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PIETRO TARAVACCI

INTRODUZIONE

L’ETERNA RICERCA DI UN’ARDUA ANALOGIA

Il tema delle intersezioni tra arte e letteratura, che il Semina-


rio Permanente di Poesia (SEMPER) dell’Università di Trento
ha scelto per il suo secondo volume monografico, è di quelli che
ci conducono agli albori del pensiero estetico. Credo convenga
ricordare che questa stessa collana ha già accolto due studi mo-
nografici sul tema,1 con i quali mi piace pensare che questo con-
tributo miscellaneo, che curo assieme a Enrica Cancelliere, pos-
sa instaurare idealmente un proficuo dialogo.

L’accostamento analogico tra letteratura e pittura è infatti


una costante della cultura occidentale, variamente interpretato
da ogni epoca e tradizione nazionale in relazione ai diversi con-
testi artistici e letterari, ma sempre così evocativo delle ragioni
ultime della creazione artistica da accettare, nell’epoca contem-
poranea, di esser definitivamente messo in discussione, pur in
un continuo rinvio alle sue origini.
Il greco Simonide di Ceo definisce la pittura «poesia muta» e
la poesia «pittura che parla»,2 un concetto su cui insistono tanto
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1
Si tratta dei numeri 128 e 139 della collana “Labirinti”, rispettivamente
L. Belloni, A. Bonandini, G. Ieranò, G. Moretti (eds.), Le immagini nel testo,
il testo nelle immagini. Rapporti fra parola e visualità nella tradizione greco-
latina, Editrice Università di Trento,Trento 2010 e il saggio di Nicola Ribatti,
Allegorie della memoria. Testo e immagine nella prosa di W. G. Sebald, Edi-
trice Università di Trento, Trento 2012.
2
La testimonianza di Simonide (VI-V sec. a.C.) ci arriva indirettamente
da Plutarco, De gloria Atheniensium (346f-347a), il quale nel suo resoconto

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8 Pietro Taravacci

il pensiero estetico che la trattatistica retorica di Grecia e Ro-


ma,3 e che poi verrà rielaborato da Orazio, il quale lo fissa nella
fortunata formula ut pictura poesis (Ars poetica, 361), da cui si
dipaneranno le riflessioni di molti artisti e pensatori. In epoca
rinascimentale, dietro il forte impulso a stabilire il primato di
scultura o pittura, si fa particolarmente attivo il confronto tra
pittura e poesia come arti ‘sorelle’ nello stesso intento mimetico
già rilevato nell’antichità, come accade nella Poetica di Bernar-
dino Daniello (1536), nella Lezzione nella quale si disputa della
maggioranza delle arti (1549), di Benedetto Varchi,4 e poi nel
Dialogo della rhetorica, dei Dialoghi (1542) di Sperone Spero-
ni. Nel suo Dialogo della pittura intitolato l’Aretino (1557) Lu-
dovico Dolce, non accontentandosi del parallelo troppo automa-
tico tra le due arti, effettuato nel nome di un comune intento
mimetico, sembra segnare la differenza tra pittura e poe-
sia,facendo dire all’Aretino (nel suo dialogo con Giovan Fran-
cesco Fabrini) che la poesia non si limita a fare quello che fa la
pittura, ovvero imitare «tutto quello che si dimostra
all’occhio», 5 ma anche quello che «ancora si rapresenta
all’intelletto»;6 un distinguo di non poco conto, nella prospettiva
di una superiorità intellettuale della poesia, che induce l’Aretino
a definire il pittore e il poeta «quasi fratelli».7 Contro una tale
superiorità della poesia – peraltro ereditata dalla prima defini-
zione di Simonide, il quale aveva definito la pittura per ciò che
manca alla poesia e la poesia per ciò che aggiunge alla pittura –
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associa pittura e poesia in virtù della loro stessa vocazione mimetica, seppur
resa con strumenti diversi e da una diversa prospettiva temporale. Infatti –
afferma Plutarco – i pittori rappresentano le azioni come se stessero avvenen-
do, mentre nelle opere letterarie le stesse azioni sono esposte una volta avve-
nute. Lo stesso Plutarco torna sul parallelo tra le due arti mimetiche nella Vita
di Alessandro, 1, 3, 665a.
3
Immancabile il rimando ad Aristotele, Poetica, 6, 8, 1450a. Sul versante
della cultura romana, c ricorda Cicerone, Tusculanae disputationes, V, 114 e
quindi la Rhetorica ad Herennium.
4
Il Varchi dedica al tema la Disputa terza, In che siano simili ed in che
differenti i Poeti ed i Pittori.
5
La citazione proviene dall’edizione bilingue (italo-francese) Dialogo
della pittura di M. Ludovico Dolce Intitolato L’Aretino, in Firenze 1735, Per
Michele Nestenus e Francesco Moücke, pp. 106-108.
6
Ivi, p. 108.
7
Ibidem.

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Introduzione. L’eterna ricerca di un’ardua analogia 9

aveva fortemente polemizzato Leonardo,8 sostenitore della su-


periorità ‘impressiva’ della pittura.
Nelle sue Dicerie sacre (1614) Giambattista Marino tenta
una più compenetrante assimilazione volta a dimostrare (seppur
nella prospettiva dell’elitario poeta, che può essere capito sol-
tanto dalle persone colte, mentre alla pittura sembra accedere
anche l’ignorante) che le due arti sono tanto simili che «scam-
biandosi alle volte reciprocamente la proprietà delle voci, la
poesia dicesi dipignere e la pittura descrivere» (Diceria prima:
la Pittura). Nella raccolta lirica intitolata Galeria (1620) lo stes-
so autore dà voce e figura al gusto barocco d’una stretta compe-
netrazione tra parola e immagine, e i 453 testi (tra madrigali,
sonetti e liriche di varia natura) di cui il libro si compone entra-
no in stretta relazione ecfrastica con le pitture e le sculture del
‘museo’ mariniano, interrogandole, sondandole in profondità.
Non potendo dar conto qui della vasta eco che ebbe, tanto in Ita-
lia che in Europa, un tale dibattito fra arti figurative e poesia (un
dibattito che, nel nome dell’interdisciplinarità delle arti, coin-
volge e avvicina mito e storia e mette a confronto diretto la clas-
sicità e la modernità), rinvio ai contributi degli studiosi, i quali
hanno affrontato nel volume specifici aspetti dell’ut pictura
poesis in epoca rinascimentale e barocca. Non prima, però, di
aver fatto un rapidissimo cenno a quanto in epoca umanistico-
rinascimentale la ricerca archeologica e in particolare il rinve-
nimento della statuaria antica abbiano contribuito a mettere in
contatto il linguaggio critico letterario e poetico con le straordi-
narie qualità scultoree dei reperti. Il caso più sorprendente e no-
to è quello del rinvenimento del gruppo del Laocoonte, nel
1506, il cui impatto nelle lettere e nell’arte del Rinascimento è
stato studiato da Salvatore Settis,9 e costituirà il paradigma di
un’arte con la quale la poesia, a partire dal Carmen de Laocoon-
te, di Jacopo Sadoleto, entra in evidente competizione ecfrastica
ed espressiva nel cogliere la dinamicità e la narratività insite nel
gruppo scultoreo, che a sua volta non fa che dar figura al famo-
so episodio virgiliano (Eneide, II, vv. 214ss.).

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8
Nel Trattato della pittura, 1498 ca.
9
S. Settis, Laocoonte. Fama e stile, Donzelli, Roma 2006.

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10 Pietro Taravacci

A questa vasta eco che il complesso marmoreo suscitò nel


mondo artistico-letterario si deve il fatto che nel corso del tem-
po quell’antica analogia incontri la visione (di ascendenza illu-
ministica e centralissima nella riflessione teorica sul concetto
dell’ut pictura poesis) di Gotthold Ephraim Lessing, secondo il
quale «la pittura adopera per le sue imitazioni mezzi o segni
completamente diversi da quelli della poesia»,10 in opposizione
alla coeva teoria unificante delle arti, vivacemente sostenuta da
Charles Batteux nel suo Les Beaux-Arts réduits à un même
principe (1746).11 Nell’epoca dei Lumi la querelle non si limita
a seguire o ribaltare le diverse prospettive rinascimentali e ba-
rocche, ma pone l’una di fronte all’altra una visione ‘filosofica’,
da un lato, che Lessing riconosce a Batteux, il quale riconduce
tutte le arti a un unico principio (anticipando perciò tesi heideg-
geriane e generalmente novecentesche) e, dall’altro, una posi-
zione ‘critica’, quella dell’autore del Laocoonte, appunto, che
tende ad attribuire a ogni arte mezzi o segni specifici, che fanno
sì che la pittura sia arte che imita la simultaneità nello spazio e
la poesia sia arte che imita articolando suoni disposti in succes-
sione lungo una linea temporale.
Come non riconoscere, dunque, che la riflessione di Lessing
anticipa di ben due secoli la distinzione, così centrale nell’inda-
gine semiotica di Émile Benveniste, tra «i sistemi dove la signi-
ficanza è impressa dall’autore all’opera e i sistemi dove la signi-
ficanza è espressa dagli elementi primi allo stato isolato, indi-
pendentemente dalle relazioni che possono contrarre»?12 E dun-
que, come riconosce il linguista francese, così finemente ripreso
e commentato da Segre nell’importante saggio La pelle di San
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10
Gotthold Ephraim Lessing, Laokoon oder über die Grenzen der Malerei
und Poesie, 1766; trad. it. a cura di M. Cometa, Laocoonte, Aesthetica, Pa-
lermo 2003. La famosa dichiarazione di Lessing si trova all’inizio del para-
grafo XVI. Per una breve ma efficace rassegna della fortuna del motivo del
Laocoonte nelle lettere rinascimentali rinvio allo studio di S.S. Scatizzi, Ut
pictura poesis. La descrizione di opere d’arte fra Rinascimento e Neoclassici-
smo: il problema della resa del tempo e del moto, «Camenae», n° 10 (février
2012), pp. 1-23, pp. 12-16.
11
Trad. it. a cura di E. Migliorini, Le Belle Arti ricondotte ad un unico
principio, Aesthetica, Palermo 1992.
12
E. Benveniste, Problemi di linguistica generale, vol. II, Il Saggiatore,
Milano 1985, p. 75.

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Introduzione. L’eterna ricerca di un’ardua analogia 11

Bartolomeo,13 ogni analogia tra poesia e pittura deve vedersela


con la basilare differenza tra l’arte del poeta, che fa necessaria-
mente riferimento a un sistema semiotico dato, e l’arte dell’ar-
tista figurativo, che è priva di un sistema di segni equivalente al
segno linguistico.
L’indagine sulla relazione tra le due arti si è dunque arricchi-
ta nel corso dei secoli di puntelli estetici, teorico-letterari ed epi-
stemologici fondamentali, rielaborati nella riflessione estetica
romantica, nella rivoluzione sinestetica delle Avanguardie pri-
mo-novecentesche, nonché nel peculiare rapporto che lega pittu-
ra prima e fotografia poi nella definizione del modo realistico.14
Ancora nel Novecento, Modernismo e Postmodernismo (si pen-
si solo a W.G. Sebald) dedicheranno al rapporto tra immagine e
testo uno spazio centralissimo, alla luce di istanze speculative di
varia natura, tra cui gli studi sulla ricezione, quelli semiotici e
decostruzionisti, nonché quelli dell’interculturalità.
Superata, dunque, la dialettica della presunta competizione
tra le due arti, la riflessione più recente della critica sui legami
tra letteratura e iconografia, sulla scia di istanze estetiche di
ascendenza romantica, analizza piuttosto le modalità della loro
reciproca implicazione, individuata e indagata sulla base della
loro comune discendenza dalla medesima materia del poiein, in
quanto creazione artistica: molti poeti e artisti contemporanei
hanno sondato questo spazio ‘originario’ condiviso dalle arti,
allargando spesso il loro sguardo verso poetiche ed estetiche che
superano i confini dell’Occidente e guardano con interesse alla
coincidenza di sistema ideografico e sistema sillabico dell’estre-
mo Oriente.

L’apporto speculativo e pragmatico dell’analisi critica con-


dotta secondo i princìpi del Formalismo, dello Strutturalismo e
della Semiotica è stato determinante per lo studio delle affinità e
divergenze dei due linguaggi (quello verbale e quello figurati-
vo), mostrando la loro parziale sovrapponibilità, l’estensione e i
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13
C. Segre, La pelle di San Bartolomeo. Discorso e tempo dell’arte, Ei-
naudi, Torino 2003.
14
Cfr. P. Brooks, Realist Visions, Yale University Press, New Haven
2005.

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12 Pietro Taravacci

limiti della loro reciproca traducibilità e le interferenze di codici


che spesso producono opere di forza inattesa. Grazie al contri-
buto di studiosi del calibro di William Guild Howard, Roberto
Longhi, Erwin Panofsky, Mario Praz, Rensselaer Lee, Ernst
Gombrich, Giovanni Pozzi, Michel Foucault, Cesare Segre,
Tzvetan Todorov, Mary Carruthers, W.J.T. Mitchell, Lina Bol-
zoni, Omar Calabrese (per citare solo alcuni nomi tra i moltis-
simi possibili) fino ai recenti apporti di Antonio Muñoz Moli-
na15 e di Olivier Boulnois,16 Jesús Ponce Cárdenas17 e Pier Vin-
cenzo Mengaldo,18 tra molti altri, oggi ci appaiono più chiare le
dinamiche compositive attraverso le quali letteratura e pittura
svelano zone di vicendevole interferenza.
Azzardando in estrema sintesi un bilancio della tradizione
del tema, sento di poter osservare che da un lato troviamo il lin-
guaggio letterario che sperimenta nuove strategie per aumentare
le proprie possibilità figurative e plastiche (dalle scritture espo-
ste medievali alla poesia visiva contemporanea e a ogni scrittura
ecfrastica); dall’altro, abbiamo la poetica del ‘visibile parlare’,
ossia il tentativo messo in atto dalle arti figurative per realizzare
un discours temporale, una sorta di paratassi metanarrativa: ba-
sti pensare alla sequenzialità dei retablos e dei cicli di affreschi,
oppure al gioco prospettico tra primo piano e sfondo.
Questo spazio creativo che si può definire intersemiotico o
‘intergenerico’, caratterizzato dal dinamismo biunivoco del lin-
guaggio poetico e del linguaggio pittorico, naturalmente aperto
alla contaminazione e all’ibridazione e, proprio per questo, su-
scettibile di sempre nuove letture interpretative, ci è parso un
terreno d’incontro vasto e ancora ricco, oggi più che mai, di
percorsi da tracciare o ri-tracciare con i più recenti strumenti
della critica. E, oggi più che mai, appunto, come suggerisce
Ciccuto, ma come ci dimostrano anche gli apporti degli artisti e
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15
A. Muñoz Molina, El atrevimiento de mirar, Galaxia Gutenberg, Barce-
lona 2013.
16
O. Boulnois, Au-delà de l'image. Une archéologie du visuel au Moyen
Âge (Ve-XVIe siècle), Seuil, Paris 2008.
17
J.P. Cárdenas, Écfrasis: visión y escritura, Editorial Fragua, Madrid
2014.
18
P.V. Mengaldo, Due ricognizioni in zona di confine, Monte Università
Parma Editore, Parma 2015.

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Introduzione. L’eterna ricerca di un’ardua analogia 13

poeti che hanno accettato il nostro invito a misurarsi su questo


tema, appare definitivamente chiaro come da questa antichissi-
ma collaborazione secolare possa derivare una nostra intensifi-
cata cognizione dalla realtà, secondo quello che era il principio
originario della formula ut pictura poesis che nelle intenzioni di
Orazio non era un vero e proprio confronto tra le due arti, quan-
to piuttosto il desiderio di entrambe di potenziarsi e di essere
all'altezza del mondo.

Uno dei concreti obiettivi che si è voluto perseguire con que-


sto volume è il confronto fra studiosi già affermati, che hanno
dedicato al tema una lunga porzione del loro percorso scientifi-
co, quali Marcello Ciccuto, Enrica Cancelliere, Andrea Combo-
ni e Marcella Trambaioli e giovani studiosi che hanno intrapre-
so di recente il loro cammino di ricerca, sebbene tutti con com-
petenza e passione. L’ordine che si è voluto dare alla successio-
ne dei saggi, dopo il contributo di Ciccuto (al quale, per le sue
indiscusse competenze acquisite in decenni di attenzione allo
specifico ambito, è stato attribuito l’arduo compito di una rico-
gnizione storico-teorica dell’antico «patto» fra le due arti), ha
inteso seguire la cronologia di opere e personaggi, o dei feno-
meni artistici presi in esame da ciascuno studioso. Nella loro di-
sposizione diacronica i saggi hanno individuato soprattutto due
epoche storiche di interesse specifico quali l’epoca rinascimen-
tale e barocca da un lato e quella contemporanea dall’altra, e si
sono rivolti precipuamente agli ambiti della letteratura italiana e
spagnola, con frequenti e significativi sguardi a tutta la realtà
artistico-letteraria europea e americana.

Uno dei principali meriti del contributo di Marcello Ciccuto


è quello di andare oltre le origini «leggendarie» dell’afferma-
zione di Simonide riferita da Plutarco e di tentare un approccio
scientifico al vero significato che per gli antichi poteva avere il
confronto fra le due arti, ben al di là delle «incomprensioni» e
degli «abusi interpretativi che hanno accompagnato per secoli la
nota formula dell’ut pictura poesis». Lo stesso intento, poi, è

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14 Pietro Taravacci

rivolto alle epoche successive, che Ciccuto attraversa con straor-


dinaria pertinenza e ricorrendo sempre a fonti di prima mano.
La completezza e la robustezza dell’indagine dello studioso pi-
sano hanno consentito che questa mia introduzione fosse così
rapida e desultoria. Altro merito del saggio di Ciccuto è quello
di presentare il ruolo del soggetto lirico che interviene a sostitui-
re l’antico concetto mimetico dell’ut pictura poesis, aprendo un
confronto del tutto nuovo tra le due arti. In particolare il critico
si sofferma sull’importante lavoro di integrazione del pittorico e
del grafico all’interno dell’opera di Baudelaire, Les Fleurs du
mal, alla luce di un’interpretazione decisamente moderna che, a
partire da quella che possiamo definire «epoca della ‘visione
creatrice’», va indagando le possibilità di reinventare l’opera
d’arte attraverso la sua descrizione, orientando in modo del tutto
nuovo i segni sia pittorici che letterari.
Seguendo un ideale itinerario storico, il volume presenta al-
cune indagini specifiche che rappresentano le numerose attesta-
zioni e interpretazioni del concetto dell’ut pictura poesis all’in-
terno della letteratura e dell’arte italiana, da Petrarca a Miche-
langelo.
E proprio a Petrarca è dedicato il lavoro di Giulia Zava, ov-
vero all’illustrazione interpretativa del Canzoniere queriniano
GV15, l’unico nella storia della miniatura petrarchesca in cui i
fragmenta siano stati interamente illustrati. La fine mano dell’il-
lustratore è quella di un anonimo letterato di fine XV secolo, de-
finito, appunto, Dilettante Queriniano. La studiosa tende a mo-
strare come l’intreccio fra pictura e poesis approdi a un consa-
pevole e articolato impianto figurativo che puntualmente ac-
compagna i versi del poeta non limitandosi a una rappresenta-
zione puramente ornamentale, ma corredando il testo di simboli,
pittogrammi e immagini che non sono stimabili soltanto per il
loro aspetto storico-artistico, ma che meritano di essere studiati
per le loro qualità interpretative del testo petrarchesco.
A Pierio Valeriano (1447-1558) è dedicato il saggio di An-
drea Comboni, che, in particolare, studia i rapporti tra un’elegia
dell’umanista bellunese (componimento encomiastico diretto a
Isabella d’Este Gonzaga, in cui si allude al combattimento tra
Pallade e Cupido) e due dipinti per la medesima Isabella (Batta-

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Introduzione. L’eterna ricerca di un’ardua analogia 15

glia di Castità contro Lascivia, del Perugino, e Amore minac-


ciato da Minerva, recentemente attribuito a Giulio Romano).
Sulla base di una bibliografia di prima mano, il saggio di Com-
boni entra nel merito del raffinato contesto della corte del primo
Rinascimento, documentando lo stretto vincolo tra cultura lette-
raria e cultura iconografica, a loro volta testimoni della posizio-
ne centralissima attribuita alla cultura mitologico-allegorica
dell’epoca, che era in grado di spingere il lettore e l’osservatore
a sempre attuali interpretazioni dei valori dell’Antichità.
Il contributo di Cecilia Gibellini ci permette di restare, con
Michelangelo, in ambito rinascimentale, ma solo per iniziare un
viaggio ricettivo dell’arte del grande artista nella poesia del XX
secolo. Gibellini testimonia della fascinazione che hanno eserci-
tato singole opere michelangiolesche in altrettanti componimen-
ti di poeti del Novecento e al tempo stesso mostra quanto l’ope-
ra scultorea di Michelangelo diventi, come accade nell’inno La
Pietà, di Ungaretti, paradigma di una evidente apertura al ba-
rocco, a partire dalle rotture insanabili e dagli aspetti rivoluzio-
nari che l’arte michelangiolesca porta in sé. La studiosa dimo-
stra poi che talvolta è la figura stessa dell’artista, la sua biogra-
fia e la sua ‘leggenda’, a catalizzare un forte interesse. Nei versi
e nelle pagine in prosa a lui dedicati, gli autori novecenteschi
rinnovano l’immagine, già delineata dalla tradizione della lette-
ratura artistica a partire dal Vasari (e fino alla Vita di Michelan-
giolo di Papini), del Buonarroti come emblema del genio me-
lanconico e infelice. E dunque l’artista rinascimentale, osserva
Gibellini, spesso si fa specchio del poeta moderno (Ungaretti,
Saba, Fernando Bandini, Vigolo): è l’«atleta del tormento di tre
secoli» che impressiona Ungaretti, o il «Michelangelo vecchio»
in cui si riconosce Pasolini.
Il contributo di Marcella Trambaioli, Efectos de claroscuro
pictórico en La hermosura de Angélica: cantera poética del jo-
ven Lope de Vega, ci porta dentro quel Barocco di cui il Miche-
langelo ungarettiano era foriero. La studiosa, che dà conto di
una recente bibliografia sulla relazione tra Lope e le arti figura-
tive del suo tempo, ricordando la sua vicinanza al mondo della
pittura, di cui egli dà evidente dimostrazione nell’opera teatrale
e poetica, individua in La hermosura de Angélica (poema epico-

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16 Pietro Taravacci

narrativo del giovane Lope, che si propone come continuazione


dell’Orlando furioso di Ariosto) un’opera particolarmente vin-
colata alla pittura. Lo studio dimostra come, assieme alle molte-
plici menzioni di artisti classici e moderni e a una vera e propria
alabanza della pittura (nel canto XIII), nelle ottave del lungo
poema si realizzino ritratti e nature morte (bodegones) – testi-
moni di una raffinata tecnica ecfrastica nel giovane poeta – e in
particolare effetti di chiaroscuro, ai quali la studiosa dedica una
specifica attenzione. Il contributo di Trambaioli si conclude con
l’invito a ricercare nel valore visuale e figurativo la qualità più
propriamente barocca di Lope e in grado di avvicinarlo a Gó-
ngora nel nome di una comune capacità di creare sull’evidentia
figurativa un universo poetico autonomo.
A questo fanno seguito due contributi che si rivelano centra-
lissimi nella ricerca della realtà iconologica all’interno della let-
teratura drammatica del Siglo de Oro spagnolo.
Con il suo ricco e articolato studio sul “doppio iconico” au-
reo, Enrica Cancelliere ci permette una specifica ricognizione di
un ampio percorso teorico ed epistemologico che, partendo dalle
considerazioni che la Poetica di Aristotele riserva alla specifica
!"#$% della poesia drammatica, approda alla peculiare e consa-
pevole natura del teatro barocco spagnolo. La studiosa, muo-
vendo dai concetti aristotelici di !&'() e di *+$!+',+, rileva
quindi l’originaria vocazione figurativa e plastica di questa pe-
culiare forma poetica e di questa specifica forma mimetica, vol-
te a rendere visibili agli occhi della mente i prodotti dell’Im-
maginario. Avvalendosi poi delle aristoteliche De anima e Reto-
rica, lo studio di Enrica Cancelliere si concentra sui procedi-
menti di visualizzazione del discorso e in particolare della meta-
fora, la quale ci permette di entrare nella zona più sensibile della
-$./01(+, ovvero dell’evidentia che la mimesi teatrale aurea
raggiunge. Di grande rilievo sono le considerazioni che la stu-
diosa fa circa l’istanza visualizzante del ‘dover-essere’ metafo-
rico, che permettono di recuperare la piena funzione estetica ed
etica, in definitiva “iconica”, dell’impianto metaforico del teatro
barocco spagnolo. Sulla scia della formula oraziana, dunque, e
avvalendosi dei contributi critici di Arellano, la studiosa presen-
ta l’equivalenza ut pictura spectaculum, che evidenzia quanto il

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Introduzione. L’eterna ricerca di un’ardua analogia 17

‘secondo testo’, che nel teatro si aggiunge a quello letterario, si


configuri come ‘doppio iconico’, determinato da una !"#$% che
il testo drammatico condivide con le arti figurative, svelando la
propria sostanziale attitudine visualizzante. Alla lettura diretta
del contributo, che presenta una straordinaria integrazione di te-
sti teatrali e raffigurazioni pittoriche, affido la comprensione di
questo denso apporto della nota studiosa palermitana.
Sulla scia di questo assetto teorico, che presenta una nuova
téchne teatrale sulla base di una innovativa interpretazione del
pensiero aristotelico operata dal Seicento spagnolo, si colloca il
contributo di Lavinia Barone, la quale, attraverso l’analisi del
testo calderoniano La niña de Gómez Arias, studia la codifica-
zione retorica e iconica del tragico femminile. La studiosa inda-
ga la resa ‘poietica’ del verosimile, ispirata ai principi stabiliti
dall’Arte nuevo di Lope de Vega, vero imprescindibile manife-
sto della drammaturgia aurea, prendendo in considerazione gli
aspetti convenzionali delle figure dei personaggi teatrali e in
particolare le convenzioni retoriche e iconiche dei personaggi
femminili, che si formano sull’eredità di equivalenti modelli
provenienti dall’antichità. In particolare lo studio di Barone mo-
stra come determinate categorie del tragico femminile aureo (al-
le quali appartiene Dorotea, la protagonista del citato testo di
Calderón) sono il risultato di trasposizioni e rivisitazioni di co-
dici e mitemi classici (e in questo caso, il paradigma mitologico
della relicta), particolarmente pertinenti ai supposti ideologici
ed estetici della cultura barocca spagnola.
Il contributo di Elsa Maria Paredes ci permette di restare
all’interno dell’ambito ispanico, portandoci però in epoca con-
temporanea e all’operazione esegetica che José Ángel Valente
realizza in Una antigua representación, enigmatico testo poeti-
co appartenente alla sua raccolta Interior con figuras (1976), in
relazione all’incisione di Dürer, Il cavaliere, la morte e il diavo-
lo (1513). Muovendo dalle attestazioni dell’esplicito interesse
dell’autore verso la sostanza simbolica del cavaliere dureriano –
metafora del viaggio del mistico (e del poeta) verso il castello
della conoscenza –, la giovane studiosa procede a un’attenta
analisi delle funzioni che nella poesia di Valente svolgono quei
simboli e propone una lettura del testo alla luce del pensiero

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18 Pietro Taravacci

estetico e filosofico-letterario che il poeta-saggista elabora nei


saggi di Elogio del calígrafo (2002) attorno alla relazione tra
poesia e pittura. Una stretta relazione che per il poeta – lettore
dell’Heidegger di Holzwege, della Zambrano di Lugares de la
pintura, di Kandinsky, di Antoni Tàpies e di Eduardo Chillida
(per citare solo alcuni nomi) – si fonda, osserva Elsa Paredes,
sull’equilibrio delle due arti e nega la sudditanza della pittura
riconoscendo proprio nel suo essere muta quella tensione della
grande poesia verso il silenzio.
L’indagine successiva, affrontando la poesia Hilando, di
Claudio Rodríguez, ci mantiene all’interno della stessa genera-
zione dei poeti spagnoli del conocimiento, cui viene ricondotto
lo stesso Valente. Il componimento, esplicitamente ecfrastico,
che fin dal titolo e dal sottotitolo (Hilando. La hilandera, de
espaldas, del cuadro de Velázquez) presenta un particolare della
famosa tela del pittore barocco, per il poeta di Zamora è anche e
soprattutto l’occasione per sondare nel mistero della immagina-
zione artistica e poetica e nel potere salvifico dell’arte, mediante
una interpretazione profonda della figura della giovane filatrice.
Prendendo le mosse soprattutto da due contributi critici prece-
denti, uno di Mudrovic e l’altro di Debicki, il saggio tende a
dimostrare come il verso di esordio «Tanta serenidad es ya do-
lor», con la sua paradossale corrispondenza tra serenità e dolore
non è determinato da fattori riconducibili all’esistenza reale del
poeta, che si oppone alla serenità derivante dall’astrazione arti-
stica, ma è, invece, un verso che indaga e interpreta in profondi-
tà la complessa disposizione spirituale del pittore barocco, il
quale, nella creazione della sua figura (oggetto della poesia di
Rodríguez) coglie una bellezza così alta da produrre una inevi-
tabile inquietudine in chi vi si accosta. La stessa inquietudine,
peraltro, che il poeta, in stretta affinità con Velázquez, avverte e
manifesta nell’intera raccolta El vuelo de la celebración (cui
appartiene la poesia), nella quale “celebra” l’esistenza umana
nei suoi aspetti più umili ed eterni.

Con il contributo successivo, di Philip Stockbrugger (Emilio


Cecchi e Berenson. La nascita della ‘visività’) si inaugura una
sezione di tre saggi dedicati alla letteratura italiana contempora-

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Introduzione. L’eterna ricerca di un’ardua analogia 19

nea. Lo studioso applica il concetto di visività alla famosa opera


di Cecchi, Pesci rossi (1920), mutuandolo da Margherita Ghi-
lardi, curatrice dell’edizione del testo, con lo scopo di rintraccia-
re nell’opera cecchiana la corrispondenza reciproca tra cosa vi-
sta – e dunque narrata – e il referente artistico. Stockbrugger or-
ganizza il suo lavoro in tre tappe che giustificano il suo obietti-
vo: dapprima analizza la prima raccolta di saggi di critica d’arte,
Note d’arte a Valle Giulia, poi confronta Cecchi con l’impor-
tante storico dell’arte lituano-statunitense Bernard Berenson, in-
fine, proprio a partire dall’influsso delle teorie artistiche di que-
st’ultimo, analizza il rapporto tra arte e poesia negli excursus
che Cecchi dedica all’arte figurativa nella sua Storia della lette-
ratura inglese nel secolo XIX.
Nel suo brillante intervento, intitolato La decollazione del
profeta e la mostruosità del volto. Influenza di luoghi e tecniche
pittoriche nell’opera letteraria di Giovanni Testori, Nicolò
Rubbi osserva come la libertà artistica di Testori, che gli permi-
se di portare il teatro e la poesia nella narrativa, «lo condusse a
far irrompere la viva pittura nella compostezza del lavoro di cri-
tica d’arte», e su questo specifico terreno il giovane studioso
conduce la sua analisi, in un continuo andirivieni, dal sapore
narrativo, tra la scrittura creativa e il saggio critico dell’autore
lombardo, con l’obiettivo di mostrare come l’attività del Testori
critico d’arte (rivolto in particolare al lecchese Ennio Morlotti, a
Francesco del Cairo, pittore lombardo del Seicento, al britanni-
co Francis Bacon e al Picasso di Guernica) incida nella scelta e
nelle tecniche della produzione del Testori narratore e poeta. E
infine Rubbi dimostra che «"o scrittore Testori si serve dei sog-
getti studiati dal Testori critico d’arte e li modifica con l’aiuto
del Testori pittore».
Con il suo studio Il mitico Tiepolo di Calasso. Un esempio di
ecfrasi ‘à rebours’, Pierluigi Pietricola ci introduce a una delle
più significative opere di Roberto Calasso, autore nella cui nar-
rativa convergono, come elementi connaturali e in modo sempre
originale, mito, arte e storia, ma che nel volume Il rosa Tiepolo
(2006) raggiunge una dimensione sicuramente inedita del con-
cetto dell’ut pictura poesis. Dietro l’apparente aspetto di classi-
co scritto di critica d’arte, il libro di Calasso sonda negli Scherzi

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20 Pietro Taravacci

e nei Capricci, del pittore veneto, opere misteriose e «inarriva-


bili», osserva Pietricola. Il critico presenta l’operazione lettera-
ria di Calasso come una sorta di ecfrasi al contrario, in quanto
l’autore non ha l’obiettivo di mostrare e descrivere i più di ot-
tanta dipinti tiepoleschi di cui tratta, vero contrappunto al testo
letterario, ma piuttosto quello di assumerli come sequenze nar-
rative del «romanzo demoniaco che il Settecento non sarebbe
riuscito a scrivere […] il più fosco e tenebroso del secolo. Pro-
babilmente anche il più memorabile». Pietricola coglie, dunque,
nei meccanismi di quell’ecfrasi à rebours il peculiare e costante
tentativo di Calasso di rintracciare quella storia segreta tra
Oriente e Occidente, fra tradizioni remote e mitiche e il presen-
te, che sta alla base della sua inventio narrativa.
Il contributo di Antonio Coiro, Underworld e la poetica vi-
suale di DeLillo ci trasporta verso l’ambito americano, così cen-
trale nella cultura visuale della contemporaneità e a contatto con
Underworld, romanzo pubblicato nel 1997 da uno degli autori
più importanti della letteratura statunitense postmoderna e sicu-
ramente uno di quelli che più intensamente si interroga sul rap-
porto tra scrittura e visualità. E proprio allo specifico aspetto
dell’influenza del linguaggio artistico sulla scrittura del testo
Coiro punta la sua attenzione critica, nell’intento di indagare la
cultura visuale di DeLillo nelle strutture, nelle forme, nei dispo-
sitivi e nelle strategie che il testo mette in campo, prima ancora
che nel piano dei contenuti iconici della cultura contemporanea
che arrivano ad essere, in DeLillo, oggetti ed episodi della nar-
razione stessa. Il critico sviluppa in modo chiaro e convincente
la sua indagine dei contatti tra mondo artistico e mondo narrati-
vo, articolandola in vari livelli: da quello puramente «decorativo
e citazionista», a quello «psichico-percettivo» (in cui i perso-
naggi fanno esperienza dell’oggetto d’arte), dal livello della co-
struzione dei personaggi (alcuni dei quali sono essi stessi artisti)
a quello, infine, che mette in relazione profonda la massa delle
esistenze condensate in Underworld e la moltitudine che popola
il quadro del pittore fiammingo Pieter Bruegel, Il trionfo della
morte (1562). Associandoli, entrambi, nel ribaltamento e nella
frantumazione delle classiche prospettive narrative e rappresen-
tative. Cifra estetica, quest’ultima, che non è raro osservare

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Introduzione. L’eterna ricerca di un’ardua analogia 21

nell’ecfrasi di molti autori contemporanei, come s’è visto nella


scomposizione del quadro di Velázquez operata dal poeta spa-
gnolo Claudio Rodríguez.
Al confronto tra l’opera dell’artista e poetessa kuwaitiana
contemporanea Shurooq Amin e quella della pittrice modernista
americana Georgia O’Keeffe (1887-1986) si rivolge lo studio di
Cristiana Pagliarusco. In particolare si analizzano tre testi poeti-
ci di Amin ispirati a O’Keeffe, evidenziando il legame tra le due
artiste che condividono il coraggio di un ‘visibile parlare’ e una
indiscutibile consapevolezza della propria arte. Pagliarusco os-
serva come le tre poesie di Amin diventino la voce dei tre dipin-
ti cui si ispirano, riscattando, per così dire, quella sensualità e
quella passione cui la pittrice ha rinunciato per poter essere ac-
colta nell’ambito artistico prevalentemente maschile del primo
Novecento americano. Così facendo, precisa Pagliarusco, l’au-
trice non solo libera la voce più intima della pittrice modernista,
preservandone l’intimità, ma leva anche la propria voce contro
la censura delle emozioni cui oggi lei stessa viene sottoposta in
Kuwait. Il contributo della giovane studiosa, ispirato alle teorie
di W.J.T. Mitchell sull’ecfrasi, intende dimostrare come la poe-
sia ecfrastica di Amin sintetizzi l’equilibrio, o meglio la parità
tra le diverse arti, portando quindi a compimento la lunga ricer-
ca della stessa O’Keeffe volta a trasformare le proprie opere in
«forme che cantano».

Il volume si completa con due contributi che intendevano es-


sere, e di fatto sono, testimonianze dirette di chi, come Antonel-
la Anedda e Juan Carlos Mestre, sperimenta nella propria crea-
zione le continue interferenze fra il linguaggio artistico e quello
poetico.
Nel suo contributo critico, dal suggestivo titolo Cacciatrici
di immagini, Antonella Anedda, una delle voci più versatili e
raffinate del panorama letterario degli ultimi decenni, fin dal ti-
tolo (modellato su quello dell’opera Il cacciatore d’immagini, in
cui Charles Simic ripercorre le stesse strade di New York dalle
quali Joseph Cornell trae ispirazione per le sue composizioni ar-
tistiche) rivela il suo interesse per un processo creativo che parte
dall’incrocio tra la scrittura e l’arte. Quella sorta di mise en

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22 Pietro Taravacci

abîme, che nel saggio è definita «doppia caccia», dell’autore


serbo-americano offre lo spunto ad Anedda per parlare di tre
‘cacciatrici’ del Novecento: una poetessa statunitense, Elizabeth
Bishop (morta nel 1979) e due artiste: Jenny Holzer, americana,
e Sophie Calle, francese, nate rispettivamente nel 1950 e nel
1953. Le riflessioni di Antonella Anedda evidenziano come le
tre cacciatrici di immagini (tutte e tre con un rapporto «interlo-
cutorio» con la pittura, con la scrittura e la poesia) siano tali per
l’esigenza di uscire dagli spazi chiusi e convenzionali delle gal-
lerie d’arte e dei circoli letterari. Nelle tre parti in cui la rifles-
sione critica di Antonella Anedda necessariamente si articola, si
osserva come le immagini, continuamente inseguite tanto nella
scrittura poetica di Bishop quanto nelle opere delle due artiste,
realizzino uno spazio performativo che è occasione per uscire da
se stesse e fare esperienza delle vite degli altri, al di fuori di
schemi letterari ed estetici predefiniti.

Chiude il volume l’accesa riflessione di Juan Carlos Mestre,


pittore, saggista e soprattutto voce poetica tra le più intense e
autentiche del panorama attuale, vincitore del Premio Nacional
de Poesía del 2008, con La casa roja. Il contributo critico di
Mestre sul tema specifico, che come quello di un altro grande
poeta quale Valente,19 riporta soltanto la prima metà del famoso
sintagma oraziano, Ut pictura, esordisce con una netta presa di
posizione su quell’antico concetto di equivalenza che dalla sua
equivoca verità tassonomica si è andato trasformando in una pu-
ra formula, ormai vuota, la cui incidenza sulle raffigurazioni cri-
tiche della creazione contemporanea è ormai nulla. Questa veri-
tà, rivelata con una tale appassionata certezza da chi, come Me-
stre, è poeta e artista non può che scompaginare, proprio perché
proviene dalla prospettiva di chi crea, i tentativi di razionalizza-
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
19
J.A, Valente, Ut pictura, in AA.VV., A palavra e a súa sombra. José
Ángel Valente: o poeta e as artes, Xunta de Galicia-Universidade de Santiago
de Compostela, Santiago de Compostela 2003, pp. 222-227. Marcello Ciccu-
to, peraltro, mi rammenta che anche Montale fa iniziare la sua poesia Il ven-
taglio (della raccolta La Bufera e altro) con la stessa formula dimidiata «Ut
pictura…»: anche lì con intento metapoetico, o ‘meta-artistico’, per segnalare
come la fictio artistica abbia un potere vivificante, per il poeta, ma forse an-
che fatale.

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Introduzione. L’eterna ricerca di un’ardua analogia 23

zione critica di un fenomeno che i precedenti contributi hanno


tentato di proporre. Mestre parte dalla verità di un ormai defini-
tivo «esaurimento estetico della sublimazione e della mimesi», e
dalla fine definitiva di quella bellezza che un tempo fu verità
nell’espressione poetica, come già sosteneva John Keats. E ap-
proda proprio nell’esatto punto in cui nasce la coscienza e
l’esperienza di un creatore moderno, laddove si decreta definiti-
vamente quello che l’arte barocca aveva già intravisto, nel nome
dell’artificio: ovvero che ha poco senso osservare il parallelo e
la ‘fratellanza’ tra le due arti se li si basa sul loro rapporto mi-
metico con la realtà, cioè se si parte dall’idea (alla quale troppo
a lungo si è prestato fede) che entrambe imitino il reale, e ga-
reggino nel farlo, pur con diversi strumenti. Insomma, Mestre
sottrae l’atto creativo, sia quello poetico che quello figurativo,
da quei codici che egli definisce «de transferencia», e da qual-
siasi logica che tenti di imbrigliarlo proprio perché la creazione
si fonda sull’immaginazione, che di per sé è ‘intraducibile’.
Qualsiasi relazione tra pittura e poesia, dunque, non sarà deter-
minabile sulla base di analogie mimetiche misurabili, perché nel
loro relazionarsi, che di fatto avviene ogni volta che si realizza
l’atto creativo, agiscono – osserva Mestre – «azar e incertidum-
bre, variación y entropía como medida del desorden». Nel dia-
logo tra arte e pittura si insinua il “principio di indeterminazione
di Heisemberg” più che variabili predeterminate di un principio
di mimesis degli antichi, e ogni atto creativo, sostiene Mestre, è
radicalmente autosufficiente e autarchico e soltanto dalla som-
ma di ciò che è isolato può nascere la possibilità, sempre diver-
sa, dell’opera, che è sempre sola, e da lì soltanto nasce la possi-
bilità di quell’atto di estrema solitudine che è «la pieza, el poe-
ma, el artefacto artístico». Il verdetto del creatore della moderni-
tà è inappellabile: «Ninguna obra plástica se textualiza, ningún
texto se vuelve seriamente figura», dunque la pittura e la poesia,
conclude Mestre, non possono condividere altro che risultati e
non procedimenti compositivi, accomunate come sono soltanto
dall’imperativo categorico dell’immaginazione creatrice.

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