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GEOTURISTICA
Lucilia Gregori (*) & Federico Famiani (**)
*Università degli Studi di Perugia - Dipartimento Scienze della Terra – lucilia.gregori@gmail.com
** dott. Geologia federico.famiani@gmail.com
Geomorfologia; Paleobotanica; Geoturismo
Nell’ Umbria meridionale nei pressi di Avigliano Umbro si trova il sito fossilifero della
Foresta Fossile di Dunarobba (FFD) (loc. Casacce). La segnalazione del sito risale al
1620 da parte dello studioso Federico Cesi (fondatore dell’ Accademia dei Lincei) e la
scoperta e conservazione dei fossili ha subito alterne vicende fino al 1986, quando
alcuni paleontofili (Fig. 1) si accorsero che, in seguito ai lavori effettuati in una cava di
argilla, erano stati messi in luce un gran numero (circa 50) di tronchi fossili. Dal 1988 la
zona è sotto tutela e vincolo da parte della Sovrintendenza che vieta l’estrazione di
argilla in loco, mentre tronchi sono stati riparati da strutture provvisorie che però non
hanno un adeguato ruolo sia sotto il profilo visivo che pratico.
Nel record geologico è facile
rinvenire resti di alberi, ma non
è frequente trovarne in
posizione vitale, in numero,
grandezza e buono stato di
conservazione come a
Dunarobba. Infatti i tronchi
hanno subito una
fossilizzazione per
mummificazione che non ha
alterato la natura stessa del
legno. I tronchi sono ancora
lignei e perciò ancora
facilmente deperibili e
attaccabili da agenti meteorici
esterni e anche biologici. Fig. 1 – La Foresta Fossile di Dunarobba al momento della riscoperta
all’inizio degli anni ’80. Archivio fotografico G.U.M.P.
La caratteristica dei tronchi oltre alla loro perfetta conservazione, al momento della
scoperta e del disseppellimento (alti circa 10 m e 1.5/2 m di diametro), è la loro
reciproca posizione (Figg 2 e 3): si presentano infatti ancora in posizione di vita (a
parte recenti crolli di alcune porzioni) e tutti paralleli e inclinati nella stessa direzione
(Figg. 6 e 7). Le cause di questo andamento sono ancora oggetto di studio e di
interpretazione; i tronchi infatti sono ubicati in corrispondenza di una ipotetica fascia
costiera nella porzione più meridionale del bacino Tiberino. Il Bacino, come noto,
occupava gran parte del territorio umbro (Lotti,1926; Cattuto et alii, 1992) e si
estendeva attraverso la regione, da N verso S, fino all’area di Dunarobba che
rappresentava la porzione del ramo occidentale del bacino plio-pleistocenico.
Sono stati svolti molti studi paleontologici, ma non è ancora chiara la determinazione
dei tronchi: indagini paleocarpologiche (Martinetto, 2000) hanno permesso
l’individuazione di semi, coni e fronde della specie di Taxodiacea fossile Glyptostrobus
europeus; mentre le analisi xilotomiche dei tronchi (Biondi & Brugiapaglia, 1998; 2000),
hanno dimostrato che le maggiori analogie sono riscontrabili con la specie fossile
Taxodioxylon gypsaceum. Lo studio morfometrico dei granuli pollinici (Pontini, 2000),
tuttavia, non permette una attribuzione con certezza sistematica ai generi Taxodium,
Glyptostrobus e Sequioia.
Fig. 2 – La Foresta Fossile dopo il termine dell’attività estrattiva. 1987. archivio fotografico G.U.M.P.
Fig. 3 – La Foresta Fossile nell’aprile del 2007, le strutture in legno sono a “protezione” dei tronchi. foto Famiani
Secondo recenti studi, la Foresta Fossile di Dunarobba (FFD) risale al Pliocene medio-
superiore (Ambrosetti e Basilici in AA.VV:,1994; Abbazzi et alii, 1997; Leone et alii,
2000) all’interno del bacino Tiberino e, in particolare, in quest’area sono state
individuate quattro unità litostratigrafiche in affioramento nella zona area di Todi-
Acquasparta (Basilici in AA.VV,1994): Unità di Fosso Bianco nella quale rientra la FFD;
Unità di Ponte Naia, Unità di Santa Maria di Siciliano e infine l’Unità di Acquasparta
(Fig.4).
Dal punto di vista paleo-ambientale i sedimenti dell’area della Foresta Fossile sono di
facies lacustre e le rocce affioranti sono l'espressione di cinque diverse litofacies
(Basilici, 1995; 2000):
1) Argille marnose con resti di vegetali (Glyptostrobus e Osmunda Fig. 5), gasteropodi
(Fig. 8)., lamellibranchi, ostracodi e decapodi dulcicoli, spesso insieme a noduli di
siderite (Basilici 2000). Le litofacies riconosciute riconducono a depositi di stagno
costiero.
2) Limi argillosi grigio bluastri con laminazioni sottili, ondulate con increspature
asimmetriche. e rari i resti fossili.
3) Argille limose massive grigio-
bluastre. I tronchi sono
prevalentemente radicati in questa
roccia. La fauna è costituita per lo
più da gasteropodi di ambiente
palustre. Sono presenti anche
noduli di siderite e di carbonato di
calcio. Tale facies è stata
interpretata come un paleosuolo.
4) Depositi di lignite. I resti sono
quasi tutti di natura legnosa senza
tracce di fluitazione, riferibili quindi
a depositi organici di palude
costiera. Fig.4 – Schema del ramo sud-occidentale del bacino tiberino.
Da Basilici 1995 modificato