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Sacramento dell’Eucaristia
SACRAMENTUM CARITATIS
PREFAZIONE
L’inizio del terzo millennio è stato segnato da un interesse crescente verso il Mistero
eucaristico, di cui vive la Chiesa: l’anno giubilare ha conosciuto , nel cuore stesso delle sue
Celebrazioni, un Congresso eucaristico; sono seguiti la pubblicazione del Nuovo Messale romano, la
promulgazione dell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia, l’indizione dell’anno eucaristico con la Mane
nobiscum Domine, la realizzazione del Sinodo con il frutto delle sue 50 Proposizioni , ed infine, a
coronamento di questa intensa vita e riflessione eucaristica, la lettera apostolica post-sinodale
Sacramentum caritatis. Sono tutte tappe successive, organiche, in progressione di una consapevolezza
di fede , intelligenza, amore, del Memoriale della Pasqua del Signore, la sua celebrazione e
adorazione, la vita nuova che ne scaturisce: un evento unico, novità assoluta nella vitalità della Chiesa.
La trattazione sistematica del Mistero eucaristico può essere estranea a questo vero momento
favorevole, di grazia? Evidentemente no, significherebbe non sapere cogliere stimoli e orientamenti
offerti abbondantemente, specialmente nella lettera post-sinodale, alla riflessione teologica.
Il card.Angelo Scola (Presentazione Osser. Rom. 14/3/ 07) parla di autentica novità di sintesi
dottrinali: una prima, fondamentale la trova nel riconoscimento del primato dell’azione –preghiera
liturgica, sempre ben situata nella professione di fede nel Mistero pasquale così reso presente (n 34
della Sacramentum caritatis) Ne segue una seconda novità dottrinale, evidente opzione magisteriale :
ribadire il primato ontologico e storico dell’Eucaristia sulla Chiesa; riconoscere che la Chiesa è nata e
vive della partecipazione alla Pasqua di Cristo, quella Pasqua che l’Eucaristia nella sua celebrazione
rende presente (nn 14-15)
Così nella prospettiva del primato dell’Eucaristia sulla Chiesa, constatiamo nella
Sacramentum caritatis una ulteriore novità di sintesi dottrinale, quella di considerare tutta la vita della
Chiesa, sacramentale, morale, spirituale, missionaria , sociale sul fondamento ed orientamento
eucaristico..
Quando questa sintesi di professione di fede, sua corretta celebrazione, vita nuova che ne
scaturisce viene realizzata, sensibilmente espressa , si manifesta una vera, affascinante bellezza (n 35).
Mai un documento del Magistero aveva realizzato una sintesi eucaristica così ampia e convincente.
Gli studi teologici vengono così incoraggiati a superare, nel modo proprio degli studi, i
dualismi denunciati dal Sinodo, tra fede nel Mistero e sua celebrazione, tra dottrina e pastorale, tra
ritualità della S. Messa e l’Adorazione susseguente.
Si chiede poi in ,in concreto,: “[…]una coscienza più chiara della ricchezza dell’Anafora:
insieme alle parole pronunciate da Cristo nell’ultima cena, essa contiene l’epiclesi, quale invocazione
al Padre perché faccia discendere il dono dello Spirito affinché il pane ed il vino diventino il corpo e
sangue di Cristo e perché <la comunità tutta intera diventi sempre più corpo di Cristo( Prop. n 22)>(n
13)" “In particolare la spiritualità eucaristica e la riflessione teologica vengono illuminate se si
contempla la profonda unità nell’Anafora tra l’invocazione dello Spirito Santo e il racconto della
3
istituzione, in cui <si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell’Ultima Cena(n 48)>”Nel
presente saggio di sintesi teologica ho cercato di seguire questi nuovi orientamenti.
Entrare nello studio del Sacramento Eucaristico per la via suggerita di una conoscenza migliore
dell’Anafora :il suo costituirsi, nella sua struttura teologica propria, nei primi tre secoli della Chiesa:
per l’attività propria del Celebrante in successione e comunione apostolica, nella tradizione viva della
Chiesa ( “fate questo in memoria di me” Lc 22,19;”anche voi mi renderete testimonianza” Gv 15,27)
e nella forza e luce dello Spirito Santo promesso da Cristo e invocato dalla Chiesa:(“ lo Spirito di
verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza. ”Gv 15,26).
“Questo grande mistero viene celebrato nelle forme liturgiche che la Chiesa, guidata dalla
Spirito Santo, sviluppa nello spazio e nel tempo.[….] Pertanto è in forza dell’azione dello Spirito che
Cristo stesso rimane presente operante nella sua Chiesa , a partire dal suo centro vitale che è
l’Eucaristia”(n 12)
Ne segue l’importanza decisiva del cogliere la presenza del Corpo dato e del Sangue versato
negli alimenti <eucaristicizzati>, l’identità sostanziale del Corpo eucaristico con quello del Crocifisso
glorioso, per la qualità vera della Chiesa, corpo di Cristo. Come ci avvisa Benedetto XVI:” Grazie
all’Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo[…] Ogni grande riforma è legata, in qualche modo,
alla riscoperta della fede nella presenza eucaristica del Signore in mezzo al suo popolo”(n 6).Una
presenza sacrificale, che accolta in pienezza nella comunione eucaristica, assume e trasfigura il
donarsi nella carità della Chiesa e del cristiano in essa, qualità nuova di vita, sacrificio vivente al Padre
per i fratelli.
Su questa base , si può rispondere, sviluppando l’insegnamento della Sacramentum caritatis,
alle domande della Proposizione 22 del Sinodo: la relazione tra racconto dell’istituzione,
consacrazione , e l’invocazione dello Spirito Santo ; il primato ontologico e storico dell’Eucaristia
sulla Chiesa, e tutto sempre con finalità mistagogica, introdurre la comunità ad una <actuosa
partecipatio>, <Logiké latreia>, vita secondo il Figlio, Parola-Immagine filiale, nel suo Spirito Santo.
Questo, brevemente , il percorso tracciato di sintesi teologica; il mio desiderio è anzitutto
porre in evidenza un momento di grazia per la teologia eucaristica, un dono ricevuto da vivere in
comunione, migliorarne l’intelligenza, affidarlo ad altri.
Mi piace a questo proposito ricordare i miei Genitori, che mi hanno introdotto per primi alla
vita eucaristica; ho ricevuto la Prima Comunione durante la guerra nella Diocesi di Cuneo, e
sviluppato la vita eucaristica nella Chiesa salesiana di S. Giovannino in Torino : ovunque ho sempre
trovato l’aiuto di ottimi sacerdoti.
Nella Compagnia di Gesù l’Eucaristia, i SS Sacrifici come ama chiamarla S.Ignazio, ha sempre
assicurato la qualità vera della vita religiosa e apostolica.Ricordo con riconoscenza il mio maestro di
teologia Eucaristica, un teologo veramente completo nella conoscenza scientifica delle radici vetero
testamentarie-giudaiche, del suo sviluppo storico e sistematico, il P. Luis Ligier.Il confratello, con
novizio, Padre Cesare Giraudo mi ha aiutato molto nello studio della genesi letterario-teologica delle
4
Preghiere eucaristiche, di cui Don Enrico Mazza offre analisi complementari analitiche e di grandiose
sintesi cristologiche.
Ringrazio il mio R. Padre Provinciale Franz Tata, vice Gran Cancellerie della Facoltà
teologica della Sardegna, per il permesso di pubblicare; e sua Ecc.Rev.ma Mons. Giuseppe Mani,
Arcivescovo di Cagliari e nostro Gran Cancelliere per l’Imprimatur :A Cagliari ho trovato intensa vita
eucaristica, anche la possibilità di celebrare ogni giorno nella Chiesa annessa alla Facoltà, ove le Suore
Eucaristiche di Cristo Re della Madre Bruna MAXIA si impegnano nell’Adorazione quotidiana.
Il lavoro è nato in buona parte nella comunicazione teologica della scuola, sempre stimolante, e
ne ringrazio Confratelli e allievi.
Ringrazio infine Giovanni Di Stefano, Pier Paolo Campus ed il Dott. Luciano Armando e
Consorte Lucia per il paziente aiuto nel lavoro di computer.
5
ABBREVIAZIONI E SIGLE
1.Concilio Vaticano II e Magistero pontificio
3.Altre abbreviazioni
INTRODUZIONE
Il Mistero eucaristico ci fa compiere il passo decisivo dalla Confessione del Kerigma
fondamentale che «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il
terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.» (1 Cor 15,3-5), al rendere
presente lo stesso Mistero salvifico, ricevuto e fedelmente trasmesso, nella Celebrazione del
Memoriale Eucaristico:
“Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese il pane, e dopo avere reso grazie, lo
spezzò e disse: «Questo è il mio corpo che è per voi, fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo avere cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova
alleanza nel mio sangue; fate questo ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la
morte del Signore finché egli venga.”( 1 Cor 11,23-26).
Si tratta quindi dello stesso Mistero centrale della fede, la Pasqua del Signore, da Lui ricevuto,
trasmesso fedelmente nella Chiesa presieduta dall’Apostolo, perché sia non solo annunciato, accolto
nella Professione di fede, ma sia inoltre per la Celebrazione reso presente nella Chiesa, per
qualificarne la vita, la comunione, la preghiera, la Speranza, in attesa della piena manifestazione del
Signore risorto. 1
Si può anche affermare: tutto nella Chiesa è stato scritto, sotto Ispirazione dello Spirito Santo
(corpo delle S. Scritture) nella luce del Crocifisso risorto, come ugualmente tutto è creduto, vissuto,
sperato per la presenza efficace, Eucaristica dello stesso Crocifisso risorto: il Mistero della fede, che
fruttifica il dono dello Spirito Santo, per unire tutti i credenti in un cuor solo ed un’anima sola, nel
vincolo della carità. Si tratta anche del profondo convincimento del Vaticano II, così espresso nella
Sacrosantum Concilium n 6 :
“Pertanto, come il Cristo fu inviato dal Padre, così anche egli ha inviato gli Apostoli, ripieni
dello Spirito Santo, non solo perché, predicando il Vangelo a tutti gli uomini, annunciassero che il
Figlio di Dio con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal potere di Satana e dalla morte, e
1
Cfr la Proposizione 3 del Sinodo. Il Novum del mistero pasquale ‹‹Istituendo l'Eucaristia Gesù ha dato
vita ad una novità radicale : ha compiuto in se stesso la nuova ed eterna alleanza [….] il dono totale di sé. Il vero
Agnello si è sacrificato una volta per tutte nel mistero pasquale, ed è in grado di liberare una volta per sempre
l’uomo dal peccato e dalle tenebre della morte. Il Signore ci ha offerto gli elementi essenziali del culto nuovo››
in Notitiae 41 (2005) 437s.Sacr. Car. n 9 ribadisce :” “Gesù Cristo è il vero Agnello pasquale che ha offerto se
stesso in sacrificio per noi, realizzando così la nuova ed eterna alleanza. L’Eucaristia contiene in se questa
radicale novità, che si ripropone a noi in ogni celebrazione”.
Cfr SCHLIER, H., L’unità della Chiesa, in Il tempo della Chiesa, il Mulino, Bologna 1965, 470-477;
questa concretezza della presenza del Signore alla sua Chiesa, di cui chiaramente ci parla il Nuovo testamento, è
stato il «motivo esegetico» fondamentale, che ha portato l’esegeta luterano Schlier all’ingresso nella Chiesa
cattolica. cfr Id., Breve rendiconto, ed. Nuova ‘Omicron, Roma 1999.
7
trasferiti nel regno del padre, ma anche perché attuassero, per mezzo del Sacrificio e dei Sacramenti,
sui quali si impernia tutta la vita liturgica, l’opera della salvezza che annunciavano.”
L’annuncio del Kerigma, l’efficacia del Battesimo, avviene nella prospettiva della Presenza
unica del Crocifisso risorto nei doni eucaristici, per creare per Lui, nello Spirito Santo, la comunione
dei Figli di Dio, fraternamente in cammino verso il Padre, nonostante il succedersi della generazioni
nel tempo, la dispersione geografica nello spazio, soprattutto vincendo la lacerazione del peccato,
nell’unico corpo della Chiesa. Anche la Sacramentum caritatis ci ricorda al n. 6 : “«Per questo, il
sacramento dell’Altare sta sempre al centro della vita ecclesiale; ‹‹grazie all’Eucaristia la Chiesa
rinasce sempre di nuovo››”.
Accogliamo così, nella familiare presenza che il Crocifisso glorioso realizza nella celebrazione
della Chiesa, l’integrità del progetto di Dio: tutto è stato creato nella prospettiva del Verbo incarnato,
incarnato sino all’estremo della Croce, del Crocifisso ora glorioso alla destra del Padre, in attesa di
creare cieli nuovi e terra nuova, mentre Egli stesso è già presente nella sua Chiesa come Corpo dato in
sacrificio, Sangue versato, per farla già ora progredire nella comunione e configurazione a Lui, darle la
pienezza della sua vita; “Gesù Cristo, dunque, che ‹‹con uno spirito eterno offrì se stesso senza
macchia a Dio›› ( Eb 9,14), nel dono eucaristico ci comunica la sua stesa vita divina”.(Sacr. car. n
8).
Ritornando alla S. Scrittura, non solo Paolo, ma anche Giovanni lo insegna chiaramente nel cap.
6 del suo Vangelo:
:nei vv. 26-47 Gesù si autopresenta come il pane vivo disceso dal
cielo; l’attenzione è qui indirizzata alla sua Persona divina, filiale, venuta a noi per comunicarci la
comunione vissuta col Padre. La risposta dell’uomo è la fede in Gesù, la sua Persona, il suo operare,
per avere la Vita. Il Padre ci attira verso Cristo, affinché l’accogliamo, abbiamo fede in Lui: “ Questa
è l’opera di Dio: credere in Colui che Egli ha mandato” ( Gv. 6,29).
: nei vv. 48-55 si va oltre: nonostante le mormorazioni, Gesù indica
come via necessaria, non solo credere alla sua Persona ed opera, ma di accoglierLo intimamente in una
celebrazione ecclesiale che richiede la convivialità del mangiare e bere la sua carne ed il suo sangue.
“In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo, e non bevete il suo
sangue, non avrete in voi la Vita. Chi mangia la mia carne e bere il mio sangue ha la vita eterna, ed
io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (v. 53); aveva infatti già detto al v. 51 “Il pane che io darò è la
mia carne per la vita del mondo”.
Preciserà ancora al v. 63, che la «carne» nostro cibo è quella del Crocifisso glorioso già asceso
al Cielo, datore dello Spirito Santo . “É lo Spirito che dà la vita”.
Nel nostro trattato cerchiamo l’intelligenza teologica di questo passaggio decisivo dalla
confessione del Signore crocifisso risorto alla piena accoglienza della sua Presenza salvifica e
trasfigurante la nostra vita nella celebrazione da Lui comandata, “Fate questo in memoria di me” (Lc
22,19) del Memoriale della sua Pasqua. É questo, in relazione al comandamento nuovo dell’amore
reciproco sulla misura del suo amore (cfr Gv 13,34s), il piu grande dei comandamenti del Signore.
8
Questo passaggio dalla professione di fede nel Signore Gesù alla Celebrazione della sua più
intensa presenza risulta decisiva per l’unità della Chiesa; rappresenta il Cuore dei dialoghi ecumenici.
Citiamo questa consapevolezza maturata nel dialogo tra Cattolici e Ortodossi calcedonesi:
“Ciascun sacramento presuppone ed esprime la fede della Chiesa che lo celebra. Infatti, nel
sacramento la Chiesa fa qualcosa di più che confessare ed esprimere la sua fede: essa rende presente
il mistero che celebra” 2
Sviluppiamo sistematicamente questa intelligenza teologica in un momento di grazia, veramente
un tempo favorevole: il Giubileo del 2000, che già presentava come suo vertice un Congresso
eucaristico internazionale, ha rinnovato l’attenzione e la fede della Chiesa in Cristo Signore,
fondamento della Creazione, operante la Redenzione, per portarci al Padre nello Spirito Santo; è
sufficiente ricordare le due lettere apostoliche, quella in preparazione, Tertio millennio adveniente 3, e
quella in chiusura Novo millennio ineunte 4 del grande giubileo.
Così il volto di Cristo Signore, la sua Gloria ora brilla, si irradia più intensamente nella
Professione di fede della sua Chiesa, nella sua Catechesi. All’inizio del nuovo millennio, per
consolidare questi frutti di confessione ed intelligenza del Mistero, perché sia in pienezza vissuto e
annunciato, «Duc in altum» (Novo Millennio Ineunte n 1), Giovanni Paolo II ha posto massima cura
nel rilanciare la piena comprensione e la corretta celebrazione del Memoriale eucaristico.
Questo sia come completezza di Dottrina nella sua ultima enciclica, splendido canto del cigno
Ecclesia de Eucharistia, sia come rilancio di corretta e fruttuosa celebrazione, in un anno di più
intensa vita eucaristica, in preparazione al Sinodo dei Vescovi sul tema dell’Eucaristia fonte e culmine
della vita e missione della Chiesa. Indizione e programmi dell’anno eucaristico tracciati con la Lettera
apostolica Mane nobiscum Domine.
Come ci raccomanda Giovanni Paolo II cerchiamo anche noi di fare sintesi (Mane
Nobis.Domine n 10), accogliendo l’insegnamento e gli stimoli di questo magistero eucaristico,
specialmente ora dopo la celebrazione del Sinodo, la pubblicazione dell’Esortazione apostolica post-
sinodale Sacramentum caritatis. Fare sintesi dei frutti di questa ricchezza esuberante di attenzione ai
molteplici aspetti del Mistero eucaristico, la qualità di vita ecclesiale, personale e sociale che ne
proviene.
Mai il Magistero ecclesiale, interrogando la tradizione viva della Chiesa, la fede vissuta del
popolo di Dio, suscitando riflessione teologica ha dimostrato tanta attenzione al Mistero eucaristico; si
può fare qualche paragone con i tempi del Concilio di Trento, ma la situazione era molto diversa. 5
2
COMMISSIONE MISTA INTERNAZIONALE PER IL DIALOGO TEOLOGICO TRA LA CHIESA
CATTOLICA E LA CHIESA ORTODOSSA, Documento Fede, sacramenti ed unità della Chiesa, Cassano delle
Murge (Bari) 16 / 6 / 1987, in EO III, Dialoghi internazionali, EDB, 1995, n. 6, 780.
3
Lettera apostolica del 10/11/1994, AAS 87 (1995) 5-41
4
Lettera apostolica del 6/1/2001 AAS 93(2001) 266-309
5
La Riforma, che ha provocato il dramma tragico della frattura della Chiesa; iniziata sui temi
dell’Antropologia teologica, Giustificazione, Teologia crucis e theologia gloriae, si è consumata nella dottrina
eucaristica, il Sacrificio, la manomissione del Canone romano, la sua pratica abolizione. L’interesse per
9
Risulta semplice normalità che il Ministero petrino-apostolico ponga massima cura nel
custodire, fare vivere in pienezza l’Eucaristia. Il particolare affidamento a Pietro e successori del
Memoriale della Pasqua, risulta chiaramente dal Vangelo: la confessione di Pietro a nome dei Dodici:
“Signore da chi andremo ? Tu hai parole di Vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei
il Santo di Dio” (Gv 6,68s) avviene a conclusione del discorso-dialogo sul Pane della vita. Parimenti
l’affidamento di tutto il gregge a Pietro ‹‹pasci i miei agnelli››, ‹‹pasci le mie pecorelle››, avviene dopo
la rinnovata convivialità col Signore risorto, dopo la pesca miracolosa . ( Gv 21,1-17).
Anche la professione di Pietro in Mt 16,16 e Mc 8,29 è posta nella sezione dei pani, dopo le due
moltiplicazioni, i discorsi e dialoghi annessi.
Anche in Luca la preghiera di Cristo per Simon Pietro, perché non venga meno la sua fede e
possa quindi confermare in essa i suoi fratelli è assicurata nel contesto dell’istituzione dell’Eucaristia,
Memoriale della Pasqua di Cristo, del comandamento del servizio (cfr Lc 22,31s). 6
Non ci stupiamo se la professione di fede in Gesù da parte di Pietro, il conferimento delle chiavi
del regno, la grazia di confermare i fratelli, avvenga in contesto eucaristico; esattamente perché
l’Eucaristia è il compimento-pienezza del progetto di vita e salvezza per l’uomo, partecipazione già
ora donata alla stessa Vita Trinitaria, realizzazione della Chiesa universale, col suo primato ontologico
e storico, nelle Chiese particolari. 7
Si tratta del Mistero della fede, da ritenere nei termini in cui è stato annunciato ( cfr 1Cor 15,2),
da celebrare secondo la volontà istitutiva di Cristo che la Chiesa tramanda con fedeltà ( cfr 1Cor
11,23-29).
Ne dipende la qualità decisiva della stessa vita cristiana: la Chiesa degli Apostoli è una
comunità «eucaristica». Vive ringraziando il Padre per avere ricevuto in Cristo la pienezza della Vita,
la vittoria sul male e sulla morte; questo atteggiamento eucaristico vissuto è come un’onda lunga,
ovunque percettibile, originata, sostenuta, frutto della celebrazione del Memoriale del Signore.
Questa onda lunga eucaristica pervade tutte le lettere paoline, dal loro inizio: è quasi
consuetudine di Paolo affermare in primo luogo l’autorità del suo servizio apostolico, per poi subito
l’integrità della preghiera eucaristica è vivo in ogni Comunità ecclesiale, cfr. COMMISSIONE FEDE E
COSTITUZIONE DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE, Battesimo ,Eucaristia, Ministero, testo
elaborato a Lima, n 27 in E. Oe.1, nn 3103-3110; SEGRETARIAT FOR PROMOTNG CHRISTIAN UNITY,
Baptism, Eucharist and Ministry (BEM), A Catholic response, july 21 1987, in E.V: 10, nn 1970-2009.
6
Cfr SCHLIER, H. ., Il cap. 6 del Vangelo di Giovanni e la concezione giovannea dell’Eucaristia, in La
fine del tempo (= Biblioteca di Cultura religiosa 16), Paideia, Brescia 1974, 135s, ove nella nota 40, cita
SCHURMANN, H.. Anche ., Il Vangelo di Giovanni, parte seconda, Commento ai cc.5-12, (= Commentario
teologico del Nuovo testamento IV/2) Paideia Brescia 1977, 153-157.
7
Cfr CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI, Litterae Communionis notio, del 28/5/ 1992, AAS 85
(1993), 838-850:J. Cfr RATZINGER, J., L’ecclesiologia della Lumen gentium, Convegno internazionale
sull’attuazione del Vaticano II, Regno documentazione 2000, 231-238.
10
passare al ringraziamento al Padre per la vita di fede, speranza, carità che qualifica la vita della
Chiesa; insistendo poi nella preghiera perché questa vita cristiana porti la pienezza dei suoi frutti. 8
Non ci stupiamo quindi dell’attenzione grande che, si può dire in ogni suo decreto,
dichiarazione, costituzione, il Vaticano II ha riservato all’Eucaristia; viene sempre qualificata come
fonte, sorgente, centro vivificante e plasmante, ed insieme fine culminante di tutta la vita della
Comunità ecclesiale, in ogni suo membro, grado gerarchico, vocazione, attività personale e
comunitaria. 9
Il Magistero della Chiesa, specie durante il II Millennio, nella prospettiva di una fedele e
fruttuosa celebrazione ( Sinodo di Roma del 1079; Concilio Lateranense IV, Lionese II, Fiorentino e
10
Tridentino ) ha molto curato la dottrina dei contenuti costitutivi dell’Eucaristia: presenza, sacrificio,
comunione.
Paolo VI nell’ultimo periodo del Vaticano II, mentre incoraggiava i Padri nel portare a
compimento la Costituzione pastorale GS sui rapporti Chiesa-mondo, ha voluto Lui stesso, come
11
pastore e maestro universale, donare alla Chiesa l’enciclica Mysterium fidei sulla Dottrina e culto
della SS Eucaristia; ribadire in modo particolare la presenza in essa vera, reale, sostanziale del Corpo
dato e del Sangue versato, per transustanziazione.
8
Cfr BOUYER, L., Eucaristia, teologia e spiritualità della preghiera eucaristica, ELLE DI CI, Torino-
Leumann 1983, 121.
9
Qualche citazione:
Fonte sorgente: SC n 10 (ed. dehoniana numeri marginali 16-17); LG n 11 (313); PC n 6 (725); UR n 15
(547);
PO n 5(1523): “Tutti i Sacramenti, come tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di Apostolato sono
strettamente unite all’Eucaristia, ed ad essa sono ordinate. Infatti nella SS. Eucaristia è racchiuso tutto il bene
spirituale della Chiesa, cioè Cristo nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito
Santo e vivificante, dà la vita agli uomini, i quali sono invitati in tale modo e indotti ad offrire insieme a Lui se
stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create. Per questo l’Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta
l’Evangelizzazione, cosicché i catecumeni sono introdotti poco a poco alla partecipazione dell’Eucaristia, ed i
fedeli già segnati dal S. Battesimo e dalla Confermazione, sono pienamente inseriti nel Corpo di Cristo per
mezzo dell’Eucaristia. La sinassi eucaristica è dunque il centro della comunità dei fedeli presieduta dal
Presbitero”.
Culmine, fine, centro: SC n 10 (16-17): LG N 11(313); CD n 30 (657); AG n 9 (1109), 39 (1127); GS n
38 (1437s).
Comunica la carità: LG n 26 (348); fa conoscere e vivere il Mistero pasquale: CD n 15 (606); adorare Dio
in Spirito e Verità GE n 2 (825).
Cfr Liturgia e spiritualità,(= BEL 64), CLV Roma 1992, le relazioni di R. FALSINI, La Liturgia come
culmen et fons: genesi e sviluppo di un tema conciliare, 27-50, e di G.CAVAGNOLI, La Liturgia come “culmen
et fons”, significati e sviluppi di un tema conciliare, 51-70.
10
Cfr NEUNHEUSER, B., L’Eucharistie II. Au moyen age et à l’époque moderne,(=Histoire des
dogmes) Cerf, Paris 1966
11
Lettera enciclica del 3/9/1965: AAS 57(1965), 753-774.
11
Era convinto, Paolo VI, che senza una limpida fede nella presenza del Signore Gesù
nell’Eucaristia, in relazione alle sue molteplici presenze nella Chiesa, non si può realizzare il progetto
di rinnovamento della Chiesa, di una sua irradiazione missionaria, dialogo salvifico con la società di
oggi.
Parimenti Giovanni Paolo II ha voluto che il terzo millennio iniziasse con una nuova edizione
del Missale romanum, l’Enciclica Ecclesia de Eucharistia 12, l’Istruzione 13 della Congregazione per il
Culto divino e la disciplina dei Sacramenti Redemptionis sacramentum, su alcune cose che si devono
osservare ed evitare circa la SS Eucaristia, l’indizione dell’Anno Eucaristico con la lettera apostolica
Mane nobiscum Domine 14, in preparazione al Sinodo dei Vescovi, quest’ultimo realizzato sotto
Benedetto XVI.., con il suo frutto pieno nella Sacramentum caritatis
E’ un momento di grazia, la situazione favorevole per la stesura di un trattato sull’Eucaristia.
Risulta anche in qualche modo insinuato dalle Proposizioni votate dai Padri sinodali, ove si chiede la
composizioni di sintesi sistematiche; in particolare si incoraggia la progettazione di un Compendio
eucaristico,(n 17) 15, proposta accolta nella Sacr. car. n 93:
“A cura dei competenti Dicasteri sarà pubblicato un Compendio, che raccoglierà testi del
Catechismo della Chiesa Cattolica, orazioni, spiegazioni delle preghiere eucaristiche del Messale, e
quant’altro possa rivelarsi utile per la corretta comprensione, celebrazione e adorazione del
Sacramento dell’altare.”
Il Sinodo inoltre al n. 22: “auspica che si mostri con maggiore chiarezza il legame dell’Epiclesi
con il racconto dell’Istituzione”; in tale modo “Diventerebbe più evidente come tutta la vita dei fedeli
sia, nello Spirito Santo e nel Sacrificio di Cristo un’offerta spirituale gradita al Padre ”. Domanda
accolta dalla Sacr. Car., n 48 : “In particolare la spiritualità eucaristica e la riflessione teologica
vengono illuminate se si contempla la profonda unità nell’anafora tra l’invocazione dello Spirito
Santo e il racconto dell’istituzione, ‹‹in cui si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell’Ultima
cena››”16
Da questi studi si prevede un altro vantaggio: “che sia meglio precisata la natura della diversa
causalità implicata nella formula: «la Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa»”. La Sacr.
12
Lettera enciclica del 17/4/2003: AAS 95 (2003), 433-475.
13
CONGREGAZIONE DEL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istruzione del
25/3/2004, AAS 96 (2004), 549-601.
14
Lettera apostolica del 7/10/2004: AAS 96 (2004), 337-352.
15
SYNODUS EPISCOPORUM, Elenco finale delle Proposizioni, in Notitiae, 41 (2005), 448s.
16
Anche al n 13 si afferma : “E’ quanto mai necessaria per la vita spirituale dei fedeli una coscienza più
chiara della ricchezza dell’anafora: insieme alle parole pronunciate da Cristo nell’Ultima Cena, essa contiene
l'Epliclesi, quale invocazione al Padre perché faccia discendere il dono dello Spirito affinché il pane ed il vino
diventino il corpo ed il sangue di Gesù cristo, , perché ‹‹ la comunità tutt’intera diventi sempre più corpo di
Cristo››”
12
Car. al n 14 offre in materia un ulteriore ‹‹significativa opzione magisteriale per il primato della
causalità eucaristica su quella ecclesiale››. 17.
Domanda molteplice di esposizioni più unitarie, organiche, della ricchezza insita e
dell’efficacia del Mistero eucaristico nella vitalità della Chiesa. Il Card. A. Scola., nella Relatio post
disceptationem, trae dagli interventi dei Padri un incoraggiamento a superare i «dualismi» che
indeboliscono la comprensione e la pietà eucaristica:
“In linea di massima dagli interventi dei Padri sinodali è emerso un orientamento di fondo: il
superamento di ogni dualismo tra dottrina e pastorale, tra teologia e liturgia. E’ la conseguenza del
carattere di azione liturgica (rito) proprio dell’Eucaristia. Il cammino mistagogico non va dalla
teologia alla liturgia, ma in senso inverso dalla liturgia ben celebrata all’intelligenza dei misteri. Non
esiste una dottrina avulsa dalla vita; nè si può pensare alla concreta esistenza cristiana
indipendentemente dal contenuto normativo della fede.” 18
La Sacr. Car. risponde a questo desiderio con una ‹‹innovativa affermazione della centralità
dell’azione liturgica nella vita della Chiesa. Essa è in effetti il cuore di tutto il testo››. 19 Il Card. Scola
individua questo cuore dell’esortazione apostolica di Benedetto XVI nel suo n 34:
“ Il Sinodo dei Vescovi ha riflettuto molto sulla relazione intrinseca tra fede eucaristica e
celebrazione, mettendo in evidenza il nesso tra lex celebrandi e lex credendi e sottolineando il
primato della azione liturgica. E' necessario vivere l’Eucaristia come mistero della fede
autenticamente celebrato, nella chiara consapevolezza che ‹‹l’intellectus fidei è sempre
originariamente in rapporto con l’azione liturgica della Chiesa›› 20 In questo ambito la riflessione
teologica» non può mai prescindere dall’ordine sacramentale istituito da Cristo stesso. D’altra parte
l’azione liturgica non può mai essere considerata genericamente, a prescindere dal mistero della
fede. La sorgente della fede e della liturgia, infatti ,è il medesimo evento : il dono che Cristo ha fatto
di se stesso nel Mistero pasquale.”
Il Card. Scola osserva inoltre che molti Padri, nei numerosi richiami ad una catechesi liturgica,
hanno messo in evidenza il tema della Mistagogia:
“Essa consente di affrontare una delle principali sfide posta dalla dominante cultura spesso
secolarizzata, che tende a non dare spessore reale al mistero o a ridurlo in termini irrazionali [...]
Per i Padri che ne hanno sostenuto l’importanza la Mistagogia permette di vivere la liturgia come un
insieme unitario ed articolato di gesti, azioni, parole, processioni che impiega spazi, arredi,
suppellettili.
Essa diviene così una via maestra per iniziare il fedele al mistero che viene celebrato; consente
una genuina comprensione dell’esperienza celebrativa così che dall’agire liturgico scaturisca un
approfondimento del senso dell’agire salvifico di Dio. Infatti l’azione liturgica, se rispetta tutte le sue
17
Card. SCOLA, A., Presentazione di ‹‹Sacramentum caritatis››, in Osser. Rom. del 14/3/ 2007, 11.
18
SCOLA, A., Relatio post disceptationem, n 4, in Notitiae, 41 (2005),426; in Regno Documenti,
2005, 535.
19
ID., Presentazione di Sacr. Car., cit.
20
Relatio post disceptationem, 4: Osser. Rom. del 14/10/2005,5; Notitiae, 41(2005) 426
13
dimensioni, contiene già in se stessa la capacità di introdurre ai misteri cristiani, mostrando la loro
incidenza nella vita quotidiana.”21
Le Proposizioni richiedono in più luoghi una teologia, catechesi Mistagogica, come al n 16:
“La tradizione più antica della Chiesa ricorda che il cammino cristiano, senza trascurare
l’intelligenza sistematica dei contenuti della fede, è esperienza che nasce dall’annuncio, si
approfondisce nella catechesi e trova la sua fonte e il suo culmine nella celebrazione liturgica[...].
Suscitata dall’annuncio della Parola di Dio, la fede è nutrita e cresce nell’incontro di grazia col
Signore risorto nei Sacramenti. La fede si esprime nel rito ed il rito rafforza e fortifica la fede. “. 22
La Sacr. Car. accoglie, anzi va oltre, introducendo la categoria della ‹‹bellezza›› , che è sintesi
di Amore e Verità sensibilmente espressi; cosi si esprime al n 35.
“Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore
teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, come del resto la rivelazione cristiana, ha un
intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor. Nella Liturgia rifulge il Mistero pasquale
mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione.[…] la verità dell’amore di
21
Ibidem, n 36
22
Più volte nei documenti preparatori si è parlato di Mistagogia. Così nei Lineamenta: L’Eucaristia fonte
e culmine della vita e della missione della Chiesa, cap. quinto: La Mistagogia eucaristica per la nuova
evangelizzazione.
Al n 45 si parla della Mistagogia dei Padri: quella post-battesimale degli iniziati. Gli Alessandrini
propongono un Mistagogia più allegorica; gli Antiocheni, S. Giovanni Crisostomo, S. Cirillo di Gerusalemme,
Teodoro di Mopsuestia, più tipologica “descrivere attraverso la liturgia gli avvenimenti storici e misterici della
salvezza. Per loro i sacramenti riproducono imitando (mimesis) o fanno memoria (anamnesis) dei gesti salvifici
della vita di Gesù e anticipano la liturgia definitiva, anzi la trasferiscono nell’oggi a motivo della presenza del
Signore risorto tra coloro che si riuniscono per il culto”.
Al n 46 si specifica che Mistagogia “significa condurre per una strada che porti al mistero, si comprende
perché non basti un itinerario liturgico senza una conversione personale.”
Al n 47 si ricorda che “Il Signore cammina con il suo popolo, accompagna sempre la missione della
Chiesa con la sua presenza, che ci trasforma e ci fa entrare nel tempo definitivo (èschaton). Al principio della
Mistagogia c’è un incontro di fede col Signore attraverso la sua grazia [...] Dall’incontro di Cristo con l’uomo è
partito un itinerario di conoscenza che si sviluppa in esperienza di fede: «dove abiti? ... e si fermarono presso di
Lui» ( Gv 1,38-39). Così accadde che alcuni lo seguirono. Questa è la Mistagogia di Dio verso l’uomo, a
cominciare nel prendere la nostra carne e portarla alla redenzione.
La mistagogia moderna dovrà evitare l’allegorismo, che non di rado risulta indecifrabile e astratto e
induce a commenti prolissi; invece confiderà nella forza dello Spirito che si comunica mediante la sobrietà delle
parole e dei gesti sacramentali. La missione dello Spirito è donare l’intelligenza di ciò che Gesù Cristo ha
rivelato. Egli è il mistagogo invisibile [...] Lo stesso contributo dei teologi medioevali è utile per rispondere alle
esigenza razionale dell’intelligenza del Mistero.
Anche nell’Instrumentum laboris, si parla di Mistagogia: il Sacerdote celebrante, ministro dei divini
misteri ‹‹ne è pure interprete, mistagogo e testimone›› ( n 55 ); per questo ‹‹la norma basilare da osservarsi per
un vescovo e un sacerdote è di aiutare i fedeli a entrare nel mistero della presenza del Signore››( n 56 ), in Regno
Documenti 15 (2005) 416.
14
Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così
verso la nostra vera vocazione: l’amore […] la verità dell’amore sa trasfigurare anche l’oscuro
mistero della morte nella luce irradiante della risurrezione […] La vera bellezza è l’amore di Dio che
si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale”.
Il superamento della dualità tra teologia e liturgia, tra dottrina e pastorale è facilitata da una
corretta Omelia, che “ponga la parola di Dio proclamata nella celebrazione in stretta relazione con la
celebrazione sacramentale (Cf SC 52) e con la vita della comunità, in modo tale che la parola di Dio
sia realmente sostegno e vita della Chiesa (DV 21), e si trasformi in alimento per la preghiera e
l’esistenza quotidiana. L’omelia, conformata agli insegnamenti dei Padri della Chiesa, è una vera
23
mistagogia, ossia una vera iniziazione ai misteri celebrati e vissuti.”
Superare la dualità tra celebrazione e vita, procurando lo sviluppo concreto di una solida
spiritualità eucaristica, che animi, qualifichi, orienti ogni stato di esistenza cristiana, sacerdotale,
consacrata, familiare, ogni impegno lavorativo, professionale, sociale, ecologico.
Percorrendo le Proposizioni del Sinodo, specialmente la Terza parte circa la Missione del
Popolo di Dio nutrito dall’Eucaristia, si avverte un senso di stupore sulla capacità dell’Eucaristia di
realizzare, alimentare il Corpo ecclesiale e tutte le articolate vocazioni che lo costituiscono, impegni di
vita, inserimenti sociali e cosmici.
Stupore che è accresciuto esaminando la Terza parte della Sacr. Car., ‹‹Eucaristia , Mistero da
vivere, Forma eucaristica della vita cristiana››: la lex vivendi eucaristica manifesta nella vita ciò
che si è professato, lex credendi, e si è celebrato, lex orandi, celebrandi eucaristica.. Alla completezza
delle due prime parti, vera novità preziosa di magistero, corrisponde la bellezza della terza parte.
La visione dell’uomo, la moralità e la spiritualità del suo operare trovano nell’Eucaristia
fondamento e qualificazione; anche criteri sicuri per una debita correzione 24.
Anche Giovanni Paolo II nella Mane Nobiscum Domine n 5, ci chiede di accentuare in tutti i
cammini pastorali «la dimensione eucaristica, che è propria dell’intera vita cristiana».
Stendere un trattato sull’Eucaristia, che in prospettiva mistagogica, in una sistematica teologica,
offra una intelligenza organica del Mistero; e fondi così la dimensione eucaristica, propria dell’intera
vita cristiana, si presenta opera complessa: facile cadere nell’unilateralità, coltivare un solo aspetto a
scapito di altri, appena accennati.
Cercherò di seguire questo itinerario: anzitutto, ancora in contesto introduttorio, considerare
brevemente l’inserimento dell’Eucaristia nell’insieme degli altri trattati; questo ci introduce a precisare
meglio le relazioni tra lex orandi-celebrandi, lex credendi e lex vivendi, una premessa organica,
metodologica necessaria. 25
23
Proposizione n 19.
24
Cfr MANARANCHE, A., Il Corpo di Cristo pane della speranza, Morcelliana Brescia 1976,13-22
25
Per orientarsi sull’origine dell’effato teologico: Legem credendi lex statuit supplicandi di Prospero
d’Aquitania, vedi GIRAUDO, C.,In unum corpus, trattato mistagogico sull’Eucaristia, ed. S. Paolo, Cinisello
Balsamo (Mi) 2000, 22-32.
15
Una prima parte tratterà evidentemente la Rivelazione biblica e i primi tre secoli della Chiesa,
secoli della genesi delle grandi Anafore: filo conduttore sarà lo studio della formazione del cuore
dell’Eucaristia, cioè la sua Prex, Anafora, Canone. Una sua comprensione mistagogica, ricercare come
il Signore Gesù ci parli, agisca, sia presente nella preghiera e nei riti, richiede lo studio della sua
genesi.
Segue una seconda parte, che percorre la storia teologica della celebrazione, la sua dottrina
definita: filo conduttore di questa parte sarà la presenza reale, vera, sostanziale del Corpo dato e del
Sangue versato negli alimenti eucaristici.
Ci lasciamo ispirare dalla Mane Nobiscum Domine. n 16, ove Giovanni Paolo II ci dice: “Tutte
queste dimensioni ( convito, sacrificio, memoriale e pegno escatologico, comunione ) dell’Eucaristia
si rannodano in un aspetto che più di tutti mette alla prova la nostra fede: è il mistero della presenza
«reale».
Con tutta la tradizione della Chiesa noi crediamo che sotto le specie eucaristiche, è realmente
presente Gesù. Una presenza - come spiegò efficacemente il Papa Paolo VI - che è detta reale non per
esclusione, quasi che le altre forme di presenza non siano reali, ma per autonomasia, perchè in forza
di essa Cristo tutto intero si fa sostanzialmente presente nella realtà del suo Corpo e del suo Sangue.
[...]”. E al n 21: “ Proprio la sua presenza dà alle altre dimensioni «di convito, di memoriale della
Pasqua, di anticipazione escatologica», un significato che va ben al di là di un puro simbolismo.”
Nella terza parte l’attenzione sarà più direttamente sistematica: qui il filo conduttore sarà il
sacrificio di Cristo e della sua Chiesa, come ancora ci ricorda la Mane Nobiscum Domine al n 15, “non
si può tuttavia dimenticare che il convito eucaristico ha anche un senso profondamente e
primariamente sacrificale”.
Qui Giovanni Paolo II riprende l’insegnamento forte della sua enciclica eucaristica, ai nn 11-16.
Benedetto XVI parla della dimensione sacrificale dell’Eucaristia specialmente nei nn 9-11 :
Eucaristia: Gesù vero Agnello immolato, ma è nello sfondo qualificante l’intera esortazione
apostolica.
L’Eucaristia è sempre stata creduta anzitutto come sacrificio, anche se la riflessione sistematica
è fiorita specialmente dopo il Tridentino . Conosciamo anche l’importanza decisiva in campo
ecumenico dell’Eucaristia come sacrificio; in questa terza parte si terranno presenti i dialoghi
ecumenici, l’ecclesiologia eucaristica, l’intercomunione.
Evidentemente le tre parti: rivelazione, storia, sistematica sono interiormente comunicanti tra di
loro: la dimensione mistagogica, come presenza unica, inaudita del Crocifisso risorto, il suo Corpo
dato ed il Sangue versato, che ci parla, ci unisce a sè attraverso la preghiera, i riti e segni sacramentali,
edificando la sua Chiesa, rappresenta il filo conduttore dell’intero trattato. Sarà posto in risalto
specialmente nella Conclusione.
29
Giovanni Paolo II nella «Ecclesia de Eucharistia», n 31 afferma “Per questo, con animo grato a Gesù
Cristo Signore nostro, ribadisco che l’Eucaristia «è la principale e centrale ragione d’essere del Sacramento del
Sacerdozio, nato effettivamente nel momento dell’istituzione dell’Eucaristia e insieme con essa» (Lett. Ap.
Dominicae Cenae,2: AAS 72(1980) 115.); Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n 23-26; 80
30
Giovanni Paolo II, Eccl. de Euch. n 36: “Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella
Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretato la severa ammonizione dell’Apostolo Paolo
affermando che, al fine di una degna recezione dell’Eucaristia « si deve premettere la confessione dei peccati,
quando uno è conscio di peccato mortale»“. Cfr Sacramentum caritatis, n 20-21.
19
Potrà così, nell’ora disposta dal Signore, circondato dalla preghiera e dalla carità della Chiesa,
ricevere l’Eucaristia viatico per essere conformato a Cristo nell’Esodo pasquale al Padre.( Sacr. Car. n
22).
Il discorso sul compimento eucaristico degli itinerari teologici, si potrebbe prolungare
considerando le relazioni tra Parola di Dio ed Evento-Parola eucaristici; ma abbiamo già visto come il
Memoriale eucaristico sia l’Evento-Parola fondante la Chiesa, e diventi così il luogo privilegiato del
ricordo di tutte le parole del Signore, ambito della stesura ispirata del Nuovo testamento. 31
Nel convergere, ricapitolarsi, di tutta la storia salvifica di Israele, e dell’intera umanità, verso
Cristo, e di tutta la sua vita terrena nella Pasqua resa presente nel Memoriale eucaristico, abbiamo in
Esso il luogo della consapevolezza dell’unità del Vecchio e Nuovo testamento, dell’unità in Cristo
dell’intero Corpo scritturistico.32
La consapevolezza che la Liturgia eucaristica della Chiesa ancora pellegrinante viene celebrata
in piena comunione di sintonia, anzi di identità con la Liturgia celeste dell’Agnello immolato e
glorioso, sua lode, adorazione, ringraziamento, supplica, ripetuta glorificazione, questa piena
consapevolezza ci viene rivelata nell’Apocalisse., sostiene ed illumina il cammino della Chiesa
33
pellegrinante.
Questo libro ispirato può così guidare la Chiesa nel suo cammino, suscitando speranza anche
nelle situazioni più drammatiche, sino all’invocato avvento definitivo del Signore, il pieno costituirsi
della Gerusalemme celeste.
31
Cfr LAFONT, G., Dieu, le temps, l’etre, (=Cogitatio fidei, Cerf, Paris 1986, 152-157;
CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMAMENTI, Anno
dell’Eucaristia, suggerimenti e proposta, n 23, in Notitiae 40 (2004) 529s.; PERROT, CH. L’Eucharistie dans le
Nouveau Testament, in Encyclodédie de l’Eucharistie, ed. BROUARD, M. , Cerf, Paris 2002, 74.
32
In questo contesto situiamo l’insegnamento della Sacr.Car. ‹‹Sull’unità intrinseca dell’azione
liturgica››, n 44 :” Pertanto , si deve costantemente tenere presente che la parola di Dio, dalla Chiesa letta e
annunciata nella liturgia, conduce all’Eucaristia come al suo fine naturale”; n 45 :”La parola di Dio per essere
ben compresa deve essere ascoltata ed accolta con spirito ecclesiale e nella consapevolezza della sua unità con il
Sacramento eucaristico. Infatti, la parola che annunciamo ed ascoltiamo è il Verbo fatto carne(cfr Gv 1,14) ed ha
un intrinseco riferimento alle persona di Cristo e alla modalità sacramentale della sua permanenza”
33
Anche la comunità direttamente ammaestrata dalla lettera agli Ebrei, è invitata a gestire la propria vita
comunitaria e personale, nella luce e nel conforto di Cristo entrato, con il sacrificio del suo corpo, una volta per
sempre, nel santuario celeste. Eb. 10,10; 6,17-20; 9,23-28; sono tutte comunità segnate da una perseverante
celebrazione eucaristica, anche se i riferimenti espliciti diretti, sono pochi; non ci stupiamo se la Chiesa ha
potuto definire ‹‹l’identità sostanziale›› tra il Corpo Eucaristico e quello Celeste(DH 1636). Per l’Apocalisse cfr
TORIBIO CUADRADO, J. F., Stilizzazione liturgica della venuta di Cristo nell’Apocalisse, in APOKALYPSIS,
percorsi nell’Apocalisse in onore di Ugo Vanni, ed. BOSETTI, E. e COLACRAI A. , Cittadella ed., Assisi
2005, 499; SPATAFORA, A., Il tempio nell’Apocalisse, ibidem 555. VANNI, U. , Tempo ed eternità
nell’Apocalisse: traccia per una riflessione teologico-biblica, in CASALEGNO, A., ed., Tempo ed eternità, in
dialogo con U. Vanni, ed. S.Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 2002, 25-72.
20
In queste appena abbozzate relazioni Eucaristia-Scritura, appare una certa precedenza
qualitativa storica della lex orandi-celebrandi eucaristica; precedenza che possiamo cogliere anche nei
riguardi della vita morale-spirituale.
Tutta la qualità della vita cristiana, procede, è alimentata dal Sacrificio eucaristico; Cristo, nel
suo Sacrificio della Croce che il Memoriale rende presente, compie per noi l’esodo al Padre in una vita
risorta nello Spirito Santo, affinchè tutta la nostra vita, conformata a Cristo, sia già ora
progressivamente, animata dalla Carità-Spirito Santo, nel dono saggio e sincero ai fratelli, per la
glorificazione del Padre. 34
Abbiamo quindi urgenza, vera necessità di partecipazione eucaristica, affinché si approfondisca
e perseveri in noi questo dinamismo salvifico; come ricorda la Veritatis splendor n 21; non ci è
sufficiente per questo il solo esempio di Cristo, sarebbe Pelagio, è necessaria una sua autentica
contemporaneità alla nostra vita, affinché ci unisca , ci purifichi e conformi a Sè (n 25).
Questa è stata esattamente l’intenzione del Signore Gesù nell’offrirci nell’Eucaristia la sua
presenza salvifica, non solo eternizzata nella Gloria del Padre, ma anche corporalmente vicina a noi, in
noi nei tempi e nei luoghi del nostro pellegrinaggio terreno.
Una presenza non solo di orientamento ed energie spirituali, ma di concretezza corporea, con
tutte le sue esigenze morali, in tutti gli atti umani. L’Eucaristia, incorporandoci più intensamente nella
vita della Chiesa, nelle sue articolazioni e funzioni mediatrici della Grazia, nei suoi compiti sacerdotali
e laicali, stimola il saggio uso della ragione, le sue valutazioni morali, il discernimento e la valutazione
delle illuminazioni e consolazioni dello Spirito Santo per le scelte concrete. 35
Nello sviluppo del nostro trattato, intreccio di Lex orandi-celebrandi e di Lex credendi, saremo
attenti a queste intime implicazioni della lex vivendi. Anche ricordandoci che la celebrazione
dell’Eucaristia nella Chiesa richiede non solo l’iniziazione battesimale, desiderabile anche quella
crismale, ma una qualità di vita cristiana coerente a questa iniziazione, sia nella professione delle
Verità di fede, sia nel vissuto spirituale-morale.(Eccl. de Euch. n 36; Sacr. Car. nn 28-28; 82-83)
La via ottimale è quindi percorrere anzitutto la lex orandi-celebrandi: in concreto una teologia
mistagogica, che cerchi intelligenza della Preghiera eucaristica; preghiera che nei tempi della Chiesa
ha fedelmente sviluppato il «benedire-ringraziare» di Gesù nell’ultima Cena. Siamo incoraggiati in
questo anche dalla Sacr. Car. n 34 , che ha posto in risalto il primato dell’Azione liturgica, una
affermazione innovativa, cuore di tutta l’Esortazione apostolica post sinodale. 36 Che stimola la
34
Sacr. Car. n 82 ‹‹Eucaristia e trasformazione morale›› e n 83 ‹‹Coerenza eucaristica››; Cfr.
TREMBLAY, R., L’Eucharistie et le fondament christologique de la morale chrétienne, in St. Mor. 33 (1995)
57-65; SCOLA, A. , Gesù Cristo legge vivente e personale, in Lettera enciclica Veritatis splendor, Testo e
commenti (=Quaderni dell’Osservatore romano) LEV 1994, 153-157.
35
Cfr BIFFI, I., La prospettiva biblica-cristologica della Veritatis Splendor, in RUSSO, G. ed. Veritatis
splendor, ed. Dehoniane, Roma 1994, 87-96; RATZINGER, J., Introduzione allo spirito della Liturgia, S.Paolo
ed., Cinisello Balsamo 2001, 42s.
36
Cfr pag 6
21
teologia a sviluppare una ‹‹coscienza più chiara della ricchezza dell’anafora›› , impegno ‹‹quanto mai
necessario per la vita spirituale dei fedeli››.(n 13).
Benedicendo e ringraziando, il Signore Gesù ha preso il pane, lo ha spezzato, dichiarato suo
corpo offerto in Sacrificio, dato personalmente in Comunione agli Apostoli; in modo simile per il
calice del vino. Questo benedire e ringraziare avvolge e qualifica tutti i gesti rituali del Signore .
Questo ringraziare e supplicare, divenuto ‹‹anafora, canone›› della Chiesa, esprime anche la qualità
della preghiera, conforme alla situazione salvifica nuova realizzata dal Sacrificio reso presente, vita di
risurrezione iniziale nella Spirito Santo, di comunione trinitaria.
Scegliamo, come testo liturgico di partenza, la seconda preghiera eucaristica del Messale
Romano. Scelta appropriata per più motivi: rappresenta una rielaborazione della Preghiera eucaristica
suggerita come schema al Vescovo neoconsacrato secondo la Tradizione apostolica di Ippolito
romano (III sec.); è la prima anafora completa di nostra conoscenza, individuabile anche nell’Anafora
siriaca del Testamentum Domini, nonché nelle Anafore etiopiche dei SS Apostoli e di Nostro Signore.
Si dubita che sia stata usata nella Chiesa romana; ma nell’attuale rielaborazione risulta la più
proclamata, in un rifacimento che segue lo schema fondamentale teologico del Canone romano, con
due Epiclesi, una prima della consacrazione, la seconda per la trasformazione dei comunicandi.
Per questa via, del rifacimento, ci introduce alla mistagogia del rito romano; insieme, nel testo
originario del III sec. ci apre alla struttura letterario-teologica del rito antiocheno-bizantino, copto. 37
Gli attuali studi sull’origine della preghiera eucaristica, ci permettono, sobriamente, di
percorrere gli ascendenti liturgici del testo di Ippolito Romano sino alla Didakè. 38
Grande pertanto il frutto di intelligenza teologica che possiamo sperare dallo studio della genesi
storica di questa II Preghiera eucaristica.
Ci isoleremo forse nella lex orandi, mistagogia di un particolare Testo liturgico ?. Ci renderemo
facilmente conto come l’attuale sua struttura letteraria-teologica, trinitaria, cristica, pneumatica risulta
impensabile senza lo sviluppo, contemporaneo alla genesi della Preghiera, del Dogma, lex credendi
corrispondente.
Professione di fede niceno-costantinopolitana, Corpo scritturistico ispirato, riconoscimento del
suo Canone, grandi Preghiere eucaristiche ancora in uso, sono maturati nello stesso contesto della
Chiesa apostolica dei primi quattro secoli; una Chiesa che, fedele al comando del Signore, sin
dall’inizio ha celebrato il Memoriale della sua Pasqua: una Chiesa eucaristica. 39
37
Cfr BOUYER, L., L’Eucharistie, théologie et spiritualité de la prière eucharisitque, Desclèe,
Thournai 1966, 187-189; PAPROCKI, H., Le Mystére de l’Eucharistie, genèse et interprétation de la liturgie
eucharistique byzantine, Cerf, Paris 1993, 41-43.
38
Cfr. MAZZA, E., L’Anafora eucaristica. Studi sulle Origini,(=BEL ‹‹subissai›› 62), CLV ed.
Liturgiche Roma 1992; Id., La celebrazione liturgica, genesi del rito e sviluppo dell’interpretazione, San Paolo,
Cinisello Balsamo (Mi), 1996.
39
Le relazioni tra Liturgia, Scrittura e Professioni di Fede sono oggetto di studi: Cfr. BLANCHARD,
Y.-M., Bibule et Liturgie, in BRAGA, C., et PISTOIA, A., La Liturgie interprete de l’Ecriture, II Dans les
compositions liturgiques, prières et chants,(= BEL ‹‹subsidia›› 126) CLV Ed. Liturgiche Roma 2003, 259-276.
22
ESAME LETTERARIO-TEOLOGICO DELLA II PREGHIERA EUCARISTICA
Non intendiamo, a questo livello introduttorio, sviluppare una completa mistagogia del testo; il
nostro scopo è esattamente introduttorio: mettere in risalto, a grandi linee, le sue strutture letterarie,
modellate dai contenuti teologici, atte quindi ad esprimerli e comunicarli all’assemblea orante-
celebrante.
Su questa base, delineata, potremo impostare la ricerca della loro genesi storica, che ci
introdurrà alla loro intelligenza teologico-spirituale.
Pur trattandosi di un testo celebrativo del tutto familiare, è bene, per le nostre finalità, riportarlo
per intero:
Il Signore sia con voi e con il tuo spirito Dialogo invitatoriale
In alto i nostri cuori sono rivolti al Signore Si instaura la tensione orazionale
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio è cosa rendere grazie, per accogliere la grazia
buona e giusta
E’ veramente cosa buona e giusta Inizia la sezione anamnetico-celebrativa
nostro dovere e fonte di salvezza Doverosità, preziosità, motivi del rendere grazie al
rendere grazie sempre ed in ogni luogo Padre in una storia salvifica tutta realizzata per
a Te, Padre santo Cristo
per Gesù Cristo tuo dilettissimo Figlio
Egli è la tua Parola vivente, Per mezzo di Lui, parola vivente del Padre
per mezzo di Lui hai creato tutto è stato creato
e lo hai mandato a noi salvatore e redentore,tutte le Inviato a noi come redentore, fatto uomo per opera
cose dello Spirito Santo nell’accoglienza ver ginale di
fatto uomo per opera dello Spirito Santo Maria
e nato dalla Vergine Maria Redenzione da Lui compiuta per la Croce che porta
Per compiere la tua volontà alla Risurrezione
e acquistarti un popolo santo
egli stese le braccia sulla croce
morendo distrusse la morte
e proclamò la risurrezione.
Per questo mistero di salvezza, La Chiesa terrena si unisce a quella Celeste nella
uniti agli angeli e ai santi, glorificazione di Dio, nell’accoglienza benedicente
cantiamo ad una sola voce la tua gloria: del Signore Gesù
Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo Inno teologico, angelico, che fonde le acclama zioni
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria delle teofanie di Is. 6,3 e Ez 3,12, del Salmo
Osanna nell’alto dei cieli messianico 117(118), 26
Benedetto colui che viene nel nome del Signore
Osanna nell’alto dei cieli
** Padre veramente santo, fonte di ogni santità, Inizio della parte epiclettica, invocazione che la
santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito, salvezza realizzata per Cristo, porti tutti i suoi frutti
perché diventino per noi Prima Epiclesi in senso forte, domanda della
23
il corpo ed i sangue di Gesù Cristo nostro Signore transustanziazione
Egli offrendosi liberamente alla sua passione, Narrazione degli eventi liturgici dell’Ultima Cena
prese il pane e rese grazie realizzazione della transustanziazione, per opera del
lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: Ministro ordinato che agisce in Persona Christi
PRENDETE E MANGIATENE TUTTI:
QUESTO E’ IL MIO CORPO
OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Dopo la cena, allo stesso modo Ricordo della cena rituale giudaica, nel cui contesto
prese il calice e rese grazie il Signore Gesù ci ha donato il suo memoriale; i riti
sul pane e il vino sono stati acco stati, già nella
lo diede ai suoi discepoli e disse; Chiesa dei Sinottici
PRENDETE E BEVETENE TUTTI:
QUESTO E’ IL CALICE DEL MIO SANGUE
PER LA NUOVA
ED ETERNA ALLEANZA,
VERSATO PER VOI E PER TUTTI
IN REMISSIONE DEI PECCATI.
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
MISTERO DELLA FEDE
Annunciamo la tua morte Signore proclamiamo la tua
risurrezione nell’attesa della tua venuta
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del Anamnesi in senso forte,: il Memoriale, presenza del
tuo Figlio Sacrificio pasquale viene riconosciuto, vi si unisce il
Ti offriamo, Padre Sacrificio della Chiesa
il pane della vita e il calice della salvezza
e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla presenza
a compiere il servizio sacerdotale
Ti preghiamo umilmente Seconda Epiclesi in senso forte:: si domanda che
per la comunione al corpo e sangue di Cristo nella comunione sacramentale lo Spirito Santo
lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo. rinsaldi l’unità della Chiesa in un solo Corpo
Ricordati, Padre, della tua Chiesa nella Carità della sua struttura Petrino-apostolica
diffusa su tutta la terra:
rendila perfetta nell’amore
in unione con il nostro Papa N., il nostro Vescovo N.,
e tutto l’ordine sacerdotale.
Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella comunione con la Chiesa che già ha raggiunto
nella speranza della risurrezione, l’ultima meta, per la pienezza della sua beatitudine
e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza:
ammettili a godere la luce del tuo volto.
Di noi tutti abbi misericordia: invocando che anche noi possiamo averne
donaci di avere parte alla vita eterna, partecipazione qualificata
insieme con la beata Maria, Vergine Madre di Dio,
24
con gli apostoli e tutti i santi,
che in ogni tempo ti furono graditi:
e in Gesù Cristo tuo Figli canteremo la tua gloria.
PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO,
A TE DIO PADRE ONNIPOTENTE,
NELL’UNITA’ DELLO SPIRITO SANTO,
OGNI ONORE E GLORIA
PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.
Il dato teologico più evidente è costituito dal suo essere tutta rivolta al Padre: a Lui si rende grazie,
facendo memoria riconoscente per Cristo di tutta l’economia salvifica, creazione, incarnazione in Lui realizzata.
Cristo, dilettissimo Figlio del Padre, Padre da cui tutto proviene e a cui tutto ritorna nella Dossologia, assicura in
Sè l’unità di tutto l’agire di Dio, creazione e redenzione.
E’ la presenza realizzata in questa prece eucaristica del Corpo dato in sacrificio e del Sangue
versato, il comunicare ad Essi, che permette nello Spirito Santo invocato, l’ascendere, lo stare
riconoscenti davanti al Padre, in una qualità nuova di comunione ecclesiale, di dossologia, dare gloria
esercitata.
40
Già il Dialogo invitatoriale introduce a questa situazione eucaristica, di buona grazia,
attraverso la preghiera e l’augurio reciproco, Celebrante e assemblea, della presenza del Signore.
Questo permette di «avere in alto i cuori»: la buona grazia, donata dal Sacrificio di Cristo, è che
in Lui, per Lui, nello Spirito Santo l’accesso al Padre è aperto, disponibile.
I «cuori» dei presenti sono già rivolti a Lui: l’assemblea si impegna in questo, accogliere questa
grazia di vicinanza estrema, corrispondervi.
Riconoscere che «che è cosa buona e giusta» fare eucaristia, rendere grazie al Signore nostro
Dio. Un rendere grazie che non è generica lode, benedizione; sin dall’inizio della celebrazione
l’invitatorio dispone alla consapevolezza della novità assoluta della grazia, una grazia di tali
dimensioni, che solo per Cristo possiamo ringraziare: fare ciò che si riconosce «cosa buona e giusta».
Questi contenuti teologici si esprimono, modellano una corrispondente struttura letteraria
fondamentale.
Nella preghiera eucaristica distinguiamo con facilità due sezioni:
-- una essenzialmente anamnetica, con i verbi all’indicativo, in
cui ringraziamo il Padre ricordando le sue opere salvifiche di creazione e redenzione, sempre per
Cristo; inizia col prefazio. Questo ricordo delle opere salvifiche conosce un momento di particolare
intensità, dopo la consacrazione: quasi un sussulto di stupore; qui il ricordo è divenuto presenza, e a
questa presenza sacrificale si può unire l’offerta della nostra vita.; una anamnesi in senso forte.
Il P. Cesare Giraudo SJ, nei suoi studi sulla struttura letteraria della prece eucaristica e nei suoi
trattati, indica l’inizio della parte anamnetica con un asterisco: *
40
Cfr GIRAUDO, C., In unum Corpus, cit.,282-291.
25
Questa prima sezione, in cui Dio viene lodato, benedetto, ringraziato, confessato nelle sue opere
di fedeltà e misericordia, pone le premesse logiche e teologiche che permettono di passare alla seconda
sezione, di preghiera di domanda, che conosce verbi all’imperativo. 41 Quindi :
-- una sezione essenzialmente epiclettica; nella struttura del Canone
romano, inizia immediatamente dopo il Sanctus. Questa preghiera di domanda si intensifica,
chiedendo espressamente la trasformazione del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Signore; è la
prima epiclesi, in senso forte, che precede la narrazione degli eventi istitutivi dell’ultima cena, la
consacrazione con le parole del Signore.
Il Celebrante, dopo avere così ricordato tutte le opere salvifiche di Dio, sino alla Croce-
Risurrezione, con domanda esplicita al Padre, per la sua azione ministeriale, rende presenti il Corpo
dato in sacrificio ed il Sangue versato; su questo solido fondamento invoca ancora il Padre, affinché
nell’effusione dello Spirito Santo, porti a compimento il suo progetto di vita, progetto di comunione in
un solo corpo, di carità con in vivi e i defunti, di glorificazione.
Distinguiamo così una seconda epiclesi,in senso forte, per la santificazione dei comunicandi, la
perfezione della Chiesa.
Il P. C.Giraudo indica l’inizio della parte epiclettica con un doppio asterisco **.
In questa struttura bipartita fondamentale, anamnetica ed epiclettica, come abbiamo osservato,
si possono individuare strutture particolari:
a) l’Anamnesi in senso forte, che segue sempre la narrazione dell’Istituzione, le parole
consacranti: consapevolezza piena del Memoriale del Signore realizzato (memores), il suo Sacrificio
reso presente al quale viene unito il sacrificio della Chiesa (offerimus).
b) Le Epiclesi in senso forte: nel contesto di una Preghiera, di ringraziamento, invocazione e
apertura alla Grazia sul solido fondamento di una storia salvifica, tutta riassunta nel Memoriale
celebrato, emergono due esplicite richieste: una per la trasformazione delle oblate nel Corpo e Sangue
di Cristo, una per la santificazione dei Comunicandi e la perfezione della Chiesa; nella riforma
liturgica del Vaticano II, nei Canoni II, III,IV, si domanda nelle due Epiclesi, per queste finalità, in
modo esplicito l’intervento dello Spirito Santo.
-- la prima è, come detto, invocazione dello Spirito Santo, perché il pane ed il vino diventino il
Corpo e Sangue del Signore Gesù.
-- la seconda affinchè lo Spirito Santo, frutto del Sacrificio pasquale reso presente, realizzi la
piena comunione ecclesiale nella carità, il sacrificio gradito al Padre; questa invocazione dello Spirito
Santo si allarga e continua nella domanda di solidità nell’amore delle strutture gerarchiche della
Chiesa, per i fedeli vivi e defunti.
Sappiamo come nel rito antiocheno-bizantino le Epiclesi in senso forte, invocazioni per lo
Spirito Santo sulle oblate e i comunicandi, seguono l’anamnesi in senso forte; di qui la querela
teologica sulle parole consacranti tra la teologia romana e bizantina, nei secoli poco sereni dell’inizio
del secondo millennio.
41
Cfr GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, cit. 279-281.
26
Una questione storico-teologica, che affronteremo dopo avere esaminato la genesi della
preghiera eucaristica, la formazione della sua struttura fondamentale, simile ed insieme caratteristica
delle varie famiglie liturgiche, nei tempi della Chiesa.
27
GIUDAICA
L’Eucaristia, preghiera e ritualità, è una delle creazioni più originali del Cristianesimo; tali sono
la preghiera dell’Anafora (canone), e i segni nei quali il Signore Gesù ha affidato alla sua Chiesa il
memoriale della Sua Pasqua, perché Lui, il Crocifisso glorioso, sia sempre presente ai suoi, per unirli a
sé e tra di loro, in novità di vita risorta.
La sua qualità unica è quindi secondo la novità definitiva dell’Esodo pasquale di Gesù. Ma i
suoi elementi costitutivi assunti da Cristo nella sua Pienezza insuperabile, non sono ex nihilo: per la
loro piena comprensione risulta necessario individuarne la genealogia.
I materiali entrati nella composizione dell’Eucaristia sono ben altro che semplice grezzo
materiale: si tratta di pietre già levigate, sapientemente lavorate, non in un cantiere in demolizione, ma
in una scuola millenaria di Preghiera, di Alleanza, di celebrazione, da portare a compimento, secondo
la misura di Cristo Signore (cfr Mt 5,18) 42
Saltando a piè pari l’AT, non capiremo più né il NT, annunciato e redatto «secondo le Scritture»
(1Cor 15,3-4), ma neppure l’Eucaristia, che il Signore Gesù ci ha donato nel contesto sacro della
convivialità giudaica, della preghiera e dei sacrifici memoriali della Pasqua dell’esodo, portando a
pienezza simboli, formulari di preghiera.
La preghiera eucaristica è una novità in sintonia con la parola ispirata del Vangelo, le cui radici
prossime si possono individuare in quella preistoria del Vangelo, espressa nella preghiera e
celebrazione dei giudei che aspettavano la consolazione di Israele. 43
Le sue radici più profonde si ramificano nella totalità della storia della salvezza, a iniziare dalla
Genesi: benedizioni, preghiere, memoriali sacrificali-conviviali, riti e rinnovazioni di alleanza.
Come entrare in questa preistoria, senza disperderci, e realizzando tutti i frutti che l’attuale stato
della ricerca ci consente, per la comprensione dell’Anafora, Prex eucharistica?
42
BOUYER, L., Eucarestia, teologia e spiritualità della preghiera eucaristica, elle di ci, Torino-
Leumann 1983, p. 27.
43
La matrice giudaica della Liturgia eucaristica, la sua anafora, benché in se indubitabile( N.S. Gesù
Cristo, ha vissuto nel mondo, variegato, giudaico, non solo ,fondamentale, la S. Scrittura, ma anche ulteriori
preghiere, ritualità, costumanze) risulta difficilmente ricostruibile con esattezza: la Misnà è della fine del II
secolo, non riporta il testo delle Berakòt; per questo si deve risalire al IX sec. : cfr RAFFA, V., Liturgia
eucaristica, mistagogia della Messa: dalla storia e dalla teologia alla pastorale pratica, (= BEL ‹‹subsidia
››100) C:L:V:- Edizioni liturgiche , Roma 1998, 402-430, 497-532.; informazioni utili in BRADSHAW, P.F. ,
Alle origini del culto cristiano, Fonti, metodi per lo studio della liturgia dei primi secoli, (= Monumenta Studia
Instrumenta liturgica 45) LEV 2007.
28
Un sicuro orientamento metodologico sta nel ricordare che si tratta di comprendere l’attuale
preghiera eucaristica, i suoi contenuti teologici; essi sono meglio identificabili se li cogliamo nella
struttura letteraria che ce li trasmette.
Abbiamo già notato, riflettendo sulla preghiera eucaristica II, la sua fondamentale struttura
letteraria bipartita: anamnetica ed epiclettica; come nel cuore della preghiera si situi la narrazione
dell’istituzione del memoriale della Cena del Signore, cui segue la piena consapevolezza di esso
espressa nell’Anamnesi in senso forte.
Prima di entrare nella “preistoria giudaica e biblica della Prex eucharistica”, è bene, come
primo passo orientativo, mostrare il raccordo lessicale tra questi termini fondamentali (eucaristia,
benedizione, anamnesi e memoriale, epiclesi) e le corrispondenti espressioni greche e semitiche:
eÚcarist…a (eucharistìa)
eÚlog…a (euloghìa)
Nel NT: preferenza per Eucaristia, che sarà assoluta nei Padri, quando indica la qualità della
preghiera e dell’azione liturgica.
Nei LXX eÚlog…a, usatissimo, traduce barak (berakà), benedire, in corrispondenza con altri
verbi: jadah (proclamare, confessare) da cui Todà, confessione della fedeltà di Dio e dei peccati del
popolo, per rinnovare fedeltà all’Alleanza (cfr Ne 9,6-37), halal, lodare, kabed, glorificare.
EÚcarist…a, presente insieme al termine quasi sinonimo di eÚlog…a nei testi neotestamentari
che indirettamente (moltiplicazione dei pani) o direttamente riguardano la Cena del Signore, diverrà
poi il termine caratteristico per esprimere il memoriale del Signore, sia per un’indicazione già presente
nel NT (il solo usato, senza eÚlogšw in Lc 22,15-20 e 1Cor 11,23; cfr. anche Gv 6,23), sia perché la
novità della Pasqua di Cristo, oltre a suscitare nella sua celebrazione un grazie corrispondente al dono,
richiedeva per l’intensità inaudita dei contenuti, un termine nuovo, quindi eÚcarist…a. Tale termine
inoltre raccoglieva e portava a pienezza la verità del lodare, proclamare, glorificare, degli antecedenti
veterotestamentari. Come fa notare Giraudo 44, esaminando la tradizione siriaca, Eucaristia raccoglie i
contenuti semantici della Toda, confessare la fedeltà di Dio, più forte dell’infedeltà dell’uomo.
¢n£mnhsij (anàmnesis = azione che fa ricordare)
mnhmÒsunon (mnemòsynon = oggetto che suscita il ricordo)
traducono zikkaron, memoriale delle opere salvifiche di Dio. Esamineremo i memoriali
conviviali-sacrificali liturgici degli eventi salvifici della storia di Israele, in relazione alla intrinseca
struttura conviviale-comunionale dell’Alleanza.
™p…klhsij (epìklesis = invocazione-su, grido-a)
in senso specifico indica nell’anafora l’invocazione con la quale il sacerdote supplica il Padre di
inviare lo Spirito santificatore, affinché le offerte divengano il corpo e il sangue di Cristo, e i fedeli,
ricevendole, divengano essi pure un’offerta viva a Dio, un cuore solo ed un’anima sola nell’Unità
della Chiesa. .
44
Cfr GIRAUDO, C., In unum corpus, trattato mistagogico sull’Eucaristia, S. Paolo, Cinisello
Balsamo (Mi), 2001, 158-164;292-294.
29
I.1.1 Radici della fondamentale struttura bipartita: anamnesi ed epiclesi : la Todà
Seguiamo in questo i fondamentali studi di C. Giraudo; egli ha dimostrato che l’origine della
struttura bipartita è da ricercarsi nelle celebrazioni per il rinnovamento dell’Alleanza: in esse il popolo
si rivolge al Dio della creazione-alleanza, facendo il ricordo degli interventi salvifici di Jahwe sempre
fedele, in contrasto con l’infedeltà del popolo; si fa questa anamnesi davanti a Dio, per invocare da
Lui, epiclesi, il ristabilimento dei benefici dell’Alleanza.
Preghiera di rinnovazione che Giraudo chiama Todà (dalla radice y d h): come esempi tipici di
Toda, presenta la confessione di Ne 9,6-36, che dà ampio sviluppo alla parte anamnetica.(Esempi
biblici di Todà in Appendice VI.1).
Anche la confessione di Dn 3,26-45 è una toda: per avere una toda non è necessario che vi
compaia la radice y d h, ma è sufficiente il presentarsi di una forma letteraria, in cui l’invocazione a
Dio per il ristabilimento dei benefici dell’alleanza (parte epiclettica), viene fondato sul ricordo delle
sue opere fedeli, nonostante l’infedeltà di Israele (parte anamnetica), evidenziando il contrasto tra la
benevola iniziativa di Jahwe, e l’incorrispondenza del suo popolo.
Giraudo pone in risalto l’eventuale presenza della figura letteraria dell’embolismo, tÒ ›mbolon
(tò èmbolon), innesto, inserimento nella todà di una citazione biblica di un evento-promessa da parte
del Dio dell’Alleanza, su cui il popolo peccatore può confidare, appoggiarsi, per ottenere perdono e
grazia.
La figura letteraria dell’embolismo si può individuare anche nella preghiera anaforica, per
giustificare meglio, da un punto di vista letterario, la presenza del racconto dell’istituzione, con le
parole consacratorie (questo è il mio corpo, il calice del mio sangue); è la presenza inaudita del corpo
e sangue del Signore, il suo sacrificio via di accesso al Padre, ad assicurare valido fondamento non
solo al ringraziamento, ma anche alla supplica (epiclesi) per il dono dello Spirito santificante,
realizzante l’unità della Chiesa.45
Se la Todà offre una buona spiegazione della struttura bipartita della Prex eucharistica,
presentando anche, per la figura dell’embolo, spiegazione letteraria dell’inserimento del racconto
dell’istituzione, dobbiamo ancora ricercare nelle radici veterotestamentarie e giudaiche, il carattere
benedicente-ringraziante, così proprio dell’Anafora, da conferirle lo stesso nome: eucaristia.
Dobbiamo inoltre ricercare la motivazione del duplice ringraziamento, per la creazione ed alleanza-
redenzione, che individuiamo in molte anafore; spiegarne, oltre al resto, il carattere sacrificale-
conviviale.
45
ID.,. La struttura letteraria della preghiera eucaristica. Saggio sulla genesi letteraria di una forma
(todà veterotestamentaria, beraka giudaica, anafora cristiana), Analecta biblica 92, PIB Roma 1981 (ristampa
1989)
30
«Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni
benedizione spirituale nei cieli, in Cristo» (Ef l,3)..
Notiamo come la preghiera benedicente Dio sia sviluppata come corretta risposta alla
Benedizione del Padre in Cristo.
46
LIGIER, L., Il Sacramento dell’Eucaristia, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1974, 26-30
32
deve offrire a Jahwe il primogenito (Es 12,11-16), le primizie della terra promessa. Sono memoriale,
riconoscimento celebrato che la vita, gli alimenti, la terra, l’Alleanza sono tutti doni di Jahwe.
I sacrifici sono vari: espiazioni per il peccato (Lv 16, il rito del Kippùr), olocausto interamente
bruciato; pacifici di comunione, ringraziamento, con banchetti conviviali.
In molti salmi possiamo individuare la preghiera benedicente, riconoscente, impetrante, che
accompagna ed esprime il sacrificio. Ascoltiamo le riflessioni di L. Bouyer: .
«Questo schema appare particolarmente chiaro nel Sal 39(40); esso si apre con il ricordo
riconoscente delle liberazioni avvenute nel passato:
“Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido,
mi ha tratto dalla fossa della morte,
dal fango della palude;
i miei piedi ha stabilito sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
lode al nostro Dio” (vv. 2-4).
Segue quindi l’offerta sacrificale insieme alla preghiera perché Dio si mostri sempre lo stesso,
cioè rinnovi ancora e conduca a termine quello che ha cominciato a fare per colui che lo invoca. Nello
stesso tempo, però, è una consacrazione dello stesso orante, nel sacrificio, e al di là dell’offerta
materiale in quanto questa rappresenta solo il dono, o meglio l’abbandono di sé alla volontà divina.
“Sacrifici e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto.
Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa.
Allora ho detto: ecco, io vengo.
Sul rotolo del libro di me è scritto
che io faccia il tuo volere.
Mio Dio, questo io desidero,
la tua legge è nel profondo del mio cuore.
Ho annunciato la tua giustizia alla grande assemblea;
vedi, non tengo chiuse le mie labbra, Signore, tu lo sai.
Non ho nascosto la tua giustizia in fondo al cuore,
la tua fedeltà e la tua salvezza ho proclamato.
Non rifiutarmi, Signore, la tua misericordia,
la tua fedeltà e la tua grazia mi proteggano sempre” (vv. 7-12).
Su questa base della volontà di Dio, infatti, può librarsi la preghiera; ed essa poggia su una
certezza tale, che la supplica di per se stessa, diventa nuova e definitiva lode.
33
“Degnati, Signore, di liberarmi;
accorri, Signore, in mio aiuto.
Vergogna e confusione
per quanti cercano di togliermi la vita...
Esultino e gioiscano in Te quanti Ti cercano,
dicano sempre: il Signore è grande,
quelli che bramano la tua salvezza” (vv. 14-17).
Il nucleo centrale di questo Salmo sta in un pensiero che ritorna molte volte nel Salterio, e
che è un insegnamento centrale dei profeti, in particolare di Isaia. Non sono le offerte materiali
che possono soddisfare il Signore, ma l’offerta di se stessi. Solo la consacrazione della nostra
volontà alla sua volontà riconosciuta nella sua parola, dà un senso ai nostri sacrifici (Is 1,10-20).
Quello che rimane vero in questa prospettiva, è che la preghiera consacratoria che accompagna
il sacrificio avrà un posto sempre più grande, man mano che essa esprime più fortemente la
consacrazione dell’uomo stesso.
Nulla di più tipico, a questo riguardo, dell’evoluzione nel senso dato ad una espressione
liturgica: seva todà (sacrificio di lode, oppure azione di grazie). In origine essa indica un genere
particolare di sacrificio; ed il salmo di lode che lo accompagna ne esprime il significato. Ma a poco a
poco il “sacrificio di lode” significherà la stessa lode, divenuta non solo parte integrante del rituale
sacrificale, ma il sacrificio per eccellenza. Di qui l’espressione, come quella così eloquente, che si
trova in Osea: “il sacrificio delle nostre labbra” (Os 14,3). Questo sacrificio delle labbra in cui si
esprime l’oblazione del cuore, farà un tutt’uno con quel cuore “affranto ed umiliato” che la
conclusione del Sal 50(51),14.23 oppone al ritualismo senza contenuto» 47.
47
BOUYER, L., Eucaristia, teologia e spiritualità della preghiera eucaristica, LDC, Leumann 1983,
55-57.
48
LARCHER, G., Etude sur le livre de la Sagesse, Gabalda, Paris 1969
34
Inizia con un convinto: «Benedetto sia Tu, Signore nostro Dio» per concludersi, dopo
l’anamnesi ed epiclesi, in un sentito «Benedetto sia Tu Signore… Amen».
La Berakà giudaica è la risposta alla parola e alla benedizione discendente, la cui
consapevolezza si è precisata nella vita del popolo dell’Alleanza, per la sua accoglienza della sapienza
di Dio; la berakà esprime la conoscenza della bontà divina, maturata nel cuore del popolo che Lo ha
conosciuto, unico tra tutte le genti.
Così la todà, restando la sua struttura bipartita fondamentale (si tratta sempre di una preghiera
composta di ricordo-anamnesi, e di supplica-epiclesi) si evolve in berakà, meglio al plurale, berakòt,
perché ogni benedizione, con la sua motivazione (per es. creazione, alleanza-Legge-conoscenza di
Dio) viene distinta dalle altre con un «benedetto sia Tu, Signore» intercalato nel testo orazionale. Esso
viene così segmentato in una serie di benedizioni distinte. 49
Notiamo ancora come questo molteplice benedire proceda da una prospettiva fondamentalmente
disinteressata, tutta concentrata sulla bontà divina colta in Sé, e insieme fonte di tanti beni per l’uomo.
Certo Dio prende l’iniziativa nel benedire l’uomo elargendo i doni della creazione e della
salvezza; tali beni vengono invocati. Ma nella prospettiva del giudaismo più evoluto non esiste
benedizione che non risalga sino a Dio stesso, sin dal suo primo slancio, in un riconoscimento pieno
della sua bontà.
Le realtà create sono benedette per il nostro uso quotidiano: l’uomo a sua volta risulta benedetto
in tutto il suo agire, solo se risale a Dio, principio di tutte le sue azioni, di tutta la sua vita ed i suoi
beni, per riconoscere che tutto viene da Lui, di tutto è il Signore.
La benedizione si svilupperà in una consacrazione dell’uomo tutto intero a Dio, con tutti gli
esseri associati alla sua vita, per un omaggio definitivo quando tutte le cose si uniranno in una pura
dossologia; e quasi spontaneamente la benedizione (confessione-ricordo della bontà divina,
rendimento di grazie e lode) si prolungherà in una preghiera di supplica, per la piena realizzazione del
progetto di Dio, perché tutto sia come irradiato dalla conoscenza del Signore, tutto riportato a Lui nel
libero riconoscimento della sua sovranità benefica che rinnova il mondo.
Non vi è il minimo accenno di magia, quasi che la benedizione fosse l’infusione di una virtù
divina di cui si potesse disporre a capriccio; nessun antropocentrismo e nessun capriccio, anche nessun
quietismo: tutto deve ritornare alla sua fonte, nella lode e nell’adempimento fedele della volontà di
49
Gli esperti discutono circa l’uso della ‹‹Eulogia finale››, in termine tecnico ‹‹hatima››: si compone
della forma eucologica :Benedetto sei tu Signore, seguita dalla motivazione riassuntiva del contenuto della
berakà in questione : per l’alimento frutto della creazione, dono della terra promessa e dell’Alleanza. L’eulogia
intercalare, hatimà, sementa la benedizione, berakà, in più benedizioni, berakòt; nell’uso anaforico cristiano
risulta fondamentale il ringraziamento per l’opera del Padre, che per Cristo ci ha creato, e chiamati alla vita
filiale, redenti; al di là delle Berakòt giudaiche, tutto l’Antico testamento unisce strettamente nella preghiera
Creazione ed Alleanza : es. Sal. 18 (19); ma tale intreccio è quasi una costante della preghiera vetero
testamentaria. Cfr in RAFFA, V., Liturgia eucaristica, cit., la discussione sulla matrice giudaica dell’Anafora,
402-429; 497-532.
35
Dio. Non vi è autentica benedizione, felicità dell’uomo se non in un’azione di grazie, in un omaggio di
lode e confessione che prende occasione da tutto per risalire a Dio.
La Todà evoluta in Berakòt che sta direttamente all’origine del ringraziare-benedire di Gesù
nella sua ultima cena, quando ci donò il memoriale della sua Pasqua, è individuabile nelle benedizioni
del pasto giudaico: la Birkàt ha-mazòn, ringraziamento per il pasto.
Esso è inserito nel terzo sèder della celebrazione memoriale annuale della pasqua di Israele.
Insieme alla Birkàt ha-mazòn ricordiamo le benedizioni del Qiddùs, rito di santificazione,
consacrazione, introduttivo al Sabato ed ad ogni festa giudaica; esso è inserito nel primo sèder della
celebrazione pasquale.
La birkàt ha-mazòn è costituita da tre strofe orazionali:
nella prima berakà,
si benedice Dio per il dono del nutrimento, della creazione;
nella seconda
lo si ringrazia per l’Alleanza, legge, conoscenza di Dio. Questo benedire-ringraziare si realizza
in obbedienza al precetto di Dt 8,20: «Mangerai dunque a sazietà, e benedirai il Signore Dio tuo, a
causa del paese fertile che ti ha dato». Questo passo del Deuteronomio può comparire nelle varie
redazioni della birkàt ha-mazòn, sia come embolismo esplicito, sia come quasi embolismo, citazione
indiretta del comando e promessa divina.
la terza
berakà si sviluppa come epiclesi, preghiera per la ricostruzione di Gerusalemme, della casa di
Davide.
Accanto alle berakòt ricordate per la benedizione della mensa, il ringraziamento, dobbiamo
ancora ricordare altre serie di berakòt della preghiera sinagogale, che hanno pur esse influito sulla
composizione dell’Anafora cristiana.
Le berakòt che precedono la recita dello Shemà: lo Yozèr (benedizione per la luce), e la Ahabah,
paternità divina, benedizione per la legge. Nello Yozer si presenta la Qedussà, triplice santificazione
del nome di Dio, secondo Is 6,3, con la citazione di Ez 3,12: «Benedetta sia la gloria del Signore, dal
suo luogo»: vi possiamo intravedere l’origine del Sanctus e Benedictus dell’Anafora.
Ha influito sulla preghiera anaforica anche la Semonehesrè, dalle 18 benedizioni, la Tefillà,
preghiera per eccellenza: anche in questo caso nelle prime benedizioni, sino alla conclusione della
quarta, motivo della preghiera benedicente è la creazione e l’alleanza; le seguenti benedizioni hanno
piuttosto una struttura epiclettica, di intercessione.
Tutte le serie di Berakòt giudaiche presentano una struttura letteraria-teologica
fondamentalmente tripartita:
-- benedizione
per il nutrimento offerto a tutti, la creazione;
-- benedizione-ringraziamento
per la terra, frutto dell’esodo, alleanza, la conoscenza di Dio e la legge;
36
-- domanda
per il pieno ristabilimento delle strutture dell’alleanza.
50
BOUYER, L. ., Eucaristia, cit 74.
37
di Padre nostro. Esso doveva risultare naturalmente da una ripetizione quotidiana e da una
meditazione costante della preghiera che abbiamo ora analizzato»51.
Certamente, quando Gesù si rivolge al Padre, dice immensamente di più di quanto poteva
esprimere la già matura preghiera ebraica.
Gesù, come Figlio, ha la piena conoscenza di un Padre, che è solo e tutto Padre, perché da
sempre si esprime in Lui, perfetta immagine filiale, così generato come Figlio da tutta l’eternità.
Gesù, il Figlio, che tutto ricevendo dal Padre, è parimenti tutto slancio di amore e riconoscenza,
nello Spirito Santo al Padre, ed introduce anche noi, come suoi fratelli, in questa sua unica conoscenza
e dedizione di amore.
Per arrivare, attraverso l’incarnazione del Verbo, alla rivelazione al dono di questa intensità
unica, divina, di conoscenza e di amore, era necessaria tutta la preparazione veterotestamentaria e
giudaica, il suo cammino religioso, la sua maturazione nella preghiera e nel porsi fiduciosamente in
sintonia col volere divino, la consacrazione della propria vita in un sacrificio vissuto.
È stato attraverso l’inserimento del Figlio di Maria nella preghiera e religiosità giudaica, che la
pietà del Figlio unico del Padre ha potuto esprimersi umanamente, per associare noi alla sua pietà
filiale e fraterna.
Con Gesù di Nazareth la Parola, Immagine filiale perfetta del Padre si è fatta carne, si è espressa
umanamente: così nella sua umanità l’uomo è giunto a pronunciare la perfetta benedizione,
ringraziamento, in cui tutto l’umano si dona in una risposta completa, al Dio manifestato.
La parola divina trova nella vita umana di Gesù la sua perfetta realizzazione creatrice e
salvatrice, e la perfetta benedizione che Gesù pronuncerà e vivrà, si esprimerà nell’atto supremo della
Croce: mai come nella Croce il Padre si è manifestato amore fedele, misericordioso, degno di
incondizionata dedizione filiale, anche nella pesantissima solidarietà fraterna, da riaprire, riportare alla
conoscenza e fedeltà del suo Amore.
In questa prospettiva si pone l’autore della lettera agli Ebrei, applicando alla pienezza
(pl»rwma) di Cristo quanto era già maturato nella preghiera dei Salmi: il vero sacrificio gradito a Dio,
è il sacrificio di lode, espresso non soltanto con le labbra, ma con una vita in piena sintonia col volere,
la Torà di Dio, una benedizione ascendente che impregna l’intera vita, consacrata a Dio, come risposta
ai suoi doni, benedizioni (vedi Sal 49[50],14.23; 50[51],21).
La lettera agli Ebrei, dopo avere, in contrasto con l’inefficacia del sacrificio del Tempio,
presentato il Sacrificio di Gesù come ingresso nel santuario celeste, per una redenzione efficace ed
eterna (9,12-14), mostra in Gesù la piena realizzazione del Sal 39(40):
«Dopo avere detto: Non hai voluto e non hai gradito né sacrifici, né offerte, né olocausti per il
peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, aggiunge: ecco, io vengo a fare la tua
volontà. Così egli abolisce il primo ordine di cose per stabilire il secondo. Ed è appunto per quella
volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta
per sempre» (Ebr 10,1-10).
51
Ibidem, . 76s...
38
Quasi alla conclusione della lettera, verrà ancora detto: «Per mezzo di lui dunque offriamo a
Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome» (13,15).
I sacrifici del tempio non hanno vera efficacia purificatrice, capacità di portarci alla comunione
con Dio: l’unico efficace per realizzare, purificando dal peccato, la comunione filiale con Dio, è la
perfetta adesione alla volontà del Padre vissuta da Cristo sulla Croce, realizzata nel suo “corpo”,
esistenza concreta, solidale ai fratelli.
L’Eucaristia è, per volontà istitutiva di Cristo, il memoriale di quest’unico sacrificio salvifico,
perfetto, decisivo per la conversione e la comunione col Padre, per tutti gli uomini, di tutti i tempi e di
tutti i luoghi. Lo rende presente, nei segni conviviali scelti da Cristo, secondo le necessità degli uomini
dispersi nello spazio e nel tempo, affinché il sacrificio di Cristo, amore obbediente al Padre nella
solidarietà fraterna, si esprima anche nelle nostre volontà, nella nostra esistenza.
Non è stato abolito il memoriale liturgico, lo si è reso espressivo, nei segni conviviali del pane e
del vino, della presenza, vera reale, sostanziale, dell’unico sacrificio della Croce, del corpo dato e del
sangue versato per la nostra salvezza.
Il suo frutto è ben espresso da Paolo nella lettera agli Efesini:
«Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che
anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore»
(5,2).
Sulla Croce Cristo ha portato il peso dei peccati dell’uomo, della sua diffidenza verso Dio,
mostrando il volto misericordioso del Padre, che attraverso la dedizione filiale e fraterna del
primogenito, conduce a sé l’umanità intera. L’Eucaristia-sacrificio rende presente questa carità
misericordiosa che rinnova la vita dell’uomo: «Misericordia io voglio, e non sacrificio» (Mt 9,13).
In quale modo il Signore Gesù nell’ultima cena, consegnandoci il memoriale della sua Pasqua,
ha reso grazie al Padre? con quale berakà?
I Vangeli non la riportano, ci dicono succintamente che Cristo ha reso grazie, benedetto. È
possibile ricostruire i contenuti di questa preghiera? Alcuni elementi di contesto li vedremo nella
liturgia del Memoriale della Pasqua dell’esodo; in essi N. S. Gesù Cristo ha immesso ed espresso i
contenuti unici del suo ringraziare il Padre, perché nella sua Pasqua i discepoli siano pienamente
introdotti nella comunione dell’amore paterno.
Possiamo intravedere alcuni contenuti di questo filiale ringraziare nella così detta preghiera
sacerdotale, riportata da Giovanni, cap.17 del suo Vangelo. La esamineremo brevemente, sia in
relazione al discorso eucaristico di Gv 6, sia in relazione a quella che si può ritenere la prima
Eucaristia cristiana, la Didachè, nei capp. IX e X. Si può, infatti, ritenere che Giovanni esprima nel
cap. 17 una teologia della Cena del Signore già approfondita in decenni di vita cristiana sotto la guida
e la luce dello Spirito Santo.
Possiamo invece riferirci ai Sinottici, quando Mt 11,25-27 e Lc 10,21-22, ci presentano una
Berakaà di Cristo, per la conoscenza del Padre accolta dai discepoli; questi discepoli vivono la vera
39
sapienza, la sapienza dei piccoli che sono disponibili a ricevere da Cristo la piena rivelazione della vita
intima di Dio.
“ Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose
ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre perché così è piaciuto a te.. Tutto
mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno consce il Padre se
non il Figlio e colui al quale il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò. «prendete il mio giogo
sopra di voi, ed imparate da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre
anime». (Mt 11,25-29).
Si tratta infatti di un beraka per la conoscenza di Dio; qui la beraka raggiunge la sua perfezione
assoluta, perché in Gesù Dio si è completamente manifestato all’uomo, e suscita la perfetta risposta
dell’uomo.
Questa berakà per la conoscenza reciproca del Padre e del Figlio, si sviluppa come berakà per
la comunicazione di questa intimità unica ai piccoli, ai poveri nel senso comune di Israele, cioè di
coloro che vivono appoggiati solo sulla Fede.
L’esultanza di Gesù per l’accoglienza da parte dei piccoli, i veri sapienti, della conoscenza di
Dio, esprime bene la gioia che è l’anima di ogni berakà: l’esultanza di colui che scopre, per divina
rivelazione, il senso vero del creato, della storia, di tutta la vita dell’uomo.
L’esultanza di Gesù supera infinitamente quella di qualsiasi credente dell’AT. Sa non solo di
essere conosciuto da Dio, ma di essere l’oggetto fondamentale della conoscenza divina: colui nel quale
la conoscenza propria di Dio, non solo in quanto Signore sovrano del cielo e della terra, ma in quanto
Padre si realizza perfettamente.
Già Dio aveva cominciato a rivelarsi come Padre a Israele, per Israele; ma ora Gesù si presenta
come l’unico Figlio prediletto, preesistente, l’unico che possiede la vera e perfetta conoscenza del
Padre; solo in Lui, accogliendo Lui tutto Israele si compie, si riassume, si supera.
Il riconoscimento di quest’unicità di conoscenza di cui Gesù è oggetto e soggetto («nessuno
conosce il Figlio se non il Padre, nessuno conosce il Padre se non il Figlio...»), ben lungi dal
provocare in Gesù un ripiegamento, chiusura in se stesso, si riversa spontaneamente sui discepoli:
sulle sue labbra la berakà diviene per eccellenza confessione, proclamazione delle meraviglie divine,
la stessa intimità della vita e conoscenza del Padre e del Figlio, per Lui manifestate e partecipate ai
discepoli.
La benedizione riportata da Mt e Lc è soprattutto comunicazione di quell’esultanza unica che
costituisce come il fondo ed il tutto della reciproca intima conoscenza del Padre e del Figlio;
comunicazione che è come una irradiazione di quella “Eucaristia” permanente che costituisce come il
fondo dell’anima del Figlio Gesù.
Tale inseparabilità dell’Úš(buon annuncio) e dell’eÚcarist…a (buona gratitudine,
esultanza), rimarrà viva nella vita della chiesa apostolica e nella sua preghiera liturgica.
40
Come ricorda la 1Cor 1,7-2.16, questa comunicazione della Sapienza suprema suppone
l’umiliazione di ogni sapienza umana: essa risulta accessibile ai piccoli, che sono radicati in quello
spirito di infanzia soprannaturale, che è il vero atteggiamento filiale, in cui solamente Gesù può
rallegrarsi di conoscere il Padre come il Padre conosce Lui. I poveri per eccellenza hanno di proprio la
fede, nella quale si esprime senza riserve questo Spirito, lo Spirito Santo, lo Spirito comune del Padre
e del Figlio. È questo il beneplacito del Padre, che troverà nel e per il suo Figlio Gesù la sua
realizzazione tra gli uomini.52
52
Ibidem 102s.. Possiamo notare in questa berakà una struttura letteraria tipo todà : una protasi
all’indicativo , la confessione che il Padre, Signore del cielo e della terra, ha dato la conoscenza sua e del Figlio
non ai sapienti e intelligenti, ma ai piccoli; ne segue, l’apodosi all’imperativo, l’ingiunzione di venire a Lui, il
Figlio, prendere il suo giogo, la Croce, partecipare della sua mitezza e umiltà, per trovare ristoro.
41
Senza un’accurata introduzione al significato del segno profetico dell’Esodo, istituito come
memoriale, sacramento efficace (efficacia secondo la legge che possiede solo l’ombra, non la realtà
stessa: cfr Eb 10,1) dell’Alleanza di Mosè a favore delle generazioni di Israele, ci sarebbe difficile
entrare nell’efficacia misterico-sacramentale propria dell’Eucaristia, con i suoi contenuti inauditi.
Per una migliore assimilazione di quanto diremo, è bene tenere sott’occhio il quadro schematico
annesso in appendice VI. 2 53: nella colonna centrale sono riportati gli eventi fondanti dell’Antica e
Nuova Alleanza.
Gli eventi fondanti della prima (antica) Alleanza sono :il passaggio del Mar Rosso, lo scendere
nell’abisso delle acque della morte per la fede nel Dio di Mosè, Jahwe, per risorgere ad una vita di
libertà; così lasciarsi attrarre verso Dio, il cammino verso il Sinai, ove sarà celebrata l’Alleanza, che
costituisce Israele popolo di Dio, sacerdotale.
Gli eventi fondanti del Sinai sono esposti in Es 19,1-24,11:
«Mosè salì verso Dio, ed il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: “Questo dirai alla casa di
Giacobbe ed annunzierai agli israeliti: Voi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto, e come ho
sollevato voi su ali di aquila e vi ho fatto venire a me. Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e
custodirete la mia alleanza, voi sarete per me proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra!
Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa. Queste parole dirai agli israeliti » (Es
19,3-6).
Dopo la dichiarazione di disponibilità del popolo, Mosè sale sul monte, ove Dio si manifesta,
dando il decalogo ed altre leggi particolari (altare, gli schiavi, [...] ). Nel cap. 24 viene descritta la
stipulazione del patto: Mosè funge da mediatore-sacerdote, con l’aiuto di giovani (il sacerdozio di
Aronne e Leviti viene dopo, in relazione a questi eventi fondanti):
○ costruisce l’altare con intorno le dodici steli;
○ versa la metà del sangue sull’altare, come segno di partecipazione alla vita di
Dio, comunione con Dio;
○ promulga la legge ricevuta sul Sinai, accoglie il consenso del popolo (come
Gesù nell’ultima cena promulga il comandamento nuovo dell’amore, del
servizio disinteressato: cfr Gv 13,34-3; Lc 22,25-27);
○ asperge il popolo (o meglio dodici steli rappresentanti le dodici tribù) col sangue,
dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla
base di tutte queste parole» (v. 8). Si tratta di un caso unico, fondante, che dà
rilievo alle parole di Cristo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue
dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26,27-28).
○ segue il banchetto, riservato alle strutture civili e religiose: Mosè e i settanta
anziani, Aronne e figli: «Essi videro Dio, e tuttavia mangiarono e bevvero» (vv.
10-11).
53
Ispirato da GIRAUDO, C., In unum corpus, cit., 96s
42
Abbiamo riportato questi eventi fondanti della prima alleanza, perché essi prefigurano gli eventi
definitivi della Pasqua di Cristo in Gerusalemme: morte e risurrezione del Signore, la legge nuova
della Carità, dono pentecostale dello Spirito Santo, che costituisce il nuovo popolo di Dio, la Chiesa.
Passando ora alla prima colonna dello schema, vengono riportati i segni profetici vigiliari degli
eventi fondanti, la cui struttura liturgica costituirà il loro memoriale.
Così alla vigilia del passaggio del Mar Rosso, abbiamo il sacrificio dell’agnello, l’unzione degli
stipiti con il sangue, e la manducazione dell’agnello: sono un rito di pastori, nomadi, per propiziare il
passaggio dai pascoli invernali a quelli primaverili (analogia con la transumanza).
In Es 12 assume significati nuovi, in relazione all’uscita dall’Egitto, il passaggio alla libertà per
la fede nel Dio di Mosè: «Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il
sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio quando io colpirò il paese dell’Egitto»
(v. 13).
Cioè il sangue sugli stipiti distingue chi accetta la comunione fedele, obbediente a Dio, dichiara
la sua appartenenza a lui, si lascia da Lui guidare. Dio, vedendo il segno dell’appartenenza a Lui,
passerà oltre, salterà la casa. Pasqua indica il passaggio, di Dio che riconosce i suoi: l’esodo del
popolo che attraversa il Mar Rosso sale verso il Dio del Sinai. Il sangue costituisce un segno: già è in
sé segno di vita, di comunione: qui indica l’appartenenza di Israele a Jahwe, datore di vita. L’Egitto,
che rifiuta il progetto di vita di Jahwe, che non ha il segno del sangue sugli stipiti, si vota alla
condanna.
L’ultima cena del sacrificio dell’agnello, alla vigilia del passaggio del Mar Rosso, si trova così
riferita, attraverso una prefigurazione unica, efapax, il segno del sangue, al suo futuro immediato: la
discesa nel mare, ove la libertà promessa ed accolta incomincia a divenire realtà.
Israele è ancora materialmente in Egitto, ma attraverso il segno profetico ne è già come uscito,
perché s’impegna a lasciarsi guidare da Dio. Il segno profetico indica e già, in qualche modo, contiene
la realtà futura prefigurata, quando pienamente si manifesterà. Ricordiamo la brocca spezzata da
Geremia nel Tofet (19,1-13), la fuga simulata di Ezechiele (12,1-16).
Il segno profetico vigiliare, che fa un tutt’uno, non separabile, con l’evento fondante, verrà poi
lasciato, per istituzione divina, come memoriale degli stessi eventi salvifici, affinché siano efficaci per
tutte le generazioni di Israele. Un Israele tanto proclive alle mormorazioni, a stancarsi di Dio.
Continuando a leggere lo schema, dopo la colonna del memoriale, si accenna alla Nuova
Alleanza, così come viene prefigurata dall’AT: il suo inizio, quando Israele ritornerà al Signore, e
inoltre la sua realizzazione definitiva, come viene descritta da Isaia :25,6-8 :il convito messianico
offerto a tutti i popoli da Jahwe sul monte Sion; notiamo come siamo sempre nella prospettiva del
convito e del sacrificio.
Come descrizione dell’inizio della nuova alleanza: possiamo riferirci a Is 55,1-3: il Signore
annuncia il termine delle privazioni, l’adempimento del patto promesso a Davide: Dio chiede di aprire
l’orecchio, di ascoltarlo. A queste condizioni promette la vita ed annuncia pane e acqua, vino e latte,
cibi squisiti a discrezione. Il mangiare e bere è congiunto con l’incontro con Dio, nell’ascolto della sua
43
parola. Ricordiamo come il Deutero-Isaia faccia precedere a questa dimensione di comunione
conviviale, i carmi del servo di Jahwe, mediatore di una Alleanza universale col sacrificio della sua
vita.
Anche nei Sapienziali partecipare alla mensa della Sapienza segna l’inizio del rinnovamento,
frutto della conoscenza di Dio accolta nella concretezza della vita. Come il Deuteronomio asserisce
che l’uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola di Dio (8,3), anche i Sapienziali intendono
dimostrare il valore unico della Parola di Dio rispetto alla vita, e quindi invitare a meditarla,
assimilarla, con il simbolo del convito (Prv 9,1-6; Sir 24,18-21).
Invece Is 25,6-10 offre una prospettiva decisamente escatologica ed universale: la fine dei
tempi, con la distruzione della morte e la manifestazione di Dio, è congiunta ad un banchetto: sarà a
Gerusalemme, ma aperto a tutti i popoli.
Gli evangelisti hanno attinto da questi simboli per esprimere il Mistero eucaristico: in relazione
a Sir 24,20 e Is 49,10, Gv 6,35 dice: «Chi viene a me non avrà più fame, chi crede in me non avrà più
sete».
Anche la prospettiva del convito escatologico trova la sua realizzazione nella Pasqua di Cristo,
nell’ultima cena: «In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo
berrò nuovo nel regno di Dio» (Mc 14,25 e //).
Possiamo quindi concludere: nel progetto di Dio la vita umana è essenzialmente comunione,
convivenza con Dio, nel segno del convito escatologico. Gli eventi fondatori saranno costituiti da un
sacrificio, per portare noi creature al livello ineffabile della conoscenza vissuta di Dio, della familiarità
adorante con lui, attraverso lo scendere notturno nel Mar Rosso, lo scendere di Cristo nelle acque della
morte.
Anche il segno profetico dell’evento fondante sarà costituito da sacrificio e convito: il sacrificio
dell’agnello e la sua manducazione veloce nell’uscita dall’Egitto, il corpo dato ed il sangue versato di
Cristo offerti agli Apostoli nell’ultima cena.
La cena pasquale sarà poi celebrata annualmente come memoriale della liberazione dall’Egitto:
«Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in
generazione lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14).; parimenti il Signore Gesù prescriverà
agli Apostoli di celebrare il rito della sua ultima cena, segno profetico, che già pre-contiene la sua
Pasqua, come memoriale della sua stesa Pasqua: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo
in memoria di me»(Lc 22,19).
Poiché in questo contesto pasquale il Signore Gesù ha celebrato nell’ultima cena il segno
profetico della sua Pasqua, lasciandocelo poi come suo memoriale, è opportuno dare una descrizione
accurata della cena pasquale giudaica.
Conosciamo la struttura liturgica della cena pasquale come è stata fissata dalla Misnà (II sec
d.C.). Non esiste più il Tempio, con il sacrificio degli agnelli e l’aspersione dell’altare, ma il rito
domestico, a parte l’assenza dell’agnello, corrisponde bene a quello celebrato ai tempi di N. S. Gesù
Cristo. L’ultimo seder è incerto, le parole non erano ancora così determinate.
44
I.1.6.1 Struttura rituale della cena pasquale giudaica
Abbiamo sin ad ora parlato della cena pasquale in Egitto, come segno profetico vigiliare, che fa
un tutt’uno inseparabile dall’evento fondante della discesa nel Mar Rosso per poi risalire nel deserto
verso il Sinai, luogo della conoscenza di Dio e della promulgazione della legge.
Secondo Es 12,13: «Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il
sangue e passerò oltre, e non vi sarà per voi flagello di sterminio…».
Il sangue è segno di appartenenza al Signore, non all’Egitto che rifiutando il progetto di vita di
Dio, subirà la condanna.
Israele per la celebrazione dell’agnello, il segno del sangue, è già separato dall’Egitto, è già
uscito da esso, il nunc, l’ora della salvezza è già realizzata nel segno di fede, nell’accettare il piano di
salvezza; esso si realizzerà il giorno dopo con il passaggio del Mar Rosso. Israele muore alla schiavitù
del Faraone e risorge dal Mare come popolo di Dio, servo di Jahwe.
La stessa cena pasquale, nei suoi elementi liturgici essenziali di sacrificio dell’agnello, erbe
amare e azzime, sarà celebrata nel deserto (Nm 9,1-11), ma già come memoriale dell’evento fondante
irrepetibile. Negli stessi padri di Israele che l’hanno celebrato come segno profetico dell’uscita
dall’Egitto, si manifestano debolezze di fede, con mormorazioni e desiderio di ritornare in Egitto.
Come ritornare all’atteggiamento di fede della notte dell’esodo? Attraverso la celebrazione del
Memoriale.
La Scrittura non ci parlerà più di celebrazioni memoriali della Pasqua sino all’ingresso nella
terra promessa (Gs 5,10); 2Cr 30,15 ci parla di una celebrazione della Pasqua in Gerusalemme, per
editto del Re Ezechia. In 2Re 23,21-23 si legge: «Il re ordinò a tutto il popolo: “Celebrate la Pasqua
per il Signore vostro Dio con il rito descritto nel libro di questa alleanza”. Difatti, una Pasqua simile
non era mai stata celebrata dal tempo dei Giudici, che governarono Israele, ossia per tutto il periodo
dei re di Israele e di Giuda. In realtà tale Pasqua fu celebrata per il Signore in Gerusalemme, solo
nell’anno XVII di Giosia». Anche 2Cr 35,1-19 descrive, con attendibilità storica, la Pasqua che ebbe
luogo in occasione del ritrovamento del Libro della Legge, sotto Giosia, nel 621.
45
La descrizione della Pasqua riportata in Dt 16,1-8, 54 secondo la riforma di Giosia, pur
riferendosi ad una fondamentale autorità mosaica, porta i segni evidenti di una prassi liturgica, le
relative rubriche, avviata.
Il libro di Esdra 6,19-22 riporta l’ultima menzione della celebrazione della Pasqua nei libri
storici. Si tratta della celebrazione pasquale in occasione della riedificazione del Tempio, nel 515.
Il rito della cena pasquale contemplava, secondo la riforma di Giosia, un momento solenne,
sacrificale-rituale, da celebrarsi nel Tempio. Qui nel pomeriggio del 14 Nisan, tra le due sere, del 14 e
del 15 Nisan, venivano immolati gli agnelli pasquali, presentati dai capi famiglia, capi dell’Haburà
pasquale. L’immolazione degli agnelli, stanti le condizioni di purità legale, veniva effettuata dagli
stessi israeliti; il sangue invece veniva raccolto dai sacerdoti, che facendolo passare velocemente di
coppa in coppa, veniva dall’ultimo sacerdote asperso ai piedi dell’altare. Seguiva lo scuoiamento degli
agnelli, mentre la cena rituale veniva celebrata nelle case. Prescrivendo la legge che avvenisse in
Gerusalemme, si utilizzavano anche cortili, terrazze-tetto, per darne possibilità a tutti gli israeliti
convenuti in Gerusalemme.
Il rito era costituito da una serie ordinata di 14 azioni: annuncio, lode-benedizioni,
manducazioni e bevute rituali, intercessioni… Il tutto distinto in quattro tempi, servizi, sedèr, divisi
l’uno dall’altro per il riempimento del calice del vino.
Descriviamo brevemente la cena rituale, sottolineando gli aspetti forti, quasi sacramentali, che
ne fanno il memoriale della Pasqua dell’Esodo. 55
1° Sèder: è un Qiddùs, consacrazione della cena festiva, adattato alla Solennità della Pasqua.
Benedizione rituale del Calice del vino, lavaggio di mani, antipasto di erbe intinte in acqua salata o
aceto.
Da notare lo Yahàs, quando il capo famiglia spezza l’azzima centrale in due e la nasconde per
apiqomon, cioè quel pezzo di azzima, grande come un’oliva, da gustare al termine della cena, al
54
Dt 16,1-8 Osserva il mese di Abib e celebra la Pasqua in onore del Signore Dio tuo, perché nel mese
di Abib il Signore Dio tuo ti ha fatto uscire dall’Egitto, durante la notte. Immolerai la Pasqua al Signore tuo Dio :
un sacrifico di bestiame grosso e minuto, nel luogo che il Signore avrà scelto per stabilirvi il suo nome. Non
mangerai con essa pane lievitato; per sette giorni mangerai con essa gli azzimi, pane di afflizione, perché sei
uscito in fretta dal paese d’Egitto, e così per tutto il tempo della tua vita ti ricorderai il giorno in cui sei uscito
dal paese d’Egitto. Non si veda lievito presso di te , entro tutti i tuoi confini, per sette giorni; della carne che
avrai immolato la sera del primo giorno, non resti nulla fino al mattino. Non potrai immolare la pasqua in una
qualsiasi città che il Signore Dio tuo sta per darti, ma immolerai la Pasqua soltanto nel luogo che il Signore Dio
tuo avrà scelto per fissarvi il tuo nome; la immolerai la sera , al tramonto del sole, nell’ora in cui sei uscito
dall’Egitto. Farai cuocere la vittima e la mangerai nel luogo in cui il Signore Dio tuo avrà scelto; la mattina te ne
potrai andare e andartene alle tue tende. Per sei giorni mangerai azzimi e il settimo giorno vi sarà una solenne
assemblea per il Signore Dio tuo; non fari alcun lavoro.”
55
GIRAUDO, C., nel suo Eucaristia per la Chiesa, cit, 124-161, espone con ampiezza la Struttura
rituale della cena pasquale ebraica, riferendo la fonti ebraiche e le traduzioni; quella latina di LIGIER, L., in PE,
15-34; quella in italiano di TOAFF, A. S.., [ a cura di], Haggadàh di Pasqua, Casa editrice Israel, Roma 1971.
46
termine del secondo Sedèr, pezzo di azzima appositamente riservata per sostituire e significare la
manducazione dell’agnello, che oggi in assenza del Tempio non è più possibile.
2° Sèder: è costituito dall’annuncio pasquale, la proclamazione dell’Hallel (Sal 112[113] e
113[114]), benedizioni e manducazione rituale dei cibi quasi sacramentali: azzima ed erbe amare; dal
calice della redenzione, dalla cena, in cui si mangia e beve a piacimento, che si conclude con la
consumazione dell’epiqomon, prima della mezzanotte.
Poniamo in risalto l’introduzione dell’annuncio:
«Questo è il pane di miseria che mangiarono i nostri padri in terra di Egitto.
Chiunque ha fame, venga e mangi!
Chiunque ha bisogno venga e faccia pasqua!
Quest’anno qui, l’anno venturo in terra d’Israele! Quest’anno schiavi, l’anno venturo figli
liberi!».
Sin dall’inizio dell’annuncio, Haggadà, si stabilisce una dinamica di tipo sacramentale: questo
pane qui è lo stesso pane dei padri, segno della loro sofferenza, nel cammino verso la libertà del
popolo sacerdotale. Nonostante la dispersione del tempo, sono gli stessi segni sacramentali, per
rinnovare la fede in Jahwe che realizzò l’Esodo. Ma anche la dispersione spaziale viene superata nella
stessa ritualità: la pasqua, pur celebrata nell’intimità familiare, è una festa aperta, in quanto festa di
tutti i miseri di Jahwe, giunti a libertà.
Anche le domande dei quattro figli, portano a sottolineare con vigore che questa generazione,
nel rito pasquale, diviene un tutt’uno con la generazione dei padri, la loro fede nel Dio di Mosè,
dell’Esodo.
Ancora più intensamente si realizza l’identificazione con i padri che vissero l’evento fondante
del Mar Rosso e della Pentecoste del Sinai, quando il padre famiglia pronuncia le tre parole d’obbligo,
senza le quali non si dà rito pasquale: pesàh (pasqua), massà (azzima), maròr (amara).
In più sollevando nelle sue mani l’azzima dice:
«Quest’azzima che noi mangiamo, perché la mangiamo?
Perché la loro pasta, quella dei nostri padri, non ebbe tempo a lievitare...».
Come sollevando l’erba amara dice:
«Quest’erba amara che noi mangiamo, perché la mangiamo?
Perché gli egiziani amareggiarono la vita dei nostri padri in Egitto…».
Commenta C. Giraudo:
“In altri termini, l’agnello pasquale, l’azzima e l’erba amara, che l’Israele delle generazioni
nelle sue presenti coordinate spazio-temporali è chiamato a mangiare, non sono un qualcosa che si
attui ad un livello di ordine convenzionale, o tutt’al più psicologico, per richiamare l’uscita dall’Egitto;
ma sono proprio essi a far sì che l’Israele delle generazioni sia ora intento ad uscire dall’Egitto per
mano del Signore. Sono proprio essi, nella loro manducazione (ossia nel loro rapporto esistenziale a
47
noi), il segno sacramentale che rende presente l’Israele delle generazioni all’evento di morte e
risurrezione che fu, una volta per tutte (šfapax), quello dei padri”56
Il padre di famiglia non fa che ridire con parole diverse, ciò che già aveva proclamato
all’introduzione dell’annuncio: questo pane che ora tengo nelle mani, è quello stesso pane là, pane di
povertà, che una volta per sempre ci fece ricchi.
Questo agnello qui, è quell’unico agnello là, unico e irrepetibile, partecipare ad esso è avere
parte a quella morte, che una volta per tutte ci procurò la vita. Parimenti l’erba amara di questa
presente pasqua, è l’amarezza dei padri. Partecipare di essa, significa comunicare a quell’unica
amarezza dei padri, che una volta per tutte ci procurò la dolcezza del Signore.
La stessa dinamica sacramentale viene infine espressa nella monizione riassuntiva:
«In ogni generazione e generazione ognuno è obbligato a vedere se stesso, come essendo
proprio lui uscito dall’Egitto siccome è detto: e annuncerai a tuo figlio in quel giorno dicendo: è a
causa di questo che il Signore fece a me, quello che fece quando uscii dall’Egitto »(Es 13,8).
«Non i nostri padri soltanto redense il Santo - benedetto Egli sia -, ma anche noi redense con
essi, siccome è detto: E noi fece uscire di là, per farci venire e dare a noi la terra che aveva giurato ai
nostri padri» (Dt 6,23).
Sotto il profilo salvifico non vi è distinzione tra la pasqua, l’azzima e l’amara di questa notte e
gli eventi di quella notte. È a causa di questi segni quasi sacramentali del memoriale, che l’Israele
presente, confuso e disperso, riceve la grazia propria dell’evento fondatore del popolo dell’alleanza.
Riguardo alle benedizioni rituali, ricordiamo la benedizione del calice di questo seder, il calice
della redenzione: presenta aspetti escatologici, salvezza compiuta, che ben si addice al primo calice
menzionato da Luca, esponendo l’istituzione dell’Eucaristia: Lc 22,17-18: distribuendolo, Gesù
dichiara che «[e prese un calice, rese grazie e disse:] Prendetelo e distribuitelo tra voi, da questo
momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio». Segue in Lc la
consacrazione del pane e del calice del vino eucaristico.
Anche per il ringraziamento e dichiarazione sul pane essere il suo corpo dato, il rituale giudaico
presenta il momento opportuno, con la benedizione dell’azzima: Mosì massà (che fai uscire l’azzima).
Anche qui è lecito, secondo il rituale giudaico, sviluppare la benedizione, e così si offriva a N. S. Gesù
Cristo l’opportunità per dichiarare che il pane diveniva il suo corpo offerto in sacrificio.
3° Sèder: è una birkat ha-mazon, con le tre benedizioni ed embolismi. La benedizione del calice
più distinto, il calice della benedizione, offre a N .S. Gesù il luogo opportuno per donarci il suo sangue
versato in sacrificio. Meno indicato risulta il calice del 4° sèder, per i versetti dell’ira, recitando Sal
78(79),6-7; 68(69),25; Lam 3,66: il calice del sangue del Signore è per il perdono dei peccati, non per
l’ira.
Il rito si concludeva con la continuazione dell’Hallèl, la dichiarazione: Dio ha gradito, e
l’invocazione: l’anno venturo a Gerusalemme, o per chi è già in Israele, Gerusalemme riedificata.
56
C. GIRAUDO., Eucaristia per la Chiesa, prospettive teologiche sull’Eucaristia a partire dalla lex
orandi, Gregoriana Univ. Press, Morcelliana, Roma, 1989, 142.
48
Queste brevi nozioni sulla cena rituale della pasqua giudaica ci sono indispensabili per la
comprensione dell’ultima cena di N. S. Gesù Cristo. Essa, a somiglianza dell’ultima cena in Egitto, si
presenta come segno vigiliare, profetico della Croce, inseparabile da Essa, anzi già realizza il
Sacrificio del corpo dato e sangue versato, per poi divenirne il memoriale.
Realizziamo così il primo avvicinamento nello studio dell’ultima cena del Signore, esaminando
i suoi rapporti con la preparazione rituale giudaica: già questo stesso studio ci permette di cogliere
come gli evangelisti affermano ed esprimono la totale novità dei contenuti salvifici del segno vigiliare
profetico, dato come memoriale della pasqua del Signore. Ricerchiamo anzitutto la continuità,
domandandoci se l’ultima cena del Signore è stata una cena rituale pasquale giudaica, per poi così
coglierne la assoluta novità.
I.1.6.2 L’ultima cena di Gesù fu una cena pasquale rituale dei giudei?
Indizi a favore: Gesù e gli apostoli intendono preparare una cena pasquale: è il giorno degli
azzimi, si deve immolare la vittima di pasqua. Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo: «Andate a
preparare per noi la Pasqua, perché possiamo mangiare» (Lc 22,7s); Mc 14,12 dice trattarsi del
primo giorno degli Azzimi quando si immolava la Pasqua: si tratterebbe del 14 Nisan, giorno
dell’immolazione nel tempio degli agnelli.
Anche la ricerca del luogo adatto, secondo le indicazioni di Gesù, è in piena sintonia cultuale
con le consuetudini giudee: l’offerta di ospitalità per i numerosi pellegrini, affinché, secondo la legge,
celebrino la pasqua in Gerusalemme. Per Gesù e gli apostoli viene offerta una sala al piano superiore,
grande ed addobbata, in greco ££™strwmšnon, cioè un cenacolo con letti per sdraiarsi,
secondo l’uso giudaico per la cena di pasqua (Lc 22,12; Mc 14,15). Vi corrispondono la posizione
sdraiata, sottintesa da Lc 22,14 e Mt 26,20 (¢… e ¢£).
Anche l’ora del convito è quella che conviene alla cena pasquale: «Venuta la sera, egli giunse
con i Dodici» (Mc 14,17). La cena pasquale è infatti una cena notturna.
Possiamo ancora ricordare l’intingere nel piatto, che nella cena pasquale era più frequente, e
così pure l’abbondanza di calici di vino. Lc, oltre al calice eucaristico, premette un calice escatologico
(22,17s). Ulteriore indizio di cena pasquale è il lasciare il cenacolo dopo avere cantato l’inno, i Salmi
dell’Hallèl (Mt 26,30; Mc 14,26), e il pernottamento nell’orto degli ulivi, cioè ancora nel perimetro
concesso.
Ma in primo luogo avremo dovuto citare Lc 22,14: «Ho desiderato ardentemente di mangiare
questa pasqua con voi prima della mia passione».
57
JEREMIAS, J., Le parole dell’ultima cena, Paideia, Brescia 1973, 9-99: Giovanni non avrebbe quindi
voluto dirci la vera data storica , avrebbe scelto una data simbolica della morte di Gesù, per porre in risalto la
verità più profonda: Gesù è il nuovo e vero agnello, che ha sparso il suo sangue per la salvezza di tutti.
La scoperta degli scritti di Qumran ci permette ora di formulare una soluzione convincente, che cioè
quanto Giovanni scrive è storicamente esatto, e Gesù avrebbe sparso il suo sangue alla Vigilia di Pasqua, nell’ora
dell 'immolazione degli agnelli. Avrebbe celebrato la Pasqua secondo il calendario di Qumran, almeno un giorno
prima, senza l’agnello. Senza l’agnello, perché la comunità di Qumran non riconosceva il tempio di Erode,
ripudiava il sacrificio degli agnelli che si faceva in esso. Aspettava il nuovo tempio. Gesù ha celebrato la Pasqua
non senza agnello, perché il vero Agnello è Lui stesso, nel dono del suo corpo, del suo sangue versato in
Sacrificio. Cfr CAZELLES, H., Johannes. Ein Sohn von des Zebedaus. ‹‹Priester und Apostel , in ‹‹IKAZ
Communio›› 31 (2002) 479-484
50
si dà pure, secondo Giovanni, una baraita, interrogazione dei quattro figli, secondo la ritualità
giudaica. Sono le quattro domande che Pietro, Tommaso, Filippo e Giuda (Gv 13,36; 14,5.8.42)
pongono a Gesù sulla sua partenza.
Pietro non capisce ove Cristo vada, perché non possa seguirlo ora. Quando Gesù inizia a parlare
della casa del Padre, di una via nota, interviene Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai, e come
possiamo conoscere la via?» (14,5). Alla risposta di Gesù di essere la via, la verità e la vita, la via
unica verso il Padre, che già si fa conoscere, interviene la domanda di Filippo: «Mostraci il Padre e ci
basta».
Qui il discorso di Gesù si estende alla conoscenza del Padre, all’immanenza mutua del Padre e
del Figlio, il loro comune operare salvifico, che sarà partecipata a chi ha fede in Gesù. Gesù si
presenta come colui che va al Padre (14,12). Il discorso di Gesù diviene promessa dell’invio dello
Spirito di verità, che farà conoscere più profondamente l’immanenza reciproca del Padre e del Figlio,
e degli apostoli con Gesù. Manifestazione per chi lo ama e ne osserva i comandamenti, che suscita lo
stupore e la domanda di Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi
e non al mondo?».Gesù ribadisce una presenza-manifestazione per coloro che corrispondono al suo
amore, ascoltano e osservano la sua parola. E ritorna l’annuncio dello Spirito Santo consolatore, che
introdurrà alla piena verità, suscitando il ricordo di quanto Gesù ha detto.
L’unico esodo di cui si parla è il suo andare, attraverso la Croce al Padre; una via che soltanto
Lui può aprire, ma che sarà ricca di frutti di conoscenza di Dio, di novità di vita: Gesù coinvolge i suoi
apostoli in questa via al Padre che è Lui stesso attraverso la Croce, offrendo la partecipazione
conviviale al suo Sacrificio, già reso presente, come corpo dato e sangue versato.
Se non si parla più dell’antico è perché ora si realizza il definitivo, di cui era semplice
prefigurazione ed introduzione.
Ora si dà un nuovo e definitivo annuncio pasquale, con nuovi segni sacramentali, dai contenuti
inauditi: lo stesso corpo offerto in sacrificio, il sangue versato per il perdono dei peccati.
Ne nasce uno stile nuovo di vita, improntato dalla legge nuova della carità-servizio. Anzi Gesù è
in mezzo agli apostoli come colui che serve; Giovanni ricorda il segno del lavare i piedi, lo stupore di
Pietro.
Di fronte alla novità di vita, servizio, senza l’affanno dei primi posti, si dà l’avviso di non
presumere delle proprie forze; l’avviso è dato anzitutto a Pietro, che in forza della preghiera di Cristo,
dovrà confermare i suoi fratelli in questa novità di vita, frutto dell’esodo di Cristo, della sua croce,
accolta e partecipata nel convito eucaristico (Lc 22,31-34).
Agli apostoli, che così partecipano delle prove del Signore, è assicurata la mensa del Regno, la
partecipazione al giudizio, offerta della novità di vita, suo discernimento… (Lc 22,28-30).
51
Possiamo ora cercare di concludere: si tratta di una liturgia pasquale. Non entriamo nella
questione controversa della astensione di Gesù dai cibi della pasqua, di Israele, sostenuta da J.
Jeremias, negata da C. Giraudo.58
Sicuramente tutta l’attenzione è rivolta alla Pasqua di Cristo, il suo passare al Padre. Di questo
si fa ora l’annuncio, a questo vengono pazientemente introdotti i Dodici. Si ricorda unicamente il
nuovo cibo, bevanda sacramentale, che fa partecipare alla pasqua di Cristo, coinvolge in essa, per
portarne i frutti di novità di vita, carità e servizio.
Se si parla solo dei Dodici, è perché ad essi viene affidato il Memoriale della Pasqua del
Signore.
Sono pertinenti le osservazioni di G. Lafont:
«Si è molto discusso recentemente, per esempio, sulla cronologia della passione di Gesù e sulla
data dell’ultima cena. Per quanto sia grande l’interesse di queste discussioni, io mi domando se esse
non hanno alquanto dimenticato ciò che sembra essere l’intenzione convergente degli Evangelisti
sinottici e di Giovanni. Poiché essi non si accordano sulla presentazione dell’ultima cena del Signore,
questo significa che la questione di sapere se questa ultima cena è stata effettivamente e letteralmente
una cena pasquale ebraica non li interessa tanto. Ciò che al contrario vogliono dire e lo dicono molto
bene, ciascuno col suo stile, è che la morte di Gesù celebrata nell’Eucaristia della Chiesa è la vera
Pasqua. È a partire da questa realtà che si deve comprendere l’uso del vocabolario pasquale della
redenzione»59.
I.2.1 Introduzione
Esaminiamo ora la piena rivelazione del mistero eucaristico.
Siamo anzitutto avvisati che si tratta di una ritualità completamente nuova rispetto alla
preparazione della prima alleanza. Tutti i sinottici ci dicono che, mentre Cristo muore in Croce, il velo
del tempio si squarcia nel mezzo (Mt 26,51; Mc 15,38; Lc 23,45).
Anche la lettera agli Ebrei parla del velo simbolico che proteggeva il Santo dei Santi, per dirci
con chiarezza che l’antico rituale espiatorio-sacrificale è stato abolito. Gesù infatti è entrato con il suo
sangue nello stesso santuario, il cielo stesso, per comparire al cospetto di Dio in nostro favore (Eb
9,11-14.24-29). Ha così inaugurato una via nuova, vivente, attraverso il velo, cioè la sua carne (Ebr
58
GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, cit, 244-256 :Excursus Gesù nell’ultima cena comunica al
pane e al calice istituzionali . Sino a Lutero, il solo Pietro di Poitiers ( XII sec.) lo nega. Lutero interpreta così le
parole dell’istituzione :Gesù ha dato il suo corpo e sangue agli Apostoli, non a sé. Vede in questo una prova
contro la prassi in cui i Sacerdoti comunicano solo se stessi. Questa interpretazione divenne poi quasi comune.
Ma già DE LA TAILLE, M., nel 1921 sosteneva :«Non senza una ragione altamente conveniente Cristo nella
cena fu partecipe del cibo e della bevanda eucaristici», dando una poderosa documentazione patristica e
liturgica.
59
LAFONT, G., Dieu, le temps et l’etre, (= Cogitatio fidei 139), Cerf, Paris 1986, 245s.
52
10,19-20). Abbiamo così un’ancora di salvezza, sicura e salda, che «penetra sin all’interno del velo
del Santuario, ove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto sommo sacerdote per
sempre alla maniera di Melchisedek» (6,19-20).
Gesù nella sua morte, risurrezione, ascensione al cielo è la realtà salvifica, nuova e definitiva
perché ci porta con sicurezza alla presenza del Padre: vi corrisponde la fine della ritualità antica, che è
solo ombra delle realtà salvifiche, mentre la Chiesa ne possiede già la vera immagine (10,1).
Giovanni dice le stesse cose, e molto bene a suo modo, quando pone all’inizio del Vangelo la
purificazione del Tempio (Gv 2,13-22): «Scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore ed i buoi». Il
nuovo Tempio per incontrare autenticamente Dio sarà il suo corpo, crocifisso e risorto (Gv 2,19-22).
Giovanni nota che questi eventi avvengono mentre si avvicinava la Pasqua.
Nel cap. 4, in dialogo con la Samaritana, Gesù parlerà di adorazione in Spirito e Verità, aperta a
tutti.
In Lui, per la sua Pasqua, il sacrificio qualifica direttamente la vita dell’uomo, diviene
esistenziale. Gesù, che è una cosa sola col Padre, per una immanenza reciproca, introduce anche noi in
questa intimità di vita divina: «Come Tu, Padre sei in me ed io in Te, siano anch’essi in noi una cosa
sola». «Io in loro e Tu in me, perché siano perfetti nell’unità» (Gv 17,21.23).
A questa qualità nuova di vita, di adorazione in Spirito e Verità (4,23), corrisponde una ritualità
nuova, che esprime e già contiene questa adorazione nella Verità filiale, nell’amore Spirito Santo. Sarà
quindi nostro primo compito esaminare nella Scrittura le qualità del segno vigiliare, memoriale della
Pasqua di Cristo.
Prima di introdurci in questo studio è meglio precisare il rapporto tra Eucaristia e S. Scrittura.
I Vangeli, storia e riflessione su Cristo; la vita della Chiesa nelle lettere cattoliche, ma anche la
sua azione missionaria (Atti) e esistenza drammatica in attesa del ritorno del Signore (Apocalisse):
tutti questi scritti possiedono una tonalità eucaristica, per più motivi.
Anzitutto ricordiamo come la Chiesa apostolica, dopo la Pentecoste, ha celebrato l’Eucaristia
(spezzare il pane: At 2,42.46; 20,7-11), una chiesa la cui preghiera, la cui stessa esistenza di …
, carità, servizio, ministero apostolico, si esprime pienamente e si alimenta nell’eucaristia celebrata.
In questo contesto segnato in modo unico dall’Eucaristia sono composte, per ispirazione, le
Scritture stesse: sono riconosciute tali per la loro sintonia con il Mistero che qualifica la vita della
Chiesa.
La celebrazione del memoriale è il luogo privilegiato dell’annuncio e della catechesi, della viva
tradizione orale; si può legittimamente pensare che le lettere degli Apostoli fossero lette in questo
contesto: la mensa della parola è sempre unita alla mensa del corpo e sangue del Signore.
Ricordiamo ancora che l’Eucaristia è memoriale della Pasqua del Signore, ma non disgiunta
dalla sua vita, dal suo stare con noi, tra noi, in noi; nel vertice della sua Pasqua tutta la sua vita, Corpo
dato per noi, è celebrata e resa presente. I segni sacramentali-conviviali del Memoriale non solo
esprimono una qualità nuova di vita, di comunione e carità, di ringraziamento, ma già la realizzano.
53
Comprendiamo quindi come Eucaristia e Scritti del NT sono realtà inscindibili: tutta la Scrittura
porta l’impronta della celebrazione del memoriale del Signore. 60
Risulta opportuno analizzare le relazioni Scrittura-Eucarestia in due tappe:
1. vedere quanto si dice nella Scrittura circa l’Istituzione del memoriale stesso, così
inscindibilmente unito alla Pasqua del Signore, di cui è stato il segno vigiliare. Certo
non dobbiamo aspettarci dalla Scrittura quello che non ci può dare. Essa non è un libro
liturgico, non è una Mishnà, né un Talmùd. Il Vangelo è l’annuncio kerigmatico, con
sviluppi catechetici in Matteo, e approfondimenti teologico-spirituali in Giovanni,
dell’Emanuele (Mt 1,23), che sarà con noi (Mt 28,20), tra noi riuniti in preghiera (Mt
18,20), anzi in noi, come lui è nel Padre (Gv 17,21.23; 6,56-57). Parlerà
necessariamente della sua istituzione, della sua preparazione dei segni conviviali.
Notizie più specifiche della celebrazione saranno da ricercare nella tradizione viva della
Chiesa;
2. una seconda tappa sarà esaminare, con un dossier più completo, l’influsso
dell’Eucaristia nei testi del NT: ringraziamento, sacrificio, … (comunione),
carità, servizio.
S. Giovanni ci educa a questo, sviluppando elementi presenti in S. Luca: nel contesto della Cena
tratta del frutto dell’Eucaristia, presenza intima del Signore nei suoi, manifestata come preghiera
fiduciosa, servizio disinteressato... Già nel cap. 6 ha dato un’ampia catechesi eucaristica, quasi nel
cuore del suo Vangelo, perché sia il cuore della vita cristiana.
60
Cfr BOUYER, L., Eucaristia ,cit, 115-122; BRAGA, C., et PISTOIA, A., ed., La liturgie interprète
de l’Ecriture, (= BEL ‹‹subsidia›› 126) CLV Ed. Liturgiche Roma 2003, e altri studi citati nella nota 31
54
I conviti del Signore sono per Lui occasione propizia di insegnamento; il modo di assidersi e
gestire la mensa esprime il modo con cui si vive: Gesù insegna quale posto ricercare, chi invitare (Lc
14,7-14). Gesù accogliendo l’invito a mensa (casa di Matteo: Mt 9,9-13 e //), ed auto-invitandosi in
casa di Zaccheo (Lc 19,1-10), offre misericordia, restituisce il senso sociale della vita: «Non sono
venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi» (Lc 5,27-32).
Un posto importante nella preparazione all’ultima cena, hanno le moltiplicazioni dei pani, di Mt
14,13-15,39; Mc 6,33-8,21, con le riflessioni annesse sulle abluzioni e purificazioni, il lievito dei
Farisei e di Erode (Mt 16,5-12).
In cosa consista il lievito di Erode (Mc 8,15) è facilmente ricavabile dallo stile del banchettare,
gestire la mensa di Erode: prima di narrare la moltiplicazione dei pani, Mc e Mt descrivono la fine di
Giovanni Battista, vittima della sensualità, imprudenze, compromessi di Erode.
Il lievito dei Farisei è la cura esagerata delle prescrizioni igieniche per il convito, trascurando
norme fondamentali di giustizia e misericordia, chiudendo gli occhi sulla vera causa
dell’inquinamento dei comportamenti umani, i desideri cattivi del cuore.
Gesù è venuto a curare questa causa attiva dei comportamenti malvagi, perché la commensalità
con Dio e tra gli uomini sia familiare e corretta.
Nella moltiplicazione dei pani si manifesta come il nuovo Mosè, che provvede alla fame di chi
si affida a Lui, che introduce alla conoscenza del Padre, allo stile delle beatitudini.
I gesti e le benedizioni anticipano i gesti e le benedizioni dell’ultima cena: nella prima
moltiplicazione abbiamo in Mt 14,19, come in Mc 6,41, ed in Lc 9,16: «preso il pane… alzati occhi al
cielo… benedisse… spezzò (in Mt: «avendo spezzato»)… diede…»; nella seconda moltiplicazione di
Mt 15,36 e Mc 8,6: «prese i pani («avendo preso» in Mc)… avendo reso grazie… spezzò… dava…».
Notiamo come si diano le stesse espressioni (c’è in più l’alzare gli occhi al cielo, ma Gesù
nell’ultima cena è tutto rivolto al Padre) dei gesti costitutivi il rito istituito e poi liturgicamente
celebrato.
Per avere un quadro completo della preparazione al memoriale istituito della cena del Signore,
ricordiamo le parabole in cui il regno dei cieli viene presentato nella convivialità di un banchetto, un
banchetto nuziale (Mt 22,l-14; Lc 14,15-24).
61
SCHLIER, H. ., «Il cap. 6 del Vangelo di Giovanni e la concezione giovannea dell’eucaristia», in La
fine del tempo, Paideia, Brescia 1974, 128.
58
Luca con lo stesso verbo didÒmenon esprime l’offerta sacrificale del Corpo di Cristo,
riportando le parole dichiarative sul pane nell’ultima cena (Lc 22,19).
Ma anche la congiunzione carne-sangue, oltre ad indicare la totalità della persona di Gesù,
orienta al sangue della croce, ed insieme all’istituzione dell’Eucaristia, come corpo dato e sangue
versato. Anche il verbo «darò», dèsw si può riferire al gesto eucaristico di Gesù: il segno profetico,
memoriale istituito della Pasqua del Signore, insieme al prendere, spezzare, ringraziare, contempla
anche un dare.
Si tratta quindi di una carne e sangue, di una qualità particolare: la totalità della persona di
Gesù, disceso dal cielo, nella concretezza del suo insegnare ed operare, “concentrata” nel suo donarsi,
passare al Padre nell’ora della croce. Dirà ancora al v. 62 che trattasi di Lui in quanto asceso al cielo,
una carne-sangue gloriosi, vivificati dallo Spirito Santo.
È necessario che questa carne sia assunta in un concreto mangiare, nella ritualità dell’Eucaristia.
Viene anche indicata la necessità di questo assumere-mangiare per rimanere in Gesù, realizzare
un’intima mutua immanenza: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in
lui» (v. 56). Come Gesù ha la pienezza della vita divina per il suo essere, stare nel Padre, anche chi
dimora in Gesù nel cibarsi della sua carne, avrà la vita per questa sua intima presenza (cfr. v. 57). Anzi
non solo vivrà in eterno, ma conoscerà la risurrezione nell’ultimo giorno (cfr. vv. 37.40.54).
Quasi a conclusione di questo prolungato, chiarificante dialogo, ne viene indicato il luogo:
«Queste cose disse Gesù insegnando nella sinagoga di Cafarnao» (v. 59). Si tratterebbe di un luogo
propizio, per introdurre alla piena comprensione, nella fede in Lui, del segno dei pani moltiplicati: il
tempo pasquale poteva suggerire letture dell’Es 16,13-14, della manna, pane del cielo (v. 31).
Anche il passaggio del Mar Rosso acquista pienezza di significato nel camminare di Gesù sulle
acque oscure e minacciose, il suo presentarsi con potenza divina («Io sono»), per superare le paure dei
discepoli e portarli rapidamente alla riva della salvezza.
62
Cfr LIGIER, L., Il Sacramento dell’Eucaristia, [ ad uso degli studenti ], PUG Roma 1974, 66s
61
spezzare il pane e dare a mangiare e bere), il legame che li unisce alla sua morte e risurrezione, non
risulta in alcun modo accidentale, improvvisato, ma liberamente voluto.
Porta a compimento il progetto di Dio, è Lui stesso questo progetto, con piena libertà e
consapevolezza; sceglie i gesti, le preghiere atte ad introdurre i discepoli nel suo effettivo donarsi,
andare al Padre. È giunta l’ora, che riassume e porta a compimento tutta la sua vita (Gv 13,1-2);
compie l’opera, che riassume e porta a compimento tutte le sue opere (Gv 17,4).
Il nuovo rito, costituito dal gesto familiare di benedire il pane spezzato, di ringraziare con il
calice del vino, porta a compimento la convivenza di Gesù con i suoi: il pane disceso dal cielo, la sua
carne data per la vita del mondo, diviene realtà.
Nello stesso tempo, al primo memoriale, sostituisce il suo, espressivo la sua opera di salvezza,
la nuova e definitiva alleanza, realizzata nel suo sangue versato. I simboli del pane e del vino, nuovi
rispetto a quelli del vecchio memoriale, acquistano significati e realtà inaudite: il corpo e sangue del
Signore che si offre in sacrificio per donare la vita eterna, la comunione dei suoi col Padre, nello
Spirito Santo.
Quindi realtà nuove, definitive, espresse in forma nuova, con riti nuovi, non solo simbolici, ma
pienamente sacramentali, contengono, infatti, ciò che esprimono.
S’individua così un collegamento di contenuti teologici tra il segno profetico-memoriale istituito
e la passione del Signore: le parole dichiarative sul pane e sul vino indicano il suo donarsi in sacrificio,
la sua volontà già attuale di offrirsi per molti, per voi, in remissione dei peccati, nell’attesa della piena
manifestazione del Regno. Qui il collegamento con la Croce raggiunge il suo vertice, con identità
sostanziale di contenuti nel suo corpo dato e nel sangue versato.
Ricordiamo come solo i Dodici (Mt 26,20; Mc 14,17; Gv parla dei Dodici concludendo il
discorso eucaristico: 6,67-71, e poi ancora in 20,24), gli Apostoli per Luca (22,14 e 6,13), sono
espressamente menzionati come partecipi della cena del Signore, con loro celebrata, loro affidata
come memoriale della sua Pasqua.
Anche questa partecipazione e affidamento non è da vedersi come un fatto isolato, ma come
vertice dello scegliere e costituire, porre in una situazione stabile e definitiva, personale e collegiale; lo
esprime bene Mc 3,13: «Salì sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle, ed essi andarono da lui. Ne
costituì dodici, che stessero con lui, e anche per mandarli a predicare».
Si può con facilità notare come il Signore, dopo la professione di Pietro (Mt 16,13-20 e //), si
dedica in modo particolare alla formazione dei Dodici, per introdurli, senza mai staccarli dal quadro
generale delle necessità umane, nel mistero della sua Persona ed opera: tre volte annuncia la sua
passione, mentre li educa al distacco e alla libertà del cuore (Lc 12,33-35), all’abbandono di sé al
Padre (Lc 11,11.13; 12,22-32), al senso della croce (Lc 14,25-35).
Nella cena i Dodici sono da lui pienamente, in modo definitivo, stabiliti nello stare con Lui,
partecipi della sua missione: «Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato
nel mondo, così anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché anche loro
siano consacrati nella verità» (Gv 17,17-19). L’unione di Gesù con i Dodici raggiunge il massimo di
62
interiorità e intensità: rende consapevoli e partecipi i Dodici del suo passare al Padre, per introdurvi
l’intera umanità. Affida loro il suo memoriale pasquale, la sua presenza sacrificale, da ripresentare in
tutti i luoghi e tempi, per formare e alimentare il suo corpo ecclesiale. Costituisce così i dodici segno
sacramentale della sua persona di capo, maestro, buon pastore, che dà la vita per il mondo. Ma sarà poi
necessaria l’esperienza del Risorto, la sua rinnovata convivialità (Mc 16,14; Lc 24,30-31.40-43; Gv
21,10-12; At l,4), il dono dello Spirito Santo, affinché il ministero apostolico sia effettivamente
esercitato.
I.2.2.2.1 Esame della sinossi dei Testi dell’Istituzione (testi in Appendice VI.4)
Una prima lettura ci convince che dobbiamo accostare insieme Paolo e Luca, Marco e Matteo.
La somiglianza più evidente consiste nella menzione, in Paolo e Luca, della cena giudaica, inserita tra
il rito del pane e il rito sul calice. Introducono ambedue, con leggera trasposizione, la dichiarazione sul
calice, scrivendo: «Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice» (1Cor 11,25; Lc 22,20).
In questo Paolo e Luca riportano con accuratezza i due riti come ci sono stati donati da Signore
nel contesto della cena giudaica, mentre Marco e Matteo non fanno più menzione della cena giudaica,
accostando semplicemente il rito sul pane e quello sul vino con un semplice …: e.
Marco e Matteo riferiscono l’evento fondante dell’ultima cena del Signore, già considerandola
nella tradizione di una prassi liturgica consolidata; il rito e le parole sul pane ed il vino presentano
anche un chiaro parallelismo: prendere, benedire-ringraziare, (spezzare), dare: questo è il mio corpo…
questo è il mio sangue...
Si accosta il testo di Paolo-Luca anche perché ambedue riportano il comando del Signore di
celebrare il rito istituito come suo memoriale: «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11, 24.26); Luca
lo riporta solo per il rito sul pane, Paolo anche per quello sul calice.
Matteo e Marco invece non parlano del comandamento della reiterazione del memoriale, per il
semplice fatto che narrano l’evento istitutivo già tenendo presente come la celebrazione venga
rinnovata secondo il comando del Signore: ‹‹il farlo in sua memoria›› è ormai prassi liturgica della
Chiesa.
Accostiamo Marco-Matteo per lo stile più semitico del discorso: per es. contiamo sei kai in
Marco, solo tre in Paolo-Luca; sappiamo come le lingue semitiche amano coordinare, il greco invece
subordinare. Altro semitismo: l’uso di ÚÒgew(benedire BRK) per il rito sul pane, mentre Paolo-
Luca usano sempre eÙkar…stew.
Altro semitismo si può individuare per l’uso di î, la moltitudine, che nel senso semitico
comprende la totalità; Paolo-Luca, più inculturati in comunità ellenistiche, in cui si distingue molti e
tutti, pollo…, p£ntej, preferiscono personalizzare con Úmîn, voi.
Altre somiglianze Paolo-Luca, Marco-Matteo hanno un colorito teologico: come ‹‹il calice della
nuova alleanza nel mio sangue ››(Paolo-Luca), o ‹‹il mio sangue dell’alleanza, versato per i molti
››(Mc-Mt). Ne tratteremo dopo.
È bene porre in risalto altre differenze tra Marco-Matteo e Luca, riguardanti altri eventi
dell’ultima cena, che contornano l’essenzialità dei due riti costitutivi; evidentemente non facciamo più
63
riferimento a Paolo, che inserisce il ricordo dei riti istituiti dal Signore in altro contesto, di vita
ecclesiale, per riportarla in sintonia col memoriale del Signore.
Luca sottolinea proprio all’inizio della cena il suo aspetto escatologico, il passaggio alla novità
definitiva del Regno; Gesù infatti dichiara: «non la (pasqua) mangerò più, finché essa non si compia
nel regno di Dio». Anzi esprime la novità assoluta del passaggio, con il rendere grazie su un calice, e
dire: «Prendetelo e distribuitelo tra di voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più il frutto
della vite, finché non venga il regno di Dio» (Lc 22,16-17).
Invece Marco e Matteo esprimono la stessa consapevolezza e volontà del Signore, con una
dichiarazione finale, in relazione allo stesso calice del sangue: «Io vi dico che da ora non berrò più di
questo frutto della vite fino a quando lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio» (Mt 26,29).
Notiamo ancora una differenza circa l’indicazione del traditore, Giuda: Mc e Mt la pongono
prima dell’istituzione, Lc invece dopo, come introduzione alla lezione sull’umiltà ed il servizio,
avvisando i discepoli della loro fragilità, in particolare Pietro del suo rinnegamento durante la sua
passione. Gesù introduce così ai tempi difficili, di lotta, in cui i discepoli dovranno provvedere a se
stessi, ma escludendo decisamente che si debba affidare alle armi la difesa (Lc 22,38; Mt 26,52-54; Gv
18,10-11).
È bene fare subito alcune riflessioni sulla comparazione delle fonti. Paolo e Luca sembrano
rifarsi ad una prassi più antica, giacché ancora ricordano la cena giudaica («dopo avere cenato»), che
non ha più importanza per la celebrazione del memoriale del Signore. Infatti, Marco e Matteo non ne
parlano più, accostando direttamente il rito sul pane e sul vino, e stilizzando il rito; presentano, specie
Mc, caratteri più semitici.
Più antica sembra essere la stesura di Paolo, in una lettera del 54 circa. Paolo afferma di
trasmettere quello che ha ricevuto dal Signore, certo indirettamente, nella tradizione, si pensa, della
Chiesa di Antiochia, circa gli anni 40; la sua conversione si può datare negli anni 37.
Paolo riporta una tradizione greca, che evita al massimo i semitismi, eccetto quelli che
appartengono ai riti costitutivi voluti dal Signore Gesù: prendere il pane, spezzare, anche Ûp»r, a
vantaggio, favore, di voi, come il sacrificio del servo di Jahwe (Is 53,10-12).
Il racconto di Paolo è più grecizzato di quello di Luca, ma per le forti somiglianze mostrano di
rifarsi ad una tradizione comune. Paolo è così convinto che la sua tradizione attinga sicuramente da
quanto fece e disse nell’ultima cena il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, che si rifà ad
essa, per correggere alcune dissonanze della vita della chiesa rispetto alla celebrazione del memoriale
del Signore. Sapeva che era un punto di riferimento sicuro e da tutti accettato, perché fondato ed
originato da ciò che fece e disse il Signore Gesù in quella notte.
Mc e Mt presentano caratteristiche semitiche, un racconto che conserva segni linguistici più
originari rispetta ai più grecizzati di Paolo e Luca. Dietro la tradizione greca si dà una tradizione
semitica, che si sviluppa nel primo decennio dopo la morte del Signore.
Notiamo come le tradizioni Mc-Mt e Paolo-Lc, pur essendosi sviluppate in Chiese distinte,
concordano perfettamente sull’essenziale:
64
tutti riportano i gesti costitutivi del memoriale: prendere, spezzare, benedire-ringraziare,
dare;
le parole dichiarative sono del tutto identiche per il pane, eccetto la legittima
trasposizione del pronome personale moÚ, di me, mio, secondo l’uso greco posto prima
del sostantivo “corpo” in Paolo;
lo sono nella sostanza anche quelle sul vino: tÒ a‹m£ mou tÁj diaqÁkej(il mio sangue
dell’alleanza: Mc-Mt), e kain¾ diaq»kh ™n tî a†mat… mou(la nuova alleanza nel mia
sangue: Paolo-Lc). Vedremo presto come si spiega, in base alla Scrittura, la differenza
tra sangue dell’alleanza e nuova alleanza nel sangue.
Ricordiamo ancora come i Sinottici concordano nella sostanza, nel dichiarare la novità del
Regno in cui Gesù entra e ci fa entrare.
Possiamo quindi concludere con J. Jeremias: .
«La primitiva tradizione semitica, infatti, come costatammo più sopra, può essere con l’ausilio
di esatte osservazioni filologiche, seguita sin al primo decennio dopo la morte di Gesù. È
assolutamente improbabile che in questo primissimo tempo, si sia liberamente creato il rito della cena,
e che si sia inventato il racconto della cena aggiungendola al rito come leggenda cultuale eziologia» 63.
Anzi, sempre secondo J. Jeremias: .
«Se aggiungiamo che sia studiando l’influenza del culto sulla tradizione dei testi della cena, sia
sottoponendo questi ad un’indagine linguistica ci siamo imbattuti costantemente in uno stadio
preliturgico della tradizione, abbiamo allora tutte le ragioni per concludere che il nucleo comune della
tradizione dei racconti della cena ci ha conservato un ricordo delle parole di Gesù nell’ultima cena
attendibile nelle sue linee essenziali»64.
Risulta quindi certo che le tradizioni Mc-Mt e Paolo-Lc concordano perfettamente
sull’essenziale, e dimostrano il comune ricevere da una causa storica unica, l’Istituzione del Signore
nel contesto dell’ultima cena.
Il commento di 1Cor 11,26: «Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice,
voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga»:
Paolo indica che il memoriale è sia celebrazione, fare liturgico, sia proclamazione, annuncio,
della morte del Signore, come evento di salvezza perenne; il «finché egli venga» riconosce che il
Crocifisso è vivente, glorioso, e se ne attende la venuta definitiva, per la risurrezione dei corpi, in terra
nuova e cieli nuovi. Si confessa che il Signore Gesù rimane il centro vivo della salvezza, sino alla sua
definitiva manifestazione gloriosa, per portare a pienezza la realizzazione del disegno di Dio.
Il mistero di salvezza è già compiuto nella Pasqua di Cristo, ma deve ancora manifestarsi nella
sua pienezza. La Chiesa è quindi in attesa e l’attesa diviene supplica: «Vieni o Signore! Maranà tha.
La grazia del Signore Gesù sia con voi» (1Cor 16,22-23). L’assemblea prega affinché l’intervallo di
68
Cfr JEREMIAS, J., Le parole dell’ultima cena, Paideia, Brescia 1973, 306-318
71
tempo che ancora ci separa dalla Parusia sia sorretto dalla grazia: così nelle anafore eucaristiche
l’anamnesi si svilupperà in epiclesi.
I.2.3.2 Ringraziamento-supplica
Nella sua cena Cristo, benedicendo e ringraziando, ha donato il suo corpo e il suo sangue in
sacrificio per noi. Gli evangelisti e Paolo non riportano tale ringraziamento del Signore, ma indicano il
suo frutto, la sua piena realizzazione nel Corpo dato ed il Sangue versato, il Sacrificio reso presente.
Nelle lettere apostoliche, quando ci viene presentata la vita della comunità presieduta dagli
apostoli, non si parla se non per cenni della celebrazione eucaristica (come dato ovvio, ricevuto e
trasmesso, celebrato con assiduità, che fonda e qualifica la vita comunitaria), ma si vive e si estende a
tutto l’esistere cristiano il “rendere grazie” proprio dell’Eucaristia. Il Signore crocifisso glorioso, reso
presente nel memoriale del suo Corpo dato e del suo Sangue versato per noi, partecipa ai suoi il suo
atteggiamento riconoscente al Padre, che può spontaneamente svilupparsi in supplica affinché la
presenza del sacrificio porti i suoi pieni frutti nel presente e nel futuro.
Così le lettere paoline si aprono con un ringraziamento al Padre per la fede operante della
comunità nell’accoglienza del Signore, per i frutti di carità, di speranza, di vita cristiana. 70 Paolo passa
poi alla supplica, affinché si manifesti pienamente nella vita della comunità l’efficacia del dono di fede
accolto.
Tutta l’esortazione e l’insegnamento che occupano il corpo della lettera, resteranno come
impregnati da questo preambolo di ringraziamento e supplica; potremo anche dire che sono
l’esplicitazione di quanto l’introduzione già contiene; esprimono la contemplazione esultante del
69
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, l’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Lib. Ed.
Vaticana, 1993, 76.
70
Ringraziamento iniziale particolarmente espresso in 1 Tess, Col, Ef, cfr SCHLIER, H. .Per la vita
cristiana : fede, speranza, carità, (= Il pellicano), Morcelliana, Brescia 1975, 11-19.
74
mistero di Cristo, sono permeati dall’aspirazione supplicante perché si compia in pienezza il mistero
riconosciuto e proclamato.
Queste introduzioni sono generalmente costruite sui due termini di eÚcarist…a-eÚlog…a,
proseuc» che già nel giudaismo di lingua greca traducevano i termini ebraici di berakà e di tefillà.
Nella prima lettera ai Tessalonicesi abbiamo:
«Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente
memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella
carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo» (1Ts 1,2-3).
In modo simile anche 2Ts 1,3.11-12; Gal 1,3-5; Rm 1,8-10; 1Cor 1,4-9; 2Cor 1,3-4; Fil 1,3-6.9-
11.
Particolare attenzione meritano Col 1,3-2,3 ed Ef 1,3-2,10: qui più che mai le istruzioni e le
esortazioni che seguono fanno talmente corpo con il ringraziamento iniziale, che le sue risonanze si
prolungano praticamente sino al termine della lettera. L’esposizione sviluppata del mistero di Cristo
appare come portata dall’onda dell’Eucaristia, che sembra ampliarsi solo per nuovamente concentrarsi
su di Lui.
La teologia di queste lettere cristologiche è fondamentalmente eucaristica, nel senso che non è
altro che una meditazione di ciò che costituisce la materia dell’eucaristia cristiana: procedendo dal
rendimento di grazie, nella preghiera per il compimento in noi del mistero di Cristo (Col 1,27), essa
non tende ad altro che alla dossologia (Col 3,17; Ef 1,6.14;2,7.18;3,21;5,20).
Unico infatti è il creatore ed il redentore, Cristo, nel quale il mondo com’era stato creato
all’inizio, deve ora essere riconciliato con il suo Autore nel sangue della Croce. Questo mistero è
anche quello della sua Chiesa radunata nel suo Corpo crocifisso, per divenire la pienezza del suo corpo
risuscitato71.
I.3 DOSSIER LITURGICO E DOTTRINALE DEI PRIMI TRE SECOLI DELLA CHIESA
Abbiamo già fatto notare che il NT non è un libro liturgico, che informi direttamente sulla
Liturgia, riti e preghiere, in uso nella Chiesa degli apostoli; non è una Mishnà, né un Talmùd.
Per ricercare notizie sulla celebrazione del Memoriale del Signore dobbiamo quindi rivolgerci
alle fonti appropriate: consulteremo la Didakè dei dodici apostoli, la Tradizione apostolica e le
Costituzioni apostoliche; benché non si tratti di libro liturgico, troveremo notizie molto utili nella
lettera di Clemente, nella prima apologia di Giustino.
Le Costituzioni apostoliche sono del 380, cioè al di fuori dei tre primi secoli; ma il cap. VII, che
risulta essere un ampliamento della Didakè, contiene materiale più antico, e vi individuiamo una
Paleoanafora (VII,25,1-5), in uno stadio di sviluppo anteriore alla Anafora della Tradizione apostolica.
71
BOUYER, L., Eucaristia, teologia e spiritualità della preghiera eucaristica, LDC, Leumann-Torino
1983, 115-122.
75
Ci interessiamo dei primi tre secoli, in modo distinto, perché costituiscono il periodo decisivo
per la maturazione dell’anafora e del rito del memoriale secondo la volontà istitutiva e i contenuti
intesi dal Signore Gesù.
Con la fine del IV sec., inizio del V, abbiamo già formate le grandi preghiere eucaristiche (come
quelle di SAN BASILIO MAGNO, il Canone romano), in uso sino ai nostri giorni.
Nei primi tre secoli intendiamo individuare le tappe del formarsi della preghiera eucaristica, la
sua struttura liturgico-teologica fondamentale. Insieme al dossier liturgico, ricostruiremo anche un
sobrio dossier dottrinale dai Padri di questi primi tre secoli.
Questi secoli rivestono un altissimo interesse teologico, perché situiamo in essi il formarsi
anche del Canone della Scrittura ispirata, del Simbolo apostolico; le Scritture ispirate sono
riconosciute tali da una Chiesa che sin dalla Pentecoste celebra l’eucaristia. Preghiera eucaristica,
Scrittura ispirata e Simbolo apostolico si formano nella stessa matrice della Chiesa apostolica, fedele
nel celebrare il Memoriale del Signore, come da Lui ricevuto.
I documenti liturgici che esamineremo portano tutti un forte riferimento apostolico, espresso
anche nel titolo: Didakè dei Dodici Apostoli, Tradizione Apostolica, Costituzioni Apostoliche.
Esprimono la consapevolezza di una Chiesa che fa riferimento costante a Cristo, l’inviato , apostolo
del Padre, il suo messaggero. Missione che continua attraverso i Dodici apostoli e la successione
apostolica, nell’assistenza del dono dello Spirito Santo. 72
Per quanto riguarda l’Eucaristia, abbiamo così la forte coscienza di Chiesa che il Memoriale del
Signore, ricevuto e trasmesso, viene fedelmente celebrato secondo il suo mandato.73
72
Al di là di questa evidenza, riportare la vita della Chiesa, nelle sue dimensioni morali-spirituali,
‹‹
canoniche, liturgiche alla ‹‹fondazione›› apostolica, si può consultare uno studio come il cap.IV : Le
costituzioni ecclesiastiche antiche: un enigma che perdura›› di BRADSHAW, P. F. Alle origini del culto
cristiano, cit., 87-114
73 PAOLO
L’Enciclica di GIOVANNI II, Ecclesia de Eucharistia, dedica l’intero cap. terzo a
‹‹L’apostolicità dell’Eucaristia e della Chiesa ››
76
Giustino descrive (n. 67) la riunione eucaristica domenicale di tutti, dalla città e campagna, in un solo
luogo. Giorno di tale riunione è la Domenica, per il suo significato rispetto a creazione e risurrezione
del Signore. Dopo la comunione si fa ancora menzione di un’ultima raccolta di offerte, che il
presidente distribuisce agli orfani, ammalati e bisognosi.
Benché ormai separata dall’agape, l’eucarestia è rimasta segno di comunione vissuta, di carità.
La … eucaristica congiunge il tema dell’unione al corpo di Cristo con quello dell’unità
della Chiesa; anzi Paolo collega in maniera definitiva corpo eucaristico di Cristo ed il suo corpo
ecclesiale, con un rapporto di causa ed effetto:
«Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo
pane noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1Cor
10,16).
Anche Didakè esprime lo stesso tema del rapporto pane e unità della Chiesa, con la bella
allegoria del frumento sparso sui monti e riunito in un solo pane, ma non presenta espresso il rapporto
causa-effetto tra l’unico pane e l’unità della Chiesa. Si potrebbe anche supporre che Didakè, il testo
ritrovato nel 1875, sia anche anteriore alla prima lettera ai Corinti. Tale convito eucaristico ha
prospettive escatologiche: vedi 1Cor 11,26 ‹‹ Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete
di questo calice, voi annunciate la morte del Signore finchè egli venga››, e il Maranathà di Didakè
10.74
74
Troviamo il Maranathà anche alla conclusione di 1 Cor e l’invocazione ripetuta ‹‹vieni, Signore
Gesù›› in Ap 20,17.20.
77
particolari uffici liturgici; ai sacerdoti è stato assegnato un posto speciale ed ai leviti incombono
particolari servizi; il laico è tenuto ai precetti dei laici.” 75
Per noi è di grande importanza la conclusione di questo brano:
“Ciascuno di noi, o fratelli, nel proprio posto, renda grazie a Dio, con retta coscienza e
gravità, senza trasgredire la regola stabilita per il suo ufficio”76
Commenta L. Bouyer :”In altre parole, per Clemente, l’opera per eccellenza della Chiesa
riunita è la preghiera eucaristica, alla quale tutti partecipano, ma ciascuno al suo posto e secondo la
funzione sua propria”.77
È ben noto come Ignazio di Antiochia dia un inscindibile rilievo all’unità del Vescovo e
dell’Eucaristia (ai Filadelfesi 4); Giustino parla di un presidente (Apol. 1,65 e 67). Anche nei testi
liturgici che consideriamo, Eucaristia ed Episcopato sono strettamente connessi: così Didakè dopo
aver parlato di Eucaristia domenicale nel cap. 14, inizia il 15 dicendo: « A questo scopo eleggetevi
Vescovi e Diaconi degni del Signore: siano uomini mansueti, disinteressati, veritieri e sicuri: essi
compiano tra voi l’ufficio dei profeti e dei maestri».78
In perfetta sintonia con questa disposizione, la più antica anafora completa che possediamo,
quella di Ippolito, è riportata nel contesto di una consacrazione episcopale: essa viene proposta al
vescovo neoconsacrato. Anche la prima liturgia completa di una Messa domenicale, quella riportata
nel cap. 8 delle Costituzioni apostoliche, è riportata nel contesto della consacrazione del Vescovo:
anche qui l’anafora, completissima, bella, prolissa, viene suggerita al neoconsacrato. Anche
sull’Eucologio di Serapione si possono fare simili considerazioni.
Come si riconoscono esigenze particolari di ordinazioni e di vita per chi presiede e qualifica,
diremo ora in nome e in persona di Cristo 79, l’assemblea eucaristica, così la piena partecipazione alla
sinassi eucaristica è concessa solo ai santi, cioè ai battezzati, che vivono in modo conforme al
Vangelo, non penitenti. Così in tutti i testi liturgici considerati: Didakè, Giustino, Ippolito,
Costituzioni apostoliche, si tratta prima del Battesimo e poi dell’Eucaristia; anzi Giustino in Apol.
1,65-67 descrive l’iniziazione cristiana dal Battesimo all’Eucaristia.
75
CLEMENT DE ROME, Epitre au Corinthiens, par JAUBERT, A.,(= Sources chrétiennes, n 167),
Paris 1971, 167, n 40; traduzione italiana in BOUYER, L. , Spiritualità dei Padri, (= Storia della spiritualità
cristiana), EDB 1966, 24.
76
Ibidem, 25
77
Ibidem, 25
78
Cfr CATTANEO, E., (a cura di), I ministeri nella Chiesa antica, testi patristici dei primi tre secoli,
Milano 1997
79
Cfr. Eccelsa de Eucaristia, cit, ove al n.29 Giovanni Paolo II insegna :”L’espressione, ripetutamente
usata dal Concilio Vaticano II, secondo cui ‹‹il sacerdote ministeriale compie il Sacrificio eucaristico in è
persona di Cristo›› (LG ,10 e 28; PO 2), era già ben radicata nell’insegnamento pontificio. Come ho avuto modo
di chiarire in altra occasione, in persona Christi ‹‹ vuol dire di più che –a nome -, oppure –nelle veci- di Cristo.
In Persona : cioè nella specifica, sacramentale identificazione col sommo ed eterno Sacerdote, che è l’autore ed il
principale soggetto di questo suo proprio sacrificio, nel quale in verità non può essere sostituito da nessuno››
78
Ricordiamo infine la monizione prima della comunione: «Chi è santo si avvicini, chi non lo è si
converta» (Didakè 10). Le liturgie dell’oriente lo esprimono con il rito dei Sancta sanctis, che precede
immediatamente la comunione80. La liturgia etiopica aggiunge inoltre un avviso ai peccatori di non
presentarsi.
Pertanto la sinassi non è un qualsiasi stare insieme, amichevole: richiede una previa unità nella
fede e santità, per l’iniziazione battesimale al Mistero di Cristo; il tutto autenticato dalla presidenza in
nome di Cristo del Ministro ordinato.
80
Cfr PAPROCKI, H., Le Mystère de l’Eucharistie Genese et interprétation de la liturgie
eucharistique byzantine, Cerf, Paris 1993, 441; su questo argomento tutto il n 36 dell’Eccl. de Euch.
79
5.Nessuno mangi o beva della vostra eucaristia se non solo i battezzati nel nome del Signore,
poiché egli ha detto: ‹‹ Non date le cose sacre ai cani››
81
La Doctrine des Douze Apotres (Didachè), par RODORF, W.- TUILIER, A. (=Sources Chrétiennes n
248) Cerf, Paris 1978, 175-182. Cfr MAZZA, E., L’Anafora eucaristica, studi sulle origini (= BEL ‹‹Subsidia››
62) CLV Roma, 20-50; BOUYER, L. , Eucaristia, cit. 124-128.
80
benedizioni-ringraziamento è scandita , a differenza della berakòt giudaiche da un più incisivo ed
evangelico : ‹‹A Te sia gloria nei secoli››.
Può fare difficoltà che non si parli in modo esplicito dell’istituzione dell’ultima cena, come
troveremo poi sempre nelle anafore eucaristiche, già nel terzo secolo. Ma si dà un chiaro riferimento
che «abbiamo un cibo e bevanda spirituale e della vita eterna per opera di Gesù il servo tuo» (cap.
10). Un ‹‹embolismo implicito››, secondo gli studi di C. GIRAUDO sulla struttura letteraria della
Todà.
Abbiamo già fatto notare come la benedizione sopra il primo calice non sia quella
consacratoria del Sangue del Signore : si può accostare al primo calice di Lc 22,17, il calice
escatologico; il calice del Sangue del Signore è quello del ringraziamento , in Didakè 10.
In Didakè 9 abbiamo il ringraziamento sopra il pane spezzato, in cui possiamo riconoscere la
consacrazione del Corpo dato del Signore.
Sia nel cap. 9 che nel cap. 10, troviamo somiglianze giovannee: il rivolgersi al Padre Santo (Gv
17,11), lo svelamento per opera di Gesù Cristo, della conoscenza del nome santo del Padre, fatto
abitare nei cuori; così per la sapienza, la fede e l’immortalità, la vita, a noi svelata da Gesù Cristo,
servo di Dio., la glorificazione del Padre(cfr Gv 14-17).
In tutto questo si dà la piena realizzazione storica della «santa vite di Davide tuo servo, che ci
hai fatto svelare da Gesù Cristo tuo servo», che costituisce il motivo del ringraziamento introduttivo.
Si percepisce la prospettiva giudaica, che vede Gesù come compimento di Israele. Ma è molto bella la
consapevolezza universale del dono ricevuto, espressa nella allegoria del frumento sparso sui monti
che diventa un pane solo, segno della Chiesa raccolta dai confini della terra. (9,4;10,5).
Con il Concilio di Gerusalenune del 49 la Chiesa acquista piena consapevolezza che Gesù
Cristo è sì il pieno compimento delle promesse ad Israele, ma secondo la sua identità di Figlio, Verbo,
immagine di Dio incarnata; di qui la sua signoria universale, per creazione e redenzione, un annuncio e
conformità di vita che fa a meno delle costumanze giudaiche.
La paleoanafora82 di Costituzioni apostoliche VII,25,1-5 riflette questo stadio di maturazione
della vita della Chiesa. Si può notare qualche somiglianza con Didakè 9, ma il tutto è rifuso in una più
matura cristologia.
82
Con paleoanafore indichiamo genericamente le anafore che non presentano quella struttura matura
.come nella preghiera eucaristica della Tradizione apostolica di Ippolito.
81
tu l’hai risuscitato e l’hai glorificato, l’hai fatto sedere alla tua destra,
per lui ancora tu ci hai promesso la risurrezione dei morti.
25,3: Signore onnipotente, Dio eterno,
come questo era sparso, poi è stato riunito per divenire un solo pane,
nello stesso modo riunisci la tua Chiesa dalle estremità della terra, nel tuo regno.
25,4: Noi ti rendiamo ancora grazie, Padre nostro, per il prezioso sangue di Gesù Cristo sparso
per noi
e per il prezioso corpo, di cui noi offriamo questi simboli,
avendoci lui stesso prescritto di annunciare la sua morte;
per lui a te la gloria nei secoli. Amen. 83
I riti sul pane e sul vino sono accostati, come danno già testimonianza Matteo e Marco; per cui
si dà un unico ringraziamento, al Padre per la vita che ci ha rivelato per Gesù Cristo, ancora indicato
come servo di Dio, ma già confessato come partecipante alla creazione ed inviato a farsi uomo per la
redenzione e risurrezione dai morti.
Non si dà ancora racconto di istituzione, ma si ricorda il precetto, ispirato a Paolo, di annunciare
la sua morte.
Si riconosce la presenza, e si ringrazia, per il prezioso sangue e corpo (una anamnesi in senso
forte?); a questo riconoscimento e ringraziamento si collega l’offerta sacrificale. Notare questo
secondo ringraziare : nel primo si ringrazia il Padre per tutta l’opera di creazione e salvezza, tutta
rivelata e realizzata per Gesù Cristo; ma ora nella celebrazione prescritta dal Signore questi eventi
salvifici sono presenti nel ‹‹nel prezioso sangue di Gesù sparso per noi, nel prezioso corpo››, nella loro
offerta sacrificale, è quindi necessario un secondo ringraziamento.
Si può anche notare un germe di epiclesi, ove si prega: «riunisci la tua Chiesa dalle estremità
della terra, nel tuo regno», a somiglianza del frumento sparso sui monti, divenuto un solo pane.
Questa Paleoanafora di Costituzioni apostoliche VII, 25,2-5, si può considerare una
trasformazione di Didakè 9 : in questa più intensa ‹‹cristologizzazione›› della preghiera giudaica, si
accostano i riti eucaristici sul pane e sul vino, in una sola eucaristia, senza la frammentazione in
molteplici berakòt, per l’intercalare .‹‹A Te sia gloria nei secoli Amen››; ora il ringraziamento al
Padre è tutto cristologicamente motivato, sino all’estremo del ‹‹suo prezioso sangue e corpo››
eucaristici, in una preghiera anaforica, che presenta un’unica conclusione dossologica: ‹‹per lui a te la
gloria nei secoli. Amen››.84
83
Les Constitutions apostoliques, par METZGER, M. T.III, livres VII et VIII, (=Sources Chrétiennes n.
336), Paris 1987, 52-53.Cfr MAZZA, E., cit, 51-69.: BOUYER, L. , cit, 128-144
84
Possiamo fare altre osservazioni comparative, notando lo sviluppo della preghiera eucaristica, da
Didakè a Costituzioni 25,1-5; Didakè 10, Birkàt-ha-mazòn cristianizzata, si può individuare in Costituzioni
apostoliche VII, 26,1-6 : ma è divenuta una preghiera di ringraziamento dopo la comunione . Lo ricaviamo da
più indizi: Didakè 10,1 inizia dicendo. Dopo esservi saziati (in greco emplestènai), cioè dopo avere mangiato
nella commensalità dell’agape, i due riti eucaristici sul pane e sul pane e vino sono ancora separati, come nella
82
Ricordiamo anche l’Anafora delle Chiese caldee, che porta il nome degli ‹‹Apostoli Addai e
Mari››, con ogni probabilità la più antica preghiera eucaristica giunta a noi, ancora in uso ai nostri
giorni. E’ celebre presso i liturgisti perché ci è pervenuta senza un esplicito racconto istituzionale; un
recente documento del PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITA’ DEI
CRISTIANI, ne riconosce la validità.85
Ciò che è ancora in germe nella Paleoanafora di Costituzioni apostoliche VII,25,2-5, appare con
evidenza, anche se in forma molto sobria, nell’anafora della Tradizione apostolica di Ippolito.86
Questo libro liturgico presenta segni evidenti di liturgia romana, come le due unzioni
nell’amministrare il Sacramento del Battesimo (n. 21); la sua anafora si può ritenere abbia esercitato
un influsso amplissimo: l’anafora del cap. 8 delle Costituzioni apostoliche, che sviluppa, in modo
molto ampio, prolisso, la struttura di Ippolito, con l’aggiunta del Sanctus. Troviamo questa stessa
struttura anche nelle anafore di Bisanzio, per la loro dipendenza dalle antiochene.
Come nella Paleonafora, anche nella Tradizione apostolica si dà un solo ringraziamento a Dio
Padre, per tutta l’economia della salvezza, in cui è sempre attivo «il tuo diletto servo Gesù Cristo»,
confessato come Verbo e Figlio del Padre. E’ bene riportare il testo : un vera anafora, che nella sua
sobrietà ci permette di individuare quelli che sono gli elementi strutturali- teologici di tutte le
anafore.
Il Signore sia con voi e con il tuo Spirito
In alto i cuori li abbiamo verso il Signore
Cena del Signore.
Notiamo invece come Cost. Ap.VII, 26 ,1 inizi con un : metà ten metalespin, che nel linguaggio
eucaristico indica la comunione sacramentale; la preghiera eucaristica è tutta in Cost. Ap. VII,25,1-4;
25,5-6 danno norme per la comunione: 5. Ne mangino solo i battezzati nella morte del Signore. 6. I
non iniziati ne mangiano a loro condanna, non avendo fede in Cristo. Se qualcuno la fa per ignoranza,
sia iniziato. La Birkat ha-mazon cirtianizzata di Cost. Ap.VII,26,1-6, risulta così essere una preghiera
di ringraziamento per l’Eucaristia celebrata secondo la Paleoanafore di Cost. Ap. VII,25,1-4
Anche la denominazione del Presidente è più tecnica : Didakè 10 termina dicendo :” Lasciate che i
profeti rendano grazie a loro gradimento” che diviene in Cost. Ap.VII,26,6 :”affidate ai vostri Presbiteri di
rendere grazie”. Cfr Les Constitutions apostoliques, III, cit,54-57.
85
Orientamenti per l’ammissione all’Eucaristia fra la Chiesa Calda e la Chiesa Assira dell’oriente, da
‹‹l’Osservatore romano››, 26 /10/ 2001; Una traduzione italiana del Documento con numerosi studi in Divinitas,
XLVII, nuova serie, numero speciale 2004, a cura di B. Gherardini. Vedi anche l’analisi del Testo in GIRAUDO,
C., In unum Corpus cit, 352-360. MAZZA, E., nello stesso fascicolo di Divinitas, Le récent accord entre
l’Eglise chaldéenne et l’Eglise assyrienne d’orient sur l’Eucharistie, 124-137, nota a pag. 131 :” le document du
Saint- Siège peut donc conclure que l’affirmation de la sacramentalité de l’Eucharistie et la présence du récit de
l’institution sont suffisantes pur affirmer la validité de l’Eucharistie célébrée avec l’anaphore d’Addai e Mari.
[…] récit de l’istitution est présent non d’un manier compacte et littérale, mais d’une maniere eucologique”. Il
che significa essere come immerso nella preghiera, secondo la sua logica e genere letterario.
86
Non ci interessa dirimere l’intressante questione della figura storica di Ippolito: cfr BOUYER, L.
l’Eucaristia, cit. ,166-176
83
Rendiamo grazie al Signore è degno e giusto.
Cristo è il messaggero, inviato dal Padre, incarnato per opera dello Spirito Santo nel seno della
Vergine.
L’incarnazione si sviluppa nella passione redentrice, per compiere la volontà del Padre e
liberare l’uomo. Nel contesto della passione, evento di redenzione, descritta con molteplicità di
situazioni, si inserisce il racconto dell’istituzione dell’eucaristia. 88
Il memoriale della passione, così celebrato con piena consapevolezza, porta con sé l’anamnesi
in senso forte, e quindi l’offerimus, l’offerta del sacrificio, nei segni del pane e del vino. Segue
l’epiclesi, invocazione dello Spirito sull’offerta della Chiesa, per i seguenti effetti: l’unità della Chiesa
in un solo corpo, la conferma della fede nella verità, dei partecipanti ai santi misteri, la lode e
glorificazione del Padre e della Trinità.
Narrazione dell’Istituzione, anamnesi, offerta sacrificale ed epiclesi diventeranno una struttura,
variamente sviluppata, ma sempre presente nelle anafore mature. L’epiclesi presenterà con più
evidenza una domanda per la trasformazione dei doni nel corpo e sangue del Signore (Costituzioni
apostoliche VIII,39 domanda l’invio dello Spirito Santo per la manifestazione del corpo e del sangue
di Cristo); una seconda domanda sarà la trasformazione, per opera dello Spirito Santo, dei
comunicandi al corpo e sangue di Cristo.
La liturgia romana pone l’epiclesi che chiede la trasformazione dei doni (transustanziazione) nel
corpo e sangue del Signore prima della narrazione dell’Istituzione con le parole dichiarative: «questo è
il mio corpo, questo è il calice del mio sangue...»; una seconda epiclesi segue l’anamnesi e l’offerta
sacrificale, invocando lo Spirito Santo per l’unità nella carità della Chiesa, per la trasformazione dei
comunicandi.
Anche le anafore secondo il tipo di Alessandria di Egitto, presentano una duplice epiclesi;
l’orazione epiclettica, situata dopo il Sanctus e prima della narrazione dell’Istituzione, invoca lo
Spirito Santo affinché riempia i doni. Il frammento Der-Balyzeh chiede espressamente che lo Spirito
Santo operi la trasformazione del pane e del vino nel corpo e sangue del Signore. Dopo l’esposizione
87
HIPPOLYTE DE ROME , La Tradition apostolique, par BOTTE, B.,(= Sources Chrétienne, n 11
bis), Cerf, Paris 1968, 47-53.; traduzione di GIRAUDO, C., In unum Corpus, cit, 282s.
88
MAZZA, E., l’anafora eucaristica, studi sulle origini, cit, 111-165 dimostra, in modo convincente,
come il testo di Ippolito accolga espressioni che ritroviamo nelle omelie pasquali, rapporti anche con Ireneo di
Lione; esamina quindi, 166-194, la struttura dell’anafora in relazione a Didakè e Birkat ha-mazòn.
85
della dottrina, la lex credendi, saremo in grado di ritornare sulle relazioni tra racconto dell’istituzione,
con le parole dichiarative, consacranti, e l’efficacia dell’epiclesi.
89
Testo greco con traduzione latina dei testi eucaristici di Giustino in : A. HÄNGGI-PAHL, I., Prex
eucharistica, cit., 68-74
90
Cfr ALTHANER, B., Patrologia, Marietti ,Casale Monferrato 1968, 71s
86
Tra i due resoconti, Giustino nel n. 66 ci offre spiegazioni sulla natura del cibo così
eucaristicizzato, corpo e sangue del Signore, anzi sulla causa della conversione.
I.3.2.1.2 Dottrina sulla natura del pane e vino eucaristicizzati, come si realizza nella
celebrazione:
Eucaristia non solo indica il modo nuovo di benedire-ringraziare il Padre, secondo il modello e
i contenuti consegnateci dal Figlio, Gesù Cristo nostro Salvatore, ma viene a connotare anche il frutto
della preghiera e celebrazione eucaristica: Eucaristia, cioè pane e vino eucaristicizzati, carne e sangue
di Gesù.
Esponendo questa dottrina ad un pagano, come è l’Imperatore cui si rivolge, Giustino segue un
modo di procedere graduale:
-- anzitutto afferma: «Noi prendiamo questo cibo non come pane comune o bevanda comune»;
-- indica poi come si realizza tale cibo eucaristico, con una efficacia simile a quello della Parola,
il Verbo che si incarna: «...come Gesù Cristo nostro Salvatore, incarnatosi in virtù del Verbo prese
carne e sangue per la nostra salvezza, così anche questo alimento eucaristicizzato per la preghiera
secondo la Parola, quella che viene da Lui, di cui si nutrono, assimilandolo, la nostra carne ed il
nostro sangue, secondo quanto ci è stato insegnato, è carne e sangue di Gesù incarnato».66,1).
Questa preghiera, ispirata secondo il modello della Parola con cui Cristo nell’ultima cena ha
reso grazie al Padre, consacra, nella terminologia di Giustino, eucaristicizza il pane e vino nella carne
e sangue di Cristo.
Giustino nota la profonda somiglianza tra l’efficacia del Verbo filiale, la Parola che si incarna in
Gesù di Nazareth, e la Parola della preghiera di ringraziamento, che viene da Cristo, pronunziata dal
presidente, che converte il cibo così eucaristicizzato nella carne e sangue di Cristo.
Convalida poi le sue affermazioni riportando la narrazione dell’istituzione dell’ultima cena.
Troviamo così la spiegazione teologica del costituirsi della Preghiera eucaristica: dalla Didachè,
attraverso le paleoanafore (abbiamo visto quella riportata da Costituzioni Apostoliche VII,25), sino
all’anafora strutturalmente completa (manca il Sanctus) della Tradizione apostolica di Ippolito
romano.
Ciò che la Chiesa, attraverso il presidente della celebrazione, in obbedienza al mandato e al
modello istituito da Cristo ha progressivamente sviluppato, è stato un modo di ringraziare il Padre
riguardo il pane ed il vino, che riproduce fedelmente la parola di ringraziamento di Gesù.
Questo modo cristiano di rendere grazie si è sempre più distaccato dalla sua matrice giudaica:
ha cristologizzato la creazione, avvenuta per Cristo, quello stesso Cristo Gesù incarnato, morto e
risorto, unitamente al quale si ringrazia il Padre di questa completa economia salvifica.
Questa completa economia salvifica, ha il suo vertice nella Pasqua del Salvatore, il suo “segno
profetico vigiliare”, datoci come suo Memoriale: la sua narrazione, secondo il racconto evangelico,
viene ora espressamente inserita nell’anafora, che ha da sempre “normato” nei gesti e nella preghiera.
Trattandosi, sino alla Tradizione apostolica inclusa, non di formule da recitare, ma di uno
schema, modellato sull’esempio di Gesù, cui fedelmente attenersi, si può pensare che la narrazione
87
stessa dell’Istituzione fosse già inclusa nel modo di rendere grazie secondo la parola normativa di
Cristo. Ricordiamo la validità riconosciuta dell’anafora ancora in uso nella Chiesa assiro-caldea, degli
Apostoli Addai e Mari, che non riporta in modo esplicito la narrazione dell’istituzione del Memoriale,
le parole consacratorie91 .
Giustino, nel Dialogo con Trifone (n 117), afferma espressamente la natura di Sacrificio
dell’Eucaristia92; lo vedremo ora, percorrendo il dossier dottrinale, con documentazione anche
precedente a quella di Giustino, come le Lettere di Ignazio di Antiochia, martire a Roma circa il 110.
I.3.2.2 La dottrina dei Padri nel II – III secolo (vedi testi : Appendice VI.6.2-5)
Non dobbiamo attenderci dai Padri del III secolo che ora esaminiamo una trattazione
sistematica; si tratta piuttosto di affermazioni occasionali, ma sviluppate nel contesto delle realtà di
fede decisive e qualificanti la vita della Chiesa: proprio questa occasionalità dimostra ancora una volta
la centralità unica dei misteri eucaristici per la Professione di fede e l’esistenza cristiana che ne deriva.
Queste “occasioni” si possono ridurre a tre:
° l’identità di Cristo, Figlio veramente incarnato, nella crisi dello Gnosticismo, prodromi di
Docetismo: la fede nella realtà del corpo e sangue eucaristici è così solida, da tutti accettata, che si può
compiere il passaggio dalla verità della carne e sangue eucaristici alla Verità e identità del Verbo
incarnato;
° l’unità della Chiesa, che trova la sua sorgente qualificante nell’Eucaristia e nella relazione
particolare (ora diremo sacramentale) del Vescovo celebrante, del suo Collegio presbiterale, con Cristo
e il Padre;
° la qualità della vita Cristiana, la sua perfezione nel discepolo-martire. 93
Percorriamo il dossier dottrinale considerando tre aspetti:
= l’Eucaristia come cibo spirituale, corpo e sangue del Signore;
= le dimensioni “tipologiche” secondo il Tipo Cristo, del Vescovo celebrante;
= l’Eucaristia come Sacrificio.94
101
MAZZA, E., La celebrazione eucaristica. Genesi del rito e sviluppo dell’interpretazione, ed. San
Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1996, 132.
102
ORIGENE, Homelies sur l’Exode, traduction de B. Fortier, introduction et notes de H. de Lubac,
(=Sources chretiennes 16), Cerf, Paris 1947, 263.
103
Per la discussione sul significato in Ireneo di Lione‹‹elemento terreno e celeste››, si può vedere
MAZZA, E., La celebrazione eucaristica, cit, 138-141.
91
I.3.2.2.2 Le dimensioni “tipologiche” (sacramentali), secondo il tipo di Cristo, del
Vescovo celebrante
In Ignazio di Antiochia la presidenza del Vescovo è il primo requisito per definire l’autenticità
dell’Eucaristia, corpo e sangue del Signore:
Smirnesi 8,1: «Sia considerata vera (bšbaia) solo quell’eucaristia che si fa sotto il Vescovo,
o di colui che egli avrà incaricato».
Magnesi 4: «[Separatamente dal Vescovo] costoro si radunano in assemblea in modo non
vero (m¾ bšbaioj)».
Affiora la concezione ignaziana dell’Eucaristia e della Chiesa, che esiste solo intorno al
Vescovo e agli altri ministri. Il Vescovo presidente dell’Eucaristia non solo la celebra secondo il
modello del Signore Gesù nell’ultima cena, sia nella Preghiera di ringraziamento che nei gesti
costitutivi, ma inoltre prega ed agisce «al posto di Dio», essendo il «tipo di Dio».
Magnesi 6: «...sforzatevi di compiere tutto in quella concordia che Dio vuole, sotto la
direzione del Vescovo che tiene il luogo di Dio, e dei presbiteri in luogo del collegio apostolico, e dei
diaconi miei dolcissimi, ai quali è affidato il servizio di Gesù Cristo».
Tralliani 3: «Ma voi tutti dovete rispettare i diaconi come lo stesso Gesù Cristo, ed il
Vescovo come l’immagine (tipo) del Padre, e i presbiteri come il senato di Dio e come il collegio
apostolico: senza di loro non c’è Chiesa».
Le espressioni “tipo di Dio”, “in luogo di Dio”, “come il collegio apostolico” si comprendono
meglio quando Ignazio parla di un Vescovo «carnale» in relazione ad un Vescovo ‹‹spirituale›› della
comunità, che è Dio stesso oppure il Cristo. Scrivendo agli Efesini 1:
«E così, in nome di Dio, ho potuto ricevere tutti voi nella persona di Onesimo vostro Vescovo
nella carne, uomo di una carità grande, indicibile».
DIO è il Vescovo reale, di cui Ignazio sa di esserne solo il tipo, l’immagine terrena; così può
dire scrivendo a Policarpo 9, nella previsione del suo prossimo martirio: «…la Chiesa di Siria, che in
vece mia avrà Dio per pastore. Solo Gesù Cristo le sarà vescovo e la vostra carità ». Lo stesso si può
dire dello stesso Policarpo, così salutato all’inizio della lettera: «Ignazio, detto anche Teoforo, a
Policarpo, vescovo della Chiesa di Smirne, o meglio che ha per Vescovo Dio Padre e il Signore
nostro Gesù Cristo».
Ascoltiamo il commento di E. Mazza: «Per Ignazio, dunque, la realtà della Chiesa è costituita
da due livelli, uno carnale, visibile, ed uno spirituale, che è invisibile: è questo il luogo della vera
realtà delle cose, tuttavia c’è una vera corrispondenza tra i due livelli, retto dal vocabolario della
tipologia: t…poj e anche tij t…pon (tipo-figura, in luogo di...). Questa corrispondenza è reale, per cui
al Vescovo invisibile corrisponde un Vescovo visibile che esercita veramente l’episcopato in modo
corrispondente all’episcopato di Dio, cosicché se si disobbedisce o se ci si separa dal Vescovo, si
disobbedisce o ci si separa da Dio. Questa corrispondenza non è altro che la sacramentalità
dell’Episcopato»104.
104
MAZZA, E.,La celebrazione eucaristica, cit 123
92
L’esigenza di una Eucarestia sicura, corpo e sangue di Cristo, cuore plasmante l’unità della
Chiesa e la sua qualità di vita nella fede-carità, esige un rapporto di qualità, diremo ora sacramentale,
tra il Presidente della celebrazione eucaristica e Gesù Cristo ed il Padre; non solo ringraziare secondo
le parole del Signore Gesù riproducendo i gesti sul pane e sul vino dell’ultima cena, ma essere abilitato
consacrato per questo.
Così Ippolito romano, ci fornisce la prima completa anafora nel contesto di una ordinazione;
essa viene suggerita al neo consacrato (nn. 3-4); lo stesso notiamo nelle Costituzioni Apostoliche VIII:
dopo la preghiera di Ordinazione del Vescovo, VIII,5, l’ordinato presiede una celebrazione eucaristica,
di cui si riportano rubriche e preghiere, saluti, ammonizioni, una anafora molto prolissa.
Simile modo di procedere nell’Eucologio di Serapione ,, vescovo di Thmuis, IV sec.105
La perfetta corrispondenza tra il modo di ringraziare del Vescovo nella celebrazione
dell’Eucarestia rispetto ai modello di preghiera e di celebrazione di Gesù nell’ultima cena, l’identità
del loro frutto, corpo e sangue del Signore, richiede una analoga corrispondenza, realizzata per
Ordinazione, tra il Vescovo presidente e il Vescovo celeste, Gesù ed il Padre.
Il neovescovo è abilitato all’offerta (Tradizione apostolica, 4); o come si esprime CIPRIANO,,
lettera 63 a Cecilio, 14: «Infatti se Gesù Cristo, Signore e Dio nostro, è sommo sacerdote di Dio
Padre e ha offerto per primo se stesso in sacrificio al Padre e comandò di ripetere tale offerta in suo
ricordo, certamente fa le veci di Cristo quel sacerdote che ripete ciò che Cristo ha fatto; egli offre
nella Chiesa a Dio Padre un sacrificio vero e pieno soltanto quanto lo offre seguendo la modalità di
Cristo».
105
HYPPOLYTE de ROME, La Tradition apostolique, par BOTTE, B., (Sources Chrétiennes nn 3-4),
Paris 1968, 42-53; METZGER, M., par, Les Constitution apostoliques, T.III, livres VII et VIII, (Sources
Chrétiennes n. 336), Paris 1987, 141-215. FUNK, F. X. , ed., Didascalia et Constitutiones apostolorum, 1-2,
Paderbonae 1905: La preghiera di oblazione del Vescovo Serapione, pag. 172-176; PE pag 128-133.
93
La celebrazione non si limita ad esprimere un semplice banchetto di fratellanza, ma costituisce
un vero e proprio sacrificio; un aspetto caratteristico, proprio, perché la commensalità giudaica, anche
se circondata di Berakot, benedizioni, non era ritenuta un sacrificio.
La koinon…a fraterna cristiana ha la condizione preliminare del Sacrificio: non solo essere
insieme, ma essere insieme per la presenza del Crocifisso glorioso, via vivente al Padre nel suo corpo
dato e sangue versato, che ci offre e cui partecipiamo.
È la sua Pasqua resa presente ed operante nel memoriale celebrato che ci introduce alla
comunione filiale e fraterna, alla piena realizzazione del suo Regno.
Così, anteriormente ad ogni riflessione teologica, l’Eucarestia è definita sacrificio:
nella Didachè 14: “Il giorno del Signore, riunitevi; spezzate il pane e rendete grazie: però dopo
avere confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro: chiunque ha qualche dissenso
con il suo vicino, non si unisca a voi, prima che essi non si siano riconciliati, altrimenti il vostro
sacrificio sarebbe profanato. Infatti di questo sacrificio il Signore ha detto: ‹‹In ogni luogo e in ogni
tempo mi viene offerto un sacrificio puro, perché io sono un grande re - dice il Signore - ed il mio
nome è ammirabile tra le genti» (Mal. 1,11).”.
GIUSTINO, nel dialogo con i Pagani (Apologia I,13), difende i Cristiani dall’accusa di
ateismo, in quanto non hanno sacrifici, ma soltanto riunioni di preghiera e carità fraterna:
«Nessuna persona assennata potrà sostenere che noi siamo atei, dal momento che adoriamo il
Creatore dell’universo e affermiamo, come ci è stato insegnato, che egli non ha bisogno di sacrifici
cruenti, né di libagioni, né di incensi: noi invece lo onoriamo offrendogli come possiamo preghiere di
lode e ringraziamento per quanto ci dona...».
Di questo modo di ringraziare Dio Padre, per Cristo, nello Spirito, tratterà Giustino a
conclusione dell’Apologia, nei nn. 56-67, come già sappiamo: l’Eucarestia, il sacrificio dei cristiani,
sempre sorgente e unito ad atti di carità.
Invece nel Dialogo con Trifone l’ebreo,(n. 41,1-3; n. 117,1-3;), può parlare dei sacrifici in un
contesto di tradizioni religiose conosciute: parla così del superamento dei sacrifici della legge. Ora
sono graditi a Dio i Sacrifici fatti nel nome di Cristo; che lui ci ha trasmesso di fare, ossia di celebrare
l’Eucarestia che nel suo contenuto profondo è sacrificio. L’Eucarestia è l’adempimento della profezia
di Malachia 1,11.
Trattandosi di un Giudeo può avvalersi anche del tema del memoriale biblico: «Anche l’offerta
di fiore di farina amici, - continuavo - che è stato tramandato di presentare per coloro che sono stati
purificati dalla lebbra, era figura del pane dell’eucarestia, che il Signore nostro Gesù Cristo ci ha
trasmesso di fare in memoria della passione che ha subito per purificare nell’anima gli uomini da
ogni nequizia, e affinché rendiamo grazie a Dio per avere creato per l’uomo, il mondo e tutto ciò che
contiene, per averci liberati dal male in cui ci trovavamo e per avere definitivamente distrutto
principati e potenze per mezzo di Colui che ha patito in conformità al suo volere» (n. 41,1). 106
106
PE, 73s
94
Il tema dell’Eucarestia sacrificio ritorna anche in Ireneo Contro le eresie. In IV,17,1-4, mostra
come già l’antica legge indicava il sacrificio gradito a Dio: lode, ringraziamento, misericordia, carità
al bisognoso, obbedienza.
La differenza è che il sacrificio eucaristico della Chiesa viene ora offerto da uomini liberi al Dio
senza bisogno, per mezzo del Verbo incarnato: IV,17,5-18,6.
Se Dio non ha bisogno dei nostri sacrifici, li gradisce e richiede come dono all’uomo bisognoso.
«Chi ha pietà del prossimo fa un prestito a Dio» (Prv 19,17). «Venite benedetti dal Padre mio perché
ho avuto fame e mi avete dato da mangiare» (Mt 25,34-36).
Anche Ireneo conosce il tema del memoriale, quando dice che Cristo, nell’ultima cena «insegnò
l’offerta del nuovo testamento, che la Chiesa, ricevutala dagli Apostoli, offre a Dio in tutto il mondo»
(IV,17,5). Tutta la riflessione sul corpo e sangue di Cristo già considerata, si muove sempre nella
prospettiva di un memoriale fedelmente celebrato.
Così pure CIPRIANO, nella lettera 63,17: «Poiché in tutti i Sacrifici noi facciamo la memoria
della Passione del Signore - è infatti la Passione del Signore il sacrificio che noi offriamo - noi non
possiamo fare diversamente da come Lui ha fatto».
Espressione liturgica.
Nella Didachè 9-10, negli schemi celebrativi di Giustino, Apol. I,65-67, la dimensione
sacrificale dell’Eucarestia è inclusa nella convinzione espressa di celebrare il memoriale della Pasqua
del Signore, nella sua novità , rispetto all’antica alleanza, di farci compiere l’esodo definitivo sino al
Padre; ma sarà molto presto indicata con terminologia chiaramente sacrificale.
Si tratta di quel ritornare di categorie sacrificali che, dopo il silenzio dei Sinottici, vedremo nella
terza parte presentarsi nuovamente in Giovanni, Ebrei, Lettere; inoltre è necessario introdurre i
cristiani di provenienza pagana agli aspetti sacrificali del memoriale pasquale.
Già nella paleoanafora di Costituzioni apostoliche VII,25,4 appare un «offriamo» in relazione
all’espressione «avendoci Lui stesso prescritto di annunciare la sua morte», che manifesta la
consapevolezza di una celebrazione memoriale: un abbozzo dell’Anamnesi in senso forte che sempre
seguirà nelle Anafore il racconto dell’Istituzione, e che sarà sempre accompagnato dall’offerta del
sacrificio.
Così nella prima anafora con struttura completa (manca il Sanctus) da noi conosciuta, quella
della Tradizione apostolica di Ippolito romano (n. 4) leggiamo: «Celebrando dunque il memoriale
della sua morte e risurrezione, noi ti offriamo il pane ed il calice, rendendoti grazie perché ci hai resi
degni di stare davanti a te di servirti».
La dimensione sacrificale di questa anafora viene come rinforzata ricordando il suo stretto
legame con la consacrazione del Vescovo, con cui forma una sola sequenza rituale.
Dopo la preghiera di consacrazione, per invocare sul neovescovo: «lo Spirito del primato
sacerdotale per offrire a Dio i doni della santa Chiesa in odore di soavità per mezzo del suo servo
Gesù Cristo» (n. 3), il testo continua: «I Diaconi gli presentino l’offerta, ed egli, imponendo le mani
95
su di essa insieme a tutti i sacerdoti, renda grazie dicendo», e qui segue la nota Anafora, con il
Memores... offerimus.
Con questa unità di sequenza rituale che va dalla preghiera di consacrazione alla preghiera
eucaristica, appare chiara nella celebrazione la natura sacrificale del memoriale eucaristico, già
chiaramente indicata dalla Lettera 63 di Cipriano, ai nn. 14-17.
In questo modo l’offerta della Chiesa è indicata come il memoriale effettivo della Passione-
morte-risurrezione di Cristo, in cui offriamo il suo corpo dato ed il suo sangue versato, secondo quanto
fece il Signore Gesù alla vigilia della sua Pasqua.
«La passione del Signore è infatti il sacrificio che noi offriamo», come con chiarezza quasi
urtante dichiarava Cipriano, nella Lettera 63,17.
L’offerta della Chiesa è riconosciuta essere la presenza, che sarà poi detta sacramentale, del
sacrificio di Cristo: il pane ed il vino diventano il santo e santificante corpo e sangue del Signore, e il
sacrificio di Cristo, con tutta la sua realtà di salvezza, può essere presentata al Padre come offerta della
Chiesa.
Così coloro che in essa si riconoscono e che ad essa partecipano nel sacro convito che segue il
sacrificio, saranno uniti tra di loro non con una qualsiasi fraternità, ma per formare il corpo di Cristo,
la comunità che radunata per Cristo nello Spirito Santo, offre al Padre il culto perfetto in Spirito e
Verità (cfr Gv 4,23).
Questa è la fede della Chiesa circa l’eucaristia-sacrificio: come si esprime liturgicamente in
modo già maturo nella celebrazione all’inizio del III sec.
Dopo Ippolito, ogni anafora dell’oriente ed occidente, dopo avere riportata l’istituzione di
Cristo, contempla l’Anamnesi in senso forte, la consapevolezza di celebrare il memoriale della Pasqua
di Cristo, espresso con “Memores”, o altra terminologia equivalente, cui è sempre unito “Offerimus”,
la consapevolezza di offrire il sacrificio di Cristo.
Il celebrante ordinato, che nella comunità e per la comunità, agisce «in luogo di Cristo, secondo
il “tipo” di Cristo, che fa le veci di Cristo», agisce ,diciamo ora, in persona Christi, può con piena
consapevolezza, a nome della comunità, affermare: Memores (celebrando il memoriale del tuo Figlio
morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ),
offerimus ( Ti offriamo Padre, in rendimento di grazie, questo sacrificio vivo e santo: Prex euch. II).
Così la necessità di esplicitare, specialmente per i Greci, il significato sacrificale già incluso nel
memoriale-pasquale107, ha facilitato l’introduzione nella stessa Anamnesi (in senso forte, dopo la
narrazione dell’Istituzione), di formule esplicitamente sacrificali, come l’Offerimus. Una offerta che
consiste nel ripresentare al Padre il pegno della salvezza che egli stesso ha affidato al suo popolo nel
Memoriale istituito da Cristo.
Questo pegno, dai contenti inauditi, lo stesso corpo e sangue offerti in sacrificio per noi,
fornisce alla preghiera di supplica (epiclesi) la sua base necessaria affinché la Pasqua di Cristo, resa
presente, abbia in noi tutto il suo compimento: questo significherà pure la nostra consacrazione in un
107
Cfr BOUYER, L. Eucaristia, cit 191
96
popolo di sacerdoti, animati dalla sua carità, votati alla lode del Padre, nella potenza vivificante dello
Spirito Santo.
Di qui, dopo l’Anamnesi e l’offerimus, lo sviluppo dell’Epiclesi, che una teologia dello Spirito
Santo più matura e definita (Costantinopolitano I, AD 381, DH 150), presenterà come invocazione
dello stesso Spirito. Infatti la riunione per il sacrificio del Cristo glorioso di tutti i suoi discepoli nel
corpo ecclesiale, è opera propria dello Spirito di Cristo, il dono del Crocifisso glorioso, lo Spirito
Santo.
Normale quindi che dalla consapevolezza nell’Anamnesi di unirsi all’offerta del Cristo
pasquale, si passi subito all’invocazione dello Spirito Santo, affinché si manifestino i frutti dell’offerta
e della comunione al sacrificio di Cristo, la qualità del popolo sacerdotale, nei vincoli della carità, alla
gloria del Padre.
Nell’anafora di Ippolito, l’Epiclesi dello Spirito Santo, non contempla un’esplicita invocazione
dello Spirito Santo per la consacrazione del Sacrificio stesso, la conversione del pane e del vino nel
corpo dato e nel sangue versato.
Ma nell’epoca in cui si crederà necessario insistere sulla divinità e personalità dello Spirito
Santo, nel sec. IV108, l’epiclesi si svilupperà come invocazione formale della discesa dello Spirito
Santo sulle oblate, come in Maria SS. per l’incarnazione del Verbo, affinché si realizzi la sua presenza
di Crocifisso glorioso vivificante i comunicandi nella celebrazione eucaristica.
Le anafore di tipo alessandrino-romano presentano una epiclesi prima del racconto
dell’istituzione, come invocazione , implicita o esplicita, dello Spirito Santo per la trasformazione del
pane e del vino nel corpo e sangue del Signore, cioè la sacramentalizzazione del Sacrificio; seguirà
dopo l’Anamnesi una seconda Epiclesi, implicita o esplicita, affinché lo Spirito Santo realizzi la piena
efficacia santificante del sacrificio nella Chiesa. 109
Le anafore antiochene-bizantine presentano una sola Epiclesi dopo la narrazione
dell’Istituzione: nelle anafore di S. Giovanni Crisostomo e di S. Basilio affinché le oblate diventino il
‹‹prezioso›› corpo e sangue del Signore, e così santifichino, trasformino i comunicandi, realizzando
l’unità piena della Chiesa.110
La Proposizione 22 del Sinodo “auspica che si mostri con più chiarezza il legame dell’Epiclesi
con il racconto dell’Istituzione”; così “diventerebbe più evidente come tutta la vita dei fedeli sia, nella
Spirito Santo e nel Sacrificio di Cristo un’offerta spirituale gradita al Padre.” Abbiamo visto come la
Sac. Car. accolga e specifichi tale richiesta, ai nn 12. 13. 48.
Preferiamo rispondere a questa richiesta nella parte conclusiva, dopo la parte storica e
sistematica circa la Presenza sacrificale e la Comunione. : sappiamo bene come la discussione
sull’efficacia consacratoria delle parole dell’Istituzione in relazione all’invocazione dello Spirito Santo
108
Cfr PAPROCKI, H., Le Mystère de l’Eucharistie, Genèse et interpretation de la liturgie
eucharistique byzantine, Cerf, Paris 1993 , 84s; 327.
109
Per una informazione più completa, vedi le analisi sui testi anaforici di GIRAUDO, C., Eucaristia
per la Chiesa, cit. 464-517.
110
Cfr GIRAUDO, C., In unum Corpus, cit, 313-336.
97
per la ‹‹transustanziazione›› delle oblate sia sorta, con animo poco sereno, tra Bisanzio e Roma
all’inizio del II millennio, come conseguenza del doloroso scisma, le astiosità e le incomprensioni che
ne sono seguite.
98
Per ordinare in modo convincente il nostro materiale storico, tutto orientato all’intelligenza
teologica della definizione di Trento: la Presenza sostanziale del corpo dato e del sangue versato,
nelle specie del pane e del vino (D.H. 1651.1653), dobbiamo anzitutto notare come la categoria
“presenza” compare tardivamente nella teologia e Magistero; la prima volta nella Bolla Transiturus de
hoc mundo, di Urbano IV, 1264, DH 846, istitutiva della Solennità del Corpo del Signore.
100
La categoria “presenza” appartiene alla filosofia cristiana, che riguarda tutti quegli importanti
sviluppi di pensiero filosofico che non si sarebbero realizzati senza l’apporto diretto o indiretto della
fede cristiana (Fides et ratio 76): tali sono il concetto personale di un Dio libero e creatore, la
concezione della persona come essere spirituale, l’evento storico centro e cuore della Rivelazione
Cristiana.
La categoria della “presenza”, la sua realizzazione più intensa nell’Eucarestia, indica
l’interiorità di una persona esistente, espressa sensibilmente, che si apre, si dona in tutta la sua
ricchezza spirituale-corporea, ad altre persone, alla loro interiorità, la loro espressione esteriore.
La presenza del corpo dato e del sangue versato per noi è quella del Figlio incarnato, nella
pienezza unica di verità e di amore espressa nella sua Pasqua, il suo passare al Padre per noi.
Una presenza, ricchezza interiore espressa nei segni conviviali del pane e del vino, che si dona a
noi nello Spirito Santo, ci trasforma interiormente ed esteriormente, ci unisce nella comunione propria
del corpo mistico, la Chiesa.
Se manca nel primo millennio una filosofia cristiana che ponga in risalto la ricchezza della
categoria “presenza”, sono già del tutto rivelati i suoi contenuti, nella forte affermazione di fede che
pane e vino della convivialità eucaristica sono il corpo offerto in sacrificio ed il sangue versato per noi,
per conformare a sé tutto il nostro essere spirituale-corporeo.
Essendo “presenza” un concetto tardivo, siamo impegnati a individuare e raccogliere il dato
rivelato fondamento di un corretto sviluppo e traduzione in questa categoria.
È sufficiente muoversi nel contesto della personalità corporativa, il genere letterario che collega
un gruppo umano (per es. Israele) al capostipite, Giacobbe-Israele? Qui si estende la persona del
capostipite, le sue qualità di vita e di fede alla comunità che ne porta anche il nome. Non è sufficiente,
perché nel caso dell’Eucarestia e del corpo ecclesiale che in essa si costituisce, non si tratta della
presenza di un uomo ad altri uomini, ma dello stesso Dio al suo popolo. Presenza al suo popolo
sempre significata, percettibile attraverso segni.
Più adatta al nostro scopo è la presenza di alleanza, che prepara la presenza di Incarnazione del
Verbo: la sua presenza eucaristica è il vertice della presenza di alleanza per i tempi della Chiesa.
JHWH, offrendo alleanza al suo popolo, vi instaura una specifica sua presenza. Ecco alcune
linee storiche:
115
Ibid., 55s.
116
Ibid., 198.
106
La celebrazione pasquale-domenicale è certo anteriore alla Pasqua annuale, che suscitò la
questione della data della festività pasquale: la domenica dopo il plenilunio di primavera, cui si
opponevano i quartodecimani, che conservavano l’uso giudaico, del 14 Nisan.
Nella celebrazione eucaristica si dà l’oblazione dell’Agnello vero, Cristo, e si comunica al suo
corpo e al suo sangue, come fondamento dell’autenticità della vita cristiana: questa è la comune
professione di tutti i Padri. L’Eucarestia è il sacrificio pasquale del NT.
II.1.5 L’Eucarestia, presenza del corpo dato e del sangue versato in chiave tipologica-
sacramentale. (alcuni testi in Appendice VII.I.1-4)
Una lettura attenta dei testi liturgici e patristici ci mostra che, insieme al forte realismo
sull’identità del corpo e sangue del Signore, si pone la questione teologica-pastorale della loro
relazione a ciò che appare ai sensi, il pane e vino nella celebrazione del memoriale. Cioè affiora la
domanda: in che modo nella celebrazione, nel pane e vino dell’eucarestia è presente il corpo dato ed il
sangue versato, il sacrificio pasquale?
La risposta si serve anzitutto delle categorie bibliche della tipologia. Un modo di leggere l’AT
in relazione al NT: le realtà, persone, eventi, riti dell’AT sono prefigurazione, tipo, preparazione di
quella pienezza unica che è il Figlio di Dio Incarnato, nella sua Pasqua, nel suo Memoriale. L’esegesi
antica è persuasa che Cristo è la chiave interpretativa di tutta la Scrittura: Adamo è infatti il tÚpol toà
mšllontoj, figura-abbozzo di colui che deve venire, Cristo Signore (Rm 5,14).
Cristo non solo è la chiave ermeneutica per le figure, eventi salvifici della prima alleanza; ma
anche eventi della storia sacra di Israele sono letti come “tipi”, prefigurazioni di riti della nuova
alleanza: 1Cor 10,6: «Queste cose (che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, attraversarono il
mare, furono battezzati in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo
spirituale e bevvero la stessa bevanda spirituale) avvennero come esempio (tupoi) per noi...». La
tipologia, il riferimento a Cristo delle figure, eventi, anche dei riti (Cristo agnello pasquale in 1Cor
5,1; 1Pt 1,18-21) della prima alleanza, assicura l’unita della storia salvifica, tutta orientata, realizzata,
celebrata in Cristo, la sua Pasqua.
Si percepisce, anche in questa comune unità e partecipazione, la differenza di contenuti salvifici
tra i riti di Israele e quelli della Chiesa: così leggiamo in Eb 10,1: «Avendo infatti la legge solo
un’ombra (sk…a) dei beni futuri, non la stessa immagine (e„kÒna) delle realtà salvifiche
(pragm£twn)…».
Quindi le realtà salvifiche (pr£gmata, Cristo entrato con il suo sangue, nel santuario celeste,
presso Dio) sono solo adombrate nella ritualità sacrificale della legge; di questi riti sacrificali del
Tempio parla tutta la lettera agli Ebrei, ricordando la loro inutilità dopo il Sacrificio di Cristo,
realizzato una sola volta per tutti: qui viene detto che erano solo ombre preannuncianti i beni futuri,
decisivi per sempre e per tutti, di Cristo.
Cosa sono le immagini (e„kÒna) delle realtà salvifiche vere, quelle già realizzate nella Pasqua
di Cristo? Si intendono essere l’Eucarestia (ed il Battesimo), di cui Ebrei fa solo cenni. Questa è anche
l’interpretazione di Ambrogio, De Officiis 1,239 :
107
«Nella legge l’ombra, nel Vangelo l’immagine, nel cielo la realtà. Nella legge si immolava
l’agnello, ora nel Vangelo si offre Cristo qui in immagine, lì (in cielo) nella realtà, lì dove come
avvocato intercede per noi presso il Padre».117
Eb 9,24 dice ancora: «Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mano d’uomo, una
qualche imitazione (¢nt…tupa) del vero (tèn ¢lhqinîn)».
Possiamo delineare un vocabolario neotestamentario, che unisce, intorno alla realtà piena,
escatologica, la Pasqua di Cristo, i riti veterotestamentari e l’Eucarestia del NT.
I Padri si servono della tipologia, riguardante eventi e figure tipi di Cristo, come chiave
ermeneutica per l’esegesi della Scrittura; e della stessa tipologia applicata ai riti, per l’intelligenza
delle celebrazioni sacramentarie, per cogliervi la presenza e l’azione salvifica di Cristo.
La tipologia applicata ai Sacramenti si chiama anche Mistagogia: ricordiamo le catechesi
mistagogiche rivolte ai neobattezzati dai Padri del IV sec.: Ambrogio, Teodoro di Mopsuestia,
Giovanni Crisostomo e Cirillo di Gerusalemme.118
La terminologia della tipologia si arricchisce con altre categorie bibliche, come omo…wma
(Rm 6,5) somiglianza concreta, non astratta, che partecipa della realtà che esprime e quindi contiene.
Must»rion (Dan 2,18s.27s.47; 4,6; Sap 2,22; 6,22; Mc 4,11 e //; Mt 13,35; 1Cor 2,7...), tradotto in
Latino con Sacramentum e Mysterium.
Ricordiamo ancora la categoria non biblica di sÚmbolon, il segno di identità perché rimanda
all’altra parte del’oggetto spezzato; poiché rimanda, si spiega e comprende pienamente nell’altra
parte, già in qualche modo la precontiene.
Categorie opportune, conformi alla tipologia delle persone-eventi e dei riti rispetto alla Pienezza
di Cristo, perché affermano una partecipazione vera, concreta di tale Pienezza.
Questa partecipazione vera della pienezza di Cristo risulta inoltre più comprensibile nel
platonismo dei Padri. I Padri pongono al servizio dell’intelligenza della Fede del Mistero di Cristo e
dell’Eucarestia, dei loro contenuti unici, rivelati, una visione platonica dell’immagine, del simbolo,
della somiglianza. Il nostro mondo sensibile è immagine, somiglianza concreta del mondo esemplare
delle Idee sussistenti, già le contiene in sé, in qualche modo.
L’immagine platonica non è qualcosa di vuoto, senza contenuti reali; essa contiene, a suo modo,
ciò che è massimamente reale, esistente in maniera indistruttibile, anche se risulta per l’uomo
invisibile ed inafferrabile. Dove c’è l’immagine, c’è sempre la realtà, benché non nella sua pienezza.
In questo senso l’immagine non è mai qualcosa di distinto, né di separato, contrapposto alla sua realtà.
117
AMBROGIO, De officiis libri tres, ed G.Banterle, Opera omnia vol 13, Biblioteca Abrosiana – Citta
nuova ed., Milano-Roma 1977, 166s
118
Cfr MAZZA, E., La Mistagogia, una teologia della liturgia in epoca patristica, (= BEL, ‹‹subsidia
››46) CLV, ed. Liturgiche, Roma, 1988.
108
Non potrebbe essere immagine di una realtà, se quella realtà non portasse in sé, non ne fosse la
manifestazione119.
Insieme alle categorie come immagine, Ðmo…wma (similitudine) simbolo, mistero, che,
ognuna con un aspetto proprio, indicano la realtà salvifica in quanto si manifesta nel rito, già troviamo
nei Padri di questo periodo la categoria “specie”; essa sottolinea rispetto alle precedenti, l’apparire
esteriore, l’aspetto esterno, anche la prefigurazione veterotestamentaria delle realtà storico-
salvifiche.120
La specie è in relazione alla verità salvifica, ma non nell’antitesi falso-vero, quanto piuttosto del
provvisorio, del relativo dell’aspetto esteriore rispetto alla verità che intende indicare.
Il metodo tipologico presenta un uso delicato, in quanto richiede una grande maestria
nell’esegesi, con la chiave ermeneutica Cristo, dell’intera S. Scrittura; insieme accoglienza
consapevole del tradizionale forte realismo eucaristico del corpo dato e sangue versato, unita ad una
matura padronanza del simbolismo ontologico platonico.
Il Padre della Chiesa che sembra meglio possedere queste doti, in un ambito culturale
omogeneo, è Agostino.121
Nelle sue omilie passa con molta agilità dal discorso sul pane eucaristico, sacramento del corpo
di Cristo, alla Chiesa, anch’essa corpo del Signore. Ascoltiamo un passo del Discorso 272:
«Il Signore nostro Gesù Cristo… è stato appeso alla croce… è asceso al cielo… ora è lassù e
siede alla destra del Padre: questo pane dunque come può essere il suo corpo?
Ebbene fratelli, il motivo per cui queste cose si dicono sacramenti, è perché in esse si vede una
realtà e se ne comprende un’altra. Ciò che si vede ha un aspetto (specie) materiale, mentre ciò che si
comprende produce un frutto spirituale. Se dunque vuoi comprendere il mistero del corpo di Cristo,
ascolta l’Apostolo che dice ai fedeli: “Voi siete il corpo di Cristo e sue membra”. Pertanto se vuoi
siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto quello che è il vostro mistero.
A ciò che voi stessi siete, rispondete: “Amen”, e rispondendo lo sottoscrivete. Ti senti dire: “il corpo
di Cristo”, e tu rispondi . “Amen”. Sii allora membro del corpo di Cristo, affinché il tuo Amen
risponda pienamente al vero».122
Agostino spiegando che cosa sia il corpo di Cristo che è posto sull’Altare e che viene distribuito
ai fedeli, ricorre a 1Cor 12,27: «Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua
parte». Con questa citazione può passare dal pane eucaristico, sacramento del corpo di Cristo, alla
Chiesa che, anch’essa è il corpo di Cristo.
119
Cfr. MARSILI, S. , «La teologia della celebrazione dell’Eucaristia», in AA. VV., Anamnesis, 3/2,
Casale Monferrato 1983, 46.
120
MAZZA, E., La mistagogia, cit.,31s.
121
MAZZA, E., S.Augustin et la mystagogie, in Mystagogie : pensée liturgique d’aujourd’hui et
liturgie ancienne, éd. par A.M. TRIACCA et A. PISTOIA, (= BEL ‹‹subsidia›› 70), CLV, Ed. Liturgiche, Roma 1993,
201-226.
122
La Dottrina eucaristica di Sant’Agostino, edizione bilingue, Introduzione, note e versione italiana di
DI NOLA, G. , (=Bibl. Patristica Eucaristica), Lib. Ed. Vaticana, 1997, 301.
109
La concezione dell’Eucarestia in Agostino è tutta fondata su una forte fede sul corpo di Cristo
presente sull’altare, che ricevuto in comunione, fa dei cristiani, già iniziati ad esso per il battesimo, sue
membra, il suo corpo ecclesiale.
Agostino contempla un unico Corpo di Cristo, alla destra del Padre, nel Sacramento dell’altare,
e nelle membra del corpo ecclesiale: la Chiesa è corpo di Cristo perché partecipa del corpo eucaristico
di Cristo: si tratta di modi di partecipazione del Corpo di Cristo, ma entrambi reali, diversi livelli di
ontologica partecipazione.
Agostino si presenta come il miglior erede della concezione paolina dell’Eucarestia come
sacramento dell’unità ecclesiale, e offre una coerente giustificazione teoretica di questa realtà.
L’Eucarestia in quanto corpo di Cristo, è per sua natura il sacramento dell’unità 123.
Troviamo le categorie della tipologia anche nelle anafore eucaristiche: leggiamo nella
Tradizione apostolica di Ippolito romano, al n. 21: «I diaconi presentino l’oblazione al Vescovo, e
questi dica la preghiera eucaristica sul pane, perché diventi esempio (il greco dice: antitipo) del
corpo di Cristo; e sul calice di vino con acqua, perché diventi antitipo (il greco dice: somiglianza) del
sangue di Cristo».
Il traduttore latino ha sentito il dovere di conservare i termini greci che traduce; si tratta del
vocabolario che già conosciamo, nel contesto della tipologia biblica e del platonismo. Il contesto
liturgico ci è ugualmente già noto: il Vescovo, che agisce secondo il tipo di Cristo, come
rappresentanza terrena del Vescovo celeste (Cristo e il Padre), celebra l’Eucarestia secondo il Tipo,
come ha ringraziato e gestito Cristo nel darci il suo memoriale pasquale.
L’Eucarestia così celebrata produce gli stessi frutti di quella realizzata da Cristo nell’ultima
cena: pane e vino sono il corpo e sangue di Cristo, esempio-antitipo, antitipo-Ðmo…wma
(somiglianza), di quelli della cena del Signore.
123
Cfr. MAZZA, E., La celebrazione eucaristica., cit 184-189.
110
venuta dello Spirito Santo, noi non guardiamo più alla loro natura, ma li prendiamo come essenti il
corpo ed il sangue di nostro Signore»124.
In modo simile si spiega Cirillo di Gerusalemme: «Quando Lui stesso ha dichiarato e detto
del pane: “questo è il mio corpo”, chi oserà ormai esitare? E quando Lui stesso afferma
categoricamente dice: “questo è il mio sangue”, chi dubiterà mai e dirà che non è il suo sangue?”.
Offre inoltre una spiegazione teologica della conversione, per accreditare la veridicità delle
parole di Cristo: «Una volta per sua propria volontà cambiò l’acqua in vino a Cana di Galilea, e non
sarebbe degno di fede quando cambia il vino in sangue? Invitato alle nozze corporali, compì questo
miracolo meraviglioso, e quando ai compagni dello sposo, diede come dono il godimento del suo
corpo e del suo sangue, forse che noi non lo confesseremo maggiormente?»125.
Anche Giovanni Crisostomo sottolinea il realismo del corpo e del sangue eucaristici, al di là
della tipologia simbolica, che conosce e usa. “Commentando il racconto dell’uscita degli ebrei
dall’Egitto, Crisostomo fa il parallelo tra il sangue degli agnelli spalmato sugli stipiti delle porte e il
sangue di Cristo che ha tinto di rosso la bocca dei fedeli a causa della comunione. Se l’angelo
sterminatore è stato trattenuto dal tipo del sangue (quello degli agnelli), tanto più sarà trattenuto il
maligno che vedrà la verità del sangue (quello di Cristo)”126.
Ambrogio di Milano conosce la tipologia, e la usa, come abbiamo già visto citando De officiis
1,238. Ma insieme percepisce l’insufficienza di tale linguaggio, in modo più acuto dei Padri coevi
prima citati. Ricordiamo che con il Concilio di Nicea (325) il linguaggio teologico e magisteriale deve
rispondere a nuove questioni fondamentali riguardo alla identità di Cristo, per le quali la categoria
immagine risulta insufficiente.127
Certamente, come insegna Paolo in Col 1,15, Cristo è «l’immagine del Dio invisibile», ma ora
si specifica: l’immagine consustanziale, della stessa sostanza (oÙs…a) del Padre: ÐmooÚsioj
Assistiamo così all’ingresso nel magistero della categoria oÙs…a (substantia) e derivati.
Risulterà decisiva non solo per l’identità divina della persona del Figlio rispetto al Padre, ma anche per
dichiarare la divinità dello Spirito Santo (Sinodo di Roma, anno 382, DH 168); ugualmente per
definire, a Calcedonia la vera umanità di Cristo: ÐmooÚsioj a noi, consustanziale a noi (DH 301).
Sono questioni non secondarie, ma nel cuore stesso della rivelazione evangelica, della nostra
salvezza. Sono le domande fondamentali da cui dipende tutto l’edificio della vita cristiana. Di fronte
ad un invadente arianesimo, che poneva in dubbio la divinità di Cristo, il suo rapporto col Padre, Nicea
ha tolto, secondo la rivelazione, specialmente Giovanni, ogni ambiguità: l’Io filiale di Cristo, (la sua
persona), sta dalla parte del Padre, della stessa divinità del Padre, stessa oÙs…a, sostanza.
124
MAZZA, E., La mistagogia, una teologia della liturgia in epoca patristica, (= BEL ‹‹subsidia›› 46),
C.L.V.-Edizioni liturgiche, Roma 1988, 111; la citazione di Teodoro si trova nella sua Omelia 15,10
(TONNEAU, R. , – DEVRESSE, R. , Les homelies catéchétiques de Théodore de Mopsueste, LEV 1949, 475)
125
Crf. per i testi citati: MAZZA, E., La celebrazione eucaristica , cit 180.
126
Ibidem 177
127
MAZZA, E., La mistagogia, una teologia della liturgia in epoca patristica, cit. , 193
111
Evidentemente, per la rivelazione giudeo-cristiana, il dogma fondamentale della creazione, non
si dà alcuna via di mezzo tra Dio creatore e la creatura. Cristo sta dalla parte del Padre, una cosa sola
col Padre, ne è l’immagine consustanziale.
Ugualmente Cristo sarà dichiarato, nella sua umanità, consustanziale a noi.
Queste categorie oÙs…a (sostanza), arricchiscono la terminologia teologica, la specificano, la
radicano nei fondamenti ontologici, lo stesso grado di essere, l’identità dell’essere.
oÙs…a è una forma participiale di e„m…, essere; nel suo uso teologico non dipende
direttamente da nessun sistema filosofico, risponde alle domande fondamentali circa l’identità divino-
umana di Cristo.
Anche il substantia latino, nell’uso teologico come dimostrabile in Tertulliano, traduce il greco
oÙs…a. L’esistente, l’identità nell’essere, e solo secondariamente il soggetto degli accidenti, come nel
sistema aristotelico.
Il nuovo linguaggio cristologico, sostanziale, fa qualche apparizione anche nella riflessione
eucaristica dei Padri, completando le categorie della mistagogia:
Ritorniamo ad Ambrogio, il Padre mistagogo che sente l’esigenza di completare le categorie
della teologia tipologica-simbolica con quelle della teologia sostanziale : De Mysteriis 54: «Se tanto
poté una benedizione umana (di Mosè e di Eliseo) che cambiò la natura, cosa occorre dire della
benedizione divina in cui operano le stesse parole di Cristo?
Questo sacramento, infatti, che tu ricevi, si compie con le parole di Cristo. Se tanto poterono le
parole di Elia, da fare scendere dal cielo il fuoco, non potranno quelle di Cristo mutare la sostanza
degli elementi? Hai letto riguardo alla creazione: poiché egli l’ha detto, furono fatte, egli ha
comandato, e furono create. La parola di Cristo che ha potuto fare dal nulla ciò che non era, non può
mutare le cose che sono in ciò che non erano? Non è minor cosa creare cose nuove che mutare le
essenze?
Lo stesso S. N. Gesù Cristo dice: questo è il mio corpo; prima della benedizione delle parole
celesti chiamiamo altra cosa, dopo la consacrazione vi è significato il corpo e tu dice: Amen, cioè è
vero. Anche la mente creda ciò che la bocca dice».128
Ancor più elaborato è il linguaggio di S. Fausto, vescovo di Riez, valle del Rodano, fine del V
sec., nell’Omelia Magnitudo: «Pertanto giustamente conferma la celeste autorità che la mia carne è
veramente cibo e il mio
sangue è veramente bevanda. Receda quindi ogni vacillamento di incredulità, poiché chi è
autore del dono è egli stesso anche testimone della verità. Infatti come sacerdote invisibile, per una
misteriosa potenza della sua Parola, converte le creature visibili nella sostanza del corpo e del
sangue suo dicendo: prendete e mangiate, questo è il mio corpo…
Né alcuno dubiti che le primitive creature (pane e vino), al cenno della divina potenza, possano
trasformarsi nella natura del corpo del Signore per la presenza della somma maestà… quando il pane
128
AMBROGIO , De Mysteriis 54, Opera omnia v. 17, Bibl. Ambrosiana-Città nuova, Milano-Roma
1982, 165
112
e il vino vengono collocati sugli altari per essere benedetti con le parole celesti, prima che siano
consacrati con l’invocazione del nome suo, c’è la sostanza del pane e del vino, ma dopo le parole, c’è
il corpo ed il sangue di Cristo. Che cosa c’è di strano se quelle cose che poté creare con la parola, le
possa cambiare con la parola? Anzi sembra un miracolo minore, che una volta creato, sappia
cambiare in meglio quanto si conosce che abbia creato dal nulla»129.
Ci giova osservare come la categoria sostanza viene usata in stretta connessione con quelle di
creatura e natura-essenza, nel contesto della potenza creatrice divina.
La teologia dell’Eucarestia si dimostra bisognosa sia delle categorie tipologiche-simboliche,
trattandosi di una celebrazione, memoriale della Pasqua del Signore, sia di categorie più direttamente
ontologiche, per dichiarare l’identità del corpo dato e sangue versato, il tradizionale forte realismo del
sacrificio. Si tratta inoltre di distinguere meglio la presenza di Cristo nel Sacrificio eucaristico e negli
altri sacramenti.
Nell’Eucarestia è presente lo stesso Cristo nostra pasqua, corpo dato e sangue versato, che ci
unisce a sé, forma la Chiesa suo corpo. Negli altri Sacramenti Cristo agisce, ci santifica in virtù della
sua passione.
Negli altri sacramenti i segni simbolici (acqua, olio...) non cambiano natura, il loro essere
profondo, la loro sostanza. Nell’Eucarestia il segno simbolico, pane e vino, risulta privo di realtà
profonda propria, essendo divenuto il corpo dato ed il sangue versato. Queste categorie nuove, relative
all’identità secondo l’essere, oÙs…a, sostanza, si riveleranno preziose, all’inizio del secondo
millennio, per risolvere le prime vere difficoltà dottrinali. 130
129
Questi testi di Ambrogio e Fausto, si possono trovare in PIOLANTI, A. , Il Mistero eucaristico,
Libreria Editrice Vaticana, Roma 1983, 182. 231s.
130
Cfr CARLÈ, P. L. , Le sacrifice de la nouvelle alliance, consubstantiel et transubstantiation, de
l’Incarnation à l’Eucharistie, Bordeaux 1981, 261-269
113
Difficoltà acuita dallo scadere dell’esegesi nell’allegorismo, minore sensibilità alla tipologia
cristica, che si riflette anche nella comprensione della preghiera eucaristica, dei riti del memoriale. 131
La forte fede che rimane nella realtà del Sacrificio del corpo e del sangue del Signore cerca la
sua espressione in un soggettivismo devoto, interpretazioni alquanto fantastiche dei riti della S. Messa.
Un caso interessante e curioso è quello di Amalario di Metz (+837): nel suo De ecclesiaticis
officiis così commenta: nella S. Messa il calice è il sepolcro del Signore, i presbiteri celebranti sono i
sepoltori, come Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, i Diaconi inclinati sono gli Apostoli, che avendo
tradito Cristo nella passione si nascondono vergognosi, mentre i suddiaconi eretti sono le pie donne
che contemplano il Sepolcro. 132
Tali soggettivismi devoti aberranti non restarono senza critiche, come quella di Floro di Lione
(+860), ma sono segno che il memoriale del Signore, ringraziamento e gesti essenziali, non è più
inteso nella sua sobrietà rivelata; alla tipologia, tutta relativa a Cristo e alla sua Pasqua, si sostituisce
una esegesi soggettiva, arbitraria, incomprensione del rito-memoriale.
Possiamo per es. paragonare l’intelligenza dell’Eucarestia in Agostino. Ci parla del Corpo
crocifisso glorioso di Cristo, che sta alla destra del Padre intercedendo per noi, e come lo stesso corpo
nel sacramento della mensa-altare, realizzi, per la comunione, il corpo ecclesiale, nella sua unità-
carità. E lo stesso corpo di Cristo crocifisso-glorioso, nei suoi vari modi di manifestazione e di
ontologica partecipazione.
Ecco cosa diviene la riflessione sul “triforme corpo di Cristo” nelle devote riflessioni sui riti
della comunione eucaristica nello stesso Amalario di Metz. Ogni rito della liturgia deve avere un
significato mistico, riferirsi a Cristo e alla sua passione: cosa significa quindi che il corpo di Cristo nei
riti di comunione viene suddiviso in tre parti, di cui un viene immessa nel calice, una viene posta sulla
patena per la recezione dei presenti, ed una lasciata sull’altare per la comunione dei morenti?
131
MAZZA, E., La celebrazione eucaristica, cit, 191s :” Già prima del Medioevo si è persa la cultura
soggiacente, e si è rotta l’unità, o meglio, la sintesi tra il dato biblico e l’eucaristia, al punto che le due
componenti iniziano a vivere separatamente, ciascuna con la sua logica.Di conseguenza nel medioevo nascono
due modi diversi di trattare l’eucaristia, ciascuno indipendente dall’altro: il modo figurale ed il modo del
realismo sacramentale : 1) Il modo figurale nasce dalla tipologia quando questa ha subito un duplice mutamento:
ha perso il suo rapporto con l’ontologia, è diventa allegoresi; le figure bibliche vengono trattate per se stesse, e
acquistano valore morale in ordine alla celebrazione eucaristica. Da questa trasformazione nasce il commento
allegorico della celebrazione eucaristica, basato sul rapporto tra l’eucaristia e il sacrificio di Cristo.
2) Di fianco a questi commenti ci sono le trattazioni sulla presenza del corpo e sangue di Cristo nel
pane e nel vino dell’Eucaristia, che all’inizio sono basta su una concezione ingenua del realismo
sacramentale…….
132
Cfr MARSILI, S. , La teologia della celebrazione eucaristica, in MARSILI, S.,, NOCENT, A. ,
AUGE’, M. , CHUPUNGCO, A.J. , La liturgia eucaristica (= Anàmnesis 3/2 ) , Marietti, Casale Monferrato
1983, 93s; particolarmente complete le riflessioni sulla persona ed il metodo di Amalario di Metz in MAZZA,
E., La celebrazione eucaristica, cit ,192-203
114
Per Amalario la particella immessa nel calice mostra il corpo di Cristo già risorto dai morti, la
parte data in comunione ai presenti il corpo di Cristo che camminava sulla terra e ancora vi cammina,
quella lasciata sull’altare per il Viatico mostra il corpo che giace nel sepolcro. 133
Le difficoltà più acute e anche allarmanti si avvertono quando con Carlo Magno nasce l’Europa
cristiana, si organizzano e favoriscono gli studi, si cerca di fare sintesi sotto la luce del Vangelo tra la
cultura greco-romana e la vivacità dei popoli germanici.
D’un controverse du siècle XVII au Document de Lima, in Nova et Vetera (1985) 134-148
116
La realtà creata, nel suo essere concreto fondamentale come sta davanti a Dio, cioè la sostanza
del pane e del vino, è mutata, per la preghiera eucaristica, nella celebrazione del memoriale, nella
realtà concreta, creata, unita ipostaticamente al Figlio di Dio, la sostanza del corpo dato e del sangue
versato.
È opportuno notare come in questo primo uso teologico, la categoria sostanza viene usata in
stretta connessione con quelle di natura (in Ambrogio e Fausto anche creatura, essenza), nel contesto
della potenza creatrice divina.
Il termine sostanza sarà poi privilegiato, raccogliendo in sé i significati di natura-creatura. Viene
quindi a indicare l’essere concreto, fondamentale come sta davanti a Dio, che gli dà e gli conserva
l’esistenza, e come Dio creatore può mutare, convertire, transustanziare, lasciando intatto ciò che della
creatura appare a noi, le apparenze, specie. Il concetto di sostanza esprime quindi in modo adeguato il
dato di fede rivelato e tradizionale: questo è il mio corpo dato, sangue versato in sacrificio. Il suo uso
teologico esige il concetto di conversione della sostanza, transustanziazione, per indicare il livello di
essere, fondamentale, ove si realizza il cambiamento radicale.
Si devono infine introdurre le specie, per indicare ciò che appare del pane e del vino, ciò che
viene percepito dai nostri sensi umani e che rimane, mentre cambia l’essere profondo, che solo Dio
direttamente tocca e muta, cioè la sostanza.
Già nel Lateranense IV questi concetti (sostanza, transustanziazione, specie), usati per la
corretta professione di fede nel Sacrificio dell’Altare, sono presentati coerentemente insieme (DH
800), per assicurare l’unità della Chiesa. Trattasi di una professione di fede.
Concludendo: per professare l’identità del Figlio incarnato, la Chiesa ha scelto il termine
ÑmooÚsioj, consustanziale; per professare l’identità del corpo dato e del sangue versato nel sacrificio
eucaristico, la Chiesa ha scelto i termini di sostanza e conversione della sostanza, transustanziazione.
La Chiesa non ha più abbandonato questa terminologia, perché esprime l’identità del Figlio
incarnato davanti al Padre e a noi, e l’identità del Corpo eucaristico rispetto al Corpo crocifisso
glorioso celeste e rispetto agli elementi mutati nella profondità del loro essere concreto.
II.1.10 La teologia della presenza sostanziale elaborata dalla grande scolastica del sec.
XIII
La Solenne professione di fede del Lateranense IV inserisce nel Simbolo apostolico romano una
dottrina eucaristica che ci appare come un vigoroso sviluppo dell’articolo 9 : «Credo la Santa Chiesa
cattolica, la comunione dei santi».
Come ci avvisa H. de Lubac, la Communio Sanctorum indica sia la Comunione alle cose sante,
l’Eucarestia, sia la Comunione dei Santi, cioè la Chiesa che ne risulta. 137
Il Lateranense IV (DH 802), raccogliendo il frutto del Concilio romano del 1079, DH 700, e
della riflessione teologica della scolastica del 1100, specialmente Pietro Lombardo, assicura la qualità
salvifica, l’unità della Santa Chiesa, per il Sacrificio di Cristo, sacerdote e vittima:
137
Cfr DE LUBAC, H.,, Corpus mysticum, cit. 10
117
«Infatti il suo corpo ed il suo sangue sono contenuti veramente nel sacramento dell’altare, sotto
le specie del pane e del vino, perché il pane è transustanziato nel corpo ed il vino nel sangue per
divino potere; cosicché per adempiere il mistero dell’unità, noi riceviamo da Lui ciò che Lui ha
ricevuto da noi».
Abbiamo già accennato all’introduzione della categoria sostanza, come risponda alla domanda
fondamentale dell’identità del corpo e sangue eucaristici con quelli del Crocifisso glorioso, e non
dipenda da particolare sistema filosofico.
Anche ciò che appare all’uomo, le specie, sono categoria teologica, già usata dai Padri, non
direttamente filosofica.
S. Tommaso può disporre per l’intelligenza del Mistero Eucaristico della filosofia di Aristotele,
e non solo più attraverso le opere di Boezio e Avicenna, ma anche direttamente, delle stesse opere
Metafisiche.
L’utilizzo di Aristotele risulta massiccio; la sua distinzione reale, metafisica, tra la sostanza e gli
accidenti, la quantità, appare del tutto opportuna per avere una certa intelligenza del mistero
soprannaturale della conversione delle sostanze rimanendo inalterate le specie, ciò che a noi appare.
Si può così cercare intelligenza della fede delle affermazioni del Lateranense IV, anche che il
corpo e sangue del Signore siano veramente contenuti sotto le specie del pane e del vino.
Notiamo subito come la filosofia sviluppata da Tommaso per avere l’intelligenza possibile del
Mistero rivelato, si presenti a noi come filosofia cristiana: solo il contesto di rivelazione che ne stimola
la formazione, può giustificare i risultati ottenuti, anche sul piano puramente razionale (cfr. Fides et
ratio 76).
Così la Sostanza di cui parla Tommaso non è direttamente il supporto, substrato degli accidenti,
ma indica l’atto proprio di essere, la consistenza propria fondata nell’essere, cioè come Dio, pienezza
dell’Atto di Essere, la pone nella sua esistenza.
Solo l’intelletto umano, illuminato dalla fede-rivelazione, può affermare il darsi della sostanza
del corpo e sangue del crocifisso glorioso sotto le specie del pane e del vino; infatti l’intelletto umano
afferma nelle cose dell’esperienza umana la loro partecipazione propria all’atto di essere, la loro
consistenza nell’essere. Nel caso del Mistero eucaristico la rivelazione-fede afferma la conversione
della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue del Crocifisso glorioso: non
arriva alla sostanza, atto di esistere, partendo dagli accidenti, ciò che appare e agisce sui sensi, ma dal
giudizio dell’intelletto, facoltà che coglie l’essere, in questo caso per l’illuminazione della fede e la
parola rivelata.
Anche se tale operazione di conversione delle sostanze può essere operata solo per la potenza
divina, e da essa solo rivelata, non presenta in sé nulla di irrazionale, per la distinzione tra sostanza ed
accidenti.
La definizione del Lateranense IV stimola l’intelligenza della fede dell’affermazione: «il corpo
e sangue del Signore sono contenuti veramente nel Sacramento, sotto le specie del pane e del vino».
118
Di che tipo di “contenzione”, presenza si tratta? come la sostanza del corpo e sangue glorioso può
stare, rapportarsi con ciò che vediamo, le specie del pane e del vino?
Giova ricordare che la presenza eucaristica del corpo del Signore è veramente corporale,
attraverso il suo corpo, ma nel modo sostanziale del corpo glorioso: non ha quindi rispetto alle specie
una relazione locale di tipo “circonscrittivo”, come hanno i nostri corpi per le loro dimensioni, in
relazione alle dimensioni misurabili di altri corpi, essere cioè in un luogo, come un’auto nel
parcheggio.
Non è neppure una presenza spirituale, “informante”, come l’anima spirituale nel corpo umano:
il corpo del glorioso non è infatti un principio spirituale informante le specie, ha una sua vera
consistenza corporea; la sua quantità, dandosi a noi secondo il modo proprio della sostanza del
Crocifisso risorto, non è misurabile, commensurabile alla nostra realtà sensibile.
Si tratta di una presenza sacramentale, corpo e sangue gloriosi contenuti veramente nel
sacramento, per essere a noi significati e offerti nelle specie sacramentali. Il Crocifisso glorioso,
sacrificio «eternizzato», «sempre vivo per intercedere per noi» (Eb 7,25), si fa presente a noi nella
celebrazione del suo memoriale, in modo sostanziale, cioè nella sua vera identità; ma non nel suo
modo glorioso, come si manifesterà a noi nell’ultimo giorno, ma nel modo conviviale, nelle specie del
pane e del vino, come si addice al nostro essere pellegrinante, nel provvisorio del nostro tempo.
La teologia simbolico-tipologica, primo tentativo di intelligenza della fede del pane e vino
eucaristicizzati nel corpo e sangue del Signore, considerava le specie, apparenze del pane e del vino
come figura, immagine della ontologica presenza del corpo dato e del sangue versato.
Il necessario uso della categoria sostanza, per indicare tutta l’intensità di identità del corpo dato
e sangue versato, poneva per gli aristotelici aiuto e difficoltà: aiuto, per la razionale distinzione tra la
sostanza, atto proprio di esistere, e le apparenze, quantità estensiva, accidenti.
Poneva anche difficoltà, stimolo all’intelligenza del mistero: dopo la conversione di tutta la
sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue, come si potevano dare accidenti
senza soggetto sostanziale corrispondente? Infatti non si dà più sostanza del pane e del vino.
Qui entriamo nel cuore del mistero che supera la nostra razionalità, legata alla percezione dei
sensi; le specie del pane e vino sono i segni-simboli conviviali del donarsi a noi del Crocifisso
glorioso, nel suo vero corpo dato e sangue versato. Le specie sacramentali sono segno-simbolo della
sostanziale presenza del Signore nella pienezza del suo donarsi al Padre per noi, che affermiamo con
l’intelletto illuminato dalla luce della fede nella parola rivelata. Ciò che significano le specie,
apparenze del pane e del vino è totalmente mutato.
In filosofia aristotelica non si darebbe l’assurdo irrazionale di quantità accidenti senza soggetto
sostanziale che li sorregga nell’essere? Tanto più che non si vedrebbe come il Corpo del Crocifisso,
nella pienezza della sua gloria, possa essere, nella sua sostanza, come limitato dall’accidente, dalla
quantità e dalle proprietà sensibili del pane e del vino che vi ineriscono.
Nella intelligenza del Mistero, che rimane mistero, secondo la filosofia cristiana di Tommaso
non si dà anche in questo nessuna ripugnante contraddizione. Le specie eucaristiche sono il
119
manifestarsi a noi della Sostanza del corpo dato e sangue versato del Glorioso, non sono quindi senza
un soggetto sostanziale.
Ma neppure possiamo dire che lo limitano; dobbiamo considerarle, le specie, nell’economia del
Verbo incarnato: la pienezza dell’Essere filiale si è espressa in una vera umanità, per il vincolo
ipostatico, personale. L’unione ipostatica non limita in alcun modo l’Essere Filiale divino del Verbo
consustanziale al Padre, ma efficacemente presenta e offre a noi, in questo sacramento primordiale,
originario, tutta la ricchezza della grazia e della partecipazione alla Vita divina.
L’umanità del Signore Gesù, nella sua pienezza di grazia, verità (Gv 1,14), di tutti i tesori della
sapienza e della scienza (Col 2,3), vive una vita autenticamente umana, di rapporti umani, e sempre
per tutto illuminare, risanare, portare al suo livello di Vita filiale.
L’Eucarestia non è una nuova incarnazione, cioè impanazione. Il pane ed il vino eucaristici sono
totalmente convertiti nel corpo e sangue di Cristo. Ma la presenza del Crocifisso glorioso nel
memoriale eucaristico è ancora nello stile dell’incarnazione, spinta sino alla croce, per prendere su di
sé tutta la peccaminosità umana per introdurci nell’amore del Padre, una vita risorta.
Le specie sacramentali del pane e del vino non limitano il corpo e sangue di Cristo, anzi servono
alla sua manifestazione ed efficacia santificatrice per l’uomo, in ogni tempo e luogo ove verrà
celebrato il suo Memoriale.
La filosofia aristotelica, in quanto per la sua radicale trasformazione operata da S. Tommaso
diviene filosofia cristiana, non può evidentemente esaurire il Mistero, che rimane tale, nella luce
superiore della carità divina, ma ne permette una sua intelligenza al di là di ogni irrazionalità.
La distinzione tra sostanza del corpo e sangue del crocifisso glorioso e le specie nelle quali si
manifesta e si dona a noi ancora sottoposti alla caducità di questo mondo, ci aiuta a risolvere la
questione del “cafarnaismo”, come il Signore si può dare a noi in cibo e bevanda (Gv 6,52); come
inoltre affermare la vera, ontologica presenza del Signore, senza scadere in un fisicismo in cui sembri
che si addenti, trituri, mastichi la stessa carne di Cristo, si beva il suo sangue?
La sostanza del Crocifisso glorioso si dona a noi, Corpo dato e Sangue versato in Sacrificio, nel
Sacramento, per alimentare, nutrire la nostra vita filiale e fraterna, nella carità Spirito Santo, che è già
inizio di vita eterna, risorta, e così rimanere in noi; ma sono le specie sacramentali, attraverso cui si
manifesta e dona a noi, che sono mangiate e bevute.
Anzi sappiamo che si dà un Unico Signore, crocifisso glorioso, che la sua sostanza non viene
spezzata, moltiplicata nella molteplicità delle Celebrazioni, con le loro ostie e calici, ma viene,
restando unica, resa presente nella molteplicità dei tempi e luoghi della vita della Chiesa e dei suoi
discepoli.
Si moltiplicano e si spezzano le ostie perché l’unico Signore sia accolto e santifichi la
molteplicità dei discepoli, ma minimamente si moltiplica l’unica sostanza dell’unico Crocifisso
glorioso, presente nella molteplicità delle specie Eucaristiche.
S. Tommaso ha saputo esprimere questa intelligenza del Mistero, che risponde saggiamente alle
domande del credente, non solo nelle sue opere teologiche, ma anche nelle sequenze, inni dell’Ufficio
120
della solennità del Corpus Domini: una catechesi popolare, che diviene preghiera intelligente, di facile
assimilazione.
Citiamo dal Lauda Sion, la sequenza della Messa:
«Cristo lascia in sua memoria ciò che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo.
È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino.
Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura.
È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi.
Mangi carne, bevi sangue, ma rimane Cristo intero in ciascuna specie.
Chi ne mangia non lo spezza, né separa, né divide: intatto lo riceve.
Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato.
Quando spezzi il sacramento, non temere, ma ricorda: Cristo è tanto in ogni parte, quanto
nell’intero.
È diviso solo il segno, non si tocca la sostanza; nulla è diminuito della sua persona».
Questa teologia della presenza sostanziale afferma una assoluta oggettività del vero corpo e
sangue di Cristo: il sacerdote che celebra secondo la fede della Chiesa rende presente sostanzialmente,
nell’oggettiva realtà, il corpo dato ed il sangue versato, sia per chi ha fede, sia per chi è incerto nella
propria fede, sia per chi non crede.
S. Tommaso spinge la propria oggettività al di là di quella di S. Bonaventura. Risulta dalla
questione che si ponevano questi autori: cosa mangia il topo che per disavventura rodesse l’ostia
consacrata?
S. Tommaso sostiene che il sorcio mangia il vero corpo di Cristo, perché gli accidenti del pane,
finché restano incorrotti, sono segno della sostanza del corpo di Cristo, e dove si trovano gli accidenti,
lì si trova, tramite gli stessi accidenti, la sostanza del Corpo di Cristo.
S. Bonaventura, pur nella stesa fede dell’oggettività del corpo di Cristo nel sacramento,
imposta la questione in modo molto personale: Cristo è nelle specie per un uso unicamente umano,
questa è la sua volontà istitutiva del memoriale conviviale; poiché la manducazione da parte del topo è
al di fuori di questa volontà istitutiva di Cristo, non si può sostenere che il topo mangi il corpo di
Cristo.
Tommaso giudica questa opinione severamente, come una deroga alla verità del Sacramento,
mentre Bonaventura, rispondendogli, sostiene che qualunque sia il valore dell’opinione di Tommaso, i
suoi argomenti non impediscono che le pie orecchie aborriscano di sentire che il corpo di Cristo sia nel
ventre del topo, e pertanto questa opinione è la più comune e certamente la più conveniente e la più
conforme alla ragione. Giustamente Bonaventura afferma che sia opinione comune che il topo non
mangia il corpo di Cristo; ciò che Bonaventura ha aggiunto di proprio è un forte argomento teologico:
l’ordinabilità ad un uso umano»138.
La teologia della presenza sostanziale ha così raggiunto un alto grado di maturità nella grande
teologia del sec. XIII: si alimenta nella celebrazione, nelle Questiones dei teologi raggiunge un alto
138
MAZZA, E., La celebrazione eucaristica cit., 259.
121
livello di scientificità, e di impegno della ragione. Questo risulta certo massiccio, senza però
distaccarsi dalla vita religiosa del popolo di Dio, anzi ne alimenta una solida devozione eucaristica. S.
Tommaso ne ha lasciato un luminoso esempio nell’Ufficiatura del Corpus Domini.
Qui risulta la piena consapevolezza dell’Eucarestia come nuova Pasqua; Cristo ha comandato di
fare in sua memoria ciò che ha fatto nell’ultima cena. Così ha istituito il suo sacrificio, affidato ai soli
sacerdoti, perché lo assumano e servano ai fratelli, nella prospettiva dei beni eterni, della tavola del
cielo.
La teologia quasi perfetta della presenza vera e sostanziale è sempre accompagnata dalla
consapevolezza del sacrificio di Cristo per la comunione, la qualità della vita cristiana orientata ai beni
eterni. Come la salvezza ci è stata procurata dalla morte di Cristo, così il Sacramento ci è dato sotto le
due specie, perché fosse memoriale e ripresentazione della Passione del Signore.
Si tratta della convinzione comune di questo secolo: «L’Eucarestia è un sacrificio in quanto è il
sacramento del corpo e del sangue di Cristo; la realizzazione del Sacramento, cioè la conversione, la
presentazione sotto due specie distinte del Corpo e del Sangue di Cristo, è nello stesso tempo il
Sacrificio… L’azione sacramentale, simbolicamente rappresentativa, realizzata nella celebrazione
eucaristica, presenta alla nostra epoca, per la virtus divina (indipendente dal tempo e dallo spazio)
l’unico sacrificio di Cristo. Ciò che il sacrificio della Croce ha fatto per il mondo, questo sacramento
lo realizza per l’individuo»139.
Questa diffusa consapevolezza, che si esprime anche in quæstio distinta, come in S. Th. III, q
83, art 1, non conosce una trattazione sistematica, che ne analizzi i vari aspetti, come per la presenza
sostanziale. Si potrebbe anche parlare di un ritardo teologico, che è stato avvertito acutamente quando
la riforma del sec. XVI ha duramente contestato il sacrificio della Messa. Certamente tutta la Somma
Teologica tratta «...dell’opera del Cristo, che sommamente sapiente ed amico (S. Th. I-II, q106,art 4)
conforma nella sua carità il suo Corpo Mistico, che porta compimento in Lui la sua missione a gloria
del Padre. “O sacro convito nel quale Cristo è mangiato, si fa memoria della sua passione ed è dato a
noi il pegno della gloria futura”»140.
Sacrificio è ciò che porta alla comunione beatificante con Dio e i santi, superando e
distruggendo l’ostacolo del peccato. Ora tutto l’impianto della Summa Theologica di Tommaso
introduce a questo: tutto scaturisce dalla Trinità creatrice, per il Verbo nello Spirito Santo, affinché
tutto ritorni ad essa, nella comunione beatificante, per la missione redentrice del Verbo incarnato, nel
dono dello Spirito Santo. L’uomo risponde attivamente, nella propria vita morale, qualificata dalle
virtù infuse, doni dello Spirito Santo, beatitudini (tutta la seconda parte della Summa).
L’Eucarestia è il vertice della Summa Theologica, perché è l’ultimo argomento direttamente e
completamente steso dal Santo; vertice di questa ascesa verso la comunione beatificante, che è la
139
NEUNHEUSER, B., L’Eucharistie II. Au Moyen Age et à l’èpoque moderne,(= Histoire des dogmes,
IV, Sacraments, fasc. 4b), Cerf, Paris 1966, 87.
140
MONGILLO, D. , L’Eucaristia, suprema rivelazione dell’agape di Dio, norma dell’Agape della
Chiesa nel mondo. Riflessioni ispirate dal pensiero di S. Tommaso, in Teologica & Historica, IX, Cagliari 2000,
187.
122
trama vera della sistematica di Tommaso. Il Sacrificio di Cristo, della Chiesa, del cristiano è quindi
considerato ovunque.
Ma è ancora come implicito, certo estraibile, non ancora sufficientemente elaborato.
L’attenzione dei teologi è stata concentrata sulla questione della presenza, sicuramente una presenza
sacrificale, ma la crescita della teologia non è stata omogenea.
II.1.11 La teologia astrusa e senza gioia dei sec. XIV e XV: il Nominalismo
Il quadro teologico peggiora nettamente nel sec. XIV nel nuovo contesto di filosofia
nominalistica. Essa da grande rilievo all’individuo, all’osservazione, ma dimostra sfiducia nella
capacità razionale dell’uomo, di cogliere la verità oggettiva, fondata nella partecipazione all’essere.
Tutto il contrario della filosofia, e quindi per riflesso la stessa teologia di S. Tommaso: esse
sono fondate in una comunione ontologica, tra la pienezza assoluta di Dio, e la partecipata e limitata
realizzazione creaturale; prevale certo la dissomiglianza tra l’infinita perfezione di Dio e la partecipata
e limitata perfezione delle creature, ma si danno ponti di comunione ontologica.
Ora invece si assottigliano gli strumenti razionali per avere una possibile intelligenza della
Fede, prevale l’esaltazione della volontà divina, sino all’arbitrarietà.
Rappresentante di questo nuovo modo di fare teologia è Guglielmo di Ochkam (+1349). In
campo eucaristico fa chiara professione di fede secondo l’insegnamento della Chiesa romana, ma
l’insieme della sua teologia è un concentrarsi su questioni speculative, dimenticando che si tratta del
Memoriale della Passione, di un atto di amore, di comunione di vita.
La transustanziazione attira l’interesse speculativo, ora sviluppato in modo logico: si perde il
senso della sostanza, in senso creaturale-metafisico, per una considerazione piuttosto sperimentale.
Non si distingue più la sostanza dalla quantità, gli accidenti.
Ochkam giunge a ritenere che l’opinione dell’‹‹impanazione››, per cui si conserverebbe la
sostanza del pane, sarebbe più ragionevole, più facile ad insegnare. Ma dopo avere accumulato con
sottili procedure logiche tante difficoltà sulla conversione della sostanza del pane nel Corpo del
Signore, non vuole allontanarsi dall’insegnamento concorde della Chiesa e dei suoi Dottori.
Manca la gioia dell’intelligenza della fede, perché viene a mancare una dimensione filosofica:
l’apertura umana, anche se minima, al mistero trascendente, che la può realizzare; quasi un credo,
benché si tratti di cose irrazionali.
Una teologia con ampi sviluppi di logica, di filosofia naturale, in prospettiva nominalistica, con
ridotto senso religioso, sacramentale.
Ciò che in Ochkam rimane travaglio di pensiero, difficoltà nell’intelligenza della fede,
mancanza del Gaudium veritatis, in J. Wycliff (+1384) diviene rinuncia e opposizione
all’insegnamento della Chiesa. «Per lui il sacramento conteneva per natura il pane ed il vino, e
(inoltre), ma solamente in modo sacramentale, il corpo ed il sangue di Cristo. Dopo la consacrazione,
che non è altro che la santificazione della sostanza, l’ostia rimane localiter et substantialiter pane, ed
123
essa diviene concomitanter il Corpo di Cristo. Il pane ed il vino dimorano così nella loro propria
natura, non solo nelle apparenze degli accidenti»141.
Tali espressioni indebolivano, esprimevano in modo estremamente molto vago, il dogma della
presenza reale, ed equivalevano ad una negazione della transustanziazione.
Le dottrine riformatrici di Wiclif, insieme a queste incertezze ed errori eucaristici, vennero
condannati prima dalle autorità accademiche ed ecclesiastiche di Oxford e di Canterbury, e poi dal
Concilio di Costanza nel 1415, (DH 1151-1153.)
Tale concilio si interessò pure della forte agitazione riformatrice che le idee di Wiclif
suscitarono in Boemia.
Loro capo fu J. Hus, che non volle seguire la via di Wiclif nella contestazione della
transustanziazione; le sue difficoltà eucaristiche si concentrano sulla questione del calice, da
concedersi necessariamente ai laici.
In Boemia la comunione sotto le due specie era divenuta una questione fondamentale, una
questione di salvezza. Conosciamo la tristissima storia del comparire di J. Hus al Concilio di Costanza,
la sua contestazione sulla comunione al Calice, che unita alle questioni politiche interne dell’agitato
regno di Boemia, portarono alla sua esecuzione capitale, nel 1415. Giovanni Paolo II, nella sua visita
nella Repubblica Ceca, per la canonizzazione di Jean Sarkander, ha chiesto nel 1995 perdono, a nome
di tutti i cattolici, per i torti causati ai non cattolici, nel corso della storia presso i Moravi 142.
La teologia eucaristica dei sec. XIV e XV si presenta poco soddisfacente: il concentrarsi troppo
su questioni marginali più logiche che sacramentali, il venir meno dell’opportuno strumento razionale,
una certa dimenticanza del memoriale, unita alla lacerazione del tessuto ecclesiale per progetti di
riforma portati avanti con agitazione di animo, al di fuori della carità e comunione ecclesiale. Le
debolezze, scismi ed errori della vita della Chiesa sono sempre accompagnate e favorite dalla
incomprensione del mistero Eucaristico.
Ma come ci avvisa B. Neunheuser 143,. insieme a queste debolezze, unite ad altre di pietà e
devozioni alquanto distorte, si conservava nel popolo cristiano la convinzione di fede che la S. Messa
è la ripresentazione sublime del Sacrificio della Croce, sorgente abbondante di benedizioni terrestri e
celesti, e così, nonostante tutto, anche in questi tempi così tristi, un fiume abbondante di grazia
scorreva dalla celebrazione del Sacrificio della Nuova Alleanza nel cuore di milioni di Cristiani.
Neppure mancavano lavori teologici e pastorali corretti, come il Commento al Canone di G.
Biel (+1495), un maestro di teologia conosciuto e stimato da M. Lutero; parimenti nel Vocabolarius
theologicus (1517) di Altensteig, si professava: «La S. Messa è un sacrificio, il sacrificio della Chiesa,
nella quale si commemora il sacrificio unico di Cristo, per appropriarselo e ricavarne frutto». 144
141
NEUNHEUSER, B., L’Eucharistie II cit., 103.
142
GIOVANNI PAOLO II, Lettera al Dott. P Smetana, Sinodal Senior of the Evangelical Church of
Czech Bretheren, in Insegnamenti, XVIII, 1, 1995, LEV ,1115-1117
143
NEUNHEUSER, B., L’Eucharistie II. cit., 101s.
144
Ibidem, 107
124
Proprio intorno alla comprensione del sacrificio della S. Messa l’unità della Chiesa ha
conosciuto la più grave lacerazione di tutti i tempi; vera lacerazione, perché dalla incomprensione
teologica si è passati alla manomissione del Canone, al rifiuto della S. Messa come sacrificio di Cristo
e quindi del corrispondente sacerdozio ordinato.
II.1.12 La presenza vera, reale, sostanziale del corpo dato e del sangue versato in
sacrificio, nel Concilio di Trento e nella Riforma
Il 1500 si presenta come il secolo della grande lacerazione ecclesiale; abbiamo già considerato
come alla sua origine, provocando alterazioni liturgiche praticamente, allora, irreversibili, risulti
decisiva l’incomprensione della presenza sacrificale del Signore nel memoriale eucaristico: di qui
l’importanza unica, nella prospettiva ecumenica, dello studio che intraprendiamo.
Durante la solenne commemorazione del 450° anniversario dell’inizio del Tridentino (1545),
Giovanni Paolo II, il 30/4/1995, affermava nel Duomo di Trento: «Numerosi erano infatti i problemi
che agli albori del XVI sec. affliggevano la Chiesa, rendendo urgente una profonda riforma. In
particolare la riflessione teologica accusava ritardi di fronte ai grandi interrogativi, intellettuali e
religiosi, che fermentavano la cultura del tempo, ed offriva in tale modo il fianco all’errore dottrinale.
In così preoccupante contesto, il Tridentino ripropose la dottrina cattolica in maniera precisa ed
inequivocabile. Era una chiarificazione dogmatica che, in più di un caso, non si limitò a ristabilire la
verità negata, ma valorizzò anche, riportandole nell’alveo cattolico, significative istanze messe in
luce dalla riforma protestante».
Così non ci stupiremo del risultato attuale del dialogo tra la Chiesa Cattolica e la federazione
Luterana mondiale, che ha portato alla Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione,
siglata il 31/10/1999.145
Il S. Padre nel suo discorso a Trento cita in proposito il Decreto sulla Giustificazione, che
salvaguarda l’assoluto primato della Grazia di Dio e della sua opera in ordine alla salvezza dell’uomo,
riaffermando insieme il ruolo da Cristo assegnato alla Chiesa e Sacramenti; mentre sottolinea con
vigore l’opera di Dio, la necessità della fede, il Tridentino si appellò alla responsabile cooperazione
dell’uomo nell’accogliere e corrispondere all’opera di Dio. Questo obiettivo risanamento dell’uomo
peccatore è alle radici di un autentico umanesimo.
In questo contesto, Giovanni Paolo II pone nel massimo risalto l’insegnamento tridentino sul
tema che ci sta a cuore:
«Altro frutto importante del concilio, che investe in maniera centrale e decisiva la vita di fede
del popolo cristiano, è il decreto sull’Eucarestia.
Di fronte ad una prassi a volte poco illuminata, che aveva offerto ai riformatori l’occasione di
porre in discussione il valore della Messa come sacrificio, il Concilio seppe formulare una teologia
dell’Eucarestia, che ci appare ancor oggi sorprendentemente perspicua».
145
PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITA’ DEI CRISTIANI,
Dichiarazione congiunta sulla dottrina della Giustificazione, in EV 17, 744-817; Conferma ed Allegato, in EV
18, 1080-1095.
125
Il S. Padre, tra i decreti promulgati circa l’Eucarestia (sono tre: Presenza, nel 1551, Comunione,
nel 1562, e Sacrificio, nel 1562), pone in grande risalto quello che più risolveva, nelle sue stesse
radici, le difficoltà del secolo XVI, cioè il Decreto sul sacrificio della S. Messa; essa ripresenta in
modo mirabile il Sacrificio della Croce, consumato una volta per sempre sul Calvario:
«Di quell’unico sacrificio la Messa è perenne ed efficace memoriale, e ne applica la virtù
salutifera in remissione dei peccati».
Aggiunge Giovanni Paolo II:
«A monte e a garanzia del realismo sacrificale della Messa, il concilio, in una precedente
sessione, la XIII, aveva sottolineato con espressioni precise ed inequivocabili (vere, realiter,
substantialiter), la realtà della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche del pane e del vino». 146
Seguendo questo schema di riflessioni storiche dogmatiche, riprendiamo ora il discorso sulla
situazione ecclesiale del secolo, la prospettiva nominalista che rischiava di disarticolare tutto: grazia e
natura, Dio e uomo, Chiesa, sacramenti, vita morale.
Esaminiamo anzitutto le difficoltà e le soluzioni, la nuova prassi eucaristica dei riformati, per
poi esaminare la risposta e le chiarificazioni offerte dal Tridentino.
II.1.13 Contestazioni e nuova prassi della riforma: dal sacrificio della Messa alla Cena
del Signore
La crisi di fede, sino al rifiuto rituale della Messa sacrifico, ha rappresentato il vero e consumato
naufragio dell’unità cattolica, il segno evidente della lacerazione avvenuta.
Per capire quanto avvenuto, e quindi facilitare il dialogo ecumenico, la ricomposizione
dell’unità cattolica, entriamo alquanto nella mens dei riformatori.
La Salvezza è dono, opera del solo Dio, per il Sacrificio della Croce: su questo la riforma
presenta una forte sensibilità evangelica, secondo la perenne fede della Chiesa, e stimola la riflessione
anche del Tridentino. Subentrano quindi le prospettive nominalistiche, che rendono difficile il dialogo
Dio-uomo, grazia creata-increata, virtù infuse-vita morale, in una teologia di comunione.
Ne segue, come ricorda il S. Padre a Trento, «…una problematica reinterpretazione del ruolo
dell’uomo religioso e della Chiesa»147.
Anche l’umanità di N. S. Gesù Cristo è sottoposta a notevole incomprensione nel suo ruolo
salvifico, “strumentale”148; è come schiacciata sotto la Croce, salva sub contraria specie, con una certa
tendenza all’irrazionale. Il sacrum commercium tra la persona filiale divina e l’uomo in Gesù, la
communicatio idiomatum, sviluppata con sfumature diverse, introducono una certa confusione tra la
146
GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione per il 450 anniversario dell’inizio del Concilio di Trento, in
Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII,1 Lib. Ed. Vaticana 1997, pag 1995; La Documentation catholique,
XCII (1995) n 2117, 539s
147
Ibidem
148
Cfr. CONGAR, Y. , Luterana. Théologie de l’Eucharistie et Cristologie chez Luther, in Rev. Sc. Ph.
et Th. 66 (1982) 169-197.ID., Dottrine christologiques et thèologie de l’Eucharistie, in Rev. Sc. Ph. et Th. 66
(1982) 232-243.
126
natura umana e divina; Lutero accarezzerà un certo ubiquismo cristologico: Cristo uomo è presente
ovunque, come lo è Dio.
La Messa-sacrificio risulta un’opera buona umana, che contrasta la salvezza per il solo
sacrificio della Croce, accolto nell’interiorità della fede fiduciale; è quindi da abolire, limitandosi al
puro dato evangelico (?!) della Cena del Signore. Negata la Messa-sacrificio, risulta pure abolito il
Sacerdozio ordinato, il valore propiziatorio della Messa per il perdono dei peccati, la Messa privata e
quella in cui il solo sacerdote comunica…
Nella Cena del Signore, testamento con l’assicurazione del dono del perdono dei peccati, viene
posto in risalto il sacramento, l’aspetto discendente di grazia da accogliersi con fede; e questo in
separazione all’aspetto ascendente, del sacrificio di Cristo, che ci ha portato alla piena comunione col
Padre.
Lutero si mostra anche disposto ad accettare in qualche modo la messa come sacrificio, ma solo
come lode, ringraziamento del cristiano a Dio, intercessione; anche come ricordo, ma puramente
soggettivo dell’unico sacrificio gradito al Padre, cioè la passione del Signore. Considera inoltre
sacrificio il darsi di Cristo in comunione al cristiano nella Cena, anche il dono di carità del battezzato
ai fratelli.
Condizione fondamentale di queste concessioni deve risultare la pari e assoluta capacità
sacrificale del Prete e del laico nell’offrire il sacrificio di lode, nel ricordo soggettivo della Passione.
Sull’inesistenza di un Sacerdozio ordinato per celebrare in persona Christi, secondo il “tipo di Cristo”
il suo Memoriale, oggettiva ripresentazione del sacrificio della Croce, Lutero ha espressioni molto
forti149.
A queste incertezze, errori circa il Sacrificio eucaristico, corrispondono incertezze, errori circa
la presenza reale di Cristo nell’Eucarestia: ci si salva per la fede fiduciale soggettiva, non per la
ripresentazione oggettiva del corpo dato e del sangue versato, del Sacrificio unico nella celebrazione
del Memoriale pasquale, nella fede della Chiesa apostolica e del credente in essa.
Entrando nella dottrina dei riformati circa la presenza del Corpo e del Sangue di Cristo, notiamo
una notevole divaricazione di posizioni.
Lutero cerca di salvare una certa oggettività sostanziale, anzi la sua dottrina in proposito
rappresenta un’eccezione al suo tendenziale soggettivismo. Le parole consacranti “questo è il mio
corpo” conservano una forza veramente efficace, in forza della celebrazione nella comunità dei
credenti, riunita nel nome di Cristo, per accogliere la sua promessa.
Lutero, pur usando il termine di sostanza del corpo e del sangue, rifiuta la “transustanziazione”
come indebito aristotelismo. Cristo è presente sostanzialmente nel pane, nel suo “uso”, la comunione,
come dicono anche gli altri riformatori.
149
Cfr. LUTERO, M. , Opere scelte, 7, Messa, sacrificio, e sacerdozio, Un sermone sul Nuovo
Testamento, cioè sulla S. Messa (1520); Giudizio di M. Lutero sulla necessità di abolire la Messa privata
(1521); La Messa privata e la consacrazione dei preti (1533), a cura di NITTI, S. , Claudiana, Torino 1995, 129
passim. ID. Scritti religiosi, a cura di VINAI, V. , UTET, 1967: Sermone sul venerabile sacramento del santo
vero corpo di Cristo e sulle confraternite, 297-322; Messa in volgare e ordine del servizio divino, 653-672.
127
Per Lutero questo “uso” va al di là della comunione ricevuta con fede soggettiva, Cristo è qui
per me; Cristo vi è presente per la fede della comunità nella sua promessa, il dono-testamento della
Cena. Parla anche di comunione agli ammalati, quindi “uso” verrebbe ad indicare una celebrazione
conforme alla volontà istitutiva di Cristo.
Si presentano subito restrizioni: non è sacrificale, non avviene per conversione della sostanza
del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Signore; e quindi nel pane, con il pane, “impanazione”;
inoltre per la comune presenza in ogni cosa dell’Umanità di Cristo, si tratterrebbe della comune
presenza di Cristo in ogni pane, anche se qui, per la fede nella parola-promessa di Cristo so che è
presente per me, per la comunità riunita.
Come osserva J. Lortz, non si può costruire una norma oggettiva solo su motivazioni e opinioni
personali, soggettive e oscillanti, fare dipendere i contenuti dell’eucarestia da un Dottore privato 150.
Calvino si oppone alla presenza in ogni luogo dell’umanità di Cristo: è solo in cielo, nella gloria
del Padre, non è nell’Eucarestia. Essa ci permette di ascendere, nello Spirito Santo, al Cielo, ove c’è
Cristo. Tutto si riassume nel sursum corda... A questa bella teologia dell’Ascensione non corrisponde
il supporto di una teologia dell’Incarnazione, la presenza con Noi del Verbo incarnato, crocifisso e
glorioso, per realizzare nella sua Pasqua l’ascensione al Padre 151.
Zwingli afferma in modo molto più spiccato una pura concezione simbolica.
La dimensione drammatica, realizzante la tristissima lacerazione della Chiesa, di queste
riduzioni dottrinali si manifesta quando diventano addirittura nuova prassi liturgica. Lex credendi e lex
orandi celebrandi vengono ,in modo corrispondente, alterate: in contrasto con l’armonia tra la lex
orandi e la lex credendi, come sempre si è realizzata nella Chiesa apostolica.
Nel tempo dei Padri apostolici, nello stesso substrato si sono formati il Simbolo battesimale
apostolico, la Preghiera eucaristica, la Scrittura ispirata riconosciuta come tale dalla Chiesa apostolica;
le decisioni dogmatiche sulla Cristologia avvengono nel contesto eucaristico, la sua verità celebrata e
vissuta, come poi a sua volta la chiarificazione cristologica e pneumatologica (Nicea,
Costantinopolitano I e III, Efeso e Calcedonia), influirà beneficamente per la completezza della
Preghiera eucaristica: l’epiclesi pneumatologica... Fornirà anche la categoria corretta, sostanza, oÛs…
a, per superare la crisi della teologia simbolica eucaristica, nel concilio Romano del 1079.
Ma ora una teologia riduttiva guida e forza una riforma liturgica, facendo violenza ai contenuti
di fede del Canone, cioè la stessa lex orandi. Lutero, più ancora che organizzare direttamente, dovette
accettare una radicale riforma liturgica attuata nel convento agostiniano di Wittenberg da un monaco
agostiniano boemo, G. Zwilling, durante il suo ritiro nella fortezza della Wartburg (1521). Ma i suoi
scritti Un sermone sul Nuovo Testamento, cioè sulla S. Messa, e La Cattività babilonese, ambedue del
1520, avevano preparato il terreno.
150
Cfr. LORTZ, J. , Storia della Riforma in Germania, vol. I, Jaca Book, Milano 1971, 425s.
151
Cfr. RATZINGER, J. - BEINERT, W. , Il problema della transustanziazione ed il significato
dell’Eucaristia, ed. Paoline, Roma 1969,
128
In quest’ultimo scritto denunciava tre abusi circa la S. Messa: il più orrendo era la concezione
della S. Messa come opera buona, sacrificio che deroga all’unico sacrificio della Croce, inoltre il
calice negato ai laici e la transustanziazione.
La nuova liturgia luterana trovava il suo testo nella Formula Missae del 1523: fermo restando
che la struttura della liturgia della parola resta immutata come nel rito romano, la liturgia eucaristica,
ancora in latino, si riduce all’offertorio, al dialogo del prefazio, seguito dal prefazio e dal racconto
dell’ultima cena, dal canto del Sanctus e del Benedictus, il Padre nostro e la comunione sotto le due
specie.
Più radicale la riforma della Deutsche Messe (1525), ad iniziare dalla lingua, il tedesco (Lutero
ha già completata la buona traduzione del Nuovo Testamento). Si passa dalla liturgia della Parola alla
Cena «...con una parafrasi catechistica del Padre nostro e con una esortazione a ricevere il Sacramento.
Seguono le parole della consacrazione, nella recensione di Paolo-Luca: immediatamente dopo le
parole sul pane c’è la comunione al corpo di Cristo, poi, recitate le parole sul calice, c’è la comunione
al sangue di Cristo. Il racconto istitutivo viene cantato col tono del Vangelo. È conservata l’elevazione
e durante la comunione si fanno dei canti appositi, tra i quali il Sanctus e l’Agnus Dei in tedesco152.
Così il canone viene praticamente soppresso, la liturgia eucaristica viene ridotta alle parole della
consacrazione, o come dice Lutero al testamento di Cristo, e alla comunione; la preghiera eucaristica,
non più percepita nei suoi contenuti, è come sostituita dal canto di lode della Comunità.
Contemporaneamente Zwingli inaugura la nuova pratica religiosa a Zurigo (1525), ed in modo
ancor più radicale: La Cena, cioè il racconto dell’istituzione, e la comunione, avveniva quattro volte
l’anno.
A Ginevra il testo di Calvino La forma delle preghiere e di canti ecclesiastici, con il modo di
amministrare i Sacramenti e di consacrare il Matrimonio, secondo l’usanza della Chiesa antica, viene
edito nel 1542; ma fin dal 1533 i riformati di lingua francese facevano riferimento ad un ordinamento
del culto di G. Farel, dal titolo simile153.
La chiesa anglicana deve a Thomas Cranmer, col Libro della preghiera comune, nel 1549, una
nuova liturgia eucaristica.
Cranmer sembra volere avvicinare tra di loro le teologie eucaristiche molto divergenti di Lutero
e di Zwingli, da uomo colto, capace di riflessione indipendente per una notevole conoscenza della
Scrittura e dei Padri. Ha sicuramente abbandonato su due punti la dottrina eucaristica cattolica: la
concezione sacrificale, a somiglianza degli altri riformati, e la presenza corporale del Signore negli
elementi per transustanziazione.
152
MAZZA, E., La celebrazione eucaristica., cit 282.; H.GRASS, Luther et la liturgie eucharistique, in
B.Botte ed., Eucharisties d’orient et d’occident, (=Lex orandi 46), Cerf, Paris 1970, 135-149; TH. SUESS,
L’aspect sacrificiel de la Sainte Cène a la lumière de la tradition luthérienne, ibidem, 151-170
153
FAREL, G. , aveva già nel 1524, a Neuchatel, pubblicato un’opera di riforma liturgica di analogo
tenore: cfr. CALVINO, G. , Il piccolo trattato sulla S. Cena, nel dibattito sacramentale della riforma, a cura di
TOURN, G. , Claudiana, Torino 1987, 53, nota 156.
129
La nuova liturgia anglicana esprime questa duplice riduzione dottrinale, non con la soppressione
del Canone, come avvenuto nelle chiese riformate del continente, ma con una diversa organizzazione
delle preghiere. Per esempio, nella prima parte del canone si offrono a Dio le preghiere della
comunità, e non i doni del pane e del vino; non si dà più l’elevazione dell’ostia e del calice.
Nell’anamnesi si fa la memoria della passione e della risurrezione e ascensione di Cristo, ma non
l’offerta dei doni eucaristici; ad essa si sostituisce l’offerta di noi stessi, preghiere e suppliche. Si
conclude con la Dossologia ed il Padre Nostro.
Per evitare un’interpretazione cattolica del canone semplicemente rimaneggiato, nel 1552 viene
pubblicata una nuova messa anglicana, in cui il Canone non viene abolito, ma ulteriormente
modificato, in modo che possa esprimere senza ambiguità la nuova dottrina eucaristica: fare memoria
della morte di Cristo in Croce, l’unico sacrificio, e offrire a Dio noi stessi e le nostre preghiere, infatti
la materia del sacrifico sono gli stessi credenti.
La recita dell’istituzione eucaristica non ha forza consacratoria sugli elementi, perché la loro
santità risiede nel loro uso, e non nel pane e vino in se stessi.
Questo rito del 1552 conobbe qualche ritocco nel 1559, sotto la regina Elisabetta, con una
indicazione più positiva della presenza di Cristo nel Sacramento. La tendenza, nelle complesse
vicende politiche e religiose dell’Inghilterra e della Scozia, è verso un recupero dei contenuti cattolici
del Canone.
Il Libro della Preghiera comune approvato dal Parlamento nel 1662, dopo la restaurazione della
monarchia e della Chiesa anglicana, riprende la preghiera eucaristica di Cranmer, ma vi aggiunge
delle rubriche, in cui la narrazione dell’Istituzione è presentata come Preghiera di consacrazione degli
elementi.
Specialmente attraverso una migliore conoscenza delle preghiere eucaristiche orientali, fu
composto e approvato dalla Chiesa anglicana nel 1928 un rito molto migliorato. Non fu votato dal
Parlamento, ma influì sui canoni delle altre Chiese anglicane al di fuori del regno unito 154.
Vedremo come con Arcic II (Anglican Roman Catholic International Commission), la
convergenza eucaristica è riconosciuta completa, eccetto per quanto riguarda la custodia del SS.
Sacramento.
Ma ritorniamo ora alla posizione presa dal Concilio di Trento in materia eucaristica.
154
Cfr. WYBREW, H. , La prière eucharistique dans la Tradition anglicane, in BOTTE, B. , ed..,
Eucharisties d’orient et d’occident, (=Lex orandi 46), Cerf, Paris 1970, 181-197.
130
Poiché i canoni (DH 1651-1661) sono stati sottoposti a lunga discussione e contengono le prese
di posizione di fede rispetto agli errori, iniziamo da essi, cercando poi nei Capitoli gli sviluppi
dottrinali corrispondenti.
Can. 1 - DH 1651. Nel SS. Sacramento è contenuto vere, realiter, substantialiter il Corpo ed il
Sangue di Cristo, tutto Cristo: è anatema chi lo negasse, come anche chi affermasse che è presente
solo in signo, vel figura, aut virtute.
Vere, realiter e substantialiter definiscono la presenza del corpo e del sangue in modo
inequivocabile: non è sufficiente vere, che può essere anche di un concetto nella mente; non basta la
specificazione del realiter, che può riguardare un’azione, un’efficacia: qui la verità e l’efficacia sono
dovute ad una presenza oggettiva, sostanziale, secondo l’essere proprio qui esistente, del corpo dato e
del sangue versato del Signore glorioso.
Il cap. 1 della dottrina (DH 1636), sviluppa tale insegnamento: lo stesso N. S. Gesù Cristo
sempre siede alla destra del Padre “secondo il suo modo di essere naturale”, e nondimeno è presente a
noi, in molti altri luoghi, sacramentalmente, sotto l’apparenza delle specie sensibili, con la sua
sostanza.
Un modo di esistenza difficile per noi ad esprimersi, ma che dobbiamo fermamente credere
come possibile a Dio con una riflessione illuminata dalla fede.
Il cap. 2 (DH 1638) parla della ragione, motivo dell’istituzione di questo santissimo sacramento:
lasciare a noi, mentre ritorna al Padre, le richezze del suo amore, nel memoriale della sua passione;
perché fossimo alimentati e fortificati da questo cibo spirituale, vivendo della sua vita, ricevendo
l’antidoto per essere liberati dalle colpe quotidiane e preservati dai peccati mortali; per ricevere un
pegno della gioia eterna e «persino un simbolo di quell’unico corpo, di cui egli è il capo (cfr. 1Cor
11,3; Ef 5,23), e a cui volle che noi fossimo congiunti come membra dal vincolo strettissimo della
fede, speranza e della carità, perché fossimo tutti unanimi nel modo di parlare e non vi fossero
divisioni tra di noi (cfr. 1Cor 1,10)».
Il Can. 2 (DH 1652) afferma la mirabile e singolare conversione di tutta la sostanza del pane nel
Corpo e di tutta la sostanza del vino nel Sangue, mentre rimangono soltanto le specie del pane e del
vino. La Chiesa in modo appropriatissimo chiama transustanziazione tale conversione; chi nega tale
mirabile e singolare conversione e afferma che rimane la sostanza del pane e del vino, è anatema.
Il cap. corrispondente, il 4, DH 1642, espone la dottrina con tre affermazioni “progressive”,
collegate:
dato rivelato fondamentale: nel suo memoriale Cristo ha detto che era veramente suo corpo
quello che offriva sotto la specie del pane
ne segue la continua persuasione della Chiesa, che il S. Concilio di nuovo dichiara: «attraverso
la consacrazione del pane e del vino si compie la conversione di tutta la sostanza del pane nella
sostanza del corpo di Cristo N. S., e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue».
e questa conversione fu dalla Chiesa Cattolica convenientemente e propriamente chiamata
transustanziazione. Qui il concilio ha consapevolezza del fatto storico, che mentre sin dai tempi
131
apostolici si parla con evidenza della trasformazione del pane e vino nel Corpo e Sangue del Signore,
ed è molto precoce l’uso della categoria sostanza (creatura, natura), la categoria transustanziazione
risulta più recente, degli inizi del II millennio.
La transustanziazione, indicando con chiarezza la conversione di tutta la sostanza del pane e del
vino nel Corpo e Sangue del Signore, viene usata dal magistero recente con intensificata predilezione.
La Mysterium fidei di Paolo VI (3/9/1965) fa addirittura un passo avanti rispetto al Tridentino: rivela
un legame causale tra la transustanziazione e la presenza reale:
«Cristo non si fa presente in questo sacramento se non per la conversione di tutta la sostanza
del pane nel corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nel suo sangue» (EV, II, 455).
«Il Credo di Paolo VI fa un ulteriore passo avanti ponendo un legame necessario tra
transustanziazione e presenza reale: “Christus non aliter praesens fieri potest quam per conversionem
totius substantiae panis in eius corpus et per conversionem totius substantiae vini in eius
sanguinem”(Cristo non può farsi presente in altro modo che per la conversione di tutta la sostanza del
pane nel suo corpo e per la conversione di tutta la sostanza del vino nel suo sangue) (n. 25)» (EV, III,
267-269).
Questa era la posizione di S. Tommaso d’AQUINO.(S.Th. III, 75, 2 in c)155.
Il Magistero di Paolo VI esprime un chiaro indirizzo a favore della dottrina di S. Tommaso, ma
non per questo vuole sciogliere la legittima discussione teologica tra gli autori del sec. XIV e anche
del sec. XVII.
«Oltre al vincolo tra “presenza reale” e “transustanziazione”, la Mysterium fidei rivela un altro
legame, connesso con la controversia “transustanziazione-transfinalizzazione”, dando la precedenza
ontologica alla prima riguardo all’altra: “Avvenuta la transustanziazione, le specie del pane e del vino
senza dubbio acquistano un nuovo significato ed un nuovo fine, non essendo più l’usuale pane e
l’usuale bevanda, ma il segno di un alimento spirituale; ma intanto acquistano un nuovo significato
ed un nuovo fine, in quanto contengono una nuova realtà, che giustamente denominiamo
ontologica”» (EV, II, 457)156.
Paolo VI, pur accogliendo benevolmente la più recente filosofia fenomenologica e simbolica,
che sottolinea la transignificazione e transfinalizzazione degli alimenti eucaristici, vuole assicurare un
frutto sicuro e senza ambiguità di tale intelligenza teologica del nuovo significato e fine, fondandoli
nella stessa novità ontologica, per transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e Sangue del
Signore.
In tale modo i frutti, fini del sacramento (unità nella carità del corpo ecclesiale, configurazione
delle persone a Cristo) vengono non solo simbolizzati, significati, ma realizzati dalla stessa presenza
corporale del Crocifisso glorioso nella pienezza del suo dono per noi 157.
Ma torniamo al Tridentino, al Decretum de SS. Eucharistia:: il Can. 3 (DH 1653) afferma che
Cristo è contenuto tutto intero in ognuna delle due specie ed in ogni parte di ciascuna specie, quando
155
LIGIER, L., Il Sacramento dell’Eucarestia. cit., 237.
156
Ibid., 237s.
157
Cfr. per tutta questa interessante riflessione teologico-filosofica: ibid., 220-251.
132
venisse divisa; nel Can. 4 (DH 1654) si anatematizza chi sostenesse che il corpo ed il sangue del
Signore vi sono solamente durante l’uso (la comunione), ma né prima, né dopo nelle ostie consacrate
che si conservano.
Nel cap. 3 (DH 1639-1641) si danno le motivazioni: negli altri sacramenti, Cristo, autore della
santità, agisce quando vengono “usati”; invece nell’Eucarestia è presente lo stesso autore della santità,
prima dell’uso, la comunione.
Le parole di Cristo, usate nella consacrazione, dichiarano che sotto la specie del pane vi è il
corpo e che sotto la specie del vino vi è il sangue, ma trattandosi del Crocifisso glorioso, «in forza di
quella naturale unione e concomitanza, per cui le parti del Cristo Signore, che ormai è risorto dai
morti e non muore più (cfr. Rm 6,9), sono unite tra di loro; lo stesso corpo è sotto la specie del vino, e
il sangue dotto la specie del pane, e l’anima sotto l’una e l’altra specie. Inoltre la divinità è presente
per quella sua ammirabile unione ipostatica col corpo e con l’anima».
Ne segue l’adorazione con il culto di latria anche esteriore (can. 6 e cap. 5), la riserva
eucaristica (can. 7 e cap. 6).
Il Cap. 7 ed il can. 11, trattano della preparazione necessaria per ricevere degnamente la SS.
Eucarestia: la previa confessione dei peccati mortali, se vi è un confessore.
Il Cap. 8, ed i can. 8-10, parlano dell’uso di questo mirabile sacramento, per riceverlo con frutto
sacramentale e spirituale, dell’obbligo di riceverlo almeno a Pasqua.
«Per ricevere sacramentalmente la comunione è sempre stata tradizione nella Chiesa di Dio
che i laici la ricevessero dai sacerdoti, mentre i sacerdoti celebranti si comunicano da sé. Quest’uso
deve essere a buon diritto e con ragione conservato in quanto deriva dalla tradizione apostolica» (DH
1648).
Molto bella la conclusione del Decreto:
«Infine questo S. Sinodo con affetto paterno esorta, prega e scongiura, “grazie alla bontà
misericordiosa del nostro Dio” (Lc 1,78), che tutti i singoli cristiani una buona volta si uniscano e
siano concordi in questo “segno di unità”, in questo “vincolo di carità”, in questo “simbolo di
concordia”; e che memori della maestà così grande e dell’amore incomparabile di Gesù Cristo N. S.
che ha dato per noi la sua vita diletta come prezzo della nostra salvezza e la sua carne come cibo (cfr.
Gv 6,48-58), credano e venerino questi sacri misteri del suo corpo e del suo sangue con una fede così
ferma e solida, con tale devozione dell’anima, con tale pietà e venerazione, da poter ricevere
frequentemente quel pane supersostanziale (cfr. Mt 6,11), che sarà davvero per loro vita dell’anima e
perpetua sanità della mente. Fortificati dal suo vigore (1Re 19,8), da questo triste pellegrinaggio
possano giungere alla patria celeste, dove potranno mangiare, senza alcun velo, quello stesso “pane
degli angeli” (Sal 78,25), che ora mangiano sotto le sacre specie» (DH 1649).
II.1.15 Dottrina e canoni Comunione sotto le due specie e comunione dei fanciulli:
sessione XXI, del 16/7/1562
Si fanno le applicazioni pastorali a quanto definito nel Decreto precedente: essendo Cristo tutto
sotto ogni specie, non vengono defraudati di alcuna grazia necessaria per la salvezza coloro che si
133
comunicano sotto una sola specie; laici e chierici non celebranti non sono obbligati per disposizione
divina, a comunicarsi sotto le due specie (DH 1726s.1731-1733).
La Chiesa ha il potere di stabilire e mutare nell’amministrazione dei sacramenti, “fatta salva la
loro sostanza, quegli elementi che ritenesse più utili per chi li riceve, o per la venerazione degli stessi
sacramenti, a secondo delle diversità delle circostanze, dei tempi e dei luoghi”; così “approvò la
consuetudine di comunicare sotto una sola specie e decretò che fosse una legge vera e propria, che
non è lecito riprovare o cambiare a piacere, senza l’intervento dell’autorità della Chiesa stessa ” (DH
1728).
Parimenti i bambini prima dell’uso della ragione non sono obbligati a ricevere il sacramento
dell’Eucarestia, perché non possono perdere la grazia che hanno ricevuto con il Battesimo e
l’incorporazione alla Chiesa. Non si condannano i Padri santissimi che nell’antichità hanno
comunicato i bimbi neobattezzati, “dovettero avere un motivo plausibile… per agire così” (DH
1730.1734).
II.1.16 Dottrina e canoni sulla Messa sacrificio: sessione XXII del 17/9/1562 (testi
:Appendice VI.8.2 )
Già nell’agosto 1547 a Bologna i Teologi del Concilio iniziarono la discussione sugli articoli
dedotti dalle opere dei riformatori.
Lutero prevedeva che sul sacrificio della S. Messa “il concilio suderà e si esaurirà”. «La
predizione non si realizzò, ma non era del tutto falsa: infatti come per la giustificazione e la penitenza,
anche per il sacrificio della Messa il concilio si vide di fronte a questioni che non erano state trattate a
fondo né nella tarda scolastica e nemmeno nella teologia controvertistica» 158.
Discussione ripresa a Trento nel dicembre del 1551, elaborati e discussi canoni e dottrina, ma,
anche per l’accoglienza fatta ai teologi riformati di Wittemberg e Sassonia, non si arrivò alla
definizione, ed il Concilio venne sospeso nell’aprile del 1552.
Si riprese la discussione degli articoli sospetti dei riformati nel luglio del 1562. In tutte le
discussioni avvenute nei tre periodi interessati, non si levò mai voce che dubitasse che la Messa era
sacrificio, e che il Signore Gesù avesse dato, comandato di celebrarla: «Fate questo in memoria di me»
(Lc 22,19; 1Cor 11,23ss).
Le difficoltà erano teologiche, perché mai la teologia si era impegnata fondo sulle relazioni
Croce-Messa; il senso del memoriale biblico si era un poco oscurato, e la passione era piuttosto
percepita attraverso una certa drammatizzazione dei riti. Poiché era evidente che nella Messa si
realizzava il mandato del Signore di fare il memoriale-cena come Lui aveva fatto, sorgeva la questione
come la Cena del Signore poteva essere un Sacrificio, in relazione all’unico sacrificio della Croce.
Il testo approvato e definito esprime una grande maturità in una sintesi stringata. Anche i
capitoli di dottrina, insieme ai canoni, furono oggetto di prolungata discussione.
158
JEDIN, H. Storia del concilio di Trento, vol. III: Il periodo bolognese (1547-48), Il secondo periodo
tridentino (1551-52), Morcelliana, Brescia 1973, 479.
134
Nel can 1. (DH 1751) si definisce: nella Messa si offre a Dio un vero e proprio sacrificio; offrire
non significa solo dare Cristo a mangiare, la comunione.
Il cap. 1, L’istituzione del sacrificio della Messa, offre la dottrina sviluppata, concentrata in
particolare nel secondo periodo, (DH 1740), un periodo mozzafiato per la complessità delle
subordinazioni, che merita un attento esame:
inizia con una concessiva, etsi: si è tutti d’accordo, riformati e cattolici, che Cristo si è offerto
una sola volta sulla Croce per realizzare una redenzione eterna
con un tuttavia, quia tamen, si introducono tre proposizioni finali, che preparano le tre
proposizioni principali che concludono il periodo:
ut relinqueret: Cristo al fine di lasciare alla sua diletta sposa un sacrificio visibile, come esige la
natura umana
ut repræsentaretur, eiusque memoriam in fine sæculi permaneret: affinché venisse ripresentato
quel sacrificio cruento da compiersi una volta per tutte sulla Croce, e ne rimanesse la memoria sino
alla fine dei secoli
ut applicaretur: affinché si applicasse la salutare efficacia della Croce in remissione dei peccati
che commettiamo ogni giorno
si giunge così alle tre proposizioni principali:
obtulit: offrì a Dio suo Padre il suo corpo ed il suo sangue sotto le specie del pane e del vino,
secondo il nuovo sacerdozio eterno, l’ordine di Melchisedek
tradidit: li diede (corpo e sangue) in comunione agli Apostoli, che allora costituiva sacerdoti del
NT
præcipit: comandò ad essi e ai loro successori nel sacerdozio che li offrissero, con le parole
“fate questo in memoria di me”.
In sintesi: Cristo, unico sacerdote, capace di tutti santificare, portare a perfezione, sulla Croce,
una volta per tutte si è offerto al Padre, per la redenzione eterna; ha lasciato alla Chiesa sua sposa, un
sacrificio visibile, in modo conforme alla natura dell’uomo, per ripresentare-fare memoria, applicare i
frutti dell’unico sacrificio della croce.159
L’ultima cena è un vero sacrificio, perché in essa ha offerto al Padre il suo corpo ed il suo
sangue, sotto le specie del pane e del vino. Comunicandoli agli apostoli li costituì sacerdoti del NT, e
diede ordine di celebrare questo sacrificio-memoriale in sua memoria.
Che abbia istituito gli Apostoli sacerdoti con le parole “fate questo in memoriale di me” e che
abbia ordinato loro e altri sacerdoti di offrire il suo corpo ed il suo sangue, viene inoltre definito nel
can. 2, (DH 1752).
La conclusione del cap. 1 (DH 1741) esprime una corretta comprensione del memoriale biblico
della pasqua ebraica; Cristo, nell’ultima cena ha istituito il memoriale della nuova Pasqua, il suo
passare da questo mondo al Padre, se stesso da immolarsi dalla Chiesa, per mano dei sacerdoti sotto i
segni visibili.
159
Cfr GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, cit, 560-565
135
Questo sacrificio puro è la perfezione e la consumazione dei sacrifici dell’AT e delle religioni di
natura (DH 1742).
Per assicurare quanto già detto circa la Messa come vero sacrificio, il concilio ribadisce
l’identità del Sacrificio della Croce e della Messa, lo stesso sacerdote e la stessa vittima, solo diverso è
il modo di offrire:
can. 3 (DH 1753): la Messa è sacrificio propiziatorio, non è soltanto sacrificio di lode,
ringraziamento o semplice commemorazione soggettiva del Sacrificio realizzato sulla Croce; per
questo motivo giova non solo a chi si comunica; e deve essere offerto per i vivi, i defunti, i peccati,
pene, soddisfazioni e le altre necessità.
Nel cap. 2 (DH 1743) si danno le motivazioni: la Messa è sacrificio propiziatorio perché in essa
è contenuto ed incruentemente immolato lo stesso Cristo che sulla Croce si è offerto cruentemente.
Il sacrificio della Messa non giova solo a chi ne partecipa con la Comunione, che è certo
desiderabile, per riceverne frutti più abbondanti, come insegna il cap. 6 (DH 1747); infatti con una
devota partecipazione al sacrificio, anche senza comunione sacramentale, si ottiene il dono della
conversione per il perdono dei peccati e crimini anche ingenti. Tale dono di conversione deve poi
essere portato necessariamente ad efficacia sacramentale nel Sacramento della Penitenza (DH 1706-
1707).
Can. 4 (DH 1754): il sacrificio della Messa non toglie nulla al sacrificio della Croce. Spiega
infatti il cap. 2 che si tratta della stessa vittima, lo stesso offerente, in modo cruento sulla Croce, in
modo diverso nella Messa, per il ministero dei sacerdoti; non toglie nulla alla Croce, anzi la rende
presente, con i suoi frutti ricevuti in abbondanza nella Messa.
Negli altri canoni e capitoli si chiarificano le questioni agitate in quei tempi (can. 5 e cap. 3): si
approvano le Messe in onore dei Santi, precisando che il Sacrificio si offre a Dio, ringraziandolo per le
loro vittorie, corone, implorando la loro protezione.
Can. 6 e cap. 4: il Canone romano non contiene errori, anzi innalza a Dio la mente degli
offerenti il sacrificio della Messa, con “effluvi” di grande santità e pietà.
Can. 7 e cap. 5: paramenti, cerimonie e riti della Messa servono a rendere più evidenti la maestà
di sacrificio così grande, per indurre le menti dei fedeli alla contemplazione delle sublimi realtà
nascoste in questo sacrificio.
Can. 8 e cap. 6: si esprime ancora il desiderio che i fedeli si comunichino in ogni Messa, non
solo nel desiderio, ma anche sacramentalmente; quando ciò non avviene, e si comunica solo il
sacerdote celebrante, la Messa possiede ancora un carattere ecclesiale, viene offerta infatti per tutti i
fedeli che appartengono al corpo di Cristo. Tali Messe, dette allora private, non sono né illecite, né da
abolire.
Nel can. 9 e nei cap. 7-8 si tratta ancora dei riti della Messa: opportunità di mescolare acqua nel
vino dell’offerta, sia perché dal fianco aperto del Signore uscì sangue ed acqua (Gv 19,34), sia per
significare l’unione del popolo fedele con Cristo capo.
136
Quanto alla lingua della Messa, si condanna chi dicesse che deve essere celebrata solo nella
lingua del popolo; non vi è quindi nessuna preclusione all’uso attuale.
Neppure è da condannare l’uso corrente sino alla riforma del Vaticano II, cioè di recitare il
Canone, dopo il Sanctus, in segreto. Le motivazioni di questo uso, nella Chiesa romana, si pensa
tardivo, fine del primo millennio, sono difficili ad essere precisate: una influenza orientale? il canto
del coro che copre la voce del Celebrante? In ogni modo si introduce una concezione della
celebrazione, come discesa della divinità sull’altare, presenza dei divini Misteri 160. Notiamo che il
Tridentino chiede di non condannare una prassi introdotta, e così riconosce che si può fare
diversamente, come nella riforma del Vaticano II. Rimane viva la questione delle relazioni tra parola
proclamata e silenzio, per fruttuosamente celebrare e vivere la pasqua del Signore.
II.2 MISTAGOGIA DELLA PRESENZA SACRIFICALE, NEL TRIDENTINO E NEL VATICANO II.
In questa seconda parte ci siamo interessati della questione dogmatica che soprattutto ha
impegnato l’alto Medioevo sino al Tridentino, la Presenza sostanziale del Signore nell’Eucaristia: la
presenza del Corpo dato e del Sangue versato, una presenza sacrificale. Ricordiamo come questa
presenza unica del Crocifisso-Risorto avesse già guidato tutta l’operazione liturgica della formazione
della Preghiera eucaristica, come ha poi normato tutti gli interventi chiarificatori a sua protezione, del
Magistero della Chiesa dall’inizio del II Millennio sino al Tridentino.
Un dato forte, rivelato, che assicura la qualità vera della Chiesa, della vita cristiana, così
fondamentale, necessario, che quando viene posto in crisi, in passaggi culturali e di intelligenza della
fede delicati, il pensiero cristiano reagisce fortemente sotto la guida autorevole del Magistero. Lo
constateremo ancora, in modo più sistematico, nella prospettiva sacrificale che ora affronteremo.
160
Cfr. NOCENT, A. , Storia della celebrazione dell’eucarestia, in Anamnesi, 3/2, La liturgia
eucaristica: teologia e storia della celebrazione, Mariti, Casale Monferrato 1983, 244s.Cfr LOSSKY, A., La
proclamino de prières eucharistiques a haute voix : un enjeu ecclésiologique, in BRAGA, C. et PISTOIA, A.,
ed., Les mouvements liturgiques, B.E.L. (‹‹subsidia›› n 129), C.L.V. ed. Liturgiche, Roma 2004, 196-204,
ricorda la legislazione bizantina di Giustiniano, che nel 565 domanda ‹‹ che i vescovi e i preti pronuncino a voce
alta la preghiera dell’anafora, per introdurre i membri dell’assemblea ad una più grande compunzione e alla
glorificazione del Maestro››(200). Fa notare inoltre come, nella ricostruzione di S. Sofia, lo stesso Giustiniano
volle una struttura architettonica bassa, con colonne, che non costituisse una totale separazione tra Altare e
popolo, per facilitare l’ascolto e la comunicazione tra celebrante ed assemblea:. L’iconostasi, che separa
nettamente gli ambiti, risulta posteriore, influsso slavo accolto anche a Bisanzio.
RATZINGER, J., Introduzione allo spirito della liturgia, cit, nel proporre una proclamazione della
Preghiera eucaristica che, supposta la sua conoscenza dall’Assemblea, contempli momenti di voce sommessa,
per una interiorizzazione, accoglienza consapevole del Mistero, ricorda come questa fosse la prassi di
Gerusalemme, e questo in tempi remoti : 210s.
137
Vorrei ora, quasi a conclusione di questa parte storica, con lo sguardo rivolto alla Riforma
liturgica del Vaticano II, trarre alcune indicazioni per favorire una fruttuosa Mistagogia
dell’Eucaristia, l’interesse che perseguiamo in tutte le tappe del nostro percorso teologico.
Che relazione evidenziare tra Presenza sostanziale , sacrificale e Mistagogia ?
Una relazione fondamentale, sempre attiva, qualificante l’operazione mistagogica, i suoi frutti :
Mistagogia significa introdurre nella ‹‹densità›› del Mistero, nella Celebrazione e nella Vita che ne
proviene. Nell’Eucaristia il Signore è presente in modo unico, sostanziale, sacrificale per introdurci
nella sua relazione filiale vissuta, pregata, al Padre, per i fratelli, realizzare l’unità, carità della Chiesa.
Una corretta operazione mistagogica richiede molteplici attenzioni, in quanto la presenza unica,
sostanziale e sacrificale proietta luce nuova sul Vescovo-sacerdote celebrante, la Preghiera eucaristica,
la S.Scrittura annunciata, la comunità battesimale riunita, la solidarietà verso i poveri. Tutte articolate
presenze del Signore, in relazione a quella unica, la più intensa , centrale del Corpo dato e de sangue
versato. Una fruttuosa mistagogia si nutre di tutte queste presenze, per vivere tutto la qualità cristiana
della nostra esistenza personale e sociale.
Questo sarà il nostro impegno nella terza parte, notando come nei tempi più recenti teologia e
Magistero porranno in risalto tali articolate presenze, con grande frutto dell’operazione mistagogica.
Infine qualche osservazione, suscitata dagli ultimi canoni del Tridentino esaminati, riguardanti
ritualità., gesti, vesti, lingua, parola e silenzio; tutte dimensioni che dobbiamo evidentemente vivere
ora secondo le norme liturgiche del Vaticano II e del Messale di Giovanni Paolo II. Ma tutto questo
doveroso aggiornamento, molteplice, ampio deve poter meglio esprimere il cuore palpitante della più
intensa presenza del Signore, sostanziale sacrificale.
Una completa Mistagogia deve ricercare ‹‹il decoro della celebrazione eucaristica››; è questo il
titolo del capitolo quinto dell’enciclica ‹‹Eccelsia de Eucharistia. 161
Soluzioni pastorali liturgiche di grande sensibilità risultano in definitiva inconcludenti, anche
dannose, se lavorano in superficie : un Mistagogia che non va al cuore del Mistero della fede, non può
introdurre ad esso, non può quindi fruttificare la qualità vera della Chiesa e della vita cristiana.
161
Anche RATZINGER, J. , Introduzione allo spirito della liturgia, cit. Ne tratta ampiamente nella
parte II III, IV.
138
162
Synodus costantinopolitana adversus Sotericum (mensibus ianuario 1156 et maio 1157) :ANGELO
MAI , Spicilegium romanun, t. , Romae 1844, 77; PG 140,190.
163
Dominicæ cenæ, in EV VII, n.190, 197.
164
Anche la Mane nobiscum Domine n 15, lettera apostolica per l’Anno eucaristico afferma :” Non si
può tuttavia dimenticare che il convito eucaristico ha anche un senso profondamente e primariamente sacrificale.
In esso Cristo ripresenta a noi il sacrificio attuato una volta per tutte sul Golgota”; Sacramentum caritatis n 9 ‹‹
EUCARISTIA :GESU’ VERO AGNELLO PASQUALE. La nuova ed eterna alleanza nel sangue dell’Agnello.
139
° partendo dalla problematica odierna sullo stesso concetto di sacrificio, cercheremo
l’intelligenza della fede sullo specifico proprio del sacrificio della Messa, in relazione ai sacrifici delle
Religioni, dell’esistenza umana.
Queste considerazioni creano il contesto del dialogo ecumenico; sappiamo infatti che su questa
realtà salvifica si è consumato l’evento più tragico della storia della Chiesa, la frattura della Riforma
del XVI sec. Vedremo come la dottrina attuale circa :Le presenze di Cristo alla sua Chiesa, ed il
vertice “sostanziale sacrificale” dell’Eucarestia nel dialogo ecumenico., possa offrire un ulteriore
aiuto nel lungo cammino verso la piena Unità.
Penso sia opportuno, per ordinare le nostre riflessioni sistematiche, presentare una descrizione
generica del sacrificio: «In ogni sacrificio c’è sempre un dono (oblazione), che elimina (immola) un
ostacolo, per stabilire tra le persone una più stretta unione (comunione)»165. Sempre nella
consapevolezza che l’Eucaristia è sacrificio in senso unico, la novità donata da Dio alla sua Chiesa :
talmente unico che non si può racchiudere in definizioni generiche; piuttosto sono in Lui fondate,
trovando in Lui una inaudita realizzazione, sulla misura di Dio.
166
LIGIER, L., Il sacramento dell’Eucarestia, 354s.
141
I più recenti studi sul Mysterium-sacramentum, Segno profetico vigiliare, il Memoriale
facilitano l’esposizione della teoria sacramentale del sacrificio. Ci lasciamo in questo ispirare dalla
riflessione liturgico-teologica di L. Ligier.167
167
Ibidem 334-336. 355-375.
142
infatti, grazie al Sacerdote che agisce in Persona e virtù di Cristo, sacramentalizzando il
suo sacrificio, in nome della Chiesa, lo accoglie, lo proclama, lo riconosce, lo adora, lo
offre, unendosi alla sua offerta.
i singoli fedeli, ricevendo in comunione il corpo dato, si uniscono intimamente al suo
sacrificio, si lasciano mortificare e vivificare dalla Croce gloriosa del Signore.
La comunione eucaristica è segno evidente della partecipazione più intensa al Sacrificio già
sacramentalizzato dal Sacerdote che agisce in Persona e virtute Christi. Rappresenta l’esercizio più
intenso del sacerdozio battesimale, la più intensa, attiva partecipazione al sacrificio di Cristo presente
nell’Eucarestia, perché sia poi manifestato, realizzato nella concretezza, res, della vita personale e
sociale.
169
LIGIER, L., Il sacramento dell’Eucarestia , cit , 362.
170
Sacr. Car.. n 12 specifica :”Questo grande mistero viene celebrato nelle forme liturgiche che la
Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, sviluppa nello spazio e nel tempo”.
145
Tutte le anafore, eccetto, come abbiamo accennato, le ‹‹paleoanafore›› ,quelle nestoriane 171, non
soltanto hanno il racconto dell’istituzione, ma lo sottolineano con riti secondari (come acclamazioni di
fede da parte dell’assemblea, intensi «amen»), ne fanno così un elemento costitutivo, segnalato, della
celebrazione.
La novità e l’importanza del momento acquistano particolare rilievo, perché nell’anafora il
sacerdote parla sempre a nome della Chiesa, il “noi” ecclesiale, e solo qui in nome di Cristo: quindi la
CONSACRAZIONE È IL MOMENTO ESSENZIALMENTE CRISTICO.
Ricordiamo ancora che le parole della consacrazione non esprimono e realizzano la sola
presenza reale, ma il sacrificarsi di Cristo, il «corpo dato ed il sangue versato per voi e per tutti».
Anche la Mediator Dei, 51 (DH 3848) insegna che la separazione delle specie è sacramentalmente
espressiva del sacrificio della Croce.
«L’atto eminentemente cristico della consacrazione non può essere isolato dal «rendere grazie»;
perché acquisti “valore sacramentale” è necessario che sia inserito nella Preghiera eucaristica. Da tale
contesto deriva il suo significato riguardo alla celebrazione attuale. Altrimenti esso avrebbe soltanto
valore narrativo: si affermerebbe che nel rito passato celebrato nel Cenacolo gli elementi del pane e
del vino furono cambiati nel corpo e sangue di Gesù […] Ma è solo l’inserimento nel Canone che
conferisce al racconto significato sacramentale di fronte al Padre per la Chiesa di oggi, e lo costituisce
rito di consacrazione»172.
° Riferimento all’atto della Chiesa: l’atto di Cristo, di rendere presente il suo Sacrificio della
Croce, viene invocato dalla Chiesa nella epiclesi, e sacramentalmente realizzato dal Sacerdote nella
consacrazione: la Chiesa lo domanda nell’epiclesi e lo compie ministerialmente nella consacrazione.
L’impegno essenziale della Chiesa, in quanto distinta da Cristo, viene espresso anzitutto
nell’atto anamnetico. Atto, perché essendo la risposta della Chiesa al comando del Signore: «Fate
questo in memoria di me», l’Offerimus dell’anamnesi non è solo discorso, ma anche un atto
impegnativo. È presente in tutte le liturgie: per mezzo di esso, la Chiesa si unisce all’atto sacrificale di
Cristo, reso presente, lo offre al Padre, lasciandosi coinvolgere, partecipando al suo offrirsi. Afferma
Benedetto XVI nella sua Enciclica D.C.E.:, n 13 :
“L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il
Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione.”
Così nella Messa Cristo è offerto al Padre sia per un atto suo, sia per un atto della Chiesa; e la
Chiesa offre anche se stessa. Nei nuovi canoni romani, III e IV, dopo l’anamnesi, e unitamente ad una
seconda epiclesi dello Spirito Santo, viene domandata ed espressa l’offerta della Chiesa, di se stessa, al
Padre, come effetto, prolungamento del sacrificio, reso presente, di Cristo:
-- III: «a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito
Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo ed un solo spirito. Egli faccia di noi un sacrificio
perenne a Te gradito…»
171
Vedi nota n. 78 circa il carattere molto arcaico dell’Anafora di Addai e Mari, la loro validità
riconosciuta, il modo particolare, diffuso, della presenza in essa del racconto istituzionale.
172
LIGIER, L., Il Sacramento dell’.Eucarestia, cit 368.
146
-- IV: «a tutti coloro che mangeranno di quest’unico pane, e berranno di quest’unico calice,
concedi che, riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo, diventino offerta viva in Cristo a lode della
tua gloria».
Questa invocazione dello Spirito Santo, desiderio vivo della Chiesa, non ancora atto, prenderà
forma sacramentale nella comunione, perché acquisti attualità concreta e storica nel sacrificio della
vita personale e sociale.
La Messa, ripresentazione vera, reale, sostanziale dell’unico sacrificio della Croce, ha ricevuto
forma sacramentale atta a divenire sacrificio partecipato; sacrificio della Chiesa e dei cristiani in essa.
Sacrificio in veste sacramentale e ripetibile.
Il Sacrificio della Croce fu compiuto da Cristo solo, per la redenzione di tutti, principio di
partecipazione futura. Tale partecipazione non apparteneva alla sua essenza e definizione; al contrario
il sacrificio eucaristico è sacrificio di partecipazione: esso è il rito sacramentale istituito da Cristo
perché la sua Chiesa lo rendesse presente in tutti i tempi e luoghi della sua esistenza, affinché ne
partecipasse.
III.2.1 La presenza attiva di Cristo nell’eucaristia, in relazione alle sue altre presenze
nella vita della Chiesa
Cristo è presente ed attivo come sacerdote e vittima nella S. Messa: queste categorie sono ora
familiari ed ovvie.
Il Concilio Lateranense IV le ha inserite nel Magistero, sin dal sec XIII: «Gesù Cristo, lo stesso
è sacerdote e vittima» (DH 802). Riprende il Tridentino: «Si tratta infatti di una sola e identica
vittima e lo stesso Gesù la offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì se stesso
sulla Croce: diverso è solo il modo di offrirsi» (DH 1743).
Il NT porta quelle indicazioni che saranno esplicitate dalla teologia e magistero: nell’ultima
cena Gesù si presenta celebrante del primo rito sacramentale; il comando della iterazione del
memoriale rivolto agli apostoli, era indicativo dell’intenzione di Cristo di rimanere il sacerdote
principale del rito così istituito.
Decisivo inoltre ricordare che la lettera agli Ebrei parla di un sacerdozio eterno di Cristo,
esercitato davanti al Padre: «Poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta.
Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di Lui si accostano a Dio, essendo Egli sempre
vivo per intercedere a loro favore» (Eb 7,34s).
Apocalisse mostra chiaramente che la sua qualità di vittima non è terminata. Gesù si presenta,
nelle liturgie celesti, come Agnello sgozzato: «Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro
esseri viventi e dai vegliardi un Agnello come immolato» (Ap 5,6). «L’Agnello che fu immolato è
degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione» ( Ap 6,12).
147
Nell’Apocalisse le rivelazioni a Giovanni avvengono di Domenica, giorno liturgico: Gesù si
manifesta con abiti sacerdotali, quasi per avvisare di una stretta sintonia, continuità tra la liturgia
eucaristica e quella celeste (1,9-16). 173
La categoria di Cristo sacerdote e vittima assume grande rilievo nei sec. III-IV, e attraverso
Agostino passò ai dottori del medioevo: essi però, non dando rilievo sistematico all’Eucaristia come
sacrificio, ‹‹non sono portati a sottolineare il sacerdozio eucaristico di Cristo.›› 174
La categoria è comunque presente: il sacerdote nella consacrazione, (dice S. Tommaso, III,83,1
ad 3) agisce in Persona e virtù di Cristo, e così, in un certo modo, abbiamo lo stesso sacerdote e
vittima.
Ancora più esplicito S. Alberto Magno: ‹‹Viene offerto per tutti. La sapienza divina ha unito
l’oblazione all’offerente: e chi offre e ciò che viene offerto sono lo stesso nell’essere della persona »
(De Sacramento eucharistiae, dist. V, cap. III).
Nella teologia dopo il Tridentino, viene posta la domanda:
come Cristo esercita il suo sacerdozio nella celebrazione delle singole Messe?
La risposta viene cercata utilizzando la categoria metafisica di causa: alcuni, non vedendo in
Cristo che la causa prima che agisce sulla causa seconda, il sacerdote visibile, parlavano di oblazione
virtuale; altri richiedevano un atto speciale di Cristo per ogni Messa, una attuale oblazione.
-- La scuola dell’oblazione attuale di Cristo capeggiata da Suarez, S.J. (+1617), parla di atto
distinto di Cristo sacerdote in ogni Messa; ritiene insufficiente parlare, con categorie metafisiche, di
causa prima, Cristo sommo sacerdote, e di causa seconda, il sacerdote ministeriale.
-- I sostenitori dell’oblazione virtuale, capeggiati da Vasquez, S.J. (+1604), affermano che
Cristo agisce in ogni Messa in quanto è il principio di ogni attività della Chiesa: anche l’azione del
celebrante deriva da Lui, sommo Sacerdote.
Ma all’inizio del nostro secolo anche la scuola dell’oblazione attuale non parla più di un atto
distinto in ogni Messa, e ripetuto in ogni celebrazione, ma di un atto unico e sovratemporale col quale
il Signore glorificato abbraccia in una unica oblazione le offerte terrestri di tutti i secoli. In tale modo
non si dava più vera differenza tra attualisti e virtualisti.
Una migliore intelligenza si può avere usando una categoria più adatta, già in uso dall’inizio del
II millennio per il mistero eucaristico, la categoria presenza. Ricordando inoltre che la categoria
presenza aveva un utilizzo più ampio: molti infatti sono i modi della presenza attiva dell’agire
salvifico di Cristo nella liturgia e nella vita. 175
173
Cfr ECCL. de EUCH. n 19 :” E’ un aspetto dell’Eucaristia che merita di essere posto in evidenz
:mentre noi celebriamo il sacrificio dell’Agnello, ci uniamo alla liturgia celeste, associandoci a quella
moltitudine immensa che grida : ‹‹La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello ! “(Ap
7,10) L’Eucaristia è davvero uno squarcio di cielo che si apre sulla terra. E’ un raggio di gloria della
Gerusalemme celeste, che penetra le nubi della nostra storia e getta luce sul nostro cammino”.
174
LIGIER, L., Il sacramento dell’Eucarestia, cit, 282.
175
Cfr JUNGMANN, J.A. , De praesentia Domini in communitate cultus et de rationibus cum haec
doctrina dudum oscurata et hodie redintegranda sit, in Acta congressus intern. De Theologia conc. Vaticani II, ed
148
La verità posta in crisi prima da Berengario e poi dai Riformatori del sec. XVI, sulla presenza
eucaristica, portarono non solo una chiarificazione sulle sue proprietà esclusive, come vera, reale e
sostanziale, ma anche a concentrarne l’uso per questo unico mistero, in modo quasi esclusivo.
Ora teologia e magistero sono ritornati ad un uso più ampio della categoria di Presenza, per
indicare i vari modi dell’agire salvifico di Cristo nella Liturgia e vita.
Con la Mediator Dei, Pio XII, 1947, n. 16 (DH 3840), il Magistero inizia a parlare, in relazione
alla presenza più intensa, unica nelle specie consacrate, di più presenze di Cristo nell’azione liturgica.
Citiamo dalla Sacrosantum Concilium, n. 7:
«Per realizzare un’opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, ed in modo
speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel Sacrificio della Messa sia nella persona del Ministro, -
Egli che, offertosi una volta sulla Croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti -
(Trento, DH 1743), sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei
sacramenti, di modo che quando uno battezza, è Cristo che battezza. È presente nella sua Parola,
giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la S. Scrittura. È presente infine quando la
Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io in
mezzo a loro” (Mt 18,20).
In quest’opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini
vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la sua Chiesa, sua sposa amatissima, la quale prega il
suo Signore e per mezzo di Lui rende il culto all’eterno Padre.
Giustamente però la Liturgia è ritenuta come l’esercizio del sacerdozio di Cristo Gesù (…).
Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è la
Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa, allo stesso titolo e allo
stesso grado, ne uguaglia l’efficacia».
La categoria “presenza” si è sviluppata nel contesto del pensiero Cristiano, in relazione all’agire
salvifico proprio di Cristo, Verbo incarnato, attivo nella creazione e redenzione; è quindi categoria e
concetto proprio della filosofia cristiana (cfr. Fides et ratio, n. 76).
Presenza indica il modo proprio di comunicare, agire, realizzare comunione, trasformare, di
soggetti spirituali, dotati di coscienza ed interiorità, che si aprono all’altro. Nel soggetto umano ciò
avviene attraverso l’espressione corporea. L’umanità del Crocifisso glorioso agisce e ci trasforma per
una sua particolare presenza corporale, nello Spirito Santo, nell’azione liturgica.
La categoria “presenza” appunto perché formatasi nel contesto dell’Alleanza-redenzione, risulta
più adatta a meglio introdurre nell’attività di Cristo Sacerdote; le categorie di causa, atto, di virtualità
risultano ancora troppo generiche.
Anche la sua etimologia (in greco parous…a) è in perfetta sintonia col dogma cristologico ed
eucaristico: deriva dalla forma participiale oÙs…a derivabile da due verbi sia e„m…, essere, sia eimi
. A. SCHONMETZER, Typis poliglottis vaticanis, 1968, 296-299. NEUNHEUSER, B., De praesentia Domini in
communitate cultus: quaestionis evolutio historica et difficultas specifica, ibid. 316-329. RAHNER, K. , De
praesentia Domini in communitate cultus : syntesisis theologica, ibid. 330-338.
149
(differenza solo nell’accento) venire, con l’aggiunta della preposizione par£: un essere, venire presso,
una presenza dinamica ed attiva rivolta a qualcuno, per creare novità benefica di vita.
Conosciamo dalla S. Scrittura l’uso escatologico di parous…a, la venuta finale del Signore
Gesù, per creare terra nuova e cieli nuovi, Risurrezione dei morti. 176
Conosciamo l’uso dei concili cristologici di oÙs…a, sostanza, per l’identità di Cristo,
ÐmooÚsioj .. Conosciamo soprattutto l’uso eucaristico di oÙs…a e metaous…wsij: sostanza e
transustanziazione.
La presenza di Cristo, vera, reale, sostanziale è la presenza sua più intensa negli ultimi tempi, i
tempi della Chiesa, in attesa e nel desiderio della piena manifestazione del Crocifisso glorioso.
Ora, come nel passato, la presenza, paroLs…a eucaristica, non è più considerata come isolata da
una molteplice presenza attiva del Signore Gesù alla sua Chiesa.
Troviamo l’uso più ampio del termine nella Mysterium fidei di Paolo VI, l’Enciclica pubblicata
durante i lavori conciliari del Vaticano II, il 3/9/1965. Paolo VI parla di molteplici presenze di Cristo
alla sua Chiesa, tutte indicate come vere e reali, in relazione alla più intensa, quella eucaristica, che è
inoltre sostanziale.
Quasi in crescendo, Paolo VI, parla di una presenza di Cristo alla sua Chiesa che prega, compie
opere di misericordia, mentre Egli abita per la fede nei nostri cuori (Ef 3,17). È presente nella Chiesa
che annuncia la sua Parola, regge e governa, con la sacra potestà del Ministero, il popolo di Dio,
celebra i Sacramenti.
«Ma ben altro è il modo, veramente sublime, con cui Cristo è presente alla sua Chiesa nel
sacramento dell’Eucaristia (…) contiene infatti lo stesso Cristo ed è “quasi la perfezione della vita
spirituale ed il fine di tutti i Sacramenti” (S Thomas, S.Th. III, q. 73,a. 3 respondeo.).
Tale presenza si dice “reale”, non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per
antonomasia, perché è anche corporale e sostanziale, e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto
intero, si fa presente.
Malamente dunque qualcuno spiegherebbe questa forma di presenza immaginando il corpo
glorioso di natura pneumatica onnipresente».
La presenza del corpo dato e del sangue versato in Sacrificio è quindi unica, reale per
antonomasia, perché sostanziale. Ad essa sono ordinati tutti gli altri modi di presenza: nel ministro
ordinato, nella Parola di Dio, nei Sacramenti, nella Comunità riunita in preghiera, nella Fede e Carità.
Individuiamo in questa visione così relazionata delle presenze di Cristo (quella eucaristica, la
più intensa, perché sostanziale, tutte le valorizza) una prospettiva valida per ben impostare il dialogo
ecumenico tra le varie comunità ecclesiali.
176
“ Il termine parousìa non è molto frequente nel NT(24 volte, di cui 14 in Paolo…….‹‹Il vocabolo è
ellenistico. Ma il suo contenuto essenziale proviene dall’AT, dal giudaismo e dal pensiero proto-cristiano››
(Oepke, ThW v, 863), suppone quindi già il passaggio del giudeo –cristianesimo al mondo ellenistico…..in esso
l’accento è posto sull’attesa venuta di Gesù.” BRAUMANN, G. , voce Parousìa, in COENEN, L. ,
BEYREUTHER, E. , BIETENHARD, H. , Dizionario dei concetti biblici del Nuovo testamento, EDB, 1976,
1215
150
III.2.2 Le relazionate presenze del Signore Gesù alla Chiesa, il suo vertice Eucaristico,
nel dialogo ecumenico.
Riformati del secolo XVI, Ortodossi e Cattolici, si presentano come Chiesa della Parola,
dell’Eucaristia e dell’unico Pastore.
Si tratta di modi di presenza salvifica del Signore Gesù da non porsi in alternativa o in
opposizione, ma in derivazione, progressione.
Quando la Comunità si riunisce per l’ascolto delle S. Scritture il Signore Gesù stabilisce una
prima forma di presenza ai suoi discepoli, nella sua Parola. Dobbiamo ricordare come nello stare con
noi del Verbo incarnato, tutte le sue parole, opere, tendono alla parola-opera della Croce, ove Cristo
dice tutto e con la massima intensità di se stesso: essere Figlio, nell’amore Spirito Santo, obbediente al
Padre, una sola cosa con Lui; ed insieme una sola cosa con noi, con la nostra umanità peccatrice.
Non solo scende fino in fondo nella nostra miseria (Fil 2,6-11), ma nella sua umanità
obbediente, crocifissa, risorta ci riporta al Padre: sacrificio espiatorio.
Ma anche nella vita ecclesiale tutte le parole della Chiesa tendono alle parole, gesti efficaci dei
Sacramenti, ove è presente lo stesso Cristo, il Crocifisso glorioso, che agisce ex opere operato,
santificando e conformando a sé l’uomo in situazioni particolari della sua vita, per un compito
ecclesiale.
Ma tutte le parole, attività extrasacramentali e sacramentali della Chiesa sono ordinate
all’evento-parola dell’Eucaristia: qui è presente tutto Cristo, corpo, sangue, anima, divinità, nel suo
evento pasquale, in cui porta a compimento, riassume la sua vita per noi, per redimere tutta l’umanità.
Qui è racchiuso tutto il bene della Chiesa, dell’umanità redenta. 177
Cristo nei Sacramenti è certamente presente (il Ministro non lo sostituisce, gli permette di essere
sacramentalmente presente ed agire), ma la materia del sacramento (acqua, olio, balsamo, gesti del
Ministro), mentre significa efficacemente la grazia conferita, non si muta nella grazia così significata;
resta infatti olio, acqua…
Nell’Eucaristia invece il pane ed il vino si convertono sostanzialmente nell’evento di grazia
significata: il corpo ed il sangue versato in Sacrificio, in modo permanente; restano solo le specie,
apparenze simboliche. Si realizza così la Presenza reale per antonomasia, cioè Cristo è presente con
tutto il suo stare e donarsi a noi, sino all’estremo della Croce, in cui ricapitola tutta la sua esistenza
offerta per noi, per introdurci nella sua Gloria, nell’amore del Padre.
A vino nuovo, otri nuovi: negli altri Sacramenti Cristo agisce dando nuovo significato e finalità
alla materia, in modo che, in mano a Lui, Sommo sacerdote, comunichi la Grazia, ma senza essere
mutata nella sua natura. Così l’acqua, l’olio sono transignificati, transfinalizzati, acquistano significato
e finalità nuove.178
177
Cfr RAHNER, K. , Parola ed eucaristia, in Saggi sui Sacramenti e l’Escatologia, ed. Paoline, Roma
1969, 109-172
178
Cfr DE FINANCE, J. , Citoyen de deux mondes, Università gregoriana ed.-P.Tequi, Roma-Paeis,
292-298.
151
Si parla debitamente di transignificazione, transfinalizzazione della materia del sacramento.
Invece nell’Eucaristia la transignificazione e transfinalizzazione degli elementi, pane e vino, si
realizza in modo unico, sulla misura della loro stessa transustanziazione; non solo simboleggiano il
Corpo dato ed il Sangue versato, ma li rendono presenti, essendo trasformati nel loro essere profondo,
la loro sostanza.
Nell’Eucaristia abbiamo così la permanente penetrazione del Crocifisso glorioso nella vita della
Chiesa, per dare al Padre, nello Spirito Santo, la perfetta glorificazione, operare il superamento delle
resistenze peccaminose, realizzando l’unità nella Carità del corpo ecclesiale di Cristo.
Nel dialogo ecumenico, ci si muove, con carità ritrovata, sul terreno comune di un millennio e
mezzo di unità della Chiesa, in cui si condivideva rivelazione, tradizione viva, celebrazione,
successione apostolica in comunione col successore di Pietro.
Ogni Chiesa offre la sua fede nelle Presenze reali di Cristo: Parola, Preghiera liturgica,
Ministero, Sacramenti, azione caritativa. Si tratta di considerarle, e anche prolungarle, sino a quella
presenza unica, perché sostanziale, propria del Sacrificio eucaristico.
Il dialogo ecumenico trova la via giusta quando esamina i contenuti e dinamismo del Mistero
eucaristico: l’ecclesiologia della Chiesa unita non può essere che una ecclesiologia eucaristica. Questo
cammino è stato portato aventi con grande frutto specialmente con gli ortodossi calcedonesi,
Patriarcato di Costantinopoli.
Vi hanno contribuito l’opera teologica di N. Afanassieff (1893-1966), uno dei maggiori teologi
russi della Diaspora, il vero fondatore dell’ecclesiologia eucaristica; ancor più, perché vivente il greco
J. Ziziulas, nato nel 1931, Metropolita di Pergamo, la punta più avanzata della teologia ortodossa 179.
La fede nell’Eucarestia è riconosciuta comune alla Chiesa cattolica romana, così pure la fede nel
Sacerdozio ordinato, che vi è strettamente annesso; resta da approfondire la fede nel primato del
successore di Pietro, ma la questione degli Uniati e del temuto proselitismo cattolico nei paesi slavi del
post-comunismo ha rimandato lo studio comune programmato180.
Grandi progressi sono stati realizzati in materia di eucaristia con la Comunione anglicana,
mediante ARCIC (commissione internazionale anglicana cattolica-romana).
Il Card. Cassidy, Presidente del pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani,
in una lettera ai co-presidenti dell’ARCIC II, riconosceva che in materia eucaristica non era più
179
COMMISSIONE MISTA INTERNAZIONALE PER IL DIALOGO TEOLOGICO TRA LA
CHIESA CATTOLICA ROMANA E LA CHIESA ORTODOSSA, Il mistero della chiesa e dell’eucaristia alla
luce del mistero della santa Trinità, Monaco 6/7/ 1982, in E. Oe. 1, nn 2183-2197 e in Regno documenti 1982,
pag. 542; Cfr. SPITERIS, Y. , La Teologia ortodossa neo-greca, EDB, 1992, 363-416. MC PARTLAN, P. , The
Eucharist makes the Church, H. de Lubac and J. Ziziulas in dialogue, T*T Clark, Edinburg 1993, fa notare le
divergenze di posizioni : Ziziulas considera l’Eucaristia a partire soprattutto dalla sua dimensione cosmica,
escatologica.
180
Cfr. l’accordo su tali questioni raggiunto a Balamand nel 1993, L’uniatismo, metodo d’unione del
passato e la ricerca attuale di unità, in Enchiridion Œcumenicum, vol. 3, EDB, 1995, 1867-1900.
152
necessario ulteriore dialogo, essendosi realizzato un sostanziale accordo, eccetto per quanto riguarda la
riserva eucaristica.181
Di grande rilevanza la discussione teologica suscitata dal documento di Lima (1982), Battesimo,
Eucarestia , Ministero (BEM), del Consiglio ecumenico della Chiesa, Commissione fede e
costituzione.182 Ha ricevuto una risposta ufficiale cattolica, da parte del Segretariato per l’unione dei
cristiani.
Le risposte ufficiali cattoliche riconoscono con soddisfazione un lavoro proficuo, da proseguire;
proficuo perché ci si muove sul terreno comune della tradizione liturgica e patristica, il che permette di
meglio coordinare e porre in dialogo le tradizioni liturgiche e dottrinali delle Chiese sorelle e comunità
ecclesiali. Grande progresso è l’avere così ricuperato lo schema tradizionale della preghiera
eucaristica, come si è manifestato in tutte le famiglie liturgiche del primo millennio.
La Chiesa cattolica sa che le verità della fede non devono essere separate le une dalle altre,
poiché formano un tutt’uno organico: questa prospettiva risulta necessaria particolarmente quando si
tratta di Eucarestia, poiché essa è come la coppa della sintesi di tutte le realtà rivelate.
Muovendosi sempre nel riconoscimento di quanto di positivo si dà nel dialogo ecumenico
sull’Eucarestia, la Chiesa cattolica si impegna a portare a maturità di fede rivelata gli aspetti essenziali
e decisivi del Mistero:
anzitutto la sua natura di Sacrificio di Cristo, reso presente nel memoriale celebrato,
perché la Chiesa ne partecipi. Cristo non solo intercede per noi presso il Padre, ma si
dona per noi, come sacrificio eternizzato: è questo sacrificio del Crocifisso glorioso che
la celebrazione eucaristica rende presente, sacrificio in cui esprime la sua intercessione
e ringraziamento.
il sacrifico di Cristo è reso presente con tutti i suoi frutti: propizia, espia i peccati,
santifica, per gli offerenti e per tutti, vivi e defunti.
la presenza reale del corpo dato e del sangue versato in sacrificio è dovuta ad un
cambiamento, conversione sostanziale del pane e del vino.
adorazione di Cristo presente in modo permanente nelle specie consacrate e conservate
per la comunione; le varie Chiese hanno sviluppato diverse forme di adorazione al
Sacramento conservato.
la natura sacrificale dell’Eucarestia richiede, secondo l’istituzione di Cristo, un ministro
consacrato per questo, in successione apostolica. La successione apostolica porta con sé
la questione della comunione del collegio apostolico, il servizio di Pietro e successori 183.
181
Cfr Lettera del Card. Cassidy ai Copresidenti dell’ARCIC II, Chiarificazioni su Eucaristia e
Ministero, dell’ 11/3/ 1994, in E. Oe., 3, nn 315-317.
182
COMMISSIONE FEDE E COSTITUZIONE DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE,
Battesimo, Eucaristia, ministero, Documento di Lima 1982, in E. Oe. 1, 3032-3181; SEGRETARIAT FOR
PROMOTING CHRISTIAN UNITY, Baptism, Eucharist and Ministry (BEM), A Chatolic response, july 21
1987, in E.V. 10, nn 1914-2068 ( B. L’Eucaristia nn 1970-2009.)
153
Professando, celebrando e vivendo nell’Eucarestia la totalità organica delle verità di fede,
mentre si prega, anche insieme, si desidera ardentemente, si cresce nella carità per superare le
incomprensioni e sviluppare un fruttuoso dialogo teologico, nella speranza che si giunga presto ad una
conclusione approvata dal S. Padre, ci si deve attenere al can. 908: «È vietato ai sacerdoti cattolici
concelebrare l’Eucarestia con i sacerdoti o ministri delle Chiese o delle comunità ecclesiali che non
hanno la piena comunione con la Chiesa cattolica».
III.2.3 Problematica circa il concetto stesso del sacrificio, in relazione alla storia delle
religioni, rivelazione e vita cristiana.
Sacrificio è un termine che ci proviene dalla storia delle religioni, purificato in relazione a
JHWH nell’Antico Testamento, messo in crisi, anche nell’uso lessicale, nei Vangeli Sinottici di fronte
alla novità unica della Pasqua di Cristo; ripreso da Paolo, Giovanni, Ebrei e Pietro per esprimere tale
novità definitiva ed assoluta.
Per l’uso molto moderato che ne fanno alcuni testi del NT, ci si è domandati, anche per la
reticenza contemporanea di parlare e accettare sacrifici , se non lo si può sostituire con categorie più
gradite, come carità, dono, liberazione.
Possiamo assumere come stimolo, reattivo nel valutare la proprietà del termine sacrifico
nell’indicare i contenuti del Mistero eucaristico, la teoria antisacrificale sviluppata dal letterato
contemporaneo francese R. Girard184.
185
cfr. GILBERT, P. , Metafisica e violenza, libertà e mediazione, in Filosofia e teologia, 1999, 308-320
186
cfr. CAHN, A. , Le sacrifice dans l’hinduisme, in NKUSCH, M. , Le Sacrifice dans le religions,
Beauchesne, Paris 1994, 181-202; GIRA, D. , Le Sacrifice dans le boudhisme, ibidem 203-224.
156
Il sacrificio nell’Islam occupa un posto paradossale: mentre la spiritualità islamica, di totale
sottomissione ad Allah, si ispira, anche si fonda nel Sacrificio di Abramo del figlio Isacco o Ismaele,
la pratica sacrificale occupa un posto secondario, facoltativo nei riti costitutivi il pellegrinaggio alla
Mecca187.
III.2.3.5 Paolo
Accoglie l’interpretazione giudeo-cristiana, che vede nella croce di Cristo un vero sacrificio:
Cristo è il vero Agnello pasquale (1Cor 5,7), la sua morte un sacrificio di espiazione per il peccato
(significato di ¢mart…a, in 2Cor 5,21, che traduce l’ebraico HATTA, che indica sia peccato, sia
vittima per espiare il peccato).
Così pure in Ef 5,2: «Camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato, e ha dato
se stesso per noi (in offerta, prosfor£), offrendosi a Dio in sacrificio (qus…a) di soave odore» (cfr. Ef
2,13-16). Rm 3,25 ci dice che Cristo è stato fatto da Dio strumento di espiazione (…last»rion), per
mezzo della fede, nel suo sangue.
III.2.3.6 Ebrei
Parla del sacrifico volontario di Cristo per noi in terminologia chiaramente veterotestamentaria,
ma come suo compimento definitivo e assoluto: redenzione eterna per il sangue: 9,11-15; 10,3-14; una
sola volte per tutte (™f£pax): 7,27; 9,12; 10,10. Eb 13,10 usa anche il termine mensa sacrificale
(qusiast»rion) per indicare la Croce, o l’altare eucaristico.
158
III.2.3.7 Giovanni; Pietro
Giovanni pone in risalto l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo: Gv 1,29.36; 19,31-
37; tutto il suo Vangelo è in prospettiva pasquale, come abbiamo già visto. In Apocalisse le grandi
liturgie celesti si celebrano intorno al trono di Dio e all’Agnello immolato: 5,6-14; 12,10-12; 19,1-9;
22,1-5.
Nella sua prima lettera troviamo anche detto che Gesù è sacrificio di espiazione per i nostri
peccati, ƒlasmÒj; 1Gv 2,2; 1Gv 4,10.
Pietro riporta il tema del sangue, dell’Agnello, del tempio e del sacrificio:1Pt 1,2.18-21; 1Pt 2,4-
10. Cristo non ha trionfato sulle potenze per una semplice dottrina, ma per la sua vita, portata a
compimento nella sua Pasqua: la Croce di Cristo riconcilia l’umanità; in sintonia con Paolo: Ef 2,14-
22; Tt 2,13s.
188
RATZINGER, J., Introduzione allo spirito della liturgia, cit. 42s
Cfr SACR. CAR., FORMA EUCARISTICA DELLA VITA CRISTIANA, Il culto spirituale – logiké
latreia ( Rm 12,1), n 70.
159
offrire i nostri corpi come ‹‹sacrificio vivente, gradito a Dio›› che la Croce di Cristo rende possibile,
superando le irresolute difficoltà giudaiche, delle relazioni tra il sacrificio della lode e della vita, ed il
culto sacrificale del Tempio.(Sal 49(50); 50(51),17-21).
Ef 5,1-2 parlerà ancora di una partecipazione al sacrificio (qus…an tî qeî) di Cristo al Padre.
«Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche
Cristo vi ha amato, e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore».
È il tema consueto in Paolo, di vita cristiana conformata a Cristo, i suoi stessi sentimenti (Fil
2,1-5), secondo il suo Spirito, che in noi lotta contro le opere della carne (Gal 5,15-25).
III.2.4.1 Testimonianze sul Sacrificio di Cristo e della Chiesa, dei cristiani nel pensiero
cristiano.
Per i Padri dei primi tre secoli vedi quanto detto circa l’Eucarestia come sacrificio, in I.3.2.2.3.
Il tema del sacrificio risulta presente, anzi diffuso, nella dottrina dei Padri dopo il terzo secolo.
Accenniamo solo a S. Giovanni Crisostomo e a S. Agostino.
III.2.4.1.1Giovanni Crisostomo .
Nell’omelia 17 parla di Cristo, che è venuto ad espiare il peccato mediante il sacrificio di se
stesso. A causa delle nostre fragilità presentiamo oblazioni ogni giorno, cioè celebriamo l’Eucarestia:
«Nel farlo ricordiamo la morte del Signore, ed essa è una, non molte. Perché una e non molte?
Perché essa è stata offerta una volte per tutte […]. Infatti noi offriamo sempre il medesimo agnello, e
non oggi uno e domani un altro, ma sempre lo stesso. Per questa ragione il sacrificio è sempre uno
solo. Ora tu osservi: poiché questo sacrificio viene offerto in molti luoghi, ci sono forse molti Cristi?
No, perché in tutti i luoghi uno solo è il Cristo. Perché sta intero qui e intero lì, così come uno solo è
il corpo e non vi sono molti corpi, così uno solo è il sacrificio. Nostro sommo sacerdote è colui che ha
offerto la vittima che ci purifica. Anche noi ora offriamo quella vittima che allora fu offerta, e che mai
si consumerà. Questo avviene nel ricordo di ciò che allora capitò: fate questo, disse il Signore, in
memoria di me. Noi non offriamo un altro sacrificio […], ma sempre lo stesso, o meglio noi
rinnoviamo la memoria del sacrificio»189.
III.2.4.1.2 S. Agostino
Riporto alcuni insegnamenti tratti dalla Città di Dio, che vengono citati nella scolastica:
Libro X,5: qui Agostino riflette sui sacrifici dell’Antica legge, notando che hanno valore in
quanto esprimono atti di religione, di onesta coscienza, «affinché in questo modo ci uniamo a Dio e
nel contempo, con lo stesso fine, veniamo in aiuto al prossimo».
Agostino conclude questa riflessione con una definizione sovente riportata: «Dunque, il
sacrificio visibile è sacramento, cioè segno sacro di un sacrificio invisibile» 190.
189
DI NOLA, G. , La dottrina eucaristica di Giovanni Crisostomo, Bibliot. Patrist. Euchar., LEV, 1997,
355-357.
190
ID., La dottrina eucaristica di S. Agostino, Bibliot. Patrist. Euchar., LEV, 1997, 342s.
160
Sacrificio invisibile: le corrette disposizioni interiori davanti a Dio, e all’uomo immagine di
Dio, che realizzano comunione.
Questa definizione viene citata da S. Tommaso, nella S. Th. III,q 22,art 2 respondeo, ed è usata
per l’umanità crocifissa del Signore: essa in Croce è sacrificio per la remissione dei peccati, per
conservarci in grazia, sempre uniti a Dio, affinché aderiamo perfettamente a Dio, ciò che avverrà
soprattutto nella Gloria.
Oltre questa definizione, per altro molto generica, del sacramento-sacrificio, Agostino specifica
meglio cosa intende per Sacrificio:
«Vero sacrificio è pertanto ogni opera che pratichiamo per unirci in santa comunione con Dio,
riferita cioè a quel bene ultimo col quale possiamo essere veramente felici. Ne consegue che anche la
stessa beneficenza che si pratica nel soccorrere il prossimo, se non si fa per Dio, non è sacrificio».
Per Agostino ogni opera di misericordia e anche ogni atto di temperanza è sempre riferito a
Dio, solo per questo può dirsi sacrificio:
«Il mio bene è unirmi a Dio: allora si verifica che tutta la città redenta, cioè l’assemblea e la
comunità dei santi, viene offerta a Dio come sacrificio universale per la mediazione di quel grande
sacerdote che nella passione, assumendo la condizione di servo, ha offerto per noi persino se stesso,
affinché fossimo il corpo di un capo così sublime».
Cioè tutte le opere di carità dei cristiani, sia rivolte al prossimo, sia di personale mortificazione,
che rendono possibile l’edificazione della Città di Dio, costituiscono un sacrificio universale, che
viene offerto a Dio per la mediazione del grande sacerdote Cristo.
Tutto confluisce nel realizzare l’unità della Chiesa:
«Questo è il sacrificio dei cristiani, l’essere cioè molti e un solo corpo in Cristo. La Chiesa
celebra questo mistero col sacramento dell’altare, che i fedeli ben conoscono, e nel quale le si mostra
chiaramente che nella cosa che offre essa stessa è offerta» (ibid., X,6)191.
La Chiesa sa di offrire se stessa per mezzo di Lui, che è contemporaneamente sacerdote e
vittima:
«Ha voluto che il sacramento quotidiano di questa realtà fosse il sacrificio della Chiesa che,
essendo il corpo di Lui che è il suo capo, sa di offrire se stessa per mezzo di Lui».
Agostino in questo stesso contesto afferma che tutti i sacrifici dell’AT erano molteplici e vari
segni di questo vero sacrificio: «Perché in molti se ne figurava uno solo, era come se si esprimesse un
solo concetto usando parole diverse; e questo perché venisse inculcato senza suscitare avversione
alcuna. È a questo sommo e vero sacrificio che tutti i falsi sacrifici hanno ceduto il posto» (ibid.,
X,20)192.
191
Ibid., 346-349.
192
Ibid., 350s.
161
III.2.4.1.3La grande scolastica
Del sec. XIII presenta un insegnamento diffuso sull’Eucarestia sacrificio, in quanto Memoriale
della passione del Signore; ma non si dà ampia riflessione sistematica, se la si paragona con la teologia
speculativa quasi perfetta, relativa alla presenza sostanziale, alla transustanziazione.
Di questo argomento ci siamo già interessati nella parte più storica.
Solo qualche accenno, per dirimere la questione che ci siamo posti sulla validità del termine
sacrificio:
l’Eucarestia « è il sacramento della passione di Cristo, destinato a perfezionare l’uomo nella
sua unione col Cristo che ha patito», «sacramento della carità», «vincolo della perfezione» (S. Th.
III,q 73,art 3, ad 3). Il sacramento del sacrificio, perché diventi possibile la comunione vitale con il
sacrificio redentore, siamo sempre più introdotti e confermati nella novità di vita risorta, nella
comunione vissuta col Padre e i suoi figli.
Ricordiamo ancora che il rendere grazie-accoglienza della grazia del Sacrificio, esprime il
rendere grazie di Gesù nell’ultima cena, lo attualizza nel tempo della Chiesa.
Questo rendere grazie, a misura unica della conoscenza che Cristo ha dell’amore del Padre per
Lui e per i suoi fratelli uniti a Lui, può essere debitamente confessato e pronunciato solo da chi, per il
sacramento dell’Ordine, viene abilitato a parlare ed agire in persona Christi et Ecclesiæ. Infatti:
«Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il
Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me voi tutti che siete
affaticate oppressi, ed io vi ristorerò» (Mt 11,27s).
Solo Cristo può introdurci, nel Memoriale della sua Croce, il suo passare al Padre, affidandosi
totalmente all’amore del Padre nonostante il rifiuto dell’uomo, alla conoscenza e partecipazione di
questo amore, nella sua perfetta corrispondenza filiale e fraterna.
164
III.2.4.2.2 Oblazione, ossia Chiesa presentata e accolta
Il rendere grazie è a misura della conoscenza e dell’accoglienza della grazia; la grazia del
Sacrificio di Cristo accolto e reso presente, sacrificio che ci porta alla comunione filiale e fraterna
nell’amore del Padre. Il Sacrificio della Messa è l’oblazione di Cristo, accolta e resa presente, perché
diventi l’oblazione della Chiesa.
Tale oblazione della Chiesa, che si unisce all’oblazione che Cristo fa per noi al Padre, è
presente, praticamente, in tutte le anafore; è collocata nell’anamnesi, la risposta della Chiesa al « fate
questo in memoria di me», quando con l’Offerimus la Chiesa esprime la sua offerta. Nel canone
romano con le parole:
«...offriamo alla tua maestà divina, tra i doni che ci hai dato, la vittima pura, santa e
immacolata, pane santo della vita eterna e calice dell’eterna salvezza».
Il Padre è alla sorgente del dono, ma è pure al termine del dinamismo di vita nuova suscitato dal
dono: offrendosi alla sua Chiesa nel suo Figlio, vuole accoglierla in Sé, unita al suo Figlio.
Primo soggetto di questa oblazione è Cristo stesso: la Chiesa accogliendo il sacrifico attuato da
Lui, lo fa suo, presentandolo al Padre: abbiamo visto nel Canone romano:
«offriamo… tra i doni che ci hai dato... la vittima pura santa ed immacolata…».
Vi corrisponde nell’anafora bizantina di S. Crisostomo; «...le cose tue, scelte tra quanto è tuo,
le offriamo a Te...».
La novità di questa oblazione eucaristica non consiste nella sua identificazione con Cristo, la
persona del Crocifisso glorioso: il Padre ha pieno e perenne compiacimento nel suo Figlio diletto,
gradisce sempre il dono del suo Figlio.
Il fatto nuovo è che Cristo unisce a Sé la Sua Chiesa nell’oblazione eucaristica. Qui abbiamo la
novità del soggetto dell’oblazione; il fatto nuovo è che questo dono che Cristo fa di se stesso, prima
rifiutato dall’umanità nella Passione del Signore, è ora accolto dalla Chiesa e nella celebrazione del
memoriale della Pasqua, partecipato e offerto al Padre.
L’elemento nuovo e specifico dell’oblazione eucaristica è che con Cristo e per Cristo viene
accolta e gradita dal Padre anche la Chiesa.
Questo costituisce la struttura del sacrificio eucaristico e del nuovo sacerdozio, ordinato e
battesimale, che vi corrisponde: non vi sono più vittime sostitutive, come nei sacrificio del tempio, né
sacerdoti che spoglino i membri del popolo di Dio del loro sacerdozio.
Cristo si è offerto per noi, ha voluto nella successione apostolica un segno sacramentale del suo
essere capo e sposo della chiesa, non per toglierci la capacità personale di offrirci al Padre, ma per
realizzarla.
Quando la Chiesa assume e presenta il sacrificio di Cristo, questo significa che essa, unita a Lui,
suo capo e sposo, può presentarsi al Padre, viene da Lui accolta e gradita. Qui sta la novità
dell’oblazione eucaristica.
165
Tempo privilegiato di tale oblazione, in quanto è della Chiesa, risulta essere l’anamnesi: qui il
Celebrante, operando e parlando a nome della Chiesa universale, fa l’offerta a nome di tutti battezzati,
anche gli assenti, i fratelli separati.
In quanto deve essere personalmente partecipata, nell’esercizio del personale sacerdozio
battesimale, ciò si realizza nella personale comunione: ciascuno si fa presente, personalmente
offrendosi e comunicando all’oblazione di Cristo, per essere in Cristo accolto dal Padre.
L’accoglienza ecclesiale del sacrificio di Cristo, realizzata nell’anamnesi dal Ministro
competente, viene personalizzata nella comunione.
La qualità sacrificale sia del rendere grazie-accogliere la grazia, sia dell’oblazione di Cristo e
della Chiesa offerta al Padre, viene posta in risalto considerando la supplica, l’invocazione connessa
con i due indirizzi complementari dell’azione di grazia e dell’oblazione.
Sia l’accoglienza ringraziante della grazia del sacrificio, sia l’offrire e vivere di questa grazia,
l’oblazione di Cristo e nostra al Padre, è come segnata da due tempi di attesa, di supplica. Questi due
momenti di supplica hanno il loro vertice nella duplice epiclesi, invocazione dello Spirito Santo:
° anzitutto si chiede al Padre l’invio dello Spirito Santo, per santificare i doni offerti, affinché
diventino il corpo e sangue di Cristo, e così sia reso presente alla chiesa il Sacrificio di Cristo. La
prima epiclesi, pre-consacratoria nella liturgia romana, è intrinsecamente collegata al desiderio della
grazia, l’accoglienza della grazia, dicendo grazie.
° dopo l’anamnesi e l’offerimus, si presenta una seconda epiclesi, affinché l’oblazione della
Chiesa sia accolta, gradita, porti i suoi frutti di vita nuova: «Volgi sulla nostra offerta il tuo sguardo
sereno e benigno...» (Canone romano); «Ti preghiamo umilmente: per la comunione al tuo corpo e al
tuo sangue, lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo…» (Canone II).
Questa supplica in relazione all’offerta del sacrificio e ai frutti della partecipazione personale al
sacrifico, è posta opportunamente tra l’anamnesi, il suo offerimus, e la comunione, tra l’evento
ecclesiale del sacrificio di Cristo e della sua Chiesa, ed il suo adempimento personale nella
comunione. Si chiede, che il sacrificio reso presente ed offerto, sia propizio, santificante per i
comunicandi.
Concludiamo, sottolineando ancora come la Chiesa riceve, offre, partecipa al Sacrificio di
Cristo con gli atteggiamenti di accoglienza riconoscente e supplica costitutivi la preghiera eucaristica.
Qui troviamo il riferimento al Padre, teologico, che fa dell’eucarestia un vero sacrificio: la
preghiera eucaristica, che avvolge i gesti del memoriale, accoglie, esprime, realizza il dono di Cristo e
con Lui della Chiesa tutta intera al Padre.
Non solo sacramentalizza il Sacrifico, ma realizza un vero sacrifico, in forma sacramentale,
affinché l’intera vita, personale e comunitaria, sia conformata a Cristo, quasi trasfigurata, un dono
gradito al Padre193.
193
Cfr LIGIER, L., Il Sascramento dell’Eucarestia.,cit, 336-348 su rendimento di grazie e oblazione,
come indirizzi costitutivi del sacrificio eucaristico. Sono pagine magistrali.
166
III.3 LA COMUNIONE SACRAMENTALE
198
GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia de Eucharistia, n 35, parla di ‹‹ vincolo di comunione sia nella
dimensione invisibile che, in Cristo, per l’azione dello Spirito Santo, ci lega la Padre e tra di noi…››, e al n
36 :‹‹La comunione invisibile, pur essendo per sua natura sempre in crescita, suppone la vita della grazia…la
pratica delle virtù della fede, della speranza e della carità….L’integrità dei vincoli invisibili è un preciso dovere
morale del cristiano che vuole partecipare pienamente all’Eucaristia comunicando al corpo e sangue di Cristo.››
199
GIOVANNI PAOLO II, ibidem, n 15, parla della ‹‹dimensione visibile›› dell’Eucaristia ‹‹implicante
la comunione nella dottrina degli Apostoli, nei Sacramenti e nell’ordine gerarchico. L’intimo rapporto esistente
tra gli elementi invisibili e gli elementi visibili della comunione ecclesiale è costitutivo della Chiesa come
sacramento di Salvezza. Solo in questo contesto si ha legittima celebrazione dell’Eucaristia e la vera
partecipazione ad essa››.
170
Non siamo noi a costruire il Corpo ecclesiale, ma vi siamo inseriti, assunti, incorporati. 200 Esso
201
ci precede, nella pienezza del Capo, nella sua perfetta accoglienza nella fede di Maria SS in quella
già riversata ed accolta nei Cristiani battezzati prima di noi. In Esso riceviamo il dono dello Spirito
Santo, la Comunione col Padre ed il Figlio (1 Gv. 1,1-4), riconosciamo l’Unità della Chiesa, le
articolazioni- ministeri apostolici che la esprimono e la realizzano.
Questa Unità ecclesiale, particolarmente visibile nei suoi ministeri-articolazioni apostoliche, ci
precede, e risulta già come inclusa in ogni celebrazione eucaristica, cui comunichiamo.
“L’unicità ed indivisibilità del corpo eucaristico del Signore implica l’unicità del suo corpo
mistico, che è la Chiesa una ed indivisibile.
Dal centro eucaristico sorge la necessaria apertura di ogni comunità celebrante, di ogni chiesa
particolare: dal lasciarsi attirare nella braccia aperte del Signore ne consegue l’inserimento nel suo
corpo, unico ed indiviso.
Anche per questo, l’esistenza del ministero petrino, fondamento dell’unità dell’episcopato e
della Chiesa universale, è in corrispondenza profonda con l’indole eucaristica della Chiesa. [....].
Unità dell’Eucaristia e unità dell’episcopato con Pietro e sotto Pietro non sono radici
indipendenti dell’unità della Chiesa, perché Cristo ha istituito l’Eucaristia e l’Episcopato come realtà
essenzialmente vincolate. L’Episcopato è uno; come una è l’Eucaristia: l’unico sacrificio dell’unico
Cristo “morto e risorto”202.
200
Del carattere intrinsecamente ‹‹sociale›› dell’Eucaristia parla anche BENEDETTO XVI nella ‹‹Deus
caritas est››, n 14 :‹‹L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non
posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o
diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso l’unità con tutti i
cristiani.››
201
Sacramentum caritatis n 33 :” Per questo ogni volta che nella Liturgia eucaristica ci accostiamo al
Corpo e al Sangue di Cristo, ci rivolgiamo anche a Lei, che aderendovi pienamente, ha accolto per tutta la
Chiesa il sacrificio di Cristo. Giustamente i Padri sinodali hanno affermato che ‹‹Maria inaugura la
partecipazione della Chiesa al sacrificio del Redentore››( Propositio 4).
202
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Communionis notio,alcuni aspetti della
Chiesa intesa come comunione, Lettera del 28/6/1992, in EV,13, nn. 1794. 1797.
Cfr. COMMISSIONE INTERNAZ. ANGLICANA-CATTOLICA ROMANA, La Chiesa come
comunione, Dublino 1990, in Ench. Oecum. 3,37-53
171
L’epiclesi delle preci eucaristiche invocano l’unità presente ed escatologica della Chiesa, molto
marcata nelle anafore siro-bizantine: “....venga la Spirito tuo Santo sopra di noi tuoi servi e sopra
questi tuoi doni presentati,.... per la santificazione dell’anima, del corpo e dello spirito, affinchè
diveniamo un solo corpo ed un solo spirito e troviamo parte e abbiamo eredità con tutti i santi, che fin
da quando erano nel mondo ti furono graditi”203.
Anche il Canone romano, subito dopo il Sanctus, invoca l’unità della Chiesa: “Noi te lo
offriamo [questo santo ed immacolato sacrificio], per la tua Chiesa santa e cattolica, perché tu le dia
pace e la protegga la raccolga nell’unita e la governi su tutta la terra”.
Anche nei canoni frutto della riforma liturgica vaticana:
Can. II “Ti preghiamo umilmente, per la comunione al corpo e al sangue di Cristo, lo Spirito
santo ci riunisca in un solo corpo”.
Can III “ ...dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diveniamo in Cristo un solo corpo ed
un solo spirito.”
Il tema dell’unità operata dalla partecipazione alla S. Eucaristia è sovente presentato come uno
sviluppo dell’argomento paolino della comunione all’unico pane (1 Cor 10,16s); allegoricamente si
richiama anche la semina, la raccolta del grano per la preparazione del pane.
Cipriano, in più luoghi, ritorna su questo tema:
“II Signore chiamando suo corpo il pane fatto dalla riunione della moltitudine dei chicchi,
intende significare l’unità del nostro popolo” (Epist. LXIX, V)204.
Agostino allegorizza anche di più: oltre alla semina e al raccolto, ricorda la macina e la
confezione del pane: questo lungo lavoro simbolizza la fatica dell’iniziazione dei catecumeni alla
recezione dei sacramenti pasquali. Possiamo ricordare un passo del Sermo 272: “ Cristo nostro
Signore ci da un segno di ciò che siamo. Egli vuole che siamo uniti: è il segno sacramentale della
nostra unità che egli consacra sulla tavola”. Ritornano spesso in Agostino, parlando della nostra
partecipazione eucaristica al Sacrificio le espressioni: “Diveniamo perfetti nella [unità] del corpo” ( In
Sal. 39, n 12)205; con la partecipazione eucaristica,«la Chiesa diviene il Corpo di Cristo». L’Eucaristia
è il sacramento «attraverso il quale in questo tempo la Chiesa si consocia (consociatur: molti un
corpo solo)».
Cirillo di Alessandria collega il tema dell’unico pane di Paolo con la santificazione,
partecipazione alla santificazione-sacrificio di Cristo (Gv 17,17-19), invocata da Gesù per i suoi
discepoli nella preghiera per l’unità:
“Per fondarci nell’unità con Dio e tra di noi...,per amalgamarci gli uni agli altri, il Figlio
unigenito, sapienza e consiglio del Padre, escogitò un mezzo meraviglioso: per un solo corpo, il suo
203
GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, prospettive teologiche sull’Eucaristia a partire dalla ‹‹lex
orandi››, Gregorian University press-Morcelliana, Roma-Brescia 1989,432
204
CIPRIANO, Lettere 51-81, cit., 216-217
205
La Dottrina eucaristica di S. Agostino, Introduzione, versione e note di DI NOLA, G. , ( =Biblioteca
patristica eucaristica ) Lib. Editr. Vaticana, 1997, 189
172
proprio, Egli santifica i fedeli nella comunione mistica, rendendoli «con-corporei» con sé e tra di
loro” (in Joan. lib. XI, 11).206
S. LEONE MAGNO afferma: “ La comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, non presenta altro
effetto che farci passare (transeamus, trasferirci, transfigurarci) in ciò che assumiamo” (Sermo 63,
7).207
Abbiamo visto come sino all’inizio del II Millennio Corpus, mysticum indica il Corpo
eucaristico del Crocifisso glorioso, mistico in quanto reso presente nel «mistero», il memoriale
celebrato; esso realizza, per la celebrazione del sacrificio e la sua partecipazione, il corpo ecclesiastico
di Cristo, indicato anche come corpo vero.
Il superamento della teologia simbolica, la disputa suscitata da Berengario porteranno a
sottolineare il dato di fede essere il Corpo eucaristico lo stesso Crocifisso glorioso, nelle specie
conviviali: corpo vero, la stessa identità, sostanza del Crocifisso glorioso.
Si arriva così ad indicare per vero il Corpo eucaristico, per mistico il corpo ecclesiale.
L’operazione teologica di ribadire, senza ombre di ambiguità, la verità sostanziale del Corpo
eucaristico, rifluisce con benefico effetto sulla consistenza di unità, animazione dello Spirito Santo, del
corpo ecclesiale.
Anche se in verità la concentrazione sulla presenza sostanziale del Corpo eucaristico, portò ad
una certa negligenza nel teologizzare i suoi effetti di unità, carità, nelle articolazioni ministeriali e
carismatiche della Chiesa.
Non del tutto però: il Lateranense IV indica l’effetto, la res dell’Eucaristia: “ad perficiendum
mysterium unitatis”. (portare a compimento il mistero dell’unità ecclesiale: DH 802).
Pure S. Tommaso d’Aquino esprime più volte la piena consapevolezza essere l’Eucaristia:
“Sacramentum ecclesiasticae unitatis” ( S.Th., q. 73, art. 2, c.); “ Sacramentum caritatis”(S.Th. III,q.
73, art. 3, ad 3)208. Suo effetto proprio essere l’unità e la carità.(Sacr. Car. n 1).
La riforma porta con sé, in seguito alle incertezze sulla presenza del Signore nella sua «Cena»,
una notevole dimenticanza dei temi tradizionali sull’incorporazione in Cristo, la Chiesa come corpo di
Cristo.
Sono invece presenti nel Concilio di Trento . Eucaristia “symbolum unitatis et caritatis” (DH
1635); anche l’espressione agostiniana; «Signum unitatis, vinculum caritatis, symbulum
concordiae»(DH 1649). Afferma ancora il Tridentino:
“Egli [N.Signore] volle che questo sacramento fosse pegno della nostra gloria futura e della
gioia eterna e persino simbolo di quell’unico corpo, di cui egli è il capo, e a cui volle che noi fossimo
congiunti come membra dal vincolo strettissimo della fede, della speranza e della carità, perché
fossimo tutti unanimi nel modo di parlare e non vi fossero divisioni tra di noi” (DH 1638).
206
PG 74, 560; CIRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni /3, libri IX-XII
(=testi patristici 113) Città nuova ed. Roma 1994, 367
207
LEON LE GRAND, Sermons III, Traduction et notes de Dom R. Dolle, (= SC 74) Paris 1961, 84 s
208
Sacramentum caritatis è il titolo che BENEDETTO XVI ha dato alla sua Esortazione apostolica
post-sinodale., citando S. Tommaso d’AQUINO.
173
Le affermazioni di stile agostiniano si ritrovano con evidenza nel Vaticano II: nella Lumen
gentium. Il tema viene sviluppato in più luoghi:
LG n 3: “..con il sacramento del Pane eucaristico viene rappresentata e prodotta l’unità dei
fedeli che costituiscono un solo corpo in Cristo.”
LG n 7: “Nella frazione del pane eucaristico partecipando noi realmente al Corpo del Signore,
siamo elevati alla comunione con Lui e tra di noi...Così noi tutti diventiamo membri di quel corpo, e
individualmente siamo membri gli uni degli altri.”
LG n 11:.” Cibandosi poi del Corpo di Cristo nella S. Comunione, mostrano concretamente
l’unità del popolo di Dio, che da questo augustissimo sacramento è adeguatamente espressa e
mirabilmente prodotta”.
Giovanni Paolo II, nell’‹‹Eccl. de Euch.›› n 23 :”L’Eucaristia rinsalda l’incorporazione a
Cristo, stabilita nel Battesimo mediante il dono dello Spirito (cfr 1 Cor 12, 13.27).”
Ancora nel n 24: “Il dono di Cristo e del suo Spirito, che riceviamo nella comunione
eucaristica, compie con sovrabbondante pienezza gli aneliti di unità fraterna che albergano nel cuore
umano, e insieme innalza l’esperienza di fraternità insita nella comune partecipazione alla stesa
mensa eucaristica a livelli che si pongono ben al di sopra di quello della semplice esperienza
conviviale umana.”
Benedetto XVI nella ‹‹Deus caritas est››, n 14, sottolinea il carattere sociale della ‹‹mistica››
eucaristica :
“L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona: Io non
posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con con tutti quelli che sono
diventati o diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso
l’unità con tutti i cristiani. Diventiamo ‹‹un solo corpo››, fusi insieme in un’unica esistenza. Amore
per Dio e amore per il prossimo sono ora veramente uniti: il Dio incarnato ci attrae tutti a sé”
Troviamo evidentemente questo tema nel discorso ecumenico: per quanto riguarda gli Orientali
si ricorda che “per mezzo del Sacerdozio e dell’Eucaristia restano ancora uniti a noi da strettissimi
vincoli” (UR n 15).
Più articolato si presenta il discorso circa i riformati del sec. XVI: UR n 22: “Il battesimo
costituisce il vincolo sacramentale dell’unità, che vige tra tutti quelli che per mezzo di essi sono stati
rigenerati. Tuttavia il Battesimo di per sé è solo l’inizio e l’esordio, perché esso tende interamente
all’acquisto della pienezza della vita in Cristo. Pertanto il Battesimo è ordinato all’integra
professione di fede, all’integrale incorporazione nell’istituzione della salvezza, come lo stesso Cristo
ha voluto, e infine alla piena inserzione nella comunione eucaristica.”
Il tema dell’unità, celebrata, espressa e partecipata nella comunione eucaristica, viene inculcata
nella Gaudium et Spes in proiezione escatologica:
“Un pegno di questa speranza e un viatico per il cammino il Signore lo ha lasciato ai suoi in
quel Sacramento della fede nel quale degli elementi naturali coltivati dall’uomo vengono tramutati
174
nel Corpo e nel Sangue glorioso di Lui, come banchetto di comunione fraterna e pregustazione del
convito del cielo” (GS n 38).
Anche i Sinottici collegano la celebrazione dell’ultima cena, istituzione del memoriale
eucaristico, con il banchetto escatologico; calice «escatologico» di Lc 22,16-18; significato
escatologico del Calice del Sangue in Mt 26,27-29 e Mc 14,23-25.
La proiezione escatologica è presente in vari modi nella preghiera eucaristica: nella prima e
seconda acclamazione dopo la consacrazione, nella stessa «anamnesi: in attesa della sua venuta.
Canone III, IV», nel suffragio per i defunti , il ricordo e la venerazione della Beata Vergine Maria e
dei Santi...
Passiamo ora dagli effetti ecclesiali ed escatologici a quelli più personali: ma ci rendiamo conto
che è la stessa intensa Koinonia, comunione nell’unità-carità ecclesiale, secondo gli articolati Ministeri
e carismi, a indicarci come, la Comunione al Sacrificio di Cristo, ci trasformi, conformi a Lui
interiormente e corporalmente.
209
BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n 14 .”[ nell’Eucaristia] l’agape di Dio viene a noi
corporalmente per continuare ad operare in noi e attraverso di noi. Solo a partire da questo fondamento
cristologico-sacramentale si può capire correttamente l’insegnamento di Gesù sull’amore. Il passaggio che Egli
fa compiere dalla Legge e dai Profeti al duplice comandamento dell’amore verso Dio e verso il prossimo, la
derivazione di tutta questa esistenza di fede dalla centralità di questo precetto, non è semplice morale che poi
possa sussistere autonomamente accanto all fede in Cristo e alla sua riattualizzazione nel Sacramento: fede, culto
ed ethos si compenetrano a vicenda come unica realtà che si configura nell’incontro con l’agape di Dio. La
consueta contrapposizione di culto ed etica qui semplicemente cade. Nel ‹‹culto›› stesso, nella comunione
eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri.”
210
Cfr PE, 217, ove si riporta l’Epiclesi dell’‹‹Anaphora in Catechesi mystagogica VI Theodori
Mopsuesteni››
211
PAPROCKI, H., Le Mystère de l’Eucharistie, cit., 442s
176
Santo, nel suo vertice dell’obbedienza pasquale: “[Cristo] per virtù di Spirito eterno, offrì se stesso
immacolato a Dio” (Eb 9,14).
La comunione eucaristica è il momento in cui i battezzati, uniti al corpo pneumatico di Cristo,
sono portati dallo Spirito Santo a vivere conformati a Cristo nel dono al Padre per i fratelli, a portare il
frutto molteplice dello Spirito Santo, come espresso in Gal 5,22:
“II frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà,
mitezza, dominio di sé.” Questo agire secondo lo Spirito, accettando generosamente la lotta spirituale
contro la carne e le sue opere (Gal 5,15-21), opera inoltre il consolidamento del Corpo ecclesiale,
sostenendo la rinuncia agli atteggiamenti egoistici , di possessività particolari, per il bene dell’intera
Chiesa, e questo secondo Ministeri e carismi ricevuti.
L’Eucarestia è il Sacramento in cui le strutture pneumatiche, ministeriali e carismatiche,
conferite dall’Ordine e dalla Cresima, trovano accrescimento e sviluppo. Anche in questa prospettiva
il frutto della comunione eucaristica, unità e carità della Chiesa, viene a saldarsi con l’effetto più
personalizzante, cristico e pneumatico.
Dopo avere esaminato l’effetto ecclesiale e quello personale dell’Eucarestia, percependo
insieme la loro inseparabilità, siamo in grado di orientarci sul tema dell’Inter-comunione con i
battezzati di Chiese e Comunità cristiane separate.
212
Cfr E.V. 13, nn 2401-2443.
177
É alla luce di questi due principi basilari, i quali devono sempre essere considerati insieme, che
la Chiesa cattolica, in linea di principio, ammette alla comunione eucaristica e ai sacramenti della
Penitenza e Unzione degli infermi esclusivamente coloro che sono nella sua unità di fede, di culto e di
vita ecclesiale.
Per gli stessi motivi essa riconosce anche che, in certe circostanze, in via eccezionale e a
determinate condizioni, l’ammissione a questi sacramenti può essere autorizzata e perfino
raccomandata a cristiani di altre Chiese e comunità ecclesiali”.
Il Direttorio distingue accuratamente tra condivisione offerta alle chiese orientali, con
successione apostolica e sacramenti validi, e condivisione offerta alle comunità ecclesiali che di valido
hanno il solo battesimo. Evidentemente con gli Orientali separati da Roma può, nei casi considerati,
darsi reciprocità, cioè un cattolico ricorrere ad un Ministro orientale separato. La reciprocità viene
esclusa ove i sacramenti dell’Eucaristia, Penitenza ed Unzione non sono validi.
Il n. 131 descrive le situazioni in cui può darsi e desiderarsi:
-- quando si da un motivo grave ed urgente di comunicarsi, come in pericolo di morte, prigionia,
con impossibilità di accedere al proprio Ministro.
--il sacramento deve essere richiesto spontaneamente
-- è richiesta la fede cattolica circa il sacramento desiderato, riceverlo con le debite disposizioni.
-- il ministro cui si ricorre sia validamente ordinato.
Eccetto il caso di pericolo di morte, in cui il sacramento può sempre essere richiesto, nel n 130
si chiede che tra Conferenze episcopali cattoliche e Sinodi orientali si stendano accordi in questa
materia, che “permettano il discernimento in situazioni di grave e pressante necessità, e la verifica
delle condizioni qui sotto elencate” (n 131).
Notare la delicatezza ecumenica del n 124: “poiché presso i cattolici e presso i cristiani
orientali vigono usanze diverse riguardo alla frequenza della comunione, alla confessione prima della
comunione e al digiuno eucaristico, è necessario che i cattolici abbiano cura di non causare scandalo
e diffidenza tra i cristiani orientali non seguendo le consuetudini della Chiesa d’Oriente.
Un cattolico che desidera legittimamente ricevere la comunione presso i cristiani orientali
deve, nella misura del possibile, rispettare la disciplina orientale e, se questa Chiesa riserva la
comunione sacramentale ai propri fedeli, escludendo tutti gli altri, deve astenersi dal prenderne
parte.”
Degno di considerazione è l’applicazione di questo Direttorio nel caso dei rapporti Cattolici-
Anglicani: le Conferenze episcopali di Inghilterra-Galles, Scozia e Irlanda 213 , nel documento «Un solo
pane, un solo corpo» dopo avere esposto la dottrina cattolica circa l’Eucarestia, precisano le norme del
Direttorio sulla condivisione da offrire agli Anglicani; la reciprocità, come sappiamo, non è ancora
possibile (DH 3315-3319)
213
CONFERENZE EPISCOPALI DI INGHILTERRA-GALLES, D’IRLANDA E SCOZIA, Un solo
pane e un solo corpo, in Regno-documenti 3/1999,122-136.
178
La chiesa Anglicana di Inghilterra dà una sua risposta col documento «L’eucarestia sacramento
di unità»214
Nel Documento cattolico altre la normatività già stabilita dal Direttorio, troviamo ulteriori
sviluppi nei nn 159-160, che riguardano i casi che sorgono nei Matrimoni misti tra cattolici e cristiani
separati.
I matrimoni misti sono da sconsigliare, perché, come ricorda il Direttorio n 144: “La perfetta
unione delle persone e la condivisione completa della vita, che costituiscono lo stato matrimoniale,
sono più facilmente assicurati quando i coniugi appartengono alla medesima comunità di fede.”
Quando si realizza un Matrimonio misto “La compartecipazione ai sacramenti del battesimo e
del matrimonio crea un vincolo sacro fra marito e moglie, e pone la coppia in un rapporti nuovo con
la Chiesa cattolica” (n 111 di «Un solo pane, un solo corpo»); ne segue che la comunione
all’Eucarestia può in casi eccezionali, da sottoporre alla decisone del Vescovo, essere concessa al
coniuge anglicano.
Sono le situazioni di gioia e di dolore: gioia, come Battesimi, Cresime, prime Comunioni,
Ordinazioni; dolori come le Esequie (n 112); questi casi non costituiscono situazioni canoniche per un
permesso codificato, ma solo materia per il discernimento, di volta in volta, del Vescovo o suo
delegato (n 113). Non viene pertanto in nessun modo concessa una intercomunione generale, da
offrirsi indiscriminatamente a tutti i battezzati credenti e ben disposti. Lo vieta l’inscindibile legame
tra comunione eucaristica e unità della Chiesa: la Comunione eucaristica riconosce già realizzata ed
esprime tale Unità della Chiesa, per incrementarla.
La risposta della Chiesa anglicana d’Inghilterra , pur concordando che la communicatio in
Sacris non debba essere considerata un «un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento
dell’unità dei Cristiani» (Vaticano II, U.R., n 8), si mostra favorevole ad una ampia condivisione
eucaristica: “I gradi di condivisione eucaristica che abbiamo in mente sono
-- anzitutto, la reciproca ospitalità eucaristica, poi
-- la partecipazione dei ministri, escludendo la presidenza o la concelebrazione, alle celebrazioni
eucaristiche delle rispettive Chiese (come previsto dai nostri canoni ecumenici e accordi ecumenici),
-- la piena interscambiabilità dei ministeri come parte della piena unità visibile” (n 36-37).
Tutto il dialogo con le comunità ecclesiali conseguenza della lacerazione del sec XVI, si muove
nella prospettiva del n 22 del decreto U.R. “Le comunità ecclesiali da noi separate, quantunque
manchi loro la piena unità con noi derivante dal Battesimo, e quantunque crediamo che esse,
specialmente per la mancanza del sacramento dell’Ordine, non hanno conservato la integra e
genuina sostanza del Mistero eucaristico, tuttavia, mentre nella S.Cena fanno memoria della morte e
risurrezione del Signore, professano che nella comunione di Cristo è significata la vita e aspettano la
sua venuta gloriosa. Bisogna quindi che la dottrina circa la Cena del Signore, gli altri sacramenti, il
culto e i ministeri della Chiesa, costituiscano l’oggetto del Dialogo.”
214
CHIESA D’INGHILTERRA, L’Eucarestia sacramento di unità, in Regno-documenti 9/2001,319-
328
179
Sarebbe quindi necessario che il Dialogo ecumenico si concentrasse al più presto possibile sul
Mistero Eucaristico, vera «coppa della sintesi» delle realtà di fede, che già in sé contiene, senza
ulteriori parcheggiamenti inconcludenti.
180
Siamo ora in grado, con la ‹‹Sacramentum caritatis›› di cercare una prima risposta alle
domande teologiche del Sinodo, quelle maggiori della Proposizione 22:
I. «Il legame della Epiclesi con il Racconto dell’Istituzione»; una risposta che raggiunga la
finalità di rendere più evidente «come tutta la vita dei fedeli sia, nello Spirito Santo e nel sacrificio di
Cristo un’offerta spirituale gradita al Padre».La Sacr. Car. ne tratta al n 13: “ E’ quanto mai
necessaria per la vita spirituale dei fedeli una coscienza più chiara della ricchezza dell’anafora:
insieme alle parole pronunciate da Cristo nell’Ultima Cena, essa contiene l’epiclesi, quale
invocazione al Padre perché faccia discendere il dono dello Spirito affinché il pane ed il vino
diventino il corpo ed il sangue di Cristo, e perché ‹‹ la comunità tutta intera diventi sempre più corpo
di Cristo215››” Così pure il n 48 :” In particolare la spiritualità eucaristica e la riflessione teologica
vengono illuminate se si contempla la profonda unità dell’anafora tra l’invocazione dello Spirito
Santo e il racconto dell’istituzione”
II. «In questo quadro il Sinodo avverte la necessità che sia meglio precisato la natura della
diversa causalità implicita nella formula: la Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa». La Sacr.
Car. ai nn 14 – 15 offre un incisivo insegnamento magisteriale sul primato ontologico-storico
dell’Eucaristia sulla Chiesa.
Una via per raggiungere questa maggior chiarezza percorre obbligatoriamente la storia della
genesi della Prex eucaristica, quella che abbiamo seguito nei primi tre secoli, come sviluppo del dato
evangelico rivelato. La Sacr. Car. al n 12 ci avvisa : “ A tale proposito è necessario risvegliare in noi
la consapevolezza del ruolo decisivo esercitato dallo Spirito Santo nello sviluppo della forma
liturgica e nell’approfondimento dei divini misteri “
Per passare poi a considerare quella che possiamo dire la soluzione romana in rapporto a quella
bizantina circa le relazioni liturgiche tra racconto istitutivo consacratorio e l’invocazione dello Spirito
Santo. Vedere questo nel contesto dei grandi Concili cristologici e pneumatologici della Chiesa unita.
La controversia poi sorta nell’ambito poco sereno, aggressivo di uno scisma che sempre incide
sull’intelligenza della fede, ci fa intravedere, nel suo felice superamento, grandi frutti spirituali:
comprensione più completa del cuore stesso dell’Eucaristia, la partecipazione al sacrificio di Cristo
reso presente, per ottenere frutti abbondanti di vita inizialmente risorta nello Spirito Santo, nell’unità
della Chiesa.
215
Citazione dalla Proposizione 22
181
IV.1.1 Breve richiamo della genesi della Prex eucaristica, nel contesto del Vangelo.
Abbiamo già sottolineato, trattando della genesi della Prex, una progressiva sempre più
intensa ‹‹cristologizzazione›› della Preghiera giudaica, specialmente quelle della benedizione-
ringraziamento del Pasto: questo si può seguire a grandi linee nello sviluppo della Prex dalla Didachè
dei Dodici apostoli 9-10, attraverso la Paleoanafora di Costituzioni apostoliche VII, 25-26, sino alla
Preghiera eucaristica essenzialmente completa della Tradizione apostolica. 216
Abbiamo notato l’energica e fondamentale affermazione che il cibo e bevanda spirituale così
ricevuti essere il corpo e sangue del Signore; anzi Giustino ne offre anche la spiegazione: la preghiera
di ringraziamento che realizza tale effetto contiene le parole del Signore. Simile spiegazione ci offre
pure Ireneo di Lione.
Si tratta comunque di uno schema di Preghiera eucaristica, che Giustino, riferendola a quella
dell’Ultima Cena, ci avvisa essere tutta rivolta al Padre per Cristo, nello Spirito Santo; essa viene
proclamata da un Presidente qualificato, ‹‹apostolico››, come apostolico è anche il titolo di tutte le
217
testimonianze scritte che ci riportano lo schema di tale preghiera.
Preghiera sempre rivolta al Padre nello Spirito Santo: un agire liturgico in conformità
all’istituzione del Signore, risulta decisivo per ‹‹eucaristicizzare›› i doni, rendere presente la ‹‹passione
del Signore, nel suo Corpo e suo Sangue››: con frutti non solo personali, ma anzitutto ecclesiali,
l’unità della Chiesa.
Possiamo riannodare tale Preghiera nello Spirito Santo, nel fare liturgico del Memoriale
istituito e affidato a Pietro e agli Apostoli, ai discorsi di Gesù nell’ultima cena, come riferiti
ampiamente da Giovanni. Quì Gesù afferma:
“Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal
Padre, Egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con
me sin dal principio” (Gv 15,26s).
Si dà quindi nei tempi della Chiesa una testimonianza duplice e sinfonica del Signore Gesù:
quella degli Apostoli, la tradizione apostolica, il suo vertice qualitativo nella celebrazione perseverante
del Memoriale del Signore; ed insieme, dello Spirito di verità, per convincere il mondo quanto al
peccato, perché non credono in Lui, quanto alla giustizia, perché Gesù sale al Padre, quanto al
giudizio, perché il Principe di questo mondo è già vinto. Portare gli Apostoli alla Verità intera, quella
comune, il mio comune del Padre e del Figlio.(Cfr Gv 16, 5-15).218
216
Vedi indice I.3 Dossier liturgico e dottrinale dei primi tre secoli della Chiesa
217
vedi inoltre in APPENDICE VI.6 DOSSIER DOTTRINALE, con i testi dei Padri.
218
Solamente accenniamo che nel Mistero eucaristico, la presenza del Crocifisso glorioso nelle specie
del pane e del vino, in attesa della sua piena manifestazione , risurrezione in terra nuova e cieli nuovi, è come
contenuto tutto il legittimo progresso dogmatico, crescita di intelligenza della Fede professata, celebrata e vissuta
dalla Chiesa; lo Spirito Santo apre alla più perfetta conoscenza di questo mistero che forma e guida la Chiesa nel
suo pellegrinare verso la parusia; per il ‹‹principio mariano›› della Chiesa è già pienamente accolto in Maria SS,
per il ‹‹principio petrino›› l’autenticità di questa legittima crescita di intelligenza e di esposizione è già
accordata, in continuità.
182
Per realizzare il perseverante celebrare del Memoriale del Signore nei tempi della Chiesa, è
determinante il primo coinvolgimento sacramentale degli Apostoli nell’ultima cena, l’affidarlo loro
con il precetto: ‹‹fate questo in memoria di Me››; sarà poi necessaria la rinnovata commensalità con il
Risorto, ma infine ancora la Preghiera con Maria SS e i fratelli e le sorelle nell’attesa che il Crocifisso
risorto ‹‹mandi su di voi ciò che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città finché non siate
rivestiti di potenza dall’alto››(Lc 16,49-53).
Così la Preghiera eucaristica sarà sin dagli inizi lo sviluppo autentico del Benedire-ringraziare di
Cristo nello Spirito Santo al Padre, celebrato dal Successore degli Apostoli nei riti del Memoriale
istituito dal Signore, per ‹‹eucaristicizzare›› il pane ed il vino, Corpo dato e Sangue versato in
sacrificio.
Normale che sia ricordato l’evento istitutivo, con il suo frutto prezioso, Corpo e Sangue del
Signore. Non solo ricordo, ma agire liturgico; il vertice qualitativo dell’obbedienza al comandamento
di Gesù: “Anche voi mi renderete testimonianza, perchè siete stati con me fin dal principio”( Gv
15,27), consiste nel celebrare il Memoriale della sua Pasqua: “Questo è il mio corpo che è dato per
voi; fate questo in memoria di me”( Lc 22,19). Questa obbedienza al fare liturgico richiesto dal
Signore all’Apostolo e al suo Successore, è decisiva per ‹‹eucaristicizzare›› il pane ed il vino›› nel
Corpo dato e nel Sangue versato: non abbiamo qui evidenti fondamenti rivelati, biblici della
‹‹consacrazione››?.
Una Preghiera che sarà rivolta al Padre, nello Spirito Santo come ogni preghiera cristiana( cfr
Rm 8,15, Gal 4,6); invocando lo Spirito Santo, perché gli Apostoli ‹‹rivestiti di potenza dall’alto ›› (Lc
24,49) possano dare testimonianza del Crocifisso risorto, della sua Pasqua, con tutti i suoi frutti:
normale che lo Spirito Santo sia espressamente invocato perché il Crocifisso glorioso sia reso
presente, con tutti i suoi frutti. Pasqua e Pentecoste sono inscindibili, la seconda è il frutto, pienezza
della prima.; lo Spirito Santo ‹‹operante già nella creazione (Gn 1,2) è pienamente presente in tutta
l’esistenza del Verbo incarnato [….] Pertanto, è in forza dell’azione dello Spirito che Cristo stesso
rimane preente ed operante nella sua Chiesa, a partire dal suo centro vitale che è l’Eucaristia››
(Sacr. Car. n 12).
Con il timore di abusare delle espressioni, potremmo dire: anche per l’invocazione dello Spirito
Santo si passa da un ‹‹embolismo implicito››, sempre presente in una preghiera nello Spirito Santo, ad
un embolismo più esplicito, quando lo stesso Spirito Santo viene espressamente invocato, in forza
della promessa di Gesù che l’avrebbe inviato dal Padre.
Qui si aprono le due soluzioni liturgiche nell’invocare lo Spirito Santo: quella Romana con
similitudini Alessandrine, e quella Bizantina.
219
Cfr MAZZA, E., Le odierne preghiere eucaristiche, 1.Struttura, Teologia, Fonti, EDB 1964 131-180;
Id., L’Anafora eucaristica studi sulle origini,(=BEL ‹‹subsidia›› 62), C.L.V. - Ediz. liturgiche, Roma 1992, 263-
183
Il Canone romano accentua la dimensione ‹‹epiclettica››, di preghiera, intercessione, indicando
le finalità ecclesiali e più personali già immediatamente dopo il Sanctus 220; la parte anamnetica, il
ricordo degli eventi salvifici, è considerata nel prefazio, variabile; come il ricordo che tutto per Cristo
viene creato, santificato, fatto vivere e benedetto, donato viene riservata non all’inizio, ma alla
conclusione, prima della Dossologia.
221
In questo contesto di preghiera, già sin dall’inizio tutta offertoriale , nella prospettiva
dell’unità della Chiesa, della qualità salvifica della vita cristiana, nella comunione della Madonna SS,
Apostoli e Martiri, è normale che si ponga in evidenza che tutto avviene, in definitiva, per il sacrificio
unico del Corpo e Sangue di Cristo.
E si chieda al Padre di realizzarlo, in vista della transustanziazione delle oblate, con
l’invocazione pre-consacratoria «santifica o Dio questa offerta con la potenza della tua benedizione»;
una espressione che ci sembra felice, della riforma di Paolo VI, che rispettando il carattere arcaico del
Canone romano, usa categorie bibliche, di Luca, relative alla promessa dello Spirito Santo: sarete
«rivestiti di potenza dall’alto[... ]li benediceva»( Lc 24,49s).
Certo si dà forte sottolineatura liturgica della ripresentazione del Sacrificio, nella celebrazione
del Memoriale dell’intero mistero pasquale di passione, risurrezione e ascensione al cielo, e quindi
della sua offerta in vista della partecipazione ecclesiale, con i suoi frutti.
Si tratta dell’Anamnesi in senso forte: porre in risalto la ripresentazione del Sacrificio, la sua
offerta-accettazione fruttuosa, nel contesto dei precedenti sacrifici accetti non solo nella famiglia
abramica, ma anche nella religiosità universale di Abele e di Melchisedek.
Frutti abbondanti del Sacrificio, pienezza di ogni grazia e benedizione del Cielo, si attendono
dalla partecipazione di un altare terreno in perfetta corrispondenza, di ‹‹identità ››coll’altare celeste: si
222
invoca per questo un intervento angelico.
308; GIRAUDO, C. ., Eucaristia per la Chiesa, cit, 487-506; RAFFA, V., Liturgia eucaristica, cit., 497-598
220
‹‹ Te igitur clementissime Pater [……] Memento Domine famulorum famularumque tuarum [….]››
221
Cfr. GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, cit., 496 s., parla di un ‹‹filo conduttore della
tematica offertoriale›› dal Te igitur al Quam oblationem, l’epiclesi romana. La evidente sottolineatura del
carattere offertoriale-sacrificale del canone romano mi sembra in sintonia con il Simbolo apostolico romano, che
dà, in proporzione, molto rilievo all’Incarnazione-redenzione, la Passione del Signore.
222
Questo riferimento, ‹‹identità ›› dell’altare terreno con quello Celeste del ‹‹Supplices Te rogamus››,
seconda ‹‹epiclesi in senso forte›› del Canone romana, (una interpretazione legittima, non da tutti condivisa) mi
sembra abbia fondamento biblico in Gv 6,61-63 E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima ? E’ lo
Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e vita.” Eb 10,19-20
Avendo dunque fratelli, piena fiducia di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Cristo, per questa via
nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne.” Anche sempre Ebrei 9,11 :
“Cristo invece, venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non
costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione, entrò una volta per sempre nel santuario
non con il sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue, dopo averci ottenuto una redenzione eterna.”;
inoltre Eb 9,24: :”Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da nani d’uomo, figura di quello vero, ma nel
cielo stesso, allo scopo di presentarsi, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore”. Ancora Eb 7,25;
184
Frutti di comunione salvifica con i Defunti e con i Santi, sia per il Ministro, che per il popolo;
giova ancora ricordare che queste finalità di comunione, unità, qualità salvifica di vita frutto del
Sacrificio accetto per Cristo, sono già precisate sin dall’inizio, dopo il Sanctus; comunione salvifica a
misura del ricordo e della intercessione anzitutto della ‹‹gloriosa e sempre vergine Maria, Madre del
nostro Dio e Signore Gesù Cristo›› e di S. Giuseppe, ma anche di Pietro e Apostoli, Santi successori di
Pietro, il Vescovo Cipriano, laici, tutti martiri.
Prima delle solenne dossologia al Padre, per fondarla nella mediazione universale di Cristo, sia
nella creazione, sia nella redenzione santificazione, si fa ‹‹sintesi›› di tutto l’operare salvifico di Dio,
che il Memoriale della Pasqua rende presente e porta a pienezza: ‹‹ Per Cristo nostro Signore, tu, o
Dio, crei e santifichi sempre, benedici e dono all’uomo ogni bene››.
La solenne dossologia risale al Padre per la mediazione riconosciuta di Cristo, ‹‹nell’unità dello
Spirito Santo››: non partecipa dei timori di ‹‹subordinazionismo››, come avverrà nella reazione anti-
ariana. 223
6,14-16.19-20. Notare come questo ‹‹entrare di Cristo nel santuario celeste›› avviene nello Spirito santo :”
Cristo, il quale con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio” Eb 9,14. Cfr anche Ef 4,10 Colui che
discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose”; sempre in Efesini 1,18-
21.
Inoltre nelle liturgie celesti dell’Agnello, di cui Giovanni ha rivelazione nel ‹‹giorno del Signore››( Ap
1,10): ricordare l’invito rivolto a Giovanni Ap 4,1 :” Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in
seguito” .Per la storia dell’esegesi del ‹‹Supplices te roagamus›› , cfr RAFFA, V., Liturgia eucaristica, cit. 566-
599; GIRAUDO, C., In unm corpus, cit ,543-546; Introduzione alle relazioni tra liturgia terrena e celeste cfr
VANNI, U. , Tempo ed eternità nell’Apocalisse: traccia per una riflessione teologica-biblica, in CASALEGNO,
A. ed., Tempo ed eternità, cit ,5-71; significativo quanto afferma LIGER, L. , Il Sacramento dell’eucarestia, cit,
261: “ La liturgia romana col suo canone I, nella preghiera ‹‹supplices Te rogamus››, mostra nella comunione
una partecipazione al sacrificio ‹‹celeste››, cioè al sacrificio contemplato nella prospettiva della risurrezione e
glorificazione di Cristo (“in sublime altare tuum, in conspectu divinae maiestatis tuae ....omni bnedictione
celesti….)
223
Cfr. JUNGMANN, J. A., De praesentia Domini in communitate cultus et de rationibus cur haec
doctrina dudum oscurata et hodie redintegranda sit, In Acta congressus inter. de theol. Conc.Vaticani II, ed A.
Schonmetzer, Typis poliglottis vaticanis, 1968, 296-299, e NEUNHEUSER, B., De praesentia Domini in
communitate cultus : quaestionis evolutio historica et difficultas specifica , ibidem 316-319.
224
per il testo cfr. GIRAUDO, C., Eucaristia per la Chiesa, cit 430-452; Il testo dell’anafora di S.
Giovanni Crisostomo è riportata in APPENDICE VI. 5.4.
185
Preghiera di lode e ringraziamento, nell’adorazione ugualmente offerta alle Tre Persone divine.
In Giovanni Crisostomo viene a mancare, nel parlare di creazione, il riferimento esplicito alla
creazione per Cristo, che troviamo ancora nella più antica di Basilio.
Ma risulta molto forte la fede che in Cristo si è compiuta l’intera economia salvifica per noi,
sino al vertice dell’Ultima Cena, segno anticipatore della Croce, Memoriale dell’intera economia ‹‹
della croce, della sepoltura, della resurrezione il terzo giorno, dell’ascensione nei cieli, della sessione
alla destra, della seconda e gloriosa nuova venuta.››-*
L’‹‹offerimus›› che ne segue risulta quindi molto completo, nel quadro di questa intera
economia realizzata per Cristo.
Non si parla, nell’anamnesi in senso forte, della Pentecoste, ma si chiede espressamente,
intensamente, il dono dello Spirito Santo, in primo luogo sul noi ecclesiale, perché sia nei suoi membri
trasformato in senso salvifico, realizzando l’unico Corpo ecclesiale, in tutte le sue articolazioni; e per
raggiungere tali finalità ecclesiali, si domanda la trasformazione del pane e del vino nel prezioso corpo
e sangue di Cristo.
Come nota genialmente il P. Cesare Giraudo, .qui si fa dipendere la trasformazione ecclesiale
(Epiclesi + intercessioni) dalla trasformazione pneumatica del corpo e sangue di Cristo.
Come intendere questa trasformazione: notare in primo luogo come anche la Chiesa bizantina, a
somiglianza di quella romana, circonda, dopo le parole istitutive, il corpo e sangue di segni di
adorazione.225
Consapevolezza quindi che nella celebrazione del memoriale, nell’agire liturgico, secondo il
comando del Signore, ad opera del Successore apostolico, il sacrificio della croce è reso presente, nel
corpo dato e sangue versato. Ma frutto della Pasqua è il dono dello Spirito Santo, invocato nel
Cenacolo, come ora è invocato dal Celebrante, nel noi ecclesiale.
I rapporti tra il Corpo di Cristo e lo Spirito sono molteplici nella storia evangelica; non solo
‹‹concepito per opera dello Spirito Santo››(Mt 1,18; Lc 1,35), ma anche segnato, manifestato dallo
Spirito nel suo Battesimo (cfr Mt 3,16 e //), guidato dallo Spirito nel deserto per vincere le nostre
tentazioni (cfr Mt 4,1); in questo stesso Spirito agisce parla ed esulta (cfr Lc 10,21); secondo Ebrei
9,14, nella Croce offrì se stesso con uno Spirito eterno al Padre, mentre la stessa risurrezione è operata
dallo Spirito (1Pt 3,18); Spirito santo che il Risorto invierà salito al cielo dal Padre (cfr Lc 24,49), per
vivificare l’esistenza e la missione della Chiesa, realizzare l’unità promessa nei discorsi dell’ultima
cena.(cfr Gv 14,15-31; 16,5-15).
“Sarà poi lo stesso Spirito ad insegnare ai discepoli ogni cosa ed a ricordare loro tutto ciò
che Cristo ha detto (cfr Gv 14,26), perché spetta a Lui, in quanto Spirito di verità (cfr Gv 15,26),
introdurre i discepoli alla verità tutta intera (cfr Gv 16,13). Nel racconto degli Atti lo Spirito
discende sugli Apostoli riuniti in preghiera con Maria nel giorno della Pentecoste (cfr 2,1-4), e li
anima alla missione di annunciare a tutti i popoli la buona novella. Pertanto è in forza dell’azione
225
Cfr PAPROCKI, H., Le Mystére de l’Eucharistie, cit. 433
186
dello Spirito che Cristo stesso rimane presente ed operante nella sua Chiesa, a partire dal suo centro
vitale che è l’Eucaristia” (Sacr. Car. n 12).
Nessuna contrapposizione tra il Corpo dato ed il Sangue versato in sacrificio, il corpo nello
Spirito Santo asceso al cielo ed il corpo del Crocifisso glorioso che dona lo stesso Spirito alla Chiesa,
con tutti i suoi frutti.
E’ ricco di significato che la Prex eucaristica bizantina, in quanto preghiera già tutta nello
Spirito Santo, dopo avere percorsa tutta l’economia del Verbo incarnato sino alla sua Pasqua, che il
Memoriale rende presente nel corpo dato e sangue versato, invochi lo Spirito Santo, attivo in tutta la
storia di Cristo, agente della sua Risurrezione-glorificazione; Lo invochi perché trasformi il corpo dato
ed il sangue versato in sacrificio, nel ‹‹prezioso corpo e sangue›› del Crocifisso risorto che vivifica la
sua Chiesa nell’attesa della trasformazione escatologica, cosmica.
Questa prospettiva della missione dello Spirito è certo facilitata, anzi suggerita dallo sviluppo
della teologia orientale e dalle definizioni del Costantinopolitano I, del 381: ‹‹Credo nello Spirito
226
Santo che è Signore e dà la vita›› .Esprime ,in campo eucaristico, le ampie prospettive della
teologia orientale sullo Spirito Santo : oltre al ‹‹Filioque››, lo Spirito mandato dal Figlio da parte del
Padre, giustamente sottolineato dalla Chiesa romana, esiste anche una ulteriore reciprocità personale
tra lo Spirito Santo ed il Figlio, quella delineata nel n 12 della Sacr. Car. , qui sopra citata.227
Il Canone romano dice le stesse cose, senza nominare espressamente lo Spirito Santo.
226
Cfr PAPROCKI, H., Le Mystère de l’Eucharistie, Genèse et interprétation de al liturgie eucharistique
byzantine, Cerf, Paris 1993, 71-88; a pag. 84 documentazione sulle relazioni tra la Liturgia di S. Basilio ed il suo
Trattato sullo Spirito Santo. Così pure pag.324s sul significato dell’Epiclesi nell’anafora di Basilio.
227
Cfr SESBUÉ, B., La personalità dello Spirito Santo nella testimonianza biblica, nella teologia
trinitaria recente e nell’esperienza storica della Chiesa e degli uomini, in TANZARELLA, S., ed, La personalità
dello Spirito Santo, in dialogo con B. Sesboué, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 1998, 25-31
187
Su questo solido fondamento, dopo il Sanctus, si sviluppa la grande preghiera epiclettica perché
l’offerta sacrificale della Chiesa sia accetta al Padre . Un filo offertoriale, domanda di comunione,
unità che abbraccia la chiesa terrena e celeste, nelle sue articolazioni di Ministero apostolico e di
santità laicale.
Un’offerta, coi frutti di comunione, beni salvifici che solo il Sacrificio di Cristo, reso presente,
partecipato, offerto attualizza. Per questo si prega il Padre di santificare l’offerta della Chiesa, il pane
ed il vino, con la ‹‹potenza della tua benedizione...perché diventi per noi il corpo ed il sangue del tuo
amatissimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo››. Per questo il sacerdote compie i riti e dice in
‹‹Persona Christi›› le parole consacranti.
Nell’anamnesi in senso forte, ‹‹l’offerimus›› della Chiesa ha una dimensione universale, perché
già preannunciata nel Sacrificio di Abramo e al di là di esso nei sacrifici accetti di Abele e
Melchisedek; inoltre, per mediazione angelica, si unisce, identifica con lo stesso altare celeste; ne
segue che la partecipazione sacramentale al sacrificio porterà abbondanza di grazia e benedizioni,
comunione con i ‹‹santi apostoli e martiri››, per i vivi e i defunti.
Il Canone romano si manifesta come una grande epiclesi, con un momento forte per rendere
presente il sacrificio di Cristo sacramentalmente realizzato dal Ministro in successione apostolica ( la
consacrazione); un secondo momento forte perché ne dimostri tutta l’efficacia di grazia e di
benedizione, come sacrificio accetto al Padre, in unità alla sua dimensione di liturgia celeste.
La liturgia bizantina, più matura nella sua teologia trinitaria, cristologica e pneumatica, sviluppa
ampiamente, nella preghiera sempre rivolta al Padre, tutta l’economica salvifica, di creazione,
incarnazione e redenzione, tutta realizzata per Cristo, sino all’estremo del sacrificio della Croce, il
corpo dato ed il sangue versato, resi presenti nel suo Memoriale fedelmente celebrato, nei riti e nelle
parole, dal Ministro ordinato.
All’anamnesi post consacratoria di tutta l’economia di Cristo, segue l’invocazione dello Spirito
per la trasformazione dei comunicandi. Per questo si chiede l’azione dello stesso Spirito Santo: la
missione dello Spirito, in relazione anzitutto al Corpo di Cristo non solo crocifisso, ma nello Spirito
risorto, asceso al cielo, carne viva e vivificante.
Nella liturgia bizantina l’economia del Verbo incarnato e crocifisso, la sua presenza,
penetrazione più intensa nella nostra vita per la celebrazione del Memoriale, si completa nella
missione e nell’efficacia vivificante dello Spirito Santo, frutto della stessa Pasqua; anzitutto nel Corpo
dato e Sangue versato, ma per realizzare l’unità del Corpo ecclesiale in tutte le sue articolazioni,
qualità di vita redenta verso la pienezza, trasformazione escatologica.
Senza scadere in una aberrante ‹‹allegoresi››, volere vedere nei riti della messa un richiamo
indebito ai molteplici fatti della passione, morte e risurrezione, dono dello Spirito Santo, la Liturgia
bizantina esprime bene, nella struttura liturgica, il Memoriale che rende presente la Croce salvifica, e
che dà l’avvio alla domanda del dono vivificante dello Spirito Santo, nell’Umanità SS. del Crocifisso,
nella sua carne e sangue donati in Sacrificio , ma per la trasformazione in Lui della Chiesa.
188
La Liturgia romana realizza ed esprime le stesse finalità, in una situazione teologica si direbbe
più arcaica, ma non meno comunicativa ed efficace, in una struttura epiclettica che avvolge e realizza
il sacrificio di Cristo reso presente, un sacrificio molto marcato nella sua realizzazione sull’altare della
Chiesa e per identità sull’altare glorioso, Celeste, e i frutti di trasformazione ecclesiale presente ed
escatologica.
IV.2 «IN QUESTO QUADRO IL SINODO AVVERTE LA NECESSITÀ CHE SIA MEGLIO PRECISATA LA
La Sacramentum Caritatis offre una ulteriore ‹‹significativa opzione magisteriale›› 228: afferma
al n 14: “ Pertanto nella suggestiva circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e Chiesa
stessa che fa l’Eucaristia, la causalità primaria è quella espressa nella prima formula”; come
poi riconosce al n 15 : “L’Eucaristia dunque è costitutiva dell’essere e dell’agire della
Chiesa”.
Dopo avere ricercato in H. de Lubac .l’origine di questo effato, richiameremo il
precedente insegnamento magisteriale, specialmente nell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia di
Giovanni Paolo II.
Saremo così in grado di precisare meglio la causalità reciproca, sottolineando una certa
precedenza non solo ontologica ma anche storica dell’Eucaristia verso la Chiesa.
228
CARD. SCOLA, A. Presentazione cit., pag.11
229
Cfr DE LUBAC, H., Cattolicesimo, aspetti sociali del Dogma, Opera omnia, vol. 7, Jaka Book 1978,
56-59.
230
Ibidem 45s
189
Per sottolineare l’identità ‹‹sostanziale›› tra il Corpo crocifisso glorioso alla destra del Padre e
quello eucaristico, all’inizio del II millennio il termine di Corpo vero verrà attribuito a quello
eucaristico, quello mistico alla Chiesa. Nello sfondo sta la certezza di fede che dalla natura, verità del
Corpo eucaristico dipende la qualità del Corpo ecclesiale.
“Nel pensiero di tutta l’antichità cristiana, Eucaristia e Chiesa sono legate tra di loro. In S.
Agostino, per l’influsso della controversia donatista, questo legame s’accentua con una forza tutta
particolare, e lo stesso si nota negli scrittori latini dei sec. VII, VIII, IX.Per essi, come per Agostino,
dal quale tutti dipendono direttamente o attraverso altri e del quale riproducono incessantemente le
formule, l’Eucaristia ha con la Chiesa un rapporto come causa ed effetto, tra mezzo e fine e, nello
stesso tempo, come tra segno e realtà.” 231
Il tema viene ripreso in Meditazioni sulla Chiesa ( edite nel 1952), in cui compare l’effato
esplicito:
“Se il Sacrificio è accettato da Dio, se la preghiera della Chiesa è esaudita, è perché a sua
volta, nel senso più rigoroso della parola, l’Eucaristia fa la Chiesa. Essa, ci dice Agostino, è il
Sacramento ‹‹quo in hoc tempore consociatur Ecclesia››.... ‹‹Perficiamur in corpore››”. 232
Nell’introduzione L. Sartori compone l’espressione reciproca, che può sembrare paritetica: “De
Lubac insiste sulla mutua relazione, che si può esprimere nell’assioma: l’Eucaristia fa la Chiesa, e la
Chiesa fa l’Eucaristia” 233 In realtà, in termini di causa ed effetto, l’efficienza dell’Eucaristia è del tutto
prevalente. Lo confermiamo brevemente nel Magistero della Chiesa.
231
DE LUBAC, H., Corpus mysticum, L’Eucaristia nella Chiesa del Medioevo, Opera omnia v 15, Jaca
book 1982, 33
232
ID., ., Meditazioni sulla Chiesa, Opera omnia, vol. 8, Jaka Book Milano 1979, 95.
233
Ibidem, XIX.
190
“Giacché Gesù Cristo volle che questa mirabile unione, mai abbastanza lodata, per la quale
veniamo congiunti tra noi ed il nostro divino Capo, si manifesti ai credenti in modo speciale per
mezzo del sacrificio eucaristico. In esso infatti i ministri dei Sacramenti non solo rappresentano il
Salvatore nostro, ma anche tutto il corpo mistico ed i singoli fedeli; in esso i fedeli, uniti al Sacerdote
nei voti e nelle preghiere comuni, per le mani dello stesso Sacerdote offrono all’Eterno Padre, quale
ostia graditissima di lode e di propiziazione pei bisogni di tutta la Chiesa, l’Agnello immacolato,
dalla voce del solo Sacerdote reso presente sull’altare.”(n 81) 234
235
Dell’insegnamento diffuso del Vaticano II abbiamo già parlato ; insegnamento ripreso e
sviluppato in più occasioni da Giovanni Paolo II: nella sua prima enciclica, la Redemptor hominis: “
E’ verità essenziale, non soltanto dottrinale, ma anche esistenziale. che l’Eucaristia costruisce la
236
Chiesa”( n 20) ; nella Domincae cenae, compare un numero, il 4, dal titolo ‹‹Eucaristia e
Chiesa.›› :”Grazie al Concilio ci siamo resi conto, con forza rinnovata, di questa verità: come la Chiesa ‹‹fa
l’Eucaristia››, così ‹‹l’eucaristia costruisce›› la Chiesa; e questa verità è strettamente unita al mistero del
Giovedì santo”.237. Siamo così attirati dall’enciclica eucaristica di Giovanni Paolo II, che tratta
esattamente di questo.
238
CARD. SCOLA, A. Presentazione, in Osser. Rom. del 14/3/ ’07, 11
239
Sacr. Car. nota 30, cita LG 3; cfr J. CRYSOSTOME, Huit Catéchèses baptismales 3,13-19 :(= SC 50
b,174-177)
240
Ci sembra si possano applicare anche in questo caso la promessa di Gesù nei discorsi dell’Ultima
Cena :” Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli
mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me sin dall’inizio”(Gv
15, 26-27); anche le parole di Pietro in Atti 5, 32 :” E di questi fatti (Passione e Risurrezione) siamo testimoni
noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a Lui”
195
“La radice trinitaria, Cristologica e pneumatologica della celebrazione del Mistero eucaristico
costituisce la base per un approfondimento della realtà teologica della Chiesa in chiave eucaristica” 241
Papa Benedetto XVI .può concludere all’inizio del n 15 : “L’Eucaristia è dunque costitutiva
dell’essere e dell’agire della Chiesa”
241
CARD. SCOLA, A. Presentazione, cit.
242
Cfr DE FINANCE, J., Citoyen de deux mondes, cit., 294.
196
celebrazione del Memoriale assicuri la qualità eucaristica di vita in tutta la Chiesa, delle sue
articolazioni ministeriale e carismatiche.
Servizio petrino come necessità intrinseca di una Chiesa eucaristica, meta attraente a sè, nella
preghiera e sacrificio eucaristico, tutto il movimento ecumenico, di conversione, impegno comune di
carità e di dialogo teologico. L’Eucaristia è la ‹‹coppa della sintesi›› 243 di tutte le verità rivelate,
professate, celebrate e vissute.
Insieme alla preminenza ‹‹ontologica-qualitativa›› dell’Eucaristia, dobbiamo anche delineare
una sua precedenza temporale, storica: la Chiesa nasce nel Cenacolo, nel coinvolgimento sacramentale
di Pietro e degli Apostoli al Corpo e Sangue già offerti in sacrificio per tutti, e dal comandamento dato
della sua celebrazione memoriale nei tempi della Chiesa.
La Chiesa nasce universale con l’affidamento a Pietro e ai Dodici del Memoriale eucaristico; tra
l’universalità prodotta dall’Eucarestia ed il Ministero petrino che ne assicura l’autenticità nella
celebrazione e nei frutti, si dà una relazione intrinseca, costitutiva.
Questa precedenza storica, interiore, non si intuisce anche nella preghiera nella ‹‹sala al piano
superiore››, dove abitavano, ( At 1,13) con la presenza di Maria SS, mentre Pietro guida la decisione
apostolica per l’integrità numerica-qualitativa del Collegio apostolico ? non ha grande significato che
tutto avvenga nel Cenacolo, cioè ‹‹la sala al piano superiore››( Lc 22,11) ? 244
Precedenza storica riguardo al dono dello Spirito Santo, all’annuncio del giorno della
Pentecoste, del Battesimo e del segno sacramentale del dono dello Spirito Santo.(cfr At 2,14-41).
243
‹‹Coppa della sintesi›› in relazione all’Eucaristia è espressione di S. Ireneo, Contro le eresie III, 16,
7, cfr B. SESB_UO, Tout récapituler dans le Christ, Christologie et sotériologie d’Irénée de Lyon, (= Jésus et
Jésus-Christ 80) Desclée, Paris 2000, 157-159
244
CONGREGAZIONE PER LA DOTRINA DELLA FEDE, Lettera ‹‹comunionis notio››, su alcuni
aspetti della Chiesa intesa come comunione, 28/ 6 / 1992, AAS 85(1993), 838-850, n 9.
245
Cfr. nell’Introduzione, 8
246
Sacr. Car. al n 6, cita la Preposizione 16, e afferma .” La fede si esprime nel rito, e il rito rafforza e
fortifica la fede” Non intendiamo, evidentemente, esaurire l’argomento della Mistagogia: un saggio ampio,
comprensivo si può trovare in: RAFFA, V., Liturgia eucaristica, Mistagogia della Messa: dalla storia e dalla
teologia alla pastorale pratica, (= BEL ‹‹subsidia›› 100), C.L.V.- Edizioni liturgiche, Roma, 1998. Teologia
della Mistagogia, insieme a approfondito esame dei quattro mistagogi principali, in MAZZA, E., La Mistagogia,
una teologia della liturgia in epoca patristica, (= BEL ‹‹subsidia›› 46), C.L.V.- Edizioni liturgiche, Roma 1988.
Tutti gli studi di GIRAUDO, C. hanno finalità mistagogica, in particolare i suoi Testi, l’ampio esame
delle preghiere eucaristiche svolto in essi. Intendiamo solo trarre alcune conseguenze dal cammino teologico-
197
Mistagogo per autonomasia è il Sacerdote celebrante, qualificato ‹‹ontologicamente›› per
l’ordinazione sacerdotale ad agire in Persona Christi, essere suo segno sacramentale, di Lui, presente
ed attivo in vari modi nell’azione liturgica, quindi non sostituibile.
Per portare l’assemblea liturgica all’accoglienza fruttuosa del Crocifisso risorto, in modo
consapevole, di vera partecipazione attiva del Sacrificio, personalizzarla nella Comunione
sacramentale, risulta anzitutto necessaria la preparazione spirituale e scientifica del Presbitero
celebrante; la sua consapevolezza anzitutto di agire in Persona Christi per l’edificazione, crescita del
suo corpo ecclesiale.
Questo corpo ecclesiale, che si manifesta nell’assemblea qui riunita, già partecipa per il
Battesimo, precedenti Eucaristie, sacramenti ricevuti, carismi e doni dello Spirito Santo, alla pienezza
di Cristo, al noi ecclesiale: il Celebrante deve percepire e servire questa pienezza di Cristo già accolta
ed operante, ed insieme riportarla, consolidarla, farla crescere inserendola nella sua fonte sorgiva, il
sacrificio di Cristo.
Il sacerdote celebrante, mentre serve la Comunità ecclesiale come segno sacramentale,
efficace di Cristo Capo e Sposo della Chiesa, per introdurla sempre più, per il Sacrificio di Cristo reso
presente, in novità di vita risorta, esercitando così, in comunione e successione apostolica, il
‹‹principio petrino››, è ben consapevole della natura mariana della Chiesa. Natura mariana,
‹‹principio mariano›› di una Chiesa, che già, in Maria SS, è in pienezza realizzata, per la sua completa
accoglienza, in fede, speranza e carità, del Sacrificio redentore. (LG nn 63-65).
“Per questo, ogni volta che nella Liturgia eucaristica ci accostiamo al Corpo e al Sangue di
Cristo, ci rivolgiamo anche a Lei che, aderendovi pienamente, ha accolto per tutta la Chiesa il
sacrificio di Cristo.[….] Maria di Nazareth, icona della Chiesa nascente, è il modello di come
ciascuno di noi è chiamato ad accogliere il dono che Gesù ha fatto di se stesso nell’Eucaristia” (Sac.
Car. n 33)
In Maria SS si è realizzata così la pienezza del ‹‹sacerdozio comune, battesimale››: anche il
Celebrante è partecipe personalmente di questa Chiesa mariana, nella misura della sua Fede, Speranza
e Carità.247
storico percorso.
247
Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Mulieris dignitatem, del 15/ 8 / 1988, n 27 , AAS
(1988) 1717-1720 La partecipazione universale al sacrificio di Cristo, in cui il Redentore ha offerta al Padre il
mondo intero, e, in particolare l’umanità, fa sì che tutti nella Chiesa, siano un ‹‹regno di sacerdoti››( Ap 5,19;cfr.
1 Pt 2,9), partecipino cioè non solo alla missione sacerdotale, ma anche a quella profetica e regale di Cristo
Messia […]. Ciò riguarda tutti nella Chiesa, le donne come gli uomini, e riguarda ovviamente anche coloro che
sono partecipi del ‹‹sacerdozio ministeriale››, che possiede il carattere di servizio.[…] Il Concilio Vaticano II,
confermando l’insegnamento di tutta la tradizione, ha ricordato che nella gerarchia della santità proprio la
‹‹donna›› Maria di Nazareth, è figura della Chiesa. […] In questo senso si può dire che la Chiesa è insieme
mariana ed ‹‹apostolico petrina.››. Nella nota 55 il Papa cita VON BALTHASAR, H. U., ricordando che il
‹‹triplice munus›› del sacerdozio ministeriale non mira ad altro che a formare la Chiesa in quell’ideale di santità
che è già preformato e prefigurato in Maria; Maria è regina degli Apostoli, senza pretendere per sé i poteri
198
Le due dimensioni della partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo, ministeriale e
battesimale, ‹‹principio petrino apostolico e mariano››, benché ordinate l’una all’altra, sono
‹‹essenzialmente distinte››, non si possono confondere (LG n 10), come non si può confondere Cristo
capo e sposo della Chiesa, con il suo Corpo ecclesiale, di Lui partecipe e dipendente. Questo
nell’unione profonda tra noi ed il Signore Gesù: ‹‹La celebrazione liturgica opera del –Christus
totus-››; così la Sacr. Car. intitola la prima sezione della II Parte, citando S. Agostino : “Non bisogna
credere infatti che il Cristo sia nel capo senza essere anche nel corpo, ma egli è tutto intero nel capo
e nel corpo” (Sacr. Car. n 36).
Pur dovendo sempre muoversi in questa percezione di un corpo di Cristo ecclesiale già
costituito, per farlo crescere, nel sacrificio di Cristo reso presente e partecipato, verso la sua meta
pienamente gloriosa, risulta necessario, perché sia autentico mistagogo, che il Celebrante abbia umile
consapevolezza di agire in Persona di quel Cristo, dalla cui ‹‹pienezza›› dipende, nello Spirito Santo,
tutta la vita qualificata delle Persone e dalla Comunità.
Qualsiasi prospettiva teologica, che pur animata da ottime intenzioni di valorizzare il noi
ecclesiale, il sacerdozio dei fedeli, ponga in qualche sfumatura confusa la qualità sacramentale
dell’agire presidenziale in Persona Christi, risulta perturbante i compiti mistagogici; compiti che ben
esercitati, sono tutti a vantaggio del popolo sacerdotale.
La celebrazione perseverante dell’Eucaristia è privilegiato luogo teologico della confessione di
Fede nel Signore, il suo essere una sola cosa, nello Spirito Santo col Padre, al quale nella sua Pasqua
resa presente ci conduce. In questo contesto eucaristico lo Spirito Santo ha guidato la Chiesa ad una
più esplicita professione della verità rivelata su Cristo, lo stesso Spirito Santo, la Trinità. 248
Questa più esplicita dottrina, sancita dai grandi concili del IV e V secolo, è specialmente in
Oriente, rifluita nella maturazione ancora in corso delle preghiere eucaristiche. Queste conoscenze
teologiche-storiche aiutano il Celebrante mistagogo: vivere personalmente e introdurre l’assemblea dei
battezzati ad una professione di fede nella SS. Trinità non statica, ma già in sè roveto ardente,
dinamica di dedizione, verità, riconoscente, filiale nell’amore Spirito Santo al Padre. Questa novità
desta grande ‹‹stupore››: nell’Eucaristia la professiamo, ma per essere inseriti in essa, adorarla e
parteciparla!
Nella preghiera, azione eucaristica il Crocifisso glorioso ce ne fa partecipi: il suo corpo dato ed
il suo sangue versato, sacrificio al Padre per noi, reso presente, ci uniscono alla sua dedizione filiale,
fraterna, intensificando il dono dello Spirito Santo, di carità ed unità.
Abbiamo già considerato come la Preghiera eucaristica bizantina, nei suoi legittimi sviluppi,
esprima le relazioni tra Croce, resa presente, riconosciuta e adorata, come vertice dell’economia
cristologica, e la missione dello Spirito Santo vivificante il corpo ed il sangue del Crocifisso reso
249
Cfr Eccl. De Euch., n. 17
250
Vedi citazioni bibliche nella nota 222; cfr Eccl. de Euch. n 19
200
stupore, del pane e del vino così eucaristicizzati, eucaristia vivente perché divenuti il suo Corpo dato e
il suo Sangue versato per la nostra salvezza. 251
Il Mistagogo consapevole apprezzerà ancor più come, nel cuore palpitante dell’Eucaristia di
tutti i tempi e luoghi della Chiesa, stia la certezza di fede della presenza del vero corpo e sangue del
Crocifisso glorioso; abbiamo visto nel percorso storico le vicende teologiche di questa fede
inconcussa, mai minimamente incrinata.
Prima l’uso di una teologia simbolica, iconica, di sapore biblico, tipologico, con qualche
venatura platonica sempre accompagnata dall’affermazione forte, espressa col verbo della realtà, cioè
‹‹essere›› il vero corpo e sangue del Crocifisso glorioso.
Quindi il passaggio, ( quando l’uso della teologia simbolica è risultato difficile nel delicato
passaggio culturale da una matura classicità romana, ad una più vivace, ma meno colta, cultura gotico-
barbarica) ad una teologia più esplicitamente ‹‹sostanziale››; questo allo scopo di sottolineare
fortemente, con le categorie dell’essere,( Ñus…a, l’esistente, sostanza), l’identità del Corpo sacrificale
eucaristico con quello del Glorioso alla destra del Padre.
La differenza sta solo nel suo manifestarsi a noi, ora, nelle specie conviviali del pane e del vino,
il cibo e la bevanda di cui abbisognamo nel nostro pellegrinaggio terreno.
Il Mistagogo avvertito gode di questa presenza sacrificale, così reale del Glorioso nella sua
Chiesa, per farne sempre più il suo Corpo, donandole tutta la pienezza dei suoi doni, di verità, di
grazia, di tutti i tesori della sapienza e della scienza (cfr Col 1,19; 2,3.9; 2,3.9; Ef 1,22-23; Gv 1,14-
18), nello Spirito Santo. Mentre guida nella Preghiera eucaristica l’assemblea all’accoglienza di questa
così intensa presenza del Crocifisso, che invoca e sacramentalmente realizza, avverte la necessità di
mai incrinare, anche solo con espressioni infelici, la fede del popolo sacerdotale. 252
251
Cfr Sacr. Car. n 12 .” Questo grande mistero viene celebrato nelle forme liturgiche che la Chiesa,
guidata dallo Spirito Santo, sviluppa nel tempo e nello spazio.[….]Pertanto è in forza dell’azione dello Spirito
che Cristo stesso rimane presente ed operante nella sua Chiesa, a partire dal suo centro vitale che è l’Eucaristia”.
252
Per es., con l’ottima intenzione di sottolineare la distinzione del modo di presentarsi a noi del
Crocifisso-risorto, nella celebrazione del suo Memoriale sotto le specie del pane e del vino, e quello che
realizzerà nel suo avvento glorioso nella piena capacità di realizzare terra nuova e cieli nuovi, in una presenza
svelata del suo volto, parlare di presenza-assenza del Crocifisso glorioso nell’Eucaristia: l’espressione è
ambigua, perché unisce una presenza vera, ‹‹sostanziale›› ad una assenza del pieno, attuale svelamento della sua
capacità terminale di trasformare il nostro ‹‹cuore››, i corpi nella risurrezione finale e nel cosmo trasfigurato.
Tanto più che il Crocifisso glorioso dell’Eucaristia è lo stesso di quello della Parusia; la sua capacità
attuale di trasformare i nostri cuori, le persone nel Corpo ecclesiale, è tutta orientata alla loro trasformazione
completa, con la risurrezione dei nostri corpi.
La questione teologica ricca di contenuti e di significato, di una prospettiva escatologica dell’Eucaristia,
per l’influsso che esercita sul modo di esprimere la Presenza reale, richiede attento studio, cfr. MARTELET, G. ,
Résurrection, eucharistie et genèse de l’homme, Desclée Paris 1972. Cfr BOEVE, L. - LEJISSEN, L. , ed.,
Sacramental presence in a postmodern context, Leuven university press-Uitgeverji Peeters, Loiven-Paris-
Sterling, 2001. Il card. Dannels, nel saluto iniziale, avverte dell’estrema delicatezza dell’argomento, perché
interessa lo statuto della presenza reale eucaristica.
201
In questa prospettiva, il Mistagogo per introdurre alla pienezza del Mistero eucaristico, sente
parimenti la necessità di professare, vivere e far vivere una fede nel Verbo incarnato, fondamento e
misura della creazione, operante la redenzione ( che ha in sè la pienezza di ogni grazia, verità) una
fede che risulti completa, senza diminuzioni, parzialità. 253
Ugualmente una integra professione di fede nello Spirito Santo ‹‹Signore e vivificante››,
principio interiore della vita del Crocifisso glorioso e della sua Chiesa.
Questa fede, professata, celebrata, vissuta ha trasformato, per opera dello Spirito Santo,
nella Chiesa degli Apostoli, nel tempo dei grandi Concili, a partire da quello di Gerusalemme, sempre
più radicalmente, la Todà e le benedizioni, Berakot, del Vecchio testamento nella Preghiera
eucaristica cristiana.( cfr Sacr. Car . 12. 48).
Questa fede ha usato le stesse categorie ‹‹sostanziali››, prima per esprimere correttamente, al di
la di ogni incertezza, che il Cristo dei Vangeli è una sola cosa col Padre, vita filiale divina ( Nicea DH
125 ), e fraterna con noi, per la sua Incarnazione ( Calcedonia DH 301); e poi all’inizio del II
millennio ha usata le stesse categorie sostanziali per assicurare la verità fondamentale che il Corpo
eucaristico è per identità nelle specie del pane e del vino, il Corpo del Crocifisso glorioso.( Sinodo
romano DH 700; Concilio tridentino DH 1636; 1651)..
Presenza del corpo offerto in sacrificio: il Mistagogo La professa nella fede, e La rende
presente, con tutte le implicazioni spaziali e temporali di una presenza sostanziale corporea. Un corpo
sostanziale, la sostanza del Crocifisso glorioso, che pur reso presente in più luoghi, in più tempi per
animare e qualificare le comunità particolari e le persone in esse, rimane indiviso, per realizzare, nella
sua pienezza, la Chiesa universale sino all’avvento glorioso del Signore.
In quanto presenza corporea, qualifica, in questa costitutiva dimensione universale, i luoghi ed i
tempi particolari della celebrazione.
Il celebrante saggio mistagogo conosce l’importanza di un luogo quasi plasmato, edificato e
organizzato in tutto secondo i contenuti inauditi e familiari dei Mistero reso presente: mentre ne ha
somma cura, sa farsene interprete verso l’assemblea, in tutta la sua ricchezza simbolica: sarà, se
l’abside è rivolto ad oriente, orientare se stesso e il popolo di Dio verso il Crocifisso glorioso, un’alba
che illumina questa assemblea, in un orizzonte cosmico, nell’attesa dell’alba definitiva, della
risurrezione dei corpi in cieli nuovi e terra nuova.
253
Cfr RAFFA, V., Liturgia eucaristica, Mistagogia della Messa: dalla storia e dalla teologia alla
pastorale pratica, cit., dopo avere esaminato, comparativamente, le teorie avanzate circa l’origine della
Preghiera eucaristica da una matrice giudaica, pag.379-429, conclude: “ Più attendibile, se rettamente compresa,
ci sembra la persuasione di Cirillo di Alessandria e della tradizione più che millenaria, secondo cui l’unico punto
di riferimento è quello di Cristo, che ci ha dato anche il modello della preghiera eucaristica”. Tutta l’opera di
Raffa, nel suo percorso storico, teologico, liturgico, è guidata dalla persuasione che il Memoriale della Pasqua
del Signore, la sua Eucaristia, rappresenta un NOVUM: più che la matrice giudaica, nella sua difficile
individuazione, si deve valorizzare la preparazione vetero-testamentaria.
202
Anche se l’abside non presenza tale orientamento, è sempre il Crocifisso glorioso ad indicare
ove rivolgere lo sguardo, il cuore, nella Celebrazione, per un cammino nuovo della vita personale e
comunitaria, in tutte le sue attività.
L’Eucaristia possiede questa intrinseca dimensione di rinnovamento cosmico, un’ambito
universale di Speranza, che i cristiani partecipi del Corpo eucaristico devono servire in tutte le loro
responsabilità di vita, sociali, professionali. 254
Se il luogo particolare, anche nei suoi riferimenti cosmici, deve essere valorizzato, ancor più
cura ‹‹mistagogica›› il celebrante deve avere per la dimensione temporale della Celebrazione dei
Misteri del corpo e del sangue di Cristo; anzitutto il ritmo domenicale, il giorno della Risurrezione,
ricordo della creazione e della nuova creazione.
Ma anche la stessa celebrazione conosce i ritmi successivi di una più intensa presenza del
Signore: il costituirsi dell’assemblea dei Battezzati, il loro convertirsi al Signore, lasciare più
decisamente un passato di disordine peccaminoso per aprirsi all’accoglienza di più abbondante grazia,
nell’ascolto della Parola del Signore, dell’omelia del Celebrante mistagogo, che introduce ad una
assimilazione più consapevole del Vangelo, tutto nel contesto della presenza dello stesso Sacrificio
del corpo e del sangue del Signore; dalla prima offerta dei doni e di se stessi, sino alla Preghiera
eucaristica, nella ritualità e nelle parole del Memoriale, affinché diventino il sacrificio del Calvario
reso presente, assumente in sè, la vita, i desideri della Chiesa, dei presenti, di tutta l’umanità che cerca
la comunione vissuta con Dio. 255
Possiamo parlare di un tempo sacramentale, che rende presente l’Ora della Croce, in cui il
Signore Gesù porta a compimento tutta la storia religiosa di Israele, della Chiesa e dell’intera umanità;
questa storia si concentra nell’ora della Croce, la sua capienza salvifica universale nella coscienza
messianica di Cristo, di essere salvatore e redentore di tutta l’umanità e dei singoli uomini; già tutti per
creazione sono amati in LUI, chiamati ad essere partecipi di Lui.
Il tempo sacramentale converge verso l’invocazione (Epiclesi) e la realizzazione ministeriale del
Corpo dato e del Sangue versato (consacrazione); l’accoglienza del Sacrificio reso così presente è
sottolineata in tutti i riti liturgici da segni di particolare adorazione, riconoscimento di una presenza
sostanziale-corporale del Signore, invocata, realizzata, accolta.
Il tempo sacramentale conosce questo momento vertice, che crea contemporaneità tra l’ora del
sacrificio di Cristo e questa particolare comunità . ”Il punto qui non è il ricordo di un evento per se
passato ed irrepetibile, ma [..….] quello che è avvenuto una sola volta, diventa evento per sempre”.
254
Cfr. MC PARTLAN, P. , The Eucharist makes the Church, H. de Lubac and J. Ziziulas in dialogue,
T*T Clark, Edimburg 1993: Ziziulas vede l’Eucaristia della Chiesa quasi a partire dalla sua dimensione
escatologica, rinnovamento universale; de Lubac sottolinea la dimensione storica dell’Eucaristia, che costituisce
e fa crescere la Chiesa nel tempo; dà più risalto al Celebrante che agisce non solo nella Chiesa, con la Chiesa, ma
anche in Persona Christi, capo della Chiesa.
255
Cfr. RAHNER, K. , Parola ed eucaristia, in Saggi sui sacramenti e l’escatologia, ed. Paoline, Roma
1969, 109-172.
203
Il tempo sacramentale, il suo concentrarsi nella ‹‹consacrazione›› deve essere percepito dal
Celebrante mistagogo, indurne l’accoglienza nell’assemblea; il Corpo, e il sangue della Croce, ci offre
la sua contemporaneità salvifica: “il Risorto vive e dà la vita, vive e opera comunione, vive e apre il
256
futuro, vive ed indica la strada”.
Indebolire la percezione di questo tempo sacramentale può essere collegato e, anche dipendente,
ad una debolezza del Mistagogo celebrante nel percepire la sua valenza ministeriale di agire in
Persona Christi, per rendere presente qui, ora il suo Sacrificio, per la comunità ecclesiale; può
avvisare di qualche debolezza cristologica, circa la coscienza messianica divino-umana del Signore, di
salvare nell’Ora della croce, una volta per sempre, tutti gli uomini e i singoli uomini, riunirli nella sua
Chiesa universale, in questa assemblea particolare che associa ora al suo Sacrificio.
257
Il tempo sacramentale non indulge a nessuna allegoresi, tipo quella di Amalario , che cerca di
vedere nei particolari della celebrazione una immagine dei fatti della Passione e Risurrezione del
Signore; sa invece cogliere, nella struttura liturgica indicata dal Signore Gesù nell’Ultima Cena, nel
benedire ringraziare della Anafora, le parole e l’agire del Celebrante che esprimono e realizzano la
presenza più intensa del Crocifisso glorioso, il suo corpo dato e sangue versato per noi. Sappiamo
come la Chiesa , ‹‹salva la sostanza del sacramento››, ha tutto il potere di ‹‹precisare›› i momenti forti
della loro celebrazione.258
Il tempo sacramentale è tutto qualificato dalla presenza dello Spirito Santo, solo in Lui
preghiamo, professiamo la Fede, celebriamo; ed insieme la Chiesa petrino-apostolica ,che
ministerialmente realizza ed accoglie la presenza del Corpo dato e del sangue versato in Sacrificio, sa
individuare i momenti di preghiera specifici, Epiclesi in senso forte, domanda dello Spirito Santo, per
la trasformazione sempre più intensa della Chiesa, e delle sue membra, nella comunione al Corpo di
Cristo crocifisso glorioso e datore dello Spirito.
Il tempo dello Spirito si può cogliere nella sua invocazione, ma la sua realizzazione coincide
con quella del Corpo eucaristico, Crocefisso e glorioso, reso presente, ricevuto nella comunione; non
ha temporalità diretta, propria; i suoi effetti sono sempre da cogliersi in una struttura di Incarnazione,
259
Pasqua, Sacramentale come sua presenza vivificante e trasfigurante il corpo della Chiesa.
L’allegoresi non corrisponde alla verità della struttura liturgica-sacramentale dell’eucaristia; il
ricordo salvifico degli eventi della vita del Signore, tutti orientati e raccolti nell’Ora della Croce, che
il Memoriale eucaristico rende presente, viene debitamente realizzato nelle solennità, feste dell’anno
256
RATZINGER, J., Introduzione allo spirito della liturgia, cit. 99
257
Vedi Indice II.1.7
258
DH 1061, 1699, 1728, 3556, 3857. Cfr RAFFA, V., Liturgia eucaristica, cit., 798-822 ove esamina
in modo storico, liturgico esauriente, la ‹‹forma›› del Sacramento eucaristico, ed il momento della Consacrazione
259
Cfr l’immagine biblica del ‹‹vento››, usata nel vangelo. di Giovanni 3,8 , usata da Gesù, per indicare
il modo di agire dello Spirito :‹‹Il vento soffia dove vuole e ne senti al voce, ma non sai di dove viene e dove va:
così e di chiunque è nato dallo Spirito››; cfr tutta la sintesi di SESBUÉ, B. , La personalità dello Spirito Santo
nella testimonianza biblica, nella teologia trinitaria recente e nell’esperienza storica della Chiesa e degli uomini,
cit.
204
liturgico; tutti i Misteri, eventi salvifici della vita del Verbo incarnato, sono vissuti, nella coscienza
messianica del Signore per noi, gli uomini di tutti i tempi e luoghi, e infine come riassunti, ricapitolati
nell’Ora della Croce.
Possiamo quindi richiamarne la contemporaneità alla nostra vita, alla vita della Chiesa,
dell’umanità, nel momento in cui il Salvatore più si dona a noi, nel vertice ricapitolatore della sua
Croce, nella Celebrazione del suo Memoriale.
Il tempo di questo ricordo, contemporaneità salvifica, sarà anzitutto il Prefazio variabile della
Messa romana, e le intercessioni, ugualmente variabili, sviluppo dell’Epiclesi per la trasformazione
dei comunicandi; è significativo che questi ‹‹oggi›› storici di salvezza hanno significato e ragion
d’essere specialmente nella celebrazione del Memoriale pasquale del Signore: l’Ora sacramentale che
rende presente l’evento della Croce, in cui tutto l’agire salvifico del Signore, la sua coscienza
messianica, raggiunge la sua pienezza, per trasformare nello Spirito Santo la nostra vita, ricapitola in
sè tutta la vita terrena del Signore, della sua SS. Madre che l’accoglie con fede integra.
Il celebrante mistagogo è consapevole di questa temporalità liturgica, che ci fa rivivere tutta la
storia salvifica: la sua attesa nell’Avvento del Signore, il suo stare con noi nei Misteri della sua Vita
terrena, sino alla sua Pasqua, Pentecoste, che qualificano il tempo ordinario della vita della Chiesa.
Così il tempo liturgico, a partire dall’intensità unica della Presenza eucaristica, dà significato
quasi-sacramentale allo scorrere dell’anno sidereo: anzi ne valorizza solstizi (Nascita del Signore,
Nascita del Battista), e equinozi (Pasqua, in relazione al ciclo lunare; esaltazione della Croce).
“L’intreccio di queste feste è puramente cristiano, senza alcun richiamo diretto all’Antico
testamento, ma si trova comunque in continuità con la sintesi di cosmo e storia, di memoria e di
speranza, che era già caratteristico delle festa anticotestamentaria, e che viene espresso in modo
nuovo nel calendario cristiano”. 260
L’Eucaristia non solo crea contemporaneità salvifica tra l’Ora della croce e la nostra vita, ma
insieme dà valenza, significato di salvezza allo scorrere dell’anno liturgico, che riassume tutta la storia
salvifica, in cui per Cristo, la sua Pasqua siamo inseriti, nel quadro cosmico della storia dell’universo.
La capacità mistagogica della Preghiera eucaristica, la sua potenzialità di rendere presente il
Mistero della salvezza, affinché trasformi la vita della Chiesa, comunità e persone, si presenta a noi
immensa, a misura dell’agire di Cristo crocifisso glorioso, e del suo Spirito Santo.
E’ come uno scrigno prezioso, in cui viene espresso tutto l’intreccio di lex orandi, credendi e
vivendi, come lo Spirito Santo, lo Spirito del Padre e di Cristo, ha realizzato nei tempi della Chiesa. Il
celebrante mistagogo, in quanto agisce in Persona Christi, nel suo Spirito Santo, per la comunità
ecclesiale, è in grado di pregarla, attuando con il suo Ministero, il Memoriale della Pasqua del Signore,
affinché la comunità ecclesiale ne partecipi, lo esprima nella vita cristiana.
La Preghiera eucaristica che ci fa stare come popolo sacerdotale davanti al Padre, per la
presenza del Corpo dato e del sangue versato, segna, trasforma nello Spirito di Cristo la Chiesa, già
260
RATZINGER, J., ibid. 105s
205
ora nel suo cammino terreno, in attesa della sua trasformazione definitiva nella piena manifestazione
del Crocifisso glorioso.
In tutto e sempre affinché per Cristo, con Cristo e in Cristo, nell’unità della Spirito Santo, sia
data al Padre onnipotente ogni onore e gloria: quella Gloria, conoscenza, manifestazione, lode della
verità, bontà divina, partecipazione della sua vita Trinitaria, che è la vera vita, in pienezza, dell’uomo.
261
261
Cfr. IRENEO DI LIONE, Adversus Haereses, IV, 20,4-6; 14,1; III, 20, 2. Cfr ALSZEGHY, Z. –
FLICK, M. , Gloria Dei, Greg. 36 (1955), 361-390.
206
V.1 MAGISTERO.
V.4 S. SCRITTURA
V.5.1 Fonti:
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LODI E., Liturgia della Chiesa. Guida allo studio della liturgia nelle sue fonti antiche e recenti,
EDB, 1981
La doctrine des douze apotres (Didakè) par W. RORDORF-A. TUILIER, (=S C n 248), Cerf
Paris 1978
209
Les constitutions apostoliques, T. III, livres VII et VIII par M. METGER, (=S C n 336), Cerf,
Paris 1985
HIPPOLYTE de Rome, La tradition apostolique, par B. BOTTE, (=S C n 11 b), Cerf, Paris
1968
CAVALLETTI S., Il trattato delle benedizioni (berakhòt) del Talmud babilonese, UTET 1977
V.5.2 Studi:
BOUYER L., Eucarestia, Teologia e spiritualità della Preghiera eucaristica, Elle Di Ci,
Leumann -Torino 1983
BRADSHAW P. F., Alle origini del culto cristiano, Fonti e metododi per lo studio della
liturgia dei primi secoli, (= Monumenta Studia Instrumenta liturgica 46 ), Libreria editrice vaticana
2007.
GIRAUDO C., La struttura letteraria della Preghiera eucaristica, Biblical Institute, Rome
1981
LIGIER L., Magnæ orationis eucharisticæ seu anaphoræ origo et significatio, Pont. Univ.
Greg., Romæ 1964.
MAZZA E., L’Anafora eucaristica. Studi sulle origini, (BEL ‹‹subsidia›› 62 )CLV, ed.
Liturgiche, Roma 1992
DI NOLA G., La Dottrina eucaristica dei sec. I-IV, Clemente Romano-Atanasio, Libreria
Editrice Vaticana, 1999
IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Lettres, (=S C 10 b), Cerf, Paeis 1958
ID., in CORTI G. (ed.), I Padri apostolici, Città Nuova, Roma 1966;
GIUSTINO, vedi in HANGGI & PAHL, op. cit. 69-75
GIUSTINO, Le apologie, introduzione di Rebuli L., ed. Messaggero, Padova 1982
GIUSTINO, Dialogo con Trifone, ed. Paoline, Milano 1988 .
IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, in BELLINI E. (ed.), Contro le eresie e gli altri scritti,
Jaka book, Milano 1981.
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CIPRIANO, Lettere 51-83, ( = Scrittori dell’Africa romana 5/2), Città nuova 2007
.BOTTE B. (ed.), Eucharisties d’Orient et d’Occident, vol. I, (=Lex orandi 46), Cerf, Paris
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CALVINO G., Il “Piccolo trattato sulla S. Cena” nel dibattito sacramentale della riforma,
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CARLÉ P. L., Le sacrifice de la nouvelle alliance, consubstantiel et transubstantiation, de
l’Incarnation à l’Eucharistie, Bordeaux 1981
DUNNILL J., Convenant and sacrifice in the Letter to the Hebrews, Cambridge University
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211
CONGAR Y., Lutero, la Fede-la riforma, Morcelliana, Brescia1984.
ID. , Lutherana. Théologie de l’Eucharistie et christologie chez Luther, Rev. Sc. ph. th. (1982)
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ID. , Doctrines christologiques et théologie de l’Eucharistie, simples notes, ibidem, 233-244.
JEDIN H., Storia del Concilio di Trento, vol. III e IV, Morcelliana, Brescia 1973 e 1979
LORTZ J., Storia della riforma in Germania, vol. I e II, Jaka book, Milano 1971.
LUTERO, Opere scelte, 7, Messa, Sacrificio e Sacerdozio, (1520-1521-1533), NITTI S. (ed.),
Claudiana, Torino 1995 .
Mc GRAT A. E., Il pensiero della riforma: Lutero, Zwingli, Calvino, Bucero, Claudiana, Torino
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CONGAR Y., Doctrines christologiques et théologie de l’Eucharistie, simples note, Rev. Sc.
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dell’Eucarestia, ed. Paoline, Roma 1969 .
.de WATTEVILLE J., Le Sacrifice dans les Textes eucharistiques des primiers siècles,
Delachaux & Niestlé, Neuchatel (Suisse) 1966 .
V.11 STUDI
VI APPENDICE.
VI.1.2 Dn 3,26-45
Benedetto sei tu, Signore Dio dei nostri padri; degno di lode e glorioso è il tuo nome per
sempre. Tu sei giusto in tutto ciò che hai fatto; tutte le tue opere sono vere, rette le tue vie e giusti tutti
i tuoi giudizi. Giusto è stato il tuo giudizio per quanto hai fatto ricadere su di noi e sulla città santa dei
215
nostri padri, Gerusalemme. Con verità e giustizia tu ci hai inflitto tutto questo a causa dei nostri
peccati, poiché noi abbiamo peccato, abbiamo agito da iniqui, allontanandoci da te, abbiamo mancato
in ogni modo. Non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti, non li abbiamo osservati, non abbiamo
fatto quanto ci avevi ordinato per il nostro bene. Ora quanto hai fatto ricadere su di noi, tutto ciò che ci
hai fatto, l’hai fatto con retto giudizio: ci hai dato in potere dei nostri nemici, ingiusti, i peggiori fra gli
empi, e di un re iniquo, il più malvagio su tutta la terra. Ora non osiamo aprire la bocca: disonore e
disprezzo sono toccati ai tuoi servi, ai tuoi adoratori. Non ci abbandonare fino in fondo, per amore del
tuo nome, non rompere la tua alleanza; non ritirare da noi la tua misericordia, per amore di Abramo
tuo amico, di Isacco tuo servo, d’Israele tuo santo, ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare
la loro stirpe come le stelle del cielo, come la sabbia sulla spiaggia del mare .(QUASI
EMBOLISMO, Gn 15,5-6) Ora invece, Signore, noi siamo diventati più piccoli di qualunque altra
nazione, ora siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati. Ora non abbiamo più né
principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per
presentarti le primizie e trovar misericordia.
** Potessimo esser accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti di
montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia
gradito, perché non c’è confusione per coloro che confidano in te. Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti
temiamo e cerchiamo il tuo volto. Fà con noi secondo la tua clemenza, trattaci secondo la tua
benevolenza, secondo la grandezza della tua misericordia. Salvaci con i tuoi prodigi, dà gloria,
Signore, al tuo nome. Siano invece confusi quanti fanno il male ai tuoi servi, siano coperti di vergogna
con tutta la loro potenza; e sia infranta la loro forza! Sappiano che tu sei il Signore, il Dio unico e
glorioso su tutta la terra.
216
Teofania di Mosè
Sacrificio: altare 12 steli Convito Escatologico
Promulgazione leggi Is 25,6-10
Sangue dell'alleanza
Convitto Es 24,4
Cena Pasquale
(festiva, ordinaria)
VI.6.1 Giustino.
Apologia I,66 1-4
[...]finite le preghiere ci diamo il bacio della pace. Poi si porta a colui che presiede l’assemblea
dei fratelli, del pane e un calice i vino annacquato. Egli li prende e loda e glorifica il Padre
dell’universo per il nome del Figlio e dello Spirito Santo, poi fa una lunga Eucaristia, per averci fatti
degni di questi doni. Quando ha terminato le preghiere e l’Eucaristia, tutto il popolo presente lancia
l’esclamazione Amen.[...]quando colui che presiede ha fatto l’Eucaristia e tutto il popolo ha risposto i
ministri che chiamiamo diaconi distribuiscono a tutti gli astanti il pane, il vino e l’acqua consacrati, e
ne portano agli assenti.
Questo alimento noi lo chiamiamo Eucaristia, e non è dato di partecipare se non a chi crede veri
gli insegnamenti nostri, ha ricevuto il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e viva
secondo le norme di Cristo. Poiché noi non lo prendiamo come un pane comune e una bevanda
comune; ma come Gesù Cristo Salvatore nostro, incarnatosi in virtù del verbo di Dio, prese carne e
sangue per la nostra salvezza, così il nutrimento, consacrato con la preghiera di ringraziamento
formata dalle parole di Cristo e di cui si nutrono per la assimilazione il sangue e le carni nostre, è
secondo la nostra dottrina, carne e sangue di Gesù incarnato.
Gli apostoli infatti nelle loro memorie dette Vangeli, tramandarono che Gesù Cristo lasciò loro
questo comando: prese una pane e rese grazie Egli disse loro: Fate questo in memoria di me; questo è
il mio corpo; e preso similmente il calice, rese grazie e disse: questo è il mio sangue; e a loro solo li
offrì.
Apologia I,67
Il giorno che è chiamato giorno del sole, tutti, nelle città e in campagna, si riuniscono in uno
stesso luogo: si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti, per quanto il tempo lo
permette. Quando il lettore ha finito, colui che presiede fa un discorso per ammonire ed esortare
all’imitazione di questi begli insegnamenti. Poi ci alziamo tutti e preghiamo insieme ad alta voce.
Eucaristia 225
Quindi come abbiamo già detto, quando la preghiera è terminata si porta del pane con del vino e
dell’acqua. Colui che presiede fa salire al ciclo le preghiere e le eucaristie, con tutto il fervore di cui è
capace, e tutto il popolo risponde all’acclamazione Amen. Poi si fa la divisione e la spartizione delle
eucaristie a ciascuno, e si manda la loro parte agli assenti, per mezzo del ministero dei diaconi. Coloro
che sono nell’abbondanza e vogliono donare, donano generosamente ciascuno quanto vuole, è ciò che è
raccolto è affidato a colui che presiede, ed egli assiste gli orfani, le vedove, e coloro che sono nel
bisogno, sia per malattia che per qualunque altra causa, i prigionieri, gli stranieri di passaggio,
insomma porta soccorso a tutti i bisognosi. Ci aduniamo tutti nel giorno del sole, perché è il primo
giorno, in cui Dio traendo la materia dalle tenebre, creò il mondo, e perché questo in stesso giorno
Gesù Cristo, nostro salvatore, risuscitò da morte.
Cfr PE, 68-73
VI.6.4 Ireneo.
Contro le Eresie IV,17,5.
Quando diede consiglio ai suoi discepoli di offrire a Dio le primizie delle sue creature, non già
perché ne avesse bisogno, ma affinché non si dimostrassero infruttuosi o ingrati, Gesù prese il pane,
che è cosa creata, e rese grazie dicendo: Questo è il mio corpo. Similmente il calice, che partecipa
della nostra natura creata, dichiarò che era suo sangue ed insegnò che era la nuova oblazione del
nuovo testamento. E la chiesa, ricevutala dagli apostoli la offre in tutto il mondo a Dio, che ci da gli
alimenti , come primizia dei suoi doni nel nuovo testamento, a riguardo del quale Malachia, uno dei
dodici profeti (minori), così profetò: Non sono più contento di voi, dice il Signore onnipotente e quindi
dalle vostre mani non accetterò più il sacrificio. Poiché da dove nasce il sole fin dove tramonta, il mio
nome è glorificato tra le nazioni, ed ovunque si offre incenso al mio Nome ed un sacrificio illibato:
poiché grande è il mio Nome tra i popoli, dice il Signore onnipotente. Con queste parole egli fa
intendere chiaramente che il popolo antico cesserà dal!’offrire sacrificio a Dio; e che in ogni luogo gli
verrà offerto un sacrificio illibato, e il suo nome verrà glorificato fra le nazioni.
15 Diversamente si sovverte tutta la verità della disciplina religiosa se non si osserva fedelmente
quello che viene prescritto da Dio, a meno che qualcuno nel sacrificio del mattino tema di esalare
l’odore del sangue di Cristo, sapendo di vino. A questo modo la comunità dei fratelli ha meno
entusiasmo nel soffrire come Cristo durante le persecuzioni, se impara a vergognarsi del suo sangue
durante i sacrifici. E tuttavia il Signore dice nel vangelo: «Se qualcuno si vergognerà di me, anche il
Figlio dell’uomo si vergognerà di lui» (Mc 8,38). Anche l’Apostolo dice «Se io piacessi agli uomini,
non sarei servo di Cristo» (Gal 1,10). In che modo possiamo versare il nostro sangue per Cristo se ci
vergogniamo di bere il suo sangue?
17 Poiché in tutti i sacrifici ricordiamo la sua passione - la passione del Signore è infatti il
sacrificio che offriamo - dobbiamo ripetere quello che lui ha fatto. Tutte le volte che offriamo il calice
in memoria del Signore e della sua passione, la scrittura ci raccomanda di ripetere quello che sappiamo
che lui ha fatto. Se qualcuno dei nostri predecessori, fratello carissimo, per ignoranza o per semplicità
d’animo non ha compiuto e non ha rispettato quello che il Signore ci ha comandato di fare con il suo
esempio e il suo insegnamento, questo è affare suo; la bontà divina potrà scusare la sua pochezza. Noi
invece non potremo trovare perdono, perché ora siamo stati avvertiti ed istruiti dal Signore ad offrire il
suo calice misto a vino, secondo quello che lui ha offerto. Dobbiamo prindirizzare delle lettere ai
nostri colleghi su questo argomento affinché dappertutto la legge evangelica e la tradzione del Signore
siano rispettate e non ci si discosti da quello che il Signore ha raccomandato e che ha fatto egli
stesso.Cfr
Lettere 51-83,(=Scrittori dell’Africa romana 5/2), Cità nuova, Roma 2007, 155-159
Eucaristia 229
VI.7 TEOLOGIA SIMBOLICA ,INTRODUZIONE DELLA CATEGORIA SOSTANZA
VI.7.1 Ebrei
10,1 Ski¦n (g¦r) œcwn Ð nÒmoj tîn mellÒntwn ¢gaqîn,
ombra avendo la legge dei futuri beni
oÙk aÙt¾n t¾n e„kÒna tîn pragm£twn,
non la stessa immagine delle realtà (salvifiche)
9,24 Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mano d’uomo, ¢nt…tupa tîn ¢lhqinîn
(una qualche imitazione del vero).
[DS 1651] Si quis negaverit, in sancrissimae DS 1651] Se qualcuno negasse che nel
Eucharistiae sacramento contieri vere, realiter et sacramento della ss.ma Eucaristia è contenuto
substantialiter, corpus et sanguinem una cum anima veramente, realmente e sostanzialmente il corpo e il
et divinitate Domini nostri lesu Christi ac proinde sangue unitamente all'anima e alla divinità di NSGC,
toturn Christum; sed dixerit, tantummodo esse in eo e perciò tutto Cristo; ma dicesse che è in esso soltanto
ut in signo vel figura, aut virtute: anathema sit come nel segno o nella figura o nell'efficacia. a. s.
Eucaristia 232
[DS 1640] Nondum enim Eucharistiam de [D5 1640] Infatti gli Apostoli non avevano
manu Domini Apostoli susceperant, cum vere tamen ancora ricevuto l'Eucaristia dalla mano del Signore,
ipse affirmaret corpus suum esse, quod praebebat; et che già egli stesso affermava veramente che era il suo
sernper haec fides in Ecclesia Dei fuit, statim post corpo quello che dava [loro]; e sempre vi fu questa
consecrationem verum Domini nostri corpus fede nella Chiesa di Dio, che subito dopo la consacra-
verumque eius sanguinem sub panis et vini specie zione il vero corpo e il vero sangue di NS esistono,
una cum ipsius anima et divinitate exsistere: sed unitamente alla sua anima e divinità, sotto le specie
corpus quidem sub specie panis et sanguinem sub del pane e del vino: il corpo è sotto la specie del pane
vini specie ex vi verborum, ipsum autem corpus sub e il sangue sotto la specie del vino in forza delle
specie vini et sanguinem sub specie panis animamque parole; ma lo stesso corpo è sotto la specie del vino e
sub utraque, vi naturalis illius connexionis et il sangue sotto la specie del pane, e l'anima sotto
concomitantiae, qua partes Christi Domini, qui iam entrambe, in forza di quella naturale connessione e
ex mortuis resurrexit non amplius moriturus, inter se concomitanza, per la quale le parti di Cristo Signore,
copulantur, divinitatem porro propter admirabilem ormai risorto dai morti per non più morire, sono tra
illam eius cum corpore et anima hypostaticam loro unite; la divinità poi [è presente] per quella sua
unionem. [DS 1641] Quapropter verissimum est, mirabile unione ipostatica con il corpo e con l'anima.
tantundem sub alterutra specie atque sub utraque [DS 1641] Perciò è cosa verissima che quanto è
contineri. Totus enim et integer Christus sub panis contenuto sotto entrambe le specie, è altrettanto
specie et sub quavis ipsius speciei parte, totus item contenuto sotto l’una o laltra. Infatti Cristo è tutto e
sub vini specie et sub eius partibus exsistit integro sotto la specie del pane e sotto ogni sua parte,
ed è ugualmente tutto sotto la specie del vino e sotto
le sue parti.
[D5 1653] Si quis negaverit, in venerabili [D5 1653] Se qualcuno negasse che nel
sacramento Eucharistiae sub unaquaque specie et sub venerabile sacramento dell'Eucaristia è contenuto
singulis cuiusque speciei partibus separatione jacta tutto Cristo sotto ogni specie e sotto le singole parti di
totum Christum contineri: an. s. ciascuna specie, dopo la loro separazione, an. s.
[DS 1654] Si quis dixerit, peracta [DS 1654] Se qualcuno dicesse che dopo la
consecratione in admirabili Eucharistiae sacramento consacrazione non vi è nel mirabile sacramento
non esse corpus et sanguinem Domini nostri lesu dell'Eucaristia il corpo e il sangue di NSGC, ma [che
Christi, sed tantum in usu, dum sumitur, non autem vi è] soltanto durante l'uso, mentre è ricevuto, e non
ante vel post, et in hostiis seu particulis consecratis, già prima o dopo, e che nelle ostie o particele
quae post communionem reservantur vel supersunt, consacrate, che sono conservate o avanzano dopo la
non remanere verum corpus Domini: an. s. comunione, non rimane il vero corpo del Signore, an.
s.
Eucaristia 233
INDICE DEGLI AUTORI BOUYER, L.. . .9; 20; 26; 31; 32; 35; 38; 50;
AFANASSIEF, N....................................142 60; 70; 72; 75; 76; 78; 90
AGOSTINO. 92; 98; 99; 101; 102; 106; 138; BRADSHAW, P.F..............................26; 71
150; 151; 161 BRAGA, C..................................21; 50; 128
ALBERTO MAGNO..............................138 BRAUMANN, G....................................140
ALSZEGHY, Z.......................................192 BROUARD, M.........................................18
ALTENSTEIG........................................116 CAHN, A................................................147
ALTHANER, B........................................81 CALVINO, G..................................119; 121
AMALARIO...................................106; 107 CANTALAMESSA, R..............................98
AMBROGIO......92; 93; 100; 103; 104; 105; CARLÈ, P. L...........................................105
109 CASALEGNO, A.....................................19
ARISTOTELE........................................110 CATTANEO, E.........................................72
ATANASIO..............................................92 CAZELLES, H..........................................47
AUGE’, M..............................................106 CHUPUNGCO, A.J................................106
AVICENNA............................................110 CIPRIANO......................83; 84; 87; 89; 161
BASILIO MAGNO...............70; 91; 92; 173 CIRILLO DI ALESSANDRIA.........93; 162
BAVAUD, G...........................................108 CIRILLO DI GERUSALEMME.............103
BEINERT, W..........................................119 CLEMENTE ALESSANDRINO..............84
BELLARMINO, R..................................132 CLEMENTE ROMANO.....................70; 72
BENEDETTO XVI 11; 12; 14; 17; 137; 160; COENEN, L............................................140
163; 165; 182 COLACRAI, A.........................................19
BERENGARIO.......................108; 139; 162 CONGAR, Y.............................84; 118; 186
BEYREUTHER, E..................................140 CRANMER, T........................................121
BIEL, G...................................................116 DE FINANCE, J.............................142; 183
BIETENHARD, H..................................140 DE LA SOUJEOLE, B.D........................135
BIFFI, I.....................................................19 DE LA TAILLE, M..........................48; 132
BILLOT..................................................132 DE LUBAC, H................107; 109; 177; 178
BLANCHARD, Y. M...............................21 DEVRESSE, R........................................103
BOEVE, L...............................................188 DI NOLA, G...........................102; 150; 161
BOEZIO..................................................110 EUSEBIO DI CESAREA.........................98
BONAVENTURA..................................113 FAREL, G...............................................121
BOSETTI, E..............................................19 FAUSTO.................................104; 105; 109
BOTTE, B...............................................122 FLICK, M...............................................192
BOTTE, B...........................................79; 87 FLORO DI LIONE.................................106
FRANZELIN, J. B..................................132
Eucaristia 242
FUNK, F. X..............................................87 LORTZ, J................................................119
GILBERT, P...........................................146 LOSSKY, A............................................128
GIOVANNI CRISOSTOMO.......91; 92; 93; LUTERO, M.. .116; 118; 119; 120; 121; 125
100; 103; 150; 173 MAI, A.,..................................................130
GIOVANNI PAOLO II8; 10; 14; 17; 18; 71; MANARANCHE, A.................................14
73; 116; 117; 129; 130; 159; 160; 163; MARSILI, S....................................101; 106
177; 178; 179; 185 MARTELET, G......................................188
GIRA, D..................................................147 MARTINI, C. M.......................................16
GIRARD, R.............................144; 145; 146 MAZZA, E.....20; 75; 76; 77; 79; 82; 85; 86;
GIRAUDO, C......14; 17; 23; 24; 27; 28; 39; 87; 92; 100; 101; 102; 103; 106; 107;
43; 44; 48; 62; 63; 75; 77; 79; 91; 126; 113; 120; 171; 184
161; 171; 172; 173; 174; 184 MC PARTLAN, P...........................142; 189
GIROLAMO.............................................92 METZGER, M....................................76; 87
GIUSTINO....70; 71; 72; 73; 80; 81; 82; 83; MONGILLO, D......................................114
88; 89 MOSCHETTI, S.M...................................16
GREGORIO DI NAZIANZO...................92 NEUNHEUSER, B.. 10; 114; 115; 116; 139;
GUGLIELMO DI OCHKAM.................115 173
HÄNGGI, A........................................80; 82 NICHOLAS, R. A,....................................16
HUS, J.............................................115; 116 NITTI, S..................................................119
IGNAZIO DI ANTIOCHIA...72; 82; 83; 84; NKUSCH, M...........................................147
85; 86 NOCENT, A...................................106; 128
IPPOLITO ROMANO.....20; 73; 78; 79; 87; ORIGENE...........................................83; 85
89; 90; 91; 102 PAHL, I...............................................80; 82
IRENEO DI LIONE..83; 84; 85; 88; 89; 192 PAOLO VI..................10; 93; 123; 124; 140
JAUBERT, A............................................72 PAPROCKI, H......20; 73; 91; 165; 174; 175
JEDIN, H................................................125 PERROT, CH............................................18
JEREMIAS, J..........................46; 48; 60; 66 PIETRO LOMBARDO...........................109
JUNGMANN, J. A..........................139; 173 PIO XII...........................................139; 178
LADRIERE, J...........................................97 PIOLANTI, A.........................................105
LAFONT, G..................................17; 18; 48 PISTOIA, A................................21; 50; 128
LARCHER, G...........................................32 PLATTI, E..............................................148
LEJISSEN, L...........................................188 PSEUDO IPPOLITO................................98
LEONE MAGNO...................................162 PSEUDOCRISOSTOMO.........................98
LEPIN, M................................................132 QUARELLO, E.......................................131
LESSIO...................................................132 RADBERTO, P.......................................107
LIETZMANN, H......................................60 RAFFA, V....26; 33; 83; 171; 172; 184; 188;
LIGIER, L..30; 43; 56; 63; 83; 97; 123; 132; 190
135; 137; 138; 156; 173 RAHNER, K...........................140; 141; 190
Eucaristia 243
RATRAMNO..........................................107 TOAFF, A. S.............................................43
RATZINGER, J.. .9; 19; 119; 128; 129; 149; TOMMASO D’AQUINO......110; 111; 112;
190; 192 113; 114; 123; 151; 162
RIGHETTI, M.........................................156 TONNEAU, R.........................................103
RODORF, W............................................75 TORIBIO CUADRADO, J. F...................18
RUSSO, G.................................................19 TOURN, G..............................................121
SCHLIER, H...............................6; 9; 54; 69 TREMBLAY, R........................................19
SCHNACKEMBURG, R............................9 TUILIER, A..............................................75
SCHURMANN, H......................................9 URBANO IV............................................93
SCOLA, A....................11; 12; 19; 176; 182 VANNI, U.........................................19; 172
SERAPIONE......................................73; 87 VASQUEZ......................................132; 139
SESBÖUÉ, B..........................................191 VATTIMO..............................................146
SESBÖUÉ, B..........................................175 VINAI, V................................................119
SPATAFORA, A......................................19 VON BALTHASAR, H. U.....................185
SPITERIS, Y...........................................142 WYBREW, H.........................................122
SUAREZ.........................................132; 138 WYCLIFF, J...........................................115
TANZARELLA, S..................................175 ZIZOULAS, J.........................................142
TEODORO DI MOEPSUESTIA.....93; 100; ZWILLING, G........................................120
103 ZWINGLI.......................................120; 121
THURIAN, M.........................................144
Eucaristia 244
VIII INDICE
PREFAZIONE..................................................................................................................................................... 3
ABBREVIAZIONI E SIGLE.............................................................................................................................. 6
INTRODUZIONE................................................................................................................................................ 7
GIUDAICA..........................................................................................................................................................30
I.3 DOSSIER LITURGICO E DOTTRINALE DEI PRIMI TRE SECOLI DELLA CHIESA...............................................81
I.3.1 DOSSIER LITURGICO: DIDAKÈ CAP.9-10.14.15; GIUSTINO,APOLOGIA PRIMA, 65-67;
TRADIZIONE APOSTOLICA, 4; COSTITUZIONI APOSTOLICHE VII-VIII : LA ‹‹SINASSI
EUCARISTICA››. 82
I.3.2 DOSSIER DELLA DOTTRINA 92
II.2 MISTAGOGIA DELLA PRESENZA SACRIFICALE, NEL TRIDENTINO E NEL VATICANO II........................149
IV.2 «IN QUESTO QUADRO IL SINODO AVVERTE LA NECESSITÀ CHE SIA MEGLIO PRECISATA
LA NATURA DELLA DIVERSA CAUSALITÀ IMPLICATA NELLA FORMULA: LA CHIESA FA
L’EUCARISTIA, L’EUCARISTIA FA LA CHIESA. » (PROPOSIZIONE 22)........................................................206
IV.2.1L’ORIGINE DELL’EFFATO NELLA TEOLOGIA DI H. DE LUBAC.. 206
IV.2.2EUCARISTIA E LA GENERAZIONE DELLA CHIESA NEL MAGISTERO. 207
IV.2.3«ECCLESIA DE EUCARISTIA», «LA CHIESA VIVE DI EUCARISTIA». 208
IV.2.4PRECEDENZA ONTOLOGICA E STORICA DELLA CAUSALITÀ DELL’EUCARISTIA RISPETTO
LA CHIESA. 213
V.1 MAGISTERO...........................................................................................................................................225
V.4 S. SCRITTURA........................................................................................................................................227
V.11 STUDI.......................................................................................................................................................231
VI APPENDICE............................................................................................................................................ 233