la domanda di esito negativo. Ovvero, se un richiedente riceve
risposta alla sua domanda in termini di niego della protezione internazionale, poiché gli vanno riconosciuti i
diritti di legalità, e pertanto la possibilità di mettere in discussione la decisione, la può impugnare,
ricorrendo davanti all’autorità prevista a livello internazionale. Il soggiorno dura finche dura l’esperimento
del ricorso e fino al suo esito che se negativo toglie la possibilità alla persona di beneficiarne.
Quando le richieste di protezione internazionale sono tante e sono tute inammissibili, in quanto non
presentano i presupposti, può venir meno il diritto di soggiorno.

In attesa dell’esito sulla domanda di protezione, al richiedente spettano dei diritti di accoglienza.
In particolare:
• diritto di informazione sui benefici connessi allo status di richiedente. Perciò la persona deve essere
informata dei propri diritti e le sue prerogative.
• diritto alla documentazione attestante lo status, in quanto ciò costituisce il documento d’identità o
l’integrazione del documento d’identità che la persona già possiede e che gli permette di circolare
liberamente nello stato che lo sta ospitando.
• residenza e circolazione nello Stato ospitante (o sua porzione). A volte è permesso lo spostamento
all’interno di una porzione dello stato, come le regioni, se le condizioni specifiche lo richiedono.
• tutela del nucleo familiare presente e istruzione per i minori (no ricongiungimento, che consegue
all’esito della domanda). Con “presente” si fa riferimento all’impossibilità del richiedente di asilo di
chiedere di farsi raggiungere dalla propria famiglia. Non è possibile il ricongiungimento con familiari
all’esterno del paese che lo sta ospitando.
• Accesso al mercato del lavoro. Lo stato ospitante deve garantire le condizioni materiali dell’accoglienza.
Deve garantire un sostentamento minimo dignitoso alla persona: vitto, alloggio, spese giornaliere.
Anche se non sempre viene garantito a tutti.

Lo Stato ospitante deve garantire delle condizioni materiali di accoglienza:


• Sostentamento minimo dignitoso (es., vitto, alloggio, spese giornaliere, etc)
• Importo giornaliero deciso a livello nazionale, ma corrispondente a un minimo atto a garantire un livello
dignitoso di vita e a preservare l’unità familiare
• Non viene concesso a coloro che dispongano di proprie risorse sufficienti

Può essere previsto il pagamento di un’indennità giornaliera il cui ammontare, deciso a livello nazionale e
non europeo, deve garantire una vita dignitosa per se e la famiglia. Questo tipo di trattamento non viene,
ovviamente, concesso a chi ha risorse sufficienti. Può essere ridotto nel caso in cui c’è un temporaneo
esaurimento delle capacità di alloggio da parte dello stato membro.

Riduzione e revoca
Riduzione
• in via eccezionale, in caso di temporaneo esaurimento delle capacità di alloggio
• sicuramente in caso di mancato rispetto delle condizioni poste per il riconoscimento della protezione
Revoca
• «abuso» (es., occultamento delle risorse che, se emerse, non darebbero diritto ai benefici)
Tali misure sono adottate con decisione individuale, motivata e rispettosa di esigenze specifiche (ed è
anche impugnabile!)

C’è una clausola relativa alla condotta del richiedente che, se non rispetta le condizioni poste per il
riconoscimento della protezione, nel momento in cui sta aspettando la decisione, possono essere ridotti, o
del tutto revocati, i diritti che gli spettano. La revoca completa della protezione si ha a seguito ad un abuso,
ovvero che il richiedente d’asilo abbia fatto richiesta producendo dei titoli falsi o occultando delle risorse
che, se verificate, non gli avrebbero dato il diritto ai benefici connessi allo status di richiedente.

I minori non accompagnati


• Ipotesi di minori giunti nello Stato ospitante senza i propri familiari
• Lo Stato ospitante deve mobilitarsi per rintracciare i familiari
• Accudimento nel rispetto del principio del «best interest del minore»

È abbastanza comune che i richiedenti di asilo siano minori e che non siano accompagnati da familiari.
Lo stato che sta ospitando il minore deve mobilitarsi al fine di potere rintracciare i familiari, anche per
comprendere il motivo per cui non sia stato accompagnato, e se ci siano persone che hanno la
responsabilità in termini familiari.
In attesa della decisione della concessione della protezione internazionale, e dei benefici che essa
comporta, il minore deve essere accudito in maniera particolare. La convenzione di New York del 1984 sui
diritti del fanciullo detta le regole internazionali, riguardanti i diritti e i pochi obblighi dei minori, professa il
principio fondamentale del best interest del minore, ovvero l’interesse preminente dei minori, il cui vuole
che ogni qual volta si assuma una decisione su un minore, il primo criterio da guardare è che venga
realizzato ciò che è di interesse per il minore, e successivamente possono essere prese in considerazione
altri elementi.
Il trattenimento del richiedente
Riguarda l’ipotesi in cui il richiedente protezione sia privato della libertà di circolazione e che, pertanto, sia
costretto a rimanere in un posto. Ciò può avvenire in 2 casi:
• in casi eccezionali e sulla base di una valutazione individuale. Possono esserci diverse cause per cui si
richiede che l’individuo, in attesa di capire se benefici della protezione internazionale, non possa
beneficiare della fondamentale libertà di circolare.
• in assenza della possibilità di assumere misure alternative per conseguire il medesimo fine

All’interno del diritto dell’unione troviamo le principali cause di trattenimento:


• Necessità di identificare il richiedente. Senza identificazione non è possibile il proseguimento della
pratica relativa alla protezione internazionale richiesta dall’individuo.
• Accertamento dei requisiti per la protezione che richiedano la presenza (dunque, rischio di fuga).
È necessaria la presenza della persona al fine di verificare i requisiti per la domanda di protezione.
• Necessità di decidere sul diritto del richiedente a entrare nello Stato ospitante.
• Nelle more di una procedura di rimpatrio. Se l’individuo non ottiene protezione internazionale può
essere trattenuto dallo stato per poi essere rimpatriato.
• Sicurezza nazionale o ordine pubblico
• Rischio notevole di fuga ai fini dell’accertamento della competenza e del trasferimento ( Dublino III).
L’ipotesi riguarda la possibilità che il rischio di fuga impedisca di accertare la competenza dello stato
che dovrà decidere sulla domanda di protezione internazionale.
Ogni qualvolta si limita il diritto di un individuo bisogna dargli la possibilità di difendere il proprio diritto
davanti ad una sede, a un giudice o autorità. Non è possibile limitare i diritti di un individuo senza dargli la
possibilità di difendersi.

Per quanto riguarda i diritti procedurali e giurisdizionali del richiedente trattenuto


• Procedurali: il richiedente trattenuto ha diritto a un provvedimento scritto e motivato che lo dichiara
trattenuto e, pertanto, può essere sindacato davanti a un giudice se si presume che sia illegittimo.
Inoltre, ha diritto all’informazione in una lingua comprensibile.
• Giurisdizionali: il richiedente trattenuto ha diritto a un provvedimento di trattenimento legittimo ed
emanato da una pubblica autorità, in quanto deve essere formale, e ha diritto al riesame del
provvedimento e anche all’assistenza legale.

Condizioni del trattenimento


Di norma, il trattenimento avviene in appositi centri (centri d’accoglienza) o in carcere (in area separata dai
detenuti, tanto da beneficiare di maggiori facilitazioni [es. visite, accesso alle informazioni])
• Soggetti vulnerabili: particolari e maggiormente curate condizioni di trattenimento (si pensi ai minori)
Nel caso in cui il trattenimento riguardasse un minore, o anche categorie vulnerabile (con handicap o
persone di diverso orientamento sessuale) vengono adottati provvedimenti diversi.

Lo Jus Migrandi dell’UE: La competenza a decidere sulla protezione internazionale


Ci sono alcuni stati che non hanno la competenza di poter decidere sulla domanda di protezione
internazionale
• attualmente, il reg. 304/2013 (Dublino III) stabilisce i diversi criteri di definizione della competenza a
decidere sulla domanda di protezione internazionale.
• criterio base: la competenza è, sempre e soltanto, di un solo Stato membro. Non è possibile che la
competenza sulla stessa domanda riguardi più stati. Va stabilito quali di essi sia competente.
Gli altri Stati membri dovranno dunque ‘fidarsi’ della sua valutazione, salvo intendano assumersi la
competenza.
Tra i presupposti formali:
1. Deve essere stata presentata una domanda di protezione internazionale
2. Lo Stato membro che la riceve per la prima vota deve stabilire se sia competente
• se lo è, deciderà sulla domanda

Quali sono i criteri sulla competenza?


I criteri sulla competenza sono ‘blindati’: il richiedente non può decidere a quale Stato membro rivolgerla,
deve rispettare ciò che viene affermato dal regolamento Dublino III.
Sono criteri legati all’idea della principale responsabilità sul richiedente protezione internazionale. Può
essere che lo stato di primo arrivo dello straniero non sia per forza quello competente ma che la
competenza appartenga ad un altro stato.
Ciò che valorizza Dublino III, in termini di criteri della competenza, è di stabilire un legame effettivo tra il
richiedente e la sua situazione individuale e la posizione dello stato che effettivamente può decidere sulla
domanda di protezione internazionale.

I criteri generali sono 3 e vanno applicati in ordine gerarchico, quindi si considera prima il criterio 1, poi il 2
e poi il 3. Il fatto di dover cambiare criterio significa che il criterio precedente non era applicabile.
1. Stato membro idoneo al ricongiungimento familiare ( salvaguardia della famiglia) – con vari
‘sottocriteri’ (p. 112-113)
• attenzione: in caso di minori non accompagnati, va tenuto conto del loro best interest
Se questo criterio non può essere applicabile dato che non c’è un ricongiungimento familiare da effettuare,
si passa al secondo criterio, e così via.

2. Stato membro che ha concesso il soggiorno o il visto di ingresso


• vale anche per autorizzazioni al soggiorno di diritto interno (dunque, non solo di diritto dell’UE)
3. Stato membro di primo ingresso illegale
• criterio da apprezzare entro 12 mesi dall’ingresso illegale – sul ‘favoreggiamento’ da parte di Stati
membri, si veda l’approfondimento di pp. 114-116

In più, alcuni criteri speciali si applicano al fine di garantire la vita familiare, laddove si deve realizzare un
ricongiungimento, e laddove sussista una dipendenza (economica o di altro tipo come quello assistenziale).
esiste l’ipotesi che, rispetto a familiari legalmente residenti in area Schengen, esiste una forma di
dipendenza:
• del richiedente rispetto ai familiari legalmente residenti
• Dei familiari rispetto al richiedente
• La residenza legale dei familiari determina la competenza dello Stato membro
In questo caso l’elemento della dipendenza deve essere assolutamente valorizzato e detta un criterio di
attribuzione della competenza allo stato dove deve avvenire la riunione familiare, primo, in quanto l’unità
familiare è la ragione dell’esistenza di questo criterio, secondo perché, essendoci già dei familiari
legalmente residenti, lo stato in questione risulta competente a decidere sulla domanda di protezione
internazionale.

Ci sono però delle eccezioni, che giuridicamente vengono definite deroghe:


1. Uno Stato membro può discrezionalmente dichiararsi competente al posto dello Stato membro che,
per regola, è competente (clausola discrezionale)
• Presuppone la presentazione di una domanda di protezione nello Stato non competente per regola
• Tale facoltà può basarsi su motivi politici, umanitari o di opportunità (pragmatici)
2. ‘seconda clausola umanitaria’: uno Stato membro che riceve la domanda di protezione può, per
esigenze familiari, chiedere a un altro Stato membro nel quale vivono i familiari del richiedente di
assumersi la competenza – criterio sottoposto all’assenso del secondo Stato
Criteri di competenza
Nel caso in cui i menzionati criteri non offrano soluzioni sulla competenza, esistono dei criteri residuali:
1. Primo Stato membro di presentazione della domanda
2. Stato in cui si svolge la procedura di determinazione della competenza

Il trasferimento del richiedente nello Stato membro competente


Presupposto: poiché il richiedente si trova in altro Stato membro, va trasferito nello Stato membro
competente. Il trasferimento è soggetto a termini, decorsi i quali lo Stato membro in cui si trova il
richiedente diviene lo Stato membro competente
Procedura nel dettaglio (paragrafi da 9.2 a 9.5, pp. 121-128) Lettura attenta

Diritti e garanzie del richiedente protezione


• Il richiedente ha diritto all’informazione in relazione alla sua richiesta in una lingua a lui comprensibile
• Diritto al colloquio personale, in tempi rapidi e prima del trasferimento, in una lingua comprensibile al
richiedente
Nel caso di minori, la procedura è improntata a conseguire il best interest.

Il trattenimento del richiedente


Ai fini dei trasferimento si può rendere necessario che la persona venga trattenuta in un luogo. È disposto
se ci sia (a) pericolo di fuga, se (b) sia necessario ad assicurare il trasferimento e se (c) non siano possibili
misure alternative. Attenzione:
• Il pericolo di fuga deve essere valutato in base a motivi obiettivi, stabiliti a livello normativo nazionale
(la cui adozione è obbligatoria)
• Il trattenimento deve avere la durata minore possibile e non superare quanto necessario a completare
la procedura di trasferimento
Inoltre,
Il provvedimento motivato di trasferimento va notificato al richiedente
• ciò avviene dopo che lo Stato di destinazione ha preso in carico il richiedente (in termini di competenza)
Il richiedente può fare ricorso per ragioni di validità del provvedimento davanti al giudice nazionale dello
Stato in cui si trova. Le ragioni per le quali un provvedimento di trasferimento è illegittimo sono varie:
• Con riguardo alla violazione dei criteri di competenza, quando lo stato a riguardo non è competente
• Rischio di violazione dei diritti fondamentali negli Stati interessati dal trasferimento. Quando i quei
determinati stati ci siano dei pregiudizi che vanno contro ai diritti fondamentali.
• Aspetti procedurali (es., decorrenza dei termini)
• In ogni caso, il fatto di presentare ricorso contro un provvedimento di trasferimento determina degli
effetti sospensivi, quindi, non si può dare esecuzione al provvedimento di trasferimento, per la
tempistica che esso indica, fin tanto che il ricorso non si chiude indicando se il provvedimento di
trasferimento debba essere attuato o no.

Limiti del sistema di Dublino e possibili correttivi


pp. 137-150, studio autonomo
https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/world/20180615STO05927/regole-ue-per-l-asilo-
riforma-del-sistema-di-dublino
https://www.consilium.europa.eu/it/policies/migratory-pressures/eu-asylum-reform/#

Lo Jus Migrandi dell’UE (pp. 150-179): lettura attenta non studio


La procedura per il riconoscimento della protezione internazionale

Lo Jus Migrandi dell’UE: Gli stranieri regolarmente soggiornanti


Per quanto riguarda gli stranieri regolarmente soggiornanti in UE area Schengen possiamo distinguere tra
due tipi di soggiorno legale, entrambi previsti dal TFUE:
• di breve durata (art. 77, par.2, TFUE)
• di lunga durata (art. 79, par.2, TFUE) disciplina derivata più carente
Tra i due, il soggiorno di lunga durata ha ricevuto una disciplina derivata più carente rispetto a quello di
breve durata. In ogni caso si tratta di una disciplina europea che necessita di attuazione nazionale in quanto
è in buona parte formata da direttive.

La disciplina europea non comprende


(dunque, restano nella competenza nazionale)
• i volumi di ingresso
• l’acquisto della cittadinanza nazionale (da cui discende la cittadinanza europea!)

La circostanza che esista una competenza europea nella definizione dei tipi di soggiorno legali nell’UE Area
Schengen, non completa tutte le possibilità che la normativa derivata può disciplinare nel senso che ci sono
materie che sfuggono alla competenza europea. Tra queste materie, due sono particolarmente importanti:
restano nella competenza statale i volumi di ingresso, che fa sì che ciascuno stato membro può stabilire il
volume sostenibile di immigrazione di cui può farsi carico, ovvero quanto può essere accogliente.
Inoltre, resta della competenza nazionale la disciplina dell’acquisto della cittadinanza per cui, il diritto
dell’unione, anche a di fronte dell’arrivo dello straniero che permane legalmente per diverso tempo, non
può intervenire nel definire quando possa chiedere la cittadinanza dello stato che lo sta ospitando

Corredo degli atti principali


• CFS, in quanto l’area Schengen regola il soggiorno legale
• Dir. 2011/98, sul permesso unico
• Dir. 2003/109, sui soggiornanti di lungo periodo
• Dir. 2003/86, sul ricongiungimento familiare, che è direttamente collegato all’individuo che chiede
protezione, in quanto costituisce un fattore di integrazione.
• CAAS - Convenzione di applicazione degli accordi di Schengen
• Direttive settoriali, riguardanti varie materie come lavoro o studio

Condizioni e durata del soggiorno


• Per i soggiorni brevi, con durata max di 90 giorni, è necessario possedere un visto Schengen, rilasciato
dalle autorità nazionali degli stati membri presso stati terzi (in ambasciate e consolati)
• Per i soggiorni lunghi la durata dipende dalla direttiva settoriale che entra in gioco. Ci sono varie
direttive, che distinguono in base all’attività che lo straniero svolgerà in uno Stato membro, con ampio
margine di attuazione a livello nazionale

Soggiorno per motivi di lavoro


È piuttosto comune che il soggiorno legale sia legato a motivi lavorativi (tra cui studio, ricerca scientifica).
Questo tipo di soggiorno ha 2 discipline di riferimento:
1. Dir. 2011/98 (disciplina generale), prevede il:
Permesso unico (lavoro e soggiorno)
Parità di trattamento (poco derogabile). Nel momento in cui lo straniero entra legalmente in area
Schengen per motivi lavorativi, su base paritaria ha diritto a tutto ciò cui hanno diritto i cittadini dello stato
che lo ospita. Non può, per la sua provenienza extra-UE, essere trattato differentemente. La parità di
trattamento è un principio generale di diritto dell’unione che attiene direttamente al divieto di
discriminazione ed è, oggi, considerata una norma internazionale.
2. Direttive settoriali (discipline specifiche: studio, ricerca, studenti)
Attenzione alle esigenze di ordine interno che possono impedire l’ingresso di stranieri

Rispetto al soggiornante di lungo periodo, il diritto dell’unione chiede che, per poter acquisire lo status di
soggiornante di lungo periodo:
• Il soggiorno deve durare almeno 5 anni, non per forza senza interruzioni. Sono consentite assenze, ma
non superiori a 6 mesi e in questi 5 anni non deve assentarsi per più di 10 mesi, in quanto il soggiorno
di lungo periodo è basato sulla presenza effettiva sul territorio.
• Rappresenta uno strumento di integrazione sociale in quanto mette la persona alla pari dei cittadini.
• Per poter ottenere questo status è richiesto il possesso di risorse stabili e regolari, sufficienti al
sostentamento, e di assicurazione di malattia (requisiti non ampliabili)
• Possibilità di porre, a livello nazionale, una ‘condizione di integrazione’ (es, lingua e cultura locali) e il
possesso di un alloggio.
È capitato che alcuni stati membri abbiano fissato, come regole per l’ottenimento dello status di
soggiornante di lungo periodo, lo svolgimento di un test o di una prova che rivelasse il grado di
conoscenza della lingua e della cultura dello stato ospitante.
Una volta che lo status di soggiornante di lungo periodo è stato ottenuto il soggiornante ha dei diritti:
• ha diritto al permesso di soggiorno, rinnovabile su sola richiesta
• Può essere sottoposto a misure di integrazione (diverse dalle ‘condizioni di integrazione’) che lasciano
però impregiudicato lo status ottenuto
• La scadenza del permesso di soggiorno non fa venir meno lo status (che, invece, viene meno in casi
specifici)
• Può essere allontanato per ragioni di ordine pubblico
• Ha diritto alla parità di trattamento in molti aspetti della vita quotidiana
• Può circolare e trasferirsi nell’Area Schengen

Il ricongiungimento familiare dello straniero con prospettiva di soggiornare in modo stabile


L’arrivo di uno straniero pone il problema della sua potenziale solitudine. La disciplina per il
ricongiungimento familiare per lo straniero che può legalmente permanere in area Schengen è la Dir.
2003/86.
Per poter chiedere il ricongiungimenti familiare:
• Serve un titolo di soggiorno di almeno 1 anno
• Vale anche per i rifugiati (non per altre categorie, es. i richiedenti)
• Possibili condizioni aggiuntive di origine nazionale, da interpretare restrittivamente e senza pregiudizio
per la vita familiare (sugli ulteriori requisiti: studio autonomo di pp. 202-206)
In materia di requisiti per ottenere il ricongiungimento familiare c’è un grande margine di discrezionalità
degli stati in attuazione della direttiva e, pertanto, possono esserci delle condizioni aggiuntive poste dagli
stati. Però, nella misura in cui gli stati membri pongano delle condizioni aggiuntive, queste devono essere
interpretate restrittivamente, quindi non devono essere tali da ostacolare il ricongiungimento familiare per
il lungo periodo. Le condizioni aggiuntive devono mantenere l’unità familiare.

• Gli Stati membri possono prolungare il periodo (fino a 3 anni) dopo il quale può avvenire il
ricongiungimento familiare. Il ricongiungimento, che di norma può avvenire dopo 1 anno, può essere
prolungato fino a 3 anni
• L’ingresso dei familiari non è consentito per ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità
pubblica

Nell’ipotesi in cui lo straniero, legalmente residente in area Schengen, venga ricongiunto alla propria
famiglia, la Dir 2003/86 individua due tipi di familiari:
1. (familiari più stretti) Coniuge e figli minori non coniugati: devono essere ricongiunti (vedi però l’ipotesi
del matrimonio poligamo e dei figli minori ma con età indicate dalla direttiva – p. 208-209).
Gli ordinamenti giuridici degli stati terzi non sono tutti uguali. Sono previste delle varie forme familiari, tra
cui la poligamia, costituzionalmente legittimo in alcuni stati terzi, che, in area Schengen, genera un
problema di contrasto tra gli ordinamenti giuridici, ciascuno dei quali può non essere disposto a riconoscere
quanto l’altro prevede. Dal momento che all’interno dell’ordinamento giuridico degli stati membri non è
previsto il matrimonio poligamo, quando si tratta di effettuare un ricongiungimento con coloro che, invece,
hanno contratto matrimoni poligami, questo spetta solo alla prima moglie e solo ai figli, minori e non
coniugati, avuti con la prima moglie. In questo caso la normativa è altamente lacunosa perché divieta il
ricongiungimento dalla seconda moglie in poi, mentre diverso è il caso dei figli, in quanto si tratta di legame
di sangue. L’UE esorta gli stati membri a favorire il più possibile il ricongiungimento per non minare il
legame che esiste tra genitori e figli (pp 208-209)
2. Sono considerati familiari gli ascendenti di I grado a carico, figli adulti non coniugati con esigenze di
salute e conviventi stabili: esso possono essere ricongiunti
Diritti dei familiari ricongiunti
Per quanto riguarda la presenza dei familiari ricongiunti, una volta arrivati nello stato ospitante, vengono
loro riconosciuti una serie di diritti.
• Accesso al lavoro e ai vantaggi sociali
• Dopo 5 anni, si ottiene un permesso di soggiorno autonomo, indipendente dai familiari (le cui regole
sono nazionali, dunque subordinabile a ‘verifiche di integrazione’)

Circolazione e soggiorno in altro Stato membro

La possibilità di circolazione è prevista dall’art. 45, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali: possibilità per
i soggiornanti a titolo legale
L’UE deve, però, legiferare a riguardo e, in tal senso, le norme europee prevedono la circolazione per breve
durata a favore di:
• Stranieri con visto uniforme
• Stranieri non soggetti all’obbligo di visto
• Stranieri con titolo di soggiorno di lunga durata attribuito a livello nazionale

Quanto alla circolazione e al soggiorno di lunga durata, è disciplinata da singole direttive rivolte a specifiche
categorie di lavoratori (no regole generali)
I soggiornanti di lungo periodo beneficiano di tale diritto, anche se a livello nazionale possono essere fissate
delle quote d’ingresso.
Una volta acquisito lo status di lungo periodo nel nuovo Stato, il precedente status è perso. È incluso il
diritto al ricongiungimento familiare.

Lo Jus Migrandi dell’UE: gli stranieri in condizione di soggiorno irregolare


Cambio di ipotesi rispetto alla precedente
Nell’ipotesi in cui lo straniero è presente irregolarmente in uno Stato membro.
Lo Jus Migrandi dell’UE comprende anche il contrasto all’immigrazione clandestina, non solo in termini di
respingimento in quanto al fenomeno dell’immigrazione clandestina è collegato il fenomeno delle
organizzazioni criminali, ovvero la criminalità che si organizza attorno al traffico di persone che, in cambio di
utilità di vario genere, organizza gli spostamenti, a volte illudendo i migranti e ponendoli anche in situazioni
di difficoltà economica.
• Lotta all’immigrazione clandestina (e alla criminalità organizzata a essa collegata)
• Rimpatrio dello straniero irregolare
la circostanza che uno straniero sia presente in area Schengen, non possedendo i presupposti per poter
chiedere delle forme di protezione internazionale, pone il problema del suo rimpatrio.

Le Norme di riferimento a livello di diritto primario vigente: artt. 82-89 TFUE (materiale)
• Trattasi di basi giuridiche atte al contrasto della criminalità che agisce anche sull’immigrazione,
sfruttandola

Tra il diritto derivato, rilevante è la Dir. 2008/115, cosiddetta direttiva rimpatri


Testo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32008L0115
• realizza nell’Area Schengen un’armonizzazione minima in materia, lasciando ampio spazio di attuazione
nazionale. È tendenzialmente simile in qualsiasi stato membro ma è comunque presente un ampio
livello di discrezionalità.
• Ogni provvedimento attuato a seconda della discrezionalità di ogni stato membro deve essere sempre
nel rispetto dei diritti fondamentali della persona e del non refoulement, nonché di esigenze specifiche
(es, best interest del minore)

La Dir. 2008/115 (rimpatri) non esclude/consente la qualificazione del soggiorno irregolare come reato,
purché non ostacoli l’obiettivo della direttiva (il rimpatrio!)
 Caso El Didri (focus nel libro)
Tale scelta è nazionale

Tra i destinatari della Dir. 2008/115 (rimpatri) troviamo:


• Cittadini Stati terzi presenti senza rispettare le regole relative alla presenza
• Dunque, no richiedenti protezione (non sono irregolari!)
• però in caso di rifiuto della protezione, il soggiorno diviene irregolare e bisogna provvedere al
rimpatrio
• Inoltre, se il richiedente fa ricorso contro la decisione di rifiuto, il rimpatrio deve essere sospeso

Dir. 2008/115 (rimpatri) e alcuni tipi di destinatari


• Trattasi di destinatari esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva
Familiari stranieri di cittadini UE che si sono spostati in altro Stato membro (ricongiungimento familiare)
Però: se il cittadino UE non si sposta, il ricongiungimento familiare può fondarsi sull’art. 20 TFUE sulla
cittadinanza UE
Ampia giurisprudenza, ma …considerazione della dipendenza… alta considerazione della vita familiare
Infine, in assenza di spostamento o dipendenza, il familiare può essere rimpatriato (dir. 2008/115),
perché non trova applicazione alcuna altra norma

• sono esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva i cittadini (e loro familiari) di Stati Schengen non
UE (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera)
Sono esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva i cittadini alcune categorie di familiari. Innanzitutto, i
familiari cittadini di stati terzi che sono cittadini dell’UE (fuori dall’area Schengen). Sono esclusi dall’ambito
di applicazione della direttiva rimpatri, quindi coloro che non vanno rimpatriati, i familiari dei cittadini
dell’UE che si siano spostati dentro l’unione. Il presupposto è che il cittadino dell’UE abbia esercitato il
diritto di circolazione, disciplinato dal diritto dell’Unione, e che, successivamente, abbia esercitato il diritto
di ricongiungimento familiare. A quel punto lo straniero, cittadino di stato terzo, che raggiunge il cittadino
dell’unione, suo familiare, lo fa legalmente. Il problema, invece, sorge se il cittadino straniero non si sposta
dal proprio stato membro in quanto, affinché si possa invocare il diritto dell’Unione bisogna spostarsi.

Se non c’è dipendenza tra il cittadino di uno stato terzo e il familiare e non esiste una particolare esigenza di
unità familiare non sussistono i requisiti per poter far trattenere legalmente lo straniero nel territorio
dell’Unione anche se, pur non trovando applicazione nel diritto dell’Unione, nulla esclude che ciascun stato
membro autonomamente decida che, in assenza dell’applicazione del diritto dell’Unione quando non
sussistono forme di dipendenza, il cittadino possa ricongiungersi sulla base, però, di una normativa
nazionale.
Sono, altresì, esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva i cittadini degli stati Area Schengen non UE
Ovvero Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera, così come i loro familiari.

Altri destinatari individuati dagli Stati membri – lo consente la Dir. 2008/115


• Es, i frontalieri (stranieri scoperti in prossimità di frontiere)
• Es, soggetti in estradizione
Invece, sono considerati nella direttiva rimpatri i cosiddetti frontalieri, ovvero gli stranieri scoperti in
prossimità di frontiere e i soggetti in estradizioni, ovvero coloro che hanno a loro carico una procedura di
estradizione in quanto hanno commesso un reato.

Il rimpatrio
La dir. 2008/115 prevede che il rimpatrio avvenga in condizioni dignitose, dunque offre diverse possibilità
(intensità graduale crescente):
• Rimpatrio volontario (pp. 239-243 attenta lettura autonoma), la cui effettuazione è lasciata al consenso
del destinatario, ovvero lo straniero volontariamente decide di rimpatriarsi entro il termine previsto
• Rimpatrio coattivo (con varie modalità, a seconda della situazione), in questo caso devono essere
attuate una serie di modalità per realizzare il rimpatrio dello straniero:
Ci sono due step della procedura di rimpatrio:
1. Accertamento presenza irregolare
2. Decisione di rimpatrio, che deve essere un atto motivato, e adottato secondo una procedura equa

• In alternativa al rimpatrio, lo Stato membro può rilasciare un permesso di soggiorno per motivi
caritatevoli, umanitari o di altra natura (protezione complementare)

Non è per forza necessario rimpatriare lo straniero se ricorrono le condizioni di cui alla direttiva perché,
comunque, lo stato membro nel quale lo straniero irregolare si trova può decidere di concedergli un
permesso di soggiorno di tipo nazionale, quindi rilasciato al di fuori della disciplina dell’Unione, e può farlo
per vari motivi, caritatevoli o umanitari, politici etc.

Inoltre, ci sono 3 casi in cui non deve essere adottata la decisione di rimpatrio
Lo straniero ha un permesso di soggiorno rilasciato da altro Stato membro, nel quale lo straniero dovrà
recarsi pena il rimpatrio
Lo straniero può essere accolto da altro Stato membro in base ad accordi bilaterali
Il rinnovo del permesso di soggiorno è in corso (eventuali ritardi amministrativi)
La decisione di rimpatrio può prevedere Il divieto di ingresso, ovvero l’impossibilità che lo straniero ritorni
dal luogo dal quale è stato rimpatriato.
La decisione di rimpatrio può contenerlo, prevedendolo per un periodo di tempo determinato dal
momento (dies a quo) in cui lo straniero è ripartito
• Quanto tempo dura il divieto d’ingresso? Decidono gli Stati membri, ma al massimo 5 anni
• Oltre 5 anni nel caso di ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sicurezza nazionale)
• Validità: per tutti gli Stati membri (cd. dimensione europea) – però: uno Stato membro può ‘esentarsi’

In ogni caso, il divieto di ingresso deve essere necessariamente previsto se:


• Lo straniero ha un termine per rientro volontario, ma non lo ha rispettato.
• Lo straniero non ha rispettato il termine assegnatogli per rientro volontario

Un’altra ipotesi, lasciata alla discrezionalità degli stati membri, si ha quando il divieto d’ingresso può essere
facoltativo, quindi non accompagnato dal divieto d’ingresso.
Qualora si giunga ad un rimpatrio di valore coattivo, quindi ad un allontanamento vero e proprio, lo
straniero viene fisicamente accompagnato da un vettore (aereo) che procede al rimpatrio.
Il rimpatrio coattivo è ostacolato qualora si preveda che lo straniero possa subire un pericolo per la propria
incolumità, ma se ciò non dovesse avvenire si procederebbe con il rimpatrio.

In attesa del rimpatrio coattivo lo straniero può essere trattenuto in carcere ma non riguarda un
trattamento di tipo penale, bensì strumentale al fine di garantire il successo del rimpatrio, pertanto, si
evitano i rischi della probabile fuga della persona. In quanto la detenzione non ha carattere punitivo lo
straniero viene collocato in un area diversa ai detenuti. Nel caso in cui allo straniero venga ritirato il
passaporto non c’è bisogno di dover ricorrere al carcere in quanto lo straniero non potrà mai scappare
senza essere munito di un documento valido per l’espatrio.

Le condizioni di trattenimento devono avvenire in base ai seguenti punti:


• Rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo
• Best interest del minore (ambiente protetto, gioco, istruzione)
• Diritto di comunicare
• Diritto di visita
• Cure mediche adeguate (lo straniero è sotto la giurisdizione nazionale, che deve garantire il diritto alla
salute a tutti)
• Diritti processuali legati al provvedimento di rimpatrio (pp. 264-271 lettura attenta)

Gli stranieri non allontanabili


Coloro che non possono essere rimpatriati sono quelli che, una volta rimpatriati, possono mettere a rischio
la propria incolumità ( non refoulement), ma non possono soggiornano a titolo regolare
• Può essere concesso un permesso di soggiorno dallo Stato ospitante
• Il rimpatrio può essere rinviato
• L’interessato ha diritto a una attestazione della sua situazione, da esibire in caso di controlli, che vale
finché si possa realizzare il rimpatrio
• Nuovo trattenimento in attesa del rimpatrio?
• No se lo straniero è già uscito dal trattenimento  misure alternative

Nell’ipotesi in cui si pone il problema di garantire il rimpatrio di colui che è già stato trattenuto ma non è
stato potuto rimpatriare e pertanto è rimasto nello stato membro ma ha terminato il trattenimento: se lo
straniero ha già subito una forma di intrattenimento e il rimpatrio è stato rinviato non è possibile un
secondo trattenimento.

Lo Jus Migrandi dell’UE: la sua dimensione esterna


Riguarda l’ipotesi in cui l’UE, nei suoi rapporti con l’esterno, arrivi a disciplinare degli aspetti relativi alla
migrazione.
Lo Jus Migrandi si avvale della cooperazione internazionale per regolare la materia con:
• Paesi di origine dei migranti, con i quali è possibile stipulare degli accordi internazionali in materia
• Organizzazioni internazionali competenti, come le nazioni unite

La cooperazione internazionale avviene attraverso:


• Dialogo politico che può avvenire a vari livelli (condivisione di obiettivi), getta le basi per potere
stipulare accordi internazionali
• Accordi internazionali (es, accordi di riammissione)

Focus: gli accordi di riammissione


Sono accordi internazionali stipulati, ai sensi del diritto internazionale, tra due parti e uno stato terzo,
ovvero un’organizzazione internazionale e uno stato.
Le due parti, l’UE e lo Stato terzo si accordano per riammettere i propri cittadini, ‘altri’ cittadini o apolidi
(possibile anche l’inserimento di clausole di riammissione in accordi internazionali di più ampio contenuto)
• Corrispondono a una competenza concorrente dell’UE (art. 79, par. 3, TFUE)
• Sono fatti salvi gli accordi conclusi dagli Stati membri in precedenza. Pertanto, gli accordi di
riammissione non annullano tutti gli accordi internazionali conclusi precedentemente dagli stati
membri.
• È, invece, possibile che gli Stati membri si accordino col Paese terzo sugli aspetti attuativi ( Protocolli di
attuazione)
• Devono prevedere il rispetto dei diritti umani (clausola di non incidenza) e dei trattati internazionali
pertinenti (es, convenzione di Ginevra)

Tre diverse previsioni di contenuto


• Riammissione dei propri cittadini
• Riammissione di ‘altri stranieri’ e apolidi, se provenienti dal Paese terzo o da esso autorizzati con
rilascio di visto o permesso di soggiorno
• Transito degli stranieri verso il loro Paese d’origine

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