Collana di Filosofia
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Lucio Cortella
L’ETICA
DELLA DEMOCRAZIA
Attualità della Filosofia del diritto di Hegel
MARIETTI 1820
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 4
I edizione 2011
ISBN 978-88-211-8708-7
www.mariettieditore.it
alla memoria
del professor Antonio Duca (1921-1988)
il primo dei miei maestri
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Indice
1. La libertà e l’assoluto 33
2. L’epoca della libertà universale 59
3. L’eticità compiuta: la sfera dello Stato 129
4. Linee di un’eticità post-idealistica:
una democratizzazione della filosofia politica
di Hegel 207
PREFAZIONE 11
te, facendo del riferimento alla giustizia e alle sue norme l’uni-
ca identità condivisa. Ma, come ha ben argomentato il comu-
nitarismo americano, una società che abbia rinunciato a una
comune idea del bene e si sia privata della propria identità sto-
rica diventa fatalmente una società senz’anima, senza un vero
legame tra i cittadini, senza ideali comuni in cui essi possano ri-
conoscersi. A quel punto il vincolo sociale sarà così affievolito
da inficiare l’attenzione per la cosa pubblica e per gli impegni
collettivi della nazione. Parole come solidarietà, bene comune,
interesse generale diventerebbero incomprensibili. In questo
quadro ben si comprende la reazione che caratterizza le nostre
società in cui si fanno sempre più frequenti i richiami identita-
ri, la richiesta di simboli collettivi, l’esclusione di tutti coloro
che non condividono la medesima storia passata.
La migliore risposta nei confronti di questo tipo di richieste
non può però consistere nel ritorno a forme pre-liberali di Sta-
to, in cui si riaffermi un unico modello culturale di riferimen-
to, un’unica religione, un unico sistema valoriale. La soluzione
sta piuttosto nella riscoperta di un terreno etico che sia comune
e condiviso, cioè non lesivo o discriminante nei confronti delle
differenti e plurali concezioni del bene che attraversano le no-
stre società. Ora, una tale ricerca non ha bisogno di alcuno
sforzo intellettualistico per individuare il punto di intersezione
fra le differenti concezioni del bene e fra le differenti culture
che ci caratterizzano. Non è necessaria qui alcuna nuova filo-
sofia morale che si metta alla ricerca di una concezione univer-
salistica del bene. Basterà individuare e rendere esplicita quel-
l’etica che è già incorporata e operante nelle istituzioni dello Sta-
to democratico e che per questo motivo è già alla base del vin-
colo sociale fra i cittadini. Le istituzioni politiche non sono in-
fatti semplicemente dei meccanismi giuridici o delle procedu-
re asettiche. Esse sono costituite da leggi, tradizioni giuridiche,
pratiche, abitudini, caratteri, atteggiamenti, che compongono
un’intera sfera normativa. È dunque nelle istituzioni politiche
che va ricercata l’identità di una nazione e l’insieme dei suoi ri-
ferimenti ideali. C’è, in sostanza, un lato «etico» delle istitu-
zioni dello Stato che solo una teoria strumentalistica della de-
mocrazia continua a ignorare e a rimuovere.
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PREFAZIONE 13
PREFAZIONE 15
Nota al testo
INTRODUZIONE 21
INTRODUZIONE 23
INTRODUZIONE 25
riore, tanto che gli individui non sentono quella realtà come
estranea. La peculiarità del mondo etico sta nel fatto che in es-
so non viene perso il momento della libertà soggettiva. Mentre
dunque nel diritto l’individuo non riconosce l’oggettivazione
della propria libertà ma percepisce solo il momento coattivo di
esso (appunto la sanzione giuridica e la costrizione della legge),
nell’eticità quell’esperienza di estraneità viene superata e la li-
bertà soggettiva finisce per riconoscersi in quelle forme ogget-
tive. Per questo Hegel definisce l’eticità come «l’Idea nella sua
esistenza universale in sé e per sé» (ibid.).
La concezione hegeliana dell’eticità si presenta pertanto fin
da subito con queste tre caratteristiche programmatiche: a) co-
me critica della divisione kantiana della sfera pratica in due so-
li ambiti, quello del diritto e quello della moralità; b) come riu-
nificazione di interiorità ed esteriorità, di moralità e legalità; c)
come estensione del regno kantiano della libertà al di là della
sfera interiore della soggettività.
La peculiarità di questo programma consiste però nel fatto
che Hegel nell’introdurre la sua concezione della Sittlichkeit ri-
prenda esplicitamente la nozione greca di ethos. È perciò leci-
to chiedersi perché mai questa idea del mondo storico come
mondo della libertà si ponga in continuità esplicita con la con-
cezione antica della sfera pratica come ethos, cioè come dimo-
ra dell’uomo. Quale rapporto potrà mai sussistere fra l’esten-
sione della libertà kantiana al mondo storico-sociale e la con-
cezione antica che radicava la sfera pratico-politica nel mondo
delle tradizioni etiche? Non c’è forse un’incompatibilità fra l’i-
dea hegeliana di un mondo storico-sociale fondato sulla libertà
e il radicamento antico dell’ethos nella physis, cioè del bene eti-
co nella natura?
In effetti l’eticità antica presenta numerosi punti di contat-
to ma anche alcune significative differenze con l’eticità hege-
liana. Comune ad entrambe è il carattere pubblico: ciò che gli
antichi definivano come ethos riguardava l’insieme dei com-
portamenti, delle abitudini, delle tradizioni pratiche all’interno
di una comunità. Esso perciò non si riferiva ai comportamenti
privati (su cui si è invece concentrata la morale moderna) ma
aveva attinenza essenzialmente con le tradizioni pratiche pub-
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INTRODUZIONE 27
INTRODUZIONE 29
INTRODUZIONE 31
1. La libertà e l’assoluto
LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 35
LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 37
LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 39
7 «Il puro concetto, ossia l’infinitezza come abisso del nulla, in cui ogni
essere sprofonda (versinkt), deve designare il dolore infinito» (GW 4 p. 413,
FS p. 252).
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LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 41
LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 43
8 J. RITTER, 1969, trad. it. p. 135. Lo schiavo viene infatti definito da Ari-
stotele come colui che «non appartiene a se stesso ma a un altro» (ARISTO-
TELE, Pol. I, 4, 1254a 16).
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LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 45
LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 47
LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 49
LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 51
LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 53
LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 55
LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 57
Kant per la quale «ciò che vale è il pensiero» (GW 14.1 § 209
nota p. 175, Dir p. 365), dove con «pensiero» egli intende il pen-
sare astratto e universale, quello che prescinde dalle particolarità
empiriche e sta alla base dell’idea moderna di soggetto. Questa
idea – egli annota – «è d’importanza infinita» e si dimostra di-
fettosa solo là dove «come, per esempio, nel cosmopolitismo – si
fissa e si irrigidisce contrapponendosi alla vita concreta dello
Stato» (ibid.), cioè là dove quella libertà non ammette la propria
astrattezza e non riconosce la necessità del proprio completa-
mento in un quadro di concrete relazioni politico-istituzionali.
Dalla considerazione degli esseri umani come persone deri-
va poi la norma fondamentale del diritto, il suo imperativo spe-
cifico: «L’imperativo giuridico-formale è pertanto: sii una per-
sona e rispetta gli altri come persone» (GW 14.1 § 36 p. 32, Dir
p. 129). Nel concetto di persona è dunque inclusa una specifi-
ca relazione di riconoscimento. Non ci si può ritenere persona
se non si ritengono anche gli altri come persone, dato che essa
comporta l’uguaglianza universale: condizione dell’esser per-
sona è che tutti lo siano.
Si tratta però di un riconoscimento circoscritto, limitato
cioè all’attribuzione della personalità: ci si riconosce solo come
persone, approvando e accettando le rispettive pretese giuridi-
che. Il diritto non prescrive infatti alcun comportamento mo-
rale. Esso si limita a veicolare la norma del rispetto dell’altro
nei suoi diritti non vietando in alcun modo che i singoli conti-
nuino a perseguire i loro propri interessi. Se questa ricerca del
proprio interesse non lede i diritti degli altri risulterà perfetta-
mente legittima e perseguibile illimitatamente.
Pur entro i predetti limiti, l’altro viene però riconosciuto,
come viene evidenziato nella trattazione hegeliana del contrat-
to. Questo viene considerato da Hegel come una relazione fra
proprietari che intendono scambiare le loro proprietà. In esso
quindi il rapporto con l’altro si fa certamente più concreto ri-
spetto all’esposizione astratta della persona. Ma anche qui l’al-
tro viene preso in considerazione solo nella sua veste di pro-
prietario. In tal modo i due contraenti diventano uguali l’uno
con l’altro, si incontrano cioè solo in quanto sono uguali, in
quanto sono solo dei proprietari. Tutte le altre loro particola-
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9 Ibid.
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24 Per una analisi dettagliata delle critiche rivolte da Hegel nel contesto
della Fenomenologia dello spirito alla moralità kantiana rinvio a CORTELLA
2002, in particolare alle pp. 218-230.
25 J. HABERMAS 1986, nel suo saggio dedicato specificamente alle obie-
zioni hegeliane a Kant le riassume in quattro grandi questioni (il formali-
smo tautologico, l’incapacità di arrivare a contenuti concreti e plurali, l’op-
posizione del dover essere con la realtà esistente, il terrorismo della pura in-
tenzione) ma la quarta riguarda più il moralismo dei rivoluzionari giacobi-
ni che non la moralità kantiana. La riesposizione di queste obiezioni in Ha-
bermas 1999 (trad. it. p. 217) tralascia la prima e la quarta critica del sag-
gio del 1986, e, nel mentre ribadisce la terza, riarticola in due critiche di-
stinte la seconda (l’incapacità della legge morale universale di arrivare a
contenuti concreti può essere vista sia come una sua capacità revisionale in
relazione alle conseguenze, sia come una sua incapacità applicativa, in rela-
zione al caso concreto).
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36 J. RITTER, 1969, trad. it. pp. 137 e 138. Analogo rimprovero muove He-
gel alla rivoluzione francese: anch’essa ha mancato di riconoscere la libertà già
esistente e il suo proposito di «realizzare» la libertà non è altro che l’espressio-
ne inconsapevole di una libertà già operante all’interno della società civile mo-
derna. «La rivoluzione politica stessa e con ciò anche la sua idea centrale di li-
bertà appartengono storicamente all’avvento della nuova società» (J. RITTER,
1957, trad. it. p. 51). La società civile già si propone nei suoi meccanismi la li-
bertà per tutti «in quanto ha per proprio soggetto i singoli individui nella ugua-
glianza dei loro bisogni naturali e nella separazione da tutte le istituzioni»
(ibid.). La stessa uguaglianza originaria di tutti gli uomini di cui parla la teoria
politica moderna ha il suo radicamento nel processo di omologazione della so-
cietà civile, nella sua sistematica distruzione delle vecchie disuguaglianze di ce-
to e di status. «I francesi sono pervenuti storicamente ad essere uguali nelle con-
dizioni, in seguito alla loro particolare storia, ma la teoria fa loro sapere ed essi
si sanno, per teoria, assolutamente uguali» (A. BIRAL, 1991, p. 311). Il mecca-
nismo combinato di assolutismo politico e sviluppo della società civile annien-
ta l’antico mondo aristocratico e svuota tutte le condizioni sociali «del loro spe-
cifico, compatto ethos, per riempirle di un nuovo uniforme ethos che le ugua-
glia tutte» (ivi, p. 313). Di ciò i rivoluzionari francesi sono del tutto inconsape-
voli: essi si pensano uguali in base a una teoria politica che ne afferma l’ugua-
glianza originaria e proclama la necessità politica della costruzione di un’ugua-
glianza sotto la sovranità. Quella teoria «farà ignorare agli uomini che questo
“rivoluzionario” passaggio era già avvenuto ed essi lo assumeranno, di conse-
guenza, come un progetto ancora da realizzare, come una meta che si deve rag-
giungere e in nome della quale non vi è battaglia che possa essere rifiutata»
(ibid.). L’analisi di Biral si adatta perfettamente alla critica hegeliana della mo-
dernità proprio in quanto mette il dito sulla singolare inconsapevolezza moder-
na relativamente alla natura oggettiva, storica e sociale della libertà. Quella in-
consapevolezza sarà per Hegel il peccato d’origine della rivoluzione francese, la
radice dell’enfasi del soggettivismo rivoluzionario che vuole realizzare la libertà,
finendo per ottenere il suo contrario. Sulla critica hegeliana alla rivoluzione
francese rinvio nuovamente a CORTELLA, 2002, in particolare le pp. 205-217.
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di costituzione. Nella modernità, afferma Hegel, «la forma concreta del pen-
sare, che qui dobbiamo considerare per sé, si manifesta in generale come
soggettiva con la riflessione dell’essere in se stesso, sicché essa si oppone in
generale all’essere» (GPh2 XV p. 242, StFil III.2 p. 4).
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C’è una terza tendenza nella società moderna che Hegel conside-
ra sorretta da entrambe queste forze [liberalismo individualistico
ed egualitarismo della volontà generale, n.d.r.], ed è quella verso
l’omogeneizzazione. Infatti non è solo l’impulso della libertà asso-
luta che scalza tutte le differenze; lo sviluppo dell’economia capi-
talistica ha significato anche la disgregazione delle società tradi-
zionali, le emigrazioni su larga scala, la creazione di un mercato
unificato e, per quanto possibile, di una forza-lavoro unificata. E
tutto questo ha contribuito all’omogeneizzazione della società
moderna, alla costituzione di una società di vaste proporzioni in
cui i sottogruppi culturali vengono progressivamente erosi, oppu-
re sopravvivono solo ai margini della vita associata, con usi e co-
stumi propri44.
43 Ivi, p. 56.
44 CH. TAYLOR, 1979a, trad. it. p. 185 (corsivo nostro).
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campa tante pretese su di lui quanti sono i diritti che egli accampa
nei confronti di essa (GW 14.1 § 238 pp. 191-192, Dir p. 399).
me fine la regolazione dei bisogni naturali e degli interessi empirici degli in-
dividui, quali si manifestano appunto sul terreno sociale. Ciò induce G. MA-
RINI (1978-90) ad equiparare la società civile hegeliana con il suo sistema giu-
diziario allo Stato di diritto kantiano e liberale: come quello anch’essa non è
altro che lo strumento necessario a garantire lo sviluppo degli interessi eco-
nomici individuali e la loro sicurezza.
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53 Riportiamo il passo per intero: «Si tratta del sistema dell’eticità perdu-
ta nei suoi estremi: esso costituisce il momento astratto della realtà dell’Idea,
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Ciò che appare sono gli egoismi in lotta ma dietro questa appa-
renza si mostra un «interno», che rimane in parte nascosto e che
tuttavia traspare, un interno con il carattere della «necessità».
L’universale che sembrerebbe qualcosa di meramente acciden-
tale e totalmente dipendente dai capricci dei singoli appare qui
meno precario: è anzi l’assolutamente necessario, anche se quel-
le singolarità non lo riconoscono e non lo sanno come tale.
Tre paragrafi prima Hegel aveva già collegato quell’appari-
re esterno a una verità interna ancora nascosta. Nel § 181 egli
aveva affermato che nella società civile l’universalità era la «ba-
se fondamentale» (Grundlage) del particolare, specificando
tuttavia che lo era in un senso «ancora soltanto interiore e for-
male», concludendo poi che quell’universale era presente nel
particolare «solo in modo parvente (nur scheinende Weise)»54.
Come la necessità del § 184, anche l’universalità appare qui
qualcosa che sta al di là rispetto ai fenomeni sociali empirica-
mente visibili: in essi di quell’universalità si dà solo la parven-
za, non la realtà. In definitiva, quella che Hegel chiama «l’Idea
etica», cioè la realtà vera e propria dell’eticità, si manifesta nel-
la società civile solo sotto la forma della parvenza. Vengono in-
trodotte qui, come può ben notare qualunque lettore della
Scienza della Logica, alcune fondamentali categorie della logica
dell’essenza. La conclusione del paragrafo richiama infatti
esplicitamente quel luogo ed è comprensibile solo alla luce di
quello. Hegel infatti così conclude:
sa». Ora finché si rimane all’interno della sfera della società ci-
vile è vano pretendere di raggiungere – secondo Hegel – un
punto di vista superiore a quello dell’intelletto, non è sensato
cioè opporre a questa conciliazione parziale un punto di vista
soggettivo che sfoghi contro di essa «il proprio malcontento e
il proprio moralismo stizzoso». L’unico elemento di concilia-
zione che si può pretendere «consiste nel conoscere questa par-
venza di razionalità» (GW 14.1 § 189 nota p. 165, Dir p. 347),
prendendo atto che in questa sfera le conciliazioni saranno in-
tellettualistiche, cioè parziali e accidentali e che l’unica moda-
lità in cui potrà manifestarsi la ragione sarà quella della par-
venza. Questo è il limite strutturale della società civile. Essa
avrà sempre due lati, sarà sempre momento essenziale dell’eti-
cità e al tempo stesso dissoluzione di essa, patria dell’uomo
moderno ma anche patria nella quale egli si sente estraneo59.
L’atteggiamento hegeliano nei confronti della società civile
non è perciò né l’adesione acritica né all’opposto il rifiuto mo-
ralistico ma è quello dell’unità di esposizione e critica. Come ha
scritto M. Theunissen, la prospettiva critica attraversa gran par-
te della Filosofia del diritto, caratterizzando innanzitutto le pri-
me due parti costituite dal diritto astratto e dalla moralità60, ma
per diventare poi affermativo nella dottrina del concetto, così nella Filosofia
del diritto la critica sarebbe esercitata nelle prime due parti (diritto astratto e
moralità) per poi trasformarsi in esposizione positiva nella dottrina dell’eti-
cità: «La filosofia dell’eticità fissa il punto di vista affermativo di Hegel. Es-
sa costituisce anche per lo stesso Hegel il vero e proprio inizio. Di fronte ad
esso il diritto astratto e la moralità sono i destinatari della critica» (M. THEU-
NISSEN, 1982, p. 321). Sulla plausibilità di questo doppio registro hegeliano
nella Scienza della logica abbiamo già mosso dei rilievi in L. CORTELLA, 1995
(pp. 265-266, nota e pp. 346-347), sostanzialmente accogliendo le critiche
mosse a Theunissen da Horstmann e Fulda (cfr. FULDA-HORSTMANN-THEU-
NISSEN, 1980) in relazione all’impossibilità di separare così nettamente espo-
sizione e critica sulla base della semplice collocazione delle parti dell’opera.
Analogo rilievo dobbiamo perciò muovere anche a questa interpretazione del-
la Filosofia del diritto che terrebbe la dottrina dell’eticità fuori dal classico pa-
radigma hegeliano dell’unità di esposizione e critica. Del resto lo stesso Theu-
nissen si vede costretto a correggere se stesso ammettendo poco dopo che nel-
la teoria della società civile si ripresenta l’unità di esposizione e critica.
61 M. THEUNISSEN, 1982, p. 339.
62 Sulla stessa linea di Theunissen si muove anche E. ANGEHRN, 1977, se-
condo il quale l’unità di esposizione e critica troverebbe, nella Filosofia del
diritto, un radicamento storico nella struttura intrinsecamente duplice del-
l’intera realtà dello spirito oggettivo. Questa è infatti caratterizzata dall’unità
di «fattualità» e «normatività», di «essere» e «validità». Questa unità reale,
cioè la natura normativa della realtà storica, sarebbe il fondamento che ren-
de possibile l’unità teorica di esposizione e critica. Poiché l’oggetto della fi-
losofia dello spirito oggettivo è la libertà, cioè un oggetto normativo, essa si
costituirebbe come teoria descrittiva e al tempo stesso normativa. La libertà
infatti «è di per sé una critica di tutti i concetti parziali della libertà, di tutti
i concetti fissati in momenti specifici particolari, come ad esempio la libertà
come determinazione giuridica o come autonomia morale» (pp. 178-179).
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64 Questo passaggio può essere visto anche come una sorta di transizione
dalla natura allo spirito. Gli individui che si muovono nella società civile so-
no infatti ancora degli esseri naturali, spinti da pulsioni e bisogni e che isti-
tuiscono fra loro solo relazioni esterne di tipo meccanico. Nel passaggio allo
Stato è invece necessario «che l’individuo maturi un’intima adesione alle pre-
scrizioni dell’universale e dismetta perciò la sua originaria natura pulsionale
caotica e ribelle. L’individuo stesso deve, insomma, trasformare la sua natura
in spirito» (G. CESARALE, 2009, p. 60).
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65 Hegel lo definisce «il diritto oggettivo della particolarità» (GW 14.1 § 200
nota p. 170, Dir p. 355 – corsivo nostro).
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5 M. RIEDEL, 1969, trad. it. p. 64. Analoghe considerazioni nel saggio del
1970: «Questa rappresentazione di una “legge di natura” teleologico-meta-
storica viene rifiutata da Hegel con decisione. La necessità che, ad esempio, si
attribuisce all’esistenza dello Stato in rapporto all’essere del singolo, non si-
gnifica più che ci sia per il singolo una legge di natura per cui debba vivere
nello Stato; la necessità dello Stato riposa piuttosto sulla legge della libertà,
che non è una natura immutabile ma lo stesso concetto storico nel suo movi-
mento, che si dà come volontà autocosciente» (M. RIEDEL, 1970, p. 11). Non
c’è nessuna legge naturale che porta gli individui a vivere assieme e a costitui-
re uno Stato: una tale teleologia è decisamente rifiutata da Hegel al pari della
rappresentazione pessimistica di uno stato di natura in cui vige la guerra di
tutti contro tutti. Ciò che sta alla base dello Stato non è né l’associazione na-
turale né la fuga dalla guerra naturale bensì la libertà e la sua realizzazione.
6 CH. TAYLOR, 1979a, trad. it. p. 112.
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11 «Ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale» (GW 14.1 p. 14,
Dir p. 59).
12 M. RIEDEL, 1970, p. 13.
13 R. BUBNER, 1996, p. 137.
14 Ivi, p. 138. «Una filosofia che comprende il suo tempo in pensieri non
si conforma al compito giornalistico di fare un rapporto sui fatti del giorno
o su ciò che di volta in volta viene ritenuto tale. Non viene qui perseguita al-
cuna fedele descrizione dell’esistente, giacché l’esistente non è evidentemen-
te il pensiero [...] Si tratta perciò di fare i conti con una differenza fra super-
ficie e sostanza, fra tendenza di fondo e attualità o tra ciò che sembra reale e
ciò la cui esistenza può essere razionalmente legittimata» (R. BUBNER, 2002,
p. 158). In altri termini «ciò che viene compreso in pensieri è dunque la
realtà strutturata storicamente senza la continua apparenza di contorno co-
stituita dalla contingenza» (ivi, p. 159).
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Nel caso dell’idea dello Stato non si devono avere dinnanzi agli oc-
chi Stati particolari, non particolari istituzioni, si deve piuttosto
considerare per sé l’idea, questo Dio reale (RZ p. 403, DirA p. 358).
16
M. RIEDEL, 1970, p. 13.
17
La nozione di spirito oggettivo «mi sembra contenere la tesi, lasciando
da parte il suo stretto legame con l’intero sistema hegeliano, che ogni realtà
sociale possiede una struttura razionale» (A. HONNETH, 2001, trad. it. p. 43).
18 Ibid.
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In una comunità etica, è facile dire che cosa l’uomo debba fare e
quali siano i doveri ch’gli deve adempiere per essere virtuoso: egli
non deve far altro se non quello che, nei suoi rapporti gli è già
tracciato, espresso e noto (GW 14.1 § 150 nota p. 140, Dir p. 299).
23
CH. TAYLOR, 1979a, trad. it. pp. 121-122.
24
C. CESA, 1981, scrive, a questo proposito, che libertà e necessità tro-
vano la loro conciliazione nell’epoca moderna quando l’individuo fa proprio
«ciò che dapprima era apparso come destino» (p. 167). Sulla conciliazione di
libertà e necessità in Hegel si veda anche P. LASKA, 1974.
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36
R. BUBNER, 1996, p. 160.
37
Ivi, p. 162.
38 R. BUBNER, 1995b, p. 81.
39 Ivi, pp. 82-83.
40 R. BUBNER, 2002, p. 165. Queste osservazioni di Bubner ci sembrano
la migliore risposta a critiche, come quella di Tugendhat, che si basano fon-
damentalmente sul misconoscimento della essenziale funzione svolta dalla
soggettività all’interno della teoria hegeliana dell’eticità. «La possibilità di un
rapporto autoresponsabile e critico nei confronti della collettività, nei con-
fronti dello Stato, non viene ammessa da Hegel», egli scrive, e così continua:
«quello che l’individuo deve fare è già stabilito in una collettività, la coscien-
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44 L. SIEP, 1979.
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52 Ivi, p. 32.
53 H. HOFMEISTER, 1974, p. 154.
54 Ivi, p. 157.
55 Ivi, p. 154.
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Una volta che i singoli dovessero porsi come dei «fini» non
saremmo più, secondo Hegel, nella sfera statale ma nella so-
cietà civile:
quanto tale diviene il fine ultimo per cui essi sono uniti, e, a un
tempo, il fatto di essere membro dello Stato finisce col dipendere
dal capriccio individuale (GW 14.1 § 258 nota p. 201, Dir p. 417).
Lo Stato non esiste per i cittadini: si potrebbe dire che esso è il fi-
ne, e quelli sono i suoi strumenti. Peraltro tale rapporto generale
di fine a mezzo non è, in questo caso, rispondente. Lo Stato non
è infatti una realtà astratta, che si contrapponga ai cittadini: ben-
sì essi sono momenti come nella vita organica, in cui nessun mem-
bro è fine e nessuno è mezzo (PhWg I p. 112, FilSt I pp. 105-106).
mune di tutto un popolo e nel considerare ogni suddito, in quanto vuol es-
ser cittadino, come se egli avesse dato il suo consenso a una tale volontà.
Questa è infatti la pietra di paragone della legittimità di una qualsiasi legge
pubblica» (I. KANT, 1793, trad. it. p. 262).
60 «Dal punto di vista della giustizia come equità la posizione originaria
di eguaglianza corrisponde allo stato di natura della teoria tradizionale del
contratto sociale. Naturalmente questa posizione originaria non è considera-
ta come uno stato di cose storicamente reale, e meno ancora come una con-
dizione culturale primitiva. Va piuttosto considerata come una condizione
puramente ipotetica, caratterizzata in modo tale da condurre a una certa con-
cezione della giustizia» (J. RAWLS, 1971, trad. it. p. 28). Perciò quella assun-
zione ipotetica serve unicamente a stabilire che «una situazione sociale è giu-
sta se, anche attraverso questa sequenza di accordi ipotetici, accetteremmo lo
stesso sistema generale di norme che la determinano ora» (ivi, trad. it. p. 29).
61 È stato fatto notare (M. RIEDEL, 1970) che nell’opposizione hegeliana
al contrattualismo gioca un importante argomento antinaturalistico. È ben
vero infatti che la teoria contrattuale postula proprio una rottura nei con-
fronti dello stato naturale ma è anche vero che quando è una moltitudine di
individui a deliberare sulla costituzione di uno Stato, ciò che determina quel-
la decisione sono daccapo gli interessi, i bisogni e le pulsioni. Anche lo Sta-
to di Kant, di Fichte e di Rousseau, fondato non sulla natura ma sulla libertà,
alla fine torna a dipendere dalla natura. «Ma in Kant e Fichte (e prima di lo-
ro in Rousseau) il principio che essi pongono alla base della dottrina del di-
ritto entra in contraddizione con l’attuazione che essi gli conferiscono. La na-
tura che, da un lato, il principio dello Stato esclude da sé [...] viene, dall’al-
tro, nuovamente introdotta dal fatto che essi collocano sopra tutto e tutti la
volontà solo nella forma determinata della “volontà singola”, come “indivi-
duo particolare”» (pp. 40-41).
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Non siamo noi gli autori di un ordine di cui invece già da sempre
abbiamo bisogno per essere attori in un senso ricostruibile razio-
nalmente. Noi non cominciamo con l’ordine, poiché è l’ordine ciò
di cui abbiamo bisogno per poter cominciare con la prassi63.
70 P. SCHABER, 1989, p. 7.
71 Ibid.
72 Ivi, p. 144.
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73 Ivi, p. 5.
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78 H. MARCUSE, 1941, trad. it. p. 246. C’è stato però chi ha trovato anche
in questa soluzione dei motivi che vanno ben al di là di contingenti conside-
razioni storico-politiche. M. THEUNISSEN (1970) vi ha visto un importante
sfondo teologico. Non solo il re «assume i tratti del Dio che si è rivelato in
Cristo» (ivi, p. 444), ma proprio il carattere meramente naturale della perso-
na del re riprende la figura teologica dell’incarnazione di Cristo, del «farsi
natura umana e carne» da parte di Dio. Come abbiamo già visto tutta l’in-
terpretazione di Theunissen è tesa a mostrare lo sfondo cristologico della
dottrina hegeliana dello Stato, sfondo che uscirebbe rafforzato dai «numero-
si predicati teologici con i quali Hegel riveste lo Stato», non ultimo il «di-
scorso sulla sovranità dello Stato come “verace assoluto scopo finale”». Il
concetto dell’assoluto scopo finale viene infatti «usato da Hegel per la carat-
terizzazione dell’éschaton, che Dio ha anticipato con la vita, morte e risurre-
zione del suo figlio» (ivi, p. 443). Concorda con questa linea interpretativa
anche L. SIEP (1992b), secondo il quale «l’unificazione dell’Idea divina con
la natura e lo spirito dell’uomo nella persona di Cristo», cioè «quello che per
Hegel è il dogma più speculativo», costituisce «il pendant teologico della sua
teoria della monarchia». E tuttavia proprio questa tesi hegeliana della «ne-
cessaria contrazione della suprema legittimazione statale della sovranità in un
individuo naturale» appartiene agli aspetti più «problematici» della sua filo-
sofia politica, in quanto poggia «su premesse ontologiche» che «debbono es-
sere forse abbandonate del tutto» (ivi, trad. it. p. 241).
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correlazione con le tre parti della Scienza della Logica (essere, essenza, con-
cetto), Ottmann vede però nella conclusione dell’opera la manifestazione del
fondamento dell’intero percorso, il che rimette in discussione proprio quel-
la lettura. Ci permettiamo tuttavia di notare come la conclusione non stia nel-
la guerra fra Stati, come vedremo più avanti.
86 «Lo spirito come seconda natura è la negazione dello spirito, e lo è tan-
to più, quanto più la sua autocoscienza non si accorge della sua cattiva natu-
ralità. Ciò si compie mediante Hegel. Il suo spirito universale (Weltgeist) è
l’ideologia della storia naturale» (TH.W. ADORNO, 1966-67, trad. it. p. 320).
La tesi di Adorno è che nella “superiore” razionalità della storia hegeliana sia
nascosta proprio la più meccanica logica naturale, che ora si vendica impo-
nendosi violentemente sui soggetti.
87 H. OTTMANN, 1982, p. 391.
88 Ibid.
89 V. HÖSLE, 1987b, p. 221. Per lo stesso motivo, seguendo la logica del
concetto, andrebbe rifiutata – secondo Hösle – la tesi hegeliana della guerra
come qualcosa di necessario e addirittura di affermativo (ivi, pp. 221-222).
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90 Ivi, p. 219.
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93 Ivi, p. 9.
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Intorno al trono dello spirito del mondo (Weltgeist), gli spiriti na-
zionali (Völkergeister) stanno come gli esecutori della sua realiz-
zazione, e come testimoni e ornamenti del suo splendore. Ora lo
spirito del mondo, appunto in quanto spirito, non è altro che il
movimento della propria attività di sapersi in modo assoluto, e
quindi attività di liberare la propria coscienza dalla forma del-
l’immediatezza naturale e di pervenire a se stesso (GW 14.1 § 352
p. 278, Dir p. 571).
95 Ibid.
96 Nella società moderna «l’uomo rimaneva soggetto alle leggi di un’eco-
nomia incontrollata e doveva essere tenuto a bada da uno Stato forte, capa-
ce di affrontare le contraddizioni sociali. La verità ultima doveva pertanto es-
sere ricercata in un’altra sfera della realtà» (ivi, trad. it. p. 189). E ancora:
«Sebbene Hegel dica che lo stadio dello sviluppo storico raggiunto nel suo
tempo rivela che l’Idea è divenuta reale, essa “esiste” come mondo compre-
so, presente nel pensiero, come “sistema della scienza”» (ibid.).
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3 Ivi, p. 246
4 K.-H. ILTING, 1982, p. 226 (ma si veda a questo proposito l’intero sag-
gio: pp. 225-253).
5 P. BECCHI - H. HOPPE, Nachwort a K.-H. ILTING, 1994 (in particolare
pp. 359-360).
6 Fra i critici della posizione di Ilting va qui ricordato Vittorio Hösle, se-
condo il quale, contro la tesi che considera la Filosofia del diritto come una
teoria meramente descrittiva starebbe proprio l’identità di razionalità e
realtà. La formula hegeliana comporterebbe infatti la selettiva individuazio-
ne del razionale all’interno delle molteplici manifestazioni rappresentate dal-
la realtà storica. La stessa affermazione hegeliana secondo cui la Filosofia del
diritto è «il tentativo di comprendere concettualmente lo Stato e di esporlo co-
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chiarisce che il senso ultimo della totalità sta nel suo autori-
flettersi, nel diventare consapevole di sé e in quella radicale au-
toriflessione che è al tempo stesso autoposizione, posizione di
sé come assoluta autonomia e indipendenza. Senza quella riso-
luzione della sostanza nel concetto, cioè nell’autoriflettersi del
soggetto, non si darebbe sapere assoluto e quindi non si po-
trebbe dare neanche una filosofia della storia universale. Ma
Hegel ha anche bisogno di mettere in circolo questo sapere as-
soluto con la nostra coscienza di individui finiti: se questi due
termini non riuscissero a toccarsi il sapere assoluto si manter-
rebbe separato e trascendente ma noi nulla ne sapremmo e l’u-
nica nostra risorsa rimarrebbe quel sapere storico-empirico,
che è però strutturalmente incapace di pervenire a uno sguar-
do sulla totalità. La tesi hegeliana nella sua completezza è per-
ciò quella secondo cui lo spirito finito è in verità spirito asso-
luto. È solo necessario che quella coscienza finita rifletta su di
sé e comprenda la sua vera natura: a quel punto si sarà innal-
zata all’autoriflessione dell’assoluto diventandone identica.
Quando sono date entrambe queste condizioni (il determi-
narsi dell’assoluto come un sapere assoluto di se stesso e l’i-
dentità dello spirito finito che abbia raggiunto la completa
consapevolezza di sé con lo spirito assoluto) è finalmente pos-
sibile lo sguardo sulla totalità, è possibile una filosofia della
storia, ed è infine possibile una giustificazione dell’eticità esi-
stente come realizzazione della libertà.
fia del diritto significa, come già abbiamo avuto modo di os-
servare, la realtà nella sua piena oggettività. In secondo luogo
l’ethos (das Sittliche) viene definito come «la sostanza divenuta
concreta» (GW 14.1 § 144 p. 137, Dir p. 293), un’ulteriore ca-
ratterizzazione ontologico-oggettivistica. E infine questa so-
stanza è «sich wissend», è cioè una sostanza «che sa se stessa»
e in quanto tale è «la sua autocoscienza reale» e «oggetto del
sapere» (GW 14.1 § 146 p. 138, Dir p. 295).
Come si può notare, in tutte queste definizioni compare un
unico attore, la sostanza, la quale è anche il soggetto del rico-
noscimento: è infatti da quella sostanza che emerge l’autoco-
scienza e il sapere. Insomma il lato soggettivo dell’eticità, quel
lato soggettivo che è così importante per Hegel, non rinvia al-
l’autocoscienza degli individui, cioè alla coscienza civile dei cit-
tadini, ma al sapersi della sostanza e quindi svela che il ruolo
della soggettività nel costituirsi dell’etico non è nient’altro che
l’autoriconoscersi della sostanza spirituale. Il vero soggetto è
dunque lo stesso spirito oggettivo, che certamente si riconosce
grazie all’autocoscienza degli individui9 (come abbiamo già
evidenziato non c’è per Hegel alcun’altra autocoscienza, né in
terra né in cielo, che quella individuale), ma per il quale quei
cittadini sono solo gli strumenti del suo autoriconoscersi.
Come ha mostrato Michael Theunissen10, questo impianto
logico-ontologico spiega la sostanziale rimozione dell’intersog-
gettività dalla Filosofia del diritto. Da un lato infatti Hegel mo-
stra la genesi dell’universalità a partire dal superamento inter-
soggettivo dell’individualità. Ciò avviene nella sfera del diritto
astratto attraverso il contratto, che costringe il singolo a entra-
re in rapporto con l’altro e quasi a omologarsi con lui in quan-
to entrambi proprietari. Nella società civile poi un analogo
processo si costituisce nel celebre rapporto di «dipendenza on-
altri, dalle conferme che noi riceviamo del nostro valore e del-
la nostra dignità. Come la moralità, anche la libertà si appren-
de e si consolida dentro rapporti di riconoscimento. Come ab-
biamo visto, anche questa è un’altra grande lezione hegeliana:
la tesi che l’indipendenza consiste paradossalmente nel rap-
porto di dipendenza rispetto all’altro. Ma solo all’interno di
una teoria del riconoscimento finalmente emancipata dal rin-
chiudimento idealistico la tesi della libertà come «essere-presso-
di-sé-nell’essere-altro-da-sé» acquista tutta la sua validità senza
il rischio di essere alla fine fagocitata dalla tesi finale della li-
bertà come «essere-per-sé» escludente l’altro. Infatti all’inter-
no di una teoria del riconoscimento la relazione con l’altro non
è una mediazione logica destinata a risolvere l’alterità nel pro-
cesso dell’Idea ma è una relazione pratica, etica, normativa, in
cui l’altro rimane nella sua irriducibilità al sé. Solo in quella ir-
riducibilità esso può svolgere fino in fondo la sua funzione co-
stitutiva nei confronti della soggettività, senza ridurre questo
processo a mera finzione.
La libertà perde qui sia i tratti sovrasensibili che essa aveva
in Kant sia la caratterizzazione ontologica che aveva guadagna-
to con Hegel, il quale ne aveva fatto un attributo dell’assoluto
e della totalità. Essa perciò si manifesta semplicemente come
un’acquisizione storica di individui empirici che la conquista-
no progressivamente attraverso processi di socializzazione. Gli
uomini diventano liberi quanto più diventano sociali, quanto
più imparano l’uso della loro autonomia grazie alle relazioni
con gli altri. Viene qui confermata – pur in un contesto post-
idealistico – la tesi hegeliana della libertà relazionale. Essere li-
beri non significa tenere l’altro lontano da sé ma includerlo al
proprio interno affinché esso diventi la risorsa fondamentale
della nostra autonomia.
In questo quadro, in cui libertà non significa autoriflessio-
ne assolutistica ma relazione intersoggettiva e riconoscimento
di un altro, la teoria dell’eticità può finalmente abbandonare
l’imperativo della trasparenza (4.2.2) e la normatività può ri-
trovare il suo fondamento a partire da un’idea di libertà plura-
le e intersoggettiva (4.2.3).
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luppata per la prima volta dal giovane Hegel, e successivamente è stata ul-
teriormente elaborata, sotto premesse post-metafisiche, da Mead» (trad. it.
p. 38). Wellmer la ripropone in un convegno dal titolo Gemeinschaft und
Gerechtigkeit, dedicato proprio al confronto fra liberalismo e comunitari-
smo, tenuto a Francoforte nel maggio 1992 (cfr. M. BRUMLIK - H. BRUNK-
HORST [1993]), con una relazione dal titolo Bedingungen einer demokrati-
schen Kultur. Zur Debatte zwischen Liberalen und Kommunitaristen (poi in
A. WELLMER, 1993, pp. 54-80). Ripresa anche da R. FORST (1994), viene ri-
proposta alla fine anche da un pensatore come J. HABERMAS (1996, p. 19),
noto per il suo approccio procedurale e formalistico nell’affrontare le que-
stioni pratiche.
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Con ciò l’onere della dimostrazione si sposta dalla morale dei cit-
tadini a quei procedimenti della formazione dell’opinione e della
volontà che sono destinati a fondare la presunzione di raggiunge-
re risultati razionali31.
due ragioni. La prima è che lo sfondo etico non può essere neutralizzato da
nessun tipo di procedura formale: esso entra dentro le argomentazioni e con-
diziona gli accordi razionali che sulla base di quelle argomentazioni vengono
raggiunti. La seconda è che senza quello sfondo etico condiviso non sarebbe
nemmeno possibile il confronto argomentativo: nessun dialogo e nessun ac-
cordo è immaginabile fra individui che non si siano reciprocamente ricono-
sciuti e che non si siano accettati come “degni” di partecipare assieme a una
discussione. Insomma l’eticità contemporanea è costitutiva della legittimità
democratica sia nel senso della genesi sia in quello della validità.
31 J. HABERMAS, 1990, trad. it. p. XXXII.
32 L. CEPPA, 2009, p. 121.
33 M. WALZER, 1990, p. 21.
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Se noi siamo dei Sé situati, come sostiene la seconda critica dei co-
munitari, allora il nostro essere situati è largamente catturato da
quel vocabolario [costituito dal] linguaggio dei diritti individuali –
libertà di associazione volontaria, pluralismo, tolleranza, separazio-
ne, privacy, libertà di parola, apertura della carriera al talento, etc.34
34 Ivi, p. 14.
35 Ciò spiega il problema della difficile convivenza fra questo individuo di-
venuto autonomo e le istituzioni etiche che lo hanno generato. A differenza di
quanto pensava Hegel, non è quindi possibile una completa conciliazione fra
questo individuo e la totalità sociale. Proprio il mancato raggiungimento di
quella conciliazione rende invece strutturalmente instabile – nonostante la
presenza di numerosi elementi di identificazione reciproca – la relazione fra
l’individualità da un lato e il mondo del diritto e della legalità dall’altro.
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Solo uno Stato democratico può creare una società civile demo-
cratica; solo una società civile democratica può sostenere uno Sta-
to democratico. L’educazione civile che rende possibile la politica
democratica può essere appresa solo nelle reti di associazioni; le
capacità più o meno uguali e largamente disseminate che sosten-
gono le reti devono essere alimentate dallo Stato democratico37.
39
Ivi, p. 28 (corsivo nostro).
40
P. SCHABER, 1989, p. 133.
41 Ibid.
42 «La Filosofia del diritto di Hegel è il tentativo di costruire il concetto
di un’eticità al di là del punto di vista dell’eticità» (A. WELLMER, 1993, p. 28).
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43 Ivi, p. 67.
44 Ivi, p. 68.
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munità» per noi non può che voler dire una comunità che con-
tiene diversità, che non è del tutto amalgamata dal consenso48.
49 Come scrive Ceppa, «la complessità della modernità non risulta né si-
stemicamente coordinabile né democraticamente amministrabile dalla prospet-
tiva imperialistica e centralizzata di un’eticità particolaristica universale». Ne
deriva che la «pax americana» quando rigetta «multilateralismo e decentra-
mento democratico» diventa inadeguata non solo sul piano della funzionalità
ma soprattutto «sul piano della legittimità» (L. CEPPA, 2009, p. 97). Insomma
universalismo politico e non culturale, una eticità delle regole e non dei valori.
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57
A. HONNETH, 1991, trad. it. p. 41.
58
«Dopo la perdita tragica dell’eticità, l’integrazione operata dal bene
può essere costituita solo dalla “decisione” specifica (e perciò plurale) dei sog-
getti coinvolti. La riflessione del bene non perviene a un ordine oggettivo che
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61 Ivi, p. 269.
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Bibliografia primaria
1. Edizioni tedesche
2. Traduzioni italiane
Bibliografia secondaria
Collana di Filosofia