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Scopi e metodi della meditazione Vipassana

Shinzen Young

(Il presente articolo è stato originariamente presentato oralmente da Shinzen Young come discorso di  
apertura a un ritiro di meditazione Vipassana  da lui condotto )

Siamo   venuti   qui   oggi   per   fare   una   pratica   chiamata   Vipassana. 
Vipassana è un termine in lingua Pali, uno degli antichi linguaggi dell'India 
come il sanscrito. A volte Vipassana viene tradotto come "meditazione della 
conoscenza"   (insight   meditation)   perché   uno   dei   principali   effetti   di   questa 
pratica   è   di   dare   una   profonda   comprensione     o   "insight"   della   natura 
dell'esperienza, della natura del proprio sé, della natura di profonde questioni 
(questioni universali quali il modo in cui il dolore diventa sofferenza, il modo in 
cui il piacere diventa soddisfazione oppure bisogno, e il modo in cui sorge il 
senso del sé).

La   meditazione   Vipassana   è   anche   chiamata   "meditazione 


dell'attenzione" perché viene praticata attraverso una profonda attenzione. La 
tecnica   consiste   fondamentalmente   nel   divenire   straordinariamente   attenti 
all'esperienza   ordinaria.   Sfortunatamente   la   parola   "attenzione"   si   presta   ad 
equivoci se viene interpretata nel senso di pensare costantemente a quello che si 
sta facendo. L'attenzione in senso proprio significa essere attenti e coscienti di 
quello   che   accade.   Anche   la   parola   "insight"   si   presta   a   fraintendimenti   in 
quanto non è solo un termine proprio del  Buddhismo ma è anche usato nel 
campo della psicoterapia. Se si pratica la psicoterapia si hanno degli "insights". 
Certamente   si   tratta   di   "insights"   molto   importanti,   ma   essi   si   riferiscono 
tipicamente alla propria personalità e a specifiche questioni che riguardano la 
propria vita. Gli "insights" che derivano dalla pratica della Vipassana sono più 
profondi   e   più   generali   di   quelli   che   ordinariamente   si   incontrano   nella 
psicoterapia.   Essi   si   riferiscono   a   questioni   molto   ampie   che   trovano 
applicazione   in   molti   contesti   piuttosto   che   singolarmente.     Da   una   singola 
importante conquista scientifica possono derivare dozzine ­ anche centinaia ­ di 
specifiche   applicazioni.   Nello   stesso   modo,   gli   "insights"   che   nascono   dalla 
pratica  Vipassana ci portano  a comprendere  la vera natura della personalità 
stessa   piuttosto   che   alcune   verità   riguardo   la   nostra   personalità.   Perciò 
Vipassana è "insight" nel senso di comprensione profonda ed è "attenzione" nel 
senso di una straordinaria consapevolezza.
La premessa di fondo di questa pratica può essere enunciata piuttosto 
semplicemente. Ogni volta che si rivolge uno straordinario grado di attenzione 
e di equanimità all'esperienza ordinaria si produce un "insight". E si produce 
anche   qualcosa   chiamato   purificazione.   Ora,   ogni   parola   che   ho   appena 
adoperato è un termine tecnico del Buddhismo. Il Buddhismo è una specie di 
scienza   interiore.   In   Occidente   si   è   sviluppata   una   scienza   esteriore   con   un 
vocabolario tecnico per descrivere, in una maniera che non ha nessuna altra 
cultura, la realtà fisica esterna. In Oriente c'è un analogo preciso vocabolario 
tecnico   ma   che   si   applica   al   mondo   interiore.   Sarebbe   a   dire   al   mondo 
dell'esperienza  soggettiva: udito, vista, odorato, gusto, sensazioni  corporee e 
mente pensante1. Gli orientali hanno sviluppato una scienza di questi sei sensi e 
l'hanno chiamata Vipassana.

Trovo nella scienza una metafora molto appropriata di questo particolare 
tipo di meditazione. Quando studiamo una scienza sappiamo che incontreremo 
dei   termini   tecnici.   Quando   incontriamo   un   termine   tecnico   non   possiamo 
proiettare su di esso nostri personali significati. Ascoltiamo molto attentamente 
le parole precise che l'insegnante utilizza per definire tale termine. Ad esempio, 
nell'inglese colloquiale, le parole forza, potenza ed energia (force, power, energy) 
sono spesso usate come sinonimi, ma per un fisico esse sono definite in maniera 
differente e specifica. (La forza è proporzionale all'accelerazione e alla massa; 
l'energia è una forza applicata su una distanza; e la potenza è la misura di come 
l'energia viene generata o consumata).  In modo analogo, chiarirò alcuni aspetti 
del vocabolario tecnico della tradizione Vipassana.

Un termine come "equanimità" non significa un atteggiamento freddo, 
passivo o indifferente. Piuttosto significa un atteggiamento di non interferenza 
con le operazioni dei sei sensi. Se provate una dolorosa sensazione al ginocchio 
che tende a diffondersi, lasciate che si diffonda. Perché? Perché scoprite che è 
esattamente   l'interferenza   con   la   sensazione   che   causa   sofferenza,   non   la 
sensazione in sé. Equanimità letteralmente significa bilanciamento, equilibrio. 
Significa non spingere e non tirare il flusso dei sensi. Non significa affatto che si 
debba  agire senza tenere in considerazione le circostanze esterne, né implica 
passività, apatia o cose del genere. L'equanimità è una totale apertura al sentire. 

1 Tradizionalmente in Oriente non si parla di cinque ma di sei sensi  comprendendo tra essi 
anche la mente. Inoltre quello che noi chiamiamo riduttivamente senso del tatto viene definito 
più ampiamente come sensazioni corporee ("feeling body").
L'equanimità è la cessazione del conflitto interno riguardo il flusso dei sei sensi: 
udito, vista, odorato, gusto, sensazioni corporee e mente pensante. Essendo uno 
stato di completa apertura, l'equanimità è intimamente connessa all'amore.

Ogniqualvolta   si   rivolge   attenzione   ed   equanimità   all'esperienza 


ordinaria, ha luogo un processo di sviluppo che è formato di due aspetti. Un 
aspetto  è la comprensione (insight) e l'altro è la purificazione. Abbiamo tutti 
dentro di noi motivi di infelicità. Ve ne rendete conto molto presto quando vi 
sedete per meditare. Vi sentite molto bene e subito arriva qualcosa che rende il 
vostro   mondo   un   po'   meno   perfetto.   Provate   sonnolenza,   la   mente   divaga, 
sorge questa o quella emozione, visualizzate un immagine negativa, riaffiorano 
ricordi  traumatici,  vi  sentite arrabbiati,    vorreste  uscire  dalla vostra pelle, vi 
perdete in ogni sorta di fantasie, fate qualcosa per distravi, siete consapevoli di 
conflitti interiori. Siamo pieni zeppi di motivi di infelicità totalmente estranei al 
nostro essere. Non è nella natura della coscienza di soffrire. Tuttavia abbiamo 
acquisto certe influenze che ci limitano: desideri e avversioni, ricordi dolorosi, 
schemi di comportamento abituali anche se inadeguati, ecc. 

Quando   ci   sediamo   per   meditare   tutto   questo   salta   fuori.   Perciò   non 
sempre   ci   sentiamo   bene   quando   pratichiamo   la   meditazione   Vipassana.   In 
effetti   potreste   sentirvi   spregevoli.   So   che   qualcuno   di   voi,   dopo   aver   udito 
questo,     vorrà   lasciare   subito   il   ritiro.   "Pensavo   che   la   meditazione   facesse 
sentire bene le persone". Si, a lungo termine, ma un aspetto importante della 
meditazione è di sedersi e lavorare con le cose che non ci fanno sentire bene, 
qualunque esse siano. Vi aprirete letteralmente la strada attraverso di esse, una 
dopo   l'altra,   una   dopo   l'altra,   una   dopo   l'altra.   Come?   Semplicemente   con 
l'attenzione   e   l'equanimità,   questo   è   tutto.   Qualunque   cosa   salti   fuori, 
l'osserverete senza fare assolutamente nulla. Diventerete realmente consapevoli 
e questo è tutto.

Questo  può apparire  banale, nella migliore delle ipotesi, o addirittura 


sbagliato.   Ma   è   davvero   qualcosa   di   potente.   Aspettiamo   che   uno   di   questi 
ostacoli alla felicità si presenti durante la meditazione: un'immagine negativa, 
un desiderio, un'avversione, un conflitto interiore, un blocco. Se lo rifiutiamo 
dicendo   "non   ti   voglio",   lo   stiamo   spingendo   via.   Ma   per   respingerlo   lo 
dobbiamo "toccare". Se, d'altra parte, ci identifichiamo in lui, entriamo in lui e 
lasciamo che ci porti con sé, anche in questo caso lo "tocchiamo". Appena viene 
toccato, la sua energia negativa si ricarica. Se cerchiamo di spingerlo via o  se 
veniamo attratti da lui, ogni qualsiasi tocco ha per effetto di "ricaricare la sua 
batteria" a scapito della nostra riserva d'energia. Ma se non lo tocchiamo se la 
dovrà sbrigare da solo con la sua limitata riserva di energia e se continuiamo ad 
essere vigili e ci limitiamo semplicemente ad osservare, alla fine l'energia di 
questa negatività si esaurisce la negatività se ne andrà per sempre. Il lavoro è 
definitivo.

Questo processo di osservare le negatività fino alla loro estinzione è detto 
purificazione. A mano a mano che lavoriamo su questi blocchi della felicità, la 
nostra intrinseca felicità ­ la natura della nostra coscienza che è fatta di gioia che 
si irradia liberamente ­ comincia ad essere evidente. Se eliminiamo lo sporco dai 
vetri della finestra, il sole che è sempre presente può risplendere attraverso di 
essi.   La   realtà   spirituale,   che   è   la   natura   dell'esperienza   ordinaria,   può 
risplendere anch'essa.

Molte persone possono affermare tale realtà spirituale ma senza averne 
una diretta esperienza. Esse sperimentano unicamente le loro proiezioni, i loro 
desideri o le loro convinzioni senza essere capaci di vederla direttamente. Ma 
ognuno ha la capacità di entrare in diretto contato con la Sorgente. Attraverso la 
pratica continua e rigorosa di una meditazione rivolta alla liberazione si può 
procedere in questa direzione. Ciò richiede tempo, ma il tempo passa in ogni 
modo, perché non viverlo al meglio?

Quindi,   l'essenza   di   questa   pratica   può   essere   enunciata   come   una 


semplice   formula:   esperienza   ordinaria   +   attenzione   +   equanimità   = 
comprensione e purificazione. In questa formula ogni termine è definito con 
precisione. L'esperienza ordinaria è definita come udito, vista, odorato, gusto, 
sensazioni   corporee   e   mente   pensante.   L'attenzione   è   definita   come 
consapevolezza   specifica,   chiara,   continua,   piena   e   precisa.   L'equanimità   è 
definita come non interferenza con il flusso dei sensi ad ogni livello, incluso il 
livello dei processi preconsci.

Quando   una   attenzione   ed   una   equanimità   sufficienti   sono   dirette 


sull'esperienza ordinaria, arriviamo alla purificazione e alla comprensione. E, 
come conseguenza della purificazione e della comprensione, la nostra intrinseca 
felicità, la nostra realtà primigenia e spirituale si manifesta e noi scopriamo che 
quello che pensavamo essere il mondo dei fenomeni ­ il mondo del tempo, dello 
spazio e della materia ­ si rivela essere in realtà il mondo dell'energia spirituale, 
con il quale siamo in contatto  in ogni momento. Perché quando i sensi vengono 
purificati, quando i conflitti interiori ­ a tutti i livelli ­ vengono risolti, il flusso di 
questi sensi ordinari si trasforma in una preghiera, in un mantra, in un canto 
sacro e noi scopriamo che, semplicemente vivendo la nostra vita, siamo in ogni 
momento in contatto con la Sorgente. Nella tradizione contemplativa cristiana 
ciò   è   chiamato   "la   pratica   della   presenza   di   Dio".   Nella   tradizione   mistica 
ebraica   è   chiamato   "briah   yesh   me­ayin":   l'esperienza   delle   cose   (yesh) 
continuamente create (briah) dalla non­cosa (ayn), cioè, da Dio.

Per la maggior parte delle   persone i sensi sono "opachi". Capite cosa 
voglio dire con la parola opachi? Il vetro della finestra è opaco se è coperto di 
polvere:   la   luce   non   può   attraversarlo.   La   polvere   sono   l'attaccamento, 
l'avversione e l'ignoranza. Quando ciò è spazzato via, i sensi ordinari diventano 
letteralmente trasparenti. E' molto difficile descrivere cosa succede. Udire torna 
ad essere parte del flusso spontaneo della natura, vedere torna ad essere parte 
del flusso spontaneo della natura e così via per l'odorato, il gusto, le sensazioni 
corporee. Sia che  ciò sia piacevole o spiacevole o neutro, tutto torna ad essere 
parte del "Respiro di Dio", per così dire.

Anche i processi della mente tornano ad essere parte di questo  libero 
flusso.   Nei   primi   stadi   della   meditazione   si   è   impegnati   a   superare   il 
vagabondare   dei   pensieri   e   a   raggiungere   la   calma   e   la   concentrazione 
sufficienti   per     praticare   l'attenzione.   Ma   avanzando   lungo   questa   strada   si 
scopre che non c'è nessun bisogno di tenere la mente ferma perché l'ordinario 
flusso  dei  pensieri  che viene sperimentato  non è differente  dall'attività  della 
Sorgente.  In altre parole, purificazione significa che, nell'esperienza ordinaria, 
le operazioni dei sensi divengono trasparenti ed elastiche. Per la maggior parte 
delle persone i sensi sono opachi e rigidi. Così non c'è da stupirsi se la gente 
pensa di vivere in un mondo fatto di materia solida all'interno di uno spazio 
fisso che esiste da sempre. Ma lo spazio è generato dalla Sorgente momento per 
momento e noi diventiamo consapevoli di questo a mano a mano che i nostri 
sensi perdono la loro rigidità e si fanno più chiari ed elastici. Letteralmente, 
Vipassana   significa   "chiarire",   o   "vedere   chiaramente",   o   "percepire 
chiaramente". "Vi" significa chiaramente. Vipassana significa che le operazioni 
dei sensi diventano più chiare nel duplice senso dell'espressione. Da un lato, 
qualcosa   diventa   più   chiaro   quando   da   indefinito   si   fa   definito;   dall'altro 
l'espressione   indica   che   qualcosa   che   era   opaco   si   fa   trasparente.   Così   nella 
Vipassana non dobbiamo fare nulla se non cercare di essere "definiti". Cercare 
di   discernere   momento   per   momento   quali   sono   i   componenti   della   nostra 
esperienza.

Questa può apparire una pratica banale. "Che gran lavoro. Mi siedo qui e 
così divento chiaramente consapevole che ho un prurito da qualche parte, o che 
c'è un suono che attira la mia attenzione. E' così?" Ma quando tutti i componenti 
dell'esperienza   diventano   sufficientemente   definiti,  quando  si  raggiunge  una 
chiarezza cristallina su cosa esattamente succede momento per momento, allora 
i sensi diventano letteralmente trasparenti, cioè privi di sostanza. E, come ho 
detto,  una realtà che è aldilà del tempo e dello spazio può brillare attraverso di 
essi.   Si   diventa   capaci   di   sentire   la   Sorgente   come   un   puro   "divenire"   che 
continuamente   plasma   il   tempo,   lo   spazio,   se   stessi   e   il   mondo,   istante   per 
istante.   Tecnicamente   ci   si   riferisce   a   questo   stato   come   a   una   intuizione 
dell'impermanenza. Bene, una volta che avrete raggiunto questo stadio non vi 
annoierete mai più, ve lo prometto.

Ora lasciatemi dire qualcosa di più sulla comprensione. Nella Vipassana 
arrivate   a   comprendere   le   cose   più   importanti   attraverso   una   attenta 
osservazione di voi stessi. Anche qui c'è una analogia con la scienza. Quando si 
guarda in un microscopio si scoprono cose che non si potrebbero vedere ad 
occhio nudo. Non c'è modo di sapere  che il nostro corpo è fatto di  miliardi 
cellule. Non importa quanto attentamente osservate il vostro corpo, non potrete 
mai   vederlo.   Ma   potrete   arrivarci   guardando   attraverso   un   microscopio   e 
potrete capire qualcosa di profondo e fondamentale sulla natura della vita. E' 
quella   che   si   chiama   teoria   cellulare   ed   è   alla   base   della   biologia   e   della 
medicina   moderne.   Il   microscopio   è   uno   strumento   che   estende   la 
consapevolezza   e   ci   porta   a   vedere   cose   che   esistono   sempre   ma   che   non 
possiamo vedere ad occhio nudo. Analogamente, la pratica dell'attenzione, la 
pratica   della   concentrazione   che   siete   qui   venuti   a   sviluppare   è   una 
esplorazione   del   vostro   mondo   interiore   come   il   microscopio   è   una 
esplorazione del mondo esteriore. Vi porta a vedere i livelli più sottili di una 
struttura che è altrimenti assolutamente invisibile ma che è molto importante.
Ad esempio, se osservate, potrete essere capaci di vedere che il dolore è 
una cosa e che la resistenza al dolore è qualcosa di diverso e che quando le due 
vanno   insieme   abbiamo   l'esperienza   della   sofferenza.   Possiamo   dire   che   la 
sofferenza è uguale al dolore moltiplicato per la resistenza. Potrete essere capaci 
di vedere che ciò è vero non solo per il dolore fisico ma anche per il dolore 
emotivo e che è vero non solo per i piccoli dolori ma anche per quelli grandi. E' 
vero  per ogni tipo di dolore indipendentemente da quanto grande o da cosa sia 
stato provocato. Dovunque c'è resistenza c'è sofferenza. A mano a mano che 
vedete   questo,   raggiungete   la   comprensione   sulla   natura   del   "dolore   come 
problema"   e   appena   ottenete   questa   comprensione   cominciate   ad   essere   più 
liberi. Cominciate a realizzare che finché vivrete non potrete evitare il dolore. Il 
dolore fa parte del nostro sistema nervoso. Ma certamente possiamo imparare a 
fare   esperienza   del   dolore   senza   trasformarlo   in   un   problema.   Senza 
trasformarlo in sofferenza, senza sfuggirlo e senza bloccare la perfezione del 
momento.

Se non avete mai meditato, forse vi sentite completamente persi riguardo 
a quello che dico. Potete anche pensare che dico cose senza senso. E c'è una 
buona ragione per farlo. La maggior parte della gente, nel momento in cui si 
rende   conto  di  provare  un   dolore   fisico   o  emotivo, lo  ha  già  trasformato  in 
sofferenza   attraverso   la   resistenza   ad   esso.   In   ogni   forma   di   esperienza,   la 
resistenza   inizia   al   livello   dei   processi   preconsci.   Perciò   l'idea   che   si   possa 
provare dolore ­ sia esso fisico o emotivo ­ senza che ciò sia un problema appare 
privo   di   senso   per   la   maggior   parte   delle   persone   che   continuamente 
sperimentano   che   laddove   c'è   dolore   c'è   anche   sofferenza.   La   differenza   tra 
dolore e sofferenza e la relazione tra essi è invisibile per la persona media che 
ha   bisogno   di   una   sorta   di   "microscopio"   ­   uno   strumento   che   estenda   la 
consapevolezza   ­   per   osservare   il   dolore   più   e   più   volte   durante   stati   di 
profonda concentrazione fino a cominciare  a distinguere  che il dolore  è una 
cosa e che la resistenza è qualcosa d'altro e che quando i due vanno insieme si 
soffre, ma quando c'è solo il dolore non si soffre. Il dolore fa semplicemente 
parte della natura. Fluisce liberamente come una increspatura sulla superficie di 
un  lago  o come il  vento che passa tra gli  alberi. Allora si diventa capaci  di 
"sentirsi in vacanza" anche in mezzo al dolore. Non si ha più bisogno di andare 
in montagna o al mare. Naturalmente ci si può anche sentire in vacanza mentre 
si   prova   piacere   o   in   mezzo   a   sensazioni   neutre.   Questo   è   un   esempio   di 
comprensione profonda. E' qualcosa che non si può scorgere ad occhio nudo. 
Posso   parlarvi   di   questo   e   voi   potete   credermi   oppure   no.   Se,   invece, 
osserverete   da   voi   stessi   abbastanza   a   lungo   e   abbastanza   in   profondità, 
scoprirete da soli che è davvero la verità. E' una scoperta importante? Aspettate 
la prossima volta in cui soffrirete per qualuque motivo e ve ne ricorderete.

Una   intuizione   (insight)   spirituale   è   come   un   gioiello   dalle   numerose 


sfaccettature.   Una   faccia   si   chiama   libertà   dalla   sofferenza.   Non   possiamo 
evitare il dolore, ma certamente possiamo evitare che il dolore si trasformi in un 
problema.   Quali   sono   le   altre   facce?   Bene,   dall'altra   parte   del   quadro   c'è   il 
piacere. Il piacere lascia soddisfatta in maniera duratura la maggior parte delle 
persone? Ogni esperienza piacevole trasforma positivamente le persone? Una 
persona che prova una maggiore quantità di piacere innalza il suo livello di 
soddisfazione  della  vita?  Di   solito  no.  In   effetti  di   solito  accade  il   contrario. 
Spesso   il   piacere   conduce   alla   mancanza   di   controllo,   al   bisogno,   alla 
compulsione.   C'è   qualcosa   di   sbagliato   nel   piacere?   Assolutamente   no. 
Solamente, come c'è un attaccamento intorno al dolore (resistenza), così c'è un 
attaccamento  intorno  al  piacere   (desiderio).  Quando   si  impara   a  vedere   e  si 
diventa   capaci   di   osservare   il   piacere   mentre   si   manifesta,   si   apprende   una 
interessante lezione. Il piacere va e viene naturalmente come una esperienza 
altamente purificante, ma se appena si sente piacere ci si aggrappa ad esso, se si 
cerca anche minimamente di congelare il flusso del piacere, allora esso non dà 
più   soddisfazione.   Al   contrario,   se   si   lascia   cadere   l'attaccamento,   il   piacere 
diventa davvero una soddisfazione durevole, qualcosa cambia all'interno e si 
raggiunge permanentemente un più alto livello di pienezza. Così, il dolore puro 
purifica   e   il   piacere   puro   purifica.   Cosa   intendo   con   dolore   puro?   Il   dolore 
senza resistenza. Cosa intendo con piacere puro? Il piacere senza attaccamento.

Un'altra faccia della comprensione si riferisce al proprio senso di sé. Ci 
sono   cose   che   è   bene   e   utile   conoscere   riguardo   a   come   il   senso   di   sé   si 
manifesta momento per momento. Pensiamo che esista "qualcosa" dentro di noi 
chiamato sé, ma osservando  più attentamente  scopriamo che c'è una attività 
chiamata personalità che sorge e scompare come parte del libero flusso della 
natura.   Questa   attività   chiamata   personalità  è   fatta   di   determinate   idee   e   di 
determinate sensazioni corporee che, momento per momento,  ci danno il senso 
di "Io sono". Quando queste idee e queste sensazioni corporee sono accolte con 
completa consapevolezza e interferenza zero, allora si prova una meravigliosa e 
paradossale esperienza. Ovviamente, se avete completa consapevolezza e zero 
interferenza   verso   quelle   idee   e   quelle   sensazioni   corporee   che   in   un 
determinato momento vi danno il senso dei "Io sono", allora potete dire che 
state lasciando la vostra personalità esprimere completamente se stessa. D'altra 
parte,   qualunque   cosa   stiate   sperimentando   mantenendo   completa 
consapevolezza   e   interferenza   zero,   questa   esperienza   diventa   chiara   nel 
duplice senso dell'espressione come detto precedentemente. Essa, cioè,  diventa 
perfettamente   definita   ma   diventa   anche   trasparente.   Così   la   personalità 
pienamente   sperimentata   è   un'onda   trasparente   piuttosto   che   una   particella 
opaca. Il sé pienamente sperimentato è un "divenire" piuttosto che una "cosa" e 
perciò viene a volte chiamato "non­sé". Una volta compreso questo, il senso del 
sé diventa elastico come gomma e si può espanderlo o contrarlo senza sforzo 
con il flusso degli eventi. Potete pensarlo come un sé elastico che può essere 
grande o piccolo a seconda delle circostanze, un vivo e vibrante puro "divenire" 
chiamato personalità. Così potete imparare a completare la  vostra personalità 
e,   imparando   questo,     imparate   anche,   a   volte,     a   lasciare   andare   la   vostra 
personalità. Un sé elastico può essere grande come l'intero universo e avvolgere 
ogni cosa e può essere piccolo come un niente e conoscere uno stato di assoluto 
riposo, di vera pace e serenità.

Così, attraverso questa pratica, aggiungiamo attenzione (consapevolezza 
specifica) ed equanimità (non interferenza con la consapevolezza) all'esperienza 
ordinaria.   Come   risultato   otteniamo   purificazione,   ossia   il   superamento   dei 
blocchi che impediscono la felicità e raggiungiamo degli "insights", ossia una 
profonda e multi­sfaccettata comprensione della natura della nostra esperienza. 
Di   conseguenza   cosa   succede?   Diventiamo   più   forti   e   diventiamo   liberi. 
Otteniamo un senso di libertà che è indipendente dalle circostanze e un senso di 
felicità incondizionato.

Questo processo in cui si sviluppa un senso di felicità indipendente dalle 
circostanze è molto stimolante ma in realtà non rappresenta che la metà del 
percorso   spirituale:   la   metà   che   si   riferisce   a   quanto   uno   riesce   a   diventare 
libero.   L'altra   metà   del   percorso,   che   è   ugualmente   importante,   dipende   da 
quanto si riesce a "buttarsi" nel mondo. In aggiunta all'attenzione coltivata con 
la   Vipassana,   si   coltivano   anche   stati   di   Amorevole   Benevolenza   e   di 
Compasssione   e   si   trasformano   questi   stati   soggettivi   in   azioni   oggettive   a 
beneficio degli altri.
Si potrebbe dire che attraverso la meditazione dell'attenzione si gratta via 
dalle   pareti   dell'anima   il   vecchio   e   sudicio   strato   di   vernice     e   attraverso   la 
pratica   quotidiana   dell'amorevole   benevolenza   se   ne   stende   uno   nuovo   e 
brillante.

Ci sarebbe molto da dire sullo sviluppo dell'Amorevole Benevolenza e 
della Compassione e sugli stretti legami tra l'amore e il cammino spirituale. Ne 
parlerò   più  avanti  durante  il  ritiro. Per  ora è  sufficiente  dire  che,  attraverso 
l'attenzione e l'equanimità, la vera sostanza del  sé senziente diventa porosa, 
trasparente, elastica e vibrante. Diventando porosa può essere imbevuta da tutti 
i sapori, diventando trasparente può assumere tutti i colori, diventando elastica 
e vibrante può risuonare su ogni nota. Attraverso l'Amorevole Benevolenza e le 
relative   meditazioni,   si   può   intenzionalmente   conferire   al   proprio   centro 
senziente una determinata colorazione, un sapore, una nota di calore umano e 
di   compassione.   Essa   si   diffonderà   continuamente   all'esterno   influenzando 
sottilmente l'ambiente circostante e al livello delle azioni si tradurrà in varie e 
spontanee manifestazioni di servizio a beneficio degli altri.

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