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Collana di Filosofia
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Lucio Cortella

L’ETICA
DELLA DEMOCRAZIA
Attualità della Filosofia del diritto di Hegel

MARIETTI 1820
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 4

Realizzazione editoriale: Arta snc, Genova


Stampa e confezione: Rilegatoria Varzi, Città di Castello (PG)

I edizione 2011

© 2011 Casa Editrice Marietti S.p.A. – Genova-Milano

ISBN 978-88-211-8708-7

www.mariettieditore.it

Finito di stampare nel mese di febbraio 2011


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alla memoria
del professor Antonio Duca (1921-1988)
il primo dei miei maestri
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Indice

Prefazione. La democrazia ha bisogno di un’etica? 9


Nota al testo 17
Introduzione. Moralità ed eticità: due concetti chiave
per accedere alla concezione hegeliana della politica 19

1. La libertà e l’assoluto 33
2. L’epoca della libertà universale 59
3. L’eticità compiuta: la sfera dello Stato 129
4. Linee di un’eticità post-idealistica:
una democratizzazione della filosofia politica
di Hegel 207

Bibliografia primaria 255


Bibliografia secondaria 261
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Prefazione. La democrazia ha bisogno di un’etica?

Il titolo di questo volume potrebbe apparire paradossale.


Hegel notoriamente non appartiene alla tradizione del pensiero
democratico. Gli studiosi dibattono se la sua teoria dello Stato
possa essere considerata liberale o antiliberale ma nessuno può
seriamente sostenere che si tratti di una concezione democrati-
ca. Certo, la critica della seconda metà del Novecento ha com-
piuto passi decisivi nel liberare la concezione hegeliana dello
Stato dalle interpretazioni passate che l’avevano considerata
troppo semplicisticamente come una legittimazione dello Stato
prussiano nel periodo della restaurazione europea post-napo-
leonica. Infatti se l’opera di Hegel è indubbiamente figlia del suo
tempo, l’arco di problemi con cui egli si confronta va ben al di
là del contesto specifico della reazione controrivoluzionaria di
inizio Ottocento per investire in tutta la sua ampiezza le fonda-
menta dello Stato moderno. La sua dottrina dell’eticità, in parti-
colare, intende risolvere una questione che ha accompagnato fin
dal suo nascere la teoria politica moderna ed è diventata sempre
più acuta proprio nelle nostre democrazie contemporanee: ba-
stano le astratte norme giuridiche a tenere assieme una società e
a regolarne i processi o sono necessari anche un sistema di valo-
ri, la condivisione di una tradizione, un’etica comune?
La teoria dello Stato liberale, specialmente nelle sue versio-
ni contemporanee, nega con risolutezza la necessità di un’etica
come base della convivenza sociale e come sostegno delle isti-
tuzioni statali. La politica non solo non ne ha bisogno ma deve
imporre a se stessa di farne a meno. Proprio perché gli Stati
contemporanei sono attraversati da un irriducibile pluralismo
religioso, etico, culturale, non possono pretendere di imporre
uno di questi sistemi valoriali-culturali anche a coloro che non
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lo condividono e che hanno ugualmente diritto di vivere nella


medesima società. Del resto su questa opzione di fondo si so-
no costruiti gli Stati moderni, alla fine di quelle guerre di reli-
gione che per decenni avevano devastato l’Europa e che erano
state generate proprio dall’assunto che l’identità di una nazio-
ne risiedesse in una specifica confessione religiosa. L’esperien-
za di quel conflitto fra tradizioni e fra opposte concezioni del-
la vita ha guidato la formazione dello Stato liberale moderno,
per il quale alla base del patto di cittadinanza non vi può esse-
re una specifica concezione del bene ma esclusivamente delle
regole astratte di giustizia. Solo queste consentono a cittadini
con idee e orientamenti valoriali differenti di convivere, di ave-
re gli stessi diritti e di essere trattati in modo imparziale e neu-
trale. La distinzione, elaborata dalla filosofia politica liberale
contemporanea, fra il carattere privato del bene e il carattere
pubblico del giusto sintetizza sul piano teorico questo punto di
arrivo delle democrazie contemporanee. Sulla base di questa
distinzione, da un lato, agli individui è consentito conservare la
loro concezione del bene, cioè le loro preferenze, i loro piani di
vita, i loro valori, purché tali concezioni rimangano ristrette al-
l’ambito privato e non vengano fatte proprie dallo Stato in
quanto tale. Dall’altro lato lo Stato ha il compito di stabilire ciò
che è giusto per tutti, cioè di fissare per legge quelle regole
astratte su cui individui con opposte concezioni del bene po-
trebbero comunque convenire e trovare un accordo. Mentre
dunque la giustizia ha una rilevanza politica, il bene rimane
questione strettamente privata.
Questa soluzione, che si muove perfettamente in linea con
le costituzioni delle democrazie contemporanee e che appare
ragionevolmente condivisibile, ha però un punto debole, colto
dalle coscienze più attente del nostro tempo: la questione è se
possa sussistere e mantenersi uno Stato senza la condivisione
di un’etica di fondo, senza il riferimento a valori condivisi, sen-
za l’identificazione con delle radici storiche ben precise. Ciò
che viene messo in dubbio è l’effettiva capacità da parte della
politica contemporanea di vincere la sfida affidatale dalle teo-
rie liberali: quella di sostituire tradizioni, riferimenti identitari
e la condivisione di una storia comune con delle regole astrat-
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PREFAZIONE 11

te, facendo del riferimento alla giustizia e alle sue norme l’uni-
ca identità condivisa. Ma, come ha ben argomentato il comu-
nitarismo americano, una società che abbia rinunciato a una
comune idea del bene e si sia privata della propria identità sto-
rica diventa fatalmente una società senz’anima, senza un vero
legame tra i cittadini, senza ideali comuni in cui essi possano ri-
conoscersi. A quel punto il vincolo sociale sarà così affievolito
da inficiare l’attenzione per la cosa pubblica e per gli impegni
collettivi della nazione. Parole come solidarietà, bene comune,
interesse generale diventerebbero incomprensibili. In questo
quadro ben si comprende la reazione che caratterizza le nostre
società in cui si fanno sempre più frequenti i richiami identita-
ri, la richiesta di simboli collettivi, l’esclusione di tutti coloro
che non condividono la medesima storia passata.
La migliore risposta nei confronti di questo tipo di richieste
non può però consistere nel ritorno a forme pre-liberali di Sta-
to, in cui si riaffermi un unico modello culturale di riferimen-
to, un’unica religione, un unico sistema valoriale. La soluzione
sta piuttosto nella riscoperta di un terreno etico che sia comune
e condiviso, cioè non lesivo o discriminante nei confronti delle
differenti e plurali concezioni del bene che attraversano le no-
stre società. Ora, una tale ricerca non ha bisogno di alcuno
sforzo intellettualistico per individuare il punto di intersezione
fra le differenti concezioni del bene e fra le differenti culture
che ci caratterizzano. Non è necessaria qui alcuna nuova filo-
sofia morale che si metta alla ricerca di una concezione univer-
salistica del bene. Basterà individuare e rendere esplicita quel-
l’etica che è già incorporata e operante nelle istituzioni dello Sta-
to democratico e che per questo motivo è già alla base del vin-
colo sociale fra i cittadini. Le istituzioni politiche non sono in-
fatti semplicemente dei meccanismi giuridici o delle procedu-
re asettiche. Esse sono costituite da leggi, tradizioni giuridiche,
pratiche, abitudini, caratteri, atteggiamenti, che compongono
un’intera sfera normativa. È dunque nelle istituzioni politiche
che va ricercata l’identità di una nazione e l’insieme dei suoi ri-
ferimenti ideali. C’è, in sostanza, un lato «etico» delle istitu-
zioni dello Stato che solo una teoria strumentalistica della de-
mocrazia continua a ignorare e a rimuovere.
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È questo il significato fondamentale della teoria hegeliana


dell’eticità. Quando Hegel colloca la politica all’interno di
quella che definisce come la sfera dell’eticità non intende met-
tere in discussione l’affrancamento dello Stato moderno da
controverse concezioni del bene o da specifiche tradizioni. È
ugualmente altrettanto lontana da Hegel la proposta di uno
«Stato etico», se con questa espressione si intende la sottomis-
sione della politica a imperativi morali, cioè la sua dipendenza
nei confronti di determinate concezioni della vita e del bene.
La sua idea, semmai, è quella opposta, secondo cui le istitu-
zioni politiche hanno una implicita finalità etica, svolgono cioè
un ruolo educativo e formativo nei confronti dei cittadini.
Questa finalità è «ancorata» e «incorporata» in quelle istitu-
zioni, le quali si sono imposte come tali nel processo storico
proprio perché hanno saputo affrancarsi da ogni controversa
concezione del bene e guadagnare in tal modo un carattere tra-
sversale e condiviso.
L’eticità hegeliana non è costituita da un sistema particola-
re di valori, né intende imporre allo Stato una specifica iden-
tità storica, né significa la riproposizione dei vincoli comunita-
ri tradizionali. Hegel non ha mai voluto mettere in discussione
quel processo di emancipazione che ha caratterizzato l’epoca
moderna, grazie al quale gli uomini si sono liberati dal peso
delle tradizioni passate, dai legami comunitari e dalle loro spe-
cificità storiche. Egli sa che l’uomo moderno si riconosce in
un’unica identità, quella della libertà, in forza della quale egli
ha preso congedo dai vincoli tradizionali, ha assunto un atteg-
giamento critico nei confronti della storia passata e ha saputo
prendere le distanze nei confronti di quei valori che stavano al-
la base delle vecchie identità.
L’idea di Hegel è però che la libertà, una volta dissolte le
vecchie tradizioni e l’ethos dei padri, si sia fatta a sua volta
ethos, cioè abbia piantato radici, oggettivandosi in un sistema
giuridico, in una prassi sociale, in istituzioni politiche e civili.
Essa è riuscita a diventare a sua volta tradizione, la tradizione
della libertà. In tal modo si è formata una consuetudine, una
mentalità, un carattere civile, in forza dei quali l’individuo mo-
derno antepone l’autonomia di giudizio al conformismo, ac-
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PREFAZIONE 13

cetta la convivenza dei diversi, assume la responsabilità come


riferimento del suo agire. La capacità di essere liberi e di ac-
cettare la libertà e i diritti degli altri non è una nostra qualità
innata ma presuppone un processo di apprendimento e di edu-
cazione, messo in atto proprio dal carattere «etico» delle isti-
tuzioni politiche e civili. Noi abbiamo «imparato» ad essere li-
beri e quel processo di apprendimento si è ora consolidato e
«istituzionalizzato»: l’esercizio della libertà, la consapevolezza
dei nostri diritti, il rispetto della legalità sono diventati ormai
parte essenziale di noi stessi, elementi costitutivi della nostra
stessa natura.
Le vecchie tradizioni sono ormai incapaci di assolvere quel
ruolo formativo e orientativo che hanno da sempre svolto nel-
le società pre-moderne. La libertà però non si è limitata a di-
struggere quel vecchio stato di cose ma ne ha creato uno nuo-
vo, che trova proprio nella libertà il suo fondamento. Le istitu-
zioni dello Stato moderno sono diventate il nostro nuovo mon-
do, la nostra nuova patria, la nuova fonte della nostra identità.
Leggi, diritti e doveri, istituzioni politiche e civili, procedure, il
sistema del diritto: tutto ciò costituisce la nuova comunità del-
l’uomo moderno. Non più la comunità storica, l’appartenenza
etnica, l’identità culturale, ma la pratica della libertà, il sistema
giuridico e costituzionale, le istituzioni dello Stato di diritto.
Da quel mondo istituzionale noi abbiamo imparato non solo
ad essere liberi ma anche ad esercitare la nostra libertà assieme
agli altri, a rispettarne i diritti, a convivere con culture e valori
diversi, a coniugare tolleranza e responsabilità individuale.
L’espressione «patriottismo costituzionale» coglie con pre-
cisione il nuovo atteggiamento del cittadino democratico e la
fonte della sua nuova identità. Egli si identifica infatti con una
comunità non più incardinata in tradizioni specifiche, religio-
ni, opzioni etiche controverse, ma nelle istituzioni e nelle pra-
tiche generate dalla costituzione, cioè dai principi giuridici del-
la libertà. Sempre più le democrazie contemporanee avranno
bisogno del consolidarsi di questo ethos. Se non possono più
affidarsi alla forza motivante delle vecchie concezioni della vi-
ta, diventerà per esse sempre più difficile anche il tradizionale
riferimento a una storia passata condivisa, né potranno più cer-
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14 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

care il legame sociale fra concezioni culturali o religiose, ormai


inevitabilmente plurali e controverse. D’altra parte è evidente
a tutti l’insufficiente forza motivazionale e la scarsa capacità
coagulante di mere regole universali di giustizia. La soluzione
sta in un ethos comune e condiviso che sia, al tempo stesso,
universale, cioè partecipato da tutti in linea di principio, e con-
creto, cioè già operante storicamente nella pratica delle istitu-
zioni politiche.
L’identità del cittadino democratico sarà perciò un’identità
post-tradizionale, che non farà più riferimento alla comunità
storica, alla patria, alla storia nazionale, ma riconoscerà nella
pratica della libertà, al di là dei confini e degli Stati nazionali, il
suo nuovo luogo di radicamento e di formazione. Il processo di
unificazione europea potrà consolidarsi solo se saprà indivi-
duare questo percorso. Esso infatti non ha la sua base costitu-
tiva nella condivisione di una storia passata, fatta più di nazio-
nalismi e di conflitti che non di convivenza, né può essere ri-
dotto alla mera convenienza economico-finanziaria. La ricerca
di lontane radici religioso-culturali rischia ugualmente di pro-
durre più lacerazioni che convergenze. Solo la valorizzazione di
una comune prassi giuridica e costituzionale e di una visione
condivisa dei diritti individuali, in breve: la pratica della libertà,
potrà costituire la vera patria comune e l’identità europea.
Questa è la sostanza della lezione hegeliana e il senso della
sua urgente attualità. Una tale conclusione non comporta tut-
tavia l’accettazione indiscussa dell’intera teoria hegeliana dello
Stato. La consapevolezza dell’attualità di Hegel dev’essere ac-
compagnata dall’avvertenza degli inevitabili limiti che la sua
concezione politica presenta agli occhi della coscienza con-
temporanea. Due in particolare. In primo luogo i tratti autori-
tari di uno Stato nel quale, nonostante tutte le premesse teore-
tiche a salvaguardia della soggettività, l’individuo non svolge
praticamente alcun ruolo attivo nella determinazione delle isti-
tuzioni politiche. La precedenza attribuita all’oggettività ri-
spetto alle disposizioni soggettive fa sì che per Hegel non solo
lo Stato abbia una priorità sui cittadini ma che l’unico atteg-
giamento di questi nei suoi confronti sia quello del riconosci-
mento e dell’accettazione della sua superiore razionalità. Il se-
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PREFAZIONE 15

condo limite riguarda la chiusura nazionalistica di quell’ethos


che pure dovrebbe costituire la realizzazione concreta dell’idea
universale della libertà. Se l’eticità è il farsi tradizione da parte
della libertà, non si vede la ragione di limitare nazionalistica-
mente il realizzarsi di un’idea che non dovrebbe conoscere
confini (né condurre alla conseguente guerra fra Stati).
Contemporaneamente alla riscoperta dei temi fondamentali
della filosofia politica di Hegel va perciò condotta una seconda
operazione, quella della necessaria democratizzazione della sua
concezione dell’eticità. Solo in questo modo quella grande le-
zione filosofica potrà entrare in dialogo con le questioni che at-
traversano la costellazione politica contemporanea. Quella de-
mocratizzazione consentirebbe infatti, in primo luogo, di ri-
mettere in gioco il ruolo attivo dei cittadini nella costruzione
delle istituzioni statali e nella formazione delle deliberazioni
politiche e, in secondo luogo, di aprire tutte le potenzialità uni-
versalistiche dell’eticità, abbattendone i limiti nazionali e adat-
tandole alla realtà delle democrazie contemporanee, multietni-
che, multiculturali e – in prospettiva – sovranazionali. In tal
modo quella che in Hegel si presenta con i tratti di una teoria
dell’eticità dello Stato moderno diventerebbe una teoria del-
l’ethos necessario alla vita della democrazia contemporanea.
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Nota al testo

La genesi di questo volume è lontana e risale alla metà de-


gli anni Novanta, quando (nel 1994/95 e nel 1995/96) tenni
due corsi monografici sul tema «Moralità ed eticità. La critica
hegeliana alla razionalità pratica dei moderni». L’anno succes-
sivo feci un lungo soggiorno di studio a Heidelberg e a Berlino
dove ebbi modo di confrontarmi con Bubner, Wellmer e Theu-
nissen proprio sui temi della Filosofia del diritto hegeliana. Da
quei colloqui trassi indicazioni fondamentali, come è del resto
evidente dall’utilizzo di quegli autori all’interno del volume at-
tuale. Allora nacque il suo nucleo originario che ebbe modo di
trovare una prima espressione in uno scritto del 1998 dal tito-
lo Hegel: libertà e storia (in La libertà del bene, a cura di C. Vi-
gna, Vita e Pensiero, Milano, pp. 289-317). Quel saggio è sta-
to ampiamente utilizzato ora ricollocandone alcune parti al-
l’interno del presente volume. Ma è stato negli anni successivi
che ho maturato l’idea di una eticità del moderno, come testi-
moniano una serie di saggi usciti fra il 2000 e il 2003: L’ethos
della modernità (in Etica individuale e giustizia, a cura di A.
Ferrara - V. Gessa-Kurotschka - S. Maffettone, Liguori, Napo-
li 2000, pp. 345-359), Dialettica dell’eticità moderna (in Pensa-
re la società. L’idea di filosofia sociale, a cura di M. Calloni - A.
Ferrara - S. Petrucciani, Carocci, Roma 2001, pp. 127-146) e
La libertà come ethos (in Hegel contemporaneo. La ricezione
americana di Hegel a confronto con la tradizione europea, a cu-
ra di L. Ruggiu - I. Testa, Guerini e Associati, Milano 2003, pp.
129-138). Nel semestre estivo 2005 il volume ha quindi potuto
assumere una configurazione abbastanza vicina a quella attua-
le, quando ne esposi le linee fondamentali nel mio corso di al-
lora dal titolo «La concezione hegeliana della modernità e del-
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18 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

la vita etica». A partire dal 2003 avevo cominciato infatti a de-


dicarmi all’elaborazione di una teoria del riconoscimento nor-
mativo, che trovai di grande aiuto nel risolvere non pochi pro-
blemi di giustificazione a proposito della teoria hegeliana del-
l’eticità. Benché quella teoria sia ancora rimasta allo stato di
abbozzo, il confronto con la proposta teorica di Axel Honneth,
avvenuto in questi ultimi anni, mi ha comunque consentito di
dare una forma compiuta alla mia rilettura della Filosofia del
diritto di Hegel.
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Introduzione. Moralità ed eticità: due concetti chiave


per accedere alla concezione hegeliana della politica

Ciò che gran parte della tradizione filosofica precedente


non aveva fino ad allora differenziato diventa con Hegel una
distinzione sistematica di grande rilievo. Ma in prima battuta
non è l’etimo delle due parole ad aiutarci a capire il senso del-
la differenziazione hegeliana fra Moralität e Sittlichkeit. I mo-
res latini corrispondono infatti alle Sitten tedesche, così come
corrispondono all’ethos greco, da cui deriva l’usuale traduzio-
ne italiana della parola tedesca Sittlichkeit. In effetti se la mo-
rale riconduce ai mores, cioè agli usi e ai costumi, la Sittlichkeit
riconduce alla Sitte, cioè daccapo agli usi e ai costumi (e lo stes-
so discorso vale per la riconduzione dell’etica all’ethos). Lo
stesso Hegel lo riconosce, nella sua Introduzione alla Filosofia
del diritto: «Moralità ed eticità, le quali sono abitualmente in-
tese quasi come sinonime, sono qui prese invece in senso es-
senzialmente diverso» (GW 14.1 § 33 nota p. 49, Dir p. 125).
Ma subito dopo aggiunge: «In ogni caso, anche se moralità ed
eticità, secondo la loro etimologia, fossero sinonime, questo
non impedirebbe di impiegare tali parole, dato che sono di-
verse, per designare concetti diversi» (ibid.).
A dire il vero c’è un elemento etimologico che caratterizza
la Sittlichkeit di contro alla Moralität e l’avvicina alla parola
ethos dei greci. Lo riporta lo stesso Hegel in una annotazione
a mano nell’esemplare della Filosofia del diritto che egli usava
per le sue lezioni: « Sitte [costume] – êthos – gli antichi non sa-
pevano nulla della coscienza – Riemer: êthos ion. éthos – abi-
tudine, uso – preferibilmente dimora in Erodoto – consuetudi-
ne dell’uomo – Sitte [costume] – che non derivi da Sitz [sede,
dimora]?» (RZ p. 302). Questa connessione postulata da He-
gel, secondo cui Sitte si legherebbe a Sitz e a sitzen, indiche-
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20 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

rebbe cioè il luogo, la sede, il posto dove si risiede, connessio-


ne che per quanto riguarda la lingua tedesca rimane solo un’i-
potesi, ha invece un riscontro preciso nella lingua greca. Il si-
gnificato originario della parola ethos è infatti proprio quello di
«dimora» e «abitazione», prima ancora che quello di «costu-
me»1. Aristotele lo conferma parlando di un ethos degli anima-
li e riferendosi in questo caso alle loro tane e al comportamen-
to legato a quei luoghi2. Il significato più noto di ethos, quello
poi divenuto usuale, cioè il costume, è in realtà un’estensione
di quel significato originario: luogo abituale per la nostra esi-
stenza è infatti la consuetudine, gli usi e i costumi che ci forni-
scono le coordinate di fondo del nostro vivere, la sua «corni-
ce». Per questo motivo lo stesso Aristotele3 mette poi in con-
nessione l’êthos (costume) con l’éthos (abitudine): l’abitudine è
infatti un luogo abituale, anche se non di carattere fisico, è cioè
l’ambiente in cui noi ci muoviamo.
Questo legame fra l’eticità e il dimorare, ben presente in
Aristotele e poi ripreso da Hegel, indica una concezione della
vita etica ben diverso da ciò che noi comunemente attribuiamo
alla sfera morale ed è la vera chiave per capire il senso della di-
stinzione hegeliana. Questa viene ulteriormente chiarita dal-
l’osservazione che Hegel riporta nella medesima nota al § 33:

L’uso terminologico di Kant, per esempio, si serve preferibilmen-


te dell’espressione moralità; i principi pratici della filosofia kan-

1 «L’etico è ciò che appartiene all’ethos; l’ethos, che dapprima e origina-


riamente significa il “luogo consueto dell’abitare per uomini e animali” – la
stalla e il pascolo per il cavallo, l’acqua per il pesce, la città per i greci – suc-
cessivamente significa, in un uso linguistico ancora assolutamente in vigore
per Aristotele e il suo tempo, l’ordinamento tradizionale e consuetudinario
della vita nel quale chi vi dimora lo abita come il mondo che forma la sua pro-
pria vita: usi, costumi e tutto ciò in cui la vita ha il suo giusto ordinamento,
ma anche le “abituali” istituzioni fondate sulla tradizione e sull’uso, casa e fa-
miglia, culto degli dei adorati dalla città, la molteplicità delle comunità, asso-
ciazioni, amicizie, rapporti di vicinato, compagnie per la sepoltura dei morti
e per le celebrazioni: complessivamente il mondo vitale (Lebenswelt) istitu-
zionalizzato di coloro che lo abitano come cittadini, divenuto consueto e da-
to grazie alla città» (J. RITTER, 1960, p. 486).
2 ARISTOTELE, Hist. An. VIII, 1, 588a18.
3 Cfr. Eth. Nic. II, 1, 1103a 17-18.
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INTRODUZIONE 21

tiana, infatti, si limitano interamente a questo concetto, e rendo-


no persino impossibile il punto di vista dell’eticità, anzi, addirit-
tura la annientano e sdegnano esplicitamente (GW 14.1 § 33 no-
ta p. 49, Dir p. 125).

L’opposizione di moralità ed eticità assume dunque il sen-


so di una contrapposizione tra la filosofia morale di Kant e
quella di Hegel. Va tuttavia aggiunto che tale opposizione non
è assoluta, dato che per lo stesso Hegel si tratta di due di-
mensioni dello spirito parimenti essenziali. Com’è noto esse
fanno entrambe parte di quella sfera dello «spirito oggettivo»
che per Hegel comprende tutte le manifestazioni spirituali
(noi oggi diremmo “culturali”, in senso lato) in cui la sogget-
tività interiore ha trovato modo di esprimersi oggettivamente
al di fuori di sé.
Nell’Enciclopedia Hegel scrive che lo spirito oggettivo è lo
spirito «nella forma della realtà (Realität)» (GW 20 § 385 p. 383,
Enc p. 376), dove con il concetto di Realität si indica proprio
la forma sensibile di esistenza. La libertà dello spirito ha dun-
que trovato un mondo sensibile (la storia, la società, l’individuo
concreto, la politica, l’economia) dove esteriorizzarsi. Si tratta
di un «mondo da produrre (hervorzubringenden) e prodotto
(hervorgebrachten)» (ibid.), in cui la libertà si trova nella forma
dell’in-sé, cioè nella forma dell’oggettività esteriore: «lo spirito
oggettivo è l’Idea assoluta, ma solo come Idea che è in sé; ed
essendo esso perciò sul terreno della finità, la sua razionalità
reale serba l’aspetto dell’apparenza esteriore (äusserliches Er-
scheinen)» (GW 20 § 483 p. 478, Enc p. 475).
Ora, questo lato esteriore, questa forma dell’apparire, non
va considerata come una perdita. L’esteriorizzarsi è infatti il ve-
ro fine della libertà: «L’attività finale di questo volere è di rea-
lizzare (realisieren) il suo concetto, la libertà, nell’aspetto este-
riormente oggettivo, come un mondo determinato mediante il
concetto» (GW 20 § 484 p. 478, Enc p. 475). Senza questo
mondo oggettivo non ci sarebbe libertà realizzata, cioè non vi
sarebbe libertà nella storia. Ebbene questo mondo realizzato
della libertà è chiamato da Hegel il mondo del diritto.
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22 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Questa realtà in generale (Realität), come esistenza (Dasein) del


volere libero, è il diritto, il quale non è da prendere solo come il
ristretto diritto giuridico, ma come tale che comprende tutte le
determinazioni della libertà (GW 20 § 486 p. 479, Enc p. 476).

Questa distinzione fra diritto giuridico e sfera generale del


diritto4 (di cui quello giuridico è solo una parte) spiega perché
Hegel nella Filosofia del diritto non tratti semplicemente di
questioni giuridiche ma investa tutto ciò che è riferibile all’e-
steriorizzazione della libertà5. Il «diritto» nel suo complesso
viene dunque compreso da Hegel come la manifestazione og-
gettiva della libertà, il suo farsi esistenza storica:

«Che un’esistenza in generale sia esistenza della volontà libera:


questo è il diritto. In generale, quindi, il diritto è la libertà in
quanto Idea» (GW 14.1 § 29 p. 45, Dir p. 117). E ancora: «Il di-
ritto è qualcosa di sacro in generale, e lo è unicamente perché es-
so è l’esistenza (Dasein) del concetto assoluto, della libertà auto-
cosciente» (GW 14.1 § 30 p. 46, Dir p. 119)6.

4 Ribadita anche nella Filosofia del diritto: «Quando si parla di opposi-


zione della moralità e dell’eticità nei confronti del diritto, allora con diritto
s’intende soltanto il primo stadio, cioè il diritto formale della personalità
astratta» (GW 14.1 § 30 nota p. 46, Dir p. 119).
5 La filosofia del diritto va dunque considerata come l’esposizione più ar-
ticolata e completa dello spirito oggettivo. Gli altri due luoghi nelle opere
dello Hegel maturo sono la seconda sezione della Filosofia dello spirito con-
tenuta nell’Enciclopedia, quella che porta appunto il titolo di «Spirito ogget-
tivo» (segnatamente i §§ 483-552) e quell’importante anticipazione dei diffe-
renti temi dello spirito oggettivo rappresentata dal capitolo sesto della Feno-
menologia dello spirito (che ha come titolo «Lo spirito»).
6 Va sottolineato a questo proposito il significato particolare che Hegel
attribuisce alla nozione di «Idea» nella Filosofia del diritto. Si tratta infatti di
un significato tutto declinato in senso oggettivistico, da cui Hegel intende
differenziare la nozione di «concetto», alla quale conferisce invece un senso
soggettivo. Egli scrive infatti nel primo paragrafo dell’opera che «la scienza
filosofica del diritto ha per oggetto l’Idea del diritto, cioè il concetto del dirit-
to e la realizzazione di questo concetto» (GW 14.1 § 1 p. 23, Dir p. 73), dove
la caratterizzazione dell’«Idea» rispetto al «concetto» viene riposta nel fatto
che essa è la «realizzazione» di quello. Nella nota al medesimo paragrafo
Hegel ribadisce questa tesi scrivendo che «l’altro momento essenziale del-
l’Idea», cioè quello esprimente la sua realizzazione, «è differente dalla forma
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INTRODUZIONE 23

Ora il motivo che spinge Hegel a definire come mondo del


diritto tutta la sfera dello spirito oggettivo va ricercato nel fat-
to che nelle differenti forme di oggettivazione della libertà si
radicano dei «diritti». Come ha osservato Honneth, «di tutte le
forme sociali di esistenza, in quanto si lasciano dimostrare co-
me condizioni necessarie della realizzazione del libero volere, si
deve parlare come di diritti, perché ad ognuna di esse compe-
te uno specifico diritto»7. La nozione hegeliana di «diritto» si
può dunque legittimamente comprendere come quel mondo
complessivo della normatività che solleva delle specifiche pre-
tese di validità indagabili sulla base di criteri di giustizia. Per
Hegel è «diritto» tutto ciò in relazione al quale si può chiede-
re se esso sia o non sia giusto e a questo tipo di realtà appar-
tiene l’intera sfera dello spirito oggettivo (quella giuridica in
senso stretto, quella morale e infine quella etica, come vedre-
mo). Per questo motivo, continua Honneth, secondo Hegel «i
diritti universali non spettano in primo luogo agli individui, ma
a quelle forme sociali dell’esistenza»8.
Nell’elaborare un’articolazione interna, differenziata in sfe-
re, delle varie manifestazioni oggettive della libertà Hegel ha
bene in vista la precedente sistematizzazione kantiana. Nella
Metafisica dei costumi Kant aveva però distinto due sole sfere:
l’ambito del diritto e quello della virtù. Il primo andava riferi-
to ai rapporti esterni fra gli individui (privati e pubblici), men-
tre il secondo connotava la sfera interiore dell’individuo. Ri-
spetto a questo precedente – sostanzialmente mantenuto anche
da Fichte – Hegel introduce un’importante variazione. Egli
non accetta infatti che l’ambito dei rapporti esteriori fra gli in-

semplicemente concettuale», cioè dalla forma semplicemente soggettiva. Vit-


torio Hösle ha giustamente osservato che questa distinzione, in cui all’Idea
viene attribuito un significato oggettivistico, «non concorda con l’uso delle
corrispondenti categorie della Scienza della Logica» (V. HÖSLE, 1987a, p. 43),
dal momento che nella Logica la categoria dell’Idea ha un significato di me-
diazione fra il lato soggettivo e quello oggettivo del concetto, mediazione che
si articola nella caratterizzazione autoriflessiva. Nulla di tutto questo nella
Filosofia del diritto, dove «Idea della volontà libera» significa che la libertà
non è più solo un concetto soggettivo ma si è fatta realtà.
7 A. HONNETH, 2001, trad. it. p. 56.
8 Ibid.
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24 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

dividui sia considerato un terreno extra-morale e venga com-


pletamente consegnato al diritto astratto. La sua idea è che le
norme giuridiche regolino solo una parte limitata dei rapporti
interpersonali (essenzialmente i rapporti di proprietà) renden-
do così necessaria l’aggiunta di una terza sfera, oltre a quelle
del diritto e della moralità, comprendente tutti gli altri rappor-
ti che vengono a realizzarsi fra gli individui, la sfera dell’eticità.
Il § 33, che conclude l’Introduzione, è dedicato da Hegel al-
la dettagliata partizione (Einteilung) dello spirito oggettivo in
queste tre sfere, tutte considerate come differenti gradi di svi-
luppo dell’«Idea della volontà libera», vale a dire della libertà
oggettivata.
Il primo stadio è quello della «volontà immediata». In esso
la libertà rimane ancora nella forma dell’«in sé», cioè si ogget-
tiva in un’esistenza esteriore immediata. La libertà si fa cosa,
«cosa esteriore immediata», e questa immediatezza in cui si è
oggettivata la libertà dell’individuo è la sua proprietà. Libertà
equivale qui a possedere qualcosa, ad esercitare la propria si-
gnoria sugli oggetti. Questa è la sfera del «diritto astratto o for-
male». Esso non interviene a regolare la vita interiore degli in-
dividui ma regola unicamente il loro reciproco contatto ester-
no, quando essi entrano in relazione come proprietari, ovvero
hanno un rapporto di possesso nei confronti di una cosa (la
proprietà)9. La loro stessa relazione reciproca è quindi mera-
mente cosale e oggettivistica, anche se si tratta di un’oggettività
del tutto diversa da quella naturale, dato che in quelle relazio-
ni cosali si è oggettivata la libertà. Continua Hegel: «la volontà
è immediata; il suo concetto è perciò astratto: è la personalità;
la sua esistenza (Dasein), invece, è una cosa esteriore immedia-
ta» (GW 14.1 § 33 p. 48, Dir p. 123). Viene qui introdotta la
nozione di «personalità», ovvero la persona giuridica: in questa
sfera l’individuo perde ogni caratterizzazione specifica per con-
tare solo come proprietario e quindi come persona astratta.
Egli perciò esercita la sua libertà solo nella figura della persona

9 «La persona, differenziandosi da sé, si rapporta a un’altra persona, e,


precisamente, nel senso che ciascuna ha esistenza per l’altra soltanto come
proprietario» (GW 14.1 § 40 p. 53, Dir p. 131).
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INTRODUZIONE 25

giuridica (per Hegel il «concetto» della volontà immediata,


mentre la sua «esistenza» è rappresentata dalla Sache, la cosa).
Il secondo stadio è quello della «volontà riflessa entro sé»,
indica cioè il passaggio dal lato esteriore e cosale della libertà a
quello interiore. Si apre qui il regno della moralità. A questo
proposito ci si deve chiedere come mai Hegel tratti di una di-
mensione interiore, come quella della moralità, all’interno del-
lo spirito oggettivo. La ragione sta nel fatto che la sfera della
moralità viene qui presa in considerazione da Hegel come una
disposizione pratica del mondo storico, cioè come una forma
di vita in cui gli individui scoprono questa loro dimensione in-
teriore e si sanno autonomi e responsabili. La loro stessa vita
storica oggettiva, di conseguenza, viene influenzata da questa
disposizione interiore. Ora, se la libertà si manifestava nello
stadio precedente sotto la forma dell’in sé, qui si presenta sot-
to la forma del per sé, cioè del riferimento a se stessa. In tal mo-
do essa tende inevitabilmente a contrapporsi al mondo ester-
no, opponendo la libertà soggettiva all’universale (essa «è de-
terminata come individualità soggettiva di fronte all’universa-
le). Da ciò lo «sdoppiamento (Entzweiung)» fra il «diritto del-
la volontà soggettiva» e il «diritto del mondo» (ibid.).
Ma la verità ultima dello spirito oggettivo non è rappresen-
tata né dal diritto astratto né dalla moralità. La divisione kan-
tiana fra un mondo interiore libero e uno esteriore coattivo non
rende giustizia alla vera natura dello spirito oggettivo. Solo
comprendendo insieme «l’unità e verità di questi due momen-
ti astratti», cioè l’unità dell’in-sé e del per-sé, si manifesterà l’I-
dea della volontà libera nella sua verità. Questo terzo stadio è
quello dell’eticità. In esso la libertà si manifesta sia sotto la for-
ma della libertà interiore sia sotto quella della realtà oggettiva:
«la libertà, in quanto è la sostanza, esiste tanto come realtà e ne-
cessità, quanto anche come volontà soggettiva» (ibid.). La mo-
ralità è qui penetrata dentro le cose, negli oggetti del mondo
storico-sociale. Questo è il mondo etico: quello in cui i sogget-
ti si riconoscono come nel loro stesso mondo interiore.
L’eticità non è perciò semplicemente l’oggettivazione della
libertà, perché questa è già rappresentata dal diritto astratto.
Essa è una libertà oggettivata non contrapposta a quella inte-
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26 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

riore, tanto che gli individui non sentono quella realtà come
estranea. La peculiarità del mondo etico sta nel fatto che in es-
so non viene perso il momento della libertà soggettiva. Mentre
dunque nel diritto l’individuo non riconosce l’oggettivazione
della propria libertà ma percepisce solo il momento coattivo di
esso (appunto la sanzione giuridica e la costrizione della legge),
nell’eticità quell’esperienza di estraneità viene superata e la li-
bertà soggettiva finisce per riconoscersi in quelle forme ogget-
tive. Per questo Hegel definisce l’eticità come «l’Idea nella sua
esistenza universale in sé e per sé» (ibid.).
La concezione hegeliana dell’eticità si presenta pertanto fin
da subito con queste tre caratteristiche programmatiche: a) co-
me critica della divisione kantiana della sfera pratica in due so-
li ambiti, quello del diritto e quello della moralità; b) come riu-
nificazione di interiorità ed esteriorità, di moralità e legalità; c)
come estensione del regno kantiano della libertà al di là della
sfera interiore della soggettività.
La peculiarità di questo programma consiste però nel fatto
che Hegel nell’introdurre la sua concezione della Sittlichkeit ri-
prenda esplicitamente la nozione greca di ethos. È perciò leci-
to chiedersi perché mai questa idea del mondo storico come
mondo della libertà si ponga in continuità esplicita con la con-
cezione antica della sfera pratica come ethos, cioè come dimo-
ra dell’uomo. Quale rapporto potrà mai sussistere fra l’esten-
sione della libertà kantiana al mondo storico-sociale e la con-
cezione antica che radicava la sfera pratico-politica nel mondo
delle tradizioni etiche? Non c’è forse un’incompatibilità fra l’i-
dea hegeliana di un mondo storico-sociale fondato sulla libertà
e il radicamento antico dell’ethos nella physis, cioè del bene eti-
co nella natura?
In effetti l’eticità antica presenta numerosi punti di contat-
to ma anche alcune significative differenze con l’eticità hege-
liana. Comune ad entrambe è il carattere pubblico: ciò che gli
antichi definivano come ethos riguardava l’insieme dei com-
portamenti, delle abitudini, delle tradizioni pratiche all’interno
di una comunità. Esso perciò non si riferiva ai comportamenti
privati (su cui si è invece concentrata la morale moderna) ma
aveva attinenza essenzialmente con le tradizioni pratiche pub-
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INTRODUZIONE 27

bliche. Per questo motivo il luogo specifico dell’ethos è la po-


lis. L’unità antica di etica e politica non va dunque fraintesa se-
condo i canoni moderni di una «moralizzazione» della politica
ma correttamente compresa come radicamento delle norme
politiche in un ethos, cioè nella tradizione di quel luogo.
L’ethos ha però, a sua volta, un fondamento che sta al di là
di esso: la natura. «Le radici della polis stanno nella physis»,
questa l’idea di fondo che attraversa tutta la cultura greca. Ma
ciò si spiega in quanto la natura è intesa non come una neutra-
le successione-connessione di eventi bensì come una sfera che
contiene delle prescrizioni. Alla natura è immanente un telos,
un fine che fa di essa la fonte essenziale della normatività per il
mondo dell’uomo. In questo quadro il bene non è semplice-
mente un ideale della nostra soggettività ma innanzitutto una
realtà ontologica, immanente in ogni manifestazione naturale.
La teoria platonica secondo cui il bene è idea, anzi è l’idea
per eccellenza, sta a indicare che la natura nella sua più alta
manifestazione e perfezione è guidata dal bene e da esso viene
orientata. Aristotele, nonostante le critiche alla teoria platoni-
ca delle idee, riconferma quella concezione, affermando in mo-
do esplicito che il bene è il compimento della natura delle co-
se («il bene è ciò cui tutte le cose tendono»10). La realizzazio-
ne delle potenzialità immanenti negli enti, cioè il raggiungi-
mento del loro atto, coincide perciò con il loro bene.
La critica aristotelica al concetto platonico di bene ne met-
te in discussione essenzialmente la comprensione come un’idea
universale. Secondo Aristotele il bene non si configura né co-
me una sostanza universale né come una categoria ma ha piut-
tosto natura transcategoriale, attraversa cioè tutti i generi e le
specie. Per questo motivo non se ne può dare una scienza né si
può dedurre dalla sua supposta conoscenza le norme per il no-
stro agire. Il senso della critica aristotelica al cosiddetto intel-
lettualismo socratico-platonico consiste nel ritenere la cono-
scenza del bene come una risposta sbagliata alla richiesta di un
orientamento pratico. Decisivo nell’azione buona non è infatti
la conoscenza ma la volontà e la successiva deliberazione. Af-

10 ARISTOTELE, Eth. Nic. I, 1, 1094a 3.


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28 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

finché queste siano «buone» non è necessaria la sapienza ma


piuttosto un contesto pratico, una comunità, una città, che so-
stengano la formazione della volontà buona, la educhino, e
consentano progressivamente il suo adeguamento al bene con-
cretamente esistente e operato. Questo contesto pratico è ap-
punto l’ethos.
L’uomo raggiunge una condizione «etica» quando ha rea-
lizzato il bene che gli era immanente, quando ha portato a
compimento il suo telos. E quel fine è rappresentato dalla vita
in comune con gli altri uomini. La polis rappresenta perciò il
compimento di quel percorso, il raggiungimento da parte del-
l’uomo di ciò che egli è veramente. «L’uomo è per natura uno
zôon politikòn»11, cioè un animale che vive nella polis. E la na-
tura in Aristotele non è la semplice condizione biologica di fat-
to ma indica propriamente il fine di un ente. La polis rappre-
senta perciò la condizione finale e conclusiva del processo
umano di maturazione e di sviluppo. Non dev’essere compre-
sa perciò come una mera successione di strade, piazze e case
ma come un insieme di tradizioni, di abitudini, di pratiche.
Queste costituiscono l’ethos dell’uomo, cioè la sua dimora per
eccellenza. Il fine dell’uomo è quindi quello di vivere seguen-
do quelle tradizioni, di farne la guida per la propria esistenza
comunitaria.
Un agire è «etico» in quanto si conforma non a ideali e a va-
lori astratti ma a queste tradizioni. Solo in tal modo l’uomo vi-
ve secondo i dettami della sua natura. La virtù non è altro che
la costante disposizione del cittadino a queste tradizioni. Ciò
sposta la problematica morale dall’impostazione «teoreticisti-
ca» di Socrate e Platone (bisogna prima di tutto conoscere e
contemplare il bene per poi applicarlo praticamente) all’impo-
stazione «pratica» di Aristotele: essenziale è adeguare progres-
sivamente la volontà a ciò che fanno tutti coloro che vivono se-
condo le tradizioni della polis. Decisivo è perciò in questo con-
testo il ruolo dell’educazione, dell’imitazione, della ripetizione,
dell’abitudine. La virtù non si acquisisce in modo teorico, ma
in modo pratico, abituando progressivamente il carattere.

11 ARISTOTELE, Pol. I, 2, 1253a 3.


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INTRODUZIONE 29

Questa è la via regia per incamerare il bene all’interno della


propria pratica di vita.
Dato che l’ethos è la sfera in cui il bene vive «incorporato»
nelle pratiche comunitarie non si può dare nell’antichità greca
un conflitto fra volontà e bene, né fra natura umana ed etica.
Se quella natura ha seguito il suo corso e quella volontà è vis-
suta all’interno di un ethos operante non si dà né dovere ester-
no, né comando, né costrizione. Il bene diventa infatti tutt’uno
con la nostra natura e con i nostri orientamenti pratici.
Come vedremo, la Sittlichkeit hegeliana riprenderà al suo in-
terno molti di questi motivi. Al tempo stesso essa intende però
assumere quegli elementi nel quadro delle mutate condizioni
storiche. L’eticità antica dovrà cioè fare i conti con le acquisizio-
ni della moralità moderna, fondata sul soggetto e la sua libertà.
La moralità kantiana rappresenta esemplarmente il punto
di arrivo della modernità e la sua radicale contrapposizione al-
l’impianto di fondo dell’etica antica. Due, in particolare, sono
gli elementi fondamentali messi in discussione. In primo luogo
il legame fra moralità e natura. Per Kant la moralità è tale solo
in quanto sa rendersi indipendente dalla natura, autonoma dal-
le inclinazioni sensibili, dalle affezioni, dalle passioni. Il suo
fondamento non sta nella natura ma nella libertà. Ne deriva un
completo riposizionamento anche del bene: esso non risiede
più nella natura delle cose ma nella capacità del soggetto di es-
sere libero.
La seconda presa di distanza riguarda il legame fra moralità
ed ethos. In quanto fondata sulla libertà, la moralità è struttu-
ralmente indipendente da ogni condizionamento storico, so-
ciale o familiare. Essa è pura formalità, cioè «indipendenza da
ogni materia della legge»12. Non si dà moralità se si seguono le
convenzioni sociali, le tradizioni, l’autorità dei padri. Certo,
nulla esclude che una tradizione possa realizzare quanto pre-
scritto dalla legge morale, ma la coscienza dovrà agire comun-
que solo sulla base dell’autonomia della legge morale. Inoltre
dato che solo l’universalità è garanzia di moralità (è questa,
com’è noto, la forma dell’imperativo categorico), ciò che è pre-

12 I. KANT, 1788, trad. it. p. 91.


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30 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

scritto da una tradizione in opposizione a un’altra non può es-


sere fatto proprio dalla coscienza morale. La moralità rompe il
legame con la particolarità delle tradizioni e accoglie solo ciò
che è sollevato al di sopra dei contesti specifici. Morale è esclu-
sivamente quella legge che è tale per tutti gli uomini.
Non diversamente vanno le cose nella concezione kantiana
del diritto e della politica. Questi hanno il loro fondamento
non nella natura ma nella libertà. Base del diritto sono la ra-
gion pura pratica e la «legge universale della libertà»13. Da ciò
una concezione «artificiale» della politica, il suo carattere «co-
struttivo», il suo segnare una rottura con la natura. Il processo
iniziato con Hobbes, che pensa lo Stato come la negazione del-
la condizione naturale e la fuoriuscita da essa, viene qui con-
dotto a conclusione.
Anche il carattere universalistico dei principi giuridici entra
in rotta di collisione con la concezione antica della politica.
Questi infatti devono prescindere dalle particolarità di usi e
costumi locali: la giustizia è tale solo se sa mantenersi neutrale
rispetto agli ideali di vita buona dei differenti individui. Kant
assume nella sua filosofia quell’universalismo che è uscito co-
me la soluzione vincente dal conflitto fra tradizioni. L’universa-
lità astratta dei moderni e i principi universali di libertà, giu-
stizia, uguaglianza nascono come risposta al conflitto che segna
le origini della modernità: le guerre di religione. Solo il riferi-
mento a valori comuni astratti mette d’accordo le confliggenti
visioni del bene, le contrapposte ispirazioni religiose o etniche,
le rivendicazioni identitarie14. Mentre l’ethos e l’appartenenza
dividono, l’universalità unisce: questa convinzione ha dovuto
passare attraverso il fuoco e il sangue delle guerre di religione
europee per affermarsi e trovare radicamento.

13 I. KANT, 1796-97, trad. it. p. 35.


14 La filosofia di Kant si comprende proprio a partire da «quei due fe-
nomeni tipicamente moderni – il pluralismo degli ideali della vita buona e
l’esistenza di un ragionevole disaccordo su quali siano gli ideali preferibili –
che sono al centro del pensiero politico liberale. I principi neutrali di giusti-
zia sono la soluzione che i liberali (come Hume e, soprattutto, Kant) hanno
proposto per ovviare ai problemi sorti a causa di questi ideali antagonisti»
(CH. LARMORE, 1987, trad. it. p. 90).
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INTRODUZIONE 31

Tuttavia l’artificialità e l’universalismo, se risolvono certa-


mente alcuni fondamentali problemi, ne ripropongono altri, ai
quali il mero punto di vista della moralità moderna non sa da-
re risposta. Questi assumono agli occhi di Hegel i tratti di op-
posizioni incomponibili, antinomie in reciproca opposizione.
a) L’universalità astratta non può costituire quella dimora
dell’uomo che per secoli è stata rappresentata dalle tradizioni
viventi e dalle comunità in cui esse si incarnavano. Da ciò un
sentimento di estraneità nei suoi confronti che trova la sua
espressione proprio nell’opposizione che caratterizza il rappor-
to fra l’individuo concreto e l’astratta universalità morale.
b) La moralità non ha più il suo radicamento nella natura
dell’individuo, anzi è anch’essa caratterizzata da una struttura-
le lontananza da quella. Da ciò un ulteriore sentimento di estra-
neità provato dall’individuo che vede nelle leggi morali qualco-
sa di opposto alle sue tendenze naturali. La seconda opposizio-
ne prende qui la forma del contrasto fra moralità e natura.
c) Il diritto afferma la sua universalità in modo costrittivo,
attraverso la sanzione. Mentre l’interiorità dell’individuo è li-
bera, la sua esteriorità viene sottoposta alla costrizione. Da qui
la contemporanea appartenenza dell’uomo a due mondi: quel-
lo libero della sua dimensione interiore e quello coattivo della
sua dimensione pubblica. Da qui la terza opposizione, quella fra
moralità e diritto.
È dall’avvertenza di questi problemi che Hegel matura
quell’atteggiamento critico nei confronti della moralità kantia-
na che lo porta ad elaborare un nuovo concetto di eticità, in
grado di riproporre l’armonia fra individuo e istituzioni pub-
bliche pensata dagli antichi all’interno del nuovo contesto rap-
presentato dalla soggettività libera dei moderni. In questo qua-
dro si rende per lui necessario il ripensamento della stessa no-
zione di libertà. Solo grazie ad esso sarà possibile connettere la
libertà dei moderni con l’antica concezione dell’ethos.
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1. La libertà e l’assoluto

Hegel eredita il concetto di libertà dall’elaborazione filoso-


fica dell’età moderna nella quale l’assoluta centralità conferita
al soggetto aveva finito per collocare l’individuo in posizione
dominante rispetto alla natura, capovolgendo quel rapporto di
dipendenza che aveva invece caratterizzato il pensiero degli an-
tichi. Nonostante la distinzione – anche questa tipicamente
moderna – tra sfera naturale esterna, segnata da rapporti mec-
canicistici di causa ed effetto, e sfera spirituale interna, carat-
terizzata dalla libertà, l’individuo aveva comunque acquistato
un essenziale primato nei confronti della natura affermando la
sua signoria sull’essere e sulle cose.
Rispetto a quella concezione l’operazione hegeliana può es-
sere vista come una radicale coerentizzazione di quelle pre-
messe, in forza della quale la libertà non è più pensata solo co-
me una proprietà dell’interiorità umana e il segno della sua su-
periorità sulla natura ma come la logica ultima del reale, l’es-
senza della totalità. Se la libertà è il carattere fondamentale del-
l’assoluto e l’assoluto coincide con la totalità, ne consegue che
la libertà diventa il fondamento di tutto il reale. Essa è la verità
profonda delle cose, il loro senso nascosto. Solo in quanto il
reale venga inteso come essenzialmente libero, viene compreso
nella sua verità. La stessa natura è, in sé, libera, dal momento
che la sua verità è lo spirito, così come, inversamente, la libertà
consapevole non è altro che la natura giunta presso di sé. Ne
risulta una concezione del reale completamente trasformata ri-
spetto a quella consegnataci dal meccanicismo moderno. Scri-
ve, a questo proposito, Marcuse: «La libertà è per Hegel una
categoria ontologica: essa significa essere non un mero ogget-
to, ma il soggetto dell’esistenza di qualcosa e qualcuno; non
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34 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

soccombere alle condizioni esterne, ma trasformare il dato di


fatto nella realizzazione di un’attività. Tale capacità di trasfor-
mazione costituisce, secondo Hegel, l’energia della natura e
della storia, l’intera struttura di ogni essere»1. Gli oggetti non
sono in verità solo degli oggetti, ma dei soggetti. Se vengono
assunti nella loro condizione fattuale di oggetti, di cose, di pu-
ri sostrati, non vengono intesi correttamente, non sono cioè as-
sunti nella loro vera dimensione. La natura non è vera come na-
tura. Essa è, in verità, libertà, vale a dire soggetto e non ogget-
to di esistenza.
Una tale concezione enfatica della libertà ha però bisogno
di una fondazione. Hegel ne è consapevole e non sfugge di cer-
to all’assunzione di un tale compito. Il terreno è ancora una
volta quello della Scienza della Logica, e in particolare le pagi-
ne conclusive della logica dell’essenza, quelle nelle quali si pre-
para il passaggio alla logica soggettiva.

1.1 Libertà e ontologia

La domanda che ha attraversato tutto il secondo libro della


Logica è la domanda sull’essenza, sulla natura ultima, sullo
strato profondo della realtà, dopo che il primo libro si era oc-
cupato dell’essere inteso come immediatezza, come presenza,
come ciò-che-è. Fin dalle prime pagine del secondo libro He-
gel ha infatti parlato dell’indagine sull’essenza come di una
Erinnerung, ovvero di un ricordarsi e internarsi insieme2. Si
tratta di un movimento che implica un «passo-indietro» ri-
spetto all’indagine sull’essere (ma fin dalle prime pagine della
Logica Hegel ha avvertito che ogni vero avanzare è in realtà un
«tornare addietro, al fondamento, all’originario ed al vero»3) e al
tempo stesso un passo in profondità. È una sorta di viaggio nel

1H. MARCUSE, 1941, trad. it. p. 8.


2«Si mostrò nell’essere, che per sua natura esso s’interna (sich erinnert) e
che con questo andare in sé (Insichgehen) diventa l’essenza» (GW 11 p. 241,
Log II p. 433).
3 GW 21 p. 57, Log I p. 56.
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LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 35

passato senza tempo dell’essere, passato che rimane nell’etimo


della parola tedesca che denota l’essenza (Wesen).
Ma la conclusione di questo percorso non conduce ad alcu-
na dimensione esoterica e nascosta dell’essere. L’ultima sezio-
ne del libro, quella che dovrebbe dire la parola conclusiva, si
intitola infatti Die Wirklichkeit. La traduzione letterale italiana
che rende quella parola con «realtà», non esprime bene il sen-
so di quello che Hegel intende dire. La Wirklichkeit è infatti la
realtà in quanto ha sviluppato tutte le sue potenzialità, in quan-
to cioè è giunta a compimento, manifestandosi completamen-
te. In breve: l’essenza ultima e profonda del tutto non è altro
che la sua piena e solare manifestazione. Siamo dunque molto
vicini a ciò che Aristotele intendeva con il concetto di enér-
gheia. Ora, questa manifestazione non deve però essere intesa
come un qualcosa di statico (giacché si riproporrebbe l’imme-
diatezza dell’essere, rispetto al quale l’essenza costituisce inve-
ce l’approfondimento), ma come un continuo manifestarsi, co-
me il processo del mostrarsi. Non a caso l’ultimo capitolo di
questa sezione porta il titolo di «rapporto assoluto». La realtà
in atto non è nient’altro che un rapporto, un movimento.
È qui che Hegel introduce la tematica della libertà. In queste
pagine conclusive egli lascia infatti la parola a Spinoza, ovvero a
quella posizione filosofica che ha inteso l’essenza come sostanza
e come necessità. Se Spinoza avesse ragione la verità della natu-
ra non sarebbe lo spirito ma la sostanza, così come l’essenza del
tutto non sarebbe la libertà, il libero autoriconoscersi del pen-
siero, ma la cieca necessità. La fondazione della libertà – che
equivale ad una vera e propria fondazione dell’idealismo – si
presenta perciò come una confutazione dello spinozismo.
Hegel dunque prende in parola Spinoza4 e assume la so-
stanza nella sua assolutezza, ovvero come causa sui. La sostan-

4 «La vera confutazione deve penetrare dov’è il nerbo dell’avversario e


prender posizione là dove risiede la sua forza; attaccarlo fuor di lui stesso e
sostener le proprie ragioni là dov’egli non si trova, non conclude a nulla. L’u-
nica confutazione dello spinozismo può quindi consistere soltanto in ciò che
si riconosca anzitutto come essenziale e necessario il suo punto di vista, e che
poi in secondo luogo si elevi questo punto di vista da se stesso al punto di vi-
sta superiore» (GW 12 p. 15, Log II p. 656).
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36 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

za è assoluta proprio in quanto non dipende da altro che da se


stessa, ovvero non ha bisogno di nient’altro per esistere che di
se stessa. Essa è dunque autoposizione. In ciò consiste il ne-
cessario passaggio speculativo dalla sostanza alla causa, il risol-
versi del rapporto di sostanzialità in quello di causalità5.
Ma, in realtà, questa distinzione fra una sostanza-causa (po-
nente) e una sostanza-effetto (posta), che corrisponde alla ce-
lebre distinzione spinoziana fra natura naturans e natura natu-
rata, è una distinzione puramente nominale ed astratta, perché
le due realtà sono in verità una sola. Ne consegue che la so-
stanza non può più intendersi né come sola sostanza né come
sola causa, bensì come relazione fra causa ed effetto, una rela-
zione in cui la causa è immediatamente l’effetto e l’effetto im-
mediatamente la causa. La sostanza si risolve dunque nella re-
lazione reciproca, ovvero in quel rapporto assoluto che dà il ti-
tolo all’intero capitolo.

L’azione reciproca si presenta come una causalità mutua di so-


stanze presupposte e che si condizionano. Ciascuna è di fronte al-
l’altra in pari tempo una sostanza attiva e una sostanza passiva. In
quanto entrambe sono così tanto passive quanto attive, si è già
tolta ogni loro differenza; è una parvenza completamente traspa-
rente; esse sono sostanze solo in questo, che sono l’identità del-
l’attivo e del passivo (GW 11 p. 407, Log II p. 643).

Anche in questo caso il percorso hegeliano è quello di ri-


solvere la sostanzialità ontologica in un puro movimento logi-
co. Ma affinché quella pura relazionalità si mostri come l’ac-
quisizione della dimensione del pensare è necessario un ultimo
passo, è necessario che il rapporto assoluto si riveli come un
rapporto di autoriflessione, in cui la relazione sia una relazione
trasparente e consaputa. Ma questo è un passo necessario. Se

5 Se la condizione per essere sostanza assoluta è quella di essere causa sui,


l’essere mera sostanza è una determinazione insufficiente di essa. La mera
sostanzialità è soltanto l’effetto della causa, e dunque non è vera sostanza: es-
sa è, come dice Hegel, «la sostanzialità tolta», ovvero «un semplice posto,
l’effetto». La vera sostanza si dimostra invece la causa (GW 11 p. 396, Log II
pp. 629-630).
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LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 37

l’azione reciproca in cui la sostanza consiste deve essere vera-


mente assoluta, bisogna che una tale relazione sia saputa dalla
sostanza stessa, bisogna cioè che essa non sia subita ma posta
da essa. Solo pensando il processo di autocausazione come un
processo di autoriflessione, ovvero come un processo autotra-
sparente alla sostanza stessa, esso sarà in grado di porre la pro-
pria assolutezza. Ma in tal modo la sostanza si è rivelata con-
cetto (Begriff), cioè soggetto.

L’oscurità reciproca delle sostanze che stanno nel rapporto cau-


sale è scomparsa, poiché l’originarietà del loro sussister per sé è
trapassata in essere posto, e si è perciò fatta chiarezza trasparente
a se stessa. La cosa originaria è questo, in quanto non è che la cau-
sa di se stessa, e questo è la sostanza liberata fino ad esser concetto
(GW 12 p. 16, Log II p. 657).

È questa la vera fondazione hegeliana dell’idealismo: mo-


strare come la verità della sostanzialità ontologica non sia altro
che il pensare, il pensare riflesso su di sé. È questo atto di au-
toriflessione l’unica vera condizione di assolutezza. La doman-
da sull’essenza ultima delle cose ha avuto dunque una risposta:
essa non è essenza ontologica ma concetto logico6. L’essere è
non già in virtù di se stesso, ma in virtù della riflessività del
pensare. In fondo è proprio questo il cammino della Scienza
della Logica, compiere il percorso dall’essere all’Idea assoluta
come sua condizione: l’ultima categoria è infatti il fondamento
della prima, la sua vera ragion d’essere.
Ma questa operazione ha prodotto anche un secondo rile-
vante risultato. Riconducendo la sostanzialità al concetto, He-

6 Alla risoluzione dell’ontologia in logica corrisponde al tempo stesso una


risoluzione della logica in logica autoriflessiva. La verità della logica non è
l’esposizione delle strutture concettuali ideali, ma è la riflessività di queste
strutture su se stesse. È in virtù di questa riflessività che esse si autopongono
e dunque si manifestano come assolute. La vera specificità della Logica he-
geliana non è tanto quella di costituire l’esposizione della struttura logica ul-
tima del reale (in una sorta di riproposizione del cosmo noetico platonico)
quanto quella di far riflettere questa struttura in sé e nel radicare su questa
riflessività la condizione della sua assolutezza. Il vero significato della nozio-
ne hegeliana di concetto è la sua autoriflessività.
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38 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

gel ha al tempo stesso ricondotto la necessaria e cieca autocau-


sazione della sostanza alla libera e consaputa autoriflessione
del concetto come sua condizione: «Così il concetto è la verità
della sostanza, e poiché la determinata guisa di relazione della
sostanza è la necessità, la libertà si mostra come la verità della
necessità» (GW 12 p. 12, Log II p. 652). Il passaggio dall’es-
senza al concetto è dunque al tempo stesso il passaggio dalla
necessità alla libertà. Il movimento immanente alla sostanzia-
lità spinoziana ha confutato la necessità e l’ha contemporanea-
mente condotta al suo compimento, alla sua verità.

Questa infinita riflessione in se stesso, che cioè l’essere in sé e per


sé è solo perciò ch’esso è un esser posto, è il compimento della so-
stanza. Se non che questo compimento non è più la sostanza stes-
sa, sibbene un che di più alto, vale a dire il concetto, il soggetto. Il
passaggio del rapporto di sostanzialità avviene per la sua propria
necessità immanente e non è altro che la manifestazione di lei
stessa, la manifestazione che il concetto è la sua verità e che la li-
bertà è la verità della necessità (GW 12 p. 14, Log II p. 654).

La libertà si manifesta dunque come la verità del tutto: «Nel


concetto si è quindi aperto il regno della libertà. Il concetto è il
libero, poiché l’identità in sé e per sé, che costituisce la neces-
sità della sostanza, è in pari tempo come tolta» (GW 12 p. 16,
Log II p. 657). Il senso della Logica ne risulta in conclusione ra-
dicalmente trasformato: essa non è semplicemente il cammino
necessario che compiono le determinazioni logiche, ma, poiché
il suo fondamento è la libertà che riflette su se stessa, la Logica
si manifesta come il sistema categoriale della libertà. Se essa è
«la esposizione di Dio, com’egli è nella sua eterna essenza pri-
ma della creazione della natura e di uno spirito finito (GW 21
p. 34, Log I p. 31), quel Dio si rivela identico alla libertà stessa
e la processualità che lo caratterizza non è nient’altro che lo
scandirsi del cammino della libertà. Questa non consiste infat-
ti in un solo atto, ovvero nell’autoposizione del pensiero (come
invece era ancora in Fichte), ma nella totalità del processo ca-
tegoriale. L’assoluto è libertà perché ha tolto la totalità delle
determinazioni categoriali finite che negano questa sua auto-
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LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 39

posizione. In definitiva: la libertà (come il pensare) non è un’u-


nità indistinta ma è un processo, una molteplicità, un percor-
so, il cui esito finale mantiene in sé la totalità delle categorie
che ha attraversato.
La tesi hegeliana va intesa in modo corretto: pensando l’es-
senza del tutto come libertà egli non intende affermare l’esi-
stenza di un assoluto in sé libero: né sotto forma di un essere
supremo trascendente, né sotto forma di un panteismo spiri-
tualistico. Come afferma il passo poco sopra citato, «l’identità
in sé e per sé, che costituisce la necessità della sostanza, è in pa-
ri tempo come tolta» (GW 12 p. 15, Log II p. 657), vale a dire:
poiché il senso del tutto è la libertà, risulta impossibile fissarlo
in un’essenza.
In questo quadro vanno comprese anche le affermazioni,
contenute nell’Enciclopedia, dove viene sostenuto che lo spiri-
to è il fondamento della natura: «Lo spirito ha per noi a suo
presupposto la natura, della quale è la verità, e ne è perciò l’as-
soluto primo» (GW 20 § 381 p. 381, Enc p. 374). Se «per noi»
(cioè per il lettore dell’Enciclopedia o – più in generale – per
l’autocoscienza che «si sa» dopo aver fatto l’esperienza dell’al-
terità naturale) la natura viene prima dello spirito, in sé – cioè
in verità – lo spirito viene prima di essa: è lui il fondamento, la
ragion d’essere della natura. In altri termini, la natura pensata
nella sua essenza non è altro che spirito: non sta in lei la sua ve-
rità ma in altro. La natura non dipende da se stessa, ma dipen-
de da altro, da quello spirito che è appunto l’assoluto primo.
Da ciò la conclusione, perfettamente in linea con la tesi fonda-
mentale dell’idealismo: «In questa verità la natura è sparita».
Pensata nella sua essenza, la natura ha perso ogni traccia di na-
turalità, di esteriorità ed appare solo lo spirito.
Ma a questo punto che cosa abbiamo raggiunto? Qual è que-
sta essenza dello spirito che rappresenta la verità della natura?
La risposta di Hegel è chiarissima: «L’essenza dello spirito è
quindi, formalmente, la libertà, la negatività assoluta nel con-
cetto come identità con sé» (GW 20 § 382 p. 382, Enc p. 374).
Alla domanda vecchio-ontologica su quale sia l’essenza dello
spirito Hegel risponde che lo spirito non ha un’essenza. Proprio
perché esso è libertà si pone come l’antitesi di tutto ciò che ha
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40 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

una natura e un’essenza stabile. La natura è ormai «sparita» e


lo spirito si dimostra «negatività assoluta». È così libero che
può prendere le distanze anche dalla sua stessa natura: «Se-
condo questa determinazione formale, lo spirito può astrarre da
ogni cosa esteriore, e perfino dalla sua propria esteriorità, dal-
la sua esistenza (Dasein)» (ibid.). La sua libertà è libertà di ne-
gare ogni cosa, ogni determinatezza, anche la sua stessa deter-
minatezza. Lo spirito non può essere una cosa esistente. Ma al-
lora, se lo spirito è la verità della natura e se l’essenza dello spi-
rito è la libertà, allora la verità della natura è che non c’è alcun
sostrato e che l’unica verità è la negazione di ogni sostrato. L’es-
senza dello spirito è quella di essere negazione di ogni essenza.
E tuttavia questa negatività non si spinge fino al punto da
negare questa sua attività negativa: «può sopportare la nega-
zione della sua immediatezza individuale, il dolore infinito; può
cioè mantenersi affermativo in questa negatività ed essere iden-
tico per sé» (ibid.). Lo spirito può negare le sue manifestazioni
esteriori ma non la sua attività libera. Come scritto poche righe
sopra, la sua «negatività assoluta» era al tempo stesso «l’iden-
tità con sé», cioè la negatività non era rivolta contro se stessa
ma si manteneva come negativa e in ciò stava la sua identità.
Questo stesso concetto viene ora espresso ricorrendo a un’im-
magine, quella del dolore e della sua sopportazione. Se l’atti-
vità negativa produce dolore (proprio perché rivolta anche
contro le sue stesse manifestazioni, contro il suo stesso porsi
come esistente), quel dolore può essere sopportato, non è tale
da distruggere l’attività di negazione. La negazione di sé può
essere sopportata.
Questo rapporto fra libertà e dolore era stato al centro del-
le celebri pagine conclusive dello scritto jenese Fede e sapere.
In esso veniva avanzata la tesi che la soggettività assoluta («il
puro concetto») nella sua illimitata libertà produceva inevita-
bilmente un «dolore infinito»7 e che la «libertà assoluta» con-
duceva alla «Passione assoluta o il Venerdì Santo speculativo,

7 «Il puro concetto, ossia l’infinitezza come abisso del nulla, in cui ogni
essere sprofonda (versinkt), deve designare il dolore infinito» (GW 4 p. 413,
FS p. 252).
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LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 41

che fu già storico» (GW 4 p. 414, FS p. 253). Compito della fi-


losofia era quello di comprendere questa libertà assoluta «in
tutta la verità e la durezza della sua assenza di Dio (Gottlo-
sigkeit)» (ibid.).
Ora che rapporto sussiste fra libertà e assenza di Dio? Se-
condo Hegel tutto ciò è un’inevitabile conseguenza della natu-
ra nichilistica della libertà e quindi dello stesso Dio. Dio è in-
fatti libertà e ciò comporta un suo rapporto negativo nei con-
fronti di ogni determinatezza. La sua infinitezza è «abisso del
nulla» (GW 4 p. 414, FS p. 252) e quindi comporta la fine del-
la sua stessa determinatezza. L’assoluto che nega viene a sua
volta negato dalla sua stessa attività. Ovviamente questa attività
negatrice non è tale da negare la libertà medesima ma si rivol-
ge verso ogni Dasein, verso ogni esistenza, verso ogni realtà
empirica e immediata. È a questo punto che Hegel introduce il
passo più celebre di questo scritto giovanile, affermando che
questo dolore infinito, prima che fosse compreso speculativa-
mente «esisteva solo storicamente nella cultura su cui riposa la
religione dei tempi moderni, il sentimento: Dio stesso è mor-
to» (GW 4 pp. 413-414, FS p. 252).
La morte di Dio, cioè la vicenda della passione e morte di
Gesù, è la rappresentazione religiosa di una verità speculativa:
la necessità che l’assoluto neghi la sua stessa esistenza finita,
passi attraverso il dolore e la morte, proprio per poter affer-
mare la sua libertà. Quel Dio che viene condotto a morte è
però il Dio sensibile, la libertà come esistenza concreta e de-
terminata: questa realtà non può resistere al processo di nega-
zione. Gesù dev’essere condotto a morte. Quella vicenda rap-
presenta in modo storico la verità concettuale della natura ne-
gativa della libertà.
Ma quella stessa vicenda narra il carattere non definitivo
della morte. La negazione non è assoluta. La libertà, come Ge-
sù in croce, è in grado di sopportare quel dolore e di mantene-
re la propria identità nel momento dell’estremo abbandono.
La morte di Dio è «un mero momento dell’Idea assoluta, ma
anche niente più che momento» (GW 4 p. 414, FS p. 252), sic-
ché «da questa durezza [...] la suprema totalità in tutta la se-
rietà e dal suo più riposto fondamento, abbracciando tutto
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42 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

contemporaneamente, e nella più serena libertà della sua figu-


ra, può e deve risuscitare» (GW 4 p. 414, FS p. 253). Dalla
morte in croce Dio risorge, ponendosi non più come esistenza
sensibile ma come spirito. E infatti lo spirito della libertà è in
grado di sopportare la negazione mantenendosi «affermativo
in questa negatività» e mostrandosi così «identico con sé»
(GW 20 § 382 p. 382, Enc p. 374).

1.2 Libertà e autotrasparenza

La capacità dello spirito di mantenere la propria identità


pur avendo costituzione eminentemente negativa affonda le
sue radici proprio nell’analisi sulla natura del «Begriff» con-
dotta da Hegel all’interno della Scienza della Logica. Come ab-
biamo visto, nel «concetto» vengono a coincidere il carattere
della assoluta indipendenza della sostanza e il carattere della
assoluta autotrasparenza del concetto. Anzi la prima, l’autono-
mia, è resa possibile proprio dalla seconda, dalla trasparenza a
se stesso e dalla piena consapevolezza di sé. Ci troviamo qui di
fronte ad uno dei tratti più caratteristici della filosofia hegelia-
na, nella quale la libertà è sempre messa in relazione con l’au-
toriflessività. Essa è infatti quella speciale relazione che il pen-
siero ha con se stesso, grazie alla quale, riferendosi a sé, deter-
mina se stesso e si rende indipendente da tutto ciò che non
coincide con lui. È questa la prima caratteristica della libertà,
quella che Hegel esprime con la celebre locuzione dell’essere-
presso-di-sé.

[Lo spirito] fa di se stesso il suo contenuto, il contenuto di lui stes-


so. Il sapere è la sua forma e il suo comportamento, ma il conte-
nuto è poi la stessa realtà spirituale. Così lo spirito, secondo la sua
natura, è presso di sé, ossia è libero (PhWg I p. 54, FilSt I p. 37 –
corsivi nostri).

Nella relazione a se stesso c’è il fondamento e la garanzia


della libertà. È questa la principale differenza tra libertà dello
spirito e necessità della natura. Mentre infatti la materia ha il
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LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 43

suo centro fuori di sé (Hegel fa esplicito riferimento alla forza


di gravità che attira la materia fuori dalla sua collocazione), lo
spirito ha il suo centro in se stesso.

Lo spirito, per contro, è questo avere il suo centro in se stesso: an-


ch’esso tende verso questo centro, ma è esso stesso che è centro
in se medesimo. Esso non ha l’unità fuori di sé; la trova costante-
mente in sé, è in sé e presso di sé. La materia ha la sua sostanza
fuori di sé; lo spirito invece è l’essere presso di sé, e ciò è appun-
to la libertà (PhWg I p. 55, FilSt I p. 38).

Joachim Ritter, nei suoi studi comparativi su Aristotele e


Hegel, ha mostrato che questa concezione della libertà affonda
le sue radici nel concetto aristotelico di uomo libero: «Aristo-
tele aveva definito la libertà differenziandola espressamente
dalla illibertà dello schiavo: libero è per lui “un uomo che ha il
suo fine in se stesso e non in altro” (Met. I, 982b 25-28). Hegel
anzitutto riprende questo concetto: libertà è l’essere-presso-di-
sé del singolo»8. Dunque l’essere-presso-di-sé di Hegel è la tra-
duzione idealista dell’avere il fine in se stesso di Aristotele. E
quella traduzione è possibile perché viene mediata dalla teoria
kantiana dell’autonomia, secondo cui l’uomo è libero quando
è indipendente da ogni movente esterno alla ragion pura prati-
ca, cioè da ogni influenza naturale, interna o esterna, e da ogni
coazione determinata da volontà altrui.
Questo primo carattere della libertà si mostra pienamente
coerente con la concezione «moderna» di essa, caratterizzata
da una natura essenzialmente autoreferenziale e fondata sul-
l’assenza di relazionalità con l’esterno (sia esso oggetto o sog-
getto), dato che ciò ne impedirebbe la piena autonomia ren-
dendola eteronoma. Ne dà conferma un passo della stessa Fi-
losofia del diritto.

Solo in questa libertà la volontà è puramente e semplicemente


presso di sé (bei sich), perché essa non si relaziona a nient’altro che

8 J. RITTER, 1969, trad. it. p. 135. Lo schiavo viene infatti definito da Ari-
stotele come colui che «non appartiene a se stesso ma a un altro» (ARISTO-
TELE, Pol. I, 4, 1254a 16).
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44 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

a se stessa; con ciò viene a cadere ogni rapporto di dipendenza da


altro (GW 14.1 § 23 p. 42, Dir p. 111).

L’essere presso di sé è qui spiegato in termini di assenza di


relazione con altro (vista solo come relazione di dipendenza e
fonte di illibertà). La libertà appare perciò in questa sua prima
caratterizzazione come monologica, solipsista e autoriferita,
elementi che troviamo ripresi anche nella seconda caratteristi-
ca della libertà teorizzata da Hegel.

1.3 Libertà e negatività

La natura negativa della libertà, al centro delle riflessioni


esposte in Fede e sapere e nell’Enciclopedia, viene ripresa e ri-
badita anche nella Filosofia del diritto, in particolare nel primo
dei tre paragrafi programmatici che espongono in sequenza i
caratteri fondamentali della libertà.

La volontà contiene l’elemento dell’indeterminatezza pura, cioè


della riflessione pura dell’io entro sé. In tale riflessione è dissolta
ogni limitazione, ogni contenuto immediatamente dato dalla natu-
ra (bisogni, desideri, impulsi) oppure indotto e determinato da
qualsiasi altra fonte. La volontà contiene dunque l’illimitata infinità
dell’astrazione assoluta, dell’universalità assoluta, vale a dire: con-
tiene il puro pensiero di se stessa (GW 14.1 § 5 p. 32, Dir p. 89).

La natura tendenzialmente senza limiti della libertà si con-


verte, secondo Hegel, nell’astrazione assoluta, cioè nella im-
possibilità di avere dei contenuti determinati. Ogni determina-
zione apparirebbe infatti come una limitazione della sua uni-
versalità e un condizionamento esterno. Una libertà così intesa
è chiamata, poco dopo, «libertà negativa o dell’intelletto» (GW
14.1 § 5 nota p. 32, Dir p. 91): essa si manifesta non solo nella
negazione di ogni esteriorità e di ogni oggetto ma anche nell’a-
strazione da ogni determinatezza. Il dominio dell’universale
sul particolare è qui radicale, nel senso che comporta la nega-
zione di ogni particolarità.
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LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 45

L’espressione «libertà dell’intelletto» introduce però in que-


sta presunta illimitatezza un elemento di cautela. In Hegel l’in-
telletto è infatti sempre indice di finitezza e limitazione. E qui
la limitatezza è in qualche modo il prodotto della stessa astra-
zione. Ponendosi come illimitata la libertà finisce per istituire
– contro le sue stesse intenzioni – una nuova limitazione e con-
trapposizione: quella tra questa indeterminata astrattezza e
tutto l’ambito del determinato e del finito che essa lascia fuo-
ri di sé. Hegel la chiama «la libertà del vuoto» e ne dà un paio
di esempi.
Il primo è quello della religione indiana, con la sua idea del-
la pura contemplazione della propria interiorità vuota. Il se-
condo è quello della rivoluzione francese, con «il fanatismo del-
la distruzione di ogni ordinamento sociale sussistente» (ibid.).
Hegel riprende qui le sue celebri analisi del fenomeno rivolu-
zionario, già presentate nella Fenomenologia dello spirito, se-
condo le quali proprio il perseguimento della libertà universa-
le e uguale per tutti si converte inevitabilmente nella negazio-
ne di qualsiasi sua concretizzazione.

Certo, essa crede di volere una qualche situazione positiva, come,


per esempio, la condizione di uguaglianza universale o di vita re-
ligiosa universale. Di fatto, invece, essa non ne vuole la realtà po-
sitiva, poiché tale realtà reca subito con sé un qualche ordina-
mento, una qualche particolarizzazione sia di istituzioni sia di in-
dividui; e la libertà negativa acquista la sua autocoscienza proprio
a partire dall’annientamento della particolarizzazione e della de-
terminazione oggettiva. Ecco perché ciò che la libertà negativa
crede di volere può essere soltanto una rappresentazione astratta,
e la realizzazione di questa rappresentazione può essere unica-
mente la furia della distruzione (ibid.).

1.4 Libertà e finitezza

Ma la libertà non può essere solo questa illimitatezza di-


struttiva di sé e degli altri. Essa si sente libera quando si deter-
mina, quando crea e istituisce qualcosa che dipende solo da lei.
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 46

46 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Essa, in quanto autodeterminazione, ha dunque un lato positi-


vo. Era stato Kant, nella Fondazione della Metafisica dei costu-
mi, ad aver proposto una distinzione categoriale fra libertà ne-
gativa e libertà positiva. La prima caratterizza la volontà quan-
do può agire «indipendentemente da cause estranee che la de-
terminano»9, facendo valere in ciò la sua capacità di astrarre ri-
spetto a ogni influenza sensibile ed empirica. La libertà positi-
va è invece quella che esprime positivamente da sé la propria
legge e questo è «l’autonomia, ossia la proprietà della volontà
di essere legge a se stessa»10.
Qui si inserisce il contributo offerto da Hegel nel § 6, dove
viene presentato questo secondo lato della libertà. Egli osserva
infatti che la libertà, se si pone come positiva, si determina ne-
cessariamente in contenuti particolari che essa finirà per vede-
re come sue limitazioni, anche se provengono da lei medesima.
Se perciò la libertà negativa affermava la sua assolutezza e la
sua natura infinita al prezzo della sua sostanziale inconsistenza,
la libertà positiva afferma la sua concretezza ma finendo per ri-
trovarsi limitata e finita.

L’io è anche il passaggio dall’indeterminatezza indifferenziata alla


differenziazione, cioè all’atto di determinare e porre una determi-
natezza come un contenuto e oggetto [...] Questo è il momento
assoluto della finitezza dell’io, cioè della sua particolarizzazione
(GW 14.1 § 6 p. 33, Dir p. 91).

Nell’aggiunta al paragrafo Hegel spiega che l’io non può


esprimere la sua libertà solo volendo, ma volendo qualcosa,
cioè determinandosi verso contenuti concreti. In ciò, tuttavia,
trova la sua limitazione e negazione:

Io non voglio semplicemente, bensì voglio qualcosa. Una volontà,


la quale, al modo che è analizzato nel precedente paragrafo, vuo-
le soltanto l’astrattamente universale, non vuole nulla, e pertanto
non è volontà. Il particolare, che la volontà vuole, è una limita-
zione, poiché la volontà deve, per esser volontà, limitarsi in gene-

9 I. KANT, 1785, trad. it. p. 127.


10 Ibid.
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LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 47

re. Che la volontà voglia qualcosa, è il termine, la negazione. La


particolarizzazione è in tal modo ciò che di regola viene denomi-
nato finità (RZ p. 54, DirA p. 286).

La libertà sembra, alla fine, incapace di uscire da questa


aporia che la fa oscillare fra due lati entrambi unilaterali11: se
vuole essere libera in modo assoluto non può addivenire a con-
tenuti concreti e in tal modo la sua diventa libertà di nulla, ma,
d’altro canto, se vuole essere libertà di qualcosa perde la sua
assolutezza e si ritrova finita e non libera.

1.5 Libertà e relazione

Hegel espone la sua soluzione di quest’aporia nel successivo


§ 7, dove la libertà acquista una dimensione rimasta nascosta fi-
no a quel punto. La soluzione è presentata dapprima in modo
solo formale come «unità di questi due momenti» secondo il
consueto modo di argomentare dialettico, tipico di Hegel. Essa
è «la particolarità [cioè il secondo momento, n.d.r.] riflessa en-
tro sé e, con ciò, ricondotta all’universalità [il primo momento,
n.d.r.]: è singolarità» (GW 14.1 § 7 p. 34, Dir p. 93). L’idea di
Hegel (qui espressa ancora in modo solo formale e indetermi-
nato) è che la libertà come «singolarità» riesca ad essere uni-
versale nella particolarità e che quindi non perda la sua univer-
salità finitizzandosi, come invece sembrava inevitabile fin qui.
Insomma, l’io, pur determinandosi, riuscirebbe a mantenersi
identico con sé, senza perdersi nella molteplicità dei suoi con-
tenuti. Egli «come determinato, limitato, permane presso di sé,
cioè nella sua universalità e identità con sé» (ibid.)12.

11 «La volontà indeterminata è altrettanto unilaterale che la volontà stan-


te nella mera determinatezza» (ibid.).
12 Molti interpreti hanno sottolineato l’importanza dei §§ 5-6-7 non solo
perché espongono sinteticamente le tre dimensioni essenziali della libertà ma
anche perché rappresentano una sorta di esposizione programmatica dell’in-
tera Filosofia del diritto. Com’è stato fatto notare da M. RIEDEL 1970, il § 5
anticipa la prima parte dell’opera, il diritto astratto, il § 6 la seconda parte, la
moralità, e il § 7 la terza parte, l’eticità (come unificazione delle prime due):
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48 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Ora come può avvenire tutto ciò? Come possono conciliar-


si due dimensioni della libertà apparentemente inconciliabili?
Hegel lo spiega nell’aggiunta al § 7, uscendo dalla iniziale for-
malità e vaghezza della sua prima formulazione: «Il terzo mo-
mento è ora che esso nella sua limitazione, in questo altro sia
presso se stesso, e che, mentre determina sé, nondimeno riman-
ga presso di sé e non cessi di tener fermo l’universale» (RZ p. 57,
DirA pp. 286-287 – corsivi nostri). L’altro a cui la libertà si de-
termina è qui visto non più come un limite per la libertà ma co-
me identico a questa libertà stessa.
L’esempio che Hegel introduce a questo punto risulta illu-
minante per capire come un’alterità possa costituire non un li-
mite alla libertà ma rappresenti una sua più compiuta realizza-
zione: «Questa libertà l’abbiamo già nella forma del sentimen-
to, ad esempio nell’amicizia e amore. Qui si è non unilaterali
entro di sé, bensì ci si limita di buon grado in relazione ad un
che d’altro, ma si sa sé in questa limitazione siccome se stessi».
Nelle relazioni affettive l’altro costituisce non già un limite al-
la libertà dell’individuo ma è la condizione del suo sviluppo. In
altri termini: mentre si è presso l’altro si è al tempo stesso pres-
so se stessi. Come dice Hegel, «si ha la considerazione di ciò
che è altro in quanto altro» e, contemporaneamente, «si ha in
ciò per la prima volta il proprio sentimento di sé», ovvero: si è
presso se stessi proprio in quanto ci si determina verso l’altro.
«Questo è allora il concetto concreto della libertà»: nell’acquisi-
re determinatezza e contenuti la libertà non perde in nulla la
propria universalità e identità con sé, ma guadagna in concre-
tezza senza perdere in assolutezza. Perciò «la libertà non risie-

«Il diritto astratto corrisponde dunque al primo momento del concetto, la


sua vuota universalità e indeterminatezza alla “persona in quanto tale”, alla
“proprietà in quanto tale”, etc. Il livello della moralità rappresenta il secon-
do momento della particolarità, la limitazione della volontà attuata da un
mondo esterno, da un lato, e da principi e scopi soggettivi, dall’altro, non-
ché dall’esigenza di realizzarli. Nella sfera dell’eticità infine i due momenti
sono unificati dal fatto che la volontà trova i contenuti e gli scopi particola-
ri non meramente contrapposti a sé come compiti ma trova se stessa, la li-
bertà come sua sostanza e determinazione, nelle istituzioni esistenti, nella
realtà storico-sociale» (p. 16).
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LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 49

de né nell’indeterminatezza né nella determinatezza, bensì è


entrambe le cose» (ibid.).
Si fa strada in questi passi un concetto di libertà che correg-
ge quell’iniziale paradigma monologico e autoreferenziale che
era stato introdotto con la nozione del «presso di sé» e poi es-
senzialmente confermato sia dal carattere negativo sia da quel-
lo positivo della libertà. Essa rimane ancora caratterizzata dal-
l’essere presso di sé ma quell’essere viene ora inteso come un
essere-presso-di-sé-nell’essere-altro-da-sé. In altri termini, la li-
bertà viene ora pensata come libertà relazionale.
Il motivo che spinge Hegel a elaborare questo modello più
complesso di libertà sta nei limiti cui va inevitabilmente incon-
tro un concetto di libertà inteso come esclusivo essere-presso-
di-sé. Come abbiamo visto, una tale libertà che esclude da sé
l’alterità e che si rinchiude nella relazione con sé, terrà sempre
l’altro al di fuori trovando in lui un limite invalicabile. Essa
perciò potrà affermarsi solo in uno scontro infinito con l’alte-
rità da cui non potrà mai uscire, mancando così la sua realiz-
zazione. Solo includendo l’altro nel proprio progetto di libertà
si riesce veramente a superare una tale strutturale limitazione.
Questa natura relazionale della libertà, a dire il vero, non
sembra pienamente in linea con il modello elaborato da Hegel
nella Scienza della Logica, dove la categoria dell’Idea (e quindi
l’essenza della libertà) viene caratterizzata fondamentalmente
dal rapporto autoriflessivo con se stessa (e in esso viene riposta
la sua superiorità sulla categoria di sostanza). Tuttavia, nono-
stante la predominanza del modello monologico di libertà fon-
dato sul «per sé» esclusivo e totalizzante, anche nella Logica tro-
viamo le tracce di questo modello alternativo di tipo relaziona-
le. In particolare, nella Logica del concetto, dopo aver inizial-
mente definito il «concetto puro» come «l’assolutamente infini-
to, incondizionato e libero» (GW 12 p. 33, Log II p. 679) si con-
tinua dicendo che, in quanto «potenza libera», quel concetto
universale «invade il suo altro» (GW 12 p. 35, Log II p. 683).
L’impressione che anche qui si riaffermi un concetto monologi-
co ed esclusivo di libertà viene però immediatamente corretta.
Infatti subito dopo si precisa che il concetto, in quell’invasione,
non si afferma «come un che di violento, ma come tale che in
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50 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

quello è quieto e presso se stesso». L’altro dal concetto non è dun-


que pensato come un estraneo da cui difendersi o da invadere
con violenza ma come qualcosa in cui il soggetto può trovare
conferma di sé: in esso, cioè fuori di sé, egli è presso se stesso.

Come fu chiamata la potenza libera, così potrebbe anche chia-


marsi il libero amore e l’illimitata beatitudine, essendo un rappor-
to di sé al differente come a se stesso; nel differente esso è tornato
a se stesso (ibid.).

Il concetto viene qui presentato innanzitutto non come ri-


ferimento a sé ma come riferimento ad altro, cioè come un
«amore» in cui invece di perdere la propria identità e libertà,
la si ritrova ad un livello più alto. Come abbiamo già visto nel-
l’aggiunta al § 7 della Filosofia del diritto, l’amore viene infatti
pensato da Hegel non come dipendenza da altro bensì come
realizzazione di sé proprio grazie alla relazione con l’altro13.
Con queste conclusioni, esposte nella Logica del concetto,
Hegel si muove in piena coerenza con la sua analisi condotta
all’interno della Logica dell’essenza, secondo cui l’assoluta in-
dipendenza di sé può essere raggiunta e posta solo nella di-
pendenza da altro14.
Ma la relazione dell’esser-presso-di-sé con l’essere-altro era
già stata al centro delle considerazioni finali della Fenomenolo-
gia dello spirito, quelle relative al «sapere assoluto». Qui il su-
peramento dell’esteriorità dell’oggetto rispetto alla coscienza

13 M. THEUNISSEN, 1978, parla – a questo proposito – di «libertà comu-


nicativa» seguito in ciò anche da A. HONNETH, 2001, il quale poi mette in re-
lazione questo concetto proprio con il § 7 della Filosofia del diritto e in par-
ticolare con l’aggiunta, su cui ci siamo soffermati.
14 Il riferimento preciso è qui alla categoria dell’opposizione, nella quale i
termini opposti si coappartengono, anzi sono tanto più opposti quanto più
appartengono l’uno all’altro. La dipendenza dall’altro diventa così la condi-
zione della loro opposizione e quindi della loro indipendenza: «Il positivo e
il negativo son così i lati dell’opposizione divenuti indipendenti. Sono indi-
pendenti o per se stanti» ma «a cagione della loro indipendenza essi costi-
tuiscono l’opposizione in sé determinata» e perciò «ciascuno è se stesso e il
suo altro» e «ciascuno si riferisce a se stesso solo in quanto si riferisce al suo
altro» (GW 11 p. 273, Log II p. 474).
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LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 51

non viene espresso semplicemente con la consueta formula


dell’essere-per-sé e dell’essere-presso-di-sé ma attraverso l’in-
clusione dell’essere-altro all’interno dell’essere-presso-di-sé co-
me suo momento: «avendo tolto e ripreso entro sé quell’este-
riorizzazione e oggettività, si trova dunque presso se stessa nel
suo essere-altro (Anderssein) in quanto tale» (GW 9 p. 422,
Fen p. 1035). Analogamente la comprensione concettuale del
proprio contenuto da parte della coscienza avviene quando
l’Io si trova presso di sé nell’essere altro: «il contenuto è com-
preso concettualmente solo perché l’io è presso se stesso nel
suo essere-altro» (GW 9 p. 428, Fen p. 1049). Nella Prefazione
all’opera, poi, la nozione di sapere assoluto viene presentata
come autoriconoscimento nell’essere-altro: «Il puro autorico-
noscimento nell’assoluto esser-altro, questo etere in quanto ta-
le, è il terreno su cui si fonda la scienza, è il sapere nella sua uni-
versalità» (GW 9 p. 22, Fen p. 77). In altri termini: l’immedia-
tezza dell’unità con sé che caratterizza l’assoluto (quello che
qui Hegel definisce «puro autoriconoscimento» e che in altri
luoghi definisce «riferimento a se stesso») è ottenuta solo at-
traverso il guadagno e non la soppressione dell’alterità, cioè at-
traverso il farsi-altro e l’essere-altro-da-sé.
In conclusione, con questa complessa elaborazione teorica
Hegel svincola il concetto di libertà dalla soggettività indivi-
duale e ne fa una proprietà dei rapporti comunicativi. Insom-
ma la libertà è qualcosa che non sta originariamente al nostro
interno ma dimora prima di tutto nell’oggettività che ci cir-
conda, dalla quale noi possiamo poi acquisirla. Questo è lo
specifico che caratterizza la dottrina hegeliana.

1.6 Libertà e oggettività

L’elaborazione hegeliana del concetto kantiano di libertà


può essere intesa come una progressiva desoggettivizzazione
della libertà. Come egli scrive nella Filosofia della storia, la li-
bertà dell’individuo non consiste nel seguire il proprio arbitrio
individuale ma nell’adeguarsi alla vera libertà, quella che egli
chiama la «libertà del volere» (PhWg IV p. 920, FilSt IV p. 197).
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52 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Con questa nozione «non è da intendere la volontà particola-


re, qual è posseduta da un determinato individuo» ma la li-
bertà «quale è in sé e per sé», ovvero «la libertà di Dio in se
stessa, la libertà dello spirito, non di questo spirito particolare,
ma dello spirito universale secondo la sua essenza» (PhWg IV
p. 920, FilSt IV p. 198). Ne consegue che «per sapere ciò che
è veramente giusto, bisogna astrarre dall’individuo, dall’impul-
so, dal desiderio, così come dal particolare: bisogna quindi sa-
pere cosa è il volere in sé» (ibid.).
Se non ci facciamo ingannare dagli accenti teologici e li in-
tendiamo secondo il giusto significato che Hegel conferisce lo-
ro in questo contesto (dove «Dio» equivale alla verità in sé e
per sé, cioè all’essenza oggettiva e universale della libertà), po-
tremmo notare che la nozione del «volere in sé» non sembra
molto lontana da Kant. Lo svincolamento della libertà dall’ar-
bitrio individuale, cioè dalle inclinazioni e dai desideri sensibi-
li, era già stata al centro della sua operazione filosofica. Così
come la libertà era già diventata, al pari del dovere, qualcosa di
oggettivo e di indipendente dal soggetto empirico.
L’operazione hegeliana consiste dunque solo nel condurre
queste tesi kantiane alle loro estreme conseguenze: se la vera li-
bertà è quella oggettiva del dovere allora essa non può più es-
sere intesa come una proprietà del soggetto individuale. E il
motivo addotto da Hegel a sostegno di questa conclusione è il
legame fra libertà e pensiero.

La libertà vera è, in quanto eticità, questo: che il volere non ha per


suoi scopi un contenuto soggettivo, cioè egoistico, ma un conte-
nuto universale. Tale contenuto però è solo nel pensiero e me-
diante il pensiero (GW 20 § 469 nota p. 466, Enc p. 463).

Come il pensiero in sé e per sé è l’universale per eccellenza,


vale a dire è indipendente dai soggetti particolari, lo stesso va-
le per la libertà. A questo risultato era già arrivata, secondo
Hegel, ancora prima di Kant, la filosofia di Rousseau.

Rousseau ha avuto il merito di aver stabilito come principio dello


Stato un principio – cioè, la volontà – che è pensiero, e precisa-
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LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 53

mente l’atto stesso di pensare, non soltanto secondo la sua forma


(come per esempio, l’impulso alla socialità, l’autorità divina) ma
anche secondo il suo contenuto (GW 14.1 § 258 nota p. 202, Dir
p. 419).

Come viene chiarito nelle Lezioni sulla storia della filosofia,


il principio rousseauiano della volontà generale significa che
«il concetto di libertà non deve essere inteso nel senso di ca-
suale arbitrio individuale, ma nel senso di volontà razionale, di
volontà in sé e per sé» (GPh2 XV p. 477, StFil III.2 p. 261). E
ancora: «la libertà è precisamente il pensare medesimo; chi ri-
fiuta il pensare e parla di libertà, non sa quel che si dica. L’u-
nità del pensiero con sé medesimo è la libertà, la libera vo-
lontà» (GPh2 XV p. 478, StFil III.2 pp. 261-262). Il pensiero è
dunque la condizione per oltrepassare la soggettività particola-
re: «la volontà è libera solo in quanto è volontà pensante»
(GPh2 XV p. 478, StFil III.2 p. 262).
Analoghe considerazioni troviamo nella Filosofia della sto-
ria, nelle quali Hegel fa proprio quello che egli considera il
principio «avanzato dalla filosofia di Kant» (PhWg IV p. 922,
FilSt IV p. 200), vale a dire che «la volontà è libera solo in
quanto non vuole nulla di altro, di esterno, di estraneo (perché
allora sarebbe dipendente), ma solo se stessa; in quanto, cioè,
vuole la volontà» (PhWg IV p. 921, FilSt IV p. 199). Emerge
qui un concetto centrale anche per Hegel e che costituisce il
vero correttivo nei confronti della volontà particolare, cioè il
concetto della volontà che vuole se stessa.
Come egli scrive nella Filosofia del diritto, «la volontà essente-
in-sé-e-per-sé ha per oggetto la volontà stessa in quanto tale, quin-
di se stessa nella propria universalità pura» (GW 14.1 § 21 nota
p. 41, Dir p. 109). E ancora: «la determinazione assoluta – o, se
si vuole, l’impulso assoluto – dello spirito libero consiste nell’a-
vere esso per oggetto la propria libertà» e quindi «il concetto
astratto dell’Idea della volontà è, in generale, la volontà libera che
vuole la volontà libera» (GW 14.1 § 27 p. 45, Dir p. 115).
Tuttavia noi sappiamo che il correttivo nei confronti della
volontà particolaristica non viene pensato da Hegel nei termi-
ni kantiani della pura universalità. Abbiamo visto infatti che la
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54 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

pura universalità, proprio perché sa sollevarsi al di sopra della


particolarità e della finitezza, è tuttavia incapace di determina-
zioni e si risolve nel vuoto. Si può certamente accogliere la pro-
posta kantiana del superamento delle volontà particolari ma
«subito dopo nasce la questione: in che modo la volontà giunge
a determinarsi? Infatti, in quanto vuole se stessa, essa è solo una
relazione d’identità con sé» (PhWg IV p. 922, FilSt IV p. 199).
La mera universalità astratta non è la risposta al supera-
mento della volontà particolaristica. Questo è quanto emerge
dalla stessa critica che Hegel rivolge all’arbitrio, il cui corretti-
vo sta in un concetto di dovere non meramente universalistico.

Il dovere vincolante può apparire come limitazione solo davanti


alla soggettività indeterminata, cioè alla libertà astratta, e davanti
agli impulsi della volontà naturale o della volontà morale, la qua-
le determina il suo bene indeterminato in base al proprio arbitrio.
Nel dovere, invece, l’individuo ha piuttosto la propria liberazio-
ne: liberazione sia dalla dipendenza dal mero impulso naturale,
sia dalla depressione in cui l’individuo, in quanto particolarità
soggettiva, versa nelle sue riflessioni morali sul dover-essere e sul
poter-essere, sia, infine, dalla soggettività indeterminata che non
perviene all’esistenza e alla determinatezza oggettiva dell’agire e
che rimane entro sé come un’irrealtà (GW 14.1 § 149 pp. 139-140,
Dir p. 299).

Nel ribadire la critica kantiana all’arbitrio, contrapponendo


a quella falsa libertà la vera libertà del dovere, Hegel però ca-
ratterizza quest’ultimo in un senso molto diverso da Kant. Es-
so infatti non ci libera solo dal «mero impulso naturale» ma an-
che dalla «soggettività indeterminata che non perviene all’esi-
stenza» e che cade in «depressione» a causa delle sue «rifles-
sioni morali sul dover-essere». Il dovere è quindi qualcosa di
essenzialmente diverso da un imperativo universalistico e alla
sua articolata determinazione Hegel sta lavorando proprio in
quelle pagine dedicate all’eticità.
Analogamente l’arbitrio non è semplicemente la dipenden-
za dagli impulsi naturali, ma nasce dalla infelice composizione
di due elementi: la volontà indeterminata da un lato e la vo-
lontà determinata dagli impulsi naturali dall’altro: «Nell’arbi-
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LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 55

trio son contenute queste due cose: la riflessione libera che


astrae da ogni cosa, e la dipendenza dal contenuto e materiale
dato interiormente o esteriormente» (GW 14.1 § 15 p. 38, Dir
p. 103). La volontà universalmente libera incontrando il mate-
riale empirico produce perciò una volizione arbitraria, come
Hegel spiega nell’aggiunta al medesimo paragrafo:

La scelta che io ho risiede nell’universalità della volontà, per cui


io questa o quella cosa posso farla mia. Questa mia cosa è sicco-
me contenuto particolare a me non adeguata [...] La volontà è
dunque a cagione di tale contenuto non-libera, sebbene essa ab-
bia il lato dell’infinità formalmente in sé; ad essa non corrisponde
alcuno di questi contenuti: in nessuno essa ha veramente se stes-
sa (RZ p. 67, DirA p. 289).

Il contenuto, cioè l’altro dalla volontà, rende la volontà


non-libera e così nasce l’arbitrio. A differenza che nella «li-
bertà concreta» cioè in quella che nasce dalla relazione, qui
l’altro – invece che condurre ad una maggiore libertà – rende
la volontà dipendente da lui: «nell’arbitrio è compreso ciò, che
il contenuto è determinato ad esser il mio non dalla natura del-
la mia volontà, bensì dall’accidentalità; io sono quindi pari-
menti dipendente da questo contenuto». La relazione all’altro
è qui relazione non-libera, governata non dalla logica della li-
bertà ma da quella dell’asservimento.
L’arbitrio è dunque «la volontà come contraddizione» (GW
14.1 § 15 nota p. 39, Dir p. 103): esso intende essere libero ma
nel seguire le mere inclinazioni soggettive finisce per diventare
non-libero e dipendente. Bisogna perciò superare entrambi gli
elementi che lo determinano: la natura eteronoma del conte-
nuto e il carattere astratto della volontà. Ma per farlo bisogna
superare il punto di vista intellettualistico che li tiene in vita.

L’intelletto resta fermo al mero essere-in-sé, e così definisce la li-


bertà, secondo questo essere-in-sé, come una facoltà [...] [In tal
modo esso] assume il rapporto della libertà verso ciò che essa vuo-
le – verso, cioè la sua realtà – semplicemente come l’applicazione a
una materia data, un’applicazione che non apparterrebbe all’es-
senza della libertà stessa (GW 14.1 § 10 nota p. 36, Dir p. 99).
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56 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

L’errore dell’intelletto sta nell’istituire una relazione fra la


libertà indeterminata, da un lato, e dei contenuti non liberi dal-
l’altro. La relazione non libera che si viene in tal modo ad isti-
tuire genera a sua volta una volontà non libera, appunto l’arbi-
trio. Si tratta invece di pensare la libertà in modo completa-
mente diverso, non come la deliberazione di un soggetto (libe-
ro) verso un oggetto (non libero) ma come un nesso già esi-
stente di relazioni libere tra i soggetti. Insomma va scoperta
quella dimensione oggettiva della libertà che consente il realiz-
zarsi di una relazione tra la volontà libera e un altro da essa che
entri nella dinamica della sua libertà. Che questo altro sia par-
te della libertà non dipende ovviamente dalla disposizione sog-
gettiva della volontà, non è in suo potere, ma dipende da que-
sta rete di relazioni oggettive.
La libertà del volere (o la libertà che vuole se stessa) va in-
tesa non come mera universalità astratta ma come un insieme
di pratiche e relazioni oggettive regolate dalla libertà e nelle
quali la libertà si sia già incarnata. Ciò consente di venire in
chiaro sulla natura di quell’altro da cui dipende la libertà dei
soggetti. Esso va inteso non tanto e non solo come un altro sog-
getto ma come una sfera oggettiva che diventa garanzia della li-
bertà individuale. Come vedremo, Hegel individuerà questa
sfera nell’eticità.

1.7 Libertà e autocoscienza

Se Hegel corregge i moderni e Kant negando che la libertà


sia una proprietà del soggetto o una sua facoltà e ponendola co-
me una realtà relazionale e oggettiva, d’altro canto ribadisce e
radicalizza anche l’aspetto soggettivo di essa. Del resto questo
lato è implicito nella stessa natura autoriflessiva e autotraspa-
rente della libertà rivendicata da Hegel. La condizione perché
la libertà possa essere reale (e non un mero ideale al di fuori
della storia) è che essa venga riconosciuta e gli individui storici
ne diventino consapevoli come della loro natura. «È la libertà
in sé che racchiude in se stessa la necessità infinita di recare se
medesima a coscienza – giacché, essa, secondo il suo concetto,
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LA LIBERTÀ E L’ASSOLUTO 57

è sapere di sé – e con ciò ad esistenza reale» (PhWg I pp. 63-64,


FilSt I p. 48). La consapevolezza della libertà è la sua realizza-
zione. Essa è infatti attività, sicché è reale solo nel prodursi.

Esso [lo spirito] è il prodotto di se stesso, e così è il suo principio


e anche la sua fine ... L’occupazione dello spirito è quella di pro-
dursi, di farsi oggetto di sé, di sapere di sé; così esso è per se stes-
so. Le cose della natura non sono per se stesse; perciò non sono
libere. Lo spirito produce, realizza se stesso in conformità del suo
sapere di sé: esso fa sì che, ciò che esso sa di sé, anche si realizzi
(PhWg I pp. 55-56, FilSt I pp. 38-39).

La coscienza che la libertà ha di sé coincide dunque col ma-


nifestarsi di essa e col suo realizzarsi. La libertà non può rima-
nere un oggetto ideale di contemplazione: se rimanesse un’i-
dea, se cioè rimanesse confinata nella Logica, non sarebbe li-
bertà vera. Le mancherebbe il momento del proprio autorico-
noscersi, dato che la coscienza contemplante rimarrebbe fuori
di lei, contravvenendo in tal modo proprio alla sua natura lo-
gica. Perché sia reale dev’essere identica con l’autocoscienza
che la riconosce.

Quando lo spirito sa di essere libero, è tutt’altra cosa di quando


non lo sa. Poiché quando non lo sa, esso è schiavo e contento del-
la schiavitù, e non sa che essa non gli si addice. È solo il senso del-
la libertà che rende libero lo spirito, benché egli in sé e per sé sia
sempre libero (PhWg I p. 56, FilSt I p. 39).

La libertà dello spirito è piena solo nella sua realizzazione


storica: lungi dal garantire la propria assolutezza sollevandosi al
di sopra del condizionamento storico, essa può sussistere solo
dentro la storia. L’ontologia fa qui circolo con la storia: la sua
verità dipende dall’eventualità storica. Dio si è abbandonato al
mondo e attende dal mondo la sua conferma. Ma l’età del ri-
conoscersi completo dello spirito è l’epoca moderna. Solo in es-
sa l’essere in sé della libertà viene a coincidere con il suo per sé.
Le epoche pre-moderne sono invece tipicamente caratteriz-
zate dall’assenza della coscienza della libertà. Lo spirito è sem-
pre libero, ma la sua inconsapevolezza comporta la sua illibertà
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58 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

di fatto: «Gli Orientali non sanno ancora che lo spirito, o l’uo-


mo come tale, è libero in sé. Non sapendolo, non lo sono. Es-
si sanno solo che uno è libero» (PhWg I p. 62, FilSt I p. 46), ov-
vero il despota. Tutti gli altri sono suoi sudditi.
La coscienza della libertà si affaccia invece per la prima vol-
ta presso i Greci, ma con una decisiva limitazione. Essi, «come
anche i Romani, sapevano solo che alcuni sono liberi, non l’uo-
mo come tale» (ibid.). La loro consapevolezza si spingeva solo
fino al punto in cui «l’uomo è realmente libero mercè la nasci-
ta (come cittadino ateniese, spartano, ecc.), o mercè la forza
del carattere e la cultura, mercè la filosofia (lo schiavo, anche
come schiavo e in catene, è libero)» (GW 20 § 482 nota p. 477,
Enc p. 474). Insomma la vera e propria idea della libertà «i
Greci e i Romani, Platone e Aristotele, ed anche gli stoici, non
l’hanno avuta» (ibid.).
La vera libertà si manifesta solo con l’epoca moderna, con
quell’epoca in cui si forma la coscienza «che l’uomo come uo-
mo è libero, che la libertà dello spirito costituisce la sua più pro-
pria natura» (PhWg I p. 62, FilSt I pp. 46-47). Mentre dunque
per gli Orientali uno solo è libero e per i Greci e i Romani alcu-
ni sono liberi, per i moderni tutti sono liberi. In ciò consiste la
grandezza della modernità: aver portato a compimento, grazie al
concetto di soggettività autocosciente, il cammino della libertà.
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2. L’epoca della libertà universale

L’idea moderna secondo cui ogni essere umano è libero, in-


dipendentemente dalle sue specificità di razza, lingua, religio-
ne, censo, cultura, affonda le sue radici – secondo Hegel – in
un evento storico collocato ben prima della nascita del mondo
moderno:

Quest’idea è venuta nel mondo per opera del Cristianesimo; pel


quale l’individuo come tale ha valore infinito, ed essendo ogget-
to e scopo dell’amore di Dio, è destinato ad avere relazione as-
soluta con Dio come spirito e far che questo spirito dimori in lui:
cioè l’uomo è in sé destinato alla somma libertà (GW 20 § 482
nota p. 477, Enc p. 474).

La libertà universale ha dunque radici teologiche. Alla sua


base non c’è però solo la considerazione speciale introdotta dal
Cristianesimo per l’uomo («oggetto e scopo dell’amore di
Dio») ma l’idea, ben più radicale, che l’incarnazione di Gesù
costituisca un vero e proprio ingresso della libertà di Dio nel
mondo. Non solo l’individuo come tale è libero ma la libertà
dello spirito «dimora in lui» ed è entrata «nella sfera dell’esi-
stenza mondana» (ibid.). Ne derivano due conseguenze: l’affer-
marsi della coscienza della libertà e il contemporaneo affermar-
si della realtà di essa. La modernità è caratterizzata da entram-
be. Essa è il «sapere dell’Idea, cioè il fatto che gli uomini sanno
che la loro essenza, il loro scopo e il loro oggetto è la libertà».
Ma la modernità è anche la realtà di quest’Idea: «questa idea
stessa come tale è la realtà degli uomini, non perché essi hanno
questa idea, ma perché sono questa idea». La libertà non è più
un’aspirazione, un dover essere, «un impulso, che esige la sua
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60 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

soddisfazione, ma è il carattere, – la coscienza spirituale diven-


ta l’essere senza impulsi» (ibid.). La libertà è diventata un mon-
do, un complesso di relazioni e di pratiche oggettive, da cui la
libertà soggettiva trae sostegno e alimentazione.
La grandezza dell’epoca moderna sta nell’aver sviluppato
l’idea della libertà universale in tutte le dimensioni dello spiri-
to oggettivo:
a) come libertà giuridica: la libertà «esterna» della persona
(2.1);
b) come libertà interiore: la consapevolezza dell’interna au-
tonomia del soggetto (2.2);
c) come libertà sociale: la libertà dell’uomo economico e
dell’individuo astratto della società civile (2.3).

2.1 Persona e universalità del diritto

Il primo ambito in cui si manifesta l’idea della libertà uni-


versale, cioè l’attribuzione della libertà a ogni essere umano in-
dipendentemente dalle sue caratteristiche specifiche, è la sfera
giuridica. Alla base del diritto sta infatti l’idea di persona, cioè
la considerazione dell’individuo unicamente sotto l’aspetto dei
suoi diritti e delle sue pretese giuridiche. Hegel la definisce in
prima battuta come «l’autorelazione semplice nella propria
singolarità, un’autorelazione formale, autocosciente ma priva
di contenuto» (GW 14.1 § 35 p. 51, Dir p. 127). In quella «au-
torelazione» sta l’identità della persona giuridica, la quale per-
ciò si determina solo nel rapporto con se stessa, nella esclusio-
ne di ogni specificità e di ogni contenuto particolare. L’indivi-
duo viene quindi considerato giuridicamente una persona
quando non ne vengono riconosciute le caratteristiche che lo
rendono differente dagli altri. Sotto questo profilo l’uso che
Hegel fa della nozione di persona è strettamente giuridico, pri-
vo cioè di quella caratterizzazione morale che invece è entrata
nell’uso comune del linguaggio contemporaneo.

La personalità implica ciò: Io, in quanto sono un Questo perfet-


tamente determinato e finito sotto tutti i riguardi – sia nell’inte-
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 61

riorità (come arbitrio, impulso, desiderio), sia secondo l’esistenza


esteriore immediata –, sono tuttavia assolutamente pura relazione
con me stesso, e, nella finitezza, io mi so quindi come entità infi-
nita, universale e libera (ibid.).

Benché l’individuo sia qualcosa di particolare e specifico (per-


ciò differente da ogni altro) di esso viene considerato solo il lato
universale e infinito, cioè l’uguaglianza con tutti gli altri. Consi-
derati sotto l’unico aspetto della libertà gli uomini risultano per-
fettamente uguali: sono infatti tutti liberi. La relazione formale
con loro stessi ne fa dei «questi» privi di qualunque determina-
zione, uguali tra loro nell’essere semplicemente dei «questi».
La persona quindi non è un soggetto, non è cioè quell’au-
tocoscienza che – come aveva mostrato Hegel nel celebre ca-
pitolo dedicato a questa figura nella Fenomenologia dello spiri-
to – acquisisce la consapevolezza di sé attraverso un processo
dialettico di identificazione con l’altro ma anche di differen-
ziazione da lui. La persona ha un’unica relazione con le altre
persone: quella di uguaglianza.

Io sono persona universale, e nella persona universale tutti sono


identici: questa concezione appartiene alla cultura, cioè al pensiero
come coscienza del singolare nella forma dell’universalità. L’uomo
ha valore perché è uomo, non perché è ebreo, cattolico, protestan-
te, tedesco, italiano, ecc. (GW 14.1 § 209 nota p. 175, Dir p. 365).

Alla base di quest’idea sta la convergenza di due grandi cul-


ture del mondo antico: il Cristianesimo e la civiltà romana.

Il principio della personalità autonoma ed entro sé infinita del sin-


golo, cioè il principio della libertà soggettiva, [...] interiormente è
sorto nella religione cristiana, ed esteriormente – congiunto pertan-
to con l’universalità astratta – nel mondo romano (GW 14.1 § 185
nota pp. 161-162, Dir p. 339).

Oltre al Cristianesimo Hegel annovera dunque come fonte


della soggettività moderna anche la tradizione del diritto roma-
no: è questa ad affermare l’idea giuridica della personalità astrat-
ta. A ciò egli aggiunge un contributo più recente, cioè l’idea di
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62 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Kant per la quale «ciò che vale è il pensiero» (GW 14.1 § 209
nota p. 175, Dir p. 365), dove con «pensiero» egli intende il pen-
sare astratto e universale, quello che prescinde dalle particolarità
empiriche e sta alla base dell’idea moderna di soggetto. Questa
idea – egli annota – «è d’importanza infinita» e si dimostra di-
fettosa solo là dove «come, per esempio, nel cosmopolitismo – si
fissa e si irrigidisce contrapponendosi alla vita concreta dello
Stato» (ibid.), cioè là dove quella libertà non ammette la propria
astrattezza e non riconosce la necessità del proprio completa-
mento in un quadro di concrete relazioni politico-istituzionali.
Dalla considerazione degli esseri umani come persone deri-
va poi la norma fondamentale del diritto, il suo imperativo spe-
cifico: «L’imperativo giuridico-formale è pertanto: sii una per-
sona e rispetta gli altri come persone» (GW 14.1 § 36 p. 32, Dir
p. 129). Nel concetto di persona è dunque inclusa una specifi-
ca relazione di riconoscimento. Non ci si può ritenere persona
se non si ritengono anche gli altri come persone, dato che essa
comporta l’uguaglianza universale: condizione dell’esser per-
sona è che tutti lo siano.
Si tratta però di un riconoscimento circoscritto, limitato
cioè all’attribuzione della personalità: ci si riconosce solo come
persone, approvando e accettando le rispettive pretese giuridi-
che. Il diritto non prescrive infatti alcun comportamento mo-
rale. Esso si limita a veicolare la norma del rispetto dell’altro
nei suoi diritti non vietando in alcun modo che i singoli conti-
nuino a perseguire i loro propri interessi. Se questa ricerca del
proprio interesse non lede i diritti degli altri risulterà perfetta-
mente legittima e perseguibile illimitatamente.
Pur entro i predetti limiti, l’altro viene però riconosciuto,
come viene evidenziato nella trattazione hegeliana del contrat-
to. Questo viene considerato da Hegel come una relazione fra
proprietari che intendono scambiare le loro proprietà. In esso
quindi il rapporto con l’altro si fa certamente più concreto ri-
spetto all’esposizione astratta della persona. Ma anche qui l’al-
tro viene preso in considerazione solo nella sua veste di pro-
prietario. In tal modo i due contraenti diventano uguali l’uno
con l’altro, si incontrano cioè solo in quanto sono uguali, in
quanto sono solo dei proprietari. Tutte le altre loro particola-
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 63

rità sono dimenticate e messe da parte, perché non determina-


no il motivo del loro incontrarsi. Qui sorge il paradosso, giac-
ché il proprietario si presenta come colui che non ha alcuna
«proprietà», alcuna qualità, alcuna caratterizzazione. Egli per-
de la sua Eigentümlichkeit, la sua proprietà-specificità, diven-
tando identico a tutti gli altri. Entrando nella logica del con-
tratto-scambio egli si omologa a tutti loro1.

Il contratto è il processo in cui si presenta e media se stessa la se-


guente contraddizione: io sono e resto un proprietario essente-
per-me, escludente l’altra volontà, nella misura in cui io, identifi-
cando la mia volontà con l’altra, cesso di essere un proprietario
(GW 14.1 § 72 p. 77, Dir p. 177).

Accedendo al contratto il proprietario spezza la sua chiusu-


ra in se stesso e la sua particolarità, si apre all’altro riconoscen-
dosi uguale a lui e perdendo a questo punto ogni sua specifi-
cità: «nell’unità di volontà differenti» infatti «ciascuna di que-
ste volontà rinuncia al proprio carattere differente (Unterschie-
denheit) e peculiare (Eigentümlichkeit)» (GW 14.1 § 73 p. 77,
Dir p. 177) Ciò spiega la celebre affermazione hegeliana secon-
do cui il contratto comporta che «ciascun contraente, con la
propria volontà e con quella dell’altro, cessi di essere proprie-
tario, lo rimanga e lo divenga» (GW 14.1 § 74 p. 77, Dir p. 177).
Essa sta a indicare non solo che nello scambio si perde una
proprietà acquisendone contemporaneamente un’altra (ces-
sando di essere e diventando contemporaneamente un pro-
prietario) ma anche che il proprietario cessa di essere se stesso
pur rimanendolo al tempo stesso. Benché rinunci a se stesso,
egli infatti entra in quel rapporto solo in quanto rimane un pro-
prietario. Al tempo stesso egli torna a riprodurre nuovamente
questo suo stato diventando un membro indistinto della co-
munità dei proprietari.
La relazione resta tuttavia puramente formale. I due con-
traenti per entrare in rapporto come proprietari devono nega-
1 M. THEUNISSEN, 1982, ha introdotto – a questo proposito – il concetto
di «Veranderung», usato per indicare il processo del diventare-altro, del
cambiare se stesso nel farsi identico all’altro (pp. 361-363).
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64 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

re la loro identità più propria e quindi pur diventando l’uno


uguale all’altro restano fondamentalmente due estranei che
non sanno nulla l’uno dell’altro2.
Questa uguaglianza è così astratta da risultare sostanzial-
mente incapace di produrre una relazione con i caratteri del-
l’universalità. Base del contratto è infatti l’arbitrio dei singoli,
non la volontà universale. Ne risulta un accordo che è solo il
compromesso tra due volontà arbitrarie.

La volontà identica che, mediante il contratto, accede all’esisten-


za, è soltanto una volontà posta dalle parti contraenti, e quindi è
soltanto una volontà comune, non una volontà in sé e per sé uni-
versale (GW 14.1 § 75 p. 78, Dir p. 179).

Il mondo del diritto non prescrive l’universalità (questo


sarà il criterio del mondo morale) dato che la sua funzione è so-
lo quella di consentire ai singoli di seguire il loro arbitrio par-
ticolare, cioè di agire strategicamente, senza danneggiare gli al-
tri. L’unica universalità giuridica è quella della persona e non
riguarda perciò il fine delle azioni. Da ciò il raggiungimento
della sola comunanza ma non dell’universalità. Nella comunan-
za infatti, a differenza dell’universalità, le particolarità agisco-
no in base ai loro interessi e desideri senza mai esser messe in
discussione in loro stesse. Anzi l’arbitrio individuale viene so-
stanzialmente accolto e reso compatibile con l’arbitrio di tutti
gli altri. La comunanza è quindi nella sua essenza a-sociale, pri-
va di effettive relazioni intersoggettive. Ciò ovviamente non si-
gnifica che la libertà della persona coincida con la libertà del-
l’arbitrio: al contrario la libertà giuridica prescinde dall’arbi-
trio e dall’individuo concreto, limitandosi a considerarlo solo
come una persona astratta e garantendolo proprio contro l’e-
spansione illimitata di ogni volontà arbitraria.
J. Ritter, nei suoi studi su Hegel, ha interpretato il carattere
fondamentale della libertà giuridica assumendo come suo con-
cetto distintivo la categoria hegeliana della scissione. È infatti
2 Hegel conferma, nella nota ad un paragrafo successivo, che la relazione
giuridica non è «una relazione positiva con la volontà d’altri» (GW 14.1 § 113
nota p. 102, Dir p. 227).
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 65

alla luce di quella categoria che – secondo Ritter – Hegel in-


terpreta la modernità3. Ora in che cosa consiste propriamente
questa scissione? Essa qualifica essenzialmente la rottura radi-
cale compiuta dalla modernità nei confronti delle epoche pas-
sate e in particolare nei confronti delle tradizioni del passato.

La società moderna e la sua civilizzazione [...] stanno sovverten-


do su tutta la terra gli antichi ordinamenti del passato, divenuti
ormai storici, separando gli uomini da tali istituzioni e ricondu-
cendoli all’uguaglianza del loro costitutivo esser uomini4.

Il realizzarsi moderno dell’uguaglianza, cioè l’affermarsi


della libertà della persona giuridica, comporta una «rottura»
nei confronti dell’uomo tradizionale. Essa separa l’uomo astrat-
to dall’uomo concreto, quello legato allo status, alla cultura, al-
la religione, producendo in tal modo un concetto dell’essere
umano, la persona, che prescinde completamente dalla sua con-
cretezza storico-sociale.

Il futuro caratterizzato per la sua uguaglianza non ha alcuna con-


tinuità rispetto agli ordinamenti storici del passato. L’essere stori-
co e l’essere sociale dell’uomo si separano. Ciò che in sé sussiste
congiuntamente nell’esistenza dell’uomo viene scisso5.

L’essere storico, ovvero l’appartenenza a un ceto e ad una


tradizione, viene separato dall’essere sociale, cioè dall’ugua-
glianza giuridica con tutti. La scissione della modernità nei
confronti del passato è perciò una scissione interna all’uomo
moderno fra la sua disuguaglianza sostanziale e la sua ugua-
glianza formale. Essa comporta inoltre una scissione fra l’indi-
viduo e la comunità, in quanto la persona giuridica è l’indivi-
duo astratto dai legami comunitari, sciolto dal contesto storico
che gli conferisce concretezza e specificità.

3 «La scissione è per lui la costituzione fondamentale della nuova epoca»


(J. RITTER, 1957, trad. it. p. 43), e ancora: «la scissione è intesa da Hegel
come la forma del mondo moderno e della sua coscienza» (ivi, p. 45).
4 J. RITTER, 1969, trad. it. p. 209.
5 Ibid.
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66 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Secondo Ritter Hegel sarebbe pienamente consapevole del


carattere strutturale e quindi insuperabile di questa scissione.
Per lui «non esiste alcuna possibilità di trarsi fuori dalla scis-
sione»6 ma ciò non costituirebbe né uno scacco definitivo del
pensiero né rappresenterebbe una difficoltà insormontabile
per la continuità della storia. Compito del pensiero non sareb-
be certamente quello, ineseguibile, di realizzare la composizio-
ne della scissione ma quello di porre, come scrive Hegel nella
Differenzschrift, «la scissione nell’assoluto – come manifesta-
zione (Erscheinung) di esso» (GW 4 p. 16, Diff p. 17). Se la
scissione è già nell’assoluto, quella che si manifesta nel mondo
moderno non è altro che la sua espressione storica: essa va
quindi pensata ma non cancellata.
Sul piano storico-politico proprio l’insuperabilità della scis-
sione nei confronti del passato, lungi dal rendere definitiva la
rottura nei confronti della storia, ne rende possibile proprio la
continuità7. La modernità astraendo dal passato realizza infatti
quella libertà che è stata il filo ininterrotto dell’esperienza sto-
rica dell’Occidente. La libertà astratta non è altro che l’esten-
sione universalistica di quella libertà che nell’antichità era ri-
servata a pochi privilegiati. Insomma la scissione è un passag-
gio ineliminabile perché la libertà possa proseguire il suo cam-
mino trovando finalmente il terreno della sua realizzazione.
Questa analisi viene sostanzialmente confermata anche da
Ch. Taylor, secondo il quale «la bella totalità greca doveva soc-
combere, perché così solo, attraverso l’interna lacerazione,
l’uomo poteva aspirare alla chiarezza di sé»8, cioè alla scoperta
della propria libertà interiore. Senza la rottura nei confronti
dell’uomo concreto mai si sarebbe potuta raggiungere l’idea
della soggettività autoriflettente e autonoma, l’idea dell’indivi-
duo astratto che è uguale a se stesso e in forza della quale tut-
ti sono uguali tra loro. Hegel lo ribadisce più volte, in partico-
lare nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia, quando afferma
che «il principio del pensiero libero, dell’interiorità dell’uomo,

6 J. RITTER, 1957, trad. it. p. 45.


7 Cfr. ivi, pp. 56-67.
8 CH. TAYLOR, 1979a, trad. it. p. 20.
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 67

ha prodotto la scissione» (PhWg III p. 638, FilSt III p. 134) e


che questa scissione era assolutamente necessaria per uscire
dall’eticità greca, la quale «per quanto supremamente bella,
amabile e interessante, non è tuttavia il grado supremo del-
l’autocoscienza spirituale; le manca l’infinita forma, proprio
quella riflessione del pensare in sé» (PhWg III p. 639, FilSt III
p. 135). Insomma «l’elemento della soggettività, della moralità,
della propria riflessione e dell’interiorità» era sì fattore di «cor-
ruzione» ma era anche «la fonte dell’ulteriore progresso»
(ibid.). Di fronte a ciò, conclude Taylor, non si poteva pensare
di ricomporre l’infranto riproponendo proprio quella bella eti-
cità da cui era uscita la soggettività moderna con tutto il suo ca-
rico di scissioni: «Non si poteva concedere che l’irresistibile
nostalgia per la dissolta armonia del reale desse libero corso ad
avventurosi progetti di ritorno alle origini»9. La scissione an-
dava affrontata e la soluzione dei suoi problemi andava ritro-
vata al suo interno e non al di fuori di essa.
L’analisi del legame fra la scissione e l’instaurarsi del diritto
astratto era già stata affrontata da Hegel – con ampio respiro –
nel capitolo VI della Fenomenologia dello spirito. Qui il mon-
do giuridico romano veniva considerato nella sua affermazione
storica dopo la fine della comunità tradizionale rappresentata
dalla polis antica. Mentre questa era caratterizzata dall’unità
sostanziale di individuo e comunità, con la sua crisi si afferma
un modello di Stato in cui la comunità si dissolve in un uni-
versalismo meramente formale privo di sostanza e l’individuo
acquisisce un’autonomia dal tutto solo apparente, perché pri-
va di qualunque specificità.

Adesso la sostanza emerge in tutti come un’universalità formale,


non più come loro immanente spirito vitale: la compattezza sem-
plice della sua individualità si è frantumata in una moltitudine di
punti (GW 9 p. 260, Fen p. 643).

Nel passaggio dalla polis all’impero universale la comunità


si è dissolta e gli individui prima compatti nell’unità sostanzia-

9 Ibid.
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68 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

le dell’etico sono diventati una molteplicità indistinta di punti,


mera sommatoria di persone uguali fra loro.

L’unità vitale immediata tra l’individualità e la sostanza è ritornata


nell’unità universale. Questa è la comunità priva di spiritualità che
ha cessato di essere la sostanza non autocosciente degli individui, e
in cui gli individui stessi, nel loro essere-per-sé singolare, hanno ades-
so il valore di autoessenze e di sostanze (GW 9 p. 260, Fen p. 645).

La comunità ha perso sia la propria sostanzialità sia la pro-


pria «spiritualità» essendo crollato l’impianto etico che la so-
steneva. Da qui nasce però l’indipendenza dell’individuo che
prima invece era dominato dalla comunità e da essa dipende-
va. Egli diviene infatti «autoessenza» (Selbstwesen), cioè trova
il suo fondamento in se stesso e non più fuori di sé, e «sostan-
za», diventa cioè indipendente in quanto individuo, caratteri-
stica che prima poteva possedere solo la comunità.
Quell’individualità conquistata sulle ceneri della comunità
tradizionale è però solo apparente. Il singolo che ora è oppo-
sto al tutto vale solo come «uno», non vale per ciò che egli è in
sé, per le sue qualità e specificità. Quello che nasce dalla di-
sgregazione della comunità antica è solo l’individuo astratto.

L’universale, questo spirito morto frantumato negli atomi della


molteplicità assoluta degli individui, è un’uguaglianza in cui tutti
hanno il valore di ciascuno, valgono cioè come persone (ibid.).

L’individuo emergente dalla rottura dell’universalità con-


creta è solo un atomo, il cui unico segnale distintivo è l’egua-
glianza con tutti gli altri, cioè l’eguaglianza giuridica, nella qua-
le – come si è visto – si prescinde completamente dalle vere e
proprie caratteristiche individuali. Nasce qui la persona che è
tale proprio in quanto tutti sono persone. In questo senso ciò
che sorge dalla rottura della comunità etica non è una nuova
comunità ma un nuovo status dell’umanità, quello che Hegel
qui chiama la «condizione giuridica» (Rechtszustand)10. In essa
10 Tradotto da De Negri con «stato di diritto» (Fen 1, p. 36) e da Cicero
con «stato giuridico», espressioni che rischiano di confonderlo con lo Stato
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 69

l’eguaglianza astratta diventa il sostituto dei rapporti viventi fra


i membri della vecchia comunità. Ma l’eguaglianza non è un
rapporto: è piuttosto la conseguenza e la riaffermazione del-
l’assenza di un rapporto.
Nasce in questa condizione quello che lo Hegel della Feno-
menologia chiama «il Sé» (das Selbst), cioè la riflessione della co-
scienza in se stessa e la scoperta della differenza fra sé e la tota-
lità sociale. Certo qui siamo ancora alla prima, aurorale, forma
del Sé, cui seguiranno quelle del mondo moderno, ma i caratte-
ri fondamentali sono già presenti. Il suo tratto caratteristico è
dato da una sorta di coincidenza immediata fra individualità e
universalità (laddove invece nelle figure successive quel rappor-
to perderà ogni immediatezza11). Coincidenza immediata signi-
fica che l’individuo, pur opposto all’universalità astratta di cui
fa parte, è esso stesso un universale, vale a dire è un «punto»
uguale a tutti gli altri «punti» e dunque privo di particolarità.

Come la persona è il Sé vuoto di sostanza, così la sua esistenza è


la realtà astratta. La persona ha valore immediato. Il Sé è qui il
punto immediatamente in quiete nell’elemento del suo essere, e
non è separato dalla sua universalità; il Sé e l’universalità, pertan-
to, non hanno movimento né rapporto reciproco: l’universale è
senza differenziazione interna e non costituisce il contenuto del
Sé, né il Sé è riempito da se stesso (GW 9 p. 341, Fen p. 843).

Essere universale da parte del Sé significa qui essere sosti-


tuibile con chiunque altro. L’universale di cui egli è costituito
è infatti «senza differenziazione interna», cioè senza contenuti
se non quello di essere un «tutto», una molteplicità di indivi-
dui irrelati fra loro. Non c’è infatti alcun rapporto (alcun «mo-

di diritto moderno, lo «Zustand» al quale qui Hegel si riferisce non è pro-


priamente uno Stato («Staat») ma è uno stato dell’esistenza, la condizione
«spirituale» in cui si viene a trovare l’umanità con l’affermarsi della civiltà
giuridica romana. Più convincente la soluzione adottata da Garelli («statuto
giuridico») nella sua recente traduzione (Fen 2, p. 318).
11 Per maggiori particolari si veda l’illustrazione delle tre figure del Sé (la
persona giuridica, la libertà assoluta come conclusione della Bildung moder-
na e la coscienza morale certa di sé) all’inizio della sezione dedicata al Gewis-
sen (la certezza morale): cfr. GW 9 pp. 341-342, Fen p. 843.
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70 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

vimento») tra loro, né fra loro e l’universale. La totalità di cui


fanno parte non fornisce loro alcun contenuto («non costitui-
sce il contenuto del Sé») ma è solo il contenitore costituito da
quegli individui tutti uguali. In questo senso il loro rapporto è
immediato («non è separato»), cioè senza alcun termine medio
che dia a quella relazione un qualche significato concreto che
non sia il mero coincidere dell’uno con l’altro.
In una tale condizione l’individuo, che in un primo momen-
to – proprio in seguito alla liberazione dalla precedente com-
pattezza comunitaria – aveva scoperto la propria sostanzialità,
torna a perderla subito dopo. Quel Sé è «vuoto di sostanza»:
nel mentre vede la propria sussistenza nell’indipendenza dalla
totalità ne scopre anche l’estrema vuotezza e inessenzialità.

La coscienza del diritto sperimenta nel suo effettivo valere la per-


dita della propria realtà (Verlust seiner Realität) e la propria com-
pleta inessenzialità (Unwesentlichkeit): definire un individuo come
una persona è espressione di disprezzo (GW 9 p. 262, Fen p. 649).

Un individuo che valga solo per la sua astratta uguaglianza con


tutti gli altri non vale niente. Non ha alcuna qualità né particola-
rità, perciò si scopre come inessenziale. E definirlo persona equi-
vale a disprezzarlo, a non prenderlo in alcuna considerazione.
A ciò si aggiunga che una società regolata solo dal diritto e
priva di quell’ethos sostanziale che costituiva il fondamento del-
la polis è destinata a lasciar briglia sciolta all’arbitrio degli istinti
e delle passioni e a dar libero corso al «caos delle potenze spiri-
tuali, le quali, scatenandosi come essenze elementari in una sel-
vaggia dissolutezza, si agitano l’una contro l’altra con follia deva-
statrice» (GW 9 p. 263, Fen p. 649). In un tale contesto l’indivi-
dualità tocca con mano la propria accidentalità e la totale espo-
sizione agli eventi che la circondano e la minacciano. La rottura
della totalità ha posto fine non solo alla comunità tradizionale ma
ha esposto anche l’individuo al pericolo dell’annientamento.
L’analisi hegeliana della condizione giuridica e della perso-
na astratta ne manifesta fino in fondo la duplice natura. Certa-
mente con la loro affermazione viene guadagnata una nuova
condizione umana del tutto sconosciuta al vecchio mondo del-
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 71

l’eticità sostanziale ma quel progresso viene al tempo stesso pa-


gato con una perdita altrettanto essenziale. La nascita della
modernità – da Hegel fatta retrocedere fin dentro al mondo
antico – viene segnata in tal modo da un processo che è al tem-
po stesso di emancipazione e di estraniazione.
Il primo aspetto è stato sottolineato con convinzione dagli
studi di J. Ritter. Egli mette in luce infatti il particolare signifi-
cato liberatorio che assume in Hegel la giuridificazione dei rap-
porti intersoggettivi. Con il loro intervento le relazioni fra gli in-
dividui vengono mediate dalle cose, cioè dai rapporti di pro-
prietà che essi hanno con i loro oggetti. Come abbiamo visto i
loro rapporti reciproci sono in ultima istanza solo rapporti di
proprietà12. Ma ciò significa che il diritto sancisce la signoria
dell’uomo sulle cose, ovvero quel processo storico «attraverso il
quale la natura viene trasformata in una cosa e come cosa viene
presa in possesso dall’uomo»13. In questo modo la libertà non
rimane chiusa nel privato del mondo interiore ma assume forma
oggettiva e storica. Per dirla con Hegel, «nella proprietà la mia
volontà diviene oggettiva ai miei occhi come volontà personale»
(GW 14.1 § 46 p. 57, Dir p. 139 – corsivo nostro) e la libertà tro-
va espressione di sé nella «sfera esterna» (GW 14.1 § 41 p. 55,
Dir p. 135). Diventando una proprietà la cosa vede impresso su
di sé il segno della libertà umana, il sigillo del primato della li-
bertà sulla necessità naturale. Nella proprietà risiede dunque,
secondo Ritter, la «condizione di possibilità del realizzarsi del-
la libertà in tutta l’ampiezza della sua sostanza religiosa, politi-
ca, etica»14. L’uomo infatti «può divenire libero in atto solo li-
berandosi dall’illibertà dello stato di natura, spezzando il pote-
re della natura e facendo della natura una cosa»15.
Due sono perciò i risultati ottenuti dal processo di giuridi-
ficazione: l’oggettivarsi della libertà nel mondo esterno e la li-
berazione dell’uomo dal dominio della natura. Certo, quella

12 «La persona, differenziandosi da sé, si rapporta a un’altra persona, e,


precisamente, nel senso che ciascuna ha esistenza per l’altra soltanto come
proprietario» (GW 14.1 § 40 p. 53, Dir p. 131).
13 J. RITTER, 1969, trad. it. p. 151.
14 Ivi, trad. it. p. 148.
15 Ivi, trad. it. p. 152.
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72 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

giuridificazione significa per Hegel la distruzione di ogni lega-


me umano e personale, ma «al di là della negatività che anche
per lui la caratterizza, egli resta fedele alla convinzione che il
rapporto interpersonale limitato alle cose sia non solo la con-
dizione della liberazione dalla natura, ma anche positivamente
la condizione della libertà degli individui»16, cioè del suo farsi
oggettivo. Libertà giuridica significa qui essenzialmente l’au-
toaffermazione dello spirito e la sua signoria sulla natura.
Ritter non nasconde il lato reificante di una tale affermazio-
ne della libertà, in quanto la regolazione dei rapporti sociali co-
me mediati dalle cose comporta inevitabilmente una riduzione
a cose di tali rapporti. Tuttavia egli ritiene che questa reifica-
zione sia comunque un progresso rispetto all’antichità, in
quanto per gli antichi la condizione della schiavitù comporta-
va la riduzione di tutto l’uomo a cosa. Con la modernità inve-
ce si afferma una concezione della libertà secondo la quale «es-
si possono cedere come “cosa” e “alienare” nella forma giuri-
dica del contratto solo la forza-lavoro e l’uso delle loro capa-
cità, e solo per un dato tempo, ma non se stessi»17. In tal mo-
do «la libertà diviene, per la prima volta senza limitazioni,
principio di una società. Come mondo del lavoro rapportato
alle cose, la società moderna non solo libera l’uomo dal potere
della natura, ma contemporaneamente, in quanto reifica il la-
voro e tutti i rapporti di lavoro in modo tale che le capacità
possono essere alienate solo come cose e proprietà, e solo per
un dato tempo, essa eleva la libertà a principio universale»18.
Ciò che resta non riducibile a cosa e quindi immune dalla lo-
gica della reificazione è proprio la libertà giuridica e il rispetto
per la persona che essa introduce.
Ritter vuole muoversi palesemente in controtendenza ri-
spetto a Marx. Laddove questi criticava proprio la contraddi-
zione dell’uomo moderno fra la libertà formale e l’illibertà so-
stanziale del mondo economico e del lavoro, Ritter esalta pro-
prio quella scissione mostrando il lato emancipante della li-

16 Ivi, trad. it. p. 156.


17 Ivi, trad. it. p. 158.
18 Ivi, trad. it. p. 159.
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 73

bertà formale. Ma quei processi lavorativi occupano gran par-


te della vita dell’uomo e la loro logica è diventata così domi-
nante da invadere quasi tutti gli altri spazi del nostro mondo vi-
tale. Le teorie novecentesche sulla reificazione, nella varietà
delle loro forme concettuali e analitiche, stanno lì a dimostrar-
lo. Solo una sopravvalutazione del ruolo della libertà formale
nella vita concreta degli individui può farci ritenere che i mo-
derni vivano e percepiscano la reificazione di una parte essen-
ziale del loro Sé come un processo emancipativo.
Anche l’utilizzo della filosofia hegeliana in funzione critica
anti-marxiana raggiunge il suo obiettivo solo a metà. Hegel in-
fatti si mostra su questo punto molto più problematico di
quanto Ritter non voglia farlo apparire. Nelle sue analisi la giu-
ridificazione della vita concreta e la sua riduzione a rapporti
astratti non viene vissuta prevalentemente come una emanci-
pazione ma come una perdita. Lo sviluppo del suo pensiero sul
tema della scissione, dalla Differenzschrift alla Fenomenologia,
conduce a una diagnosi, secondo la quale la scissione della mo-
dernità assume i tratti di una vera e propria estraniazione.
Egli scrive infatti che il mondo del diritto e della libertà for-
male della persona appare all’essere umano concreto come una
«realtà che gli è divenuta estranea» (GW 9 p. 264, Fen p. 651).
L’individuo inteso come una persona uguale a tutte le altre per-
sone è infatti una costruzione giuridica, non la sua realtà con-
creta. Gli individui perciò vedono questa loro immagine come
qualcosa che certo viene attribuita loro ma che è al contempo
profondamente estranea al loro essere più proprio.

Questo mondo è essenza spirituale, è in sé la compenetrazione


dell’essere e dell’individualità, e la sua esistenza è l’opera dell’au-
tocoscienza (Werk des Selbstbewusstseins); tuttavia, tale essenza
costituisce una realtà immediatamente data e estranea (fremd) al-
l’autocoscienza, una realtà che ha un essere peculiare in cui l’au-
tocoscienza non si riconosce. Ora, questa realtà è l’essenza este-
riore e il contenuto libero del diritto (GW 9 p. 264, Fen p. 653).

La libertà ha costruito un mondo, la condizione giuridica,


nella quale però gli individui non si riconoscono. Hegel quali-
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74 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

fica questa opera di costruzione come un processo di alienazio-


ne (Entäußerung), ovvero come un conferimento da parte del-
l’autocoscienza della propria essenza al di fuori di sé: «essa [la
realtà del diritto, n.d.r.] riceve la sua esistenza mediante la pro-
pria alienazione (Entäußerung) e perdita dell’essenza (Entwe-
sung) da parte dell’autocoscienza» (ibid. – corsivi nostri). Tut-
tavia non dobbiamo intendere in senso negativo il concetto di
Entäußerung usato qui da Hegel. Gli usi che successivamente
ne sono stati fatti (basti pensare innanzitutto a Marx) non de-
vono pregiudicarne la corretta comprensione. In questo conte-
sto esso ha infatti il solo significato neutrale di «esteriorizza-
zione» (e questo è propriamente la traduzione che tecnica-
mente più si avvicina al significato che qui Hegel intende con-
ferire a tale espressione19), indica cioè il processo con cui l’in-
dividuo trasferisce la propria essenza al di fuori di sé.
Che non si tratti di un processo negativo viene chiarito po-
co dopo da Hegel, quando egli spiega che questo è l’unico mo-
do con cui l’individuo riesce ad essere reale: «L’autocoscienza
è soltanto un qualcosa, e ha realtà (Realität) solo nella misura in
cui si rende estranea a se stessa» (GW 9 p. 267, Fen p. 661).
Questa è la condizione dell’uomo moderno, di quell’uomo che
ormai ha perso il suo posto tradizionale all’interno di una co-
munità, che è diventato indipendente dalla totalità sociale, ma
che, trovatosi da solo e senza più i sostegni tradizionali, riesce
ad essere reale solo «costruendo» la realtà attorno a sé e tra-
sferendo in essa le proprie caratteristiche. Al di fuori di queste
costruzioni, al di fuori di quell’«opera» egli è mera naturalità,
accidentalità che si lascia travolgere dagli istinti e dalle passio-
ni, puro «gioco di elementi impetuosi».

Il Sé immediatamente valido in sé e per sé senza estraniazione, è


senza sostanza e costituisce il gioco di quegli elementi impetuosi;

19 Cicero traduce qui correttamente – da questo punto di vista – Entäuße-


rung con esteriorizzazione, evitando perciò di conferirle quel significato negati-
vo che inevitabilmente si accompagna al concetto di alienazione. Tuttavia
Entäußerung viene tradotta da sempre in italiano con alienazione e l’uso della
parola esteriorizzazione fa perdere tutti i collegamenti con la storia successiva di
un concetto che ha in queste pagine uno dei suoi principali luoghi di origine.
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 75

la sostanza del Sé, dunque, è la sua stessa esteriorizzazione, e l’e-


steriorizzazione è la sostanza (GW 9 pp. 264-265, Fen p. 655).

Mediante l’alienazione il Sé ottiene finalmente quella so-


stanzialità che dopo la dissoluzione della comunità etica egli
aveva perso irrimediabilmente. L’alienazione è quindi certa-
mente la perdita dell’essenza e il suo trasferimento in un mon-
do esterno all’autocoscienza ma essa è anche il modo in cui
quell’autocoscienza naturale, perduta nella sua mera natura-
lità, ritrova la propria sostanzialità e consistenza.
La «condizione giuridica» è la prima modalità con cui quel
Sé naturale si costruisce un mondo «artificiale» in cui ritro-
varsi. Ma quella condizione non può essere per lui soddisfa-
cente. Da ciò la continuazione di quel processo e la progres-
siva creazione di un mondo in cui il Sé si trasferisce. È questo
per Hegel il carattere fondamentale della modernità: essa con-
siste in un processo di formazione (Bildung) grazie al quale
l’originaria individualità naturale diventa progressivamente
«civile». L’uomo moderno, ormai definitivamente uscito dal-
la comunità tradizionale, non può accettarsi come meramen-
te naturale, vede cioè la radicale insufficienza e accidentalità
di un’esistenza solo istinti e passioni. Il principio fondamen-
tale della modernità è che dallo stato di natura bisogna uscire
e se ne esce attraverso la creazione di prodotti culturali, so-
ciali, economici, politici, cioè attraverso l’oggettivazione del
Sé al di fuori di se stesso. E quell’oggettivazione retroagisce
sull’individuo che l’ha prodotta funzionando su di lui come
un processo di formazione culturale, istituzionale, etica, eco-
nomica, politica.

In questa sfera l’individuo ha valore e realtà mediante la cultura


(Bildung). La vera natura e sostanza originaria dell’individuo è lo
spirito dell’estraniazione dell’essere naturale [...] Tale individua-
lità si coltiva (bildet sich) fino a raggiungere il proprio in-sé, e so-
lo in questo modo essa è in sé e ha esistenza reale (wirkliches Da-
sein); la sua realtà e la sua potenza sono direttamente proporzio-
nali alla sua cultura (GW 9 p. 267, Fen p. 661).
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76 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Nel mondo moderno l’individuo non vale per la sua natura


ma per la sua cultura, per il mondo che è riuscito a costruirsi,
per ciò che attraverso quel processo di coltivazione e affina-
mento egli è alla fine diventato, cioè per i «prodotti» del suo
spirito. La sua vera natura originaria non sta nella mera natu-
ralità ma nei prodotti del suo lavoro spirituale, nei risultati og-
gettivati della sua alienazione. La vera natura è quella artificia-
le dei prodotti dell’uomo. Questo è il suo vero mondo.
A quel risultato egli perviene però attraverso la rinuncia.
Deve cioè rinunciare alla propria naturalità e ai propri istinti
immediati. Questo è il prezzo che deve pagare per acquisire so-
stanzialità: «La rinuncia (Entsagung) al proprio essere-per-sé è
essa stessa la produzione della realtà» (ibid.). Il trasferimento
del Sé al di fuori di sé è un processo che è contemporanea-
mente di rinuncia e di costruzione: cresce il mondo culturale
quanto più si rinuncia a quello naturale. La civiltà nasce e si
rafforza grazie alla repressione degli istinti, un tema che sarà
percorso in profondità dalla cultura contemporanea. Ma que-
sto è anche il paradigma su cui i teorici moderni della politica
hanno immaginato la nascita dello Stato: è la rinuncia alla for-
za naturale da parte degli individui in lotta fra loro che con-
sente la loro sottomissione al Leviatano e «crea» la forza «arti-
ficiale» dello Stato. Per questa via essi tornano così a riguada-
gnare la loro forza originaria: riconoscendosi nel loro prodot-
to, nella forza politica dello Stato moderno. La loro «realtà
consiste solo nel toglimento (Aufheben) del Sé naturale»
(ibid.), nella rinuncia alla loro spontaneità e immediatezza.
Hegel tuttavia avverte: l’autocoscienza nel momento in cui
produce il suo mondo artificiale fuori di lei lo vede però come
un mondo a lei estraneo. Questo risultato potrà apparire para-
dossale, dato che quel mondo resta un suo prodotto e quindi
sembrerebbero esserci tutte le condizioni per l’accoglimento di
quell’oggettivazione e per riconoscere il proprio Sé in essa. Ma
questo non è quello che accade. Il risultato della Entäußerung
non è il ritrovarsi del Sé nell’altro ma è l’esperienza della Ent-
fremdung, l’esperienza dell’estraniazione20. L’uomo moderno

20 Hegel tratta l’estraneazione (Entfremdung) come la conseguenza e il ri-


Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 77

L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 77

ha costruito un mondo artificiale a sua misura, uscito dal suo


Sé, ma in quel mondo finisce per non riconoscersi. La civiltà,
fondata sulla repressione degli istinti e sulla rinuncia alla natu-
ralità, produce «disagio» e senso di estraniazione. È questo il
carattere fondamentale della Bildung moderna.
Conseguenza di questa situazione non è però l’interruzione
del processo di formazione, ma paradossalmente il suo incre-
mento. L’individuo infatti continua a costruire il proprio mon-
do artificiale attorno a lui perché vede in quell’attività l’unico
modo per superare lo stato di estraneità. L’autocoscienza
«alienando la propria personalità, produce il proprio mondo e
si comporta nei suoi riguardi come se si trattasse di un mondo
estraneo di cui essa debba impadronirsi» (GW 9 p. 267, Fen
p. 659). Insomma il processo della Bildung è contemporanea-
mente un processo di alienazione e di riappropriazione dell’e-
straneo. In ciò sta la sua duplice natura.

Il mondo reale costituisce per l’autocoscienza qualcosa di imme-


diatamente estraneo che ha la forma della realtà fissa e impertur-
bata. Nello stesso tempo, però, l’autocoscienza ha la certezza che
il mondo reale è la sua propria sostanza, e quindi si appresta ad im-
padronirsene (geht es sich derselben zu bemächtigen), e la Bildung
è appunto il mezzo grazie al quale l’autocoscienza riesce ad eserci-
tare la propria potenza sul mondo reale (GW 9 p. 268, Fen p. 663).

La contraddizione del mondo moderno sta nel fatto che la


Bildung è il processo con cui l’individuo perde la sua essenza e
la trasferisce in altro ma è anche il mezzo con il quale egli ten-
ta di riprendersi questa sua essenza perduta. Ovviamente più
usa lo strumento «culturale» più rafforza il processo di aliena-
zione e tanto più avrà bisogno di «cultura» per tornare a im-
padronirsene. Da questo circolo paradossale egli non sembra
in grado di uscire.

sultato dell’alienazione (Entäußerung). È attraverso il processo di esterioriz-


zazione che si produce un mondo estraniato in cui il prodotto di quell’este-
riorizzazione non viene più riconosciuto da chi l’ha creato. Sul rapporto fra
questi due termini si veda il sempre valido contributo di A. MASSOLO, 1973,
pp. 198-211.
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78 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

In effetti noi moderni abbiamo maturato nei confronti dei


prodotti che popolano il mondo attorno a noi una duplice con-
sapevolezza intimamente antinomica. Da un lato ritroviamo noi
stessi in quei prodotti e in essi riconosciamo la nostra essenza.
Dall’altro sperimentiamo l’estraneità nei confronti di oggetti
che restano artificiali. A una coscienza integrata e interiormen-
te pacificata opponiamo una coscienza inconciliata e critica.
Hegel lo teorizza e chiama la prima «coscienza reale» (wirkli-
ches Bewußtsein) e la seconda «coscienza pura» (reines
Bewußtsein). Quella «reale» vive l’unità del Sé e dell’oggetti-
vità da lui prodotta, «trapassando» quasi nel mondo oggettivo
da lei prodotto, quella «pura» sente tutta l’estraneità di quella
realtà «fissa» ed esteriore21. I processi della modernità portano
i segni di questa contraddizione inconciliata. La Fenomenolo-
gia dello spirito attraversa le molteplici forme e modalità che
quella contraddizione assume, senza mai arrivare a una solu-
zione definitiva di quell’antinomia. La dialettica della Bildung
presenta qui i tratti di una strutturale irrisolvibilità22.

21 «In tal modo la sostanza è spirito, è unità autocosciente del Sé e del-


l’essenza, ma entrambi i termini hanno anche, l’uno per l’altro, il significato
dell’estraniazione (Entfremdung). Lo spirito è coscienza di una realtà oggetti-
va per sé libera; dinanzi a questa coscienza sta poi l’unità del Sé e dell’essen-
za. Alla coscienza reale si contrappone la coscienza pura» (GW 9 p. 265, Fen
p. 655). Nel mondo della cultura la sostanza non è un’entità naturale ma è
«spirito», cioè un prodotto dell’individuo e della sua attività di formazione,
dunque qualcosa che è in intima unità con il Sé. Ma quell’unità è in realtà
spezzata al proprio interno. Di contro ad essa (l’unità del Sé e della sua es-
senza estraniata) sta quella che Hegel qui chiama «coscienza», cioè la consa-
pevolezza della distinzione fra il Sé e il mondo oggettivo.
22 R. BUBNER, 1989, vede le radici di questa «dialettica dell’illuminismo»
nella «riflessione», criticata da Hegel fin dai tempi della Differenzschrift. Se-
condo Fede e sapere – scrive Bubner – la riflessione produce autonomia ma
al tempo stesso anche scissione ed estraniazione, una scissione da sanare at-
traverso l’uso della riflessione stessa («nell’opera di Hegel è sempre stato te-
nuto fermo questo motivo delle ferite della riflessione da risanare attraverso
la riflessione», p. 102). Anche secondo la Fenomenologia dello spirito il rad-
doppiamento della realtà creato dalla Bildung è riconducibile comunque al-
la riflessione: essa «contrappone alla realtà originaria una seconda realtà in
cui l’individuo civilizzato viene a sua volta assorbito» (p. 103), ma si tratta so-
lo di una parvenza (Schein), parvenza che «il prodotto culturale della Bildung
spaccia per realtà vera e propria» (ibid.).
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 79

Come vedremo più avanti, questa che nella Fenomenologia si


presenta come una diagnosi aporetica della modernità (risolta
solo «teoreticamente» nel «sapere assoluto»), troverà proprio
nella Filosofia del diritto, e in particolare nella dottrina dell’eti-
cità, la sua soluzione. Ma non è mancato, tra gli studiosi, chi ha
assunto quella diagnosi come l’immagine più vera che Hegel ci
abbia fornito del mondo moderno. Secondo quando scrive Ch.
Menke nel suo volume La tragedia nell’etico23, la condizione del-
la società moderna – dopo la sostituzione dell’eticità con la con-
dizione giuridica – sarebbe caratterizzata proprio da quella pe-
culiare situazione tragica, senza vie d’uscita, teorizzata dalla Fe-
nomenologia. L’introduzione del diritto, a partire dall’epoca ro-
mana, comporterebbe un’insuperabile scissione fra ciò che vale
universalmente (le norme giuridiche e la persona) e la concre-
tezza della vita storica. Gli individui infatti non riuscirebbero a
riconoscersi nell’astratta immagine giuridica della persona che li
tratta tutti come uguali ignorando le loro peculiarità. Dato che
l’identità di un individuo nasce dal contesto in cui cresce, dai va-
lori e dalla storia che condivide con gli altri, quando quel con-
testo viene caratterizzato solo da relazioni intersoggettive anoni-
me e giuridicamente egualitarie egli non ha più le basi per de-
terminare chi egli veramente sia. L’unica sua identità è l’egua-
glianza con gli altri, è cioè la dissoluzione di qualsiasi identità.
Questa situazione determinata dalla fine della «bella eti-
cità» antica non riuscirebbe a trovare una soluzione «vera» nel
mondo moderno. Questo certamente compensa la fine delle
relazioni solidali della comunità tradizionale con il conferi-
mento della libertà universale agli individui. Infatti l’incontro
del diritto romano con la valorizzazione cristiana della libertà
individuale fa sì che il diritto non venga più percepito da noi
moderni come un’imposizione esterna ma come un prodotto
della nostra libertà. Insomma il conflitto fra libertà individua-
le e coazione giuridica non ha più senso per i moderni, dato
23 CH. MENKE, 1996. Il titolo del volume di Menke fa propria una cele-
bre espressione usata da Hegel nello scritto jenese Le maniere di trattare
scientificamente il Diritto naturale, secondo la quale la «tragedia nell’etico» è
la rappresentazione della tragedia dell’assoluto (che eternamente muore e ri-
sorge) all’interno della vita etica (GW 4 p. 458, DN p. 72).
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80 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

che in quella coazione si manifesta proprio l’autonomia del-


l’individuo. Tuttavia, se la condizione giuridica moderna riesce
a risolvere il problema del rispetto dell’autonomia individuale
e dell’eguaglianza, non riesce però a dare una risposta al pro-
blema dell’autenticità, cioè all’esigenza di identità dell’uomo
moderno. Relazioni intersoggettive fondate sul criterio del ri-
spetto uguale dell’altro rimangono mute di fronte alla richiesta
di che cosa sia una buona vita e quali valori consentano un rea-
lizzarsi autentico dell’individuo. Risolto il conflitto fra egua-
glianza giuridica e autonomia individuale, riesplode nel mon-
do moderno quello fra la dimensione universalistica dell’auto-
nomia e la sfera peculiare dell’autenticità. Pur essendo autono-
mo il soggetto moderno non riesce infatti a trovare in quella li-
bertà eguale la sua realizzazione, non trova cioè quello che gli
antichi avrebbero qualificato come il suo bene. Lo schema mo-
derno (meno solidarietà ma più libertà, meno etica comune ma
più autonomia individuale, la giustizia eguale come sostituto
della vita buona) sembra trovare qui il suo limite strutturale.
Il merito di Menke è certamente quello di aver visto nelle
opere hegeliane l’individuazione di questo aspetto fondamen-
tale della condizione moderna. Come vedremo egli ha però
sottovalutato la soluzione che Hegel, con la sua teoria dell’eti-
cità, ha inteso dare a quel problema. In ogni caso, resta co-
munque da valutare quanto la soluzione offerta nella Filosofia
del diritto possa rispondere alla questione sollevata da Menke
e dalle teorie contemporanee dell’autenticità. Su questo torne-
remo in conclusione del volume.

2.2 La libertà come autonomia del soggetto

Secondo Hegel il percorso che porta al consolidarsi della li-


bertà universale della persona giuridica corre parallelamente a
un altro processo, quello della presa di coscienza da parte del-
l’uomo moderno nei confronti della propria libertà interiore.
Come abbiamo visto, la libertà deve sapere di se stessa, altri-
menti non riesce ad essere tale. E la modernità è l’epoca di
questo autosvelamento della libertà di coscienza: «Il diritto
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 81

L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 81

della particolarità del soggetto a trovare il proprio appagamen-


to – vale a dire: il diritto della libertà soggettiva – costituisce la
chiave di volta e il punto centrale nella differenza tra l’antichità
e l’epoca moderna» (GW 14.1 § 124 nota p. 110, Dir p. 243).
In questa presa di coscienza cambia notevolmente il signifi-
cato della libertà rispetto a quella della persona giuridica. Essa
non risiede più esclusivamente nel diritto ad essere trattato co-
me persona, cioè non consiste in una disposizione giuridica che
riconosce il diritto della persona di non essere sottoposta alla
volontà altrui. La libertà diventa qui una disposizione della vo-
lontà soggettiva: «la libertà, cioè la volontà essente-in-sé, può
essere reale solo nella volontà in quanto volontà soggettiva»
(GW 14.1 § 106 p. 99, Dir p. 219). Nell’aggiunta al medesimo
paragrafo Hegel illustra chiaramente la differenza tra libertà
giuridica e libertà morale: mentre alla prima non interessa ciò
che il singolo si era proposto ma solo i suoi effetti, per la se-
conda è decisiva proprio la disposizione soggettiva.

Poiché l’uomo vuol essere giudicato secondo la sua autodetermi-


nazione, egli è libero in questa relazione, comunque possano atteg-
giarsi le determinazioni esterne. Non si può irrompere in questa
convinzione dell’uomo entro di sé; ad essa non può esser fatta vio-
lenza, e la volontà morale è perciò inaccessibile. Il valore dell’uomo
viene stimato secondo la sua azione interna, e quindi il punto di vi-
sta morale è la libertà essente per sé (RZ p. 205, DirA p. 314).

La vera differenza tra la sfera giuridica e quella morale è


dunque la differenza tra la libertà in sé, cioè la libertà come di-
ritto oggettivo, e la libertà per sé, vale a dire la libertà come
convinzione e proposito soggettivo.

Il punto di vista morale è il punto di vista della volontà nella mi-


sura in cui essa è infinita, non meramente in sé ma per sé (GW
14.1 § 105 p. 99, Dir p. 219).

La libertà non è più qui la libertà negativa del diritto astrat-


to, cioè la tutela dell’arbitrio e la limitazione reciproca degli ar-
bitrii contrapposti, ma la libertà positiva dell’autodetermina-
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 82

82 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

zione, cioè l’autonomia. Il passaggio dal diritto alla moralità è


quindi il passaggio dalla persona al soggetto.

Questa riflessione della volontà entro sé, e la sua identità essente-


per-sé davanti all’essere-in-sé, all’immediatezza e alle determina-
tezze qui sviluppatisi, determina la persona come soggetto (ibid.).

La moralità, delineata in questi termini, è una caratteristica


specifica del mondo moderno, è la convinzione e disposizione
pratica degli individui moderni: essi si sanno liberi e fanno del-
la loro coscienza il criterio ultimo delle loro azioni. Per questo
motivo – come già abbiamo osservato in sede d’introduzione –
Hegel tratta della moralità non all’interno dello «spirito sog-
gettivo» ma come parte essenziale dello «spirito oggettivo»,
cioè delle manifestazioni esterne e storiche della libertà.
Ma questo mondo «oggettivo» della moralità moderna è
stato pensato e preparato dalla filosofia. Essa è infatti il punto
più alto dell’autocoscienza della libertà, il luogo in cui quella
consapevolezza assume la forma dell’elaborazione concettuale.
Dopo l’avvento del Cristianesimo la seconda fase di questo svi-
luppo è rappresentata, secondo Hegel, dalla riforma protestan-
te e dal pensiero teologico di Lutero che così Hegel riassume:
«La semplice dottrina di Lutero è la dottrina della libertà»
(PhWg IV p. 878, FilSt IV p. 147). La critica luterana del valo-
re salvifico delle opere «esteriori» e la rivendicazione del signi-
ficato fondamentale della fede comportano l’apertura dell’in-
teriorità all’assoluto: è in essa che sta la salvezza dell’individuo.

La semplice differenza fra la dottrina luterana e quella cattolica sta


nella tesi che la riconciliazione non può essere compiuta mercè una
cosa meramente esteriore, l’ostia, ma solo nella fede, cioè nell’orien-
tamento dello spirito in tal senso (PhWg IV p. 879, FilSt I p. 148).

E la fede non è una certezza riconducibile alla nostra sensi-


bilità o alle nostre opinioni. Essa non ha a che vedere col finito
ma con l’assoluto, «è certezza soggettiva dell’eterno, della verità
esistente in sé e per sé, della verità di Dio» (ibid.). In tal modo
il soggetto scopre al suo interno la dimensione dell’assolutezza.
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 83

L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 83

Esso diviene un soggetto vero solo rinunciando al suo contenuto


particolare e facendo sua questa verità sostanziale. Questo spirito
è l’essenza del soggetto. In quanto il soggetto sta in relazione con
esso come con la sua essenza, diviene libero, perché è assoluta-
mente presso di sé: così è divenuta reale la libertà cristiana (PhWg
IV p. 881, FilSt I pp. 150-151).

La dottrina luterana della fede rende possibile un nuovo


pensiero della libertà. Esso consiste nel riconoscimento della
sua natura non-sensibile e non-finita. L’uomo è libero perché
nel suo «cuore» dimora l’assoluto: da qui parte il cammino mo-
derno della libertà. Se infatti «il medioevo era il regno del Fi-
glio [...] con la riforma comincia invece il regno dello Spirito»
(PhWg IV p. 881, FilSt IV p. 151), la consapevolezza moderna
della essenziale libertà degli uomini.
La filosofia moderna del soggetto, inaugurata da Cartesio, è
l’erede legittimo della rivoluzione luterana. Il principio del cogi-
to è infatti un principio di libertà. In base ad esso non si deve
accettare nessun pregiudizio, nessuna attestazione che venga
fatta in modo autoritario e non libero, tutto deve passare attra-
verso il vaglio del dubbio, della messa in discussione di ogni
pretesa verità. L’esigenza di un pensare senza presupposti che
non sia il pensare stesso è l’esigenza di un pensiero che sia pres-
so di sé, la categoria fondamentale della libertà. «Ciò che viene
riconosciuto come vero deve avere la posizione che la nostra li-
bertà vi è contenuta, che noi pensiamo» (GPh1 20 p. 129, cfr.
anche V9 p. 93). L’empirismo inglese conferma questa imposta-
zione ribadendo il principio della libertà di pensiero e dell’au-
tonomia di giudizio: «dal lato soggettivo, è anche da rendere
omaggio all’importante principio, che si trova nell’empirismo,
della libertà: che cioè quello che l’uomo vuole ammettere nel
suo sapere, deve esso stesso vederlo, vi si deve esso stesso sapere
presente» (GW 20 § 38 nota p. 76, Enc p. 49). La rivendicazio-
ne della libertà sta qui nel ribadire il principio dell’evidenza e
della priorità del sapere sulla presunta verità in sé dell’oggetto.
Questo percorso filosofico conosce la sua massima espres-
sione nella filosofia kantiana. Non però con la dottrina della ra-
gione teoretica (che secondo Hegel tradisce la propria illibertà
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84 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

nella limitazione a porre da sé i propri oggetti) bensì con la


dottrina della ragion pratica.

La ragione teoretica fu intesa da Kant nel senso che, in quanto si


riferisce a un oggetto, questo oggetto deve esserle dato; in quan-
to però se lo dà essa medesima, esso non ha verità; e in questo co-
noscere la ragione non perviene all’indipendenza. Invece essa è in
se stessa indipendente come ragione pratica; come essenza mora-
le l’uomo è libero, superiore a ogni legge di natura e a ogni feno-
meno (GPh2 XV p. 532, StFil III.2 p. 319).

La ragione teoretica trova un limite alla propria libertà nel


fatto di essere dipendente dai dati dell’esperienza sensibile.
Quando essa volesse dare a se stessa un oggetto indipendente-
mente da essi finirebbe per produrre un oggetto apparente, l’i-
dea. La ragion pratica invece pone da sé i propri oggetti e in
ciò è pienamente indipendente: «qui la ragione disdegna ogni
materia data, che le è invece necessaria nell’ambito teoretico»
(ibid.). Si badi: la superiorità della ragion pratica sulla ragione
teoretica non sta banalmente nel suo carattere pratico, cioè nel
fatto che la volontà pone i suoi oggetti (cioè è attiva) mentre la
coscienza li riceve (cioè è passiva) ma nella tesi kantiana secon-
do cui la volontà pura è in grado di porre da sé le proprie de-
terminazioni senza dipendere dalla volontà empirica e dalle in-
clinazioni sensibili. In tal modo la ragion pratica kantiana rag-
giunge – secondo Hegel – l’assolutezza, una libertà svincolata
da qualsiasi genere di limitazione: «si apre così il punto di vi-
sta dell’assolutezza, poiché all’uomo si è dischiuso nel suo pet-
to un infinito» (GPh2 XV p. 533, StFil III.2 p. 320).
Pur così importante ed essenziale nel cammino della mo-
dernità, la libertà soggettiva appare però ugualmente segnata
da limiti strutturali. Molteplici sono i luoghi in cui Hegel criti-
ca la riduzione della libertà alla dimensione interiore e in par-
ticolare la concezione kantiana di essa, ma è soprattutto nella
Fenomenologia dello spirito che egli ha conferito alla sua criti-
ca una forma sistematica, esponendola in due successivi mo-
menti dell’opera: alla fine del capitolo V (in particolare nei due
paragrafi che concludono la sezione C: «La ragione legislatri-
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 85

ce» e «La ragione esaminatrice di leggi») e poi nella sezione C


del capitolo VI, quello specificamente dedicato alla moralità.
La presentazione delle obiezioni a Kant assume qui un anda-
mento particolarmente articolato e complesso24. È tuttavia
possibile raccogliere le differenti argomentazioni hegeliane at-
torno a tre questioni fondamentali25.
La prima obiezione riguarda l’opposizione di moralità e na-
tura. Per Kant condizione della morale è la sua indipendenza
dai condizionamenti naturali, sia interni (impulsi sensibili,
passioni, desideri) che esterni all’individuo: senza una tale in-
dipendenza egli infatti non sarebbe libero e dunque non po-
trebbe avanzare pretese morali. Questa indipendenza costrin-
ge però Kant a proiettare la moralità in una dimensione com-
pletamente altra dalla natura, in un regno sovrasensibile dei fi-
ni. Ne deriva una condizione umana scissa al proprio interno
fra una dimensione sensibile, sottoposta alla necessità natura-
le, e una sovrasensibile, governata dalla libertà. Nel mostrare
l’intrinseca antinomicità e lacerazione di questa condizione
Hegel rileva contemporaneamente come agli occhi dello stes-
so Kant questa soluzione non appaia soddisfacente. Egli infat-
ti, una volta posta la separazione fra i due «regni», sostiene
contemporaneamente anche la necessità «morale» della loro
unificazione: i cosiddetti «postulati» della ragion pratica mo-
strano il bisogno pratico di un’unità tra moralità e natura in-

24 Per una analisi dettagliata delle critiche rivolte da Hegel nel contesto
della Fenomenologia dello spirito alla moralità kantiana rinvio a CORTELLA
2002, in particolare alle pp. 218-230.
25 J. HABERMAS 1986, nel suo saggio dedicato specificamente alle obie-
zioni hegeliane a Kant le riassume in quattro grandi questioni (il formali-
smo tautologico, l’incapacità di arrivare a contenuti concreti e plurali, l’op-
posizione del dover essere con la realtà esistente, il terrorismo della pura in-
tenzione) ma la quarta riguarda più il moralismo dei rivoluzionari giacobi-
ni che non la moralità kantiana. La riesposizione di queste obiezioni in Ha-
bermas 1999 (trad. it. p. 217) tralascia la prima e la quarta critica del sag-
gio del 1986, e, nel mentre ribadisce la terza, riarticola in due critiche di-
stinte la seconda (l’incapacità della legge morale universale di arrivare a
contenuti concreti può essere vista sia come una sua capacità revisionale in
relazione alle conseguenze, sia come una sua incapacità applicativa, in rela-
zione al caso concreto).
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86 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

terna (l’immortalità dell’anima come esigenza di una volontà


santa, cioè non più limitata dagli impulsi sensibili) e di un’u-
nità tra moralità e natura esterna (il sommo bene come esigen-
za di un’armonia fra la moralità e una natura esterna non più
ostile ma garanzia di felicità per ogni volontà santa). Insomma
quell’unità non esiste ma dovrebbe esistere26. Agli occhi della
coscienza filosofica contemporanea quest’obiezione suona co-
me una critica dall’antico sapore metafisico: non solo non si
capisce perché mai natura e libertà dovrebbero trovare una su-
periore unità ma la stessa dottrina kantiana dei due regni (il
primo sensibile e il secondo sovrasensibile) risulta difficilmen-
te accettabile. Tuttavia, opportunamente decodificata, quell’o-
biezione mantiene tutta la sua validità. Infatti essa intende evi-
denziare la sostanziale inefficacia di una legge morale che non
trovi accoglimento all’interno della nostra natura, che è poi
composta non solo dal nostro corpo, ma dalle nostre abitudi-
ni, dai nostri desideri, dai nostri interessi pratici, dai nostri va-
lori. L’esigenza posta da Hegel è in sostanza quella di una mo-
ralità che sia incarnata dentro il nostro mondo vitale. Lo stes-
so Habermas, alla fine, si vede costretto a prendere partito a
favore di Hegel per correggere la sua stessa proposta di una
morale ispirata a Kant:

Una cosa è giusta: ogni morale universalistica dipende da forme


di vita recettive. Ha bisogno di un certo accordo con pratiche di
socializzazione ed educazione che impiantino negli adolescenti
controlli di coscienza fortemente internalizzati, promuovendo
identità dell’io proporzionalmente astratte. Una morale universa-
listica ha bisogno anche di un certo accordo con siffatte istituzio-
ni politiche e sociali in cui siano già incorporate idee giuridiche e
morali post-convenzionali. In realtà, sì, l’universalismo morale è
sorto grazie a Rousseau e a Kant soltanto nel contesto di una so-
cietà che presenta tali caratteri corrispondenti27.

26 È questa l’obiezione fondamentale contenuta nel paragrafo dedicato


alla «Visione morale del mondo» (nella sezione C del capitolo VI della
Fenomenologia), articolata nella critica ai tre postulati kantiani (cfr. GW 9
pp. 324-328, Fen pp. 801-811).
27 J. HABERMAS, 1986, trad. it. p. 22.
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 87

La seconda obiezione di Hegel a Kant riguarda il formalismo


della moralità e la sua incapacità di generare – a partire dalla
sola forma della legge – contenuti pratici concreti. In sostanza
secondo Hegel la «ragion pura» non riesce ad essere «pratica»,
non riesce cioè a generare massime d’azione prescindendo
completamente da assunzioni di valore di provenienza storico-
empirica. È la critica a quella che Hegel, nella Fenomenologia,
chiama la «ragione legislatrice». La ragion pura può tutt’al più
valutare massime già esistenti ma non può generarne di nuo-
ve28. Come Hegel chiarisce nel capitolo successivo, la difficoltà
consiste nel passare dalla pura formalità universale alla molte-
plicità storica delle massime29. Appare cioè impossibile alla leg-
ge morale mantenere la propria purezza nel mentre si fa «plu-
rale», nel mentre «il dovere» diventa «molti doveri». Ma il pro-
blema sollevato da Hegel non è tanto quello del decadimento
della moralità che, differenziandosi, non riuscirebbe più ad es-
sere «santa», quanto piuttosto quello dell’incapacità della leg-
ge universale di farsi particolare, di differenziarsi e pluralizzar-
si. Si ripresenta qui in forma diversa la critica del giovane He-
gel al dominio dell’universale sulla vita concreta degli individui
e alla sua natura violenta e repressiva, critica che imputerebbe
alla morale universalistica kantiana l’incapacità di riconoscere
la struttura pluralistica delle società moderne e le sempre più
differenziate situazioni di interesse. Posta in questi termini,
tuttavia, una tale critica potrebbe incontrare serie obiezioni.
Infatti, come ha giustamente osservato Habermas, è proprio
quella differenziazione di valori e interessi a rendere inevitabi-
le il ricorso a norme sempre più astratte e universali30. In realtà

28 Lo scacco della ragione «legislatrice» comporta – secondo Hegel – l’i-


nevitabile approdo di Kant a una ragione che sia solo «esaminatrice delle leg-
gi» (cfr. GW 9 pp. 228-232, Fen pp. 567-575).
29 Si tratta della seconda obiezione che Hegel muove a Kant nel paragrafo
dedicato alla «Visione morale del mondo» (in particolare GW 9 pp. 328-329,
Fen pp. 813-815), poi ripresa anche nei paragrafi successivi: in quello dedicato
alla «Verstellung», la dissimulazione morale (GW 9 p. 339, Fen p. 837) e in quel-
lo dedicato al «Gewissen», la certezza morale (GW 9 p. 342, Fen pp. 845-847).
30 «Quanto più nelle società moderne si differenziano i particolari interes-
si e gli orientamenti rispetto ai valori, tanto più generali e tanto più astratte so-
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88 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

il vero problema sollevato da Hegel è la constatazione che la


mera formalità non riesce a farsi contenuto. Nella Filosofia del
diritto l’obiezione assume infatti questa forma precisa: la for-
malità non può assumere come proprio criterio alcun altro
standard che la coerenza interna e l’assenza di contraddizione,
«ma da quella determinazione del dovere come assenza di con-
traddizione, come accordo formale con sé – determinazione che
è soltanto l’irrigidimento della indeterminatezza astratta –, non
si può passare alla determinazione di doveri particolari» (GW
14.1 § 135 nota p. 118, Dir p. 259). Ne consegue, in primo luo-
go, l’inevitabile ricorso a norme e pratiche già esistenti: senza
di esse la «ragione esaminatrice» non avrebbe nulla da esami-
nare e dunque non produrrebbe alcun risultato. La storia e la
natura, tenute fuori dalla purezza della legge morale, tornano
ad essere la condizione per il suo funzionamento. In secondo
luogo, il puro esame delle leggi e l’eventuale individuazione
della norma morale giusta lasciano irrisolto il problema della
sua applicazione. Ne deriva, anche qui, la necessità di ricorre-
re a una facoltà aggiuntiva ed estranea alla ragion pura pratica,
cioè a quell’individuale capacità di giudizio, simile alla virtù ari-
stotelica della phronesis, in grado di applicare al caso concreto
le norme universali. Si apre qui il problema del ruolo di una ta-
le facoltà, se cioè essa possa essere considerata meramente ap-
plicativa o se in essa non tornino ad entrare in gioco proprio
quelle norme universali che, nell’impostazione kantiana, do-
vrebbero essere esaminate dalla sola ragion pura pratica31.
La terza obiezione mette in discussione la produttività del
test di universalizzazione kantiano, ovvero la possibilità di stabi-
lire la moralità delle massime sulla base della loro estensione a
leggi universali. Nella Fenomenologia, dopo aver mostrato l’im-
possibilità della ragion pratica di essere «legislatrice» Hegel ar-
gomenta anche contro la semplice possibilità di disporre di una
ragione «esaminatrice delle leggi». Con l’aiuto di una serie di

no, appunto, le norme moralmente giustificate che regolano la libertà d’azione


degli individui nell’interesse generale» (J. HABERMAS, 1986, trad. it. p. 20).
31 Sul ruolo della facoltà di giudizio in campo morale rinviamo agli inte-
ressanti studi di A. FERRARA (1999 e 2009).
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 89

controesempi Hegel dimostra con efficacia il carattere mera-


mente fittizio della procedura di generalizzazione, mostrando
come essa si limiti a riconfermare ciò che noi già riteniamo giu-
sto o ingiusto32. Tale giudizio viene ribadito anche nella Filoso-
fia del diritto, dove si contesta l’effettiva capacità del test di
universalizzazione di aggiungere ulteriori elementi di giudizio
rispetto al criterio meramente formale della coerenza e dell’as-
senza di contraddizione. Ciò consente a Hegel di estendere an-
che al carattere «universale» della legge morale le medesime
obiezioni rivolte al suo carattere «formale»33. A questa critica
è stato giustamente obiettato che essa non rende pienamente
giustizia al criterio kantiano di universalizzazione: Kant non in-
troduce infatti un test puramente semantico (la possibilità di
continuare a pensare senza contraddizione certe massime una
volta universalizzate) ma un test pratico (se cioè tutto il genere
umano vorrebbe universalizzare certe massime)34. Posto in que-
sti termini il test dimostrerebbe in effetti la sua validità euristi-
ca, cioè riuscirebbe effettivamente a individuare le norme uni-
versalmente condivisibili. Ma in questo caso l’universalizzazio-
ne non farebbe che confermare ciò che già ogni essere umano
implicitamente condivide prima di qualsiasi procedura univer-
salizzante e quindi la «moralità» finirebbe per coincidere con
l’«eticità», con ciò che è già operante e incarnato nelle pratiche
e nelle abitudini degli uomini.
In definitiva il senso di queste tre critiche può essere conden-
sato in un unico fondamentale argomento: la pura soggettività
con i suoi criteri formali (universalizzazione – non-contraddi-
zione – coerenza) non è in grado di determinare, a partire dal
suo interno, alcun contenuto morale. Come scrive Honneth, se

32 Per l’indagine hegeliana sulla «ragione esaminatrice delle leggi» si ve-


da GW 9 pp. 232-237, Fen pp. 575-587.
33 «Quanto all’ulteriore forma kantiana relativa alla rappresentabilità di
un’azione come massima universale, essa introduce, sì, la rappresentazione
più concreta di una situazione, ma non contiene di per sé nessun ulteriore
principio se non, di nuovo, quell’assenza di contraddizioni e l’identità for-
male» (GW 14.1 § 135 nota p. 118, Dir p. 259).
34 Su questo punto si sono espressi a difesa di Kant sia A. WILDT 1982
(pp. 44-84) sia J. HABERMAS 1986 (trad. it. pp. 17-18).
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90 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

ci si affida alla sola autonomia morale «non si riesce a rico-


struire realmente il modo in cui un soggetto può pervenire al-
l’agire razionale; infatti nell’applicazione dell’imperativo cate-
gorico egli rimane “vuoto” e privo di orientamento finché non
ricava prescrizioni normative determinate dalle pratiche istitu-
zionalizzate del suo ambiente»35. In altri termini: non ci può es-
sere moralità senza eticità, non ci può essere autonomia morale
senza condizioni sociali che in forza della loro funzionante eti-
cità ci abbiano educato a certe norme morali e all’uso della no-
stra autonomia. Ma allora le prescrizioni morali non possono
essere fondate sulla sola soggettività astratta.
Questa conclusione non comporta ovviamente, agli occhi di
Hegel, la messa in discussione del processo moderno che ha
condotto all’idea dell’autonomia morale né significa la riabili-
tazione di una morale eteronoma. Al contrario essa significa l’a-
pertura di un concetto di libertà più ampio rispetto a quello kan-
tiano, cioè non semplicemente ristretto alla sfera interiore del-
l’individuo. Come la moralità si manifesta dipendente dal con-
testo istituzionale che la rende possibile, così la libertà indivi-
duale si costituisce a partire da quel contesto. È grazie all’altro,
grazie alle relazioni etiche con gli altri esseri umani, che noi
«impariamo» ad essere liberi, apprendiamo cioè a fare uso con-
creto della nostra libertà. Qui il già importante guadagno della
libertà «positiva», teorizzata da Kant, vale a dire una libertà che
si determina positivamente da sé, viene ulteriormente comple-
tato e arricchito. Quella libertà «positiva» può essere ottenuta
solo grazie a una «libertà relazionale», a una libertà incarnata
nelle pratiche sociali e nelle istituzioni «etiche» in cui «cresco-
no» gli individui. In quelle relazioni nasce e prende progressi-
vamente forma una «libertà oggettiva», non riducibile all’auto-
nomia individuale ma al tempo stesso sua condizione.
Ecco dunque il vero limite di Kant: il mancato riconosci-
mento di questa libertà oggettiva e il rinchiudimento della li-
bertà nella sola sfera interiore dell’individuo. Ad essa egli con-
trappone l’intera dimensione dell’oggettività, alla quale non
viene riconosciuto alcun valore «spirituale».

35 A. HONNETH, 2001, trad. it. p. 83.


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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 91

Da un lato, poiché il dovere costituisce l’unico fine e oggetto es-


senziale dell’autocoscienza morale, questo essere-altro [ovvero
l’oggettività naturale, n.d.r.] è per l’autocoscienza stessa una
realtà del tutto priva di significato. Dall’altro lato, invece, poiché
è perfettamente chiusa entro sé, questa coscienza si comporta ver-
so l’essere-altro in modo perfettamente libero e indifferente, e
perciò l’esistenza è un’esistenza lasciata completamente libera
dall’autocoscienza, è un’esistenza che si rapporta anch’essa solo a
se stessa (GW 9 p. 325, Fen p. 803).

Di contro al mondo libero dell’autocoscienza sta il «tutto


autonomo» dell’oggetto: esso «è qui una natura in generale, le
cui leggi e la cui attività le appartengono come ad un’essenza
che non si cura affatto dell’autocoscienza morale, così come
questa non si cura di essa» (GW 9 p. 325, Fen p. 805). Ma non
è solo la natura ad essere considerata come abbandonata dalla
libertà: in analogo abbandono viene lasciato tutto il mondo
storico, il mondo dello spirito oggettivo.

Il mondo etico, lo Stato – questo mondo che è la ragione com’es-


sa si realizza nell’elemento dell’autocoscienza –, per contro, se-
condo costoro non dovrebbe godere della fortuna che gli deriva
da ciò, dal fatto che è la ragione stessa a portarsi con forza e po-
tenza in questo elemento, ad affermarsi in esso e ad abitarlo. L’u-
niverso spirituale dovrebbe piuttosto essere lasciato in balìa del
caso e dell’arbitrio, dovrebbe esser abbandonato da Dio; di conse-
guenza, secondo questo ateismo del mondo etico, il Vero si trove-
rebbe al di fuori di tale mondo (GW 14.1 p. 8, Dir p. 47 – sotto-
lineatura nostra).

Il vero limite di Kant non consiste perciò nel suo rifiuto a


trasferire la libertà interiore nel mondo storico (sarebbe anco-
ra una volta una presunzione «volontarista» quella di voler as-
soggettare alla libertà soggettiva la realtà storica) ma è costitui-
to dalla sua incapacità di riconoscere la già esistente e operan-
te libertà nella storia. Come scrive J. Ritter, la soggettività kan-
tiana «non riconosce la realtà reificata come la sua esistenza,
non crede che Dio possa essere presente in tale realtà» e per-
ciò la sua esigenza di informare di sé la realtà circostante si tra-
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92 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

sforma in impotenza: «la moralità, nel “formalismo” del dover


essere, deve restare “senza attuazione”»36.
Alla luce di queste considerazioni diventa chiaro come la cri-
tica hegeliana al dover essere kantiano non intenda mettere in
discussione il punto di vista della moralità ma solo la separazio-
ne di dover essere e realtà. Queste due dimensioni sono stretta-
mente intrecciate proprio nella realtà storico-sociale. La realtà è
razionale – secondo Hegel – proprio in quanto «è come deve
essere», dato che «un semplice essere senza concetto, senza aver
in sé il suo dover-essere ed essergli conforme, è una parvenza
vuota (ein leeres Schein)» (GW 15 pp. 17-18, DJ p. 55).

36 J. RITTER, 1969, trad. it. pp. 137 e 138. Analogo rimprovero muove He-
gel alla rivoluzione francese: anch’essa ha mancato di riconoscere la libertà già
esistente e il suo proposito di «realizzare» la libertà non è altro che l’espressio-
ne inconsapevole di una libertà già operante all’interno della società civile mo-
derna. «La rivoluzione politica stessa e con ciò anche la sua idea centrale di li-
bertà appartengono storicamente all’avvento della nuova società» (J. RITTER,
1957, trad. it. p. 51). La società civile già si propone nei suoi meccanismi la li-
bertà per tutti «in quanto ha per proprio soggetto i singoli individui nella ugua-
glianza dei loro bisogni naturali e nella separazione da tutte le istituzioni»
(ibid.). La stessa uguaglianza originaria di tutti gli uomini di cui parla la teoria
politica moderna ha il suo radicamento nel processo di omologazione della so-
cietà civile, nella sua sistematica distruzione delle vecchie disuguaglianze di ce-
to e di status. «I francesi sono pervenuti storicamente ad essere uguali nelle con-
dizioni, in seguito alla loro particolare storia, ma la teoria fa loro sapere ed essi
si sanno, per teoria, assolutamente uguali» (A. BIRAL, 1991, p. 311). Il mecca-
nismo combinato di assolutismo politico e sviluppo della società civile annien-
ta l’antico mondo aristocratico e svuota tutte le condizioni sociali «del loro spe-
cifico, compatto ethos, per riempirle di un nuovo uniforme ethos che le ugua-
glia tutte» (ivi, p. 313). Di ciò i rivoluzionari francesi sono del tutto inconsape-
voli: essi si pensano uguali in base a una teoria politica che ne afferma l’ugua-
glianza originaria e proclama la necessità politica della costruzione di un’ugua-
glianza sotto la sovranità. Quella teoria «farà ignorare agli uomini che questo
“rivoluzionario” passaggio era già avvenuto ed essi lo assumeranno, di conse-
guenza, come un progetto ancora da realizzare, come una meta che si deve rag-
giungere e in nome della quale non vi è battaglia che possa essere rifiutata»
(ibid.). L’analisi di Biral si adatta perfettamente alla critica hegeliana della mo-
dernità proprio in quanto mette il dito sulla singolare inconsapevolezza moder-
na relativamente alla natura oggettiva, storica e sociale della libertà. Quella in-
consapevolezza sarà per Hegel il peccato d’origine della rivoluzione francese, la
radice dell’enfasi del soggettivismo rivoluzionario che vuole realizzare la libertà,
finendo per ottenere il suo contrario. Sulla critica hegeliana alla rivoluzione
francese rinvio nuovamente a CORTELLA, 2002, in particolare le pp. 205-217.
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 93

Come ha ben argomentato O. Marquard in un suo celebre


saggio degli anni Sessanta, Hegel si muove in perfetta conti-
nuità con le filosofie trascendentali di Kant e di Fichte e con il
loro «rifiuto di accettare il dato come istanza»37. Ciò che viene
da lui criticato è invece il loro «rifiuto di collegare i fini uni-
versali relativi alla libertà con il processo di realizzazione della
loro mediazione e con ciò di legare il dover essere alla realtà»38.
Il motivo di quella mancata riconnessione sta nel loro timore di
dover legare a una realtà storica incerta il destino dei fini uni-
versali: «È per salvare i fini universali dalle incertezze della
realtà che Kant, Fichte e il primo Schelling riconducono que-
sti fini a postulati, al mero dover-essere, e proprio per questo
possono trovare nella realtà l’universale solo lontano dal fine
reale e il fine solo lontano dall’universale reale»39, ovvero l’u-
niversale solo nelle leggi naturali e i fini solo nel mondo del-
l’interiorità. In realtà proprio questo tentativo di salvare i fini,
allontanandoli dalla storia, si traduce in una sottomissione alla
mera datità, cioè in regresso. Contro questo esito Hegel teoriz-
za la sua unità di essere e dover essere.
Le filosofie di Kant, di Fichte e del primo Schelling si ma-
nifestano qui come l’espressione più compiuta dell’autocoscien-
za della modernità, il cui limite – l’incapacità di riconoscere la
dimensione oggettiva della libertà – consiste propriamente in
un’insufficiente consapevolezza di se stessa. Essa sa se stessa so-
lo come coscienza individuale della libertà, cioè come libertà
soggettiva, come progressiva scoperta della essenziale libertà
dell’individuo, ma in ciò manca di vedere il lato oggettivo di sé,
il realizzarsi della libertà nella storia. Nel moderno «l’autoco-
scienza pensa che è autocoscienza, e qui essa è per sé, ma per sé
ancora in rapporto negativo verso l’altro» (GPh2 XV pp. 620-
621, StFil III.2 p. 414)40. La presa di coscienza della libertà ri-

37 O. MARQUARD, 1964-65, p. 42. Su un’analoga linea interpretativa che


pensa l’eticità hegeliana non come un’abolizione della moralità kantiana ma
come il suo completamento si muove anche H.E.M. HOFMEISTER, 1974.
38 Ivi, p. 44.
39 Ivi, p. 47.
40 La concezione della libertà come una proprietà interiore del soggetto
trova nella opposizione moderna di pensiero ed essere il contesto teoretico
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94 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

mane confinata nel soggetto e lascia privo di autoriconosci-


mento il mondo dei rapporti oggettivi (natura e storia), consi-
derati come ambiti dominati dalla necessità meccanicistica e
dalla casualità. Questo autoriconoscimento soggettivo non ren-
de dunque giustizia a quella natura ontologica della libertà teo-
rizzata da Hegel e che ora appare nella sua vera portata: non
semplicemente una teoria metafisica che pensa l’assoluto e la
totalità come liberi in sé e per sé, ma una diagnosi storica del-
la sfera socio-politica e del radicarsi in essa dello spirito libero
della modernità. Tuttavia, finché quel radicamento non viene
riconosciuto la libertà non riesce a trovare il proprio compi-
mento. Su ciò si fonda la critica di Hegel alla modernità. Egli
certamente ne riconosce la grandezza proprio nella scoperta
della libertà universale ma ne vede anche il limite nel restringi-
mento di quella libertà alla dimensione soggettiva. Il progetto
teorico hegeliano si può perciò configurare come un’estensio-
ne della consapevolezza che la modernità ha di se stessa. L’au-
tocorrezione della modernità in cui quel progetto consiste è
dunque essenzialmente una diversa consapevolezza di ciò che
essa nei fatti è già diventata. In ciò i due momenti della libertà
soggettiva e di quella oggettiva dovrebbero convergere. Il vero
realizzarsi della libertà non è infatti espresso adeguatamente né
dal suo lato soggettivo individuale, né da quello oggettivo e so-
vrasoggettivo, ma dall’autoriconoscersi della libertà oggettiva
nell’autocoscienza individuale. È necessario cioè l’incontro dei
due movimenti: l’autodeterminarsi della libertà soggettiva deve
coincidere col realizzarsi dell’ordine oggettivo. La volontà in-
dividuale riconosce la propria essenza nell’oggettività e l’og-
gettività diventa consapevole della propria libertà nell’autoco-
scienza individuale. Questo è quanto accade in quella partico-
lare condizione dello spirito oggettivo che Hegel designa con il
nome di eticità. In essa la libertà «ha la sua realtà mediante l’a-
gire dell’autocoscienza, così come questa ha il proprio fonda-

di costituzione. Nella modernità, afferma Hegel, «la forma concreta del pen-
sare, che qui dobbiamo considerare per sé, si manifesta in generale come
soggettiva con la riflessione dell’essere in se stesso, sicché essa si oppone in
generale all’essere» (GPh2 XV p. 242, StFil III.2 p. 4).
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 95

mento essente-in-sé-e-per-sé e il fine che la muove nell’essere


etico» (GW 14.1 § 142 p. 137, Dir p. 293). Ma quella condi-
zione di compiuta compenetrazione del soggettivo e dell’og-
gettivo si raggiunge solo nell’ultimo stadio dell’eticità, cioè nel-
la sfera statale. Il passaggio fondamentale per giungere ad essa
è l’affermazione di una nuova dimensione storico-oggettiva –
tipicamente moderna – della libertà, quella della società civile.

2.3 La libertà della società civile

C’è un legame essenziale che collega la società civile alla sfe-


ra del diritto astratto. Essa infatti rappresenta la realizzazione
sul piano sociale di quella sfera. L’astrazione rappresentata dal
diritto diventa con essa una realtà concreta, prende forma sen-
sibile e si fa assetto sociale, dimora dell’uomo. Ritorna ancora
una volta la connessione fra ethos e abitare e infatti la società
civile fa parte a pieno diritto di quella sfera che Hegel qualifi-
ca come eticità. E se Hegel articola quella sfera nei tre distinti
ambiti della famiglia, della società civile e dello Stato, è indub-
bio che l’ambito della società civile è quello che più caratteriz-
za la modernità e la condizione di vita dell’uomo moderno. In
essa trovano collocazione infatti i fenomeni dell’economia ca-
pitalistica e del lavoro, dell’industria e delle professioni libera-
li, del mercato e della distribuzione dei beni, della libertà eco-
nomica e dell’individualismo borghese, delle classi sociali e del
rapporto fra povertà e ricchezza. Tuttavia Hegel, nonostante
presenti la società civile come la dimora per eccellenza dell’ho-
mo œconomicus moderno, la delinea come una condizione pri-
va di qualunque contenuto «etico», come il regno del conflitto
senza regole e della sopraffazione.

2.3.1 La società civile come stato di natura


Difficile pensare la società civile come una sfera etica, cioè
come la realizzazione compiuta della libertà concreta, quando
il tipo di uomo che la caratterizza è delineato da Hegel con i
tratti dell’uomo naturale, cioè dell’essere umano in quanto vie-
ne assunto dal punto di vista dei suoi soli bisogni primari. L’at-
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96 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

teggiamento fondamentale che caratterizza gli individui che


popolano questa sfera è infatti quello della ricerca del proprio
appagamento. Il primo principio della società civile «è la per-
sona concreta che, in quanto persona particolare, è fine a se
stessa» (GW 14.1 § 182 p. 160, Dir p. 337). Siamo qui passati
dalla persona «astratta» del diritto a quella «concretamente»
vivente della società civile ma la sua caratterizzazione fonda-
mentale rimane quella della «particolarità», cioè della persona-
lità individualistica che ricerca esclusivamente il proprio inte-
resse (e proprio per questo non ha altro fine che se medesima).
Essendo descritta da Hegel in termini prettamente naturalisti-
ci, cioè come una «totalità di bisogni e una mescolanza di ne-
cessità naturale e di arbitrio» (ibid.), essa si manifesta perciò
come l’opposto della soggettività liberamente autocosciente e
autodeterminantesi.
Ora questa «particolarità per sé» che è solo «appagamento
onnilaterale dei propri bisogni, dell’arbitrio accidentale e del ca-
priccio soggettivo» sembra avere un unico destino: quello di di-
struggere «se stessa e il proprio concetto sostanziale» e questo a
causa dei «suoi godimenti» (GW 14.1 § 185 p. 161, Dir p. 339).
L’arbitrio capriccioso si espone infatti inevitabilmente all’acciden-
talità: esso produce una condizione di vita in cui si è continua-
mente esposti all’arbitrio altrui, oltre che al proprio, e quindi al-
l’inevitabile limitazione (se non al totale impedimento) di quel-
l’appagamento che è l’unico scopo dell’uomo naturale. Insomma
le condizioni sociali prodotte da questa società dell’arbitrio sono
quelle di una assoluta assenza di controllo da parte degli indivi-
dui sulla loro esistenza. Ben si capisce allora la conclusione hege-
liana secondo la quale «in queste opposizioni e nel loro compli-
cato intreccio, la società civile offre anche lo spettacolo della dis-
solutezza, della miseria e della corruzione fisica ed etica» (ibid.).
Con questi caratteri la situazione della società civile sembra
perciò straordinariamente simile a quella dello stato di natura
hobbesiano. In realtà noi sappiamo che si tratta di una natura-
lità «costruita», di un prodotto della Bildung, di un processo
grazie al quale l’uomo è «diventato» individuo singolo sulle ce-
neri della tradizionale comunità solidale. Quella naturalità im-
mediata e particolaristica è cioè il tipico «prodotto» della mo-
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 97

dernità, un prodotto con caratteri del tutto sconosciuti al mon-


do antico, nel quale invece la naturalità si esprimeva in armo-
nia con la totalità sociale e con quella naturale. L’uomo della
società civile è qui il risultato del processo moderno di parti-
colarizzazione, intimamente connesso all’affermarsi parallelo
della libertà soggettiva. La sua «naturalità» è perciò l’esito del
processo di astrazione col quale l’individuo si è separato dalla
concretezza dei rapporti che lo legavano alla comunità e alle
sue tradizioni, finendo col caratterizzarsi solo per la sua natu-
ralità. L’uomo naturale è perciò lo stesso dell’uomo astratto.

2.3.2 La libertà astratta si fa realtà


La società civile è il regno dell’astrazione, è il diventar con-
creto dell’astratto, è l’astrazione che si fa esistenza. L’universa-
lità giuridica si realizza qui come una forma di vita materiale.
Torna perciò a presentarsi la validità della tesi di Ritter sulla
centralità della scissione: è proprio separandosi dalle tradizioni
che l’uomo può manifestarsi come pura natura, essere biso-
gnoso e in cerca di appagamento. Egli ha perso ogni caratte-
rizzazione «culturale», cioè legata a quello status sociale e sto-
rico ormai completamente cancellato dalla scissione nei con-
fronti del passato. Proprio il processo storico della modernità
ha consentito all’individuo di perdere ogni caratterizzazione
storica e di presentarsi come mera naturalità.

I concetti naturali di società, bisogno e soddisfacimento del biso-


gno, lavoro e divisione del lavoro, che Hegel assume, restano per
lui concetti «astratti»; essi contengono il distacco della società e
della sua prassi dalla storia del passato41.

L’uomo in quanto soggetto della «società civile» è l’uomo «astrat-


to», tratto fuori dalle sue connessioni storiche e spirituali e posto
nell’uguaglianza del suo bisogno naturale42.

«Astratto» è perciò l’uomo separato dalla ricchezza delle


sue caratterizzazioni e qualità e la cui unica identità viene limi-
41 J. RITTER, 1957, trad. it. p. 54.
42 Ivi, pp. 55-56.
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98 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

tata «alla connessione naturale dell’esistenza umana e al soddi-


sfacimento del bisogno con il lavoro»43.
Condivisibile appare perciò la tesi di Ch. Taylor a questo pro-
posito, secondo la quale la società civile – proprio grazie al prin-
cipio dell’astrazione – realizza una singolare eguaglianza sociale.

C’è una terza tendenza nella società moderna che Hegel conside-
ra sorretta da entrambe queste forze [liberalismo individualistico
ed egualitarismo della volontà generale, n.d.r.], ed è quella verso
l’omogeneizzazione. Infatti non è solo l’impulso della libertà asso-
luta che scalza tutte le differenze; lo sviluppo dell’economia capi-
talistica ha significato anche la disgregazione delle società tradi-
zionali, le emigrazioni su larga scala, la creazione di un mercato
unificato e, per quanto possibile, di una forza-lavoro unificata. E
tutto questo ha contribuito all’omogeneizzazione della società
moderna, alla costituzione di una società di vaste proporzioni in
cui i sottogruppi culturali vengono progressivamente erosi, oppu-
re sopravvivono solo ai margini della vita associata, con usi e co-
stumi propri44.

La modernità è per Hegel l’annullamento di ogni differenza,


e non solo dal punto di vista giuridico-formale ma anche sotto
il profilo sociale e storico. È infatti lo stesso individualismo ca-
pitalistico che, aggredendo ogni forma di tradizione, appiatti-
sce le differenze culturali e rende ogni individualità omogenea,
proprio perché caratterizzata solo da quei bisogni e da quegli
appetiti che sono i medesimi in tutti gli individui, essendo sta-
ta dissolta ogni altra peculiarità. La tesi di Taylor è che la pra-
tica capitalistica produce un egualitarismo culturale, diverso da
quello economico-sociale perseguito dal socialismo, ma non
meno incisivo sulla vita concreta degli uomini.
Fra uguaglianza giuridica e società civile viene qui a costi-
tuirsi un duplice rapporto, una reciproca determinazione del-
l’una nei confronti dell’altra. In primo luogo la «libertà di tut-
ti», cioè l’universale considerazione di ogni essere umano co-
me «persona», è condizione costitutiva della società civile.

43 Ivi, p. 56.
44 CH. TAYLOR, 1979a, trad. it. p. 185 (corsivo nostro).
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 99

L’uomo si propone nel mondo del lavoro e del mercato essen-


zialmente come individuo naturale, indipendentemente dalla
sua posizione istituzionale (cioè dal suo status): a garantirlo è
proprio il diritto. Giustamente Ritter afferma che nella società
civile «la libertà deve valere come principio del lavoro»45, cioè
la condizione per l’affermarsi di un «mercato» del lavoro è che
gli individui si presentino in esso come mere naturalità, uguali
fra loro e disponibili a perseguire liberamente i loro interessi.
La libertà è qui lo stesso della naturalità.
In secondo luogo è la società civile a rendere possibile l’af-
fermazione pratica e politica del sistema giuridico. Proprio
perché gli individui sono già «stati resi uguali» (nel senso di
Taylor) diventano disponibili ad accettare la formalizzazione
giuridica di questa loro eguaglianza.

La relatività della relazione reciproca tra i bisogni e il lavoro con-


dotto in vista di essi, ha innanzitutto la propria riflessione entro sé,
in generale, nella personalità infinita, cioè nel diritto (astratto)
(GW 14.1 § 209 p. 175, Dir p. 363).

Le relazioni della società civile, una volta che riflettano su lo-


ro stesse e diventino consapevoli di ciò che esse propriamente so-
no, si formalizzano nel diritto astratto. Esso è dunque l’esito di
quell’autoriflessione: la società civile realizza concretamente l’u-
guaglianza, il diritto la manifesta in modo riflesso col suo siste-
ma normativo. Il diritto astratto è dunque il sapersi da parte del-
la società civile, la sua autocoscienza. È infatti a partire dalla so-
cietà civile che il diritto non si presenta come un’imposizione au-
toritaria ma come «qualcosa di «universalmente riconosciuto, sa-
puto e voluto» (GW 14.1 § 209 nota p. 175, Dir p. 365). Essa for-
nisce – per così dire – la condizione di base, quell’uguaglianza
degli individui atomizzati, grazie alla quale il diritto può essere
riconosciuto e accettato come la regolamentazione di ciò che gli
esseri umani già sono: persone «naturalmente» uguali che entra-
no reciprocamente in relazione per scambiarsi dei beni.

45 J. RITTER, 1957, trad. it. p. 52.


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100 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

2.3.3 Il primato della libertà sulla natura


C’è un altro senso secondo cui la società civile non costitui-
sce una semplice duplicazione dello status naturae: in essa si
persegue il dominio sulla natura e lo strumento di questo do-
minio è il lavoro. Nel § 188 della Filosofia del diritto Hegel spie-
ga infatti che la società civile non è propriamente caratterizza-
ta dal bisogno naturale immediato ma dalla «mediazione del
bisogno». Infatti «l’appagamento del singolo» avviene «me-
diante il proprio lavoro e mediante il lavoro e l’appagamento
dei bisogni di tutti gli altri singoli» (GW 14.1 § 188 p. 164, Dir
p. 345). C’è dunque un sollevamento dalla mera naturalità ani-
male. Infatti, a differenza della fruizione immediata che carat-
terizza la vita animale, qui il bisogno passa attraverso una me-
diazione. Il lavoro costringe la soddisfazione del bisogno a un
rinvio: invece di consumare subito i beni a sua disposizione
l’homo laborans differisce la soddisfazione del bisogno in pre-
visione di un migliore appagamento e perciò inserisce fra il suo
bisogno e la sua soddisfazione un momento intermedio. Ma ol-
tre al lavoro la mediazione viene qui costituita anche dall’ele-
mento sociale: nella società civile entrano in gioco i bisogni de-
gli altri e quindi necessariamente anche il loro lavoro. Su que-
sto importante elemento relazionale torneremo più avanti. Per
ora è sufficiente notare come l’introduzione di questo elemen-
to sociale consenta a Hegel di parlare di un «sistema dei biso-
gni», cioè di un organizzarsi dei bisogni naturali a sistema, a re-
te di relazioni reciproche.
Comincia qui a delinearsi l’approccio hegeliano alla società
civile: in essa l’individuo si presenta nella sua naturalità astrat-
ta e tuttavia – attraverso i meccanismi messi in moto dall’ap-
proccio tecnico-strumentale nei confronti della natura (il lavo-
ro) e la rete di relazioni con gli altri individui per lo scambio dei
beni e per l’organizzazione del lavoro stesso (l’interazione) –
egli si emancipa progressivamente da quella naturalità imme-
diata per acquisire la consapevolezza della propria libertà e spi-
ritualità. Fondamentale in questa strategia è il § 187, nel quale
si evidenzia proprio questo ruolo educativo svolto dalla società
civile nei confronti dell’uomo naturale, in modo da condurlo
gradualmente dall’individualità astratta a quella che Hegel qua-
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 101

lifica come «universalità». Si fa esplicita in questo contesto –


soprattutto nella lunga nota che segue al paragrafo – la polemi-
ca nei confronti di quelle filosofie (Rousseau prima di tutto)
che avevano contrapposto il lato «naturale» dell’uomo a quello
«civile», magnificando le «rappresentazioni dell’innocenza del-
lo stato di natura e della semplicità dei costumi dei popoli non
civilizzati» di contro a una considerazione della «civiltà come
qualcosa di semplicemente esteriore che apparterrebbe alla cor-
ruzione» (GW 14.1 § 187 nota p. 162, Dir p. 341). Hegel inve-
ce vuole mostrare da un lato l’estrema intollerabilità di una
condizione meramente naturale ma dall’altro non intende nep-
pure opporvi una concezione della civiltà come radicalmente
antitetica rispetto alla costitutiva naturalità dell’umano. La sua
tesi è piuttosto quella di una sostanziale continuità fra natura e
cultura, mostrando quei processi che nella società civile con-
ducono l’individuo dall’immediatezza dei bisogni all’universa-
lità della sua libertà.

Il fine della ragione, di conseguenza, non è quella semplicità na-


turale dei costumi, né sono i godimenti in quanto tali che, nello
sviluppo della particolarità, verrebbero ottenuti mediante la ci-
viltà. Il fine della ragione è piuttosto quello di eliminare median-
te il lavoro la semplicità della natura [...], di eliminare cioè l’im-
mediatezza e la singolarità in cui lo spirito è immerso (versenkt), e
di far ottenere a questa esteriorità (Äußerlichkeit) dello spirito in-
nanzitutto la razionalità di cui essa è capace, cioè di far ottenere a
questa esteriorità la forma dell’universalità, l’intellettività (GW
14.1 § 187 nota p. 163, Dir p. 343).

Anche nella forma della mera naturalità immediata lo spiri-


to non è assente, è solo «immerso» e la società civile è la via at-
traverso cui quello spirito può emergere dalla sua incoscienza.
La strumento di cui essa si avvale è il lavoro. Hegel insiste sul
carattere «esteriore» della società civile: i suoi elementi carat-
teristici restano infatti la natura, la sua appropriazione tramite
il lavoro esteriore, i bisogni. E tuttavia è proprio questa «este-
riorità» a educare l’individuo e a sollevarlo dall’immediatezza.
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102 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Solo così, entro questa esteriorità in quanto tale, lo spirito è a ca-


sa propria (einheimisch) e presso di sé (bei sich). In tal modo la li-
bertà dello spirito ha un’esistenza (Dasein) nella stessa esteriorità,
e in questo elemento (in sé estraneo alla destinazione spirituale
della libertà) lo spirito diviene per sé, ha a che fare soltanto con
qualcosa che reca impresso il suo sigillo (Siegel) e che è prodotto
da esso (ibid.).

La società civile è momento essenziale allo sviluppo della li-


bertà, che pur nell’esistenza esteriore sa farsi reale, sa farsi Da-
sein. È una libertà che riesce ad imporre il suo sigillo (Siegel)
sulla cosa naturale, la quale proprio per mezzo della libertà
umana diventa oggetto di lavoro. Fin dai tempi di Jena Hegel
ha mostrato questa stretta implicazione fra il lavoro e la libertà.
Esso non può infatti essere considerato semplicemente uno
strumento con cui viene trasformata la natura esterna adattan-
dola ai bisogni umani. Con esso si trasforma anche la natura in-
terna, si sviluppa l’identità del soggetto, si avvia un processo di
«formazione» grazie al quale l’individuo acquisisce consapevo-
lezza della propria libertà, della propria spiritualità. È in tal
modo che lo spirito esce dallo stato di torpore e incoscienza,
diventando «per sé» e riconoscendo nella società civile la sua
dimora, la casa propria, il «presso di sé». Il lavoro è dunque un
processo attraverso cui si afferma il primato della libertà sulla
natura: «La Bildung è la liberazione e il lavoro della liberazione
superiore» (ibid.).
La libertà per Hegel non sta nel distacco dalla civiltà, nel ri-
torno ad una mitica libertà naturale ma risiede nel processo
della Bildung stessa, in quell’intreccio di lavoro e interazione
grazie al quale l’individuo si libera dalla sua naturalità. Questo
concetto viene ribadito anche nel § 194: «È in questo momen-
to sociale che risiede il lato della liberazione». La società civile
non è solo il luogo dei bisogni immediati e naturali ma è anche
quello in cui quei bisogni vengono consaputi, elaborati, socia-
lizzati. E nella composizione del bisogno con la sua rappresen-
tazione «consaputa» l’individuo si emancipa dalla mera natu-
ralità: «nel bisogno sociale, in quanto congiunzione del biso-
gno immediato e naturale con il bisogno spirituale dato nella
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 103

rappresentazione (geistiges Bedürfnis der Vorstellung), quest’ul-


timo prende il sopravvento in quanto è l’universale» (GW 14.1
§ 194 p. 167, Dir p. 349). Il guadagno dell’universale consiste
nel passaggio dal dominio dei bisogni al dominio sui bisogni:
«invece di riferirsi a un’accidentalità esteriore, egli si orienta
piuttosto verso un’accidentalità interna, cioè verso l’arbitrio»
(ibid.). Certo non siamo ancora alla piena libertà dello spirito,
ci muoviamo ancora nell’«accidentalità», ma il processo si è
messo in moto: il bisogno non consaputo (e quindi governato
da una necessità esterna) è stato sostituito dal bisogno consa-
pevole di sé, dalla volontà interiore dell’arbitrio individuale.
Ancora una volta, contro l’idea di una libertà che sarebbe pos-
sibile solo nella natura e secondo la quale «l’uomo vivrebbe li-
bero dai bisogni in un cosiddetto stato di natura in cui egli
avesse solo dei cosiddetti bisogni semplici» (GW 14.1 § 194
nota p. 167, Dir p. 349), Hegel ribadisce che in una tale condi-
zione l’uomo sarebbe dominato dalla natura e vivrebbe in uno
«stato di rozzezza e illibertà» (ibid.). E tuttavia sarebbe un er-
rore contrapporre a quella falsa libertà naturale una libertà spi-
rituale totalmente contrapposta ad essa, altra da essa (alla ma-
niera di Kant): solo attraverso la natura e grazie ai processi del-
la società civile si può far strada la vera libertà: «la libertà con-
siste unicamente nella riflessione (Reflexion) dell’elemento spi-
rituale entro sé, nella sua differenziazione (Unterscheidung)
dall’elemento naturale e nel suo riflesso (Reflex) su quest’ulti-
mo» (GW 14.1 § 194 nota p. 167, Dir p. 351). La riflessione
dell’elemento spirituale non prescinde dalla natura ma è il ri-
flettersi di questa sullo spirito, è cioè la capacità della natura di
procedere oltre se stessa proiettandosi fuori di sé.
A questo punto si può tornare al § 187 e alla sua tesi cen-
trale di cui ora possediamo gli elementi per averne una com-
prensione adeguata:

L’interesse dell’Idea (che non risiede nella coscienza di questi


membri della società civile in quanto tali) è il processo di elevare
la singolarità e naturalità dei medesimi, tanto mediante la neces-
sità naturale quanto mediante l’arbitrio dei bisogni, fino alla li-
bertà formale e all’universalità formale del sapere e del volere, cioè
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104 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

di formare (bilden) la soggettività nella sua particolarità (GW 14.1


§ 187 p. 162, Dir p. 341).

In queste poche righe è descritto l’intero processo di eman-


cipazione dell’individuo all’interno della società civile. Hegel
intanto mette subito in chiaro che di questo processo i sogget-
ti coinvolti non sono propriamente consapevoli: essi vengono
condotti al «sapere» ma ad esso arriveranno solo alla fine. Nel
mentre il processo si svolge essi conoscono solo la «necessità
naturale» e «l’arbitrio dei bisogni» e tuttavia questi elementi
naturalistici producono un processo di formazione spirituale,
una Bildung. Come abbiamo già visto, la trasformazione della
natura esterna è contemporaneamente una formazione della
natura interna. Ora questa «educazione» condotta dalla so-
cietà civile consiste nel condurli prima di tutto alla «libertà for-
male», cioè al sistema giuridico: essi apprendono a vivere in
una società regolata da norme giuridiche e imparano ad ade-
guarvisi. Il secondo passo è l’acquisizione di quella che Hegel
chiama «l’universalità formale del sapere e del volere». Grazie
al lavoro e alla rete di relazioni l’individuo acquisisce una cul-
tura (l’universalità del sapere), cioè capacità, conoscenze tecni-
che e teoriche, nozioni e saperi, che gli consentono di orien-
tarsi nel mondo economico-sociale. Ma al tempo stesso acqui-
sisce anche un sapere pratico (l’universalità del volere), cioè ap-
prende le nozioni morali e i relativi punti di vista universalisti-
ci46. Certo quelle universalità sono ancora «formali», cioè sono
quelle dell’intelletto, ma costituiscono la prima messa in di-
scussione del punto di vista individualistico con cui l’uomo
aveva fatto la sua apparizione all’interno della società civile.
Come scrive Giuliano Marini, in questa elevazione dalla na-
turalità al sapere l’individuo acquisisce «una cultura teoretica e
pratica che lo rende adatto a essere membro di questo regno del
lavoro e dell’intelletto» e così continua: «nella società civile

46 Come annota A. WELLMER, 1993, il processo di formazione messo in at-


to dalla società civile consente di raggiungere «l’intersoggettività di standard
e punti di vista universali» (p. 133), vale a dire l’universalità del diritto, della
filosofia e della stessa morale. Ovviamente questa forma di universalità non è
ancora la realtà dell’idea etica, «ma ne è tuttavia il presupposto» (ibid.).
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 105

l’uomo, uscendo dalla eticità naturale e immediata della fami-


glia, acquista l’affinamento infinito derivante dall’intelletto, dal
lavoro, dall’isolamento nella propria individualità, che è anche
un approfondimento nello sviluppo delle proprie capacità»47.
Ecco dunque spiegata la natura «etica» della società civile:
essa è quel luogo abituale dell’uomo moderno in grado di edu-
carlo alla libertà e di emanciparlo dai bisogni immediati. Per
questo motivo – come abbiamo visto – lo spirito qui è «a casa
propria». E per questo motivo questa sfera (come ogni sfera
etica) è in grado di mettere in moto un processo di emancipa-
zione dell’individuo che lo libera dalla schiavitù dei suoi istinti
e dell’arbitrio capriccioso. E ciò avviene attraverso il «duro la-
voro» contrapposto all’«immediatezza del desiderio» e all’«ar-
bitrio del capriccio» (GW 14.1 § 187 nota p. 163, Dir p. 343).
L’uomo moderno per elevarsi alla piena libertà deve dun-
que passare attraverso la miseria e la corruzione fisica della so-
cietà civile: in essa impara a disciplinare i propri bisogni e in tal
modo apprende a fare il giusto uso della sua autonomia. Certo
qui l’individuo non viene propriamente educato a stabilire re-
lazioni solidali con gli altri. La società civile è la palestra del-
l’individualismo e i suoi insegnamenti vanno nella direzione di
un consapevole e disciplinato impiego delle facoltà individua-
li. Tuttavia l’educazione all’autonomia è anche un’educazione
alla responsabilità. Come scrive A. Wellmer, la società civile
«ha una funzione positiva nella formazione degli individui, in
relazione soprattutto alle qualità intellettuali e morali che essi
devono acquisire come cittadini di uno Stato moderno»48. E
perciò solo apparentemente essa provoca la perdita di relazio-
ni comunitarie e solidali, perché attraverso i suoi processi si
gettano le basi per il loro ricostituirsi49. Infatti attraverso la

47 G. MARINI, 1978-90, p. 82. Acutamente Marini annota, subito dopo, che


con questo tipo di giudizio Hegel vede la Bildung con occhi un po’ diversi da
come l’aveva vista nella Fenomenologia, dato che ora essa appare il regno della
libertà e non dell’estraniazione. Insomma «i toni negativi e pessimistici sono
meno forti e frequenti nel periodo berlinese che non nel periodo jenese» (ibid.).
48 A. WELLMER, 1993, p. 40.
49 In ciò – secondo Wellmer – Hegel si differenzia nettamente dalla cri-
tica romantica della modernità: egli si contrappone alle utopie conciliatrici
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106 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

pratica dell’individualismo il singolo impara a superare se stes-


so e ad aprirsi verso quel senso più ampio della libertà che He-
gel avrà modo di esporre all’interno della sfera politico-statale.

2.3.4 Il superamento dell’individualismo


Segnata profondamente da un’impronta individualistica la
società civile prepara dunque i suoi membri a prendere pro-
gressivamente coscienza di quella dimensione universale che
va oltre i loro interessi immediati. E lo fa costringendo gli in-
dividui ad entrare gli uni in rapporto con gli altri e a confron-
tarsi perciò con un punto di vista diverso dal loro. Se infatti il
primo principio della società civile era la «persona particola-
re», «l’altro principio, invece, è la persona particolare in quan-
to essenzialmente in relazione a un’altra particolarità analoga,
per cui ciascuna si fa valere e si appaga mediante l’altra ed è, al
tempo stesso, puramente e semplicemente mediata dalla forma
dell’universalità» (GW 14.1 § 182 p. 160, Dir p. 337). L’indivi-
duo persegue i propri fini ed è in grado di raggiungerli solo in
quanto utilizza le sue relazioni con gli altri. Certo l’individuali-
smo non è messo in discussione in quanto tale ma si fa strada
l’idea che condizione di esso è proprio il rapporto con gli altri
individui: è grazie agli altri che ogni essere umano raggiunge i
propri scopi. Per questo Hegel scrive che la persona particola-
re viene «mediata dalla forma dell’universalità», perché ogni
membro viene in un certo senso «consegnato» all’altro.
Analoghe considerazioni vengono svolte nel già esaminato
§ 187: se «gli individui sono persone private che hanno per lo-
ro fine il proprio interesse», tuttavia «questo fine è mediato
dall’universale», nel senso letterale che l’universale «appare lo-
ro come mezzo» per raggiungere gli obiettivi che essi si pro-
pongono. In altri termini: quel fine può essere raggiunto solo
se ogni individuo si rapporta all’altro in un sistema di forzata

del romanticismo, proprio esaltando il ruolo delle istituzioni «individualisti-


che» del mondo moderno. La sua difesa della funzione emancipativa di que-
ste istituzioni e del loro ruolo di garanzia anche nei confronti del ricostituir-
si di relazioni comunitarie rappresenta dunque una metacritica anticipatrice
rispetto alla critica marxiana dell’individualismo (cfr. ivi, pp. 40 e 52).
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 107

collaborazione universale. Per questo motivo gli individui de-


vono determinare «in maniera universale il loro sapere, volere
e fare, rendendosi ciascuno un anello della catena di questo
contesto» (GW 14.1 § 187 p. 162, Dir p. 341). Si affaccia in
questi paragrafi la celebre tesi hegeliana della società moderna
come un sistema di dipendenza onnilaterale.

Nella sua realizzazione, il fine egoistico, condizionato in tal mo-


do dall’universalità, fonda un sistema di dipendenza onnilaterale
(System allseitiger Abhängigkeit): di conseguenza, su ciò si fonda-
no – e soltanto in questo contesto sono reali e garantiti – la sussi-
stenza e il benessere del singolo e la sua esistenza giuridica in-
trecciata con la sussistenza, con il benessere e il diritto di tutti
(GW 14.1 § 183 p. 160, Dir p. 337).

In questa condizione in cui ognuno di noi viene a dipen-


dere da tutti gli altri non va però persa la nostra indipenden-
za, anzi questa viene rafforzata proprio dal riferimento ad al-
tro. È grazie all’altro che noi rafforziamo il sentimento della
nostra autonomia proprio perché è l’azione dell’altro che ci
consente di realizzare noi stessi. Si conferma qui – anche al-
l’interno del sistema dei bisogni – la concezione hegeliana del-
la libertà relazionale: il soggetto può essere presso di sé solo
nell’altro da sé.
Dunque solo apparentemente la società civile moderna rap-
presenta il regno dell’individuo autonomo e indipendente, per-
ché in realtà essa finisce per creare nuove dipendenze, grazie
alle quali può crescere e rafforzarsi il sentimento dell’autono-
mia. Se la società civile «strappa via l’individuo» dal legame fa-
miliare e «rende reciprocamente estranei i suoi membri e li ri-
conosce come persone autonome» essa tuttavia istituisce una
nuova dipendenza: quella nei confronti della società stessa,
quella nei confronti dell’«universale» sociale:

Al posto della natura inorganica esterna e del terreno paterno nel


quale il singolo aveva la sua sussistenza, la società civile mette il
proprio terreno e riduce la sussistenza dell’intera famiglia alle pro-
prie dipendenze, cioè l’assoggettamento all’accidentalità. In tal
modo l’individuo è divenuto figlio della società civile, la quale ac-
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108 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

campa tante pretese su di lui quanti sono i diritti che egli accampa
nei confronti di essa (GW 14.1 § 238 pp. 191-192, Dir p. 399).

La vecchia famiglia naturale è stata sostituita da una nuova,


molto più vasta e anonima, certo molto meno solidale e meno
pronta a prendersi cura di noi, ma in grado di farci crescere co-
me individui autonomi, capaci di vivere da soli proprio perché
in realtà sempre costretti a stare in relazione con tutti gli altri.
L’estraniazione reciproca accompagnata alla dipendenza reci-
proca produce l’indipendenza dell’uomo moderno, il «figlio
della società civile», questo misto di egoismo e di altruismo
non voluto e non perseguito ma altrettanto necessario.

In questa dipendenza e reciprocità del lavoro e dell’appagamento


dei bisogni, l’egoismo soggettivo si trasforma in contributo per l’ap-
pagamento dei bisogni di tutti gli altri. L’egoismo si trasforma, cioè,
nella mediazione del particolare operata dall’universale in quanto
movimento dialettico: in tal senso, guadagnando, producendo e
godendo per sé, proprio per questo ciascuno produce e guadagna
per il godimento di tutti gli altri (GW 14.1 § 199, Dir p. 353).

Il singolo non persegue volontariamente l’universale, non


agisce per il benessere di tutti, vuole solo il suo esclusivo be-
nessere e tuttavia ottiene, senza volerlo, l’universale, cioè il be-
nessere di tutti. È questo il meccanismo di funzionamento del-
la società moderna: non è necessario esser altruisti per produr-
re la ricchezza sociale, basta perseguire il proprio interesse e da
ciò ne deriverà il benessere per tutti50.

50 È evidente qui l’assunzione da parte di Hegel del punto di vista dell’e-


conomia politica classica, tanto che in queste righe sembra di risentire la ce-
lebre sentenza smithiana: «Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del
birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi
hanno cura del proprio interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanità, ma
al loro egoismo e con loro non parliamo mai delle nostre necessità, ma dei lo-
ro vantaggi» (A. SMITH, 1776, trad. it. p. 18). Tuttavia va anche osservato co-
me la prospettiva hegeliana non sia appiattita su quella degli economisti scoz-
zesi. Come vedremo più avanti, Hegel ritiene che l’universale prodotto dagli
egoismi individuali debba essere considerato solo un universale dell’intellet-
to nel quale non viene raggiunta la vera conciliazione di individuo e totalità,
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 109

È stato fatto giustamente notare che in questa concezione, in


cui l’individualità e l’universalità si compongono armonicamen-
te senza che vi sia l’intenzione cosciente di una tale conciliazio-
ne, Hegel torna ad avvicinare la società civile moderna al mon-
do naturale, in cui l’ordine del tutto non è prodotto consape-
volmente dai singoli momenti naturali e quindi appare estrinse-
co ad essi, pur essendone prodotto51. In questo quadro ben si
comprende la celebre espressione dell’Enciclopedia hegeliana in
cui la società civile viene definita come il «sistema dell’atomisti-
ca» (GW 20 § 523 p. 498, Enc p. 494): «atomistica» perché in
questa società ogni individuo si considera separato dagli altri e
vive concentrato solo su se stesso, ma anche «sistema» perché
egli in realtà è legato inconsapevolmente a tutti gli altri.

2.3.5 La società civile come «Stato esterno»


L’azione dell’universale all’interno della società civile intro-
duce in essa alcuni caratteri tipici della sfera statale, anche se si
tratta di uno Stato di tipo particolare. Hegel lo definisce «lo Sta-
to esterno» (GW 14.1 § 183 p. 160, Dir p. 337): esso infatti ri-
mane esterno rispetto agli individui, non è condizione della lo-
ro individualità e sussistenza ma viene prodotto e costituito da
essi. Sono gli individui a costruire questo sistema di relazioni
onnilaterali, così come sono essi a determinarne la regolamen-
tazione mediante leggi, tribunali, procedure giudiziali e pene52.

così come altrettanto intellettualistico debba essere ritenuto il pensiero del-


l’economia politica (cfr. GW 14.1 § 189 nota p. 165, Dir p. 345). In secondo
luogo il carattere non consapevole di quest’universalità finisce per renderla
del tutto accidentale e casuale, ponendo l’esigenza di una diversa universalità
(quale sarà rappresentata, come vedremo, dalla corporazione).
51 «La società civile moderna garantisce per Hegel, attraverso quel suo
strutturarsi a mo’ di natura, quello che non era riuscito a nessuna società del
mondo antico e medievale: consentire il massimo sviluppo possibile della sog-
gettività individuale e impedire, in pari tempo, che tale intensificazione di li-
bertà possa corrompere l’organicità dell’intero». Insomma quello che per il gio-
vane Hegel era il luogo per eccellenza della scissione diventa nello Hegel di Ber-
lino «il luogo della massima armonia naturalistica» (R. FINELLI, 1990, p. 77).
52 Va qui ricordato che Hegel colloca tutta la sfera dell’amministrazione
della giustizia all’interno della società civile (ne tratta tutta la seconda parte)
e non all’interno dello Stato, dal momento che quell’amministrazione ha co-
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110 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Ne deriva che questo Stato non è la realizzazione piena della li-


bertà ma continua a muoversi all’interno della dimensione del-
la naturalità e del bisogno. Esso infatti nasce proprio dall’esi-
genza di regolamentare i bisogni e gli appetiti degli individui.
Da ciò la sua caratterizzazione come «Notstaat» (ibid.), lo Stato
del bisogno: è quello il suo fine, fornire gli strumenti giuridici
necessari a regolare la soddisfazione dei bisogni naturali.
Questo Stato esterno e del bisogno è però anche «lo Stato
dell’intelletto» (ibid.), cioè serve a garantire quella «libertà for-
male» (§ 187) che rappresenta il punto di arrivo del processo
della società civile. E la libertà formale è solo una libertà ester-
na, è la libertà di non essere invasi e coartati dagli altri, è la li-
bertà negativa contro l’intrusione dell’altro, è cioè proprio la li-
bertà dell’intelletto. Il carattere fondamentale della società civi-
le è infatti sempre quello dell’individualismo, anche se poi
quell’egoismo è – controvoglia – relazionale, ma – appunto –
non esplicitamente, non coscientemente, non volontariamente.
L’universalità della società civile resta perciò subordinata all’in-
dividuo: essa «consente anche alla particolarità stessa di dive-
nire l’essere-per-sé autentico della singolarità» (GW 14.1 § 187
nota p. 163, Dir p. 343). Il suo fine sta fuori di essa, sta negli
individui per servire i quali essa è sorta.
Nella società civile l’universalità non viene mai riconosciu-
ta da coloro che hanno contribuito a produrla. Nessuno dei
suoi protagonisti la percepisce come tale. Hegel esprime que-
sto concetto dicendo che «non è come libertà bensì è come ne-
cessità che il particolare si eleva alla forma dell’universalità»
(GW 14.1 § 186 p. 162, Dir p. 341). Il che significa: è una con-
seguenza necessaria e incontrollata il passaggio dal particolare
all’universale, non uno scopo liberamente voluto e perseguito.
L’universale più che esser cercato viene subìto dai protagonisti
della società civile. In definitiva: la congiunzione rimane intel-

me fine la regolazione dei bisogni naturali e degli interessi empirici degli in-
dividui, quali si manifestano appunto sul terreno sociale. Ciò induce G. MA-
RINI (1978-90) ad equiparare la società civile hegeliana con il suo sistema giu-
diziario allo Stato di diritto kantiano e liberale: come quello anch’essa non è
altro che lo strumento necessario a garantire lo sviluppo degli interessi eco-
nomici individuali e la loro sicurezza.
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 111

lettualistica e i due termini – pur nella congiunzione – finisco-


no per restare separati e irrelati.

2.3.6 Il regno dell’apparenza


È in due paragrafi che troviamo condensato il pensiero di He-
gel sul rapporto fra universalità e particolarità nella società civile.
Sono due luoghi nei quali quel rapporto riesce a venire in chiaro
solo grazie ai necessari riferimenti alla Scienza della Logica e alle
categorie speculative di essenza, apparenza, parvenza e riflessione.
Innanzitutto nel § 184, tornando ancora una volta sul rap-
porto fra universalità e particolarità, Hegel ribadisce la difficoltà
di una loro conciliazione sul terreno della società civile. L’«Idea»
(cioè la realtà dell’etico e della libertà) sembra infatti essersi
sdoppiata (Hegel parla di Entzweiung, scissione) in questi due
momenti. Se infatti l’universalità si mostra «fondamento»
(Grund) e «fine ultimo della particolarità», sua «forma necessa-
ria», la «potenza ad essa superiore» (Macht über sie) cui la parti-
colarità sembra dover ubbidire e conformarsi, dall’altro lato
quella particolarità si è impadronita del «diritto di svilupparsi e
di muoversi per ogni lato» (GW 14.1 § 184 p. 160, Dir p. 337).
Nessun universale sembra in grado di controllare la incessante
mobilitazione delle singolarità riferite solo a loro stesse e l’armo-
nia che questa combinazione di egoismi sembra realizzare è
quanto di più accidentale e casuale possa darsi nella storia. L’eti-
cità, che rappresentava la caratteristica fondamentale del mo-
mento precedente, cioè di quella famiglia da cui sono uscite le
personalità autonome che vanno a costituire la società, si spezza
in due tronconi: da una parte gli individui e dall’altra il risultato
universalistico del loro operare. «Si tratta del sistema dell’eticità
perduta (verlorene Sittlichkeit) nei suoi estremi» (ibid. – corsivo
nostro). La totalità che risulta dall’azione delle particolarità non
è certo una totalità falsa ma non è neppure l’autentica composi-
zione degli egoismi. Hegel la definisce una «totalità relativa» nel-
le cui manifestazioni esteriori (da Hegel chiamate Erscheinungen,
apparenze fenomeniche) si mostra però una «necessità interna»53.

53 Riportiamo il passo per intero: «Si tratta del sistema dell’eticità perdu-
ta nei suoi estremi: esso costituisce il momento astratto della realtà dell’Idea,
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112 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Ciò che appare sono gli egoismi in lotta ma dietro questa appa-
renza si mostra un «interno», che rimane in parte nascosto e che
tuttavia traspare, un interno con il carattere della «necessità».
L’universale che sembrerebbe qualcosa di meramente acciden-
tale e totalmente dipendente dai capricci dei singoli appare qui
meno precario: è anzi l’assolutamente necessario, anche se quel-
le singolarità non lo riconoscono e non lo sanno come tale.
Tre paragrafi prima Hegel aveva già collegato quell’appari-
re esterno a una verità interna ancora nascosta. Nel § 181 egli
aveva affermato che nella società civile l’universalità era la «ba-
se fondamentale» (Grundlage) del particolare, specificando
tuttavia che lo era in un senso «ancora soltanto interiore e for-
male», concludendo poi che quell’universale era presente nel
particolare «solo in modo parvente (nur scheinende Weise)»54.
Come la necessità del § 184, anche l’universalità appare qui
qualcosa che sta al di là rispetto ai fenomeni sociali empirica-
mente visibili: in essi di quell’universalità si dà solo la parven-
za, non la realtà. In definitiva, quella che Hegel chiama «l’Idea
etica», cioè la realtà vera e propria dell’eticità, si manifesta nel-
la società civile solo sotto la forma della parvenza. Vengono in-
trodotte qui, come può ben notare qualunque lettore della
Scienza della Logica, alcune fondamentali categorie della logica
dell’essenza. La conclusione del paragrafo richiama infatti
esplicitamente quel luogo ed è comprensibile solo alla luce di
quello. Hegel infatti così conclude:

Questo rapporto di riflessione, dunque, presenta innanzitutto la


perdita dell’eticità; vale a dire: poiché l’eticità in quanto essenza
è necessariamente parvente (notwendig scheinend), questo rap-

la quale qui è soltanto come la totalità relativa e la necessità interna in questa


apparenza fenomenica esterna [Cicero traduce qui “fenomeno esterno”]»
(GW 14.1 § 184 p. 160, Dir p. 337).
54 Riportiamo anche qui il passo per intero, nella traduzione – a dire il ve-
ro abbastanza libera rispetto al testo – di V. Cicero: «Tale stadio, espresso ini-
zialmente in modo astratto, fornisce la determinazione della particolarità che
è, sì, in relazione all’universale come alla sua base fondamentale, ma lo è nel
senso che questa base è ancora soltanto interiore, è data in una modalità for-
male: nel particolare, pertanto, dell’universale c’è soltanto la parvenza» (GW
14.1 § 181 p. 159, Dir p. 335).
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 113

porto costituisce il mondo dell’apparenza fenomenica (Erschei-


nungswelt) nell’ambito dell’etico, la società civile (GW 14.1 § 181
p. 159, Dir p. 335).

La categoria logica con la quale Hegel introduce la società


civile è dunque quella della riflessione. Rispetto alla famiglia,
che ne costituisce l’immediato precedente, la società civile di-
venta possibile solo in quanto quell’unità immediata viene
spezzata dalla riflessione, dalla presa di coscienza che è al tem-
po stesso una presa di distanza, la quale introduce la dualità
dove prima c’era l’unità compatta. Ma la riflessione comporta
inevitabilmente la fine di quell’eticità: essa è «perduta» e – co-
me dirà Hegel tre paragrafi dopo – perduta «nei suoi estremi»
ormai divaricati e contrapposti.
Dall’«essere» della famiglia è uscita l’«essenza» costituita
dalla società civile, ma al pari dell’essenza logica, anche questa
non mantiene la promessa di mostrarsi come una verità più
piena e più compatta, bensì come l’esatto contrario. La rifles-
sione ha reso possibile il passaggio all’essenza ma invece di ren-
dere l’essere più visibile lo ha dissolto in un gioco di rimandi
nei quali dell’essere non vi è più traccia. Nel momento in cui
doveva manifestarsi l’essenza dell’essere, cioè la sua verità più
profonda e nascosta, questa sembra fatalmente sottrarsi allo
sguardo, perde ogni tratto dell’essere, e si mostra come la sua
negazione. Lo stesso accade con il passaggio alla società civile.
L’unità della famiglia è finita e la scissione si è ormai introdot-
ta nel mondo, per cui l’essenza in cui consiste la società civile
si mostra ormai solo come una parvenza di realtà. L’eticità è
sparita, perduta, scissa: nella forma dell’essenza è diventata
«necessariamente parvente». Ovviamente «parvenza» non si-
gnifica «nullità»55, tanto è vero che Hegel aggiunge subito do-

55 Giustamente G. CESARALE (2009) sottolinea il carattere «manifestati-


vo» e di rinvio ad altro dello Schein: il concetto di scheinen «esprime quel
processo per mezzo del quale l’essenza perviene a risplendere attraverso le
sue determinatezze» (p. 106). In altri termini, l’universale della società civi-
le, cioè il sistema della dipendenza onnilaterale, si manifesta nella «partico-
larità delle individualità economiche, le quali, a loro volta, assumendo un
contegno autonegativo, diventano immediata posizione di una totalità com-
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114 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

po che questo è un «mondo», un mondo costituito da appa-


renze fenomeniche (Erscheinungswelt), dietro le quali traspare
una verità, una necessità, un’universalità nascosta.
Introducendo in rapida successione le due categorie logiche
della parvenza e dell’apparenza è lecito supporre che Hegel in-
tenda conferir loro un differente significato. Infatti se seguiamo
con attenzione la scansione argomentativa hegeliana del § 181
(«poiché l’eticità in quanto essenza è necessariamente parven-
te, questo rapporto [di riflessione, n.d.r.] costituisce il mondo
dell’apparenza fenomenica»), vediamo che in essa viene svilup-
pata la tesi secondo cui, poiché l’eticità è «parvente», il mondo
che il rapporto di riflessione viene a costituire sarà un mondo di
«apparenze». In altri termini: la natura parvente dell’etico non
comporta la nullità del mondo ma il suo costituirsi reale come
un’apparenza che rivela e nasconde al tempo stesso la verità
dell’etico56. Nella logica infatti, mentre lo Schein è negazione
dell’essere, la sua nullità e mero rimando, nella Erscheinung
quel carattere rinviante si radica in una sussistenza reale57.
Ci sembra dunque legittimo, a partire da tutto ciò, suppor-
re una precisa corrispondenza fra i tre momenti dell’eticità (fa-
miglia, società civile, Stato) e la grande tripartizione della logi-
ca (essere, essenza, concetto). In effetti se la famiglia rappre-
senta l’immediatezza dell’essere e l’unità di particolarità e uni-

plessa e articolata. Si tratta, come per lo Scheinen operante nella Logica, di


un gioco di rispecchiamenti reciproci» (p. 107).
56 Bene ha fatto G. Cesarale a mettere in discussione la tesi di G. Marini
secondo cui qui Hegel non distinguerebbe tra Schein ed Erscheinung (G. MA-
RINI 1978-90, pp. 229-252). Tuttavia la sua ipotesi interpretativa secondo cui il
carattere «parvente» andrebbe riferito alla prima parte della società civile (cioè
al sistema dei bisogni) e il carattere «apparente» andrebbe invece riferito alla
seconda e terza parte (amministrazione della giustizia e corporazione), nelle
quali l’esistenza di un tessuto di relazioni concrete mostrerebbe concretamen-
te l’universale etico (cfr. in particolare G. CESARALE 2009, p. 109), benché sug-
gestiva soffre della mancanza di un esplicito riscontro nel testo hegeliano.
57 Nella Scienza della Logica Hegel qualifica lo Schein come «esser tolto
dell’essere» e la «sua nullità» (GW 11 p. 246, Log II p. 439) e la Erscheinung
come «realer Schein» (GW 11 p. 341, Log II p. 559), cioè come una parven-
za che ha consistenza reale: «L’essenza appare (erscheint); così essa è ormai
parvenza reale (realer Schein), in quanto i momenti della parvenza hanno esi-
stenza (Existenz)».
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versalità, la società civile rappresenta la riflessione e dunque lo


sdoppiamento tra realtà e apparenza tipico dell’essenza, men-
tre lo Stato costituisce il momento della pienezza della realtà
rappresentato dal concetto, l’unità di essere ed essenza, imme-
diatezza e riflessione, oggettività e soggettività58.
Al di là tuttavia della precisione di queste corrispondenze ciò
che resta fermo è il carattere transitorio e intermedio della so-
cietà civile, i suoi tratti per certi versi anticipatori rispetto allo
Stato ma altresì la sua incapacità di risolvere da sé i problemi che
l’attraversano. Anche la sua caratterizzazione come apparenza ne
conferma l’impianto intellettualistico che già avevamo rilevato.
In essa si realizza, come abbiamo visto, una forma di concilia-
zione fra particolare e universale ma quell’unità, essendo solo un
prodotto dell’intelletto, si rivela parziale e inadeguata. Solo la ra-
gione riuscirebbe a realizzarla ma nella società civile anche la ra-
gione – avverte Hegel – viene colpita dalla parvenza.

Di conseguenza, in questa sfera della finitezza, tale parvenza della


razionalità (Scheinen der Vernünftigkeit) è l’intelletto. L’intelletto
è appunto il lato che qui dev’esser preso in considerazione, e che,
all’interno di questa sfera, costituisce l’elemento di conciliazione
(GW 14.1 § 189 p. 165, Dir p. 345).

Questo stesso intelletto è il punto di vista che guida l’eco-


nomia politica (esplicitamente citata nella nota al paragrafo), il
cui «pensiero» riesce a rintracciare «i principi semplici della
cosa» e a esplicitare «l’attività dell’intelletto che governa la co-
58 Ovviamente sono possibili anche altri accostamenti dei tre momenti
dell’eticità: con le tre sezioni interne alla logica dell’essenza (essenza, apparen-
za, realtà) ma anche con le tre sezioni della logica del concetto (soggettività,
oggettività, Idea). A favore di quest’ultima corrispondenza si è espresso G.
MARINI (1978-90, pp. 11-42), basandosi sull’affermazione hegeliana secondo
cui la società civile andrebbe intesa come la sfera della «Realität» (§ 181) in
cui i momenti della particolarità e dell’universalità (uniti compattamente nel-
la famiglia, cioè presenti in essa solo come concetti) si fanno realtà indipen-
denti (selbstständige Realität). La società civile rappresenterebbe quindi una
sorta di «oggettività» di quel «concetto soggettivo» in cui consiste la famiglia.
Ognuno di questi accostamenti ha la sua plausibilità, anche a fronte delle scar-
se indicazioni di Hegel a questo proposito, ma soprattutto considerando che
è tipico del sistema hegeliano l’intreccio multiplo dei suoi momenti.
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116 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

sa». Ora finché si rimane all’interno della sfera della società ci-
vile è vano pretendere di raggiungere – secondo Hegel – un
punto di vista superiore a quello dell’intelletto, non è sensato
cioè opporre a questa conciliazione parziale un punto di vista
soggettivo che sfoghi contro di essa «il proprio malcontento e
il proprio moralismo stizzoso». L’unico elemento di concilia-
zione che si può pretendere «consiste nel conoscere questa par-
venza di razionalità» (GW 14.1 § 189 nota p. 165, Dir p. 347),
prendendo atto che in questa sfera le conciliazioni saranno in-
tellettualistiche, cioè parziali e accidentali e che l’unica moda-
lità in cui potrà manifestarsi la ragione sarà quella della par-
venza. Questo è il limite strutturale della società civile. Essa
avrà sempre due lati, sarà sempre momento essenziale dell’eti-
cità e al tempo stesso dissoluzione di essa, patria dell’uomo
moderno ma anche patria nella quale egli si sente estraneo59.
L’atteggiamento hegeliano nei confronti della società civile
non è perciò né l’adesione acritica né all’opposto il rifiuto mo-
ralistico ma è quello dell’unità di esposizione e critica. Come ha
scritto M. Theunissen, la prospettiva critica attraversa gran par-
te della Filosofia del diritto, caratterizzando innanzitutto le pri-
me due parti costituite dal diritto astratto e dalla moralità60, ma

59 Si fa qui evidente il limite dell’interpretazione proposta da J. Ritter con


la sua adesione senza riserve al punto di vista della società civile e della sfera
giuridica. Egli manca di rilevare infatti le insufficienze di questa sfera, cioè il
suo mancato superamento del punto di vista intellettualistico. Come ha os-
servato R. Bubner «l’importante e influente saggio di Ritter su “ Soggettività
e società industriale” ha il merito di mettere in rilievo la modernità della con-
cezione hegeliana contro il sospetto di essere reazionaria; ciò tuttavia accade
al prezzo di riferire completamente la soggettività moderna all’organizzazio-
ne della società, mentre secondo la filosofia del diritto hegeliana essa giunge
a sé senza residui solo nello Stato» (R. BUBNER, 1996, pp. 150-151, nota).
60 Anche la prospettiva interpretativa di Theunissen si muove in contro-
tendenza rispetto all’idea di Ritter secondo la quale la filosofia del diritto he-
geliana sarebbe una esposizione affermativa della libertà dei moderni, ovve-
ro lo svelamento della «verità del diritto astratto borghese». Contro questa
idea Theunissen la ritiene invece una «esposizione critica del diritto natura-
le moderno e, attraverso questo, della realtà sociale» (M. THEUNISSEN, 1982,
p. 318). La sua idea interpretativa di fondo segue la linea da lui sostenuta nel-
la celebre lettura della Scienza della Logica (cfr. M. THEUNISSEN, 1978): come
in questa il lato critico si manifestava nella dottrina dell’essere e dell’essenza
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 117

entrando poi dentro la stessa sfera dell’eticità: «La teoria della


società civile non si separa dalla critica che Hegel espone nelle
dottrine del diritto astratto e della moralità» ma, anzi, «in essa
la critica trova piuttosto il suo compimento»61. In sostanza la
particolarità della dottrina della società civile consisterebbe nel
fatto che in essa la verità si manifesta nella stessa non-verità.
Negatività e positività si mostrano cioè strettamente intreccia-
te. Hegel critica infatti il tipo di libertà e di universalità che lì si
realizzano, ma al tempo stesso mostra in quella negatività l’ap-
parire di una libertà e una universalità vere in sé e per sé62.
Questo intreccio di esposizione e critica si fa evidente in
quel tema, che abbiamo visto essenziale in tutta questa sezio-

per diventare poi affermativo nella dottrina del concetto, così nella Filosofia
del diritto la critica sarebbe esercitata nelle prime due parti (diritto astratto e
moralità) per poi trasformarsi in esposizione positiva nella dottrina dell’eti-
cità: «La filosofia dell’eticità fissa il punto di vista affermativo di Hegel. Es-
sa costituisce anche per lo stesso Hegel il vero e proprio inizio. Di fronte ad
esso il diritto astratto e la moralità sono i destinatari della critica» (M. THEU-
NISSEN, 1982, p. 321). Sulla plausibilità di questo doppio registro hegeliano
nella Scienza della logica abbiamo già mosso dei rilievi in L. CORTELLA, 1995
(pp. 265-266, nota e pp. 346-347), sostanzialmente accogliendo le critiche
mosse a Theunissen da Horstmann e Fulda (cfr. FULDA-HORSTMANN-THEU-
NISSEN, 1980) in relazione all’impossibilità di separare così nettamente espo-
sizione e critica sulla base della semplice collocazione delle parti dell’opera.
Analogo rilievo dobbiamo perciò muovere anche a questa interpretazione del-
la Filosofia del diritto che terrebbe la dottrina dell’eticità fuori dal classico pa-
radigma hegeliano dell’unità di esposizione e critica. Del resto lo stesso Theu-
nissen si vede costretto a correggere se stesso ammettendo poco dopo che nel-
la teoria della società civile si ripresenta l’unità di esposizione e critica.
61 M. THEUNISSEN, 1982, p. 339.
62 Sulla stessa linea di Theunissen si muove anche E. ANGEHRN, 1977, se-
condo il quale l’unità di esposizione e critica troverebbe, nella Filosofia del
diritto, un radicamento storico nella struttura intrinsecamente duplice del-
l’intera realtà dello spirito oggettivo. Questa è infatti caratterizzata dall’unità
di «fattualità» e «normatività», di «essere» e «validità». Questa unità reale,
cioè la natura normativa della realtà storica, sarebbe il fondamento che ren-
de possibile l’unità teorica di esposizione e critica. Poiché l’oggetto della fi-
losofia dello spirito oggettivo è la libertà, cioè un oggetto normativo, essa si
costituirebbe come teoria descrittiva e al tempo stesso normativa. La libertà
infatti «è di per sé una critica di tutti i concetti parziali della libertà, di tutti
i concetti fissati in momenti specifici particolari, come ad esempio la libertà
come determinazione giuridica o come autonomia morale» (pp. 178-179).
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 118

118 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

ne, rappresentato dal rapporto fra le individualità storiche e


l’universalità sociale. Da un lato Hegel espone il progressivo
sviluppo della libertà individuale all’interno della società civi-
le, il suo rafforzarsi e la sua piena realizzazione, resa possibile
proprio grazie alle condizioni della società civile stessa. Dal-
l’altro lato egli critica la limitatezza dell’orizzonte soggettivisti-
co, mostrando l’autosuperamento dell’individuo nell’universa-
le, nella totalità sociale. Ora questo autosuperamento consiste
nel continuo riferimento ad altro, relazione che caratterizza sia
la sfera del diritto astratto, sia quella della moralità, sia infine
quella della società civile63. M. Theunissen ha introdotto a que-
sto proposito la nozione di «Veranderung», nella quale l’asso-
nanza con la parola Veränderung (cambiamento, trasformazio-
ne) si fonde con il significato della parola Andere (l’altro) in es-
sa contenuto. La «Veranderung» è la trasformazione che subi-
sce l’individuo nel mentre diventa altro e viene rinviato all’al-
tro che gli sta di fronte. Questo movimento caratterizza, se-
condo Theunissen, l’intera Filosofia del diritto come uno dei
suoi concetti-chiave. In particolare nella società civile esso con-
siste nella necessità per il singolo individuo di inserirsi nel si-
stema di onnidipendenza, all’interno del quale egli può guada-
gnare la propria autosussistenza e indipendenza grazie al lavo-
ro e ai bisogni di tutti gli altri. In ciò la libertà individualistica
si mostra in tutta la sua limitatezza, o meglio viene reso visibi-
le nell’universale il suo contenuto di verità, la sua essenza
profonda. La volontà universale si rivela qui come la verità ul-
tima della volontà particolare.
In questa considerazione c’è già, secondo Hegel, tutta la ne-
cessità del passaggio allo Stato, vale a dire la necessità del pas-
saggio a una condizione nella quale non solo implicitamente ma
esplicitamente la volontà universale sia l’oggetto delle volontà
particolari. Non dobbiamo infatti scordare che i protagonisti
della società civile rimangono del tutto inconsapevoli della loro
«Veranderung», del loro essere rinviati ad altro e della loro co-
mune costruzione di una volontà universale. Il passaggio allo

63 L’interpretazione di riferimento continua qui ad essere quella svilup-


pata in M. THEUNISSEN, 1982.
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 119

L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 119

Stato toglie quella inconsapevolezza. Ma perché avvenga quel-


l’ultimo passo è assolutamente indispensabile l’opera della so-
cietà civile. Essa è infatti la condizione insostituibile per il co-
stituirsi dello Stato, il passaggio indispensabile affinché gli indi-
vidui diventino consapevoli della verità dell’universale64.
Per questo motivo Hegel ritiene che la società civile, insie-
me alla famiglia, costituisca «la dimostrazione scientifica del
concetto dello Stato» (GW 14.1 § 256 nota p. 199, Dir p. 415).
«Dimostrazione» va qui intesa, in primo luogo, come «sviluppo
dell’eticità immediata, attraverso lo sdoppiamento della società
civile, fino allo Stato che si mostra come loro fondamento ve-
ritativo» (ibid.), dev’esser cioè compresa come quel processo
che conduce allo Stato e alla sua vera universalità come risul-
tato della società civile. In secondo luogo quella dimostrazione
va però intesa come confutazione dei due momenti che prece-
dono lo Stato, cioè come toglimento delle loro pretese di verità
e priorità. Dalla «critica» di famiglia e società civile emerge ex
negativo la verità positiva dello Stato. Esso perciò non «dipen-
de» dai momenti che lo precedono, così come una conseguen-
za dipende dalle premesse e dai principi primi, ma al contrario
rende dipendenti da sé i momenti che lo hanno preceduto. Lo
Stato è infatti la vera «premessa» e il vero principio primo, so-
lo alla luce del quale si possono comprendere la verità limitate
costituite da famiglia e società civile. Ne deriva che non può
fungere da premessa nemmeno lo stesso processo di mediazio-
ne che ha condotto allo Stato: quella mediazione viene così
«tolta» nel momento in cui approda ad esso.

Poiché, nel corso del concetto scientifico, lo Stato si manifesta co-


me risultato ma si produce come fondamento veritativo, ecco al-

64 Questo passaggio può essere visto anche come una sorta di transizione
dalla natura allo spirito. Gli individui che si muovono nella società civile so-
no infatti ancora degli esseri naturali, spinti da pulsioni e bisogni e che isti-
tuiscono fra loro solo relazioni esterne di tipo meccanico. Nel passaggio allo
Stato è invece necessario «che l’individuo maturi un’intima adesione alle pre-
scrizioni dell’universale e dismetta perciò la sua originaria natura pulsionale
caotica e ribelle. L’individuo stesso deve, insomma, trasformare la sua natura
in spirito» (G. CESARALE, 2009, p. 60).
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120 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

lora che quella mediazione e parvenza toglie (hebt auf) se stessa


elevandosi a immediatezza (ibid.).

La mediazione è una parvenza di mediazione, così come lo


Stato è solo apparentemente mediato (cioè prodotto) da ciò
che lo precede. In realtà esso è un’immediatezza (cioè la vera
premessa) da cui dipende il processo di mediazione, è cioè il
fondamento, la ragione del sussistere di tutti i momenti che lo
hanno preceduto. «Nella realtà, pertanto, lo Stato in generale è
piuttosto il primo» (ibid.). La «necessità» che si intravedeva nei
fenomeni della società civile, così come l’universalità «relati-
va», erano quindi delle anticipazioni che già mostravano la pre-
senza implicita dello Stato prima ancora che questo si mostras-
se come tale.

2.3.7 Dalla libertà soggettiva alla libertà relazionale: famiglia,


società civile, corporazione
Nonostante la «Veranderung» subita dai soggetti all’interno
della società civile, finché si rimane all’interno di quella sfera
l’individualismo non viene mai superato del tutto. Hegel ribadi-
sce l’inutilità e la vuota astrattezza di qualsiasi tentativo di repri-
mere tale individualismo e di contrapporre il dover essere del-
l’uguaglianza alle disuguaglianze prodotte dagli interessi egoisti-
ci. La società civile è infatti fondata sul diritto della particolarità,
sulla sua intangibilità65, e lo sviluppo di tale diritto (che «si espli-
ca in tutte le direzioni e in tutti i livelli» [GW 14.1 § 200 p. 170,
Dir p. 355]) produce necessariamente le disuguaglianze. Queste
non incontrano alcuna vera azione di contrasto ma, al contrario,
vengono ulteriormente incrementate, attraverso una riproduzio-
ne delle disuguaglianze naturali di base e il loro rafforzamento
nonché moltiplicazione come disuguaglianze «spirituali».

Nella società civile, questo diritto [della particolarità, n.d.r.] non


solo non rimuove la disuguaglianza degli uomini posta dalla na-
tura – cioè, dall’elemento stesso della disuguaglianza –, ma addi-

65 Hegel lo definisce «il diritto oggettivo della particolarità» (GW 14.1 § 200
nota p. 170, Dir p. 355 – corsivo nostro).
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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 121

rittura la produce a partire dallo spirito, elevandola a disugua-


glianza dell’abilità, del patrimonio e persino della formazione in-
tellettuale e morale (GW 14.1 § 200 nota p. 170, Dir p. 355).

In questo senso la struttura dello status naturae non viene


mai realmente superata. La particolarità della società civile
«contiene ciò che resta dello stato di natura» (ibid.): basti pen-
sare a tutti gli elementi di accidentalità che possono produrre
uno stato di disuguaglianza tra gli esseri umani, accidentalità
che non vengono minimamente contrastate.
Nella società civile si afferma dunque un modello specifico di
libertà, quello individualistico e negativo che riconosce solo il
proprio interesse particolare e ignora i bisogni di tutti gli altri.
La società sembra perciò aver rimosso e cancellato la sfera da cui
proviene, quella familiare, nella quale aveva invece trovato rea-
lizzazione un modello diverso di libertà, quello relazionale. Ma
la condizione per il concretizzarsi di quel modello era la natura
profondamente diversa dell’etico che governava quella sfera.
La famiglia infatti realizza l’eticità sotto la forma dell’imme-
diatezza, cioè in forma non consaputa, e quell’assenza di rifles-
sione impedisce l’isolarsi e il respingersi reciproco dei suoi
componenti. In essa tornano a manifestarsi perciò, pur all’in-
terno della costellazione moderna, alcuni tratti dell’eticità anti-
ca, nella quale vigeva un’unità indistinta di individuo e comu-
nità e nella quale la totalità aveva l’assoluto dominio sul singo-
lo. Anche nella famiglia «moderna» (finché essa rimane l’uni-
co riferimento per l’individuo, prima cioè del suo contatto con
la società) l’individualità non si sa come «persona» ma solo co-
me «membro» (cfr. GW 14.1 § 158 p. 144, Dir p. 307). E il mo-
tivo di ciò sta nel fatto che «la famiglia è un’unica persona» i
cui membri «sono accidenti» (GW 14.1 § 163 nota p. 146, Dir
p. 311). Solo nel caso della sua «dissoluzione etica» (che avvie-
ne quando i figli, pervenuti alla maggiore età, abbandonano la
famiglia d’origine) i membri diventano «persone di diritto»
(GW 14.1 § 177 p. 155, Dir p. 327).
Ma nonostante questi caratteri, che avvicinano la famiglia
al modello etico dell’antichità, nonostante questa immediatez-
za di base, Hegel colloca la sua concezione della famiglia al-
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122 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

l’interno delle coordinate della modernità. La sua è infatti la


famiglia del mondo borghese, nella quale sono andati perduti
tutti i tratti «economici» che la caratterizzavano nella sua ver-
sione tradizionale, sostituiti ora dai caratteri «moderni» del
sentimento e delle relazioni private66. Ma il punto fondamen-
tale riguarda il tipo di funzione «etica» che Hegel attribuisce
alla famiglia: il suo scopo è infatti quello di educare i suoi
membri alla libertà individuale e di stabilire delle relazioni che
invece di annullare le individualità nella compattezza del nu-
cleo familiare le preparino all’uso autonomo e responsabile
della loro libertà – un tratto, questo, tipico dell’età moderna.
«L’unità matrimoniale è certo un’autolimitazione: essa però,
appunto in quanto le due persone vi guadagnano la propria
autocoscienza morale, è la loro liberazione» (GW 14.1 § 162
p. 145, Dir p. 309). La limitazione data dall’impegnativa rela-
zione con l’altro che si realizza nel vincolo familiare qui non è
una restrizione della libertà ma la sua espansione. Nell’unione
infatti ognuno dei due viene liberato dai propri limiti e con-
dotto ad essere se stesso più di quanto non lo sarebbe se ri-
manesse al di fuori di quell’unione.
Ancor più significativa è, a questo proposito, l’aggiunta al
§ 158. In essa Hegel chiarisce che la specificità dell’amore con-
siste nell’acquistare «la mia autocoscienza soltanto come ri-
nuncia al mio esser per sé e in virtù del sapere me, come del-
l’unità di me con l’altro e dell’altro con me» (RZ p. 307, DirA
p. 332). In altri termini: la rinuncia a me stesso porta in gua-
dagno proprio l’acquisizione della «mia autocoscienza». Men-
tre infatti il «primo momento» dell’amore sta nella decisione di
non essere autonomo e nella volontà di cedere il proprio sé al-
l’altro perdendo l’autonomia, il suo «secondo momento», cioè
l’effettivo risultato ottenuto grazie a questa cessione dell’auto-
nomia, è che «io acquisto me in un’altra persona» (ibid.).
Per questo motivo Hegel aggiunge che l’intelletto non è in
grado di comprendere quello che propriamente succede nel-
l’amore. Esso non sopporta questa contraddizione in base alla
quale l’autonomia viene negata e al tempo stesso riaffermata.

66 Su questo punto si veda M. RIEDEL, 1970, p. 22.


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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 123

Ma qui è all’opera proprio quel concetto di libertà relazionale


in cui «io» sono libero non «contro» ma «grazie» all’altro.
Un analogo intreccio tra libertà e relazionalità viene mo-
strato da Hegel nel rapporto genitori-figli. La disciplina cui i fi-
gli vengono sottoposti ha infatti come fine non già la loro ridu-
zione a elementi non scomponibili della famiglia. Al contrario
il suo scopo è quello di educarli alla libertà, cioè di prepararli
ad abbandonare la stessa famiglia che li ha generati e cresciuti.
Se infatti il compito immediato dell’educazione dei figli («la
destinazione positiva») è quello di «recare in loro l’eticità come
sentimento immediato» (GW 14.1 § 175 p. 153, Dir p. 323), la
seconda funzione («la destinazione negativa») è quella di «ele-
vare i figli dall’immediatezza naturale, in cui essi si trovano ori-
ginariamente, fino all’autonomia e alla personalità libera, e,
quindi, fino alla capacità di uscire dall’unità naturale della fa-
miglia» (GW 14.1 § 175 pp. 153-154, Dir p. 325).
L’eticità nella sfera della famiglia si caratterizza dunque
come il realizzarsi di relazioni intersoggettive che sono condi-
zione di libertà e autonomia. Nel loro instaurarsi fra i coniu-
gi (§ 163) tali relazioni sono caratterizzate da rapporti di re-
ciprocità regolati dall’amore, dalla fiducia e dalla comunione
(Gemeinsamkeit), mentre nel caso dei figli tale rapporto è ca-
ratterizzato ancora dall’amore e dalla fiducia, oltre che dal-
l’obbedienza (§ 175).
Con il passaggio alla società civile, se viene raccolto il risul-
tato dello sviluppo etico realizzato dalla famiglia, vale a dire
l’autonomia dell’individuo, viene tuttavia perduta completa-
mente la reciprocità dei rapporti che quel risultato aveva reso
possibile. L’intersoggettività che caratterizza questa sfera è in-
fatti del tutto priva di relazioni e di intenzionali riferimenti al-
l’altro. L’individuo è condotto verso gli altri quasi contro le
sue stesse intenzioni, essendo queste rivolte esclusivamente al
perseguimento dei suoi interessi particolari. Ciò ha come ri-
sultato l’assenza di una effettiva relazione con l’altro che sia
capace di istituire l’identità di ognuno nella comunanza e dif-
ferenza rispetto alle altre individualità. Il riferimento all’altro
da sé si risolve invece in un’universale intercambiabilità, in un
rendersi indistinguibile e in una completa rinuncia alle pro-
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124 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

prie specifiche caratteristiche individuali. Il singolo viene con-


dotto all’universalità ma il prezzo per questa sua elevazione è
il suo stesso diventare «astratto». Tale perdita si manifesta in
particolare nei processi di lavoro, in cui l’individuo diventa
anello di una catena nella quale ognuno è per l’altro in modo
del tutto indeterminato.

Grazie alla divisione, il lavoro del singolo diviene più semplice, e,


in virtù di ciò, diviene più grande la sua abilità nel lavoro astrat-
to, come pure aumenta la quantità delle sue produzioni. Al tem-
po stesso, questa astrazione dell’abilità e del mezzo porta a com-
pimento, come necessità totale, la dipendenza e la relazione reci-
proca degli uomini in vista dell’appagamento dei restanti bisogni.
L’astrazione della produzione, inoltre, rende il lavoro sempre più
meccanico e quindi, in ultima analisi, idoneo a far sì che l’uomo
possa ritrarsene e farsi sostituire dalla macchina (GW 14.1 § 198
p. 169, Dir p. 353).

La meccanizzazione e semplificazione del lavoro, la sosti-


tuibilità universale dei lavoratori ormai sempre più simili alle
macchine, la dipendenza onnilaterale nei bisogni produce un
livellamento generale della società. Scrive a questo proposito
R. Bubner:

Il sistema della soddisfazione dei bisogni sembra suggerire che le


particolarità vengano in quel contesto rispettate come tali. In
realtà attraverso il perfezionamento del sistema si trovano consu-
mate e livellate. Ognuno ritiene di essere proprio lui importante,
mentre invece guardando al tutto si vede che egli funge come ele-
mento di scambio con tutti gli altri 67.

Insomma le particolarità, apparentemente valorizzate e lu-


singate, vengono in realtà così consumate da ritornare nuova-
mente alla condizione dell’uguaglianza naturale da cui erano
partite. La società civile, luogo per eccellenza delle disugua-
glianze e della moltiplicazione della differenze naturali, realiz-
za per altro verso un’uguaglianza di tipo nuovo, un livellamen-

67 R. BUBNER, 1996, pp. 151-152.


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L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 125

to anonimo che aumenta ulteriormente la pressione del domi-


nio su ogni componente della società. L’universalità, che gli in-
dividui non riconoscevano e tenevano ostinatamente al di fuo-
ri dei loro scopi e dei loro interessi, non solo si impone su quel-
le intenzioni ma si fa addirittura identica a quegli stessi indivi-
dui, impossessandosi delle loro identità e spogliandole di ogni
specificità. L’uomo perde ogni concretezza, si fa identico all’u-
niversale sociale e in ciò diventa estraneo a se stesso, alla sua
identità più propria. L’astrazione e l’estraneazione diventano
alla fine le qualità specifiche dei rapporti intersoggettivi68.
La perdita della dimensione relazionale della libertà e la ri-
caduta dentro un modello solipsistico provoca dapprima la di-
varicazione di particolarità e universalità e poi la loro unifor-
mazione coatta. Alla fine è la stessa libertà individuale, fatico-
samente perseguita dai protagonisti della società civile, a veni-
re messa in discussione: l’individuo perde la sua autonomia, di-
ventando egli stesso indistinta e astratta universalità.
Hegel tuttavia ritiene che la società civile abbia in sé le ri-
sorse per correggere questa tendenza all’individualismo, al na-
turalismo e all’astrazione. Tali risorse possono essere impiega-
te per ricondurre i protagonisti della società civile a prendersi
cura di quell’universale da loro ignorato e farne l’oggetto e il fi-
ne della loro azione.
Ciò avviene in una prima – ancora limitata – modalità con
l’affidamento di questo compito all’autorità di «polizia», un’i-
stituzione «sociale» le cui funzioni, nel significato conferitole
da Hegel, vanno ben al di là di ciò che noi attualmente siamo
soliti attribuirle. Hegel infatti la qualifica come «la potenza pro-
tettrice e rassicurante dell’universale» (GW 14.1 § 231 p. 189,
Dir p. 393). Essa infatti deve garantire non solo la protezione
dai crimini ma soprattutto una politica economica, una rego-

68 Come ha notato acutamente M. THEUNISSEN (1982), la reale elevazio-


ne dell’individuo all’universalità non consiste tanto nel meccanismo indivi-
duato dall’economia politica, in base al quale il singolo, lavorando per sé, la-
vora al tempo stesso per l’universale, quanto nel diventare astratto – e quin-
di universale, e perciò estraneo a sé – dello stesso individuo. Nella società ci-
vile l’intersoggettività è possibile solo come astrazione ed estraneazione (cfr.
pp. 373-377).
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126 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

lazione dei mercati, una politica sociale. Nella polizia, in so-


stanza, Hegel vede qualcosa di simile all’attuale welfare state.
Ad essa è infatti affidato il compito di risolvere il problema
della divaricazione tra «ricchezze sproporzionate» e la «gran-
de massa di individui» che sta al di sotto della «misura d’u-
na certa modalità di sussistenza» (GW 14.1 § 244 p. 194, Dir
p. 403). Dato che l’irriducibile individualismo della società
civile rende l’universale da esso prodotto come del tutto ac-
cidentale, e dato che «nonostante l’eccesso di ricchezza, la so-
cietà civile non è ricca abbastanza [...] per ovviare all’eccesso
di povertà» (GW 14.1 § 245 p. 194, Dir p. 403), un tale in-
tervento è non solo doveroso ma necessario. Tuttavia – av-
verte Hegel – l’azione della polizia rimane «solo un ordina-
mento esterno» (GW 14.1 § 231 p. 189, Dir p. 393), in quan-
to non è la stessa società civile nella sua organicità a propor-
si l’obiettivo dell’universale.

L’attività poliziesca di prevenzione realizza e mantiene innanzi-


tutto l’universale, che è contenuto nella particolarità della società
civile, come un ordinamento e apparato esterno per la protezione
e la sicurezza delle masse contro quei fini e interessi particolari
che hanno la loro sussistenza in questo stesso universale (GW
14.1 § 249 p. 196, Dir p. 407).

Solo quando la conservazione dell’universalità non è più


operata dall’esterno ma diventa il fine interno della stessa so-
cietà civile, solo allora si sono poste le basi per la ricostruzione
dell’eticità. Questo è l’elemento che caratterizza l’attività del-
la corporazione.

Ora, secondo l’Idea, la particolarità stessa trasforma questo uni-


versale, che è nei propri interessi immanenti, rendendolo fine e og-
getto della propria volontà e della propria attività. Di conseguen-
za, l’etico ritorna nella società civile come elemento immanente.
Questo costituisce la determinazione della corporazione (ibid.).

Assistiamo qui alla riabilitazione da parte di Hegel di un’i-


stituzione medievale, ormai in declino nella sua stessa epoca,
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 127

L’EPOCA DELLA LIBERTÀ UNIVERSALE 127

alla quale però egli affida un compito specifico strettamente


legato alla dinamica della società moderna: quello di superare
gli egoismi e la dinamica autodistruttiva della società civile69.
La corporazione infatti «implica una limitazione del cosiddet-
to diritto naturale di esercitare la propria abilità» indirizzan-
do quell’abilità «in vista di un fine comune» (GW 14.1 § 254
p. 198, Dir p. 413). Il salto rispetto alla logica della società ci-
vile consiste qui nel fatto che i membri di una corporazione
non hanno come loro primo obiettivo l’interesse individuale
ma l’interesse comune: curare l’educazione e la formazione
professionale, proteggere i propri appartenenti dalle acciden-
talità, assicurare le ricchezze guadagnate con il lavoro.
L’eticità torna a manifestarsi e si presenta con i caratteri che
essa aveva nella famiglia. «La corporazione ha il diritto di
svolgere per i suoi membri la funzione di seconda famiglia»
(GW 14.1 § 252 p. 197, Dir p. 409), scrive Hegel, affermando
poco oltre che essa è, dopo la famiglia «la seconda radice etica
dello Stato» (GW 14.1 § 255 p. 199, Dir p. 413 – corsivo nostro).
In definitiva: con la corporazione si ricostituiscono – all’interno
della società civile moderna – sentimenti e legami comunitari.
Ma con un avanzamento decisivo rispetto all’eticità primitiva
della famiglia: mentre infatti in quella i momenti della particola-
rità e dell’universalità erano congiunti in modo immediato («in
unità sostanziale»), qui essi vengono unificati «in modalità inte-
riore» (ibid.), cioè sono consaputi e voluti esplicitamente.
La corporazione pone dunque le basi per il superamento
dei limiti della società civile: rimette in gioco gli individui co-
me capaci di relazioni reciproche e li rende responsabili nella
determinazione di interessi comuni e universali. Essa prepara
perciò il passaggio alla sfera statale, nella quale l’universale non
è quello «limitato e finito» della corporazione, cioè circoscritto
ai suoi affiliati, ma è il «fine universale in sé e per sé» (GW 14.1

69 Scrive Riedel a questo proposito: «Secondo lui le “corporazioni” non


sono né i comuni o le città o i ceti nella loro costituzione politica (“le corpo-
razioni di borghesi o di nobili”), né ogni “comunità” o “società” fino ad ar-
rivare allo Stato o alla Chiesa, ma le forme di organizzazione della “struttura
lavorativa della società civile” (§ 251), che devono togliere l’isolamento degli
individui in loro stessi e i loro scopi particolari» (M. RIEDEL, 1970, p. 65).
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128 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

§ 256 p. 199, Dir p. 413)70. Resta da vedere tuttavia se in que-


sto passaggio a una sfera nella quale l’universale finisce per
coincidere con lo Stato in quanto tale, venga mantenuto l’in-
treccio promesso da Hegel fra libertà individuale, libertà rela-
zionale e universalità71. È quanto ci proponiamo di verificare
nel prossimo capitolo.

70 G. CESARALE (2009) ritiene debole l’argomentazione hegeliana a so-


stegno del passaggio dalla corporazione (e quindi dalla sfera della società ci-
vile) allo Stato: dall’esistenza di una molteplicità di «universali» in competi-
zione fra loro non emergerebbe alcuna necessità di un unico universale che li
comprenda tutti assieme. La mediazione (cioè il processo) che conduce allo
Stato non si «toglierebbe» nell’immediatezza statale ma rimarrebbe di essa
un residuo: «la mediazione si inceppa, non “sparisce” più in ciò che dovreb-
be fondarla» (p. 19). In effetti l’argomento hegeliano mostra l’esigenza di un
universale privo di conflitti con altri universali ma non la sua necessità. Ciò
non toglie tuttavia che l’argomento abbia una sua plausibilità, soprattutto
laddove si tenga presente che l’universalità dello Stato è dimostrata come
fondamento (questo il vero argomento hegeliano sul togliersi della mediazio-
ne) e presupposto delle universalità particolari e formali della società civile,
ponendole come suoi momenti.
71 A. HONNETH (2001) critica la scelta hegeliana di collocare l’istituzio-
ne universalistica della corporazione all’interno della società civile invece
che all’interno dello Stato («così sarebbe stato risparmiato l’imbarazzo di
dover collocare in una medesima sfera due forme del riconoscimento total-
mente divergenti, delle quali la prima è collegata a transazioni commerciali,
e la seconda, al contrario, con interazioni di orientamento valoriale», trad. it.
p. 130). Il motivo di tale mancata collocazione andrebbe ravvisato, secondo
Honneth, nella tendenza hegeliana ad escludere dalla sfera statale la dimen-
sione della relazione intersoggettiva a favore della dimensione verticale del
rapporto singolo-universale. Riservandoci di intervenire nel prossimo capi-
tolo sul tema delle relazioni intersoggettive all’interno della sfera statale, ri-
portiamo tuttavia questa obiezione perché essa pone la grande questione del
ruolo dell’individualità, della sua libertà e dei rapporti con le altre indivi-
dualità nella teoria hegeliana dello Stato e quindi già ci mette in guardia sui
possibili limiti di tale concezione.
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3. L’eticità compiuta: la sfera dello Stato

L’idea hegeliana di un’eticità moderna che risolva i proble-


mi posti con l’imporsi della libertà come fondamento unico del-
la normatività non ha certo il significato di una messa in di-
scussione di quel fondamento. Essa non rappresenta il ritorno
alla costellazione ontologica antica in cui etica e politica erano
fondate sulla natura e sulla tradizione, si legavano alla specifi-
cità di un contesto ben determinato e si basavano sull’apparte-
nenza a particolari radici storiche. Hegel non intende mettere
in discussione i guadagni della modernità: lo svincolamento del
bene dalla natura e la sua comprensione in termini di libertà,
la connessione fra il bene, la libertà e la soggettività individua-
le, il superiore punto di vista dell’universalità di contro alla
particolarità delle tradizioni etiche. Ma allora che significato
dobbiamo dare alla sua riproposizione del concetto di eticità
come correttivo del punto di vista moderno della moralità?
Le origini del concetto di eticità in Hegel sono intimamente
connesse con il processo di formazione del suo pensiero, rin-
viano cioè al fascino intellettuale che egli fin da giovane aveva
provato nei confronti dell’eticità greca. Nel suo periodo giova-
nile aveva infatti criticato il paradigma soggettivistico della
modernità non solo sul versante teoretico ma anche sul ver-
sante etico-politico. Alla concezione kantiana caratterizzata
dall’universalità della libertà e dal «costruttivismo» politico
egli aveva opposto la «bella eticità» dei greci, un concetto in
cui, secondo Hegel, trovavano la loro conciliazione le opposi-
zioni, tipiche della modernità, tra individuo e Stato, libertà e
natura, morale e diritto.
Nel periodo jenese quel progetto era stato proseguito e
rafforzato grazie alla riappropriazione della Politica di Aristo-
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 130

130 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

tele1. Nei suoi principi fondamentali (naturalità della polis,


priorità dello Stato rispetto all’individuo, caratterizzazione co-
munitaria delle relazioni sociali, unità di etica e politica) Hegel
aveva infatti potuto individuare l’ideale da contrapporre alle
scissioni della modernità. In questa fase di pari importanza era
stata anche la riscoperta della metafisica di Spinoza, con la sua
riconduzione degli individui all’unica sostanza come modi di
essa. Essa infatti viene utilizzata da Hegel come lo sfondo on-
tologico in cui collocare la politica aristotelica, nella quale –
con singolare corrispondenza – gli individui vengono ricon-
dotti allo Stato come al loro vero fondamento. L’approccio che
Hegel introduce nella sua critica alla politica moderna è dun-
que quello della ripresa dell’unità antica di etica e natura. Nel-
lo scritto sulle Diverse maniere di trattare scientificamente il di-
ritto naturale, pubblicato sul “Kritisches Journal der Philo-
sophie” tra il 1802 e il 1803, egli aveva opposto alla divarica-
zione moderna di natura e diritto positivo proprio il nesso on-
tologico che li connetteva nell’età antica, fondando però il di-
ritto non su una natura caratterizzata in senso empiristico (alla
maniera di Locke) ma intendendola aristotelicamente come
«essenza dell’uomo». La «natura etica» che Hegel, in questo
scritto, vede come la vera radice su cui fondare lo Stato, in op-
posizione alla pretesa moderna di basarlo su un patto «artifi-
ciale», contratto fra individualità isolate dominate dall’arbitrio
naturale, ha alla base ancora una volta una concezione ontolo-
gica e non meramente empiristica del concetto di natura.
Questo profondo legame con la concezione greca dell’eti-
cità viene tuttavia radicalmente trasformato con l’evoluzione
successiva del suo pensiero. A partire dalla seconda fase del
periodo jenese e, in modo ancora più esplicito, con la Fenome-
nologia dello spirito Hegel abbandona il modello ontologico
spinoziano-schellinghiano e intende il vero non più «come so-
stanza, bensì propriamente come soggetto» (GW 9 p. 18, Fen
p. 67) – come recita il celebre passo della Prefazione. Ciò ha
delle conseguenze precise anche per quanto riguarda la sfera

1 Sulla complessiva evoluzione dello Hegel jenese si veda l’articolata in-


dagine al centro del recente volume di L. RUGGIU (2009).
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 131

etico-politica, in relazione alla quale Hegel comincia ad accet-


tare il punto di vista della modernità, che pone non più nella
natura bensì nel soggetto e nella sua libertà il fondamento del
diritto, dell’etica e della politica2. Ciò conduce Hegel a una
presa di distanza nei confronti della stessa nozione di «diritto
naturale», che ora diventa per lui accettabile solo a condizione
che quella «naturalità» venga intesa come «la natura della cosa
postulata dal diritto naturale, cioè come concetto»3.
La nozione di «concetto», che da questo momento in avanti
diventerà una delle nozioni-chiave dell’intera filosofia hegeliana,
ha un significato preciso anche in relazione alla sfera politico-
giuridica. Come ha scritto M. Riedel, lungi dall’essere «una
formula astratta, priva di contenuto», essa indica proprio «la li-
bertà assoluta della volontà che dai tempi di Rousseau, Kant e
Fichte venne elevata a principio di ogni diritto»4. L’accettazio-
ne del paradigma moderno non è però senza condizioni: come
abbiamo visto, Hegel infatti intende quel soggetto-concetto
non già alla maniera dei moderni, in senso opposto all’essere,
ma come l’essenza del tutto. Ne consegue che la libertà invece
di essere vista kantianamente in opposizione alla natura viene
concepita come la verità ultima della natura stessa. Questa riar-
ticolazione dei rapporti fra libertà e natura gli consente perciò
di non rimettere in discussione il suo ideale giovanile dell’eti-
cità e l’unità che essa implicava fra etica e «natura». Ma dietro
la medesima espressione si nasconde un radicale cambiamento
di prospettiva: adesso la natura viene infatti pensata come
«concetto», cioè nei termini moderni della libertà.

3.1 I caratteri dell’eticità hegeliana

3.1.1 L’unità di libertà e natura


Da un lato Hegel capovolge la sua impostazione giovanile
che vedeva nel concetto metafisico di natura un correttivo del-
2 Su questo tema illuminanti sono le considerazioni di M. RIEDEL (1969), in
particolare nel saggio La critica di Hegel al diritto naturale (trad. it. pp. 35-65).
3 M. RIEDEL, 1971, p. 121.
4 M. RIEDEL, 1969, trad. it. p. 60.
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132 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

la libertà e della soggettività pratica moderna, ponendo ora


nella libertà il fondamento dell’etico. Dall’altro lato egli però si
mantiene coerente con quella sua idea giovanile. Infatti conti-
nua a pensare – contro Kant – che lo Stato e l’etica debbano
fondarsi sulla natura del tutto e questo proprio perché ora egli
intende quella natura non più in senso ontologico alla maniera
degli antichi ma – kantianamente-fichtianamente – come sog-
getto, cioè come libertà. Ciò gli consente di accettare la svolta
della modernità nella determinazione dei fondamenti della po-
litica, ovvero la sua fondazione nel soggetto. Ne è testimonian-
za la considerazione favorevole con cui Hegel guarda a Hob-
bes nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia, una considera-
zione nella quale viene quasi capovolto il giudizio da lui espres-
so nel primo periodo jenese:

In precedenza si proponevano ideali o si adducevano come auto-


rità la Sacra Scrittura o il diritto positivo: Hobbes invece ha ten-
tato di ricondurre l’associazione statale, la natura del potere sta-
tale, a principi che risiedono in noi stessi, che noi riconosciamo
appartenerci (GPh2 XV p. 395, StFil III.2 p. 173).

Accettando il guadagno kantiano che pone il fondamento


del diritto nella libera autodeterminazione della volontà, He-
gel tuttavia non intende questa volontà come opposta alla
natura, come opposta all’essere, ma come la sua essenza
profonda.

L’espressione natura ha significato ambiguo: natura dell’uomo è


la sua spiritualità, la sua razionalità; il suo stato di natura è invece
l’altra condizione, in cui l’uomo si comporta secondo la sua natu-
ralità (ivi p. 397, trad. it. p. 174).

Mentre la tradizione giusnaturalistica intendeva la natura


come l’immediatezza naturale e su di essa fondava il diritto,
Hegel intende la natura come l’essenza. E tuttavia quell’es-
senza viene ricompresa non ontologicamente come sostanza
ma idealisticamente come spirito e ragione. Pensata nella sua
verità ultima la natura si rivela altro da sé, così come l’essen-
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 133

za nel suo compimento sta al di là della sua autocomprensio-


ne ontologica.
Per questo motivo il fondamento del diritto non va cercato
nella natura oggettiva ma nella libertà, nell’autonomia del sog-
getto, nella libera autodeterminazione della volontà.

L’espressione diritto naturale, che è diventata ordinaria per la dot-


trina filosofica del diritto, contiene l’equivocità tra il diritto inteso
come esistente in modo immediato di natura, e quello che si deter-
mina mediante la natura della cosa, cioè il concetto (GW 20 § 502
nota p. 488, Enc p. 484).

Nel primo senso il diritto sorge a partire dallo stato di natu-


ra e dagli istinti immediati che lo caratterizzano, nel secondo
senso esso sorge a partire dalla volontà razionale.

In realtà il diritto, e tutte le sue determinazioni, si fondano sol-


tanto sulla libera personalità: su un’autodeterminazione, la quale è
piuttosto il contrario della determinazione naturale (ibid.).

Senza questo radicamento nella libertà il diritto naturale de-


genera nell’«esistenza della forza» e nel «farsi valere della vio-
lenza». Ne deriva uno stato di natura come «stato della prepo-
tenza e del torto, di cui non può essere detto niente di più ve-
ro se non che da esso bisogna uscire» (ibid.).
Permane dunque la polemica giovanile contro il diritto na-
turale moderno nella sua variante «empiristica» (Grozio, Hob-
bes, Locke) e la contrapposizione ad esso di un concetto «es-
senzialistico» di natura. Quello che cambia è la concezione di
quell’essenza, ora intesa non più ontologicamente ma in termi-
ni di libertà, ragione e concetto.
La tesi espressa da Manfred Riedel nei suoi studi a cavallo
degli anni Settanta va dunque corretta. Egli ha ragione quando
afferma che «natura e libertà, legge naturale e legge giuridica
sono separate anche in Hegel» e che «Hegel respinge con la
massima decisione l’idea tradizionale, secondo la quale la “leg-
ge della natura” può essere per l’uomo un “modello” di diritto
solo in quanto egli la riconosca e la segua; l’unica legge che reg-
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134 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

ge l’esistenza storica dell’uomo è la legge della libertà che non


viene dalla “natura” ma dallo stesso “concetto”»5. E tuttavia
Riedel manca di esporre la completezza del punto di vista he-
geliano se non qualifica questa libertà come la vera natura: non
già qualcosa di contrapposto alla natura ma la sua verità ultima.
L’esito cui conduce il ripensamento hegeliano dell’ontolo-
gia ci mostra dunque un primo fondamentale significato del suo
concetto di eticità e il primo vero motivo della sua connessio-
ne con l’ethos degli antichi: nell’eticità hegeliana viene ristabi-
lita, anche se in un senso radicalmente nuovo, l’unità antica di
ethos e physis.
Su questa base diventa possibile per Hegel ripensare il con-
cetto di ordine sociale. Questo non va più inteso come un’og-
gettività già data cui l’individuo è costretto ad adeguarsi, ma
come l’istituzione di strutture storiche e sociali fondate sulla li-
bertà, cioè sull’autodeterminazione del soggetto. Scrive Taylor
a questo proposito:

Egli intende ricostruire la nozione di un ordine più vasto al qua-


le l’uomo appartiene, ma su una base interamente nuova. Ecco
perché sostiene senza riserve il rifiuto moderno dell’ordine signi-
ficante della natura, quale il Medioevo e il primo Rinascimento
l’avevano concepito. Siffatte rappresentazioni dell’ordine lo raffi-
guravano come essenzialmente dato da Dio [...] Ma il concetto
hegeliano dello spirito in quanto libertà non può contenere al-
cunché di meramente dato6.

5 M. RIEDEL, 1969, trad. it. p. 64. Analoghe considerazioni nel saggio del
1970: «Questa rappresentazione di una “legge di natura” teleologico-meta-
storica viene rifiutata da Hegel con decisione. La necessità che, ad esempio, si
attribuisce all’esistenza dello Stato in rapporto all’essere del singolo, non si-
gnifica più che ci sia per il singolo una legge di natura per cui debba vivere
nello Stato; la necessità dello Stato riposa piuttosto sulla legge della libertà,
che non è una natura immutabile ma lo stesso concetto storico nel suo movi-
mento, che si dà come volontà autocosciente» (M. RIEDEL, 1970, p. 11). Non
c’è nessuna legge naturale che porta gli individui a vivere assieme e a costitui-
re uno Stato: una tale teleologia è decisamente rifiutata da Hegel al pari della
rappresentazione pessimistica di uno stato di natura in cui vige la guerra di
tutti contro tutti. Ciò che sta alla base dello Stato non è né l’associazione na-
turale né la fuga dalla guerra naturale bensì la libertà e la sua realizzazione.
6 CH. TAYLOR, 1979a, trad. it. p. 112.
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 135

L’ordine a cui pensa Hegel non ha la natura a proprio fon-


damento, ma la libertà, la capacità dello spirito di autodeter-
minarsi come volontà universale.

Hegel considera l’enunciazione moderna dell’autodeterminazio-


ne del soggetto come un grado necessario, e ravvisa nel concetto
kantiano dell’autonomia radicale il necessario vertice di questa
processualità teoretica. L’autonomia esprime l’esigenza dello spi-
rito di derivare da se stesso tutto il suo contenuto, di non ricono-
scere nulla di esterno7.

A differenza del vecchio ordine che risultava da una strut-


tura già data, cioè imposta, quello nuovo è determinato dallo
spirito, è cioè un ordine libero, un ordine in cui si è oggettiva-
ta la libertà.
In maniera analoga è possibile per Hegel ricuperare il vec-
chio concetto metafisico del bene, riconducendo anche questo
alla libertà: «Il bene è la libertà realizzata, il fine ultimo assolu-
to del mondo» (GW 14.1 § 129 p. 114, Dir p. 251). Inteso co-
me compimento della libertà, il bene torna ad essere anche per
Hegel il principio guida dell’etica, non già come oggettività di
contro alla coscienza individuale ma come completo dispiegar-
si della libertà. In questo contesto ben si comprendono le pa-
role d’apertura con cui Hegel avvia la sua trattazione dell’eti-
cità: «L’eticità è l’Idea della libertà nel senso del bene vivente»
(GW 14.1 § 142 p. 137, Dir p. 293). Nell’eticità la libertà si è
fatta «Idea», cioè non è più un concetto soggettivo ma è di-
ventata una realtà storica8. Al tempo stesso non è neppure so-
lo un bene oggettivo: esso infatti è detto «vivente», poiché
quell’oggettività non è più separata dalla «vita» dell’autoco-
scienza ma ha acquisito anche una dimensione soggettiva.

Il bene vivente ha il suo proprio sapere e volere nell’autocoscien-


za, e ha la propria realtà (Wirklichkeit) mediante l’agire dell’auto-

7 Ivi, trad. it. pp. 112-113.


8 Abbiamo già fatto notare, nella nostra Introduzione al volume (alla no-
ta 6), come la nozione hegeliana di «Idea» assuma un significato marcata-
mente oggettivistico nella Filosofia del diritto.
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136 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

coscienza. L’autocoscienza, dal canto suo, ha il proprio fonda-


mento essente-in-sé-e-per-sé e il fine che la muove (bewegenden
Zweck) nell’essere etico (ibid.).

Il bene oggettivo si è unito con l’autocoscienza soggettiva,


cioè con l’autodeterminazione del soggetto, e ciò sia nel senso
che è da essa saputo e voluto sia nel senso che è diventato realtà
grazie all’azione del soggetto. Perché si dia bene vivente è per-
ciò necessario che la libertà si riconosca nell’oggettività da es-
sa stessa prodotta. Ciò spiega la differente soluzione che Hegel
dà al problema del rapporto fra libertà e storia rispetto a Kant:
la libertà non ha la sua collocazione al di fuori della storia ma
diventa possibile solo all’interno di condizioni storiche.

3.1.2 L’unità di libertà e storia


Possiamo interpretare l’operazione condotta da Hegel nei
confronti della concezione kantiana non solo come una de-sog-
gettivizzazione ma anche come una de-formalizzazione della li-
bertà. Hegel ritiene infatti che la libertà non debba essere inte-
sa come una forma priva di contenuti e di determinazioni ma
come una «sostanza», una sostanza che tuttavia non presenta
caratteri «metafisici» trascendenti rispetto alla storia. Non c’è
in Hegel, come abbiamo visto, una concezione ontologica del
bene tale per cui da essa possano essere dedotti i doveri mora-
li dell’individuo. Come scrive Taylor, l’etica hegeliana presenta
certamente «delle affinità con Platone, da Platone avendo ere-
ditato l’idea di un ordine universale»9 ma quell’ordine, invece
che essere dedotto da un’idea trascendente, si è costruito sto-
ricamente con le progressive oggettivazioni della libertà. L’at-
tribuzione di una natura sostanziale alla libertà va perciò inte-
sa come la sua storicizzazione: è dalla storia che noi potremo
conoscere quei «contenuti» della libertà che mancavano nella
teoria formale di Kant, è all’interno delle pratiche sociali, nel
funzionamento delle istituzioni, negli ordinamenti costituzio-
nali che noi troveremo le modalità del suo esercizio. Al di fuo-
ri di questi la libertà cessa di esistere, rimane una mera idea

9 CH. TAYLOR, 1979a, trad. it. p. 120.


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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 137

vuota. Per questo motivo essa è possibile solo entro condizio-


ni storiche: lungi dal limitarne l’esercizio la storia le offre le
modalità concrete del suo operare senza le quali essa letteral-
mente scompare. L’eticità è questa realizzazione storica, il suo
farsi sostanza concreta ed esercizio pratico.
«L’eticità è il concetto della libertà divenuto mondo sussi-
stente (vorhandene Welt) e natura dell’autocoscienza» (GW 14.1
§ 142 p. 137, Dir p. 293). È questa la più precisa definizione
dell’eticità che Hegel ci abbia fornito. In essa troviamo infatti
tutte le sue determinazioni fondamentali. Essa ci mostra infatti
i due lati indispensabili all’ordine della libertà: l’autocoscienza,
cioè la consapevolezza soggettiva della libertà, e la sua realizza-
zione in un mondo storico, sussistente, oggettivo. Entrambe
queste componenti sono necessarie: solo la sua attuazione in un
mondo i cui soggetti riconoscano in esso l’ordinamento della li-
bertà può essere vera realizzazione. Quella condizione si con-
cretizza secondo Hegel nello Stato moderno: esso è infatti lo Sta-
to di quell’epoca storica in cui la libertà è diventata consapevo-
le di sé, nella quale l’individuo si sa libero e indipendente.
Per questo motivo Hegel ritiene lo Stato moderno non
qualcosa di semplicemente esistente, una mera datità o una
realtà di fatto, ma la realtà compiuta (Wirklichkeit) del concet-
to della libertà. «Lo Stato è la Wirklichkeit dell’Idea etica»
(GW 14.1 § 257 p. 201, Dir p. 417) ed esso «in quanto Wirk-
lichkeit della volontà sostanziale [...] è il razionale (das Vernünf-
tige) in sé e per sé» (GW 14.1 § 258 p. 201, Dir p. 417)10. Se
dunque la categoria caratterizzante la società civile era quella
di apparenza (nella sua doppia valenza di Schein ed Erschei-
nung), la categoria per eccellenza dello Stato è quella di realtà
(nella quale la divaricazione fra essenza e apparenza viene di
nuovo riassorbita in un concetto che le contiene entrambe).
Ma l’idea centrale del § 258 sta certamente nella energica
riaffermazione dell’unità del razionale (vernünftig) e del reale

10 La categoria della Wirklichkeit è l’attributo fondamentale che Hegel


conferisce allo Stato. Egli continua a ribadirlo in tutti i primi paragrafi dedi-
cati alla sua concezione politica. Si veda anche il § 260: «Lo Stato è la Wirk-
lichkeit della libertà concreta» (GW 14.1 § 260 p. 208, Dir p. 429).
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138 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

(wirklich) già esposta nell’Introduzione alla Filosofia del dirit-


to11. Quell’unità indubbiamente rappresenta una delle cifre ca-
ratteristiche dell’intera filosofia hegeliana, spesso aspramente
criticata proprio per l’assolutizzazione della realtà storica esi-
stente che ne conseguirebbe a causa della sua asserita raziona-
lità. Tuttavia, come ha osservato giustamente Riedel, qui
«realtà» va intesa «nel senso speculativo della Logica, come
unità immediatamente divenuta di essenza interna ed esistenza
esterna»12. In questo senso l’espressione Wirklichkeit non si-
gnifica nelle intenzioni di Hegel la mera datità, l’esistenza di
fatto, ma qualcosa di simile alla nozione aristotelica di enér-
gheia, vale a dire la realtà in atto, la realtà in quanto ha svilup-
pato tutte le potenzialità in essa immanenti, il reale in quanto è
giunto alla conclusione compiuta del suo percorso. Ne conse-
gue la possibilità di distinguere la vera realtà razionale da ciò
che razionale non è (e dunque nemmeno autenticamente rea-
le). Come ha scritto Bubner, se la filosofia «deve comprendere
ciò che è» essa sarà sempre nella condizione di «separare ciò
che nella realtà è razionale dal non-razionale dei fenomeni col-
laterali»13. Essa avrà perciò il compito «di distinguere la ten-
denza di fondo delle situazioni storiche dai fenomeni passeg-
geri o di far valere la sostanza di contro al prevalere delle cose
superficiali del momento»14.
Se questo è il contesto generale in cui collocare l’unità hege-
liana del razionale e del reale va tuttavia osservato che nel § 258

11 «Ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale» (GW 14.1 p. 14,
Dir p. 59).
12 M. RIEDEL, 1970, p. 13.
13 R. BUBNER, 1996, p. 137.
14 Ivi, p. 138. «Una filosofia che comprende il suo tempo in pensieri non
si conforma al compito giornalistico di fare un rapporto sui fatti del giorno
o su ciò che di volta in volta viene ritenuto tale. Non viene qui perseguita al-
cuna fedele descrizione dell’esistente, giacché l’esistente non è evidentemen-
te il pensiero [...] Si tratta perciò di fare i conti con una differenza fra super-
ficie e sostanza, fra tendenza di fondo e attualità o tra ciò che sembra reale e
ciò la cui esistenza può essere razionalmente legittimata» (R. BUBNER, 2002,
p. 158). In altri termini «ciò che viene compreso in pensieri è dunque la
realtà strutturata storicamente senza la continua apparenza di contorno co-
stituita dalla contingenza» (ivi, p. 159).
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 139

quell’unità viene esplicitamente riferita allo Stato, definito «il


razionale in sé e per sé» in quanto «realtà della volontà sostan-
ziale». Non si tratta tuttavia del riferimento allo Stato di una
specifica nazione (come, ad esempio, allo Stato prussiano, che
qui non viene nominato) ma allo Stato in generale, come Hegel
precisa nell’aggiunta al medesimo paragrafo.

Nel caso dell’idea dello Stato non si devono avere dinnanzi agli oc-
chi Stati particolari, non particolari istituzioni, si deve piuttosto
considerare per sé l’idea, questo Dio reale (RZ p. 403, DirA p. 358).

Non stupisca qui l’accostamento dello Stato a Dio, perché


nello Stato è in gioco proprio l’assoluto e la sua realizzazione15

15 Lo sfondo teologico è secondo M. THEUNISSEN (1970) la vera chiave per


interpretare l’unità del razionale del reale, dato che essa presuppone proprio
la figura cristiana dell’incarnazione: «solo dopo la realizzazione della ragione
attuata da Cristo la realtà può essere riconosciuta come razionale» (p. 440).
Questa radice teologica contiene tuttavia, secondo Theunissen, tutte le ambi-
guità e l’inevitabile doppio esito dell’unità hegeliana del razionale e del reale.
Da un lato è infatti possibile «dopo che Cristo l’ha portata a compimento»
interpretare la realtà «prima che come oggetto di conoscenza, come ciò che
dev’essere realizzato» (p. 441). Dall’altro lato, l’annuncio della Chiesa «che
l’éschaton, di là da venire nel suo compimento, sussiste già in tutto e per tut-
to grazie alla sua anticipazione attraverso Cristo» (p. 442) consente a Hegel
di proiettare «la fattualità della conciliazione divina sul piano delle fattualità
sociali del suo tempo», finendo in tal modo per annullare «la frattura che se-
para il livello del processo soggettivo di conciliazione, raggiunto attualmen-
te, dalla realizzazione futura del regno di Dio in un mondo che spinge oltre
se stesso», vale a dire la differenza qualitativa tra «la conciliazione oggettivo-
assoluta e quella oggettivo-soggettiva» (p. 441). È a causa di questa assolutiz-
zazione dell’evento cristologico che l’escatologia cristiana si distaccherebbe
da quella giudaica, consentendo a Hegel – secondo Theunissen – di fondare
teologicamente la sua assolutizzazione dell’esistente. Va qui osservato tutta-
via che una tale lettura risente di un’interpretazione troppo unilaterale del-
l’éschaton cristiano nella quale non si comprende il motivo del privilegia-
mento del «già» rispetto al «non ancora», il cui equilibrio caratterizza invece
proprio la teologia cristiana. A cascata, una tale forzatura si ripercuote sul-
l’interpretazione della filosofia hegeliana, nella quale non va mai dimenticato
che l’innegabile privilegiamento del presente rispetto alla dimensione futura
si accompagna ad una concezione normativa del reale che impedisce di iden-
tificare il reale (wirklich) con il fattuale (real, faktisch). Rimandiamo qui, ol-
tre alle considerazioni svolte poco sopra, a quanto già osservato nel prece-
dente § 2.2 in relazione al rapporto in Hegel fra essere e dover-essere.
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 140

140 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

(ma, come abbiamo visto, l’assoluto è la libertà e lo Stato ne è


l’attuazione storica). Nella stessa aggiunta, poche righe sopra,
Hegel era stato ancora più esplicito affermando che «è l’ince-
dere di Dio nel mondo che lo Stato sia (es ist der Gang Gottes
in der Welt, dass der Staat ist)» (ibid.): l’esistenza dello Stato è
il risultato del realizzarsi processuale dell’assoluto, cioè del
cammino della libertà nel mondo moderno.
M. Riedel fa, a questo proposito, un’interessante osserva-
zione. Nel ribadire la non riferibilità allo Stato prussiano del-
l’unità di razionale e reale egli tuttavia la ritiene direttamente
indirizzata a un modello specifico di Stato, cioè a quello mo-
derno. Quell’identità «significa che nello Stato moderno il con-
cetto del diritto ha ottenuto esistenza, che il razionale – l’idea
della libertà – è diventato reale, e il reale – lo Stato nel mondo
moderno – è diventato razionale»16. Possiamo considerare ra-
zionale la realtà degli Stati moderni perché in essi l’idea del di-
ritto, cioè l’idea della libertà e dell’autonomia individuale, ha
trovato la sua incarnazione. Analogamente il concetto della li-
bertà ha potuto farsi reale perché ha trovato accoglienza pro-
prio nei loro ordinamenti politici.
È questa l’idea di fondo sottesa alla stessa nozione di «spirito
oggettivo», il cui significato – secondo Honneth – consiste nel
rappresentare una realtà oggettiva in cui si è incarnata e racchiusa
una struttura razionale17. Sicché «scontrarsi con quei fondamenti
razionali, con i quali le nostre pratiche sociali sono già da sempre
intrecciate, provoca nella realtà sociale danni e lacerazioni»18.
In altri termini: l’universalità della ragione nel mondo mo-
derno non rimane confinata nel mondo astratto delle idee ma
diventa realtà, si fa storia e viene concretamente praticata. La
libertà è diventata finalmente «mondo sussistente», trovando
realizzazione nelle istituzioni politiche. Hegel lo attesta dichia-
rando che «l’ethos oggettivo» – das objektive Sittliche – «pren-

16
M. RIEDEL, 1970, p. 13.
17
La nozione di spirito oggettivo «mi sembra contenere la tesi, lasciando
da parte il suo stretto legame con l’intero sistema hegeliano, che ogni realtà
sociale possiede una struttura razionale» (A. HONNETH, 2001, trad. it. p. 43).
18 Ibid.
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 141

de il posto del bene astratto» e aggiungendo che la sostanza,


finalmente «divenuta concreta», «pone entro sé delle differen-
ze» che consentono all’ethos di avere «un contenuto stabile»
(GW 14.1 § 144 p. 137, Dir p. 293). Facendosi reale, la libertà
non può più permettersi di rimanere indeterminata e negativa:
essa si realizza in contenuti differenziati, che le danno stabilità
proprio in quanto non si tratta di opinioni mutevoli. Si tratta
infatti di «istituzioni e leggi essenti-in-sé-e-per-sé» (ibid.).
La libertà si è fatta così concreta da articolarsi nel mondo
istituzionale e giuridico dello Stato. Si tratta di quei «diversi la-
ti dell’organismo dello Stato» che altro non sono se non «i di-
versi poteri» (GW 14.1 § 269 p. 212, Dir p. 437). Ancora una
volta Hegel ribadisce dunque lo stretto legame fra logica e sfe-
ra dello spirito oggettivo: l’articolazione plurale dell’organismo
dello Stato è infatti «lo sviluppo dell’Idea verso le proprie dif-
ferenziazioni e verso la loro realtà oggettiva» (ibid.). In altri ter-
mini, proprio perché l’Idea è articolazione e movimento nel
suo lato logico, essa manifesta tale differenziazione anche nel
suo lato reale19.
Quest’articolazione interna dello Stato è quella che Hegel
chiama la «costituzione politica» (§ 269) oppure anche la «costi-
tuzione interna per sé» (§ 272). Essa prevede una divisione dei
poteri che però – a differenza della teoria liberale – non si fon-
da sull’indipendenza reciproca (quella che Hegel chiama l’«au-
tonomia assoluta») ma su una sorta di legame nella differenza.

Il principio della divisione dei poteri implica il momento essen-


ziale della differenza, della razionalità nella sua realtà. Quando

19 Lo conferma un passo della nota al § 272. «È a partire dalla logica –


non certo quella ordinaria – che bisogna conoscere in che modo il concetto,
e poi, in modo concreto, l’Idea, si determinino in se stessi» (GW 14.1 § 272
nota p. 225, Dir p. 463). Commenta Taylor: «Il contenuto della volontà uni-
versale è l’Idea: la quale deriva da se stessa le differenze costitutive del mon-
do. È colmata così la mancanza di motivi determinanti dell’azione. Per dirla
meno schematicamente, la libera volontà razionale di Hegel sfugge alla va-
cuità perché a differenza di quella di Kant non rimane mera volontà univer-
sale e bensì produce da se stessa un contenuto particolare» (CH. TAYLOR,
1979a, trad. it. pp. 117-118).
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142 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

però questo principio viene colto dall’intelletto astratto, allora vi


risiedono sia la determinazione falsa dell’autonomia assoluta (ab-
solute Selbstständigkeit) dei poteri l’uno rispetto all’altro, sia l’uni-
lateralità di intendere il loro rapporto reciproco come qualcosa di
negativo, come limitazione reciproca (GW 14.1 § 272 nota p. 225,
Dir p. 463).

Si presenta qui un tema ricorrente nell’esposizione hegelia-


na dello Stato, vale a dire la sua costante presa di distanza dal-
la concezione politica liberale. Già nella sua teoria della libertà
(in particolare nella critica alla libertà negativa) la sua pro-
spettiva aveva messo in evidenza un percorso alternativo ri-
spetto a quello liberale. Ora da quell’idea di fondo derivano
conseguenze importanti anche sul piano della costruzione co-
stituzionale. È infatti la critica alla libertà negativa, cioè la cri-
tica all’idea di un’indipendenza ottenuta tenendo a distanza
l’altro e limitandone l’azione, a motivare la critica hegeliana
nei confronti della separazione dei poteri. La sua presa di di-
stanza è infatti indirizzata contro la «limitazione reciproca» e
contro l’idea che il rapporto fra i poteri venga inteso «come
qualcosa di negativo».

Da questa angolazione, il principio della divisione dei poteri di-


viene un’ostilità, un’angoscia davanti a ciascun potere, davanti a
ciò che ciascun potere produce contro l’altro come contro un
male: e ciò avviene con la determinazione di contrapporsi all’al-
tro potere e di procurare, attraverso questi contrappesi, un equi-
librio generale. Così, però, non si produce affatto un’unità vi-
vente (ibid.).

Il pensiero liberale applica alla politica il principio su cui


si regge la società civile: come in questa la limitazione reci-
proca dello spazio d’azione degli egoismi produceva un equi-
librio generale così nella sfera politica la reciproca limitazio-
ne dei poteri impedirà il prevalere dispotico dell’una o del-
l’altra parte dello Stato. Hegel mette sotto accusa proprio
questa logica: sulla base della libertà negativa non può sorge-
re alcuna «unità vivente».
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 143

Come si è visto anche su vasta scala, con l’autonomia dei poteri –


per esempio, per usare le espressioni con cui sono stati denomi-
nati: con l’autonomia del potere legislativo e di quello esecutivo –
è posta immediatamente la distruzione dello Stato (ibid.).

Al fine di evitare quella che ai suoi occhi appare come una


vera e propria autodistruzione dello Stato Hegel propone una
differenza dei poteri senza divisione, un’articolazione dello Sta-
to senza autonomie assolute. La sua proposta è allora quella di
intendere ogni potere come un’istituzione in grado di com-
prendere in sé anche l’altro, secondo il modello della libertà re-
lazionale: «ciascuno di questi poteri è entro sé la totalità per-
ché contiene e ha effettivamente entro sé gli altri momenti»
(GW 14.1 § 272 p. 224, Dir p. 461). È ancora una volta l’idea
dell’indipendenza attraverso l’altro e in forza di un rapporto in-
clusivo (invece che esclusivo e negativo) nei confronti dell’al-
tro. Hegel infatti conclude affermando che in tal modo quei
poteri, lungi dal perdere la loro indipendenza e capacità auto-
noma d’azione, avranno ottenuto il risultato di costituire «un
tutto individuale» (ibid.). Quell’individualità si è costituita non
contrapponendosi alle altre individualità istituzionali ma grazie
al loro rapporto.
L’idea di Hegel è indubbiamente suggestiva, anche se pro-
babilmente nel momento storico in cui veniva formulata, nel
quale la concezione liberale dello Stato era ancora minoritaria
nel sistema europeo degli Stati, poteva rappresentare un con-
tributo effettivo alla discussione sulla forma costituzionale
dello Stato moderno. In un’epoca, come la nostra, nella quale
la costituzione liberal-democratica si è affermata quasi come
l’unico modello, resta molto più difficile accettare la proposta
hegeliana. E tuttavia un approccio non ideologico deve saper-
si confrontare con la sfida rappresentata dal modello costitu-
zionale presentato da Hegel. Ovviamente il vero problema è
capire come potrebbe trovare concreta realizzazione la sua
idea di sostituire l’equilibrio escludente con la relazione inclu-
dente. Da evitare in ogni caso sarebbe una realizzazione prati-
ca che comportasse l’invasione prevaricante di un potere sul-
l’altro, perché ciò finirebbe col mettere in pericolo la libertà di
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 144

144 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

tutti. Come vedremo è proprio questo il rischio che corre la co-


struzione costituzionale hegeliana.

3.1.3 La conciliazione di universalità ed ethos


L’eticità hegeliana corregge la concezione kantiana della po-
litica in tre punti essenziali. In primo luogo supera la concezio-
ne della sfera del diritto come una dimensione coattiva e ren-
de possibile il suo ripensamento come sfera della libertà og-
gettivata. In secondo luogo si contrappone a una concezione
«costruttivista» della politica nella quale le istituzioni e l’intera
sfera dello Stato sono viste come un prodotto delle volontà
soggettive degli individui: ad essa sostituisce l’idea che le isti-
tuzioni politiche siano fondate sulla «natura» anche se in un
senso radicalmente diverso da quello della tradizione ontologi-
ca, dal momento che la «natura» in Hegel coincide con la li-
bertà e la ragione. In terzo luogo egli pone fine al conflitto tra
l’universalità della legge morale e la particolarità delle disposi-
zioni soggettive degli individui storici: invece di intendere l’u-
niversalità morale come un dover essere contrapposto all’esse-
re storico concreto essa va compresa come la realtà storica già
realizzata e come l’insieme delle pratiche che noi già da sempre
seguiamo ed esercitiamo. In esse risiede la fonte della normati-
vità e non in una metafisica legge morale dentro di noi. Con
questa soluzione Hegel ripropone la concezione antica del-
l’ethos, secondo la quale il mondo delle istituzioni e delle tra-
dizioni veniva concepito come la vera dimora dell’individuo e
la radice delle sue disposizioni pratiche.
Anche in quest’ultima riabilitazione dell’antico Hegel però
introduce una fondamentale differenza: quella dimora cui l’in-
dividuo appartiene non è il contesto specifico delle tradizioni,
delle abitudini e dei costumi ma è l’universale nella sua realiz-
zazione: l’idea della volontà libera che si è fatta istituzioni sto-
riche. La novità hegeliana rispetto all’ethos antico consiste
dunque nell’aver concepito una eticità universale. Dimora del-
l’individuo non è più la sua specifica tradizione ma la dimen-
sione dell’universalità. Le istituzioni familiari e sociali, ma so-
prattutto quelle politiche, sono diventate per l’uomo moderno
la sua vera dimora.
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 145

Nel concetto hegeliano di eticità c’è dunque l’idea dell’uni-


versale come dimora, come patria dell’uomo moderno. «L’eti-
cità», egli scrive, è «l’Idea nella sua esistenza universale in sé e
per sé» (GW 14.1 § 33 p. 48, Dir p. 123 – sottolineatura no-
stra). L’ethos dei moderni non è più costituito dalle tradizioni,
dalle appartenenze storico-culturali, dalle etnie, ma da quelle
istituzioni politiche nelle quali si è condensata l’universalità
della libertà, una realtà che per definizione oltrepassa ogni pos-
sibile contesto. La libertà astratta si è fatta dimora ed è diventa-
ta un mondo: è questa la nostra nuova appartenenza e da essa
noi dipendiamo.
Del resto questa è la concezione che Hegel ha della moder-
nità: essa è il compiersi definitivo dell’Idea, il suo farsi storia e
istituzioni esistenti. L’universalità cessa di essere solo un ogget-
to di speculazione filosofica per diventare realtà concreta: essa
è il nostro mondo, il nostro ethos. La modernità rappresenta
sotto questo profilo il realizzarsi della metafisica. Da ciò il com-
pito che Hegel assegna alla filosofia: comprendere e riconosce-
re nella storia l’avvenuta oggettivazione dell’universalità. La ce-
lebre affermazione hegeliana, secondo cui «la filosofia è il pro-
prio tempo colto in pensieri» (GW 14.1 p. 15, Dir p. 61), non è
una banale constatazione storicistica indicante la dipendenza
della filosofia dal proprio tempo, ma, come ha rilevato Ritter,
indica il mutamento d’oggetto della filosofia in seguito all’av-
vento della modernità: la metafisica non ha più bisogno di
astrarre dal tempo storico presente per pensare l’Idea assoluta
ma nel mentre pensa il presente pensa le strutture dell’eterno
incarnate in esso. Sollevando il dato storico al pensiero essa
manifesta le strutture universali, la verità e la libertà, oggettiva-
te nelle istituzioni storiche20. Non è il pensiero a dipendere dal
tempo ma è il tempo a dipendere dalle strutture del pensare e
a rappresentarne l’espressione storica. A quel punto interviene
la filosofia, alla fine, quando il processo di formazione si è de-

20 «Hegel equipara la teoria metafisica tradizionale, immediatamente e in


quanto tale, alla conoscenza del tempo presente. La filosofia in quanto co-
noscenza dell’essere è parimente “il proprio tempo appreso col pensiero”»
(J. RITTER, 1957, trad. it. p. 23).
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146 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

finitivamente compiuto. Il suo compito è quello – ermeneutico


– di innalzare il dato storico al pensiero, cioè di pensare sul se-
rio il proprio tempo, svelandone l’universalità e la verità.
Gli elementi di continuità fra l’ethos antico e l’eticità hege-
liana convivono dunque con quelli di discontinuità. Entrambi
sono «dimora» per l’uomo, luogo abituale del suo vivere, così
come entrambi sono espressione di un legame essenziale con le
strutture dell’essere. Differenti sono invece nel modo di inten-
dere questa natura ontologica, come già abbiamo avuto modo
di constatare, ma – soprattutto – sono differenti nel modo di
intendere quella dimora. Mentre per gli antichi essa è data dal-
la specificità di un contesto fatto di usi e costumi tradizionali,
per Hegel essa è data dalla universalità incarnata nelle leggi e
nelle istituzioni.
Il concetto centrale per comprendere questo carattere «eti-
co» dell’universalità è un’espressione che Hegel usa più volte
nel corso della Filosofia del diritto, vale a dire l’espressione «se-
conda natura». Essa infatti qualifica in modo preciso questo
«incarnarsi» dell’universalità e questo suo diventare un «mon-
do», il luogo dove lo spirito oggettivo conduce la sua esistenza.

3.1.4 L’etico come «seconda natura»


C’è un primo senso che Hegel attribuisce all’espressione
«seconda natura» ed esso indica propriamente il lato oggettivo
dell’eticità, vale a dire il fatto che l’universale, cioè la libertà, sia
diventato esistenza e, appunto, «natura».

Il terreno del diritto è, in generale, lo spirituale (das Geistige), e,


precisamente, il suo luogo e punto di partenza è la volontà libera.
Pertanto, la libertà costituisce la sostanza e la determinazione del
diritto, e il sistema giuridico è il regno della libertà realizzata, il
mondo dello spirito prodotto, come una seconda natura, dallo spi-
rito stesso (GW 14.1 § 4 p. 31, Dir p. 87 – sottolineatura nostra).

L’espressione «seconda natura» sta qui ad indicare che il re-


gno dello spirito oggettivo ha la stessa oggettività e sostanzialità
della natura. Ma esso possiede un elemento in più. Infatti quel-
l’oggettività non è quella meramente «data» della prima natura
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 147

ma quella «prodotta» proveniente dallo spirito. Oltre infatti al-


la consistenza ontologica di quel primo mondo, lo spirito ha in
più la libertà, di cui costituisce la realizzazione, quella libertà di
cui la natura è totalmente inconsapevole e dunque sprovvista.
Hegel usa connotazioni ontologiche per indicare questo ca-
rattere delle istituzioni che si ergono oggettive e indipendenti di
fronte ai soggetti: «La sostanza etica, le sue leggi e i suoi poteri,
in quanto oggetto, si trovano per il soggetto nella condizione di
essenti (haben das Verhältnis, daß sie sind), nel più alto senso
dell’autonomia» (GW 14.1 § 146 p. 138, Dir p. 295). La loro
prima legittimità sta nel fatto che esistono, allo stesso modo in
cui ha autorità per la coscienza l’esistenza degli enti naturali:

Il sole, la luna, i fiumi – in generale, gli oggetti naturali che ci cir-


condano – sono. Per la coscienza, essi hanno non soltanto l’auto-
rità, in generale, di essere, ma anche quella di avere una natura
particolare [...]. Ora, l’autorità delle leggi etiche è infinitamente
più alta, perché le cose naturali presentano la razionalità soltanto
in una modalità esteriore e isolata, e la celano sotto la figura del-
l’accidentalità (GW 14.1 § 146 nota p. 138, Dir p. 295).

Insomma questa seconda natura è un prodotto dello spirito


e quindi porta dentro sé, oltre alla consistenza sostanziale, la su-
periorità dello spirito nei confronti della natura fisica21. Fin qui
il primo significato attribuito da Hegel a questa espressione.
L’altro senso dell’essere «seconda natura» ha per il nostro
discorso un rilievo ancora maggiore. Esso riguarda da vicino
proprio la funzione di dimora rappresentata dall’ethos. In
quanto luogo originario della libertà del soggetto, l’eticità si
pone infatti nei suoi confronti come luogo educativo e di for-
mazione. L’universale, invece che manifestarsi come un dovere

21 L’essenza «spirituale» della seconda natura viene particolarmente sot-


tolineata da R. BONITO OLIVA (2000), secondo la quale essa «porta in sé trac-
cia e testimonianza del lavoro dello spirito» (p. 139). Anche il carattere del-
l’uomo moderno, in quanto in esso viene a radicarsi la libertà, lo rende qual-
cosa di non più riducibile alla mera naturalità. Esso, cioè, «può affermarsi
soltanto per questo suo non essere più meramente naturale, perché c’è, o c’è
stato, un esercizio concreto, un’attualità della libertà nella dimensione sin-
cronica e diacronica della formazione dell’uomo» (p. 163).
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148 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

estraneo, diventa la condizione del formarsi dei soggetti liberi.


Esso entra nel loro carattere, nel loro modo di agire, nelle loro
abitudini, al punto che essi vivono quelle leggi universali come
la loro propria «natura».

Nell’identità semplice con la realtà degli individui, però, l’ethos (das


Sittliche), in quanto è il modo d’agire universale degli individui stes-
si, appare come costume (Sitte). Esso è qui la consuetudine dell’ethos
(die Gewohnheit desselben), come una seconda natura messa al po-
sto della prima volontà meramente naturale: è l’anima compene-
trante, il significato e la realtà dell’esistenza degli individui, è lo spi-
rito vivente e sussistente come un mondo, la cui sostanza è così, per
la prima volta, come spirito (GW 14.1 § 151 p. 141, Dir p. 301).

L’universalità («il modo d’agire universale degli individui»)


si è fatta Sitte, si è fatta usi e costumi, è diventata abitudine, so-
stituendosi alla inclinazioni naturali e trasformandosi essa stes-
sa nella natura dell’individuo. Lo spirito è diventato sostanza
(è «uno spirito vivente e sussistente come un mondo») ma
quella sostanza si mostra per la prima volta con caratteri spiri-
tuali (la sua sostanza «è, così per la prima volta, come spirito»).
Finisce per sempre il rapporto di estraneità fra l’universalità
morale e l’individuo, fra il dover essere e la sostanza esistente,
fra il mondo interno e quello esterno. Finalmente l’uomo mo-
derno può sentirsi «a casa propria». Ciò che egli deve fare è ciò
che la sua seconda natura gli fa fare. Secondo Bubner questo è
il nucleo essenziale della teoria hegeliana dell’eticità:

Noi vogliamo vivere là dove ci possiamo sentire a casa nostra. In-


fatti le istituzioni, nelle quali viviamo e che hanno orientato la no-
stra socializzazione, devono essere le nostre e appartenerci molto
prima che ognuno di noi possa prendere delle decisioni mature,
proprio come l’intimo mondo vitale dal quale volontariamente o
di regola non ci si congeda. Tutte le relazioni costruite diversa-
mente starebbero sotto il segno dominante dell’estraneazione. Ho
così cercato di esprimere in parole semplici quello che io ritengo
il nocciolo della teoria hegeliana sul diritto e la politica22.

22 R. BUBNER, 2002, p. 165.


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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 149

Su queste basi Hegel può fondare la priorità dell’eticità sul-


la moralità. Non tanto nel senso superficiale che l’eticità com-
prende la moralità come un suo momento e ne costituisce quin-
di il superamento, ma soprattutto nel senso che la validità del-
l’agire dell’individuo, cioè la sua moralità, sta nella sua confor-
mazione e nel suo adeguamento all’ethos esistente, all’univer-
sale realizzato.
La virtù individuale non ha il suo fondamento nella confor-
mità a un principio morale o al dovere astratto ma nel suo li-
bero e consapevole adeguarsi all’universale esistente. In ciò sta
la sua rettitudine: «La virtù, nella misura in cui non mostra al-
tro che la conformità semplice dell’individuo ai doveri richiesti
dai rapporti in cui è coinvolto, è rettitudine» (GW 14.1 § 150
p. 140, Dir p. 299).
In ciò Hegel segue Aristotele quasi alla lettera, dato che an-
che per Aristotele la virtù è propriamente l’adeguamento alle
buone pratiche esistenti, l’assorbimento individuale dell’ethos
oggettivo, la sua interiorizzazione.

In una comunità etica, è facile dire che cosa l’uomo debba fare e
quali siano i doveri ch’gli deve adempiere per essere virtuoso: egli
non deve far altro se non quello che, nei suoi rapporti gli è già
tracciato, espresso e noto (GW 14.1 § 150 nota p. 140, Dir p. 299).

Tuttavia, a differenza del particolarismo dell’ethos antico,


questa rettitudine non si rapporta ad alcuna specifica appar-
tenenza, bensì esclusivamente all’universale: «sia nella sfera
giuridico-formale sia in quella etica la rettitudine è proprio l’u-
niversale che si può esigere dall’uomo» (ibid.).
La morale viene da Hegel «capovolta» eticamente: da un do-
ver essere indipendente dalla storia a un agire conforme alle
strutture dello spirito oggettivo. Le leggi e le istituzioni dello
Stato mostrano qui il loro volto intrinsecamente etico. Esse in-
fatti non sono solo qualcosa di storicamente esistente ma sono
una realtà che contiene racchiuso in se stessa un nucleo norma-
tivo. In questo senso la morale viene a dipendere dall’etica,
perché il contenuto delle norme morali è incorporato nelle isti-
tuzioni, cioè nelle pratiche istituzionali esistenti. Per questo
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150 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

motivo non sono le istituzioni a dipendere dal punto di vista


morale bensì è quel punto di vista a dipendere dalle istituzioni.
La morale perciò, invece di inseguire un astratto e irrealiz-
zabile dover essere, deve assumere dall’eticità esistente, cioè da
quello che già si fa, il contenuto dei suoi doveri. Il suo è quin-
di un lavoro di rafforzamento e sviluppo della normatività già
vigente e operante.

Il carattere fondamentale della Sittlichkeit è questo suo esigere il


compimento di ciò che già è. C’è del paradosso in questa formula-
zione, ma di fatto la vita pubblica che è la base del dovere sittlich
è già esistente. È in virtù del suo essere un insieme di rapporti e
determinazioni sociali in esserci che esistono questi doveri, e il lo-
ro adempimento da parte dell’individuo è ciò che sostiene e man-
tiene in esistenza questa realtà sostanziale. Di qui la coincidenza
nella Sittlichkeit di dover essere e di essere, del Sollen e del Sein23.

In questo quadro ben si comprende l’affermazione hegelia-


na secondo cui ciò che viene ottenuto dall’individuo che agisce
eticamente è un fine che egli «produce mediante la sua attività,
ma lo produce come qualcosa che piuttosto semplicemente è»
(GW 20 § 514 p. 495, Enc p. 491)24.
Questo capovolgimento dei rapporti fra etica e morale, che
pone nelle istituzioni politiche il vero fondamento della mora-
le, non comporta tuttavia né una moralizzazione della politica
né una politicizzazione della morale. Non una moralizzazione
della politica perché lo Stato non viene sottoposto a imperati-
vi morali. Le sue finalità etiche provengono dal suo stesso ope-
rare, dalle sue procedure giuridiche e costituzionali. Non sono
quelle istituzioni a dipendere dalla morale ma è semmai il con-
trario: sono politica e morale a dipendere dal nucleo normati-
vo racchiuso nelle istituzioni. Secondo Hegel qualunque mora-
lizzazione dell’etico finirebbe infatti per dissolverne l’oggetti-

23
CH. TAYLOR, 1979a, trad. it. pp. 121-122.
24
C. CESA, 1981, scrive, a questo proposito, che libertà e necessità tro-
vano la loro conciliazione nell’epoca moderna quando l’individuo fa proprio
«ciò che dapprima era apparso come destino» (p. 167). Sulla conciliazione di
libertà e necessità in Hegel si veda anche P. LASKA, 1974.
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 151

vità e quindi egli continua a ribadire la sua contrarietà a quel


tipo di prospettiva. Come scrive J. Ritter, quando la soggetti-
vità «si fa fondamento e maestra dell’eticità, rendendo così va-
no e inessenziale l’oggettivo, si profila il pericolo che la volontà
morale finisca per dissolvere quelle stesse istituzioni che le
conferiscono realtà»25. La rivoluzione francese sta lì a dimo-
strare, secondo Hegel, quale sia la conclusione del dominio
della soggettività morale sull’oggettività storica.
D’altra parte è ugualmente errato pensare che la prospetti-
va hegeliana comporti una politicizzazione della morale, cioè
una dipendenza della morale dalla politica. Non c’è infatti al-
cuna sottomissione della morale individuale agli imperativi
dello Stato o alle necessità funzionali del sistema politico. Né
in Hegel troveremo mai teorizzata la dipendenza dei doveri in-
dividuali dalle necessità politiche di autoaffermazione della po-
tenza statale.
L’operazione hegeliana sfugge perciò alle usuali categoriz-
zazioni con le quali si è soliti configurare i rapporti fra etica e
politica. Il suo tentativo è infatti quello di ricondurre queste
due sfere al loro comune fondamento, cioè al nucleo normativo
racchiuso nell’operare delle istituzioni.

Raccogliendo l’eredità della filosofia pratica nella sua unità di eti-


ca e politica, Hegel ha perciò contemporaneamente annullato la
separazione kantiana tra virtù e diritto. Egli ha incorporato mo-
ralità ed eticità nel contesto del sistema del diritto e ha compreso
quest’ultimo come fondamento e condizione dell’eticità26.

Ma si può allora affermare che la concezione politica hege-


liana vada nella direzione di uno «Stato etico»? Sì e No. Certa-
mente non nell’accezione che correntemente si tende a dare a
questo termine. L’eticità dello Stato consiste infatti unicamen-
te nella tesi secondo cui le istituzioni e le leggi contengono un
nucleo normativo che costituisce la direzione fondamentale
dell’agire degli individui. In quel nucleo normativo essi infatti

25 J. RITTER, 1969, trad. it. p. 183.


26 Ivi, trad. it. p. 187.
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152 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

trovano il riferimento indispensabile anche per la loro morale


individuale, in quanto sono stati formati all’uso della loro li-
bertà proprio da quel contesto etico. È certamente vero perciò
che la concezione hegeliana è molto lontana da un’idea etica-
mente neutrale della politica. Da ciò però non si può conclu-
dere che quello hegeliano sia uno «Stato etico» nell’uso comu-
ne di questa espressione. Quello Stato non ci impone infatti
una specifica concezione morale con determinati contenuti va-
loriali. L’eticità che esso rappresenta viene prima di ogni mo-
rale soggettiva, prima di ogni concezione della vita e del bene.
Esso fondamentalmente ci educa alla libertà, all’autonomia in-
dividuale, alla responsabilità, cioè fornisce a noi il quadro nor-
mativo all’interno del quale poi potremo sviluppare le nostre
convinzioni morali.
Nella subordinazione del punto di vista morale all’eticità
esistente si realizza perciò un livello più alto di libertà che non
nella subordinazione al dovere astratto e formale. Questa eti-
cità, infatti, non solo mantiene le istanze universalistiche della
morale, ma, a differenza di questa, non rimane estranea all’in-
dividuo e alla sua esistenza concreta. Quella normatività che il
punto di vista morale impone all’individuo dall’esterno è qui
già incorporata nelle pratiche istituzionalizzate. Ne consegue
che l’agire etico non è un agire imperativo (cioè costrittivo nei
confronti della natura interna) ma abituale, non fa violenza al-
l’individuo ma viene fatto naturalmente e senza costrizione. La
libertà finalmente esce da quella condizione contraddittoria per
la quale essa si trasformava in costrizione, in subordinazione a
un dovere estraneo. Essa diventa finalmente la nostra seconda
natura, cioè si fa prassi abituale, agire storico degli individui.
Tutto ciò è possibile in quanto la libertà e l’universalità si
sono incorporate nelle istituzioni storiche e queste hanno svol-
to nei nostri confronti quello stesso ruolo educativo e formati-
vo che gli antichi riconoscevano alla polis:

Alla domanda di un padre sulla maniera migliore di educare il


proprio figlio un pitagorico diede la seguente risposta (che viene
messa anche in bocca ad altri): fallo cittadino di uno Stato con buo-
ne leggi (GW 14.1 § 153 nota p. 142, Dir p. 303).
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 153

Le leggi dello Stato sono il luogo educativo per eccellenza


dei cittadini. E quando quello Stato è quello moderno, nel qua-
le la libertà universale ha potuto trovare la propria concretizza-
zione, quelle leggi costituiranno la condizione di possibilità per
la formazione di cittadini liberi. «La tesi importante contenuta
nella nozione hegeliana di Sittlichkeit», scrive Ch. Larmore, è
«che le istituzioni non solo proteggono i nostri traguardi mo-
rali, ma promuovono anche lo sviluppo morale. Se non ci fos-
se la socializzazione nelle forme di vista esistenti, nelle quali so-
no incorporati i valori morali, il carattere individuale sarebbe
ben poca cosa»27. Il senso della proposta hegeliana consiste
perciò non già – come talvolta si ritiene – nell’aver abbando-
nato la moralità kantiana ma piuttosto nell’averla completata,
mostrando che il moral point of view non è un prodotto della
ragion pura pratica ma la conseguenza del corretto operare
delle istituzioni politiche, del loro ruolo educativo, della loro
capacità di radicare nell’individuo le convinzioni morali. «Oc-
corre rendersi conto, esortava Hegel, che ai nostri giorni sono
le istituzioni e le pratiche caratteristiche della nostra società
che sostengono e promuovono il ruolo fondamentale della mo-
ralità universale»28. La grande scissione moderna fra la libertà
e l’esistenza si è alla fine ricomposta.

3.1.5 La ricomposizione della scissione del moderno


L’unità di libertà individuale e realtà storica oggettiva pone
termine – secondo Hegel – alla scissione che caratterizza il mon-
do moderno, cioè a quella separazione, tipica della Bildung, fra

27 CH. LARMORE, 1987, trad. it. p. 117.


28 Ivi, trad. it. p. 119. Nel riconoscere la validità della proposta hegelia-
na, Larmore ne prende contemporaneamente anche le distanze. Egli ritiene
infatti che Hegel abbia collocato la sua concezione dell’eticità in un modello
organico di società in cui non c’è vera distinzione tra piano individuale e pia-
no politico, in cui cioè lo Stato «deve avere un ordinamento istituzionale che
rifletta tutta la nostra concezione di noi stessi» (ibid.), ovvero la concezione
del bene specifica di un popolo. In realtà, come abbiamo visto, non c’è nul-
la di tutto questo in Hegel. La sua concezione del bene non è particolaristi-
ca, legata a tradizioni, a nazioni, o a popoli. Il bene infatti è identico con la
libertà e dunque mantiene tutta la validità universale della libertà kantiana,
la quale perciò si ripresenta anche nella condizione dell’eticità.
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154 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

l’individuo reale e le sue oggettivazioni astratte. Le esterioriz-


zazioni della libertà quali il mondo del diritto, l’autonomia del-
la moralità, le istituzioni politiche e sociali non si presentano
più con i tratti di un universo estraneo ma come la dimora del-
l’uomo moderno e la sua stessa natura. Quella dialettica della
libertà che, all’interno della Fenomenologia dello spirito, sem-
brava non trovare soluzione, si arresta con la Filosofia del di-
ritto, dissolvendosi nel mondo conciliato dell’eticità.
Hegel lavora in particolare a questa soluzione nel capitolo
dedicato alla moralità e in particolare nel passaggio dalla se-
conda alla terza sezione. In quei luoghi ci sono già tutti gli ele-
menti che prepareranno poi la transizione conclusiva all’eti-
cità. Va detto innanzitutto che l’intera parte dedicata alla mo-
ralità è strutturalmente caratterizzata da conflitti e contrasti
apparentemente irresolubili e infatti in tutte le tre sezioni in cui
essa viene articolata appaiono sempre due sfere pratiche in re-
ciproca opposizione. Nella seconda sezione, intitolata L’inten-
zione e il benessere (Die Absicht und das Wohl) si confrontano
due opposte dimensioni della libertà, quella dell’universalità
del diritto (con le sue esigenze di giustizia universale uguale per
tutti) e quella della felicità individuale, della realizzazione di sé,
dell’autenticità (diversa da individuo a individuo). Sembrano
qui entrare in conflitto non solo due opposte concezioni filo-
sofiche della vita pratica (Kant vs. Aristotele per dirla con le
due figure filosofiche più emblematiche di riferimento) ma due
veri e propri mondi. Da un lato l’idea che la nostra vita prati-
ca debba essere regolata dalle regole di giustizia, dal diritto,
dall’intenzione morale che prescinde dalle conseguenze con-
crete sulla vita e sull’esistenza. Dall’altro lato l’ideale della vita
buona come vero fine delle nostre azioni, la realizzazione di sé,
la ricerca della felicità e del proprio benessere. Questi due
mondi sembrano inconciliabili: l’osservanza rigida delle regole
di giustizia può creare danni profondi e ferite insanabili nella
vita concreta degli individui, così come la ricerca della propria
felicità e della propria realizzazione può dimostrarsi profonda-
mente ingiusta nei confronti degli altri.
Da un lato stanno le esigenze di giustizia, di fronte alle qua-
li «la mia particolarità come la particolarità altrui» rappresen-
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 155

ta indubbiamente un diritto inferiore che «non può affermar-


si contraddicendo questa sua base sostanziale». In altri termi-
ni «un’intenzione volta al mio benessere, come pure al benesse-
re di altri [...] non può legittimare un’azione illecita» (GW 14.1
§ 125 p. 111, Dir p. 245).
Dall’altro lato stanno però anche le esigenze concrete degli
individui, nei confronti delle quali una realizzazione indiscri-
minata del diritto può provocare un’ingiustizia ancora maggio-
re. Hegel porta come esempio estremo il caso in cui l’applica-
zione del diritto di proprietà esercitato dal creditore possa ad-
dirittura mettere in pericolo la vita stessa del debitore. Quan-
do infatti, a fronte di un debito non pagato, venisse sottratto al
debitore tutto il suo patrimonio (quali gli strumenti di lavoro,
gli arnesi agricoli, gli abiti, l’abitazione) ne verrebbe a lui un
danno enorme: la privazione non solo del benessere ma ten-
denzialmente della sua stessa vita. In sostanza l’applicazione
indiscriminata dei principi di giustizia può determinare «l’infi-
nita lesione dell’esistenza» e comportare «la totale assenza del
diritto (die totale Rechtlosigkeit)» (GW 14.1 § 127 p. 112, Dir
p. 247). La soppressione di una vita è la soppressione non so-
lo dei diritti di quell’individuo ma del suo diritto fondamenta-
le all’esistenza: un’ingiustizia molto maggiore della mancata
applicazione delle regole di giustizia. Ancora più esplicito è
Hegel nell’aggiunta al medesimo paragrafo:

La vita, in quanto totalità dei fini, ha un diritto di fronte al dirit-


to astratto. Se ad esempio col furto di un pane può venir prolun-
gata la vita, da tale atto è certamente lesa la proprietà di un uomo,
ma sarebbe ingiusto considerare quest’azione come un comune
furto. Se all’uomo in pericolo di vita non dovesse essere concesso
di fare quel che occorre per conservarsi, egli verrebbe qualificato
come privo di diritto e, giacché in quel caso gli verrebbe disco-
nosciuta la vita, sarebbe negata l’intera sua libertà (RZ pp. 240-
241, DA p. 320).

Il primato kantiano del giusto sul bene non risolve dunque


il conflitto fra la dimensione universale-astratta della libertà e
la sua dimensione individuale-concreta, anzi lo acuisce. Tale
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156 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

conflitto quindi dimostra «la finitezza e con ciò l’accidentalità,


tanto del diritto (Recht) quanto del benessere (Wohl)». Insom-
ma l’affermazione «astratta della libertà» che non si accompa-
gni alla considerazione «dell’esistenza della persona particola-
re» da un lato, e l’affermazione «della volontà particolare che
sia priva dell’universalità del diritto» dall’altro, sono entrambe
unilaterali (GW 14.1 § 128 p. 113, Dir p. 249).
La sezione successiva che porta il titolo di Il bene e la co-
scienza (Das Gute und das Gewissen) offre la soluzione hege-
liana a questa antinomia: diritto universale e benessere indivi-
duale devono essere congiunti nell’Idea del «bene», cioè pre-
sentarsi entrambi come un unico bene.

Senza il diritto il benessere non è un bene. Analogamente, senza il


benessere, il diritto non è il bene (fiat iustitia non deve avere come
conseguenza pereat mundus) (GW 14.1 § 130 p. 114, Dir p. 251).

L’Idea del bene si impone non tanto come punto d’incontro


ma come nuova dimensione normativa rispetto alla quale i due
momenti precedenti perdono la loro sussistenza autonoma.

In questa unità, il diritto astratto al pari del benessere, della sog-


gettività della volontà e dell’accidentalità dell’esistenza esteriore,
vengono tolti (aufgehoben) nel loro essere autonomi per sé, ma vi
vengono tuttavia contenuti e mantenuti (enthalten und erhalten)
secondo la loro essenza (GW 14.1 § 129 p. 114, Dir p. 251).

Fondata sull’Idea del bene la normatività deve poter con-


temporaneamente realizzare l’universalità del diritto e il be-
nessere del singolo individuo («l’accidentalità della sua esi-
stenza esteriore»). In questo senso il bene «ha il diritto assolu-
to rispetto al diritto astratto della proprietà e ai fini particolari
del benessere» (GW 14.1 § 130 p. 114, Dir p. 251).
In questo passaggio c’è però ancora una difficoltà: il bene
non dev’essere inteso come un fine morale, come un dovere
per la coscienza o come uno scopo dei nostri desideri. Posto in
questi termini si limiterebbe a sostituire i precedenti orienta-
menti alla giustizia (l’intenzione pura) o al benessere con un
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 157

nuovo orientamento, che rimarrebbe sempre esteriore e al di là


rispetto al soggetto. La scissione che caratterizza la moralità
non sarebbe in nulla superata e si ripresenterebbe sotto forma
di opposizione fra la coscienza (Gewissen) e il bene medesimo
(Gute). Per evitare questa ennesima sconfitta della moralità (la
moralità presa per sé sola non riesce mai a realizzarsi piena-
mente in Hegel) è necessario che il bene sia qualcosa di nuovo
rispetto alla concezione morale del mondo, è necessario che es-
so sia un bene già realizzato, una realtà storico istituzionale, in
breve: un bene etico. Solo nell’eticità esso perde i tratti sogget-
tivi del punto di vista morale (in cui la coscienza mostrava an-
cora tutta la sua differenza rispetto al suo oggetto) per manife-
starsi come «bene vivente» (lebendiges Gute), vale a dire come
un bene che sia al tempo stesso voluto dal soggetto e già real-
mente esistente, come «sapere e volere dell’autocoscienza» e
come «essere etico» (GW 14.1 § 142 p. 137, Dir p. 294)29.
Hegel è molto attento nel distinguere le due diverse declina-
zioni del bene, quella morale e quella etica. Nella declinazione
morale i due momenti del bene e della coscienza sono certa-
mente «integrati» ma «inizialmente in relazione reciproca anco-
ra relativa» (GW 14.1 § 128 p. 113, Dir p. 249), cioè istituisco-
no fra loro un rapporto che è al tempo stesso anche di opposi-
zione ed esclusione, nel quale l’individuo con i suoi propositi
soggettivi mantiene ancora tutta la sua differenza rispetto al-
l’oggettività etica (nonostante sia moralmente orientato ad essa).

La volontà soggettiva non è ancora posta come accolta entro il be-


ne stesso e come conforme ad esso [...] sta con il bene in un rap-
porto, e precisamente nel rapporto in cui il bene, per la volontà
stessa, deve-essere il sostanziale – essa, cioè, deve porselo come fi-
ne e portarlo a compimento (GW 14.1 § 131 p. 114, Dir p. 253).

29 In questo contesto acquista un significato ancora più ampio la defini-


zione d’apertura della parte dedicata all’eticità, nella quale questa viene de-
finita come «l’Idea della libertà nel senso del bene vivente» (GW 14.1 § 142
p. 137, Dir p. 294 – sottolineatura nostra). Posta come «bene vivente» l’eti-
cità raccoglie al suo interno tutto il precipitato della dinamica della moralità.
Essa è quel bene che si pone come sintesi di giustizia e felicità, ma è anche
quel bene che si pone come sintesi di soggettività morale e oggettività etica.
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158 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Ci troviamo qui esattamente nel momento del passaggio


dalla moralità all’eticità ma il punto di vista resta ancora quel-
lo morale. Il soggetto cioè si propone di orientarsi verso il be-
ne, cioè verso la conciliazione di benessere e giustizia, ma la
sua disposizione resta ancora di tipo morale. Ha rinunciato a
perseguire la purezza morale e vuole qualcosa in cui quella pu-
rezza sia in sintonia con l’esistenza concreta. E tuttavia questa
non è l’eticità, perché essa non chiede al soggetto di essere con-
siderata come un oggetto dei suoi propositi ma si pone come
ciò che sta alle spalle di ogni orientamento soggettivo. L’eticità
non chiede di essere realizzata ma è già questa realtà.
Solo nella declinazione etica i due momenti del bene e della
coscienza sono veramente «integrati in loro stessi fino alla loro
verità, alla loro identità» (GW 14.1 § 128 p. 113, Dir p. 249). I
soggetti non sono esterni al bene etico ma ne sono parte a tut-
ti gli effetti e lo riconoscono come il loro stesso bene. Disposi-
zione soggettiva e realtà oggettiva sono il medesimo. Questa è
la specificità del «bene vivente»: in esso non solo la felicità è
immanente alla giustizia e l’autorealizzazione è tutt’uno con
l’autonomia, ma tale identità si pone come realmente esistente
nel mondo, e in particolare nel mondo delle istituzioni etiche.
Secondo lo Hegel della Filosofia del diritto con il raggiungi-
mento dell’eticità – e in particolare con il dispiegamento della
sfera statale – ha fine la dialettica della libertà e dell’illumini-
smo: autenticità e autonomia, felicità e diritto, trovano final-
mente la loro conciliazione.
R. Bubner conferma questa lettura: finché il processo moder-
no di razionalizzazione – egli scrive – non cede il passo «a una
forma di vita largamente condivisa, in cui la ragione assuma un
tratto visibile a chiunque», cioè finché la ragione non corregge il
suo soggettivismo e non assume i tratti dell’eticità istituzionale,
«la dialettica dell’illuminismo a destinata a rafforzarsi»30. In altri

30 R. BUBNER, 1989, p. 109. L’interpretazione di Bubner è che secondo


Hegel il processo della Bildung non abbia termine finché rimane gestito dal-
la ragione soggettiva, cioè dall’intelletto. La proposta hegeliana consistereb-
be dunque nella sostituzione della regolazione intellettualistica dei processi
culturali e sociali con l’imporsi di una ragione oggettiva. Lo Stato moderno,
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 159

termini, solo lo Stato nella sua forma moderna contiene le basi


concrete per porre fine agli esiti estranianti del processo di ra-
zionalizzazione. Solo esso infatti consente il realizzarsi di una
forma di vita che sia al tempo stesso libera e abitualizzata.
Di tutt’altro parere è invece Ch. Menke, secondo il quale la
soluzione «etica» di Hegel non riuscirebbe realmente a supe-
rare la «tragedia» della modernità ma significherebbe sostan-
zialmente un arretramento alla fase pre-moderna e pre-tragica.
In altri termini: la soluzione hegeliana non sarebbe altro che la
riproposizione dell’ideale della polis come rimedio alle scissio-
ni della modernità.

Hegel comprende in effetti la figura etica del bene come l’idea-


guida normativa di una modernità posta al di là del tragico. Ma
Hegel può prospettare questa raffigurazione di una modernità
post-tragica solo in quanto segue segretamente il modello di una
eticità pre-tragica31.

Allontanandosi dalla direzione principale lungo la quale si


muove Hegel con la sua teoria dell’eticità, Menke compie un
tragitto che accoglie solo in parte quella soluzione. Egli infatti
accetta l’idea hegeliana del bene come conciliazione di giusti-
zia e vita buona ma la ritiene recuperabile solo nella sua decli-
nazione morale. Retrocedendo la sintesi di autorealizzazione e
diritto a livello soggettivo si eviterebbe di imporre, secondo lui,
un modello oggettivistico di vita etica lasciando a ogni singolo
individuo la libertà di trovare da sé di volta in volta la soluzio-
ne migliore. Ciò consentirebbe una soluzione «pluralistica» dei
conflitti della modernità senza ancorarla a un ordine oggettivo.
Ovviamente questa rinuncia alla «soluzione regia» di Hegel
avrebbe un prezzo da pagare: non si disporrebbe infatti di al-
cuna garanzia di soluzione dei conflitti ma solo la possibilità di
trovare volta per volta «un correttivo alle loro infinite ferite»32.

pur essendo un prodotto della Bildung, realizzerebbe proprio questo passag-


gio dall’intelletto alla ragione e ciò comporterebbe la fine della dialettica.
31 CH. MENKE, 1996, p. 304.
32 Ivi, p. 305.
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160 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Invece di presentare un’idea del bene vivente collocata al di là


del tragico, la proposta di Menke si presenta più modestamen-
te come disposta solo dopo di esso.
Sulle effettive possibilità della eticità hegeliana di rappre-
sentare la soluzione ai conflitti della modernità torneremo più
avanti nel libro, così come sulla proposta di Menke di offrire
una soluzione «morale» a tale problema. Non può tuttavia es-
sere taciuta l’insufficienza della sua interpretazione laddove
egli comprende la teoria hegeliana dello Stato come una sem-
plice «restaurazione» della polis antica. Non a caso ci siamo a
lungo soffermati sulle decisive differenze fra il modello greco e
quello hegeliano, mettendo in luce soprattutto quello che per
Hegel è il nuovo fondamento dello Stato, la libertà. Questo
conferisce all’eticità hegeliana non solo un tratto universalisti-
co sconosciuto nell’antichità, ma soprattutto rimette in gioco il
ruolo fondamentale della soggettività. È a quest’ultimo caratte-
re che ora rivolgeremo la nostra analisi.

3.1.6 L’unità pratica di soggetto e oggetto


La rilevanza che Hegel conferisce, fin dalle definizioni ini-
ziali, all’autocoscienza come elemento costitutivo dell’eticità
ha per conseguenza un’idea della Sittlichkeit nella quale il ruo-
lo della soggettività non può essere ridotto a un’acritica
conformazione nei confronti dell’esistente. L’eticità ha bisogno
della consapevole e libera accettazione da parte dell’individuo
nei confronti dell’oggettività.
Questo è il motivo che spinge Hegel a prendere le distanze
dall’eticità spontanea e irriflessa degli antichi, proprio in quan-
to essa non teneva nella dovuta considerazione la soggettività
individuale. La «bellezza e verità ideale» dell’eticità presentata
dalla filosofia di Platone viene fortemente compromessa – se-
condo Hegel – proprio dal disconoscimento del «principio del-
la particolarità autonoma, principio che proprio nella sua epo-
ca aveva fatto irruzione nell’eticità greca». L’esclusione di quel
principio «fin nei suoi inizi, sia nella proprietà privata, sia nel-
la famiglia, sia poi nella sua ulteriore evoluzione, in quanto ar-
bitrio particolare e scelta del ceto sociale» ha finito per causa-
re la cattiva fama di cui gode la stessa filosofia di Platone, con-
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 161

tribuendo «a far disconoscere la grande verità sostanziale dello


Stato platonico, e a farlo reputare una fantasticheria del pen-
siero astratto, quello che spesso si è soliti chiamare anche un
ideale» (GW 14.1 § 185 nota p. 161, Dir p. 339). Contro quel-
la concezione antica Hegel ritiene invece che alla vita dell’eti-
cità sia essenziale la libera adesione di individui consapevoli.
Come conferma C. Cesa, «la coscienza etica», cioè quell’«abi-
to morale che ha per proprio contenuto le leggi, e lo spirito del-
le leggi» si dispone verso quel contenuto «per propria scelta,
non perché sia necessitata ad averlo». Questo è «l’essenziale»
della teoria hegeliana dell’eticità, tanto che «non solo la con-
suetudine ma anche l’educazione sono considerate forme ina-
deguate alla libertà: il comportamento “spontaneo” che esse
indurrebbero è infatti incompatibile con il sentimento di sé»
che caratterizza la «coscienza moderna»33. In altri termini: l’au-
todeterminazione del soggetto, che – a differenza di Kant – ha
come esito non la contrapposizione all’esistente ma il ricono-
scimento della sua razionalità, è elemento costitutivo ed essen-
ziale per il darsi di un’eticità moderna. Ciò diventa possibile
per Hegel pensando l’eticità come il luogo in cui si realizza l’u-
nità pratica di soggetto e oggetto, una unità nella quale l’ogget-
to viene riconosciuto come identico all’autocoscienza34.

Le potenze etiche non sono per il soggetto qualcosa di estraneo.


Al contrario, il soggetto dà la testimonianza dello spirito (gibt das
Zeugnis des Geistes) che esse sono la sua propria essenza. Qui lo
spirito ha il proprio sentimento di sé (Selbstgefühl), e qui vive co-
me nel proprio elemento non-differenziato da sé. Si tratta di un
rapporto in cui, immediatamente, l’identità è maggiore che nel ca-
so della stessa fede e fiducia (GW 14.1 § 147 p. 138, Dir p. 295).

33 C. CESA, 1981, p. 177.


34 L’ambizioso progetto di Hegel è quello di rendere compatibile il prin-
cipio moderno dell’autonomia con il principio ad esso opposto, vale a dire
l’idea antica del primato della comunità. La sua sfida fondamentale è perciò
quella di «tracciare i confini di una nuova comunità in grado di “tollerare” il
principio soggettivo della libertà» e di trovare la connessione «tra la libertà
soggettiva e la libertà oggettiva, tra moralità ed eticità» (R. BONITO OLIVA,
2000, p. 11 – corsivo nostro).
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162 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

L’identità del soggetto autonomo con le istituzioni etiche e


l’assoluta assenza di estraneità fra le due parti in gioco, è data dal
fatto che il soggetto prova nei loro confronti ciò che egli prova
per se stesso: in esse egli ha il proprio «sentimento di sé». Il suo
atteggiamento all’interno dell’eticità – continua Hegel – è quel-
lo di svolgere una testimonianza, espressione questa mutuata
dalla religione cristiana e da Hegel spesso usata nelle sue Lezio-
ni sulla filosofia della religione (in realtà tutto il passo appena ci-
tato ha un’atmosfera vagamente religiosa). Di quale testimo-
nianza si tratta? Hegel la definisce «la testimonianza dello spiri-
to». In altri termini, il soggetto che vive all’interno di un’eticità
riconosciuta attesta in essa la «presenza» dello spirito, cioè la ri-
conosce come un prodotto dello stesso spirito che sta in lui e in
ciò si riconosce identico ad essa. E come la testimonianza del
Cristo suscita la fede religiosa, così la testimonianza dello spirito
genera la fede e la fiducia nelle istituzioni. La testimonianza del-
lo spirito coincide qui con il riconoscimento della sua immedia-
ta presenza ed è da questa immediatezza che nasce la fede nelle
istituzioni (e Hegel aggiunge che il rapporto cittadino-istituzioni
è ancora più profondo di quello della fede, trattandosi evidente-
mente di un rapporto razionale, nel quale la ragione soggettiva
riconosce se stessa nella razionalità oggettiva dell’etico).
Ancora una volta Hegel sottolinea l’importante ruolo svolto
dalla società civile. È in essa infatti che i soggetti hanno preso
consapevolezza della loro individualità e autonomia, sperimen-
tando i propri interessi come parte essenziale della loro iden-
tità. Al tempo stesso, ancora nella società civile, quell’indivi-
dualità aveva già trovato una sua via d’accesso all’universale.
Ora lo Stato conduce quella relazione al suo completamento,
realizzando ciò che Hegel chiama «la libertà concreta». Essa
consiste nel sovrapporsi di un duplice rapporto.

La singolarità personale e i suoi interessi particolari, per un verso,


hanno il loro sviluppo completo e il riconoscimento del loro dirit-
to per sé (nel sistema della famiglia e della società civile); per al-
tro verso, invece, essi in parte passano da se stessi nell’interesse
dell’universale, e in parte, con il loro sapere e volere, riconoscono
l’universale stesso (GW 14.1 § 260 p. 208, Dir p. 429).
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 163

Se la società civile aveva dato «sviluppo completo» all’indi-


vidualità non era stato invece completo il rapporto con l’uni-
versale. Hegel lo esprime con quel doppio «in parte» nel quale
mostra precisamente i due tempi in cui si svolge tale relazione.
Nella società civile infatti i soggetti erano solo passati «nell’in-
teresse dell’universale» (Hegel usa qui il verbo «übergehen»,
che significa appunto «transitare di là», «passare dall’altra par-
te»), non avendone avuto consapevolezza né tantomeno la vo-
lontà. Ora invece quell’universale viene riconosciuto dal «loro
sapere e volere». Esso cioè diventa consapevolmente lo scopo
del loro agire: «lo riconoscono come loro proprio spirito so-
stanziale, e sono attivi in vista di esso come in vista del loro fi-
ne ultimo» (ibid.).
L’elemento di rilievo è qui costituito dal fatto che quell’in-
teresse particolare, sviluppato e perseguito sul terreno della so-
cietà civile, non viene messo da parte o soppresso nella sfera
politica ma trova il suo compimento proprio nell’interesse uni-
versale: «l’universale non vale e non viene compiuto senza l’in-
teresse, il sapere e il volere particolari» (ibid.)35.
Bubner ha spiegato con grande chiarezza il tipo di rappor-
to che viene qui a instaurarsi, interpretando il riconoscimento
dell’universale (e quindi verso le istituzioni) da parte dell’indi-
viduo come un «wieder-erkennen», come un tornare a conosce-
re. Non si tratta cioè di un banale atto di «consenso» ma di
qualcosa di più profondo. Un soggetto «torna» a conoscere so-
lo quando ha già conosciuto, quando ritrova se stesso in quel-
l’ambito apparentemente estraneo rappresentato dalle istitu-
zioni statali. Ritrovare se stesso in quelle significa riscoprire il
proprio luogo originario. Le due parti che si incontrano non so-
no infatti entità indipendenti che stiano l’una di fronte all’altra

35 Ancora più chiaro è Hegel nella nota al medesimo paragrafo, dove la


conciliazione fra particolare e universale è specificata come relazione fra in-
teresse e dovere: «L’appagamento [della particolarità, n.d.r.] è puramente e
semplicemente necessario. L’individuo, nel suo adempimento del dovere, de-
ve trovare in qualche modo anche il suo proprio interesse, il proprio appaga-
mento o tornaconto, e, dal suo rapporto nello Stato, deve derivargli un dirit-
to tale che la cosa generale divenga la sua propria cosa particolare» (GW 14.1
§ 261 nota p. 209, Dir pp. 431-433).
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164 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

come il soggetto e l’oggetto della filosofia moderna ma due


realtà che si coappartengono, in quanto «le istituzioni sono spi-
rito dello stesso spirito del soggetto»36.

Wieder-erkennen significa negare una estraneità in un primo tem-


po supposta. Ciò che si torna a conoscere, lo si conosceva già co-
me ciò che si è già (als der, der man ist). Il ri-conosciuto (das Wie-
dererkannte) appartiene dunque originariamente al proprio ambi-
to vitale e da quello era scomparso solo temporaneamente37.

Condizione di un’eticità operante è il consenso dei suoi


componenti, così come condizione di uno Stato solido è il con-
senso dei suoi cittadini: Hegel sa bene che «senza l’accettazio-
ne di coloro che ne sono coinvolti nessuna legge ha la possibi-
lità di un seguito reale»38. E quell’accettazione non può essere
estrinseca né saltuaria ma deve realizzarsi nella continuità sto-
rica di lungo periodo: insomma il «ritrovarsi» dei soggetti si di-
mostra «nella prevalente e stabile fedeltà di lungo periodo da
parte di cittadini illuminati»39. L’opposizione hegeliana a una
legittimazione contrattualistica dello Stato non significa l’an-
nullamento della dimensione del consenso. Eticità è anche as-
senso dei soggetti, solo che quell’assenso viene compreso da
Hegel non secondo le coordinate del contrattualismo, ma dise-
gnando uno Stato fondato sulla stabilità dei comportamenti e
delle abitudini, e sull’incorporamento delle norme istituziona-
li all’interno della «natura» dei soggetti. «L’assenso è la base
della stabilità dei rapporti, ma l’assenso vivente non deriva da
alcuna finzione contrattualistica»40.

36
R. BUBNER, 1996, p. 160.
37
Ivi, p. 162.
38 R. BUBNER, 1995b, p. 81.
39 Ivi, pp. 82-83.
40 R. BUBNER, 2002, p. 165. Queste osservazioni di Bubner ci sembrano
la migliore risposta a critiche, come quella di Tugendhat, che si basano fon-
damentalmente sul misconoscimento della essenziale funzione svolta dalla
soggettività all’interno della teoria hegeliana dell’eticità. «La possibilità di un
rapporto autoresponsabile e critico nei confronti della collettività, nei con-
fronti dello Stato, non viene ammessa da Hegel», egli scrive, e così continua:
«quello che l’individuo deve fare è già stabilito in una collettività, la coscien-
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 165

L’unità di soggetto e oggetto trova una delle sue più alte


espressioni nel fenomeno del patriottismo. Esso viene definito da
Hegel come quel «sentimento politico» (politische Gesinnung,
disposizione d’animo politica) che nasce dall’azione delle isti-
tuzioni sui soggetti. Esso quindi costituisce la risposta dei sog-
getti nei confronti di quell’azione, una risposta che esprime
tutto il riconoscimento dei cittadini verso l’universalità statale.
Anche questo sentimento ha la forma tipica delle istituzioni
etiche, cioè si manifesta sotto forma di abitudine, è «il volere
divenuto abitudine» (GW 14.1 § 268 p. 211, Dir p. 437). La
reiterazione di atti di fiducia nei confronti delle istituzioni di-
venta a un certo punto un sentimento stabile ed è in quel mo-
mento che essa si consolida nel patriottismo.

Esso non è altro che il risultato delle istituzioni sussistenti nello


Stato, un risultato in cui la razionalità è data realmente e ottiene la
propria attivazione nelle azioni conformi a quelle istituzioni. In ge-
nerale, questo sentimento (Gesinnung) è la fiducia, la quale può poi
passare in una intellezione più o meno colta: essa è la coscienza che
il mio interesse (sia sostanziale, sia particolare) è garantito e conte-
nuto nell’interesse e nel fine di un altro – qui, dello Stato (ibid.).

Il patriottismo è la più alta espressione della fiducia dei cit-


tadini, è cioè il segno tangibile del loro quotidiano continuo
consenso. Senza consenso non si può dare infatti alcun pa-
triottismo. Esso quindi esprime al massimo livello l’incontro
dei cittadini con l’oggettività delle istituzioni, più di qualsiasi
consenso verbale. Ha un atteggiamento patriottico chi ritiene
che nell’adesione al proprio Stato venga garantita la propria
identità, i propri valori, i propri interessi. Ma ritenere il «pro-

za del singolo deve scomparire, e al posto della riflessione subentra la fidu-


cia; questo è quello che Hegel intende per il superamento della moralità nel-
l’eticità» (E. TUGENDHAT, 1979, trad. it. p. 360). Come abbiamo mostrato
poco sopra, la fiducia, lungi dall’essere un’irrazionale adesione, si configura
come ciò che emerge proprio dalla soggettività autonoma e autoresposabile.
Ugualmente quella che Tugendhat chiama «collettività» (Gemeinwesen) non
è mai in Hegel una massa indistinta ma viene composta da tutti quegli indi-
vidui autonomi e gelosi dei propri interessi che sono cresciuti e sono diven-
tati consapevoli di loro stessi all’interno della società civile.
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166 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

prio» interesse garantito nell’interesse di un «altro» è possibi-


le perché «questo altro non è affatto immediatamente un altro»
(ibid.). Insomma nel mio sentimento a favore dell’interesse di
un «altro» c’è la convinzione che si stia realizzando proprio il
«mio» interesse, un movimento, questo, inverso e speculare ri-
spetto a quello che si verificava nella società civile, dove nel
perseguimento dell’interesse proprio si realizzava l’interesse di
un altro (la società nel suo insieme).
Qui, all’interno di una comunità politica, l’individuo ha ma-
turato la convinzione che solo lavorando per gli interessi di tut-
ti si lavora veramente ai propri interessi, e «io, in questa co-
scienza sono libero» (ibid.). Col patriottismo non viene meno la
libertà del singolo: aderendo agli interessi della comunità il sin-
golo non perde la propria libertà, ma rafforza quelle condizioni
collettive che la rendono possibile. La libertà, ancora una volta,
viene ottenuta grazie alla relazione all’altro. Qui però l’altro si è
reso ancora più astratto e universale: non si tratta infatti di un
altro soggetto, di un «tu», ma di una sfera oggettiva, quella del-
le istituzioni statali e della comunità politica nel suo complesso.
Il patriottismo non è una virtù «eroica» e ha poco a che ve-
dere con la «disponibilità ad azioni e sacrifici straordinari». Es-
so è l’ordinario sentimento di quei cittadini che sono abituati
«a considerare la comunità (Gemeinwesen) come la base so-
stanziale e il fine» (GW 14.1 § 268 nota p. 212, Dir p. 437). Pa-
triottico è in sostanza quel cittadino che ha raggiunto una con-
sapevolezza compiuta di chi esso sia e di quali siano i suoi veri
interessi. Egli sa di non potersi realizzare al di fuori di rappor-
ti comunitari e che è suo interesse comprendersi come compo-
nente essenziale di una più vasta comunità civile e giuridica
che persegue fini comuni. Il suo patriottismo si costruisce per-
ciò sulla base della fiducia che egli matura nei confronti di
quelle relazioni comuni, solo all’interno delle quali egli sa di
poter sviluppare la sua autonomia e responsabilità41.

41 Come ha bene chiarito L. SIEP (1992a), la «fiducia» di cui parla Hegel


non è una cieca obbedienza verso ogni atto dell’autorità statale ma è un at-
teggiamento di fondo che precede assensi e dissensi nei confronti di specifici
atti dell’autorità statale. Si tratta in sostanza del sentimento che nasce dalla
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 167

«Patriottismo» non va però confuso con «nazionalismo».


Anche se poi, come vedremo, Hegel darà alla sua concezione
dello Stato delle caratteristiche che lo configurano come uno
Stato nazionale, non dobbiamo dimenticare che il fondamento
dello Stato hegeliano non è «la terra e il sangue», né la parti-
colarità dell’etnia e neppure la storia nazionale. Il suo fonda-
mento è la libertà, la cui massima espressione è la costituzione
politica in grado di incarnarla in leggi e istituzioni. Perciò il pa-
triottismo, nella visione di Hegel, è – prima di tutto – la lealtà
di un popolo nei confronti di quelle istituzioni, di quelle leggi
e di quella costituzione che sono fondate sulla libertà. Se il pa-
triottismo è la lealtà e fiducia verso il proprio patrimonio co-
mune, qui ciò che è «proprio» coincide con la libertà di «tut-
ti» e con la costituzione che la difende. Esso è in definitiva un
patriottismo della libertà. In quanto tale esso però pretende dai
cittadini non una supina obbedienza ma un sostegno attivo nei
confronti delle loro comuni istituzioni, esige cioè delle vere e
proprie virtù civili. Bene ha fatto perciò Honneth a utilizzare
la celebre espressione habermasiana del «patriottismo costitu-
zionale» (Verfassungspatriotismus)42 per caratterizzare questa
concezione hegeliana nel rapporto fra Stato e cittadini. È in-
fatti nella fedeltà verso le istituzioni, nelle virtù politiche neces-
sarie a sostenere la comunità rappresentata in esse, nella iden-
tificazione dei cittadini con la costituzione, che Hegel colloca il
fondamento della sua nozione di patriottismo.
Quest’ultimo tema chiarisce in maniera precisa anche il sen-
so da attribuire al riconoscimento che gli individui esercitano nei

consapevolezza della «concordanza del mio “interesse sostanziale e partico-


lare” con l’interesse e lo scopo dello Stato» (p. 234). Quella fiducia di fondo
non va perciò confusa con l’assenso esplicito verso specifici orientamenti dei
singoli Stati, assenso di cui Hegel non si occupa. Così come non si occupa
del problema di quale debba essere l’atteggiamento dei cittadini che si trovi-
no a vivere in uno Stato che non sia prodotto di una volontà libera e nel qua-
le perciò essi non si riconoscano. «Hegel elude il problema», conclude Siep,
«di determinare il rapporto fra i cittadini e tali Stati» (ivi, p. 235).
42 Anche se J. HABERMAS (1987, p. 173) aveva introdotto l’espressione
«patriottismo della costituzione» in un contesto ben diverso da quello hege-
liano, Honneth ha invece ritenuto opportuno riferirla proprio al § 268 della
Filosofia del diritto hegeliana (A. HONNETH, 2001, trad. it. p. 133).
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168 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

confronti dell’universale di cui Hegel aveva parlato nel § 260.


Non si tratta infatti di un riconoscimento intersoggettivo: infat-
ti al posto di una relazione fra soggetti è subentrata qui una re-
lazione fra i soggetti da un lato e la sfera oggettiva dello Stato,
dall’altro. Parlare di un «riconoscimento dell’universale» a
proposito del rapporto fra i cittadini e lo Stato chiarisce che a
livello politico le relazioni intersoggettive sono mediate da rela-
zioni oggettive. Ciò significa che i cittadini non si riconoscono
reciprocamente come tali, non si attribuiscono direttamente
diritti e doveri ma lo fanno in maniera indiretta, attraverso la
mediazione del loro universale riconoscimento nei confronti
dello Stato. È riconoscendo la legittimità dello Stato che ogni
cittadino riconosce implicitamente i diritti e i doveri di ogni al-
tro cittadino: è questa la specifica dinamica del «riconosci-
mento politico»43. Hegel descrive con grande precisione in che
cosa debba consistere il rapporto di reciprocità che si viene a
instaurare fra i cittadini da un lato e lo Stato dall’altro nell’ag-
giunta al § 432 dell’Enciclopedia.

Nello Stato a dominare sono lo spirito del popolo, i costumi, la


legge. Qui l’uomo viene trattato come essere ragionevole, come li-
bero, come persona; e il singolo per parte sua si rende degno di

43 Ho sviluppato le linee di fondo della nozione di riconoscimento nella


sfera politica in L. CORTELLA, 2008b, dove ho altresì distinto fra un ricono-
scimento bottom-up da parte dei cittadini (riconoscimento giuridico) e un ri-
conoscimento top-down da parte delle istituzioni (riconoscimento politico
vero e proprio). Honneth non sembra invece aver colto l’importanza di que-
sto sviluppo oggettivistico del riconoscimento da parte di Hegel. Egli infatti
si lamenta del fatto che nel capitolo sullo Stato «il discorso invece di svilup-
parsi in maniera orizzontale, all’improvviso, assume una tendenza verticale
[...] Qui i soggetti non fanno riferimento l’uno all’altro nel modo del ricono-
scimento, per produrre l’universalità solo attraverso le attività comuni, ma
invece questo universale appare dato come qualcosa di sostanziale, cosicché
il riconoscimento ha il senso di una conferma che si muove dal basso verso
l’alto (von unten nach oben)» (A. HONNETH, 2001, trad. it. pp. 132-133). E
tuttavia questo è l’unico riconoscimento possibile per gli altri cittadini in una
macrodimensione qual è quella dello Stato: è infatti inimmaginabile una vita
pubblica in cui il riconoscimento dei diritti degli altri avvenga in maniera di-
retta attraverso il reciproco scambio di diritti e doveri. È riconoscendo la le-
gittimità delle leggi in grado di garantire quei diritti-doveri che passa il rico-
noscimento ogni singolo cittadino.
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 169

questo riconoscimento per il fatto di obbedire [...] a un universa-


le, alla volontà in sé e per sé essente, alla legge. Egli si comporta
quindi nei confronti di altri in un modo che vale universalmente
(auf eine allgemeingültige Weise), li riconosce come ciò per cui
egli stesso vuole essere considerato: come liberi, come persone
(EZ pp. 221-222, EA3 p. 274).

L’istituzione ha un atteggiamento di rispetto per il singolo,


trattandolo come persona libera, e la risposta di questi nei con-
fronti dello Stato è l’obbedienza alle leggi, a quelle leggi che gli
consentono di venire considerato persona. È attraverso questo
atteggiamento universalistico (il cui interlocutore è lo Stato in
generale e non i singoli cittadini) che passa il riconoscimento
del singolo verso tutti gli altri.
L. Siep ha parlato – in questo caso – di un riconoscimento di
«secondo livello»44, distinto da quello di primo livello caratte-
rizzato in senso ancora intersoggettivo. Questo nuovo tipo di
riconoscimento – in cui al confronto con un «tu» subentra il
confronto con il «noi», cioè con la volontà generale, i costumi,
le leggi, le istituzioni – sarebbe secondo Siep la specifica novità
della teoria hegeliana del riconoscimento rispetto a quella già
introdotta da Fichte, che manteneva un carattere solo inter-
personale. Grazie ad essa quella teoria può diventare con He-
gel una teoria delle istituzioni e della loro legittimazione. L’a-
pertura di questa seconda dimensione coincide però anche con
la sua limitazione. Nel mentre apre all’universale Hegel infatti
manca di introdurre anche in questa sfera il principio fonda-
mentale del riconoscimento, quello della reciprocità: mentre gli
individui devono riconoscere l’universale «con il loro sapere e
volere» (§ 260), non altrettanto fa l’universale nei loro con-
fronti. Come aveva spiegato Hegel fin dai tempi di Jena e del-
la Fenomenologia, riconoscere qualcuno comporta al tempo
stesso un’azione negativa nei propri confronti: il processo di
negazione che la nostra istintualità naturale indirizzerebbe
contro l’altro, viene qui indirizzato verso se stessi al fine di ri-
conoscere la «signoria» dell’altro. Quando anche l’altro com-

44 L. SIEP, 1979.
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170 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

pie il medesimo processo su di sé seguendo specularmente il


movimento del primo, possiamo dire che i due si siano ricono-
sciuti reciprocamente: sono entrambi «signori», cioè sono en-
trambi soggetti autocoscienti e autonomi. Ebbene tutto questo
manca nel rapporto fra individui e Stato nella Filosofia del di-
ritto. L’universale non nega se stesso ma si afferma di contro al-
l’individuale come la sua suprema verità45. Manca perciò la ti-
pica costituzione reciproca della validità dell’uno e dell’altro,
manca il conferimento reciproco della legittimità e quindi
manca una vera e propria legittimazione delle istituzioni sulla
base di un processo di riconoscimento. L’universale e il parti-
colare non vengono costituiti dal processo ma preesistono ad
esso con tutta la loro asimmetria. Infatti l’universale viene con-
siderato da Hegel come avente una precedenza assoluta, come
un’«autofinalità assoluta e immobile» (GW 14.1 § 258 p. 201,
Dir p. 417) cui vengono subordinate la volontà e la coscienza
degli individui46. Questi ultimi non vengono invece considera-
ti dei veri e propri «fini» ma solo dei mezzi per il riconosci-
mento dell’universale47. Mancando però la reciprocità del rap-
porto anche lo stesso riconoscimento dal basso viene a essere
indebolito e alla fine smantellato nel suo valore costitutivo. Ne
consegue che le istituzioni alla fine non trovano il loro fonda-
mento nel processo del riconoscimento ma sono «giustificate
in modo assolutistico»48.
Una critica analoga viene mossa a Hegel da Vittorio Hösle, il
quale si sofferma in particolare proprio su questo disequilibrio
fra il lato universale-oggettivo rappresentato dalle istituzioni e
il lato individuale-soggettivo rappresentato dai cittadini. Hegel
sa bene che l’eticità statale dev’essere composta da entrambi i
momenti e infatti nel § 267 suddivide la sostanzialità dello Sta-
to in due differenti lati: la «sostanzialità soggettiva» rappresen-

45Cfr. ivi, trad. it. pp. 296 ss. e p. 300.


46Cfr. ivi, trad. it. pp. 155-156.
47 Se Hegel fosse stato coerente con le premesse della sua teoria del ri-
conoscimento avrebbe dovuto collocare anche il riconoscimento della singo-
larità come «fine» del processo, come fine anche del riconoscimento di «se-
condo livello» (ivi, p. 175).
48 Ivi, p. 308.
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 171

tata dal «sentimento politico» (la politische Gesinnung) e la «so-


stanzialità oggettiva» rappresentata dall’«organismo dello Sta-
to» cioè dalla sua «costituzione» (Verfassung) (GW 14.1 § 267
p. 211, Dir p. 435). Ebbene, annota Hösle, alla prima Hegel de-
dica un solo paragrafo, il 268, mentre alla seconda ne dedica
ben 61. Invece di sviluppare adeguatamente questo lato del pa-
triottismo e della politische Gesinnung, approfondendo la fun-
zione educatrice dello Stato49, Hegel si concentra esclusiva-
mente sull’aspetto istituzionale-oggettivo. È perciò evidente,
conclude Hösle, «che Hegel vuole minimizzare il più possibile
la funzione positiva della soggettività all’interno dello Stato.
Nel trascurare il momento soggettivo, continua ad esercitare i
suoi effetti la collocazione aporetica della moralità»50.
Il problema del sacrificio dell’individualità nella Filosofia
del diritto è stato affrontato da numerosi critici ed è indubbia-
mente uno dei punti per i quali si fa più difficile la recezione
contemporanea di quest’opera. La questione è particolarmen-
te dibattuta proprio perché Hegel nelle sue dichiarazioni pro-
grammatiche non vuole in alcun modo sacrificare l’individuo e
l’apporto dei cittadini alla vita etica dello Stato moderno. Tali
dichiarazioni di principio sembrano però essere contraddette
dalla concreta esposizione della sua dottrina dello Stato. E. An-
gehrn ha particolarmente focalizzato questa circostanza:

Lo Stato moderno deve superare la carenza della società civile


mantenendone il più peculiare principio: la libertà soggettiva.
Ora, resta comunque altamente opinabile se lo Stato delineato da
Hegel renda effettivamente giustizia a questo postulato. Certo, ci
sono diversi punti in cui Hegel sottolinea il carattere irrinuncia-
bile della libertà soggettiva in quanto fondamento dello Stato.
Tuttavia sembra in complesso innegabile che la pretesa dello Sta-
to moderno di portare a compimento il principio soggettivo e di
conciliarlo nello stesso tempo con la sostanzialità (§ 260), resti ap-
punto soltanto una pretesa51.

49 V. HÖSLE, 1987b, pp. 190-195.


50 Ivi, p. 190.
51 E. ANGEHRN, 1991, p. 27.
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172 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Il vero contesto in cui collocare questa insufficiente consi-


derazione dell’individualità è però, secondo Angehrn, quello
del rapporto fra soggettività finita e soggettività assoluta: poi-
ché la verità sta in quest’ultima, la prima è destinata prima o
poi ad essere sacrificata.

Nella sintomatica formulazione della filosofia del diritto gli indi-


vidui vengono degradati addirittura ad «accidenti» dello spirito
(§ 145; § 156 aggiunta; § 163 nota), e il loro rapporto con l’inte-
ro viene così concepito come rapporto della sostanzialità; è que-
sta la figura che si oppone al soggettivismo assolutizzato. Il di-
lemma del concetto della soggettività è il suo oscillare tra assolu-
tezza e nullità52.

Su una linea analoga si muovono le osservazioni di Hofmei-


ster: «se la recezione della moralità kantiana ha una funzione
costitutiva per il concetto hegeliano della vita etica» è eviden-
te l’incoerenza di Hegel nel non rendere giustizia «all’indivi-
duo finito e alla sua esigenza di autodeterminazione, dal mo-
mento che egli vede l’individualità come mera particolarità, co-
me un accidente che in relazione all’etica ha la sua verità al di
fuori di lui medesimo»53. Il motivo di ciò risiederebbe secondo
Hofmeister in un’indebita assolutizzazione dello Stato, nel
considerarlo non «una» realizzazione «storica» dell’Idea etica
bensì «la» sua realizzazione «assoluta», rimuovendone perciò
la specifica storicità e la sua appartenenza non allo spirito as-
soluto ma allo spirito oggettivo. Secondo Hofmeister quindi il
vero problema della Filosofia del diritto consisterebbe nella
«mancata distinzione fra lo spirito oggettivo attualizzato nello
Stato e lo spirito assoluto»54, mancata distinzione che condur-
rebbe Hegel a fare dello «Stato particolare di un certo tempo»
«l’oggettivazione dello spirito assoluto»55. Da ciò l’idea hege-
liana secondo cui la vita etica individuale possa trovare realiz-
zazione solo «rinunciando alla sua libertà individuale».

52 Ivi, p. 32.
53 H. HOFMEISTER, 1974, p. 154.
54 Ivi, p. 157.
55 Ivi, p. 154.
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 173

Sui rapporti fra spirito oggettivo e spirito assoluto tornere-


mo in conclusione di capitolo. Rimane tuttavia aperta un’esi-
genza fondamentale per la nostra indagine: analizzare più da
vicino la caratterizzazione dell’oggettività all’interno della teoria
hegeliana dello Stato e saggiarne il suo peso, soprattutto nei
confronti della soggettività dei cittadini.

3.2 L’eticità come primato dell’oggetto

3.2.1 La conciliazione di individuale e universale


La tesi che Hegel intenderebbe sostenere (e tutte le sue
esplicite dichiarazioni vanno in quella direzione) non è quella
del primato dell’oggettività sulla soggettività bensì quella della
conciliazione fra soggettività individuale e oggettività sostan-
ziale. Non a caso egli ritiene che «il principio degli Stati mo-
derni» consista nel massimizzare la libertà individuale all’inter-
no del mantenimento dell’unità dello Stato.

Il principio degli Stati moderni ha questa immane forza e profon-


dità: esso fa sì che il principio della soggettività si compia fino al-
l’estremo autonomo della particolarità personale, e, a un tempo, lo
riconduce nell’unità sostanziale, conservando così quest’ultima in
quel principio stesso (GW 14.1 § 260 p. 208, Dir p. 429).

Lo Stato non si limita a raccogliere il testimone dalla società


civile, non si limita ad accogliere e a difendere al suo interno
gli individui, ma incrementa ulteriormente lo sviluppo della lo-
ro individualità e autonomia. Esso perciò non distrugge il prin-
cipio di individualità dissolvendolo nell’unità sostanziale ma lo
«conserva», anzi si fa garante del pieno sviluppo del soggetto,
«fino all’estremo autonomo della particolarità personale»56.

56 Riportiamo per intero il commento di Bubner a questo passo hegelia-


no, perché ci sembra di particolare chiarezza: «Solo negli stati di tipo mo-
derno, non però in nome della loro autonoma soggettività, gli individui pos-
sono svilupparsi. Infatti essi hanno bisogno dello spazio libero garantito isti-
tuzionalmente, per sperimentare le loro personali particolarità fino alle estre-
me ramificazioni. Senza quel quadro si troverebbero alla fin fine in una sor-
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174 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

L’unità sostanziale di cui parla Hegel è perciò la coinciden-


za degli interessi individuali e di quelli collettivi: solo perse-
guendo l’interesse comune (il più volte citato «riconoscimento
dell’universale» del § 260) si ha la garanzia della salvaguardia
dell’interesse individuale. Ancora una volta l’inversione specu-
lare di quanto accadeva nella società civile: laddove in quella
l’individuo mirava al suo tornaconto e otteneva il benessere di
tutti, qui l’individuo si propone l’interesse di tutti e ottiene il
proprio benessere.

Lo Stato, in quanto entità etica, in quanto compenetrazione del


sostanziale e del particolare, implica che la mia obbligazione ri-
spetto al sostanziale sia al tempo stesso l’esistenza della mia li-
bertà particolare (GW 14.1 § 261 nota p. 209, Dir p. 431).

Fare il proprio dovere di cittadino non è limitare la propria


libertà ma è creare le condizioni perché quella libertà venga
salvaguardata e garantita. Infatti «nello Stato, dovere e diritto
sono uniti in un’unica e medesima relazione» (ibid.), sono i due
lati indisgiungibili della libertà57. Quando perciò lo Stato si
manifesta di fronte agli individui come una «necessità esterio-
re», come una «potenza» (GW 14.1 § 261 p. 208, Dir p. 429) a
cui le esigenze della famiglia e della società civile sembrano do-
versi piegare, questa è solo un’apparenza esterna perché in
realtà lo Stato è «il loro fine immanente» (ibid.), ciò che offre
la vera garanzia per il rispetto della loro libertà58.

ta di lotta concorrenziale, che la dottrina dello status naturae proietta artifi-


cialmente all’origine, mentre è costantemente in agguato nelle secche della
quotidianità sociale. Senza il sostegno delle istituzioni gli individui cadreb-
bero in conflitti, nei quali non rimarrebbe né forza né tempo per la cura del-
la personalità. In ciò la tesi hegeliana è in accordo con il credo del liberali-
smo» che da Humboldt a Mill ha posto «lo Stato a garante dei diritti perso-
nali di libertà» (R. BUBNER, 1997, pp. 156-157).
57 È sempre Bubner a osservare e ad aggiungere questa considerazione:
«Solo come cittadino nel quadro del diritto esistente l’uomo è libero» (R.
BUBNER, 2002, p. 273).
58 Come ha sottolineato Chiereghin, in questa soluzione del rapporto fra
individuo e Stato, fra dovere e diritto, fra libertà individuale e sostanzialità
dell’universale, Hegel porta con sé fin negli anni della maturità l’influenza
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 175

Questa conciliazione tra soggettività e oggettività, se com-


porta il giusto riconoscimento dell’individualità, impedisce
tuttavia – com’è ovvio – di sovraordinarla allo Stato. Questo
non potrà perciò mai essere inteso come uno strumento per la
realizzazione dell’individuo. È in questo contesto che Hegel de-
scrive lo Stato come «autofinalità assoluta e immobile», la qua-
le, in quanto «fine ultimo», mantiene «il supremo diritto nei
confronti dei singoli» (GW 14.1 § 258 p. 201, Dir p. 417).
Qui tuttavia si tocca con mano quell’assenza di reciprocità di
cui si lamentava Siep poco sopra. Mentre infatti lo Stato ha il «su-
premo diritto nei confronti dei singoli», questi ultimi non sem-
brano poterne rivendicare alcuno nei confronti dello Stato. C’è
ovviamente qualcosa di «supremo» che il singolo può vantare nei
confronti dello Stato ma questo è solo il dovere, non il diritto:

Ora, questa unità sostanziale è autofinalità assoluta e immobile


nella quale la libertà perviene al suo diritto supremo; analoga-
mente, questo fine ultimo ha il supremo diritto nei confronti dei
singoli. I singoli, a loro volta, hanno il dovere supremo di essere
membri dello Stato (ibid.).

Una volta che i singoli dovessero porsi come dei «fini» non
saremmo più, secondo Hegel, nella sfera statale ma nella so-
cietà civile:

Se lo Stato viene scambiato per la società civile, e se quindi la sua


destinazione viene posta nella sicurezza e nella protezione della
proprietà e della libertà personale, allora l’interesse dei singoli in

del pensiero di Spinoza, un’influenza che risale – com’è noto – al periodo di


Jena. È Spinoza a sostenere che il singolo non solo mantiene nello Stato i suoi
diritti, ma, più radicalmente, che è grazie allo Stato se egli viene riconosciu-
to come soggetto giuridicamente capace. Perciò Hegel (in modo paradossa-
le) ricava proprio «da quella metafisica che ha delineato il modello d’imma-
nenza più radicale della nostra tradizione speculativa, il principio dell’in-
coercibile libertà del soggetto» (F. CHIEREGHIN, 1980, p. 107). Dunque «la
singolarità della persona, che Spinoza presenta come soggetto di diritto non
nell’insostenibile stato di natura, ma all’interno di quella concreta organizza-
zione della libertà che è lo Stato, costituisce al tempo stesso il punto di par-
tenza della hegeliana filosofia del diritto» (ivi, p. 108).
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176 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

quanto tale diviene il fine ultimo per cui essi sono uniti, e, a un
tempo, il fatto di essere membro dello Stato finisce col dipendere
dal capriccio individuale (GW 14.1 § 258 nota p. 201, Dir p. 417).

Analoghe osservazioni sviluppa Hegel nelle sue Lezioni sul-


la Filosofia della storia:

Lo Stato non esiste per i cittadini: si potrebbe dire che esso è il fi-
ne, e quelli sono i suoi strumenti. Peraltro tale rapporto generale
di fine a mezzo non è, in questo caso, rispondente. Lo Stato non
è infatti una realtà astratta, che si contrapponga ai cittadini: ben-
sì essi sono momenti come nella vita organica, in cui nessun mem-
bro è fine e nessuno è mezzo (PhWg I p. 112, FilSt I pp. 105-106).

L’idea di Hegel continua perciò ad essere quella secondo


cui la prevalenza dell’elemento universale non significa in nul-
la una perdita della libertà individuale: «l’unione (die Vereini-
gung) in quanto tale è essa stessa l’autentico contenuto e fine»
(GW 14.1 § 258 nota p. 201, Dir p. 419). Ponendo nella Verei-
nigung il fine degli individui Hegel da un lato apre una finestra
verso la caratterizzazione intersoggettiva della vita dello Stato:
lo Stato qui non è semplicemente una sostanza preesistente ma
è il risultato dell’unificazione delle molteplici individualità che
lo compongono. Dall’altro lato porre qualcosa come fine signi-
fica nel linguaggio di Hegel porlo come fondamento e origine,
porre cioè come originario non già i singoli soggetti che si in-
contrano ma la loro già da sempre avvenuta mediazione, vale a
dire la precedenza dell’ordine oggettivo rispetto a qualsiasi tipo
di istanza individuale.

3.2.2 L’originarietà dell’ordine


Che valore di posizione originaria abbia non già la dinami-
ca dell’incontro intersoggettivo ma l’oggettiva unità fra gli indi-
vidui (la Vereinigung), lo dimostra la radicale opposizione di
Hegel nei confronti di quella concezione politica che pone nel
contratto l’origine e il fondamento dello Stato. Quel contratto
presuppone infatti degli individui reciprocamente isolati, la cui
unica relazione è costituita dai rapporti esterni del conflitto per
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 177

la sopravvivenza e per l’appropriazione dei beni. Solo il con-


tratto riuscirebbe ad imporre loro la relazione, la quale a que-
sto punto risulterebbe artificiale e costruita. Siamo perciò in
uno scenario del tutto opposto rispetto a quello hegeliano, nel
quale invece la Vereinigung viene pensata come l’originario.

Rousseau, tuttavia, ha colto la volontà soltanto nella forma de-


terminata della volontà singolare (come ha fatto in seguito anche
Fichte), e ha inteso la volontà universale non come il razionale in
sé e per sé della volontà stessa, bensì soltanto come ciò che è co-
mune e che deriverebbe da questa volontà singolare come da una
volontà cosciente. Qui, pertanto, l’unione dei singoli nello Stato
diviene un contratto, il quale ha quindi per fondamento il loro ar-
bitrio, la loro opinione e il loro consenso esplicito, dato a piaci-
mento (GW 14.1 § 258 nota p. 202, Dir pp. 419-421).

La precisazione fatta poco prima nella stessa nota di para-


grafo chiarisce il senso generale di questa critica. Hegel infatti
avverte che il suo oggetto è l’Idea dello Stato e che una tale
trattazione non concerne «quale sia o sia stata l’origine storica
dello Stato in generale» (ibid.). Dunque non è in discussione la
plausibilità storica dell’ipotesi contrattualistica. Questa era già
stata criticata da Hume, il quale aveva giudicato quel patto una
finzione storicamente insostenibile, tanto che sulla base di
quella critica Kant aveva riformulato e rifondato il contrattua-
lismo non come illustrazione della genesi dello Stato ma come
giustificazione della sua legittimità. Secondo Kant si trattava in
sostanza di assumere quel patto come un’ipotesi di lavoro, un
«come se»: possiamo considerare legittimo il nostro Stato, se e
solo se possiamo immaginare che il suo ordinamento sarebbe
stato approvato dalla volontà comune dei suoi futuri cittadini
collocati in una condizione di originarietà naturale59. La critica

59 «Questo contratto come unione di tutte le volontà particolari e priva-


te di un popolo in una volontà comune e pubblica [...] non è punto necessa-
rio presupporlo come un fatto (come tale non sarebbe neppure possibile)
[...] Questo contratto è invece una semplice idea della ragione, ma che ha in-
dubbiamente la sua realtà (pratica): cioè la sua realtà consiste nell’obbligare
ogni legislatore a far leggi come se esse dovessero derivare dalla volontà co-
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178 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

di Hegel si rivolge dunque a questa «seconda» versione del


contrattualismo, intende cioè confutare non storicamente ma
teoreticamente la validità del modello contrattualista (un’ope-
razione che coinvolge perciò in linea di principio anche le ri-
proposizioni contemporanee del contrattualismo, ad esempio
quella presentata da Rawls in Una teoria della giustizia60). Con-
futazione teoretica significa mettere in discussione la tesi se-
condo cui l’individuo e la sua volontà soggettiva costituiscono
la fonte di legittimità dell’ordine statale61.
Contro la legittimità contrattualistica, cioè individualistica,
dello Stato Hegel sostiene una legittimità oggettiva e sovraindi-
viduale, quella che lui chiama la «volontà oggettiva», ovvero
«ciò che nel proprio concetto è in sé razionale» (GW 14.1 § 258
nota p. 203, Dir p. 421). Non è possibile invece pensare il con-

mune di tutto un popolo e nel considerare ogni suddito, in quanto vuol es-
ser cittadino, come se egli avesse dato il suo consenso a una tale volontà.
Questa è infatti la pietra di paragone della legittimità di una qualsiasi legge
pubblica» (I. KANT, 1793, trad. it. p. 262).
60 «Dal punto di vista della giustizia come equità la posizione originaria
di eguaglianza corrisponde allo stato di natura della teoria tradizionale del
contratto sociale. Naturalmente questa posizione originaria non è considera-
ta come uno stato di cose storicamente reale, e meno ancora come una con-
dizione culturale primitiva. Va piuttosto considerata come una condizione
puramente ipotetica, caratterizzata in modo tale da condurre a una certa con-
cezione della giustizia» (J. RAWLS, 1971, trad. it. p. 28). Perciò quella assun-
zione ipotetica serve unicamente a stabilire che «una situazione sociale è giu-
sta se, anche attraverso questa sequenza di accordi ipotetici, accetteremmo lo
stesso sistema generale di norme che la determinano ora» (ivi, trad. it. p. 29).
61 È stato fatto notare (M. RIEDEL, 1970) che nell’opposizione hegeliana
al contrattualismo gioca un importante argomento antinaturalistico. È ben
vero infatti che la teoria contrattuale postula proprio una rottura nei con-
fronti dello stato naturale ma è anche vero che quando è una moltitudine di
individui a deliberare sulla costituzione di uno Stato, ciò che determina quel-
la decisione sono daccapo gli interessi, i bisogni e le pulsioni. Anche lo Sta-
to di Kant, di Fichte e di Rousseau, fondato non sulla natura ma sulla libertà,
alla fine torna a dipendere dalla natura. «Ma in Kant e Fichte (e prima di lo-
ro in Rousseau) il principio che essi pongono alla base della dottrina del di-
ritto entra in contraddizione con l’attuazione che essi gli conferiscono. La na-
tura che, da un lato, il principio dello Stato esclude da sé [...] viene, dall’al-
tro, nuovamente introdotta dal fatto che essi collocano sopra tutto e tutti la
volontà solo nella forma determinata della “volontà singola”, come “indivi-
duo particolare”» (pp. 40-41).
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 179

trario, cioè concedere che quella volontà oggettiva sia il pro-


dotto delle volontà individuali. L’individuo è infatti il risultato
di un’eticità esistente e non può perciò immaginare se stesso
come artefice originario di ciò che ha contribuito in modo de-
cisivo a costruirlo. La stessa capacità contrattuale di stipulare
un patto e di farlo rispettare dipende dalla pre-esistenza (e le-
gittimità) di un sistema giuridico o almeno dalla già operante
validità della norma secondo cui i patti vanno rispettati62.
Tutto ciò rinvia alla preesistenza dell’etico e alla sua funzio-
ne di legittimazione nei confronti di ogni istanza normativa.
Questo ethos pre-esistente non è, come abbiamo visto, un uni-
versale astratto ma un universale diventato sistema istituziona-
le. Noi non ne siamo gli autori ma i prodotti.

Non siamo noi gli autori di un ordine di cui invece già da sempre
abbiamo bisogno per essere attori in un senso ricostruibile razio-
nalmente. Noi non cominciamo con l’ordine, poiché è l’ordine ciò
di cui abbiamo bisogno per poter cominciare con la prassi63.

Quell’ordine è condizione dell’individuo e della sua libertà,


e perciò è anche condizione della sua prassi. Non può essere
«costruito» dopo che noi già abbiamo cominciato ad agire ma
precede ogni nostra possibile azione. Senza istituzioni quell’a-
gire sociale sarebbe impossibile. In questo quadro vanno in-
terpretate le famose espressioni «iper-stataliste» di Hegel:
«Tutto ciò che l’uomo è, egli lo deve allo Stato: solo in esso egli
ha la sua essenza. Ogni valore, ogni realtà spirituale, l’uomo
l’ha solo per mezzo dello Stato» (PhWg I p. 111, FilSt I p. 105).
Ma anche in queste affermazioni ritroviamo quello che già ave-
vamo scoperto in precedenza, ovvero che la priorità dello Sta-

62 Come osserva acutamente Bubner, assumere un contratto originario


come condizione dello Stato e del diritto è contraddittorio: infatti il contrat-
to è regolato dal diritto, ma quel contratto dovrebbe precedere l’istituzione
del diritto. Come possa esistere un contratto avente valore di diritto prima
del diritto è una totale finzione. In altri termini, il diritto, l’ordinamento isti-
tuzionale, l’ordine, devono precedere qualsiasi contratto fra i singoli (cfr. R.
BUBNER, 1995b, p. 78; 1996, p. 170).
63 R. BUBNER, 1997, p. 171.
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180 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

to non comporta la scomparsa dell’individuo ma, al contrario,


la sua promozione. Nell’Enciclopedia è lo stesso Hegel a riba-
dire questa concezione affermando che lo spirito del popolo
costituisce «la potenza e la necessità interna (die innere Macht
und Notwendigkeit) dell’autonomia delle persone (von deren
Selbstständigkeit)» (GW 20 § 514 p. 495, Enc p. 491).
Il tipo di libertà che qui viene sostenuta da un’eticità fun-
zionante non è evidentemente la difesa negativa dell’arbitrio
individuale contro ingerenze e condizionamenti esterni ma la
capacità positiva di autodeterminazione e di scelta nei con-
fronti di ciò che veramente vogliamo. La priorità dell’etico (e
dell’ordine) va quindi collocata nel quadro di quella concezio-
ne positiva della libertà che costituisce uno dei tratti fonda-
mentali del pensiero politico di Hegel.
Charles Taylor è uno degli autori contemporanei che più
hanno sostenuto la superiorità del modello positivo su quello
meramente negativo di libertà. Il limite che Taylor ravvisa nel-
la concezione negativa della libertà sta nel suo porsi esclusiva-
mente come mera assenza di impedimenti. Libero sarebbe
dunque l’individuo che non viene impedito da ostacoli fisici o
legali nell’esercizio della sua libertà. Nulla viene detto però di
questa sua libertà, in che cosa cioè essa consista, al di fuori di
quell’indipendenza. In realtà la libertà di un individuo dipen-
de anche da altri fattori, tra i quali in primo luogo la sua capa-
cità di realizzare i propri fini, di discriminare tra fini primari e
secondari, tra finalità buone e cattive. Un individuo che pur ri-
conoscendo come importante un certo scopo, non riesca a rea-
lizzarlo perché attratto da altri desideri, non è sicuramente li-
bero. Da ciò la necessità – secondo Taylor – di introdurre un
concetto positivo di libertà, che non la determini semplice-
mente come facoltà di «fare ciò che si vuole» ma come una ca-
pacità di «discriminare tra le motivazioni» e di fare «ciò che
noi realmente vogliamo»64.
Ora questa capacità non è solo la capacità pratica di sconfig-
gere gli ostacoli interni alla realizzazione di me stesso, ma è so-
prattutto la capacità teoretica «di riconoscere adeguatamente i

64 CH. TAYLOR, 1979b, p. 217.


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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 181

miei scopi più importanti»65. Proprio perché «il soggetto può


sempre essere in errore su ciò che egli veramente vuole»66 egli
ha bisogno di accompagnare la sua libertà individuale con un’a-
deguata visione di quali siano le finalità veramente importanti
per lui. Da ciò l’importanza della forma di società in cui farlo
crescere e maturare, al fine di consentirgli lo sviluppo di questo
tipo di facoltà. La libertà positiva non è infatti un dono natura-
le ma si acquisisce e si affina sempre più con l’uso, con l’eserci-
zio, con la ripetizione. Tutto ciò dipende, per una parte, dal-
l’individuo stesso, in quanto è lui che dovrà sviluppare la pro-
pria capacità di decidere e riconoscere le finalità del suo agire, va-
le a dire la «capacità di portare a compimento i miei scopi». Per
l’altra parte, lo sviluppo di quelle facoltà dipenderà proprio da
condizioni oggettive, dato che quella libertà è «completamente
realizzabile solo all’interno di una certa forma di società»67.
Questo secondo elemento viene ribadito da Albrecht Well-
mer, il quale lo mette in luce come l’elemento caratteristico
proprio della concezione hegeliana. Lo sforzo condotto da
questa consisterebbe infatti nel cercare «di mostrare che la li-
bertà negativa dei soggetti giuridici borghesi non sarebbe pen-
sabile in modo coerente senza la loro integrazione in un conte-
sto di libertà pubblica, comunitaria (kommunal), razionale. Le
istituzioni politiche sono il luogo di questa libertà comunitaria
e razionale»68. La tesi di Hegel non sarebbe perciò quella di so-
stituire la libertà negativa con la libertà positiva resa possibile
dalle istituzioni, ma di trasformare l’una nell’altra, di integrar-
le reciprocamente. La vera libertà individuale sarebbe garanti-
ta infatti solo nel contesto dell’eticità e «può avere realtà solo
come forma di eticità concreta»69.
In che cosa consista l’apporto della sfera etica alla costru-
zione della libertà positiva dell’individuo è chiarito da Peter
Schaber, secondo il quale essa non solo è condizione di libertà
ma di molte altre componenti che costituiscono l’identità indi-
65 Ivi, p. 228.
66 Ivi, p. 223.
67 Ivi, p. 229.
68 A. WELLMER, 1993, p. 23.
69 Ibid.
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182 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

viduale, in particolare il «bisogno di attenzione e riconosci-


mento»70. Non si tratta infatti solo del «bisogno di essere valu-
tato come persona» (per il quale è sufficiente in diritto astrat-
to) o come «soggetto morale» (per il quale è sufficiente l’auto-
riflessione su di sé) ma del bisogno «di essere stimato e rico-
nosciuto nel proprio essere culturale, religioso e sociale, for-
mulato diversamente: dell’interesse di ottenere l’immagine di
sé negli altri»71. Vedendosi rispecchiato nell’attenzione che gli
altri hanno per lui, l’individuo acquisisce il senso della propria
individualità e della propria dignità. La sfera delle istituzioni
etiche prospettata da Hegel è quel terreno grazie al quale l’in-
dividuo può dunque consolidare la propria immagine e il sen-
timento del rispetto di sé.
Una tale sfera non può però essere «costruita», non può cioè
essere oggetto di progettazione e di esecuzione. L’idea stessa di
una programmazione dell’ethos fa cadere il suo primato rispet-
to alla morale e lo riduce a semplice prodotto della moralità.

Se lo scopo della filosofia del diritto hegeliana fosse quello di fon-


dare una nuova eticità, non si tratterebbe di un progetto etico ma
di un progetto morale. Essa stessa assumerebbe un punto di vista
morale. La moralità progetta infatti un comune mondo normati-
vo; per essa si tratta di trovare quelle norme a cui tutti dovrebbe-
ro poter aderire. Etico non è però quello che tutti dovrebbero po-
ter ritenere giusto, ma piuttosto ciò che rende possibile al singo-
lo una vita razionale. Chi aspira ad una nuova eticità, di conse-
guenza non si muove all’interno dell’ethos72.

Eticità significa dunque – ancora una volta – priorità di un


ordine oggettivo rispetto alla ragion pratica dell’individuo e al-
la sua stessa libertà di autodeterminazione. L’eticità non è dun-
que la realizzazione del dover-essere morale ma è quella già
operante realtà normativa che rende possibile il punto di vista
morale. Essa non segue l’autodeterminazione del soggetto ma
la precede e ne costituisce il presupposto.

70 P. SCHABER, 1989, p. 7.
71 Ibid.
72 Ivi, p. 144.
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 183

Secondo le delucidazioni di Hegel l’eticità non può essere sem-


plicemente compresa come moralità realizzata. Infatti l’autodeter-
minazione del singolo è solo un momento all’interno dell’eticità.
Per l’individuo etico la piena realtà (Wirklichkeit) istituzionale
non è la fattualità (Realität) della sua autodeterminazione, ma pri-
ma di tutto – in ogni caso – un qualcosa di dato (ein Gegebenes)73.

Ne consegue che il rapporto dell’individuo nei confronti


della sfera etica non è quello del produttore rispetto al pro-
dotto ma è solo quello del riconoscimento ex post nei confron-
ti della validità oggettiva di una sfera già esistente.
Torna dunque a presentarsi la questione che ci siamo posti
alla fine della prima parte del presente capitolo, questione sol-
levata principalmente da Siep e da Hösle: qual è lo spazio con-
cesso da Hegel al riconoscimento individuale nei confronti del-
le istituzioni? In che cosa consiste questo riconoscimento? È
prevista la possibilità di non concedere un tale riconoscimento
quando le condizioni non lo rendano legittimo? E se una tale
possibilità non fosse prevista quali margini sono pensabili per
una tale possibilità? In breve: quale spazio ha realmente l’indi-
viduo – al di là delle dichiarazioni di principio – all’interno del-
la vita dello Stato concepito da Hegel?

3.2.3 Il deficit di soggettività nell’etico


L’elemento decisivo che rende visibile lo scarso contributo
che Hegel è disposto a concedere alla soggettività individuale
nel processo di legittimazione delle istituzioni statali emerge
con grande chiarezza nell’elaborazione dei caratteri della so-
vranità. In linea col primato dell’oggettività, Hegel attribuisce
la sovranità allo Stato (cfr. § 278) ma non è disposto a ricon-
durre quella sovranità statale al popolo. Certo, si può conce-
dere «che questa risieda nel popolo», scrive Hegel, ma «solo se
si parla, in generale, del tutto, nel senso analogo a quello in cui,
in precedenza, si è mostrato che la sovranità spetta allo Stato»
(GW 14.1 § 279 nota p. 234, Dir p. 479). Questa concessione,
secondo la quale la sovranità popolare viene ricondotta alla so-

73 Ivi, p. 5.
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184 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

vranità statale e a questa resa identica, non significa però la


simmetrica riconduzione della sovranità statale a quella popo-
lare. Anzi Hegel vuole differenziare la sua concezione da quel
«senso ordinario in cui in epoca moderna si è cominciato a par-
lare di sovranità popolare (Volkssouveränität)», secondo il qua-
le essa indica una «sovranità opposta alla sovranità esistente nel
monarca (gegen die im Monarchen existierenden Souveränität)»
(ibid.). E il motivo è presto detto:

Il popolo, preso senza il suo monarca e senza l’articolazione del tut-


to che vi è appunto necessariamente e immediatamente connessa, è
infatti la massa amorfa che non costituisce più nessuno Stato (ibid.).

Si presenta qui, in forma nuova, la classica obiezione hege-


liana alla concezione liberale dello Stato: un popolo è sovrano
se è già costituito come tale, se le istituzioni hanno già potuto
organizzarlo e articolarlo. Ancora una volta dunque l’iniziativa
è posta dalla parte dell’oggetto. In definitiva, la concezione he-
geliana dello Stato, se è conciliabile con una forma conserva-
trice di liberalismo si dimostra chiaramente inconciliabile con
la teoria dello Stato democratico74.
Radicalmente avverso a ogni tesi che faccia dipendere la le-
gittimità dal consenso esplicito, egli riduce alla fine l’azione le-
gittimante dei cittadini a un atteggiamento implicito di ricono-
scimento ex post. Ora è ben vero che «gli umori capricciosi e le
variabili tendenze di un’opinione pubblica in sé contradditto-
ria» non possono costituire lo «standard col quale si devono mi-
surare le istituzioni» e che «la riduzione della ragione alla con-
cessione o al ritiro del consenso di una pluralità di votanti, che
diventano oggetto di manipolazione o della demoscopia, non
può costituire l’ultima parola»75. Tuttavia qual è l’alternativa?

74 La filosofia hegeliana non è certamente – scrive Lübbe – «una teoria


della politica della restaurazione» ma «una teoria progressiva della monar-
chia costituzionale. In quanto tale essa è una teoria capace di comprendere
al proprio interno i postulati del liberalismo. Tuttavia essa è polemica nei
confronti di un liberalismo il cui soggetto sia il popolo postulante (das po-
stulierende Volk)» (H. LÜBBE, 1963, pp. 50-51).
75 R. BUBNER, 1997, pp. 158, 159.
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 185

Negare al popolo «postulante» il diritto di espressione politica,


la capacità di concedere o ritirare il consenso, il diritto di voto?
Se l’alternativa che qui si lascia intravedere è quella di costrui-
re, formare, educare un popolo che sia realmente preparato ad
esprimersi politicamente, chi saranno i «formatori» del popolo?
E nel caso si voglia, coerentemente con Hegel, affidare non a
dei soggetti sociali ma alle istituzioni già esistenti questo lavoro
di formazione, quale sarà il contributo soggettivo, necessario –
proprio secondo Hegel – al processo di legittimazione delle isti-
tuzioni? Se si seguono le indicazioni di Bubner, secondo il qua-
le l’indicazione hegeliana relativamente al «lato soggettivo» del-
l’eticità consisterebbe nell’istituire un processo di «nuovo rico-
noscimento» da parte dei cittadini nei confronti dell’oggettività
istituzionale, sorgono comunque una serie di problemi che ri-
mangono senza risposta. In primo luogo il problema dei criteri
in base ai quali concedere quel riconoscimento: escludendo
ogni tipo di principio astratto si ritorna daccapo alle istituzioni,
le quali a questo punto sarebbero al tempo stesso giudici e giu-
dicate. Il secondo problema è quello della validità-legittimità del
processo di formazione che ha consentito di creare i cittadini
responsabili che hanno operato il riconoscimento. Ma, in terzo
luogo, si pone la questione decisiva: che valore può avere un ri-
conoscimento soggettivo nei confronti di un’oggettività istitu-
zionale, se è stata questa stessa oggettività a preparare quei sog-
getti e quindi a veicolare quel riconoscimento? Tutto il proces-
so non rischia quindi di risolversi in un autoriconoscimento e
quindi, in definitiva, in una sorta di autoassoluzione?
Questa serie di questioni viene acuita se seguiamo il cam-
mino hegeliano che conduce all’individuazione del soggetto in
grado di esprimere la sovranità dello Stato e di esercitare il po-
tere sovrano. Una volta rifiutata l’attribuzione di quella sovra-
nità al “popolo-senza-sovrano” egli finisce però per attribuirla
solo al sovrano, cioè a quello che egli definisce il «potere del
principe» (fürstliche Gewalt). Si tratta – nella tripartizione dei
poteri prospettata da Hegel – del potere che affianca quello
«governativo» e quello «legislativo».
Come si può vedere già dalle denominazioni, questa triparti-
zione non corrisponde a quella liberale classica, rispetto alla
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186 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

quale Hegel opera un rimescolamento. Il «potere governativo»


(Regierungsgewalt) accoglie in sé infatti sia quello che per noi è
l’esecutivo sia il potere giudiziario, mentre il «potere del princi-
pe» accoglie in sé anche una parte del potere esecutivo. Tuttavia
la vera specificità della teoria costituzionale hegeliana sta nel fat-
to che il potere del principe finisce per rappresentare la somma
dei tre poteri messi assieme, cioè la sovranità dello Stato in quan-
to tale. Ne viene un considerevole indebolimento della divisione
stessa fino al pericolo della sua sostanziale liquidazione76.
Anche se il monarca rimane in Hegel sottoposto alla costi-
tuzione77 e perciò la verità dello Stato hegeliano non può esse-
re ristretta a un solo potere ma deve risiedere nell’organismo in
quanto tale, cioè nella costituzione, tuttavia il soggetto sociale
in cui Hegel condensa l’universalità dello Stato non è il popo-
lo ma il monarca.
L’argomento hegeliano contro l’attribuzione della sovranità
al potere legislativo, cioè alla rappresentanza popolare, risiede
ancora una volta in quella che è stata definita una rappresenta-
zione «naturalistica» del corpo sociale. In esso infatti emerge-
rebbe secondo Hegel solo la pluralità contrapposta degli inte-
ressi dei ceti sociali, ovvero quello che Hegel chiama «l’univer-
76 Due sono i motivi – secondo Siep (1992b) – di questo indebolimento.
Se il primo è di natura onto-teologica e deriva dalla tesi hegeliana secondo
cui il potere statale è l’incarnazione dell’assoluto e la rappresentazione sul
piano storico-politico dell’incarnazione del Dio cristiano (tesi che, secondo
Siep, non può più essere ragionevolmente sostenuta), il secondo deriva da
una singolare rimozione operata da Hegel nei confronti del carattere spiri-
tuale (e libero in senso alto) dei soggetti che agiscono all’interno della so-
cietà. Nella Filosofia del diritto gli individui sono infatti descritti in modo
«sorprendentemente ristretto a concetti della filosofia della natura» (ivi,
trad. it. p. 234), per cui affidare loro la sovranità dello Stato significherebbe
ricadere in un conflitto meccanicistico tra interessi contrapposti. «Secondo
la sua concezione “organica” la divisione dei poteri ha un altro significato:
quello della differenziazione e dello sviluppo della volontà universale», cioè
di un’unica volontà che può trovare espressione in un unico individuo. «So-
lo una volontà individuale garantisce in ultima analisi che questi [gruppi e or-
ganizzazioni, n.d.r.] non si blocchino né si rendano indipendenti, ma restino
subordinati all’esistenza dello Stato» (ibid.).
77 «Il perfezionamento dello Stato a monarchia costituzionale (konstitutio-
nelle Monarchie) è l’opera del mondo moderno» (GW 14.1 § 273 nota p. 226,
Dir p. 465).
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sale degli interessi» (GW 20 § 544 p. 517, Enc p. 513) e «l’uni-


versalità empirica delle visioni e dei pensieri dei molti» (GW 14.1
§ 301 p. 249, Dir p. 509). Quegli interessi, aggiunge Hegel, «non
concernono l’azione dello Stato in quanto individuo (come la
pace e la guerra) e perciò non appartengono soltanto alla natura
del potere del principe» (GW 20 § 544 p. 517, Enc p. 513).
L’universalità vera deve perciò condensarsi in un soggetto
che non appartenga alla società civile: essa dev’essere «sottrat-
ta alla possibilità di essere abbassata alla sfera della particolarità
e dei relativi arbitrii, fini e vedute» (GW 14.1 § 281 p. 237, Dir
p. 485). Se il potere sovrano si esprimesse nel legislativo non si
sarebbe veramente mai superata la dimensione della società ci-
vile. Hegel cioè continua ancora a pensare al parlamento con
l’ottica pre-moderna di una mera camera di rappresentanza dei
ceti e degli stati sociali. Gli manca l’idea secondo cui la rappre-
sentanza, in quanto istituzionalizzata, consente una mediazione
di quegli interessi specifici che emergono dal corpo sociale. Il
ruolo dei parlamenti dovrebbe essere infatti proprio quello di
trasformare istituzionalmente gli interessi immediati ed espri-
mere, grazie a quel lavoro di mediazione, il vero e proprio inte-
resse generale. Sostenuto invece da un’idea diversa Hegel tra-
sferisce dunque la sovranità in un unico soggetto, sottratto al
condizionamento della società civile: nella figura del monarca.

Il monarca, di conseguenza, è essenzialmente questo individuo,


astratto da ogni contenuto, e precisamente questo individuo de-
stinato alla dignità di monarca in una modalità naturale immedia-
ta, cioè per nascita naturale (GW 14.1 § 280 p. 236, Dir p. 483).

Volendolo sottrarre al condizionamento sociale (e quindi a


qualsiasi procedimento elettorale, che chiamerebbe in causa la
società) Hegel finisce per radicare il potere sovrano nella mera
naturalità: il monarca è tale per nascita non per elezione, vale a
dire è tale sulla base di un principio dinastico. In conclusione:
per Hegel è meglio la lotteria della natura che quella della so-
cietà (interpretata a sua volta in modo naturalistico), ma sem-
pre di casualità si tratta. Questa soluzione ha stupito non po-
chi interpreti hegeliani, tanto più che in quel potere (tale per
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natura) dovrebbero concentrarsi la libertà e la razionalità in sé


e per sé, la volontà universale sottratta a ogni condizionamen-
to. E giustamente Marcuse ha scritto che con questa soluzione
«la ragione si riduce al fatto accidentale della nascita»78.
In conclusione: la tesi con la quale Hegel critica le concezio-
ni liberali dello Stato, come il contrattualismo, la divisione effet-
tiva dei poteri, la legittimazione delle istituzioni statali sulla base
del consenso sociale, si basa sull’argomento, sviluppato in mol-
teplici direzioni, della priorità dell’universale sul particolare, del-
l’oggettività razionale sugli interessi naturalistici degli individui
empirici, dell’ordine etico sulla libertà soggettiva. Questa tesi
non lo esonera tuttavia dalla necessità di interpretare quell’uni-
versale, di individuarlo, di stabilire quali leggi o quali istituzioni
gli siano conformi, non esonera Hegel dal problema del ricono-
scimento dell’universale. Volendo evitare il ricorso alla società e
alla capacità sociale di determinare tale universalità (attraverso
un consenso, procedure elettorali, camere di rappresentanza in
cui quell’universale sociale si faccia vera volontà comune), He-
gel finisce per rinchiudere tale universalità in una individualità

78 H. MARCUSE, 1941, trad. it. p. 246. C’è stato però chi ha trovato anche
in questa soluzione dei motivi che vanno ben al di là di contingenti conside-
razioni storico-politiche. M. THEUNISSEN (1970) vi ha visto un importante
sfondo teologico. Non solo il re «assume i tratti del Dio che si è rivelato in
Cristo» (ivi, p. 444), ma proprio il carattere meramente naturale della perso-
na del re riprende la figura teologica dell’incarnazione di Cristo, del «farsi
natura umana e carne» da parte di Dio. Come abbiamo già visto tutta l’in-
terpretazione di Theunissen è tesa a mostrare lo sfondo cristologico della
dottrina hegeliana dello Stato, sfondo che uscirebbe rafforzato dai «numero-
si predicati teologici con i quali Hegel riveste lo Stato», non ultimo il «di-
scorso sulla sovranità dello Stato come “verace assoluto scopo finale”». Il
concetto dell’assoluto scopo finale viene infatti «usato da Hegel per la carat-
terizzazione dell’éschaton, che Dio ha anticipato con la vita, morte e risurre-
zione del suo figlio» (ivi, p. 443). Concorda con questa linea interpretativa
anche L. SIEP (1992b), secondo il quale «l’unificazione dell’Idea divina con
la natura e lo spirito dell’uomo nella persona di Cristo», cioè «quello che per
Hegel è il dogma più speculativo», costituisce «il pendant teologico della sua
teoria della monarchia». E tuttavia proprio questa tesi hegeliana della «ne-
cessaria contrazione della suprema legittimazione statale della sovranità in un
individuo naturale» appartiene agli aspetti più «problematici» della sua filo-
sofia politica, in quanto poggia «su premesse ontologiche» che «debbono es-
sere forse abbandonate del tutto» (ivi, trad. it. p. 241).
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 189

naturale, esponendo tutta la sua teoria dell’eticità al rischio di


una degenerazione naturalistica e, soprattutto, autoritaria.
A rendere ancora più problematica la modalità concreta
con cui Hegel traduce politicamente la sua concezione dell’eti-
cità è l’irruzione di un ultimo elemento: Hegel infatti non solo
trascura il lato soggettivo, che pure nelle intenzioni doveva es-
sere componente essenziale dell’eticità, per fare spazio all’im-
porsi di strutture oggettive e universali, ma rinchiude la stessa
universalità dell’etico dentro la particolarità dello Stato nazio-
nale. Ciò sottopone l’eticità a una particolare dialettica che fi-
nisce col manifestarne la strutturale accidentalità.

3.3 L’accidentalità dell’etico

3.3.1 Il naufragio dell’eticità


La grandezza dell’eticità consiste nel realizzare l’unità di in-
dividualità e universalità, soggettività e oggettività, libertà ed
effettualità storica, differenza e unità. Ma questa grandezza ha
un limite anche per lo stesso Hegel: essa caratterizza solo i rap-
porti interni allo Stato, ovvero quella che lui chiama la «costi-
tuzione interna». Considerato nei suoi rapporti con l’esterno,
lo Stato mantiene certamente il momento dell’individualità e
dell’unità, ma perde quello dell’universalità e dell’unità nella
differenza. L’universalità dello Stato, messa di fronte ai rap-
porti con gli altri Stati, si capovolge nella reciproca esclusione,
un’esclusione non regolata da alcuna superiore universalità.

[Lo Stato, come individuo singolo] è esclusivo verso altri indivi-


dui siffatti. Nel comportarsi vicendevole di questi ha luogo l’arbi-
trio e l’accidentalità, perché l’universalità del diritto, a cagione
della totalità autonomistica di queste persone, deve bensì esser tra
loro ma non è reale. Questa indipendenza fa della lotta tra essi
una relazione della forza, una condizione di guerra (GW 20 § 545
p. 522, Enc pp. 517-518)79.

79 Cfr. anche i paragrafi corrispondenti nella Filosofia del diritto, in par-


ticolare i §§ 321-322, nei quali si sottolinea ugualmente questo carattere
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190 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Se il rapporto negativo verso gli altri Stati consolida la coe-


sione interna e l’individualità di ogni singolo Stato, li colloca
però tutti al di sotto di una logica, quella dei rapporti intersta-
tuali, che sfugge loro completamente. Il riconoscimento reci-
proco e i trattati internazionali non dipendono da un’unica vo-
lontà e la loro logica si sottrae al controllo interno di ogni sin-
golo Stato.
Riemerge qui nuovamente la problematica del riconosci-
mento come connaturata a ogni individualità e quindi anche a
quella statale. Di essa Hegel mette ora in rilievo un aspetto spe-
cifico, quell’esigenza di essere riconosciuto che è la base e la
causa scatenante di ogni processo del riconoscere. Senza rico-
noscimento altrui l’individuo non riesce ad esser certo neppu-
re della propria realtà ma in ciò si espone all’inevitabile dipen-
denza dall’altro: «La prima legittimazione assoluta di uno Sta-
to è di essere autonomo e sovrano per un altro Stato, cioè di es-
sere riconosciuto da esso», ma ovviamente tale riconoscimento
«si fonda analogamente sulla visione e sulla volontà dell’altro»
(GW 14.1 § 331 p. 269, Dir p. 553).
Ora, con la stipula di un trattato internazionale gli Stati per-
vengono certamente a una sorta di riconoscimento reciproco
ma questa relazione resta quanto mai precaria: i trattati dipen-
dono solo dalla volontà di rispettarli da parte dei contraenti,
dato che non c’è nessuna autorità terza che possa costringere a
tale rispetto. «Gli Stati sono l’uno verso l’altro nello stato di
natura, e i loro diritti hanno la loro realtà non in una volontà
universale costituita a potere sopra di essi, bensì soltanto nella
loro volontà particolare» (GW 14.1 § 333 p. 270, Dir p. 555).
La logica del riconoscimento non sembra in grado di produrre
a livello interstatale ciò che invece le riesce a livello intersog-
gettivo: il formarsi di un terzo soggetto fra le due autocoscien-
ze, cioè il costituirsi a realtà indipendente e oggettiva del pro-
cesso di mediazione che si genera a partire dalla dinamica del
riconoscimento. Questa non sembra portare qui a nessun salto

escludente dell’individualità statale, nel quale riemerge nuovamente la vec-


chia concezione della libertà e dell’identità individuale come fondata esclu-
sivamente sul rapporto negativo verso l’altro.
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qualitativo: la logica rimane quella del conflitto fra poteri inte-


si in una condizione di mera naturalità meccanica.
Lo stesso vale per l’ideale kantiano della pace perpetua e del
cosmopolitismo: essa «presuppone la concordia tra gli Stati. Ta-
le concordia [...] avrebbe pur sempre per base delle volontà so-
vrane particolari, e perciò rimarrebbe affetta da accidentalità»
(GW 14.1 § 333 nota p. 270, Dir p. 557).
L’esistenza dell’ethos viene in tal modo esposta alla più radi-
cale precarietà, alla guerra: «l’intero etico stesso, l’indipenden-
za dello Stato, viene esposto all’accidentalità» (GW 14.1 § 340
p. 272, Dir p. 561). A ciò si aggiunge il fatto che in quest’e-
sposizione all’accidentalità l’individuo (soprattutto nella con-
dizione di guerra) perde quella essenzialità che gli veniva ga-
rantita dall’universalità dello Stato: egli è infatti esposto alla
precarietà totale fino alla stessa morte e non si sente più pro-
tetto dentro il sicuro rifugio dell’ethos.

In questa condizione di cose la sostanza dello Stato nella sua in-


dividualità procedente fino alla negatività astratta si mostra come
il potere in cui l’autonomia particolare dei singoli, e l’immersione
di essi nell’esistenza esterna del possesso e nella vita naturale, sen-
te la sua nullità (GW 20 § 546 p. 522, Enc p. 518).

Quella che si presentava come la dimora del singolo, il rico-


noscimento di sé nell’universalità, l’esser presso di sé nell’altro, si
dissolve in un mondo di guerre, di violenza, di mera naturalità, di
accidentalità, di particolarità che si escludono reciprocamente.
Secondo Hegel esiste tuttavia una superiore universalità in
cui comprendere ciò che accade nel rapporto fra Stati. La ra-
gione non ha termine all’interno della vita etica, ma regola la to-
talità dei rapporti, dunque anche la guerra. Questa nuova uni-
versalità è chiamata da Hegel «lo spirito del mondo» (Weltgeist).
Nel § 340 della Filosofia del diritto Hegel scrive che «la dia-
lettica apparente della finitezza di questi spiriti» è governata
dallo spirito universale. Esso «si produce come illimitato» da
tale dialettica ed «esercita sugli spiriti nazionali il proprio di-
ritto – e il suo diritto è il supremo fra tutti i diritti – nella sto-
ria del mondo come nel tribunale del mondo» (GW 14.1 § 340
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192 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

p. 273, Dir p. 561). Tale finitezza degli spiriti nazionali (i


Völkergeister) viene ribadita anche nel § 341, dove questi «con
la loro policroma realtà» vengono qualificati da Hegel come
«ideali» (nur als ideelles), cioè come non effettivamente reali di
fronte alla vera realtà e alla illimitatezza del Weltgeist80.
Esiste dunque una logica che non solo sta al di là degli in-
dividui ma anche al di là dei popoli e degli stati. Ora se questa
logica mantiene certamente l’elemento dell’universalità, non
può tuttavia realizzare una sintesi con l’individuo. In essa il sin-
golo non si può riconoscere. Essa gli appare incomprensibile,
non essendo egli in grado di individuarne la finalità immanen-
te, la direzione, la ragione che la regola. Questa universalità
non può dunque svolgere il compito dell’universalità etica e
non può costituire per l’individuo una dimora. Al contrario,
nei suoi confronti essa si presenta come necessità e destino.

Giustizia e virtù, torto, violenza e vizio, talenti e loro atti, le pic-


cole e le grandi passioni, colpa e innocenza, splendore della vita
individuale e di quella del popolo, autonomia, fortuna e sfortuna
degli Stati e dei singoli: tutte queste cose hanno il loro significato
e valore determinato nella sfera della realtà cosciente, e qui tro-
vano il loro giudizio e la loro giustizia, per quanto incompleta. La
storia del mondo cade invece al di fuori di questi punti di vista
(GW 14.1 § 345 p. 275, Dir pp. 565-567).

Fuori dal terreno protetto dell’eticità non contano più né


punti di vista morali né certezze giuridiche né le usuali valuta-
zioni quotidiane che si fanno su fortuna e sfortuna, bravura e
talento. Nel vasto orizzonte della storia universale saltano tutti
i consueti punti di riferimento e gli eventi appaiono in tutta la
loro incomprensibilità e insensatezza.
Sul piano della Weltgeschichte non si realizza dunque l’unità
di individualità e universalità, di soggetto e oggetto, anzi in es-

80 È certo singolare la nemesi che viene a conoscere lo Stato, ridotto ora


a mera «idealità» una volta messo di fronte alla storia universale, dopo che
esso aveva a sua volta rappresentato la vera «realtà» (§ 257) di fronte alle sfe-
re della famiglia e della società civile, allora ridotte a loro volta al rango di
semplici «sfere ideali» (§ 262).
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 193

so assistiamo a una divaricazione tra spirito soggettivo e spiri-


to del mondo, tra razionalità individuale e razionalità oggetti-
va della storia. I soggetti non riconoscono nella storia il loro
ethos, la dimora dove sentirsi liberi81. Al contrario vedono in
essa solo una necessità estranea. La libertà dell’etico viene
spezzata dalla necessità della storia universale82.
Ovviamente dal punto di vista dello spirito del mondo si dà
certamente un compimento: esso si riconosce nei suoi prodot-
ti ed è certamente in grado di individuare la superiore raziona-
lità che guida la storia, quella razionalità che sfugge invece ai
singoli spiriti storici. Ma lo spirito del mondo è difficilmente
caratterizzabile come un soggetto: esso vive solo nei rapporti
oggettivi, esso è solo spirito oggettivo. Il punto di vista del Welt-
geist non è alcun «punto di vista» in senso stretto: esso è solo
l’oggettività della storia. Non si può dunque parlare di un au-
toriconoscimento della libertà nello spirito del mondo. Il con-
cetto di autoriconoscimento riceve un senso compiuto solo in
relazione ad autocoscienze realmente esistenti, cioè in quei
soggetti ai quali però la storia rimane totalmente estranea e tal-
volta incomprensibile.

81 M. GIUSTI (1987) ha mostrato come il trascendimento del piano del-


l’eticità da parte del Weltgeist comporti, in primo luogo, una degradazione
dell’eticità a «momento della storia universale» e a «forma fenomenica di un
Weltgeist collocato su di un piano superiore» (p. 323), e, in secondo luogo,
renda incompleto il processo di autoriconoscimento dei soggetti nella so-
stanzialità storica, dal momento che «questa sostanza è un momento contin-
gente all’interno della storia universale» (p. 324).
82 La tesi dell’indisponibilità dell’accadere storico rispetto alla volontà dei
soggetti è un elemento centrale della concezione hegeliana della storia: è im-
possibile agire nella storia pretendendo di ridurre gli eventi storici a determi-
nazioni della propria volontà e coscienza. In ciò sta, tra l’altro, il vero motivo
della critica hegeliana alla rivoluzione francese: i rivoluzionari in un eccesso di
razionalismo pretendono di ridurre la storia al teatro di realizzazione della lo-
ro volontà e coscienza, ritenendo l’oggettività come il prodotto della loro sog-
gettività. Ma i soggetti non dispongono della storia e qualunque loro «proget-
to» finirà per essere giocato dall’oggettività storica in modo diverso rispetto
alle loro intenzioni soggettive. La rivoluzione si dimostra in ciò velleitaria-
mente più hegeliana di Hegel, proprio perché pensa, in modo iper-idealistico,
di realizzare nella storia la completa identità di soggetto e oggetto. In merito
al rapporto fra teoria e prassi in Hegel sullo sfondo del più complesso rap-
porto fra soggettività pratica e oggettività storica si veda J. HABERMAS, 1963.
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194 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Ne consegue una significativa battuta d’arresto nel cammi-


no della libertà: esso si ferma ai confini dello Stato nazionale.
Al di là di esso comincia il regno della necessità, dell’acciden-
talità, dell’opacità.

3.3.2 La chiusura nazionalistica dell’universalità dell’etico e


lo scacco della libertà
Alle origini del naufragio dell’eticità, della sua dissoluzione
nella logica particolaristica e conflittuale della storia del mondo,
sta l’operazione hegeliana che, pur cogliendo l’universalità delle
istituzioni etiche, manca tuttavia di consolidarla istituzional-
mente a livello internazionale, la rinchiude dentro i confini del-
lo stato-nazione e la sottomette a una logica anti-universalistica83.
Alcuni interpreti hanno visto in questa operazione una ri-
vincita della logica dell’essere rispetto a quel superiore punto di
vista – raggiunto con la logica dell’essenza e del concetto – che
aveva guidato Hegel all’interno della Filosofia del diritto. Ott-
mann ha giustamente osservato che «Hegel riconduce il rico-
noscimento reciproco degli Stati a quel diritto astratto con cui
la Filosofia del diritto cominciava»84, dal momento che la logi-
ca alla base dei loro rapporti è solo quella esteriore che regola
le relazioni fra proprietari di cose. Insomma proprio la conclu-
sione della Filosofia del diritto finisce per porre «la questione
se – contro ogni attesa – la logica dell’essere non debba essere
considerata come fondamento della Filosofia del diritto»85. In
83 Secondo Bubner la collocazione dell’eticità all’interno dello Stato na-
zionale non ne comprometterebbe il carattere universalistico, dal momento
che l’esperienza del cittadino di uno Stato è comunque un’esperienza di li-
berazione dall’egoismo e dal particolarismo di ceto o di etnia (R. BUBNER,
2002, p. 188). Ad ogni modo, secondo Bubner, non sarebbero comunque im-
maginabili, in ambito politico, altre forme di esperienza universalistica al di
fuori di questa. Tuttavia questa pur legittima giustificazione del punto di vi-
sta hegeliano da parte di Bubner rischia di legittimare un’esperienza storica
di fatto (l’esistenza di singoli Stati nazionali) come l’unica realizzazione pos-
sibile dell’universalismo dell’eticità, mancando di riconoscere proprio nella
tesi hegeliana dell’eticità gli elementi che la condurrebbero al di là dei confi-
ni dello Stato nazionale.
84 H. OTTMANN, 1982, p. 383.
85 Ivi, p. 390. Pur mostrando attenzione alla lettura di Theunissen che con-
sidera le tre parti della Filosofia del diritto (diritto astratto, moralità, eticità) in
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 195

realtà la questione rimane aperta, anche per lo stesso Ottmann.


Certo c’è la possibilità di vedere nello spirito del mondo
nient’altro che l’«ideologo della storia naturale», secondo la
celebre definizione adorniana86, e che quindi la conclusione
naturalistica del suo percorso finalmente «smascheri l’eccesso
della conciliazione interna allo Stato come una mera parven-
za»87. Anche Hegel alla fine getterebbe la maschera mostrando
inconsapevolmente l’ideologicità di tutta la sua costruzione
dell’etico. Rimane però aperta secondo Ottmann una seconda
possibilità, cioè che «la famiglia e lo Stato siano una sorta di
“isole” in mezzo alla corrente della storia universale, la cui vio-
lenza naturale Hegel non passa sotto silenzio»88.
Una linea interpretativa simile segue su questo punto anche
Vittorio Hösle. Egli osserva infatti che concepire l’individualità
come esclusione nei confronti dell’altro è tipico della logica
dell’essere, dal momento che la logica del concetto pone l’alte-
rità non al di fuori dell’individuo ma come sua parte costituti-
va. Si tratta dunque di una caduta di Hegel all’interno della lo-
gica dell’essere dopo che i rapporti interni allo Stato erano sta-
ti pensati secondo la logica del concetto. «Essere-per-sé, esserci,
Andersheit, sono categorie della logica dell’essere; infatti il
concetto non ha nulla fuori di sé, ma integra la Andersheit co-
me momento»89. Insomma la costruzione hegeliana si rivele-

correlazione con le tre parti della Scienza della Logica (essere, essenza, con-
cetto), Ottmann vede però nella conclusione dell’opera la manifestazione del
fondamento dell’intero percorso, il che rimette in discussione proprio quel-
la lettura. Ci permettiamo tuttavia di notare come la conclusione non stia nel-
la guerra fra Stati, come vedremo più avanti.
86 «Lo spirito come seconda natura è la negazione dello spirito, e lo è tan-
to più, quanto più la sua autocoscienza non si accorge della sua cattiva natu-
ralità. Ciò si compie mediante Hegel. Il suo spirito universale (Weltgeist) è
l’ideologia della storia naturale» (TH.W. ADORNO, 1966-67, trad. it. p. 320).
La tesi di Adorno è che nella “superiore” razionalità della storia hegeliana sia
nascosta proprio la più meccanica logica naturale, che ora si vendica impo-
nendosi violentemente sui soggetti.
87 H. OTTMANN, 1982, p. 391.
88 Ibid.
89 V. HÖSLE, 1987b, p. 221. Per lo stesso motivo, seguendo la logica del
concetto, andrebbe rifiutata – secondo Hösle – la tesi hegeliana della guerra
come qualcosa di necessario e addirittura di affermativo (ivi, pp. 221-222).
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196 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

rebbe singolare: mentre nei rapporti interni l’individualità si


relazionerebbe all’altro da sé come qualcosa che è presso di sé,
nei rapporti esterni l’altro da sé sarebbe totalmente estraneo ed
escluso dal sé. In questo quadro ben si comprenderebbe l’ac-
coglimento della logica di guerra come ultima regolatrice del
rapporto fra Stati.
Il lettore che avesse seguito fin qui il percorso della Filoso-
fia del diritto si troverebbe perciò di fronte a una conclusione
paradossale: la riaffermazione e la ricaduta nello stato di natu-
ra, in quello stato di cui lo stesso Hegel afferma che «non può
esser detto niente di vero se non che da esso bisogna uscire»
(GW 20 § 502 nota p. 488, Enc p. 484).

La filosofia del diritto di Hegel finisce là da dove, già da sempre,


si voleva andar via – nello stato di natura [...] Se ciò vale per lo
stato di natura tra gli individui, altrettanto deve valere per quello
tra gli stati. L’imperativo è ancora più pressante in quanto essi, a
differenza degli individui fittizi dello stato di natura, sono già pas-
sati attraverso lo stadio del diritto; il loro rapporto esterno è dun-
que contraddittorio non solo con ciò che razionalmente dovreb-
be essere il diritto ma anche con la loro struttura interna: per i cit-
tadini di uno Stato di diritto non può essere per nulla sopporta-
bile un comportamento della loro patria verso gli altri stati che si
basi su criteri di forza90.

Insomma gli Stati non possono negare al loro esterno quei


diritti che essi affermano al loro interno e non possono sot-
trarsi all’impegno di allargare la sfera etica vigente al loro in-
terno. Tanto più che un tale pervicace attaccamento alla logica
puramente naturalistica e meccanica dell’esclusione finisce per
ripercuotersi sui loro stessi cittadini, esposti a loro volta alla lo-
gica della guerra.
Cerchiamo a questo punto di fissare il risultato fin qui rag-
giunto. Da un lato l’eticità realizza l’unità di individualità e uni-
versalità: in essa la volontà universale (al di là del modo speci-
fico con cui Hegel intende darle attuazione e al di là dei pro-
blemi che quel modo specifico solleva) non si contrappone più

90 Ivi, p. 219.
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alla volontà dei singoli ma si realizza nelle istituzioni e nelle


pratiche concrete. Dall’altro lato Hegel rinchiude questa rag-
giunta universalità storica all’interno dei confini dello Stato na-
zionale. La volontà universale si manifesta ora come particola-
re, come incarnazione di uno specifico spirito del popolo, e
quindi si contrappone alle altre volontà particolari. È a questo
punto che appare una nuova universalità, un piano universale
che sta al di là dell’etico, rappresentato dalla storia globale del
mondo (la Weltgeschichte). Nei confronti di essa però non può
esserci alcun rapporto etico, alcun riconoscimento da parte dei
soggetti storici. Il paradigma naturalistico-individualistico, tan-
to criticato da Hegel nella teoria dello Stato, riemerge e viene
ribadito nei rapporti internazionali fra Stati.
Come già abbiamo notato, sembra di trovarsi di fronte alla
proiezione su scala internazionale delle relazioni che si realiz-
zano fra gli individui nello stato di natura hobbesiano. In realtà
c’è un’importante differenza. In un primo momento sembrava
che qui Hegel si rifiutasse di far valere quanto da lui ottenuto
con la dialettica del riconoscimento elaborata nel periodo je-
nese e nella Fenomenologia dello spirito, dove nel rapporto fra
due soggetti (siano questi individui, gruppi o Stati) entrava in
gioco anche la logica che regolava quel rapporto medesimo. È
l’importante lezione hegeliana sull’oggettività della mediazio-
ne, di cui i soggetti generalmente non si accorgono ma che agi-
sce alle loro spalle come un vero e proprio terzo soggetto. Nel
rapporto fra le autocoscienze si rivelava infatti il «noi» come il
vero fautore del reciproco riconoscimento, una sorta di antici-
pazione – avvertiva Hegel – dello «spirito» che si manifesterà
più avanti nel corso della Fenomenologia91. Qui, nei rapporti
internazionali, sembrava mancare proprio questo terzo sogget-
to dal momento che gli Stati non riuscivano ad appellarsi ad al-
cuna autorità legittima «terza» che riuscisse a conferire legitti-
mazione e forza ai trattati internazionali. Insomma sembrava
91 Hegel definiva questo terzo soggetto come «sostanza assoluta che, nel-
la perfetta libertà e autonomia della propria opposizione, cioè delle diverse
autocoscienze essenti per sé, costituisce l’unità delle autocoscienze stesse: Io
che è Noi, e Noi che è Io» e precisava che con quella realtà si era fatto a noi
«presente» (vorhanden) «il concetto dello spirito» (GW 9 p. 108, Fen p. 273).
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198 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

che l’unica logica fosse quelle hobbesiana del bellum omnium


contra omnes. Ma le cose non stanno proprio così. Anche qui
infatti finisce per manifestarsi un terzo soggetto, una logica su-
periore rispetto a quella delle individualità statali in guerra,
una logica che precede tali individualità e rende possibile quel
conflitto. Si tratta della Weltgeschichte, della storia universale,
e dello spirito che la anima, il Weltgeist, il quale, ancora una
volta, si impone come un terzo fattore in campo, tanto da in-
durre Hegel ad usare l’impegnativa espressione di «tribunale
del mondo»: in essa viene in luce infatti non solo la potenza di
questo nuovo orizzonte ma anche la sua capacità legittimante.
Solo da questo punto in poi comincia la differenza con la logi-
ca del riconoscimento che regola i rapporti fra le autocoscien-
ze: anch’esse infatti non si avvedevano di questa presenza che
stava alle loro spalle ma il loro processo di formazione le por-
tava progressivamente a rendersi consapevoli della realtà dello
spirito come della condizione che – in parte prodotta dal loro
stesso operare – si rivelava la condizione della loro identità.
Qui non accade nulla di tutto questo. Non può accadere. La
logica del mondo rimane nei suoi disegni e nel suo procedere
del tutto imperscrutabile ai soggetti storici che in essa non pos-
sono riconoscersi come nella loro opera cosciente.
A questo punto si ripresenta la vera questione, quella posta
da Ottmann e alla quale lo stesso studioso tedesco non aveva
voluto rispondere: dobbiamo pensare all’eticità come a una
sorta di “isola felice” nel mezzo dell’oceano della storia mon-
diale oppure quella storia finisce per mettere in discussione la
stessa eticità, mostrandola come una mera parvenza, sotto cui
si nasconde inesorabile la logica naturalistica del conflitto e
della violenza?
Molto probabilmente Hegel confermerebbe l’ipotesi
dell’«isola felice». Se, per un verso, egli è fermamente convinto
dell’impossibilità di un’eticità al di fuori delle istituzioni dello
Stato nazionale, dal momento che l’opacità della storia ai sog-
getti impedisce loro di sentire il mondo globale come la loro
dimora, per l’altro l’impossibilità di un’eticità mondiale non è
per lui motivo sufficiente a mettere in discussione l’eticità del-
lo Stato nazionale. Del resto – ci sentiamo di aggiungere – pro-
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 199

prio in quella impossibilità va ricercato il vero motivo del rin-


chiudimento nazionalistico dell’etico: non è il tema romantico
della nazione e dell’identità dei popoli ciò che realmente im-
pedisce un’estensione dell’eticità al di là dei confini nazionali
ma l’impossibilità di un’identità fra i soggetti storici e l’oriz-
zonte delle vicende mondiali.
Questa difesa hegeliana della caratterizzazione nazionale
dell’eticità va tuttavia incontro a due obiezioni. La prima con-
cerne la natura universale della libertà che in questo modo vie-
ne radicalmente messa in discussione. Da un lato Hegel so-
stiene la pretesa universalistica dell’eticità: l’ethos è definito
«il modo di agire universale degli individui» (GW 14.1 § 151
p. 141, Dir p. 301), il fine dell’agire etico è «l’universale im-
mobile che si è dischiuso a razionalità reale» (GW 14.1 § 152
p. 142, Dir p. 303), l’eticità stessa è definita come «l’Idea nel-
la sua esistenza universale in sé e per sé» (GW 14.1 § 33 p. 48,
Dir p. 123). Dall’altro lato quell’universale si realizza in un
contesto particolaristico, proprio perché a livello mondiale la
libertà non è in grado di ritrovarsi, anzi perde se stessa. Ma ciò
significa che il suo processo di autoriconoscimento non trova
né compimento né realizzazione. Non appena cedono le bar-
riere fra gli Stati la convivenza fra gli uomini non viene più re-
golata dalla libertà ma dall’accidentalità e dalla bruta natura-
lità. La libertà alla fine non si riconosce e una libertà che non
si riconosce non è vera libertà. Come scrive Hegel, «quando
lo spirito sa di essere libero, è tutt’altra cosa di quando non lo
sa. Poiché quando non lo sa, esso è schiavo e contento della
schiavitù, e non sa che essa non gli si addice» (PhWg I p. 39,
FilSt I p. 56). La libertà se non si riconosce universalmente e
se non è compiuta non è libertà.
La seconda obiezione riguarda il compimento della stessa eti-
cità, che a questo punto viene messo seriamente in pericolo. Se
infatti la storia è intrasparente, anche la conciliazione soggetto-
oggetto interna all’etico diventa una conciliazione incompleta.
Gli eventi storici che circondano i soggetti mantengono infatti
una strutturale intrasparenza e perciò non si può pensare al-
l’ethos come ad un’isola felice, indifferente alla logica intra-
sparente che governa la storia del mondo. Del resto un’analisi
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200 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

attenta alla stessa esposizione hegeliana dell’eticità statale riu-


scirebbe a individuare al suo stesso interno alcuni elementi di
opacità e di incomprensibilità. Soffermiamoci ad esempio sul
§ 262. Qui dopo aver ribadito che il vero soggetto operante
nell’eticità è l’Idea, la quale «scinde se stessa nelle due sfere
ideali del proprio concetto – la famiglia e la società civile – co-
me nella propria finitezza», affinché da quelle sfere finite si af-
fermi la sua infinitezza, Hegel così continua:

L’Idea reale, quindi, assegna a tali sfere il materiale di questa sua


realtà finita, assegna loro cioè gli individui come moltitudine. Nel
singolo, in tal modo, questa assegnazione appare mediata dalle
circostanze, dall’arbitrio e dalla scelta personale della propria de-
stinazione (GW 14.1 § 262 p. 210, Dir p. 433).

L’Idea appare qui come un soggetto che pone e dispone e


che agisce sulla testa degli individui. Infatti non solo viene det-
to che essa assegna alle sfere finite (famiglia e società civile) an-
che il «materiale», cioè gli esseri umani, ma essa dispone di
questi soggetti storici in modo tale che essi non si accorgono
neppure di essere i semplici esecutori e strumenti del suo di-
segno. Essi ritengono che quanto accade loro dipenda «dalle
circostanze, dall’arbitrio e dalla scelta personale». Non si ac-
corgono che circostanze, arbitrio e scelta personale sono solo
la «mediazione» dell’operare dell’Idea. Anche all’interno del-
l’eticità gli eventi che accadono agli individui rimangono per-
ciò del tutto imperscrutabili e intrasparenti: solo l’Idea ne è
consapevole ma i soggetti storici restano del tutto esclusi dalla
sua logica.
Giustamente Karl Marx scriveva, a proposito di questo pa-
ragrafo, che in esso era «depositato tutto il mistero della filo-
sofia del diritto e della filosofia hegeliana in generale»92. La
realtà empirica infatti viene accolta dall’Idea come un materia-
le a sua disposizione solo perché alla fine vuole dimostrare la
sua assolutezza: «l’Idea reale si umilia nella “finitezza” della fa-
miglia e della società civile soltanto per produrre e godere – dal

92 K. MARX, 1927, trad. it. p. 10.


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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 201

superamento di essa finitezza – la sua infinitezza»93. Ma, oltre


a questo, viene qui anticipata quella che sarà la reale conclu-
sione dell’intera Filosofia del diritto: la risoluzione dell’oggetti-
vità storica nella superiore verità dell’Idea.

3.3.3 Dallo spirito oggettivo allo spirito assoluto


Le considerazioni svolte sino a questo momento conduco-
no a tre importanti conclusioni:
a) la libertà non trova realizzazione;
b) gli individui sono ridotti a strumenti inconsapevoli del-
l’Idea;
c) l’identità di soggetto e oggetto nell’eticità si rivela un’i-
dentità incompiuta e manchevole.
Rispetto a queste conclusioni Hegel però potrebbe non es-
sere del tutto d’accordo. Potremmo riassumere la sua ipotetica
obiezione alle nostre considerazioni nel seguente modo: non è
vero che non si dia conciliazione fra soggetto e oggetto e che
non si raggiunga l’autoriconoscimento della libertà. Anche
l’oggettività storica trova alla fine la sua comprensione razio-
nale, perdendo quell’opacità e imperscrutabilità che fin qui
sembrava insuperabile. Questo però avviene non già all’inter-
no della coscienza storica (la coscienza dei soggetti finiti che so-
no attivi all’interno della storia) ma all’interno della coscienza
filosofica, cioè al livello dello spirito assoluto.
Quando si parla di spirito assoluto bisogna però far bene at-
tenzione. Non si tratta infatti di un macrosoggetto, di una sorta
di anima del mondo, che governa i suoi destini dall’alto della
sua trascendenza. Non c’è nessun «luogo sovrasensibile» in cui
Hegel collochi lo spirito assoluto. Esso infatti non è altro che la
medesima coscienza storico-empirica, la quale, però, pensando
se stessa e la sua vera natura, si scopre assoluta, cioè acquisisce
una consapevolezza che non è a disposizione dei soggetti stori-
ci. Infatti nel momento in cui acquisisce tale consapevolezza es-
sa non è più coscienza storica. Ma ciò significa che l’autorico-
noscimento del Weltgeist, dello spirito del mondo, avviene fuo-
ri dallo spirito oggettivo, cioè «fuori della storia». Lo spirito as-

93 Ivi, p. 9.
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202 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

soluto non è infatti attività storica: certo esso è l’autocoscienza


della storia, la verità dello spirito oggettivo, ma in esso viene
raggiunta l’autocoscienza assoluta proprio perché non si dà più
l’accidentalità storica. Due sono i paragrafi nei quali Hegel
espone il passaggio dallo spirito oggettivo a quello assoluto e in
entrambi il fattore decisivo è costituito dalla sostanziale unità
tra i due momenti, per cui il vero problema che si pone al let-
tore e all’interprete è quello di capire l’elemento di differenzia-
zione che costituisce la specificità dell’uno e dell’altro. Il primo
paragrafo è contenuto nella stessa Filosofia del diritto:

Intorno al trono dello spirito del mondo (Weltgeist), gli spiriti na-
zionali (Völkergeister) stanno come gli esecutori della sua realiz-
zazione, e come testimoni e ornamenti del suo splendore. Ora lo
spirito del mondo, appunto in quanto spirito, non è altro che il
movimento della propria attività di sapersi in modo assoluto, e
quindi attività di liberare la propria coscienza dalla forma del-
l’immediatezza naturale e di pervenire a se stesso (GW 14.1 § 352
p. 278, Dir p. 571).

L’oggetto qui è ancora una volta il Weltgeist. Già abbiamo


visto come di esso non si possa dire che sia un soggetto: la sto-
ria non ha un soggetto consapevole che la conduce. Il Welt-
geist non è altro che l’oggettività storica, la logica oggettiva del-
le vicende mondane. Ebbene di questa logica Hegel riconosce
soprattutto l’assolutezza: non solo di fronte ad essa gli spiriti
dei popoli stanno come «ornamenti del suo splendore», meri
strumenti esecutori della sua «volontà», ma la sua stessa verità
ultima sta nella sua autocomprensione assoluta. Proprio per-
ché la logica storica non dipende da altro che da se stessa, es-
sa è assoluta, sciolta da ogni condizionamento esterno. Ma al-
lora la coerenza con quell’assolutezza in sé vuole che essa lo di-
venti anche per sé, esige cioè che essa divenga consapevole: so-
lo a quel punto potrà essere veramente assoluta e indipenden-
te. Insomma lo spirito del mondo deve realizzare la sua natura
e farsi realmente «spirito», cioè diventare autocosciente. Per
questo il processo che esso deve intraprendere è «il movimen-
to della propria attività di sapersi in modo assoluto». Non so-
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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 203

lo «essere» assoluto ma «sapersi» come tale. A un tale risulta-


to esso può pervenire a una sola condizione: che esso si liberi
dall’immediatezza naturale, ovvero da quegli elementi di natu-
ralità che caratterizzano la storia e che la rendono ancora sog-
getta alle accidentalità e alla non-libertà. Ecco, il passaggio è
avvenuto. Lo spirito del mondo si è finalmente compreso co-
me «assoluto», sciolto dalle contingenze storiche. Ma esso ha
potuto raggiungere quella condizione perché esso ora è solo
pensiero, solo sapere, è cioè la coscienza filosofica che pensa la
sua stessa assolutezza.
Ancora più esplicito è il corrispondente paragrafo contenu-
to nell’Enciclopedia (GW 20 § 552 p. 530, Enc pp. 525-526),
quello che effettivamente chiude la trattazione dello spirito og-
gettivo prima che si apra quella dedicata allo spirito assoluto.
Qui il passaggio avviene direttamente dal Volksgeist (lo spirito
del popolo) all’absoluter Geist, e la mediazione costituita dal
Weltgeist viene introdotta di passaggio attraverso un breve ac-
cenno. Tutta la prima parte del paragrafo è dunque concentra-
ta a descrivere i limiti dello spirito del popolo. Esso è infatti
soggetto alla «necessità naturale», all’esteriorità della sua esi-
stenza, alla particolarità e limitatezza della sostanza etica (la
quale, pur essendo «in sé infinita» – la sua verità va infatti al di
là delle contingenze storiche in cui si realizza – è «per sé parti-
colare e limitata», cioè circoscritta al contesto in cui si viene a
trovare) e infine soggetto all’«accidentalità». Ma il suo vero li-
mite – continua Hegel – è dato dal fatto che la coscienza del
Volksgeist non è assoluta, vale a dire è sempre in relazione con
qualcosa di esterno («esiste temporalmente e in relazione verso
una natura e un mondo esterno»). Questa relazione è al tempo
stesso una limitazione, l’impedimento verso la comprensione
di sé come assoluto. In quanto tuttavia «sopprime in sé la fi-
nità» che lo caratterizza nelle istituzioni dell’eticità, esso supe-
ra quelle limitatezze e «si eleva al sapere di sé nella sua essen-
zialità». A questo punto sembra che il passaggio allo spirito as-
soluto sia già avvenuto. In realtà ci troviamo ancora dentro lo
spirito di un popolo. Esso si è liberato di tutto il mondo ester-
no ma è rimasto ancora spirito di un popolo: il suo sapere man-
tiene «la limitatezza immanente dello spirito del popolo».
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204 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Quest’ultima caratterizzazione che lo vincola alla finitezza vie-


ne tolta con l’ultimo passaggio.

Ma lo spirito pensante della storia universale (der denkende Geist


der Weltgeschichte), – poiché insieme ha cancellato (abgestreift)
quelle limitatezze degli spiriti particolari e il suo proprio carattere
mondano (seine eigene Weltlichkeit), – conquista la sua universalità
concreta e si eleva al sapere dello spirito assoluto, come della verità
eternamente reale, nella quale la ragione è libera per sé (ibid.).

Sollevandosi al punto di vista della storia universale lo spi-


rito supera sia la limitatezza dello spirito del popolo sia la pro-
pria Weltlichkeit: esso non è più legato a un luogo né dipende
da circostanze mondane con tutte le accidentalità che esse
comportano. A quel punto si è elevato a «sapere dello spirito
assoluto». Oltrepassata la storia esso ha finalmente raggiunto
la propria libertà, in cui «la ragione è libera per sé». A questo
punto il rapporto si capovolge: la natura e la storia non sono
più le condizioni da cui egli dipende ma i luoghi della sua ma-
nifestazione mondana, il teatro in cui avviene la rappresenta-
zione della sua assolutezza: «la necessità, la natura e la storia
sono solo gli strumenti della rivelazione e dell’onore dello spi-
rito» (ibid.). La necessità naturale e storica si è rivelata alla fi-
ne solo uno strumento in mano alla sua libertà.
Per Hegel si dà dunque, alla fine, l’autoriconoscimento del-
la libertà ma esso si dà solo nel superamento della mondanità,
cioè nel mondo del puro pensiero, nella coscienza filosofica ex-
tramondana. Questa conclusione «teoretica» del cammino del-
la libertà, in base alla quale quell’autoriconoscimento non può
avvenire dentro la storia, potrebbe avere un’ulteriore spiega-
zione nel «realismo» hegeliano. Come ha spiegato Marcuse,
una libertà infrastorica significherebbe per Hegel il «raggiun-
gimento di una “condizione del mondo” in cui l’individuale ri-
mane in inseparabile armonia con l’insieme, e in cui le condi-
zioni e i rapporti del suo mondo “non posseggono alcuna og-
gettività indipendente dall’individuale”»94. Questo concetto

94 H. MARCUSE, 1941, trad. it. p. 9.


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L’ETICITÀ COMPIUTA: LA SFERA DELLO STATO 205

radicale di libertà comporterebbe non solo la fine dell’estra-


neazione nei rapporti con gli altri individui ma anche la fine
dell’oggettività delle cose, il realizzarsi di uno stato del mondo
in cui anche gli oggetti naturali «farebbero parte» della libertà.

Circa la possibilità di raggiungere una tale condizione l’atteggia-


mento di Hegel era pessimistico: l’elemento della riconciliazione
con i dati di fatto, tanto importante nella sua filosofia, sembra do-
vuto in gran parte a tale pessimismo, o, se si preferisce, a tale rea-
lismo. La libertà viene relegata nel regno del pensiero puro, del-
l’Idea assoluta. L’idealismo diviene un rifugio dalla realtà95.

Dunque, secondo Marcuse, il limite di Hegel sarebbe quel-


lo di aver rinunciato a tradurre storicamente la libertà pensata
nel sapere assoluto96. In realtà il limite di Hegel sta, a nostro
parere, in quel concetto enfatico di libertà, tale per cui essa de-
ve riconoscersi nella storia, salvo poi scontrarsi con quella sua
impossibilità a farlo che la costringe in definitiva a rifugiarsi nel
mondo del pensiero.
Il compito che egli ci lascia è quindi quello di ripensare il
suo concetto di libertà e la sua realizzazione nei termini di
un’eticità moderna, collocandoli però al di fuori delle coordi-
nate enfatiche di un idealismo che pretende la conciliazione as-
soluta soggetto-oggetto e un autoriconoscimento della libertà
così radicale da essere pensabile solo al di fuori della storia.

95 Ibid.
96 Nella società moderna «l’uomo rimaneva soggetto alle leggi di un’eco-
nomia incontrollata e doveva essere tenuto a bada da uno Stato forte, capa-
ce di affrontare le contraddizioni sociali. La verità ultima doveva pertanto es-
sere ricercata in un’altra sfera della realtà» (ivi, trad. it. p. 189). E ancora:
«Sebbene Hegel dica che lo stadio dello sviluppo storico raggiunto nel suo
tempo rivela che l’Idea è divenuta reale, essa “esiste” come mondo compre-
so, presente nel pensiero, come “sistema della scienza”» (ibid.).
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4. Linee di un’eticità post-idealistica:


una democratizzazione della filosofia politica di Hegel

Abbiamo cercato di mostrare che il passaggio, interno allo


spirito oggettivo, dal piano dell’eticità statale a quello della sto-
ria del mondo comporta, se assunto nella radicalità delle sue
conseguenze, la messa in discussione dell’eticità, e quindi una
frattura nella storia della libertà. Questa infatti, non ritrovando
se stessa nella storia, finisce per perdersi, per non riconoscersi
e quindi per non essere più libertà. Al tempo stesso si è reso
evidente che entrambe queste conseguenze derivano però dal-
l’assunzione di un concetto enfatico di libertà, intesa nei ter-
mini dell’autotrasparenza, dell’autoposizione e dell’assolutez-
za. La stessa idea di un’eticità universale che oltrepassi le bar-
riere degli stati nazionali e perciò eviti il ricorso alla guerra co-
me soluzione «normale» nei rapporti internazionali, idea av-
versata da Hegel ma coerente con le premesse universalistiche
dell’ethos hegeliano, trova il suo vero ostacolo nella pretesa,
che si accompagna a quel concetto di libertà, di una completa
conciliazione soggetto-oggetto dentro la storia1. Questo qua-
dro pone le premesse per tre successive operazioni teoriche:

1) In primo luogo si rende necessaria una ricostruzione dei


fondamenti logico-ontologici che stanno alla base del concetto
hegeliano di libertà (e dunque alla base del concetto di eticità),
tornando a interrogare l’identità hegeliana di libertà e autotra-
sparenza, libertà e Idea, libertà e conciliazione, libertà e unità

1 Di questa concezione enfatica della libertà rimangono prigionieri anche


quei “critici di sinistra” di Hegel (come Marcuse) che gli rimproverano la se-
parazione fra teoria e prassi e il mancato trasferimento di quella libertà al-
l’interno dei rapporti storico-sociali.
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208 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

soggetto-oggetto. Non si tratta però di contrapporre astratta-


mente al concetto di libertà proposto da Hegel un altro mo-
dello, ma di verificare dentro quel modello potenzialità diffe-
renti di sviluppo. Come vedremo, ciò diventa possibile in
quanto quella concezione così fortemente idealista di libertà
convive in Hegel con un pensiero dialettico che agisce da cor-
rettivo nei confronti di qualsiasi identità e conciliazione. Pen-
sare dialetticamente significa infatti far saltare ogni identità
con sé ed esporla costantemente a ciò che è altro da essa. La ri-
costruzione dello sfondo logico-teoretico sottostante al concet-
to di eticità dovrà perciò vagliare anche questa possibilità al-
ternativa nonché l’opportunità che essa ci offre di una diffe-
rente costellazione teorica all’interno della quale collocare e ri-
pensare la nozione di eticità.

2) La seconda operazione è una diretta conseguenza della


prima e consisterà nel riformulare e ripensare un concetto di eti-
cità svincolato dall’imperativo dell’autotrasparenza. Anche per
questa operazione le risorse possono essere individuate all’in-
terno della stessa opera hegeliana. È in Hegel infatti che tro-
viamo elaborati i tratti essenziali di una logica del riconosci-
mento, una logica che, con il suo carattere intrinsecamente in-
tersoggettivo, può essere utilizzata come alternativa rispetto al-
la logica solipsistica e individualistica dell’autoriflessione tra-
sparente. Come vedremo è implicita nella relazione di ricono-
scimento l’impossibilità di una completa identificazione fra i
soggetti in gioco. Identificarli comporterebbe infatti la cancel-
lazione delle loro identità specifiche, cioè il fallimento del ri-
conoscimento in quanto tale.

3) Il compito conclusivo sarà infine quello di delineare un’e-


ticità compiuta del moderno che rielabori le indicazioni hege-
liane riformulandole in modo tale da prospettare un ethos de-
mocratico svincolato dalla contrapposizione fra Stati, fondato
realmente sull’autonomia critica e riflessiva dei singoli cittadi-
ni e reso compatibile con l’incomprimibile pluralismo etico
delle società contemporanee. La formalizzazione e l’universa-
lizzazione della sostanza etica degli antichi già avviate da Hegel
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 209

verranno qui coerentizzate e condotte alle loro ultime conse-


guenze. In questo quadro perciò diventerà finalmente possibi-
le comprendere la dottrina hegeliana dell’eticità come una ri-
sorsa fondamentale per delineare l’etica necessaria alla demo-
crazia contemporanea.

4.1 I presupposti logico-ontologici dell’eticità hegeliana

Hegel acquisisce come proprio il punto di vista kantiano che


pone nell’universalità il fondamento della moralità e del dirit-
to astratto. Utilizzando il lessico hegeliano potremmo dire che
l’universale è il fondamento del «diritto» in senso generale
(quello che occupa l’intera Filosofia del diritto e che compren-
de al suo interno il diritto astratto, la moralità e l’eticità), è cioè
il fondamento della legittimità e della validità dell’agire indivi-
duale e delle istituzioni politiche e sociali.
Al tempo stesso Hegel rifiuta la fondazione kantiana dell’u-
niversalità normativa nella soggettività trascendentale: man-
cando essa del lato storico-oggettivo la sua normatività finireb-
be per ridursi a un’astrazione indeterminata, priva di contenu-
ti e sostanzialmente inutilizzabile per le pratiche concrete degli
individui che vivono in una società.
Ora, che la normatività non possa essere fondata ricorren-
do a una riflessione “trascendentale” non significa però che es-
sa debba essere giustificata ricorrendo a una procedura “empi-
rica”, pensandola cioè come l’esito di un accordo fra i soggetti.
Hegel si rifiuta di pensare la normatività (quello che lui chiama
il «diritto») come l’esito di una molteplicità di volontà indivi-
duali. Non solo essa diventerebbe soggetta agli umori e agli in-
teressi, alle passioni e alle pulsioni, in una parola soggetta alla
natura e non alla libertà, ma – oltre a ciò – quegli individui de-
liberanti non sarebbero nemmeno esistiti se non ci fosse stato
un contesto etico capace di formarli, cioè un ethos già vigente
e operante. In altri termini: la normatività non può essere pen-
sata come il risultato delle volontà individuali dato che sono
quelle volontà ad essere il prodotto di una già esistente sfera
del «diritto».
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210 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Da ciò la soluzione hegeliana: pensare l’universalità norma-


tiva come già esistente nella storia, incorporata nelle nostre pra-
tiche, operante all’interno delle nostre istituzioni. Non il pro-
dotto velleitario e cosciente dei soggetti storici ma l’esito dello
sviluppo storico nel suo complesso, processo a cui le singole vo-
lontà individuali hanno certamente contribuito ma che non è
comunque mai riducibile alle loro intenzioni consapevoli.
Una tale soluzione non è priva di problemi, come abbiamo
già messo in rilievo. La conseguenza immediata di ciò è infatti
l’ammissione di una sorta di giustificazionismo storico, in base
al quale ciò che la storia produce avrebbe sempre e comun-
que valore normativo. In quanto prodotto dalla storia qua-
lunque assetto istituzionale dovrebbe a questo punto essere
assunto come realizzazione della libertà. Da ciò conseguireb-
be un inevitabile pluralismo contestualista, non proprio in li-
nea con il pensiero di Hegel: dato che gli assetti istituzionali e
storici sono molteplici e differenti, ogni contesto avrebbe la
sua propria normatività, mettendoci nell’impossibilità di giu-
dicare quale assetto possa realmente costituire il vero compi-
mento della libertà.
Secondo Karl-Heinz Ilting questa sarebbe però alla fine la
posizione di Hegel. Egli ritiene infatti che Hegel non abbia sa-
puto fornire alcun criterio per distinguere ciò che è inscindibil-
mente legato alla libertà da ciò che appare causale o addirittu-
ra incompatibile con essa: «A partire dall’Idea della libertà He-
gel dimostra la necessità dei rapporti nello Stato moderno non
in modo tale da poter distinguere i rapporti sociali storicamen-
te accidentali o addirittura inconciliabili con l’Idea della libertà
da quelli necessari»2. Tutte le indicazioni morali contenute al-
l’interno del capitolo sull’eticità – come, ad esempio, l’esorta-
zione a fare «quello che nei suoi rapporti gli [all’uomo, n.d.r.]
è già tracciato, espresso e noto» (GW 14.1 § 150 nota p. 140,
Dir p. 299) – sarebbero tali, secondo Ilting, da far ritenere che
Hegel consideri tutta la realtà attuale come la compiuta realiz-
zazione dell’Idea.

2 K.-H. ILTING, 1983, p. 246.


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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 211

In uno Stato non ancora compiutamente etico si dovrebbe poter


distinguere fra doveri etici veri e presunti. Su ciò però Hegel non
dà alcun aiuto, sicché l’esortazione «a fare quello che nei suoi rap-
porti gli è già tracciato, espresso e noto» retrocede il lettore a un
livello di sviluppo del concetto di eticità, dove costume (Sitte) ed
eticità (Sittlichkeit) non erano ancora distinti, ovvero nel tempo
precedente la Sofistica e Socrate3.

Questa regressione della coscienza morale non solo rispetto


ai guadagni della modernità ma anche rispetto allo stesso “illu-
minismo greco” sarebbe del resto confermata dal fatto che la
stessa Filosofia del diritto non avrebbe alcun carattere norma-
tivo ma si limiterebbe ad essere una «fenomenologia della co-
scienza della libertà»4, vale a dire una mera descrizione delle
forme istituzionali della libertà senza vere pretese normative.
Come confermano Becchi e Hoppe5, curatori dell’opera po-
stuma di Ilting Grundfragen der praktischen Philosophie, da un
lato egli riconoscerebbe a Hegel il merito di aver reso possibi-
le l’incontro fra il diritto naturale moderno che si fonda sulla
libertà individuale e la dottrina classica della politica che inve-
ce comprende la società a partire dallo Stato come un tutto, ma
dall’altro egli constaterebbe il sostanziale fallimento di quel
tentativo. Hegel infatti si sarebbe limitato a contrapporre i due
modelli e nell’ambito dello Stato avrebbe infine fatto prevale-
re la sostanzialità dell’eticità di contro all’individuo.
In realtà Hegel non ha mai sostenuto un tale giustificazio-
nismo storico6, soprattutto perché a lui è perfettamente chiaro

3 Ivi, p. 246
4 K.-H. ILTING, 1982, p. 226 (ma si veda a questo proposito l’intero sag-
gio: pp. 225-253).
5 P. BECCHI - H. HOPPE, Nachwort a K.-H. ILTING, 1994 (in particolare
pp. 359-360).
6 Fra i critici della posizione di Ilting va qui ricordato Vittorio Hösle, se-
condo il quale, contro la tesi che considera la Filosofia del diritto come una
teoria meramente descrittiva starebbe proprio l’identità di razionalità e
realtà. La formula hegeliana comporterebbe infatti la selettiva individuazio-
ne del razionale all’interno delle molteplici manifestazioni rappresentate dal-
la realtà storica. La stessa affermazione hegeliana secondo cui la Filosofia del
diritto è «il tentativo di comprendere concettualmente lo Stato e di esporlo co-
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212 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

che la storia è anche il regno dell’accidentale, del particolare e


della naturalità. Ne deriva che non tutti gli assetti politici e so-
ciali, anche se collocati nell’età moderna, potranno essere con-
siderati razionali e liberi. Hegel lo conferma, ammettendo che
ci possano essere assetti sociali privi di libertà etica e ritenen-
do giustificato in tali casi perfino il ricorso a quella libertà sog-
gettiva del «foro interiore» che nelle condizioni dell’eticità rea-
lizzata non avrebbe per lui alcun senso.

La tendenza a cercare entro sé, verso l’interiorità, ciò che è giusto


e buono, e a saperlo e determinarlo da sé, si manifesta nella sto-
ria durante epoche in cui ciò che ha valore di giusto e di buono
nella realtà e nei costumi (Sitte) non è più in grado di appagare
una volontà migliore: quando il mondo esistente della libertà è di-
venuto infido a tale volontà, essa allora non si ritrova più nei do-
veri vigenti, e deve cercare di riguadagnare soltanto nell’interio-
rità ideale l’armonia che ha perduto nella realtà (GW 14.1 § 138
nota p. 121, Dir p. 265).

A questo punto però il primo problema diventa l’individua-


zione di un criterio affidabile (e insieme ad esso la procedura
della sua giustificazione) in grado di distinguere tra istituzioni
razionali e non razionali, tra eticità vera e assetti socio-politici
che rappresentano solo una traduzione infedele della libertà.
A questo problema se ne aggiunge poi un secondo, di carat-
tere ancora più generale: perché il fondamento della normati-
vità dev’essere trovato nelle istituzioni esistenti, nei prodotti
storici e non in principi o valori trascendenti rispetto all’esi-
stente? In altre parole, perché dobbiamo adeguarci alla nor-
matività incarnata nelle pratiche e non seguire ideali astratti?
Ora è ben vero che in Hegel troviamo una articolata confuta-
zione del dover essere e dell’astrattezza morale, ma da quella

me qualcosa di intimamente razionale» (GW 14.1 p. 15, Dir p. 61) conferme-


rebbe questo approccio. L’opera di Hegel avrebbe perciò l’esplicita «inten-
zione di sviluppare quanto all’interno del fattualmente esistente può essere
compreso come razionale. La Filosofia del diritto di Hegel dev’essere dunque
compresa come una teoria normativa intorno a un determinato ambito og-
gettuale» (V. HÖSLE, 1987a, pp. 29-30, corsivo nostro).
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 213

LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 213

critica non consegue necessariamente la prescrittività dell’ade-


guamento all’esistente. Ma, come vedremo, una tale giustifica-
zione del valore normativo dell’eticità non manca nel pensiero
di Hegel, anzi ne costituisce uno degli assi portanti.

4.1.1 Dall’eticità alla filosofia della storia


La risposta alla prima questione è abbastanza semplice al-
l’interno del sistema hegeliano: il criterio per stabilire il grado
di razionalità dell’eticità esistente è costituito dalla filosofia
della storia. Come scrive Schnädelbach, «ciò che in Hegel con-
duce al di là del relativismo delle eticità concretamente esi-
stenti è la storia universale come “tribunale del mondo”»7. È la
filosofia della storia il vero sostituto della fondazione trascen-
dentale kantiana dell’universalità normativa. Essa stabilisce in-
fatti i gradi dello sviluppo della libertà ed è perciò in grado di
individuare quando uno Stato, un’istituzione, una legge hanno
realmente un valore universale. Una doppia capacità la carat-
terizza e ne fa un elemento insostituibile all’interno del sistema
hegeliano: da un lato essa è dotata di uno sguardo complessivo
in grado di svelare il senso del tutto, la verità complessiva del-
lo sviluppo storico; dall’altro lato essa è altrettanto capace di
uno sguardo particolare sui singoli eventi e sulle singole istitu-
zioni. In questo secondo lato la filosofia della storia si fa erme-
neutica storica, interpretazione del dato, per riconoscere in es-
so il significato che ne sta dietro, individuazione dell’universa-
le di cui quell’elemento singolo diventa l’incarnazione8.

7 H. SCHNÄDELBACH, 2000, p. 351.


8 Secondo J. Ritter questo ruolo ermeneutico è il vero compito assegnato
da Hegel alla filosofia: essere pensiero interpretativo del proprio tempo (J.
RITTER, 1957, p. 23). Su questo punto concorda anche G. ROHRMOSER (1961):
«Contro l’affermazione di postulati astratti e di una continua riprogettazione
che si rinnova incessantemente, la filosofia hegeliana si contraddistingue co-
me un’ermeneutica della realtà storica esistente, un’ermeneutica del mondo
così com’è, e non come deve essere» (ivi, p. 85). Sulla stessa linea si veda an-
che R. BUBNER, 1970. Che le cose stiano così in Hegel è anche il parere di H.
Schnädelbach, il quale però al tempo stesso ne critica aspramente le conse-
guenze: «Il prezzo dello storicismo speculativo e al tempo stesso normativo di
Hegel è alto: il luogo dove si decide la questione attorno alla giustezza nor-
mativa dell’agire non è più l’individuo consapevole, riflessivamente certo del-
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214 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Di fronte a una tale risposta il fuoco del problema si sposta


di nuovo e si trasforma in un’altra decisiva questione: disponia-
mo noi di un tale sguardo sulla totalità? Infatti per poter racco-
gliere gli eventi storici attorno a uno scopo finale è necessario
disporre di uno sguardo capace di innalzarsi a livello della to-
talità e di coglierne il senso complessivo. Secondo Hegel ciò è
possibile ed è possibile a una condizione: che quel punto di vi-
sta sia il punto di vista della totalità stessa, vale a dire l’autori-
flessione dell’assoluto. Solo l’assoluto è capace di svelare il sen-
so della storia, perché solo l’assoluto è “capace di totalità”. È
questa la celebre tesi hegeliana del sapere assoluto: la condizio-
ne per un sapere assoluto, cioè un sapere che manifesti la tota-
lità, è che il soggetto di questo sapere sia l’assoluto medesimo.
Anzi, propriamente l’assoluto consiste solo in questo sapere:
non è un ente trascendente, non è un’anima immanente al
mondo, è solo l’autosapersi della totalità. Esso coincide esatta-
mente con quella coscienza della storia che – come è stato ac-
curatamente esposto nel § 552 dell’Enciclopedia, analizzato in
conclusione del capitolo precedente – è riuscita a spogliarsi
della naturalità, dell’esteriorità, delle accidentalità e a diventa-
re coscienza filosofica. L’innalzamento dello spirito oggettivo
allo spirito assoluto è perciò la vera condizione per la costru-
zione di una filosofia della storia universale.
La teoria hegeliana dell’eticità rimanda dunque alla Logica
hegeliana e in particolare alla teoria del concetto come ai luoghi
in grado di dare la risposta “finale” al problema della legitti-
mità delle istituzioni etico-politiche. In quelle pagine infatti si

la sua identità morale, ma la storia universale. Per un principio morale kan-


tiano qui non c’è alcuno spazio. La filosofia pratica di Hegel conosce solo nor-
me giuridiche e doveri istituzionali e, al di là di questi, la sconfinata forza nor-
mativa dei fatti della storia universale» (H. SCHNÄDELBACH, 2000, p. 352). Si
tratta – sarà bene notarlo – di una critica differente rispetto a quella di Ilting:
mentre Ilting ritiene che in Hegel sia l’oggettività storica a decidere la razio-
nalità e l’eticità di un assetto politico-sociale (storicismo relativistico), Schnä-
delbach fa notare che il criterio sta più in alto, cioè nella filosofia della storia,
in uno sguardo filosofico assolutistico in grado di stabilire la razionalità dello
sviluppo del mondo (storicismo speculativo), indipendentemente dalle opi-
nioni degli individui che vivono in quel mondo e in quella società.
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 215

chiarisce che il senso ultimo della totalità sta nel suo autori-
flettersi, nel diventare consapevole di sé e in quella radicale au-
toriflessione che è al tempo stesso autoposizione, posizione di
sé come assoluta autonomia e indipendenza. Senza quella riso-
luzione della sostanza nel concetto, cioè nell’autoriflettersi del
soggetto, non si darebbe sapere assoluto e quindi non si po-
trebbe dare neanche una filosofia della storia universale. Ma
Hegel ha anche bisogno di mettere in circolo questo sapere as-
soluto con la nostra coscienza di individui finiti: se questi due
termini non riuscissero a toccarsi il sapere assoluto si manter-
rebbe separato e trascendente ma noi nulla ne sapremmo e l’u-
nica nostra risorsa rimarrebbe quel sapere storico-empirico,
che è però strutturalmente incapace di pervenire a uno sguar-
do sulla totalità. La tesi hegeliana nella sua completezza è per-
ciò quella secondo cui lo spirito finito è in verità spirito asso-
luto. È solo necessario che quella coscienza finita rifletta su di
sé e comprenda la sua vera natura: a quel punto si sarà innal-
zata all’autoriflessione dell’assoluto diventandone identica.
Quando sono date entrambe queste condizioni (il determi-
narsi dell’assoluto come un sapere assoluto di se stesso e l’i-
dentità dello spirito finito che abbia raggiunto la completa
consapevolezza di sé con lo spirito assoluto) è finalmente pos-
sibile lo sguardo sulla totalità, è possibile una filosofia della
storia, ed è infine possibile una giustificazione dell’eticità esi-
stente come realizzazione della libertà.

4.1.2 Dalla filosofia della storia alla logica


Questo rinvio dalla teoria dell’eticità alla logica come suo
fondamento ultimo consente di dare una risposta anche al se-
condo problema: trovare una giustificazione alla tesi secondo la
quale è nella storia e nell’eticità esistente che va individuato il
fondamento della nostra normatività. La vera superiorità del-
l’universalità concreta dell’etico rispetto all’universalità astrat-
ta della morale sta infatti proprio nella tesi, esposta nella Scien-
za della logica, secondo cui la realtà (quella che Hegel chiama
Idea) è autoriflessione assoluta. La storia a questo punto di-
venta il campo in cui avviene quell’autoriflessione, il terreno in
cui la libertà riconosce se stessa. Le strutture storiche in cui av-
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 216

216 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

viene tutto ciò, le sfere dell’eticità, saranno perciò il vero fon-


damento della normatività, perché in esse la libertà si è fatta
reale, ha portato a termine il suo processo e si è rivelata nella
sua più completa espressione. Proprio perché la realtà è Idea
(cioè autoriflessione) essa richiede la sua rivelazione nella sto-
ria ed è in quella sfera che potremo trovare i riferimenti essen-
ziali della normatività.
Questa natura «ideale» della libertà – cioè il suo essere
compresa dentro le coordinate dell’«Idea» – è però all’origine
dei problemi irresolubili con cui si conclude la Filosofia del di-
ritto. Essa viene infatti pensata da Hegel come autoriconosci-
mento assoluto, cioè come compiuta conciliazione di soggetto
e oggetto senza residui. Una tale pretesa si rivela così radicale
da risultare di impossibile realizzazione nella storia e realizza-
bile solo nel sapere all’interno dello spirito assoluto. Quel con-
cetto «ideale» di libertà comporta perciò, a cascata, una con-
cezione dell’eticità come dimora trasparente, nella quale l’indi-
viduo può riconoscersi senza residui. È evidente a questo pun-
to la difficile realizzazione di un tale progetto, difficoltà che si
tramuta in radicale impossibilità quando entra in gioco la sto-
ria universale, la quale rimane totalmente impenetrabile allo
sguardo dei suoi attori.
L’impianto logico-ontologico che sta dietro al concetto di li-
bertà finisce inoltre per condizionare pesantemente anche il
modo in cui avviene quel processo di autoriconoscimento. I
suoi effetti si sentono infatti non solo nella caratterizzazione
fortemente «idealistica» che subisce la nozione di eticità, con-
cepita come conciliazione trasparente di soggetto e oggetto,
ma anche nel fatto che quella conciliazione viene vista come
l’opera di un unico protagonista: la «sostanza etica», la quale es-
sendo una struttura oggettiva, ha bisogno, per essere veramen-
te se stessa, di riconoscersi e quindi di diventare essa quel sog-
getto che produrrà l’autoriconoscimento.
Le definizioni hegeliane dell’eticità rivelano chiaramente
questo impianto. Essa è «l’Idea della libertà nel senso del bene
vivente» (GW 14.1 § 142 p. 137, Dir p. 293), una caratterizza-
zione chiaramente ontologica non solo perché rinvia alla no-
zione ontologica di bene ma anche perché «Idea» nella Filoso-
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 217

fia del diritto significa, come già abbiamo avuto modo di os-
servare, la realtà nella sua piena oggettività. In secondo luogo
l’ethos (das Sittliche) viene definito come «la sostanza divenuta
concreta» (GW 14.1 § 144 p. 137, Dir p. 293), un’ulteriore ca-
ratterizzazione ontologico-oggettivistica. E infine questa so-
stanza è «sich wissend», è cioè una sostanza «che sa se stessa»
e in quanto tale è «la sua autocoscienza reale» e «oggetto del
sapere» (GW 14.1 § 146 p. 138, Dir p. 295).
Come si può notare, in tutte queste definizioni compare un
unico attore, la sostanza, la quale è anche il soggetto del rico-
noscimento: è infatti da quella sostanza che emerge l’autoco-
scienza e il sapere. Insomma il lato soggettivo dell’eticità, quel
lato soggettivo che è così importante per Hegel, non rinvia al-
l’autocoscienza degli individui, cioè alla coscienza civile dei cit-
tadini, ma al sapersi della sostanza e quindi svela che il ruolo
della soggettività nel costituirsi dell’etico non è nient’altro che
l’autoriconoscersi della sostanza spirituale. Il vero soggetto è
dunque lo stesso spirito oggettivo, che certamente si riconosce
grazie all’autocoscienza degli individui9 (come abbiamo già
evidenziato non c’è per Hegel alcun’altra autocoscienza, né in
terra né in cielo, che quella individuale), ma per il quale quei
cittadini sono solo gli strumenti del suo autoriconoscersi.
Come ha mostrato Michael Theunissen10, questo impianto
logico-ontologico spiega la sostanziale rimozione dell’intersog-
gettività dalla Filosofia del diritto. Da un lato infatti Hegel mo-
stra la genesi dell’universalità a partire dal superamento inter-
soggettivo dell’individualità. Ciò avviene nella sfera del diritto
astratto attraverso il contratto, che costringe il singolo a entra-
re in rapporto con l’altro e quasi a omologarsi con lui in quan-
to entrambi proprietari. Nella società civile poi un analogo
processo si costituisce nel celebre rapporto di «dipendenza on-

9 È grazie agli individui concretamente esistenti che lo spirito ha il pro-


prio «sentimento di sé (Selbstgefühl)», e quell’autosentimento si realizza so-
lo in quel tipo di soggetto storico: come abbiamo già riportato, «il soggetto
dà la testimonianza dello spirito che esse [le potenze etiche, n.d.r.] sono la sua
propria essenza. Qui lo spirito ha il proprio sentimento di sé» (GW 14.1 § 147
p. 138, Dir p. 295).
10 Il riferimento d’obbligo è qui M. THEUNISSEN, 1982.
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218 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

nilaterale», in forza del quale ogni individuo viene «assegnato»


all’altro e dipende in tutto da lui. Dall’altro lato tutte queste
non sono mai vere relazioni intersoggettive, dal momento che
le individualità che entrano reciprocamente in rapporto non
vengono mai valorizzate nelle loro specificità. Quello che pre-
vale in questi rapporti è infatti il diventare astratto degli indivi-
dui, il loro identificarsi e rendersi indistinguibili. Ne deriva
un’universalità che non è mai fatta di relazioni concrete ma so-
lo di relazioni astratte, nelle quali l’individuo si estranea ri-
spetto alla sua specifica identità.
Tutto ciò viene poi confermato e rafforzato nella teoria del-
lo Stato, all’interno della quale – come abbiamo visto – i sog-
getti perdono ogni funzione attiva e ogni ruolo significativo. In
essa la conciliazione fra individuale e universale o fra soggetto
e oggetto si conclude di fatto nella cancellazione della soggetti-
vità dei cittadini, che alla fine si dissolve nella sostanza spiri-
tuale dell’etico e nei suoi rapporti sostanzialistico-oggettivi11.

4.1.3 Due concezioni concorrenti dell’Idea e della libertà


Il modello di libertà e di eticità che si afferma nella Filoso-
fia del diritto ha il suo fondamento nella concezione hegeliana
dell’Idea, così come essa viene elaborata all’interno della Scien-
za della Logica. Essa vi viene rappresentata come costituita da
un processo di autoriflessione senza residui e senza opacità, al-
l’interno del quale ogni presunta immediatezza viene incessan-
temente risolta nella mediazione del pensare12. Ora certamente

11 È perciò difficilmente sostenibile quanto afferma V. HÖSLE (1987a),


secondo il quale con il passaggio dall’eticità allo spirito assoluto si perdereb-
be il punto di vista dell’intersoggettività guadagnato alla fine dello spirito og-
gettivo e si retrocederebbe al punto di vista della soggettività isolata. In realtà
il soggettivismo monologico attraversa interamente la Filosofia del diritto, no-
nostante le molte aperture. Insomma quell’«ultima parola del sistema hege-
liano» costituita dallo «spirito assoluto che si ritrae sempre più nella propria
soggettività», fino a giungere alla «solitudine del filosofo pensante che non
può camminare assieme al mondo» (ivi, p. 53) ha la propria premessa pro-
prio nello spirito oggettivo, del quale non si può dire, come fa Hösle, che es-
so «costituisca l’intersoggettività» (ivi, p. 48).
12 Lo stesso Hösle conviene che il passaggio dall’eticità al punto di vista
dello spirito assoluto sia perfettamente coerente con l’impianto generale del
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 219

alla fine quel processo conduce a un’ultima immediatezza, non


ulteriormente riducibile a mediazione, ma quell’immediatezza,
consistente nel rapporto dell’Idea con se stessa (cioè l’identità
dell’Io con se medesimo), viene svelata da Hegel come nient’al-
tro che la totalità del processo nella sua più pura formalità.
Hegel presenta questa tesi non come un presupposto del
suo sistema ma come la sua conclusione, vale a dire come la
conseguenza di una dimostrazione, come il «risultato» del pro-
cesso logico. Tuttavia egli può pervenire a quella conclusione
secondo cui ogni immediatezza si risolve senza residui in me-
diazione proprio in quanto quelle immediatezze sono fin dal-
l’inizio pensate logicamente, risolte in logicità, sono cioè già
delle mediazioni. In altri termini esse non sono la totalità real-
mente esistente ma quella totalità che è stata addomesticata fin
dall’inizio e che fin da subito è stata posta come riducibile al-
l’Io. D’altra parte la pretesa conclusiva della Logica di risolvere
il processo logico del mediare in una immediatezza conclusiva
(cioè in quell’identità dell’Idea con se stessa che non lascia al-
cun residuo, alcun’altra immediatezza da mediare) rivela quel-
l’immediatezza come una falsa mediazione. Proprio perché ha
cancellato l’alterità essa non ha mediato nulla, non è mai usci-
ta da sé, si è riferita all’altro solo in modo apparente. Una me-
diazione è riferimento a un vero altro, ma se fosse veramente
così quella mediazione sarebbe un infinito mediare che non
potrebbe mai risolversi in immediatezza. Insomma sarebbe im-
possibile quel «riassunto finale» di tutto il processo rappresen-
tato dall’immediatezza ultima dell’Idea assoluta. Se il pensiero

sistema hegeliano e in particolare con le coordinate della Scienza della Logi-


ca. La logica del concetto costituisce infatti il riferimento obbligato per la fi-
losofia dello spirito, e se «Diritto e Stato corrispondono solo alle prime due
sezioni della logica del concetto» bisogna concludere che «solo lo spirito as-
soluto corrisponde alla terza sezione, all’Idea vera e propria» (V. HÖSLE,
1987a, p. 45). Perciò, nonostante lo Hegel della Filosofia del diritto usi – co-
me abbiamo visto – una nozione «oggettivistica» di Idea, alla fine egli fa va-
lere quel significato di Idea, elaborato nella terza sezione della Scienza della
Logica, nel quale si fa evidente il superamento della categoria di «oggettività»
indagata nella seconda sezione di quell’opera: «L’Idea, che è oggetto della
terza sezione, non è proprio questa oggettivazione del concetto ma piuttosto
il suo ritrarsi nella sempre più pura idealità» (ibid.).
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220 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

è confronto con l’altro, con un vero altro, mediazione con es-


so, non potrà mai pretendere di ridurlo a sé e perciò non po-
trà mai esserci un «senso finale» di questo movimento. Il pro-
cesso del mediare non potrà concludersi in un’immediatezza
ultima e le immediatezze che si incontrano lungo il processo
non potranno risolversi in mediazione. L’apertura all’altro fa
saltare in questo modo proprio l’identità hegeliana di media-
zione e immediatezza.
Questi due argomenti, che riassumono in modo formalizza-
to il senso delle obiezioni teoretiche mosse in questi ultimi due
secoli alla pretesa hegeliana di autotrasparenza della totalità,
mettono in discussione radicalmente la nozione hegeliana di
soggetto e la sua pretesa che la soggettività sia quell’assoluto au-
toriferimento, nel quale ogni relazione ad altro comporta la ri-
duzione di quest’altro a quel soggetto medesimo13. L’idea con-
temporanea di un soggetto de-centrato è l’idea di un soggetto
che è tale grazie all’altro: invece di risolvere hegelianamente la
mediazione con l’altro nella mediazione con sé, l’idea contem-
poranea è quella che mostra come la mediazione con sé condu-
ca quel soggetto al di là di sé, alle condizioni extra-soggettive,
non mediabili, che lo hanno reso possibile.
Questa critica alla nozione hegeliana di idea è al tempo stes-
so la messa in discussione della nozione hegeliana di libertà co-
me essere-presso-di-sé, cioè di quel modello di libertà che alla fi-
ne si afferma nella dottrina dell’eticità e che è poi all’origine dei
molti problemi che abbiamo dovuto mettere in luce. Tuttavia,
come abbiamo visto già nel primo capitolo, quel modello di li-
bertà non è l’unico pensato da Hegel. Nella Scienza della Logi-
ca Hegel elabora un concetto alternativo di libertà che abbiamo
13 Siamo ovviamente ben consapevoli che la Scienza della logica intenda
confrontarsi seriamente con il problema dell’alterità e che la sua grande sfida
sia quella di poter parlare di una vera alterità senza mettere in discussione il
primato del logico, e anzi – ancor più radicalmente – che non si possa parlare
di alterità al di fuori del logico (su questa complessa questione rinviamo al sag-
gio di A. BELLAN, 2002). Tuttavia tutto quel complesso confronto con l’alterità
rischia di essere vanificato proprio dalla pretesa conclusiva hegeliana di risol-
vere il processo del mediare in un’immediatezza ultima capace di conservare in
sé tutta la verità del processo. Del resto senza quella pretesa ultima non sareb-
be stato possibile il sistema hegeliano come lo conosciamo noi oggi.
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 221

definito come «essere-presso-di-sé-nell’essere-altro-da-sé». È


quello presente nella definizione del concetto come «rapporto
di sé al differente solo come a se stesso» (GW 12 p. 35, Log II
p. 683). È stato Theunissen ad aver messo nella giusta luce
questa variante eterodossa del concetto di libertà, una variante
che pur costituendo una tendenza minoritaria (e alla fine per-
dente) nell’opera di Hegel, è però presente in modo efficace in
vari luoghi dei suoi scritti. Theunissen dopo averla definita nel
suo saggio sulla Scienza della Logica come «libertà comunicati-
va», l’ha poi ridefinita, con più precisione, come «libertà co-
munitaria» (kommunale Freiheit) nel suo saggio dedicato alla
Filosofia del diritto14, proprio perché pone nel rapporto di re-
ciproca comunanza la condizione dell’essere liberi.
La prevalenza dell’altro modello nella Filosofia del diritto fa
sì che quella variante eterodossa trovi uno sviluppo adeguato
solo nella sezione dedicata alla famiglia e che invece non cono-
sca alcuna prosecuzione nelle altre due sezioni dell’eticità, no-
nostante Hegel ponga nella «Vereinigung», cioè nell’unione, il
«fine» e l’«autentico contenuto» dello Stato (GW 14.1 § 258
nota p. 201, Dir p. 419). Ora a parere di Theunissen questa ri-
soluzione a favore di un’idea di libertà come essere «presso di
sé» e come ciò che «non si relaziona a nient’altro che a se stes-
sa» (GW 14.1 § 23 p. 42, Dir p. 111) non corrisponderebbe al-
l’articolata esposizione della libertà presente nella Scienza del-
la Logica. La sua lettura di quell’opera infatti ritiene che in es-
sa i due modelli alternativi di libertà siano dotati di pari legitti-
mità. Se l’Idea come identità ultima esprime l’istanza di un’au-
toriflessione senza residui, è anche vero che nella Scienza della
Logica Hegel afferma che l’identità con sé implica il riferimen-
to ad altro, afferma cioè che l’altro è condizione del sé e che la
differenza è condizione dell’identità.
Nostra opinione è tuttavia che la condizione per la significa-
tività di questa tesi sia una sola: ammettere che quell’altro cui l’i-
dentità, la soggettività, l’idea si riferiscono, non possa essere dac-
capo ridotto ad esse. La riduzione della differenza all’identità
(quand’anche «in ultima istanza») è la cancellazione della diffe-

14 I riferimenti sono: M. THEUNISSEN, 1978 e M. THEUNISSEN, 1982.


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222 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

renza ed è l’ammissione che essa non era vera differenza. Affin-


ché l’altro sia condizione della mia identità, esso non può veni-
re ridotto a me, ma deve rimanere nella sua indipendenza e ir-
riducibilità. Se viene ridotto a me non è più altro e non ha più
alcun senso sostenere che l’io viene costituito attraverso l’altro.
Lo sviluppo di questa tesi conduce però necessariamente al
di fuori delle coordinate dell’idealismo di Hegel. E tuttavia è an-
cora Hegel a fornirci un modello grazie al quale possiamo da-
re concretezza a quell’idea di libertà comunitaria che attraver-
sa come un filo rosso le sue opere senza avere la parola ultima
e definitiva. Questo modello è rappresentato dalla logica del ri-
conoscimento.

4.2 Eticità e logica del riconoscimento

L’etico e le sue istituzioni sono legittimi, secondo Hegel,


perché sono fondati sulla libertà e ne rappresentano la più alta
manifestazione storica. Per questo, secondo il suo pensiero,
non è necessaria alcuna giustificazione esplicita, né alcun con-
senso pattuito fra i cittadini. È la stessa libertà a legittimare le
sue manifestazioni e l’intera sfera normativa che deriva da essa
e da quelle. Come abbiamo messo in luce si tratta di un proce-
dimento giustificativo rigorosamente monologico: si fonda in-
fatti su quella nozione di Idea come autoriflessione che per He-
gel è la stessa cosa della libertà. L’unica giustificazione di quel-
le istituzioni etiche può perciò essere rinvenuta in quel sapere
assoluto che è la manifestazione nella coscienza filosofica reale
dell’autoriflessione logica dell’Idea.
La normatività (quella che Hegel chiama «il diritto» in ge-
nerale) non è perciò qualcosa che dipenda dalle soggettività in-
dividuali, né dai loro ideali né tantomeno dai loro interessi o
dalla convergenza intersoggettiva delle loro convinzioni mora-
li. Essa dipende solo da una struttura oggettiva, cioè dall’Idea,
ovvero dalla libertà in quanto si autoriconosce.
Questa concezione, che potrebbe essere riassunta nella tesi
del primato dell’oggettività normativa, non è in realtà così con-
trapposta, all’interno dell’opera hegeliana, ad una concezione
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 223

intersoggettivistica del normativo. L’oggettività è infatti spesso


concepita da Hegel come il risultato di un’opera comune. Se-
guendo il percorso della Fenomenologia dello spirito ci si im-
batte in continuazione in strutture oggettive che nascono pro-
prio dalla cooperazione, dall’incontro, dallo scontro delle sog-
gettività individuali. E del resto questa era stata l’idea seguita
da Hegel nelle sue opere del periodo jenese: in esse le norme
etiche e giuridiche erano viste proprio come il risultato del lo-
ro riconoscimento intersoggettivo. Progressivamente era però
andata maturando in lui l’idea che quell’oggettività che scatu-
riva dalle convergenze intersoggettive avesse solo apparente-
mente una genesi a partire dai soggetti, ma che in realtà pree-
sistesse loro come una struttura indipendente, che i soggetti
erano solo chiamati a riconoscere ex post. In questo contesto
nasce e si consolida la stessa nozione hegeliana di spirito: esso
è infatti quel prodotto della cooperazione sociale che però in
verità è condizione di essa.
Ora per scardinare quella nozione oggettivistica e solipsisti-
ca di Idea che è all’origine dei tanti problemi interni alla Filo-
sofia del diritto è necessario ripercorrere a ritroso il cammino
di Hegel, ritornare lì dove quella struttura oggettiva era vista
nella sua genesi intersoggettiva, divaricare i due momenti e
provare a mettere in discussione la risoluzione dell’intersog-
gettività nel processo monologico di autoriflessione. Liberan-
do la teoria hegeliana del riconoscimento dalla sua autocom-
prensione «idealistica» riusciremo finalmente a trovare quella
via alternativa al problema della giustificazione della normati-
vità che finora è sembrato privo di soluzione.

4.2.1 Logica del riconoscimento15


La migliore esposizione sintetica della teoria hegeliana del
riconoscimento, così come essa matura alla conclusione del pe-

15 Ho sviluppato in differenti occasioni le linee generali di una teoria del


riconoscimento che ho voluto qualificare come «normativa» al fine di distin-
guerla da altre teorie concorrenti. L’esposizione più completa rimane ancora
quella espressa nel modo schematico di 163 “tesi provvisorie” (L. CORTELLA,
2005a). Gli altri saggi sull’argomento sono in L. CORTELLA, 2002, pp. 373-
396 e in L. CORTELLA, 2003, 2004, 2005b, 2008a, 2008b, 2010.
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224 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

riodo jenese, si trova nella Fenomenologia dello spirito, giusto


all’inizio di quel celebre paragrafo noto come «dialettica di si-
gnoria e servitù». Così infatti la esprime Hegel: «L’autoco-
scienza è in sé e per sé solo quando e in quanto è in sé e per sé
per un’altra autocoscienza, cioè solo in quanto è qualcosa di ri-
conosciuto» (GW 9 p. 109, Fen p. 275). La si può spiegare nel
modo seguente. La consapevolezza di sé, ciò che consente al
singolo individuo di conoscersi come se stesso e di darsi un’i-
dentità («l’autocoscienza in sé e per sé»), non è un suo pro-
dotto. Non è opera della sua biologia e non è un risultato del-
la sua capacità di riflessione, non proviene né dalla natura né
dallo spirito. L’Io non è materialisticamente un prodotto del
cervello né va inteso idealisticamente come il prodotto dell’au-
toriflessione della soggettività trascendentale. Esso è il risulta-
to dell’incontro con un altro soggetto («in quanto è in sé e per
sé per un’altra autocoscienza») e in particolare è l’esito del ri-
conoscimento di quello nei suoi confronti. È grazie allo sguar-
do dell’altro nei suoi confronti che il soggetto impara a dirige-
re lo sguardo su di sé. L’interiorità non è una sua esclusiva sco-
perta ma si apre a partire dall’attenzione dell’altro. Certamen-
te è necessaria la capacità di introspezione individuale ma quel-
la capacità viene «accesa» dall’interesse altrui. Il soggetto deve
«sentirsi» riconosciuto per sapersi tale ma per ottenere tutto
ciò ha necessariamente «bisogno» dell’intervento di un altro.
Non si tratta però di un generico bisogno di identità quanto
dell’esigenza di sentirsi riconosciuti nella propria umanità.
«Riconoscere» un altro individuo in questo senso specifico
non significa infatti una generica attenzione nei suoi confronti
ma implica un coinvolgimento con la sua sfera personale. E se
differenti possono essere i livelli di questo coinvolgimento –
dal rispetto all’interesse, alla stima, alla cura, fino all’amore –
comune è tuttavia l’atteggiamento generale: riconoscere l’altro
come un soggetto, vedere in lui la medesima umanità che ve-
diamo in noi stessi. Attraverso questa relazione passa perciò
l’affermazione dell’eguaglianza fra tutti gli esseri umani. Al
tempo stesso nell’altro si vede qualcosa di specifico che è ne-
cessariamente diverso da me. Riconoscere qualcuno è vederne
la specificità, valorizzare la differenza che intercorre fra me e
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 225

lui. L’altro è un soggetto come me, ma è anche un «altro», non


è semplicemente un raddoppiamento della mia identità.
Hegel descrive con grande precisione questo processo che
all’interno della Fenomenologia segna la genesi dell’autoco-
scienza a partire dalla semplice coscienza, cioè a partire dalla
semplice esperienza del mondo esterno, ignara della propria
interiorità. In questa attenta diagnosi egli mette in luce un ele-
mento essenziale. Essere riconosciuto da un altro significa con-
temporaneamente riconoscere quest’altro. Io non posso sentir-
mi riconosciuto se non da qualcuno che io ritenga “degno” di
riconoscermi. Ciò spiega la natura reciproca del riconoscere:
non si può essere riconosciuto senza a sua volta riconoscere.
Questa è la logica specifica che regola questo tipo di relazioni.

Il movimento, dunque, è puramente e semplicemente il movimento


duplice delle due autocoscienze. Ciascuna vede l’altra fare la stessa
cosa ch’essa fa; ciascuna fa quello che esige l’altra, e quindi fa quel-
lo che fa, soltanto perché l’altra fa lo stesso. Un’attività unilaterale
sarebbe inutile, perché ciò che deve accadere può realizzarsi solo
mediante il fare identico di entrambe (GW 9 p. 110; Fen p. 277).

Tra le due autocoscienze si impone una logica oggettiva che


entrambe sono costrette a seguire se vogliono essere ricono-
sciute. È – ancora una volta – il grande tema hegeliano del-
l’oggettività della mediazione. In un processo di riconoscimen-
to i soggetti non sono mai solo due: c’è un terzo soggetto ed è
la logica oggettiva cui essi devono assoggettare le loro volontà
individuali. Secondo Hegel qui sta la verità del riconoscimen-
to: vere non sono le due autocoscienze singolari ma quel «me-
dio» che si frappone in mezzo a loro come il vero signore. Si
tratta dello «spirito» che qui si introduce in forma anticipata e
il cui destino – nel corso dell’opera – sarà quello di diventare
l’unico vero soggetto in gioco. La logica monologica dell’Idea
ha alla fine partita vinta sulla logica dialogica del riconosci-
mento. Lo spirito nasce certamente dalla dialettica delle auto-
coscienze ma ciò che viene geneticamente «dopo» viene onto-
logicamente «prima». Alla fine l’autocoscienza, in quanto «dif-
ferente» dalle altre autocoscienze, dovrà riconoscere che la sua
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226 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

è solo una verità limitata e che la sua vera natura sta al di là di


lei: nello spirito, cioè nell’elemento comune in cui tutte le in-
dividualità vengono risolte. E se quello spirito presenterà an-
cora per un tratto dell’opera tratti intersoggettivistici, alla fine
la sua verità consisterà nel suo autoriconoscimento solitario co-
me la verità di tutto il processo.
In realtà quella logica del riconoscimento che indubbia-
mente si pone come una forza oggettiva fra i due soggetti e che
Hegel interpreta idealisticamente come uno «spirito» sta a in-
dicare l’emergere non dell’Idea ma di una normatività etica: ri-
conoscere qualcuno non è infatti solo un atto di conoscenza
ma implica l’attribuzione all’altro di uno status, un valore, una
dignità. Nel mentre lo riconosco io gli conferisco la dignità del-
la persona morale, nei confronti della quale io contraggo con-
temporaneamente degli obblighi. Non si può riconoscere qual-
cuno senza riconoscere e accettare implicitamente l’obbligo
del rispetto nei suoi confronti. Insomma quella che a Hegel ap-
pare solo come una logica, è in realtà un’etica, una serie di nor-
me che noi con quell’atto siamo costretti ad accettare. Qui sta
la genesi della normatività: le nostre fondamentali intuizioni
morali non sono qualcosa di innato ma vengono apprese pro-
prio da quell’originario rapporto che ci lega agli altri. Nel men-
tre si costituisce – grazie all’altro – la nostra identità indivi-
duale, si costituisce anche la nostra capacità morale.
Alle nostre spalle sta dunque una sostanza etica che noi non
possiamo permetterci di negare, perché la sua negazione com-
porterebbe la cancellazione delle basi della nostra stessa iden-
tità e umanità. La nostra soggettività è infatti sia un prodotto
delle relazioni di riconoscimento sia un prodotto della norma-
tività incorporata in quelle relazioni.
Se dunque alla base della soggettività individuale non sta il
riferimento autoriflessivo a se stesso ma il riconoscimento in-
tersoggettivo, ugualmente alla base della libertà individuale
non c’è il rapporto autotrasparente del soggetto che si ricono-
sce identico con se stesso ma il riferimento all’altro. È grazie al
suo riconoscimento che noi abbiamo acquisito la consapevo-
lezza della nostra autonomia e della nostra indipendenza. Que-
ste vengono rafforzate proprio dal continuo rapporto con gli
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 227

altri, dalle conferme che noi riceviamo del nostro valore e del-
la nostra dignità. Come la moralità, anche la libertà si appren-
de e si consolida dentro rapporti di riconoscimento. Come ab-
biamo visto, anche questa è un’altra grande lezione hegeliana:
la tesi che l’indipendenza consiste paradossalmente nel rap-
porto di dipendenza rispetto all’altro. Ma solo all’interno di
una teoria del riconoscimento finalmente emancipata dal rin-
chiudimento idealistico la tesi della libertà come «essere-presso-
di-sé-nell’essere-altro-da-sé» acquista tutta la sua validità senza
il rischio di essere alla fine fagocitata dalla tesi finale della li-
bertà come «essere-per-sé» escludente l’altro. Infatti all’inter-
no di una teoria del riconoscimento la relazione con l’altro non
è una mediazione logica destinata a risolvere l’alterità nel pro-
cesso dell’Idea ma è una relazione pratica, etica, normativa, in
cui l’altro rimane nella sua irriducibilità al sé. Solo in quella ir-
riducibilità esso può svolgere fino in fondo la sua funzione co-
stitutiva nei confronti della soggettività, senza ridurre questo
processo a mera finzione.
La libertà perde qui sia i tratti sovrasensibili che essa aveva
in Kant sia la caratterizzazione ontologica che aveva guadagna-
to con Hegel, il quale ne aveva fatto un attributo dell’assoluto
e della totalità. Essa perciò si manifesta semplicemente come
un’acquisizione storica di individui empirici che la conquista-
no progressivamente attraverso processi di socializzazione. Gli
uomini diventano liberi quanto più diventano sociali, quanto
più imparano l’uso della loro autonomia grazie alle relazioni
con gli altri. Viene qui confermata – pur in un contesto post-
idealistico – la tesi hegeliana della libertà relazionale. Essere li-
beri non significa tenere l’altro lontano da sé ma includerlo al
proprio interno affinché esso diventi la risorsa fondamentale
della nostra autonomia.
In questo quadro, in cui libertà non significa autoriflessio-
ne assolutistica ma relazione intersoggettiva e riconoscimento
di un altro, la teoria dell’eticità può finalmente abbandonare
l’imperativo della trasparenza (4.2.2) e la normatività può ri-
trovare il suo fondamento a partire da un’idea di libertà plura-
le e intersoggettiva (4.2.3).
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228 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

4.2.2 Eticità e alterità


Una libertà che si costituisce grazie a relazioni intersogget-
tive fa dell’eticità non già il luogo della conciliazione soggetto-
oggetto ma il luogo dell’incontro fra i soggetti. Certo quel luo-
go continua a mantenere la sua caratterizzazione oggettiva: in
esso si sono infatti sedimentate proprio quelle relazioni di ri-
conoscimento che hanno assunto forma istituzionale, vale a di-
re le pratiche, le tradizioni, le abitudini, le procedure giuridi-
che, gli scambi economici, i rapporti politici, i riferimenti nor-
mativi. I rapporti di riconoscimento istituzionalizzati sono co-
sì diventati il luogo originario del nostro abitare. Su quel terre-
no si incontrano i soggetti nei differenti modi in cui quelle
«istituzioni» lo rendono possibile e lo veicolano. Ma quell’in-
contro non porta con sé la necessità della conciliazione ideali-
stica: un riconoscimento che si conclude con l’identificazione è
un falso riconoscimento, perché rivela a posteriori che l’altro
non era veramente tale ma solo un raddoppiamento dell’uno.
Analogo è il rapporto instaurato dai soggetti nei confronti
di quel terreno etico in cui essi vivono e che li costituisce. Non
ci potrà mai essere compiuta conciliazione perché le differenti
sfere etiche si manifestano come una risorsa ininterrotta di ri-
ferimenti normativi, mai esaurita dal riconoscimento dei sog-
getti. In esse prevale l’oggettività della tradizione normativa ri-
spetto all’appropriazione soggettivistica di esse. Del resto lo
stesso Hegel aveva mostrato come queste oggettivazioni etiche,
al pari di tante altre oggettivazioni prodotte dal processo mo-
derno della Bildung, mantenessero necessariamente un mo-
mento di estraneità, di mancata appropriazione, di oggettività
non riducibile a quei soggetti che pure le avevano prodotte.
Solo la concezione, dominante in Hegel, che la libertà nella sua
massima realizzazione consistesse nella completa risoluzione di
ogni in sé nel per sé, poteva vedere in quella mancata appro-
priazione una sconfitta, uno scacco, qualcosa contro cui com-
battere. Al contrario, proprio in quella distanza va riconosciu-
ta la ricchezza e, perché no, la bellezza dell’ethos.

Oltre il romanticismo, che si percepiva come dolore cosmico, sof-


ferenza per l’estraniazione, si eleva la parola di Eichendorff «bel-
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 229

la estraneità» (schöne Fremde). La condizione conciliata non an-


netterebbe l’estraneo con imperialismo filosofico, ma troverebbe
la sua felicità se esso pur nella vicinanza tutelata restasse lontano
e diverso, oltre l’eterogeneo e il proprio16.

Con queste parole Adorno prende definitivo congedo da


una teoria dell’estraniazione connotata idealisticamente. L’e-
straneo non è necessariamente qualcosa che procuri sofferen-
za, qualcosa di cui liberarsi per ripristinare su di esso il domi-
nio del soggetto. L’estraneo è qualcosa da cui lo stesso sogget-
to può trovare arricchimento e sostegno, e proprio nella misu-
ra in cui si mantiene estraneo, nella misura in cui conserva tut-
ta la sua distanza senza farsi di nuovo asservire.
Emancipata dalla concezione in cui l’estraneità provocava
non solo dolore ma anche il bisogno della sua annessione, l’e-
ticità moderna si manifesta non più come il luogo della conci-
liazione, ma solo come il luogo dell’abitare, come quell’oggetti-
vità che è casa nostra proprio perché non è sempre riducibile
alle nostre coordinate. Proprio per questo essa si costituisce
come quella condizione vitale che rende possibile la nostra li-
bertà, la nostra moralità e le nostre pratiche quotidiane.

4.2.3 Lo sfondo normativo del riconoscimento e le sfere del-


l’eticità
La sostituzione della logica dell’Idea assoluta hegeliana con
la logica del riconoscimento consente una soluzione diversa al
problema della fondazione dell’eticità. A questo punto abbia-
mo infatti tutti gli elementi per dimostrare che ciò su cui si fon-
da la validità delle sfere etiche è il loro essere costituite dalla lo-
gica del riconoscimento in quanto sfondo normativo inaggirabile.
Non si tratta tanto del riconoscimento soggettivo che ogni
appartenente a quelle sfere opera quotidianamente nei loro
confronti. Certo questo costituisce un elemento indispensabile
per il loro sussistere. Lo stesso Hegel, che non è certo indul-
gente verso le forme di giustificazione soggettiva della norma-
tività, nella Filosofia del diritto introduce esplicitamente questa

16 TH.W. ADORNO, 1966-67, trad. it. p. 172.


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230 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

componente. Tuttavia il riconoscimento intersoggettivo come


fondamento dell’ethos è la parola dello Hegel jenese, non quel-
la dello Hegel maturo. Già la Fenomenologia dello spirito su-
pera quel punto di vista rivelando il movimento dello spirito e
la sua logica oggettiva come il vero soggetto del riconoscimen-
to e il reale fondamento dell’autocoscienza indipendente. La
Filosofia del diritto addirittura capovolge il punto di vista jene-
se: non già una fondazione intersoggettiva delle istituzioni eti-
che ma un fondamento istituzionale, cioè oggettivo, delle rela-
zioni intersoggettive: è grazie alle istituzioni della famiglia, del-
la società civile e dello Stato che noi possiamo stabilire relazio-
ni e possiamo diventare soggetti. Insomma le istituzioni della
libertà sono il vero fondamento della soggettività, della morale
individuale e della stessa intersoggettività.
Rispetto a quest’acquisizione non si tratta di indietreggiare
verso una fondazione soggettivistica dell’etico, ma di assumere
la validità di quella sostanza etico-istituzionale a partire da una
nuova prospettiva: invece di vedere in essa la manifestazione
dell’autoriconoscimento solipsistico della libertà considerarla
come l’oggettivarsi delle relazioni di riconoscimento e della logi-
ca normativa che le attraversa. Il principio fondamentale del ri-
spetto dell’altro, del suo accoglimento, del riconoscimento del-
la sua dignità e autonomia si è incorporato in quelle istituzioni
etiche e costituisce la fonte d’ispirazione del loro operare. In
ciò consiste essenzialmente la loro validità e legittimità.
Non c’è alcun bisogno di ricorrere alla filosofia della storia
(con i suoi presupposti ontologici) per valutare la razionalità
delle istituzioni etiche: esse sono tali in quanto nella loro strut-
tura si sono incarnati rapporti di riconoscimento e in quanto
corrispondono ai principi fondamentali di quello sfondo nor-
mativo che ci ha costituito. Per questo motivo noi esercitiamo
nei loro confronti quella quotidiana inconsapevole legittima-
zione che consiste nell’agire conforme ad esse (quello che Bub-
ner chiamava il «wieder-erkennen», il riconoscimento rinnova-
to, il continuare a riconoscere): perché noi sentiamo operare in
esse quell’ethos che sta alle nostre spalle. Nel momento in cui
si rompesse quella fiducia le istituzioni comincerebbero a va-
cillare nella loro stessa esistenza.
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 231

La logica normativa del riconoscimento però non si mani-


festa mai nella sua astrattezza. Certo noi possiamo sempre ri-
costruire i principi etici che stanno dietro di noi, possiamo cioè
formalizzare l’etica implicita nell’ethos17, mostrandone la nor-
ma fondamentale, l’imperativo morale del riconoscimento del-
l’altro, del suo rispetto, dell’accoglimento nella sua dignità e
autonomia, e articolare – a partire da ciò – le linee generali di
un’etica del riconoscimento. Ma quella ricostruzione non vale
come fondazione: essa può ricostruire solo ciò che è già valido.
E ciò che è già valido e operante mostra se stesso all’interno di
pratiche concrete, di abitudini e istituzioni storiche. Da ciò de-
riva quella che anche in Hegel appare come una caratterizza-
zione plurale dell’ethos. Esso non trova mai realizzazione in una
sola sfera ma in una pluralità di sfere. Come ci sono differenti
modi di essere libero (la libertà giuridica, quella economica,
quella politica, quella morale) ugualmente vi sono differenti
sfere in cui la libertà si realizza: nei rapporti giuridici, in quel-
li economico-sociali, in quelli politici, in quelli affettivi, in
quelli morali.
Opportunamente Axel Honneth ha elaborato a partire dal-
l’originaria articolazione plurale dell’etico operata da Hegel,
un’articolazione plurale delle modalità del riconoscimento18. Egli
ha infatti individuato un riconoscimento affettivo, quello carat-
terizzante i rapporti parentali, amicali e amorosi, in cui quella
relazione si realizza attraverso il medium dell’affetto, dell’ami-
cizia e dell’amore e grazie ai quali si rafforza il sentimento del-
la fiducia di sé. Un secondo tipo di riconoscimento è quello giu-
ridico, nel quale gli individui si rispettano l’un l’altro come per-

17 È evidente che il nostro uso della nozione di «etica» si differenzia no-


tevolmente da quella nozione contestuale, pluralistica e particolare dell’etica
che viene utilizzata nel dibattito contemporaneo. J. HABERMAS (1983 e 1991),
ad esempio, contrappone alla sua proposta di una «morale» universalistica
una nozione di «etica» contestuale e legata alle concezioni soggettive della vi-
ta buona. All’interno della nostra impostazione l’etica indica invece una
struttura normativa del tutto universale, in quanto legata alla formazione del-
la nostra soggettività. In questo senso ci manteniamo nella tradizione di He-
gel, la cui sfida alla modernità consisteva proprio nella proposta di una eti-
cità universale.
18 Cfr. A. HONNETH, 1991 e 1992.
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232 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

sone giuridiche, portatrici di diritti: qui l’individuo viene rico-


nosciuto nella sua astratta universalità, indipendentemente cioè
dal suo corpo, dalle sue idee, dalla sua storia e si forma nella
sua coscienza il fondamentale sentimento del rispetto di sé. La
terza modalità è quella del riconoscimento sociale, caratterizza-
ta dalla stima o dall’apprezzamento che si viene a creare in pre-
senza di certe qualità specifiche della persona. Presupposto di
questo riconoscimento sociale è però quella che Honneth chia-
ma «solidarietà», ovvero la condivisione dei medesimi valori, o
dei medesimi obiettivi o dei medesimi piani di vita. È sulla ba-
se di questi che diventa possibile l’apprezzamento reciproco
delle rispettive qualità. Questo tipo di relazione è però di fon-
damentale importanza perché è grazie ad esso che si forma il
fondamentale sentimento della stima di sé.
Il riferimento ispiratore di questa tripartizione honnethiana
è certamente la Filosofia dello spirito jenese, nella quale però
manca proprio il terzo tipo di riconoscimento (la terza sfera,
dopo quella affettiva e quella giuridica, è in essa rappresentata
dallo Stato, in modo analogo a quanto avverrà nella più tarda
Filosofia del diritto). Nonostante tutti gli sforzi di Honneth di
mostrare le corrispondenze con la teoria hegeliana, non può es-
serci in Hegel quel riconoscimento valoriale proprio perché
manca nella sua concezione l’idea di una comunità costruita at-
torno a valori specifici e ad obiettivi di vita. Se perciò si posso-
no mostrare le affinità tra il riconoscimento affettivo e la sfera
hegeliana della famiglia, o tra il riconoscimento giuridico e la
sfera hegeliana della società civile (regolata dal diritto astratto
e dai rapporti di proprietà) è certamente difficile ricondurre la
terza modalità di riconoscimento alla sfera dello Stato. Questo
vale a maggior ragione per la Filosofia del diritto, dalla quale,
oltretutto, mancano quasi completamente proprio le relazioni
di riconoscimento intersoggettive, come abbiamo avuto modo
di constatare.
Tuttavia la questione fondamentale non sta nella più o me-
no corretta corrispondenza con la teoria hegeliana, quanto
piuttosto nel fatto che la rimozione della sfera dello Stato dal-
la teoria honnethiana comporta la mancanza di una teoria del
riconoscimento politico in senso proprio, cioè quello verticale
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 233

e bi-direzionale che si viene a istituire fra i cittadini e lo Stato19.


E il motivo di ciò sta molto probabilmente nel fatto che, come
abbiamo già avuto modo di sostenere, quello non è un ricono-
scimento intersoggettivo in senso stretto ma un riconoscimen-
to di «secondo livello» (come lo chiamerebbe Siep), cioè un ri-
conoscimento dell’altro mediato dal riconoscimento istituzio-
nale, una modalità che Honneth ha dimostrato di non apprez-
zare. Giustamente R. Forst, nella sua indagine sui differenti
«contesti di giustizia», ha introdotto l’importante distinzione
fra riconoscimento «giuridico» e quello «politico»: nel primo il
soggetto viene riconosciuto come persona giuridica dotata di
diritti, mentre nel secondo egli viene riconosciuto come citta-
dino, dotato di diritti e di responsabilità20. A ciò egli ha inoltre
aggiunto l’importante sfera del riconoscimento «morale», sul-
la base della quale il soggetto viene riconosciuto come persona
degna di quel riguardo morale (Achtung) che va accuratamen-
te distinto dal rispetto giuridico (Respekt)21. In questo tipo di
riconoscimento non c’è comune condivisione né di valori né di
norme giuridiche ma l’appartenenza alla medesima umanità: se
da un lato le persone morali si vedono come degli estranei, per-
ché non appartengono alla stessa famiglia né alla stessa comu-
nità né alla stessa nazione, tuttavia si attribuiscono reciproca-
mente la medesima dignità umana. Il riconoscimento morale
va al di là di ogni confine e di ogni differenza di genere, di na-
zionalità, di status. In esso si esprime al massimo livello quel-

19 Su questo punto torno a rinviare a L. CORTELLA, 2008b.


20 R. FORST, 1994, pp. 424-437. Nel caratterizzare il riconoscimento po-
litico come sfera a sé stante, Forst critica il tentativo honnethiano di collo-
care la stima sociale nell’ambito della comunità politica: tale possibilità si
realizzerebbe, a suo parere, solo al prezzo di ricomprendere la comunità po-
litica come una comunità «etica» (nel senso habermasiano), cioè come una
comunità fondata sulla condivisione degli stessi orientamenti valoriali (ivi,
pp. 422-423). Se questa osservazione ci sembra corretta, non comprendiamo
tuttavia il motivo che spinge poi Forst a correggere la differenziazione hon-
nethiana fra la sfera della stima sociale e quella dell’amore familiare, accor-
pandole nel medesimo contesto del riconoscimento «etico»: a nostro avviso
il medium relazionale dell’affetto non ha nulla a che vedere con la condivi-
sione «etica» di valori e piani di vita e va perciò mantenuto distinto da essa.
21 Ivi, pp. 420-421.
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234 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

l’universalità dell’ethos che abbiamo individuato come costitu-


tiva di tutte le relazioni normative.
Sulla base di queste ultime indicazioni possiamo dunque
correggere sia la tripartizione hegeliana, sia quella honnethiana,
distinguendo almeno cinque differenti sfere dell’eticità: quella
affettiva (famiglia), quella giuridica (società civile), quella poli-
tica (Stato), quella valoriale (comunità), quella morale (uma-
nità). In tutti questi ambiti si sono istituzionalizzati i rapporti di
riconoscimento e la specifica normatività universale che li ca-
ratterizza. Dall’operare di queste sfere etiche noi apprendiamo
ad amare, a rispettare gli altri soggetti di diritti e a seguire le
norme giuridiche, ad esercitare i nostri doveri e diritti di citta-
dinanza, ad apprezzare e stimare coloro ai quali ci legano co-
muni ideali, ad avere riguardo morale per tutta l’umanità.
Il merito di Hegel, al di là delle modalità concrete in cui ha
articolato queste sfere, sta nel non essersi indirizzato verso la
teorizzazione dei principi universali dello sfondo etico, nell’a-
ver evitato la facile via filosofica della riflessione trascendenta-
le sulla normatività che sta alle nostre spalle, e di essersi orien-
tato invece verso un’esposizione della nostra eticità nelle sue
articolazioni concrete, nelle sue pratiche, nelle sue tradizioni,
nelle sue istituzioni. La sua non è un’eticità formale ma stori-
camente «incarnata» perché è solo da questa che noi possiamo
apprendere le indicazioni per le nostre pratiche nei loro diffe-
renti livelli. Questo approccio espone certamente Hegel agli
inevitabili elementi di contingenza, ma non gli sottrae il meri-
to storico:

[Quello di aver tenacemente mantenuto] l’idea aristotelica della


sua giovinezza, secondo la quale nella società moderna i principi
normativi della libertà comunicativa non devono essere fissati in
forma di prescrizioni comportamentali esterne o di leggi mera-
mente obbligatorie, ma hanno bisogno invece dell’esercizio prati-
co nei costumi e nei modi di comportamento abitualizzati, al fine
di perdere in questo modo ogni residuo di eteronomia22.

22 A. HONNETH, 2001, trad. it. pp. 45-46.


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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 235

Ma allora, se lo sforzo dello Hegel maturo è quello di mo-


strare come in quelle istituzioni etiche si sia realizzata la logica
dell’idea nella trasparenza a se stessa, il nostro compito è inve-
ce quello di dimostrare come in esse si sia oggettivata e incor-
porata una logica e un’etica del riconoscimento. A questo pun-
to diventa di nuovo possibile ripensare la sfera politica della
nostra modernità, la sfera politica democratica, non solo come
un prodotto dell’ethos del riconoscimento ma come ethos essa
stessa, come fonte normativa della nostra identità pubblica.

4.3 La democrazia come ethos

L’occasione che ci viene offerta dalla Filosofia del diritto he-


geliana è quella di attuare un ripensamento del significato del-
la concezione politica democratica, cercando di individuare
anche all’interno della forma contemporanea di Stato quell’eti-
cità che Hegel ha attribuito allo Stato moderno. Invece di con-
siderare la democrazia una più raffinata tecnica di distribuzio-
ne del potere e di ottenimento del consenso si tratta piuttosto
di ripensarla come quella nuova comunità che è sorta sulle ce-
neri delle vecchie comunità tradizionali, quelle legate a luoghi
specifici, a memorie di gruppo, a usi e costumi tramandati dai
padri. Non è vero che l’uomo contemporaneo sia del tutto pri-
vo di legami comunitari: alla dissoluzione del vecchio ethos è
seguita infatti la costituzione di una nuova eticità, caratterizza-
ta da regole universali e impersonali, che – nonostante questo
– hanno saputo rappresentare per il cittadino democratico un
nuovo assetto col quale identificarsi. L’uomo contemporaneo
ha fatto delle regole impersonali dello Stato di diritto il suo
nuovo habitat, la sua nuova casa. Si è abituato alla legalità, alla
responsabilità giuridica, alla partecipazione attiva in una sfera
pubblica che va molto al di là dei vecchi confini che caratteriz-
zavano la sua casa, la sua famiglia o il suo villaggio. Questa am-
pia sfera pubblica ha saputo efficacemente sostituire quei vec-
chi legami. La reiterazione delle pratiche giuridiche, civili, po-
litiche, il loro diventare quotidiana incombenza e abitudine, ha
finito per renderle parte costitutiva della natura interiore del
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236 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

cittadino democratico, cessando perciò di rappresentare per


lui un elemento di coercizione esterna e di eteronomia. Al con-
trario esse diventano sempre più un fattore di motivazione in-
terna per i suoi comportamenti e per la pianificazione del suo
agire. Proprio perché in quelle pratiche egli vede la garanzia
della propria libertà non le considera più dei comandi esterni
cui ubbidire ma qualcosa in cui riconoscere la sua stessa auto-
nomia. La democratizzazione dello Stato ha infatti aumentato
proprio quel processo di internalizzazione dei comportamenti
legali che già Hegel aveva posto al centro della sua concezione
etica dello Stato. Lo aveva intuito molto bene parecchi anni fa
Guido Calogero.

Più una situazione è civile, più vi domina una ben distribuita e


ben costumata libertà, e meno è necessario intervenire con la for-
za: i codici penali possono essere applicati più di rado, le pene so-
no meno severe, la polizia va in giro senz’armi, mentre i cittadini
hanno tanto senso civile che possono, come accade in Svizzera,
portarsi a casa l’armamento bellico, senza che perciò ci sia rischio
che l’usino per una guerra civile23.

In altri termini, come scrive Bubner, la legalità è ormai en-


trata a far parte «in modo assolutamente preponderante» della
nostra Lebenswelt. «Qualunque sia la posizione che si tenga di
fronte a questa attuale tendenza, non vi è alcun dubbio che nel-
l’epoca moderna mondo vitale e diritto convergano»24. Torna
qui a farsi sentire la parola di Hegel quando egli definiva la li-
bertà l’«essere-presso-di-sé-nell’essere-altro-da-sé». Quell’«al-
tro» presso cui noi non ci sentiamo più estranei ma a casa no-
stra è proprio la legalità. È questa la nuova casa dei moderni.
Scrive Schnädelbach:

La legalità concerne le condizioni della libertà nel rapporto este-


riore che gli uomini intrattengono gli uni con gli altri. Proprio
questo momento dell’esteriorità, di cui il tradizionalista si lamen-
ta, noi lo sperimentiamo soggettivamente come la condizione di

23 G. CALOGERO, 1962, p. 370.


24 R. BUBNER, 1996, p. 189.
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 237

base per la nostra libertà individuale nel mondo vitale moderno; la


legalità è il più importante elemento non-aristotelico di ciò che
noi possiamo comprendere come il nostro ethos25.

Se l’ethos tradizionale (quello rappresentato dal modello


aristotelico) si reggeva su legami comunitari personali, su ob-
blighi tramandati direttamente di padre in figlio, su tradizioni
locali, l’ethos della modernità è rappresentato dalla forza im-
personale della legalità, una forza che però non viene più per-
cepita come costrizione esteriore ma come condizione della li-
bertà individuale. E questa forza impersonale si caratterizza di
fronte all’ethos tradizionale proprio per i suoi tratti universali-
stici: «una Lebenswelt in cui siano istituzionalizzati principi
universali a garanzia della libertà individuale incarna un ethos
non solo storico-contingente ma universal-razionale, e con es-
so si può essere “conciliati” anche come individui razionali che
ribadiscano la loro autonomia razionale»26.
Assume perciò un senso preciso l’utilizzo dell’impegnativa
espressione «eticità democratica» all’interno di questo conte-
sto. Come scrive Wellmer, essa sta a indicare «una abitualizza-
zione di comportamenti liberali e democratici» ottenuti «gra-
zie al loro sostenersi su corrispondenti istituzioni, tradizioni e
pratiche»27. Le cosiddette «virtù repubblicane» sono costituite
da questa internalizzazione – nella struttura motivazionale e
nei comportamenti dei cittadini – delle procedure legali dello
Stato di diritto, «nient’altro che l’espressione di una abitualiz-
zazione di comportamenti liberali e democratici»28. Nulla di

25 H. SCHNÄDELBACH, 1986, p. 57.


26 Ivi, pp. 56-57.
27 A. WELLMER, 1993, p. 67.
28 Ivi, p. 70. L’espressione «eticità democratica» sorge nel contesto della
recezione tedesca del dibattito fra liberali e comunitari, come tentativo di uti-
lizzare la concettualità hegeliana al fine di comporre le sollecitazioni comu-
nitarie all’interno di un paradigma universalistico. Albrecht Wellmer la in-
troduce per la prima volta in un saggio scritto in inglese nel 1989 dal titolo
Models of Freedom in the Modern World, poi in A. WELLMER, 1993, pp. 15-53
(in particolare p. 28). Ripresa da A. HONNETH (1991), mostra fin da subito
il suo evidente debito nei confronti della teoria hegeliana dell’eticità: «L’idea
di un ethos post-tradizionale e democratico», scrive Honneth, «venne svi-
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238 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

eroico e di straordinario, ma proprio quella quotidiana «fe-


deltà» alle istituzioni statali che Hegel qualificava come «pa-
triottismo». Senza di esse si perde la sostanza di quella che Ha-
bermas chiama «democrazia deliberativa», un modello di par-
tecipazione alla vita politica che ha nella formazione dell’opi-
nione pubblica e nei processi di formazione libera e discorsiva
del consenso la sua base di funzionamento e legittimazione.

4.3.1 I caratteri fondamentali di un’eticità democratica


La tesi di Habermas è che una cultura liberale, le associa-
zioni di cittadini, la partecipazione alla cosa pubblica siano
delle pre-condizioni essenziali per la politica deliberativa. In
questa sfera si devono stabilizzare dei comportamenti, delle
pratiche, delle abitudini che consentano di rendere meno pre-
caria l’osservanza delle leggi e delle prescrizioni che provengo-
no dalla sfera politica. Queste trovano accoglimento nella cit-
tadinanza non solo grazie al «filtro discorsivo» (in base al qua-
le è legittimo solo ciò che è argomentativamente giustificato in
un contesto pubblico) e neppure solo grazie alla forza coattiva
del diritto. Per la stabilizzazione dei comportamenti legali è ne-
cessaria quella sfera intermedia costituita proprio dalle abitu-
dini democratiche: non la precaria (anche se indispensabile)
giustificazione razionale e nemmeno solo la paura per la san-
zione ma la motivazione interiore. Insomma la democrazia fun-
ziona non solo in presenza di procedure “formali” democrati-
che ma grazie a una “sostanza” etica e culturale che consente a
quelle procedure di essere “motivazionalmente” accolte.

luppata per la prima volta dal giovane Hegel, e successivamente è stata ul-
teriormente elaborata, sotto premesse post-metafisiche, da Mead» (trad. it.
p. 38). Wellmer la ripropone in un convegno dal titolo Gemeinschaft und
Gerechtigkeit, dedicato proprio al confronto fra liberalismo e comunitari-
smo, tenuto a Francoforte nel maggio 1992 (cfr. M. BRUMLIK - H. BRUNK-
HORST [1993]), con una relazione dal titolo Bedingungen einer demokrati-
schen Kultur. Zur Debatte zwischen Liberalen und Kommunitaristen (poi in
A. WELLMER, 1993, pp. 54-80). Ripresa anche da R. FORST (1994), viene ri-
proposta alla fine anche da un pensatore come J. HABERMAS (1996, p. 19),
noto per il suo approccio procedurale e formalistico nell’affrontare le que-
stioni pratiche.
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 239

Le comunicazioni politiche già filtrate in senso discorsivo dipendo-


no sempre da risorse del mondo della vita – da una cultura politica
liberale, da una socializzazione politica illuminata, dalle iniziative di
associazioni che fanno opinione – le quali in larga misura si creano
e si rigenerano spontaneamente, e che comunque sono relativa-
mente sottratte agli interventi diretti dell’apparato politico29.

Non è questa sfera a dipendere dal potere politico ma è il po-


tere politico a dipendere dal funzionamento di questo sfondo.
Insomma i principi dello Stato democratico devono essere «an-
corati» nelle motivazioni dei cittadini, un ancoramento che si
manifesta in un’abitudine a comportarsi secondo la logica della
libertà, secondo la logica dei diritti e dei doveri, dell’autonomia
e della responsabilità. È quest’abitudine all’esercizio della libertà
ciò che anche Habermas ritiene di definire ethos democratico30.

29 J. HABERMAS, 1992, trad. it. p. 357.


30 «Si può tranquillamente intendere questa “recettività” nel senso di una
“eticità post-convenzionale”, ovvero di un ethos democratico» (J. HABERMAS,
1996b, trad. it. p. 19). Va tuttavia aggiunto che questa adesione habermasiana
all’idea di un’eticità democratica non è senza riserve. Egli precisa infatti che
essa va assunta in una «versione debole», secondo la quale «non si può accol-
lare interamente l’onere di legittimazione del diritto positivo alla virtù politica
dei cittadini associati» (ivi, p. 20). In altri termini l’eticità va intesa come una
pre-condizione psicologico-funzionale alle necessità dello Stato democratico
ma non come una condizione pienamente legittimante. Questa riposa esclusi-
vamente sulla formalità argomentativa: «I processi dibattimentali e deliberati-
vi devono essere organizzati in maniera tale che i discorsi e le trattative fun-
zionino come dei “filtri”, lasciando passare soltanto quei temi e quei contri-
buti di cui si può presumere la rilevanza ai fini della decisione» (ibid.). Anche
secondo Ceppa «l’espressione “eticità post-convenzionale” ha in Habermas la
stessa ambivalenza semantica del “patriottismo costituzionale”: in entrambi i
casi si tratta di coniugare [...] l’universalismo della validità al particolarismo
della fattualità» (L. CEPPA, 2009, pp. 19-20). Ma questa coniugazione non è al-
la pari: il bene, cioè lo sfondo etico, ha solo una «priorità genetica» (ivi, p. 21)
sul giusto ma non una «priorità metodologica» (ivi, p. 20), vale a dire le abi-
tudini liberaldemocratiche precedono le procedure argomentative ma non le
possono sostituire. Habermas resta, sotto questo profilo, un kantiano che non
accetta (anche quando «esalta l’eticità hegeliana contro la moralità di Kant»
[ivi, p. 21]) di far dipendere, anche dal punto di vista della giustificazione, l’u-
niversalità delle norme dall’etica che sta alle nostre spalle. A nostro avviso
questa pretesa formalista che pone l’intero onere della giustificazione nella
procedura discorsiva è tuttavia destinata a rimanere insoddisfatta, per almeno
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 240

240 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Questa eticità contemporanea non è importante solo per la


funzione legittimante ma anche per la funzione educatrice che es-
sa esercita nei confronti dei cittadini. Se la democrazia esige co-
me sua precondizione la libertà di giudizio e l’esercizio dell’au-
tonomia, questa precondizione dipende sempre più dalla bontà
dello sfondo etico in cui si formano quei soggetti. Non possiamo
più presupporre la costituzione autonoma dell’individuo indi-
pendentemente dai processi sociali e culturali che contribuisco-
no a formarla. Quella concezione dell’individuo «libero e razio-
nale» nel suo isolamento dalla società appartiene ormai solo alle
rappresentazioni ideologiche della prima modernità.

Con ciò l’onere della dimostrazione si sposta dalla morale dei cit-
tadini a quei procedimenti della formazione dell’opinione e della
volontà che sono destinati a fondare la presunzione di raggiunge-
re risultati razionali31.

Per dirla con le parole di Ceppa, «l’autonomia del cittadino


non sta più nella sua aprioristica virtù morale, di stampo rous-
seauiano o kantiano, ma è il risultato della socializzazione poli-
tica, ossia l’effetto delle procedure con cui viene struttural-
mente formata l’opinione e la volontà collettiva»32. In altri ter-
mini: l’autonomia individuale non rischia di essere soffocata
dall’eticità democratica ma da essa viene rafforzata e addirittu-
ra costituita. Lo ribadisce anche M. Walzer, secondo il quale il
sé liberale non è un «sé pre-sociale» (come vorrebbe la tradi-
zione liberale classica) ma un «sé post-sociale»33, un’individua-

due ragioni. La prima è che lo sfondo etico non può essere neutralizzato da
nessun tipo di procedura formale: esso entra dentro le argomentazioni e con-
diziona gli accordi razionali che sulla base di quelle argomentazioni vengono
raggiunti. La seconda è che senza quello sfondo etico condiviso non sarebbe
nemmeno possibile il confronto argomentativo: nessun dialogo e nessun ac-
cordo è immaginabile fra individui che non si siano reciprocamente ricono-
sciuti e che non si siano accettati come “degni” di partecipare assieme a una
discussione. Insomma l’eticità contemporanea è costitutiva della legittimità
democratica sia nel senso della genesi sia in quello della validità.
31 J. HABERMAS, 1990, trad. it. p. XXXII.
32 L. CEPPA, 2009, p. 121.
33 M. WALZER, 1990, p. 21.
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 241

lità che non sussiste precedentemente alla società ma ne è lo


specifico prodotto. Sotto questo profilo la società contempo-
ranea continua a svolgere la sua funzione «etica», nel senso eti-
mologico dell’abitare, dato che essa viene a costituire una vera
e propria «culla» per l’individualità autonoma moderna.
Walzer perciò riconosce la validità del punto di vista comu-
nitario quando questi sostiene la condizione «situata» del sé, la
sua dipendenza dal contesto, la persistenza della sua colloca-
zione «interna» a una comunità. Quando però questa è la co-
munità liberale, l’individuo che essa produce non è più quello
incapace di autonomia e riflessività critica dell’ethos tradiziona-
le, ma quello caratterizzato dalla cultura dei diritti individuali.

Se noi siamo dei Sé situati, come sostiene la seconda critica dei co-
munitari, allora il nostro essere situati è largamente catturato da
quel vocabolario [costituito dal] linguaggio dei diritti individuali –
libertà di associazione volontaria, pluralismo, tolleranza, separazio-
ne, privacy, libertà di parola, apertura della carriera al talento, etc.34

L’eticità democratica rappresenta una «nuova comunità»


proprio perché «costituisce» degli individui capaci di riflette-
re criticamente e di prendere le distanze dalla stessa eticità che
li ha costituiti. E quando si raggiunge questo risultato signifi-
ca che quell’eticità ha svolto compiutamente il suo ruolo e la
sua funzione35.
Ma accanto alla formazione di individualità autonome la
sfera dell’eticità pubblica crea soprattutto dei cittadini leali, ca-
paci di senso civico, responsabili. Questo non può essere però
un compito di competenza esclusiva dello Stato: a tal fine è ne-
cessario il lavoro anche delle altre sfere etiche, cioè la famiglia

34 Ivi, p. 14.
35 Ciò spiega il problema della difficile convivenza fra questo individuo di-
venuto autonomo e le istituzioni etiche che lo hanno generato. A differenza di
quanto pensava Hegel, non è quindi possibile una completa conciliazione fra
questo individuo e la totalità sociale. Proprio il mancato raggiungimento di
quella conciliazione rende invece strutturalmente instabile – nonostante la
presenza di numerosi elementi di identificazione reciproca – la relazione fra
l’individualità da un lato e il mondo del diritto e della legalità dall’altro.
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 242

242 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

e, soprattutto, la società. «La produzione e riproduzione di


lealtà, senso civico, competenza politica e fiducia nell’autorità
non sono mai opera del solo Stato»36 ma sono rese possibili da
quell’insieme di associazioni civili basate sulla partecipazione
dei cittadini che si radicano all’interno della società civile. Ov-
viamente la «civil society» di Walzer non è la «bürgerliche Ge-
sellschaft» di Hegel, almeno non nel suo aspetto più economi-
cistico e naturalistico, quello espresso dal «sistema dei biso-
gni». Essa può però essere riferita a quella componente asso-
ciazionistica che lo stesso Hegel aveva individuato all’interno
di quella sfera, teorizzando il ruolo e la funzione delle corpo-
razioni. È in quell’ambito che la natura etica della società civi-
le, cioè la sua capacità formativa nei confronti dei cittadini, tro-
va il suo terreno di radicamento.

Solo uno Stato democratico può creare una società civile demo-
cratica; solo una società civile democratica può sostenere uno Sta-
to democratico. L’educazione civile che rende possibile la politica
democratica può essere appresa solo nelle reti di associazioni; le
capacità più o meno uguali e largamente disseminate che sosten-
gono le reti devono essere alimentate dallo Stato democratico37.

Questo carattere etico-formativo della società civile e dello


Stato democratico viene ulteriormente accentuato nella versio-
ne wellmeriana dell’ethos contemporaneo. La compiuta realiz-
zazione delle istanze hegeliane all’interno della nostra epoca
dovrebbe infatti consistere nella concretizzazione a livello po-
litico dell’idea di una libertà relazionale. In sostanza l’ethos non
dovrebbe limitarsi a educare l’autonomia di giudizio e la capa-
cità critica dei singoli cittadini ma anche la loro disponibilità a
promuovere la libertà di tutti. In ciò la libertà negativa arrive-
rebbe al suo compimento come libertà comunitaria (kommu-
nale Freiheit). Tutti devono essere messi nella condizione di es-
sere liberi e presupposto di ciò è che tale obiettivo diventi un
fine delle istituzioni politiche.

36 M. WALZER, 1991, p. 301.


37 Ivi, p. 302.
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 243

La libertà comunitaria (kommunal) è una libertà che – attraverso


le istituzioni e le pratiche di una società, attraverso l’autoconsa-
pevolezza, l’interesse e le abitudini dei cittadini – è diventata un
fine comune. La libertà negativa trasforma il suo carattere se di-
venta una faccenda comune. In questo caso noi non vogliamo so-
lo la nostra propria libertà ma il massimo di autodeterminazione
per tutti38.

La libertà comunitaria è infatti la stessa libertà negativa che


da diritto del singolo è diventata finalità comune di un’intera so-
cietà. Qui le istanze hegeliane trovano la loro prosecuzione non
solo nello Stato democratico ma fin dentro le strutture dello Sta-
to sociale, quello Stato che si pone l’obiettivo di mettere tutti
nelle condizioni di esercitare fino in fondo i loro diritti di libertà.
E tuttavia la continuazione contemporanea del progetto po-
litico contenuto nella teoria hegeliana dell’eticità diventa pie-
namente possibile solo se vengono introdotti nuovi elementi
che rappresentino una rottura con le coordinate entro le quali
si muove la teoria hegeliana dello Stato. Abbiamo ritenuto di
definire questa soluzione di continuità nei termini di una «de-
mocratizzazione» di Hegel.

4.3.2 La democratizzazione di Hegel


Il punto di rottura fondamentale tra l’idea di un ethos de-
mocratico e la concezione hegeliana dello Stato riguarda quel-
la caratterizzazione sostanzialistica della sfera etica che in He-
gel ha un ruolo così centrale. La configurazione politica demo-
cratica non può infatti ammettere l’immunizzazione delle isti-
tuzioni dalla presa di distanza critica dei cittadini e dalla loro
possibile trasformazione. Come scrive Wellmer nel concetto di
eticità democratica bisognerebbe pensare la compatibilità di
forme abitudinarie dei comportamenti democratici con «l’as-
senza di una sostanza etica sottratta alla critica». Insomma il
diventare tradizione da parte della «tolleranza etica, della ra-
zionalità critica e della autodeterminazione democratica» non
deve impedire la presa di distanza riflessiva nei confronti delle

38 A. WELLMER, 1993, p. 50.


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244 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

istituzioni che rendono possibile quella forma di vita. Perciò


«un’eticità democratica sarebbe un’eticità di secondo livello;
un’eticità al di là del punto di vista dell’eticità»39.
Ciò viene confermato anche da un’osservazione di Schaber,
secondo il quale l’eticità nel moderno non è più un dato quasi-
naturale su cui gli uomini non possono esercitare un’azione di
trasformazione. Essa non è un’invariante rispetto alla quale l’u-
nico atteggiamento ammissibile sarebbe quello della presa
d’atto così come si accetta l’esistenza del sole, della luna e de-
gli astri celesti. Il nuovo ethos, sorto dopo la consunzione di
quello di stampo naturalistico e sostanziale della tradizione, è
un ethos post-tradizionale, cioè «costruito» e artificiale, il che
significa «che si costituisce sempre più frequentemente attra-
verso i processi culturali di formazione (Bildungsprozesse)»40.
Nelle condizioni moderne è la Bildung il soggetto costitutivo
dell’eticità e questa diventa semplicemente una «costruzione»
della libertà umana. Ciò significa che quella parte essenziale
dell’eticità moderna costituita dal diritto non può più essere in-
tesa come fondata sulla natura delle cose: «Il diritto naturale
viene ora compreso come ciò che esso è in se stesso: come
qualcosa di posto»41.
Ora, secondo l’interpretazione di Wellmer questa concezio-
ne post-sostanzialistica dell’ethos costituirebbe già la proposta
di Hegel42, dato che l’eticità per lui rappresenta la realizzazio-
ne storica dell’idea di libertà pensata dai moderni e quindi es-
sa avrebbe tutti i requisiti per essere considerata un’eticità di
secondo livello. E tuttavia, come abbiamo avuto modo di mo-
strare, è evidente in Hegel il tentativo di immunizzare le istitu-
zioni dalla critica soggettiva, così come è altrettanto palese la
sottovalutazione del contributo attivo dei cittadini, ridotto al
mero esercizio di assenso nei confronti dello Stato. Diventa
perciò necessario rendere coerente con le sue idee fondamen-

39
Ivi, p. 28 (corsivo nostro).
40
P. SCHABER, 1989, p. 133.
41 Ibid.
42 «La Filosofia del diritto di Hegel è il tentativo di costruire il concetto
di un’eticità al di là del punto di vista dell’eticità» (A. WELLMER, 1993, p. 28).
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 245

tali, qualificate dalle istanze della libertà e dell’universalità, la


concezione hegeliana dello Stato moderno. Ciò significa deli-
neare un’eticità post-tradizionale caratterizzata nel senso della
formalità (a), del pluralismo (b), dell’universalità (c), del defla-
zionamento della dimensione politico statale (d).

(a) Un’eticità formale. Che cosa significa concepire un ethos


post-sostanziale e artificiale? Significa rinunciare all’idea che
esso costituisca una forma di vita identitaria che comporti l’e-
sclusione di concezioni di vita alternative. La sua unica sostan-
za è infatti costituita da regole formali la cui funzione è quella
di disciplinare la convivenza di «sostanze» differenti. Sono le
regole a costituire la forma di vita nelle democrazie contempora-
nee: «al di là del discorso democratico non c’è infatti alcuna so-
stanza etica che si lasci fondare o cementare in una forma vin-
colante, sia essa filosofica o teologica»43. L’idea hegeliana se-
condo cui l’eticità moderna consiste nel farsi sostanza da parte
della libertà si potrebbe qui tradurre nella nuova idea secondo
cui sono le regole a diventare per il cittadino democratico con-
temporaneo l’unica sostanza. Certo, anche la democrazia con-
temporanea si regge su comportamenti abitualizzati e su tradi-
zioni ma questi sono costituiti solo dalle nostre «procedure»,
cioè dall’idea di fondo che i conflitti vanno risolti attraverso la
forma discorsiva, cioè attraverso il confronto democratico.

Si potrebbe illustrare la parola «procedurale» in questo modo: es-


sa designa un modalità di rapportarsi con conflitti e dissensi, per
la quale l’orientamento alle condizioni normative del discorso de-
mocratico se non rappresenta l’unico filo conduttore certamente
rappresenta l’unico filo conduttore inaggirabile nella formazione
del giudizio44.

I conflitti non si risolvono escludendo coloro che sono por-


tatori di valori differenti ma pretendendo da tutti di utilizzare
le procedure democratiche per comporre le loro contese. Ciò

43 Ivi, p. 67.
44 Ivi, p. 68.
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246 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

che un’eticità democratica chiede ai suoi cittadini non è perciò


l’accettazione di una specifica forma di vita ma solo la lealtà
verso il sistema giuridico della libertà.
Come scrive Habermas a proposito del problema dell’assi-
milazione degli immigrati extraeuropei nei paesi occidentali, lo
stile democratico nella soluzione di quel problema non deve
comportare l’imposizione di «mentalità, pratiche e abitudini
della cultura indigena in tutto il loro ventaglio» ma la fonda-
mentale accettazione dei «principi costituzionali». Invece di
perseguire una «integrazione etico-culturale» che ci farebbe ri-
cadere in una concezione etnica e pre-moderna dell’eticità e
che inciderebbe «sull’identità originaria degli immigrati in ma-
niera assai più profonda», bisognerebbe piuttosto intrapren-
dere un percorso ispirato proprio all’idea di fondo dell’eticità
post-tradizionale. Anch’essa è infatti una comunità e la sua
identità «va certo difesa anche nei confronti dell’immigrazio-
ne» e tuttavia quell’identità non è costituita da valori discrimi-
natori o da forme di vita assolutizzate. Al contrario, quell’i-
dentità «si lega ai principi costituzionali ancorati nella cultura
politica e non agli orientamenti etici di una particolare forma di
vita culturale prevalente nel paese»45.
Insomma solo un’eticità formale, cioè procedurale, può es-
sere la base per la convivenza di forme di vita altrimenti in-
compatibili. Ciò però non significa la conciliazione delle diffe-
renze, secondo un modello idealistico non più riproponibile
nella condizione contemporanea. L’eticità non «dissolve» il
conflitto sociale e politico ma si limita a «regolarlo» e a forni-
re gli strumenti per le sue differenti e progressive soluzioni.

(b) Un’eticità pluralista. Ha ancora un senso utilizzare la ca-


tegoria metafisica del bene all’interno di un’eticità post-tradi-
zionale? Possiamo ancora parlare di un «bene comune» quando
le nostre società sono caratterizzate da una molteplicità, a volte
conflittuale, di concezioni del bene? Proprio sulla base di con-
siderazioni del genere la prospettiva etico-politica neo-kantiana
ha ormai da tempo proposto di sostituire la categoria sostanzia-

45 J. HABERMAS, 1996a, pp. 98 e 99.


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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 247

le del «bene» con quella formale del «giusto». La prima infatti


è legata a specifiche visioni del mondo e della vita, mentre la se-
conda prescinde da visioni sostanziali per far valere solo quelle
norme universali su cui i soggetti, pur in possesso di filosofie
della vita diverse, possono convergere. Ma allora è proprio que-
sto il «bene» che sta alla base dell’eticità post-tradizionale. Essa
è attraversata da un unico bene comune, quello consistente nel-
l’incrocio e nell’incontro fra quelle differenti idee del bene, o
più precisamente: esso è costituito da quella condizione norma-
tiva e istituzionale che rende possibile quella pluralità.

Il concetto di un’eticità democratica definisce con ciò non già un


determinato contenuto della buona vita ma solo la forma di una
coesistenza, al tempo stesso egualitaria e comunicativa, di una
molteplicità di idee del bene in concorrenza fra di loro46.

Il vero bene comune della democrazia è la difesa della plu-


ralità di beni che l’attraversano. Invece di ridurre le differenze
culturali a una sola identità comune essa costituisce l’unica ve-
ra difesa della loro irriducibile non-identità.

L’unico bene comune, nel senso di un bene vincolante per tutti,


può consistere solo nella realizzazione e difesa di quei principi li-
berali e democratici che possono costituire l’unica possibile pro-
tezione delle particolari tradizioni e identità culturali dalla distru-
zione violenta47.

L’eticità post-tradizionale non solo difende il pluralismo ma


è una vera e propria «scuola» che educa al pluralismo. In altri
termini, in essa il pluralismo di opzioni e di forme di vita è di-
ventato tradizione, abito, convivenza quotidiana. La nuova co-
munità in cui noi viviamo ha questo come carattere fondamen-
tale: quello di essere plurale.

Qualunque definizione della comunità che abbia senso nel conte-


sto moderno deve fare i conti con il «fatto del pluralismo». «Co-

46 A. WELLMER, 1993, p. 69.


47 Ivi, p. 79.
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248 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

munità» per noi non può che voler dire una comunità che con-
tiene diversità, che non è del tutto amalgamata dal consenso48.

È evidente allora che all’interno di questa pluralità di orien-


tamenti la legittimazione delle norme comuni e delle regole di
convivenza può provenire solo da processi intersoggettivi di for-
mazione della volontà politica: qui sta il nucleo irrifiutabile del-
la proposta habermasiana di una democrazia deliberativa. E tut-
tavia, a differenza di quanto ritiene Habermas, l’esistenza di
un’eticità democratica costituisce la condizione di possibilità di
quella proposta: l’accettazione da parte dei cittadini di proce-
dure argomentativo-discorsive come fonte di legittimazione del-
le norme è possibile solo se essi condividono e accettano lo sfon-
do etico, incarnato nelle pratiche, nelle procedure e nelle istitu-
zioni, che consente lo svolgimento del confronto democratico.

(c) Un’eticità universale. Che cosa significa estendere a li-


vello planetario il modello di eticità che Hegel aveva ristretto
all’interno dello Stato nazionale? Coerentizzare l’ethos della
modernità con l’ispirazione universalista da cui Hegel aveva
preso le mosse significa immaginare uno Stato mondiale? Non
necessariamente. L’eticità universale non è lo Stato universale
ma il costituirsi, su scala planetaria, di istituzioni internaziona-
li e di una prassi comune modellate sulla tradizione della li-
bertà e dei diritti. Questo processo è già iniziato da tempo e,
pur in presenza di resistenze e controspinte, si sta rafforzando.
L’Unione europea è un esempio proprio di questa costruzione
di istituzioni sovranazionali che non comportano la cancella-
zione degli Stati nazionali né intendono sostituirsi ad essi. Lo
stesso processo di globalizzazione, pur con i suoi effetti per-
versi, sta introducendo, certamente a fatica e in una prospetti-
va che appare ancora lontana, l’idea di un mondo comune, in
cui non solo le merci o i prodotti finanziari devono poter viag-
giare senza limitazioni e barriere, ma anche gli uomini, le loro
idee e culture, il rispetto dei diritti umani. Il rafforzamento di
un’eticità universale significherebbe qui la nascita di una cul-

48 A. FERRARA, 1992, p. LIII.


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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 249

tura globale della tolleranza, del pluralismo, della convivenza


tra diversi. Il consolidamento a livello istituzionale di questo
ethos significherebbe poi la possibilità di far crescere a livello
mondiale non solo una cultura dei diritti, ma anche la loro ef-
fettiva pratica e la loro istituzionalizzazione in norme e proce-
dure internazionali.
Anche qui però rendere universale la prospettiva dell’eticità
non significa imporre al mondo il modello occidentale di cul-
tura. L’universalismo non è etnocentrismo, non è l’estensione
globalizzata dei «valori» occidentali ma, al contrario, è la con-
dizione che rende possibile, grazie all’imporsi della tradizione
della libertà, un mondo caratterizzato dalla pluralità dei valori.
Non un’unica cultura ma le regole condivise che rendono pos-
sibili le differenti e molteplici culture49.

(d) Il deflazionamento della dimensione politico-statale. Nel-


l’ottica di una eticità post-tradizionale ha ancora un senso man-
tenere il primato hegeliano dello Stato sugli altri ambiti della vi-
ta comune? Da un lato la struttura stessa della Filosofia del di-
ritto suddivisa in tre sfere differenti, ognuna con il suo caratte-
re specifico, non delegabile alle altre, sembra andare verso il ri-
conoscimento della loro autonoma validità. Dall’altro è eviden-
te il conferimento allo Stato non solo del primato sulle altre sfe-
re ma anche della specifica funzione di risolvere al suo interno
i conflitti e le contraddizioni degli ambiti a lui sottoposti. Ciò fi-
nisce per caricare la politica di compiti che riguardano la sfera
sociale, quella familiare e quella individuale. In altri termini la
politica ha il compito di conciliare non solo la libertà soggetti-
va con quella oggettivamente incorporata nelle istituzioni, ma
anche la felicità (il benessere) con la giustizia (il diritto), l’au-
tenticità con l’autonomia, l’autorealizzazione con l’universalità.

49 Come scrive Ceppa, «la complessità della modernità non risulta né si-
stemicamente coordinabile né democraticamente amministrabile dalla prospet-
tiva imperialistica e centralizzata di un’eticità particolaristica universale». Ne
deriva che la «pax americana» quando rigetta «multilateralismo e decentra-
mento democratico» diventa inadeguata non solo sul piano della funzionalità
ma soprattutto «sul piano della legittimità» (L. CEPPA, 2009, p. 97). Insomma
universalismo politico e non culturale, una eticità delle regole e non dei valori.
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 250

250 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

In questo contesto hanno buon gioco i critici di Hegel che


gli obiettano proprio l’irrealizzabilità di quel compito. Adorno,
in particolare, gli ha riconosciuto l’onestà di aver individuato
con chiarezza il rapporto di reciproca estraniazione che si vie-
ne a realizzare tra le incarnazioni istituzionali della libertà mo-
derna e la concretezza dell’individuo e tuttavia ha anche dovu-
to constatare come quel conflitto venga alla fine irrealistica-
mente risolto all’interno della sfera statale. Hegel vedrebbe
cioè l’impossibilità del riconoscimento da parte del sentimen-
to soggettivo nei confronti delle istituzioni oggettivamente esi-
stenti ma alla fine ci passerebbe sopra in modo rassicurante e
impositivo («beteuernd»).

Se la coscienza individuale considera effettivamente come ostile il


«mondo reale del diritto e dell’ethos», poiché non vi si riconosce,
su ciò non si dovrebbe sorvolare in modo rassicurante (beteuernd).
Infatti la dialettica hegeliana dice che in esso la coscienza non può
proprio comportarsi diversamente, non può riconoscersi50.

Più recentemente Ch. Menke è tornato sull’argomento in


modo diffuso e articolato, come già abbiamo avuto modo di
trattare. La sua tesi è che l’eticità hegeliana sia strutturalmente
incapace di risolvere il conflitto fra autenticità individuale e
giustizia universale. Non vi sarebbe cioè «nessuna soluzione
dialettica»51 alla moderna tragedia dell’etico. Se infatti lo Stato
moderno, fondato sulla libertà soggettiva, riesce ad armonizza-
re la libertà dei singoli cittadini con i diritti della collettività
rappresentati dal potere politico (conciliazione di autonomia e
giustizia), non riesce però a comporre l’istanza individuale al-
l’autorealizzazione con la sfera della legalità (conciliazione di
autenticità e diritto): «il primato della giustizia rispetto agli al-
tri valori politici avviene in nome della libertà soggettiva e tut-
tavia può significare anche una perdita di libertà»52.
Anche lo stesso Wellmer, che su più punti concorda con la
soluzione hegeliana e la difende contro le prospettive proce-
50 TH.W. ADORNO, 1966-67, trad. it. p. 277.
51 CH. MENKE, 1996, p. 12.
52 CH. MENKE, 1993, pp. 230-231.
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 251

duraliste di tipo kantiano, su questo argomento sottolinea la


necessaria incompiutezza dell’idea hegeliana: il primato dell’u-
niversale sul particolare introdotto dall’affermarsi di un’eticità
democratica produce inevitabilmente un conflitto con le speci-
ficità delle tradizioni, non sanabile da uno Stato di diritto este-
so su scala planetaria.

È innegabile che un tale toglimento del particolare nell’universa-


le si possa difficilmente immaginare senza ferite morali; tutto
sembra invece indicare che con il passaggio a uno Stato di diritto
mondiale anche la «tragedia nell’etico» viene ripetuta su scala
mondiale, dal momento che la relativizzazione delle particolari
tradizioni culturali significa al tempo stesso la loro trasformazio-
ne e il loro parziale depotenziamento53.

La modernità si rivela, sotto questo profilo, strutturalmen-


te incompiuta e costitutivamente inconciliabile: «Il “progetto
della modernità”, questo è il contenuto veritativo della critica
hegeliana, non ha alcun telos utopico»54. La modernità, «in-
compiuta» secondo Habermas55, è destinata, secondo Well-
mer, a rimanerlo. Qualunque progetto la modernità avesse in
mente, non potrà comunque essere mai realizzato completa-
mente. E l’utopia torna ad essere un pio desiderio, dato che il
compimento, ogni compimento, è strutturalmente impossibile.

Il carattere inconcludibile del progetto della modernità implica la


fine dell’utopia, se utopia significa «compimento», nel senso del-
la definitiva realizzazione di un ideale o di un telos della storia56.

Tutte queste critiche hanno un tratto in comune: continua-


no ad attribuire hegelianamente alla politica il compito esclusi-
vo di trovare la soluzione definitiva ai problemi della moder-
nità. Ma la politica non ha il compito di risolvere il conflitto tra
felicità e giustizia proprio perché né la felicità, né l’autorealiz-

53 A. WELLMER, 1993, p. 79.


54 Ivi, p. 52.
55 J. HABERMAS, 1981.
56 A. WELLMER, 1993, p. 53.
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252 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

zazione del singolo, né la sua autenticità, rientrano fra i suoi


compiti. La politica deve solo risolvere il conflitto fra autono-
mia del singolo e libertà di tutti.
Essa certamente mantiene un suo primato sulle altre sfere,
ma solo nel senso che deve garantire le pre-condizioni della rea-
lizzazione del sé. Solo le pre-condizioni, però. Per realizzarsi il
Sé dovrà farlo in un’altra sfera, in quella dei rapporti privati,
nella famiglia, nelle relazioni amicali, negli affetti, nelle comu-
nità, nel lavoro, nella società civile. Sotto questo profilo non si
dà conflitto fra felicità e giustizia, proprio perché si tratta di
due dimensioni della libertà che trovano realizzazione in due
sfere differenti.
D’altra parte l’eticità post-tradizionale, lungi dall’impedire o
dal confliggere con l’ideale dell’autenticità, deve poterlo rende-
re possibile. Essa infatti, essendo il terreno di costruzione del-
l’autonomia dell’individuo, crea le condizioni perché egli possa
trovare la via della realizzazione di sé. Come scrive Honneth,

soltanto nella misura in cui, con l’applicazione dei diritti civili,


viene in linea di principio fornita a tutti i soggetti libertà indivi-
duale di decisione, ciascuno si vede posto in grado di perseguire
gli scopi della sua vita senza influenze esterne. In altre parole,
l’autorealizzazione dipende dalla presupposizione sociale di
un’autonomia giuridicamente garantita, poiché solo con l’ausilio
di una tale autonomia il soggetto può concepire se stesso come
una persona che può vagliare i propri desideri57.

L’autorealizzazione non è in conflitto con l’autonomia ma è


il suo ulteriore sviluppo. L’unico conflitto che può sorgere fra
autonomia e autenticità è quello relativo alle scelte morali in-
dividuali. Qui Menke torna ad avere ragione quando ritiene
che un tale conflitto debba essere risolto in modo plurale e dif-
ferenziato assumendo individualmente l’idea «morale» del be-
ne come criterio di orientamento per quelle scelte58. Nell’idea

57
A. HONNETH, 1991, trad. it. p. 41.
58
«Dopo la perdita tragica dell’eticità, l’integrazione operata dal bene
può essere costituita solo dalla “decisione” specifica (e perciò plurale) dei sog-
getti coinvolti. La riflessione del bene non perviene a un ordine oggettivo che
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LINEE DI UN’ETICITÀ POST-IDEALISTICA 253

del bene è infatti possibile pensare la convivenza e la combina-


zione della felicità e della giustizia.
In riferimento all’ideale dell’autenticità la politica ha perciò
solo compiti indiretti. Essa deve limitarsi a garantire l’indipen-
denza di tutte quelle sfere extra-politiche nelle quali si possono
realizzare rapporti di solidarietà e di stima reciproca necessari
per la realizzazione (obbligatoriamente individuale e plurale)
della felicità. In questo contesto diventa possibile riabilitare il
concetto pre-moderno di «comunità», proprio per definire
quegli ambiti nei quali può trovare sviluppo la cura della pro-
pria realizzazione.
Honneth ha introdotto a questo proposito l’espressione
«concetto formale di eticità». Con essa egli intende non già la
nozione politica di «eticità democratica» ma quelle condizioni
comunicative e di riconoscimento reciproco «delle quali si può
dimostrare che fungono da presupposti necessari all’autorea-
lizzazione individuale»59. Queste condizioni caratterizzano evi-
dentemente solo i rapporti comunitari, dato che una comunità
si distingue da una società, secondo Honneth, in quanto in es-
sa il rapporto intersoggettivo non consiste semplicemente nel
«rispetto» dell’altrui spazio di libertà ma piuttosto nella «sti-
ma» conferita a specifici individui per le loro particolari carat-
teristiche. «Ma stimarsi reciprocamente significa intrattenere
relazioni di solidarietà»60. Ciò che caratterizza il rapporto co-
munitario è perciò la solidarietà reciproca, laddove invece nei
rapporti sociali era la tolleranza a costituire la caratteristica ba-
silare. Ora con solidarietà Honneth però non intende l’aiuto
reciproco ma semplicemente il riconoscimento del valore del-
l’altro, il suo apprezzamento e l’ammirazione per le sue qualità.
Si tratta perciò di relazioni che implicano il rapporto persona-
le con l’altro, quel rapporto personale che manca nella più am-
pia sfera sociale: «relazioni di questo tipo devono essere defi-
nite “solidali” in quanto suscitano non solo una passiva tolle-

serva ai coinvolti come criterio per la loro riflessione selettiva: l’integrazione


operata dal bene avviene in modo soggettivo» (CH. MENKE, 1996, p. 305).
59 A. HONNETH, 1991, trad. it. p. 202.
60 A. HONNETH, 1993, p. 263.
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254 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

ranza reciproca ma una partecipazione affettiva alla particola-


rità individuale dell’altra persona»61.
Perché ciò avvenga è però necessario che i soggetti coinvol-
ti condividano i medesimi valori: questi infatti rappresentano
lo standard normativo alla luce del quale gli individui vengono
stimati. Una comunità è quindi necessariamente una comunità
valoriale, una «Wertgemeinschaft». Stiamo parlando ovviamen-
te di comunità post-tradizionali fondate sulla libertà dei singo-
li: ad esse si accede liberamente, così come libera è la scelta dei
valori e dei piani di vita ai quali aderire.
Secondo Honneth, l’avvento della modernità non rende
dunque impossibile il costituirsi di questo tipo di relazioni. Ciò
che cambia rispetto alle comunità tradizionali è la libertà di ac-
cesso e soprattutto la scala dei valori alla luce dei quali costrui-
re la stima dell’altro. Essi perdono nella modernità ogni tipo di
gerarchia rigida e preordinata: l’intelligenza può prevalere sulla
moralità, ma su questa può prevalere il denaro, la forza o il po-
tere. Se dunque immutata rimane l’istituzione di tali relazioni,
ciò che si modifica sono i valori: sono i singoli individui a sce-
glierli e in base alle loro scelte istituire quei rapporti comunita-
ri post-tradizionali che caratterizzano il nostro mondo.
L’ethos della modernità non coincide perciò solo con la le-
galità, con lo Stato di diritto e con la cultura dei diritti univer-
sali. Qui l’eredità di Hegel deve essere colta nella sua interez-
za. Quello che egli aveva attribuito alla famiglia va infatti allar-
gato all’insieme dei rapporti affettivi, amicali e parentali. E
ugualmente ciò che egli aveva attribuito alla società civile va ri-
pensato come l’ambito dei rapporti comunitari, di lavoro e di
scambio sociale. È in quelle sfere che si possono realizzare i
rapporti di solidarietà, di affetto e di stima preclusi inevitabil-
mente dall’ambito della politica. Ed è perciò al di fuori della
politica che noi dobbiamo cercare di coltivare la nostra realiz-
zazione e di individuare la nostra autenticità.

61 Ivi, p. 269.
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 255

Bibliografia primaria

Opere di Hegel e indice delle sigle

1. Edizioni tedesche

[GW] Gesammelte Werke, in Verbindung mit der deut-


schen Forschungsgemeinschaft, hrg. von der Rhei-
nisch-Westfälischen Akademie der Wissenschaften,
Felix Meiner Verlag, Hamburg 1968 ss.
Bd. 1: Frühe Schriften. Teil 1, hrg. von F. Nicolin u. G.
Schüler, 1989.
Bd. 3: Frühe Exzerpte (1785-1800), hrg. von F. Nicolin u. G.
Schüler, 1991.
Bd. 4: Jenaer Kritische Schriften, hrg. von H. Buchner u. O.
Pöggeler, 1968.
Bd. 5: Schriften und Entwürfe (1799-1808), hrg. von M.
Baum u. K.R. Meist, 1998.
Bd. 6: Jenaer Systementwürfe I, hrg. von K. Düsing u. H.
Kimmerle, 1975.
Bd. 7: Jenaer Systementwürfe II, hrg. von R.P. Horstmann u.
J.H. Trede, 1971.
Bd. 8: Jenaer Systementwürfe III, hrg. von R.P. Horstmann,
1976.
Bd. 9: Phänomenologie des Geistes, hrg. von W. Bonsiepen
u. R. Heede, 1980.
Bd. 10: Nürnberger Gymnasialkurse und Gymnasialreden
(1808-1816), hrg. von K. Grotsch, 2005.
Bd. 11: Wissenschaft der Logik. Erster Band. Die objektive Lo-
gik (1812/13), hrg. von F. Hogemann u. W. Jaeschke,
1978.
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 256

256 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

Bd. 12: Wissenschaft der Logik. Zweiter Band. Die subjektive


Logik oder die Lehre vom Begriff (1816), hrg. von F.
Hogemann u. W. Jaeschke, 1981.
Bd. 13: Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im
Grundrisse (1817), hrg. von W. Bonsiepen u. K.
Grotsch, 2001.
Bd. 14.1: Grundlinien der Philosophie des Rechts. Naturrecht
und Staatswissenschaft im Grundrisse, hrg. von K.
Grotsch u. E. Weisser-Lohmann, 2009.
Bd. 15: Schriften und Entwürfe I (1817-1825), hrg. von F. Ho-
gemann u. Chr. Jamme, 1990.
Bd. 16: Schriften und Entwürfe II (1826-1831), hrg. von F.
Hogemann u. Chr. Jamme, 1999.
Bd. 17: Vorlesungsmanuskripte I (1816-1831), hrg. von W.
Jaeschke, 1987.
Bd. 18: Vorlesungsmanuskripte II (1816-1831), hrg. von W.
Jaeschke, 1995.
Bd. 19: Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im
Grundrisse (1827), hrg. von W. Bonsiepen u. H.Chr.
Lucas, 1989.
Bd. 20: Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im
Grundrisse (1830), hrg. von W. Bonsiepen u. H.Chr.
Lucas, 1992.
Bd. 21: Wissenschaft der Logik. Erster Band. Die Lehre vom
Sein (1832), hrg. von F. Hogemann u. W. Jaeschke,
1984.

[V] Vorlesungen. Ausgewählte Nachschriften und Manu-


skripte, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1983 ss.
Bd. 1: Vorlesungen über Naturrecht und Staatswissenschaft
(1817/18), hrg. von C. Becker, W. Bonsiepen, A. Geth-
mann-Siefert, F. Hogemann, W. Jaeschke, Chr. Jamme,
H.Chr. Lucas, K.R. Meist, H. Schneider, 1983.
Bd. 2: Vorlesungen über die Philosophie der Kunst (1823),
hrg. von A. Gethmann-Siefert, 1998.
Bd. 3: Vorlesungen über die Philosophie der Religion. Teil 1:
Der Begriff der Religion, hrg. von W. Jaeschke, 1983.
Bd. 4 a/b: Vorlesungen über die Philosophie der Religion. Teil 2:
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 257

BIBLIOGRAFIA PRIMARIA 257

Die bestimmte Religion, in zwei Bänden, hrg. von W.


Jaeschke, 1985.
Bd. 5: Vorlesungen über die Philosophie der Religion. Teil 3:
Die vollendete Religion, hrg. von W. Jaeschke, 1984.
Bd. 6: Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie. Teil
1: Einleitung. Orientalische Philosophie, hrg. von P.
Garniron u. W. Jaeschke, 1994.
Bd. 7: Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie. Teil 2:
Griechische Philosophie I: Thales bis Kyniker, hrg.
von P. Garniron u. W. Jaeschke, 1989.
Bd. 8: Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie. Teil
3: Griechische Philosophie II: Plato bis Proklos, hrg.
von P. Garniron u. W. Jaeschke, 1996.
Bd. 9: Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie. Teil 4:
Philosophie des Mittelalters und der neueren Zeit, hrg.
von P. Garniron u. W. Jaeschke, 1986.
Bd. 10: Vorlesungen über die Logik (1831), hrg. U. Rameil,
2001.
Bd. 11: Vorlesungen über Logik und Metaphysik (1817), hrg.
von K. Gloy, 1992.
Bd. 12: Vorlesungen über die Philosophie der Weltgeschichte
(1822/23), hrg. von K. Brehmer, K.H. Ilting u. H.N.
Seelman, 1996.
Bd. 13: Vorlesungen über die Philosophie des Geistes (1827/
1828), hrg. von F. Hespe u. B. Tuschling, 1994.
Bd. 14: Vorlesungen über die Philosophie des Rechts (1819/20),
hrg. von E. Angehrn, M. Bondeli u. H.N. Seelman,
2000.
Bd. 15: Vorlesungen über philosophische Enzyklopädie (1812-
1813), hrg. von U. Rameil, 2003.
Bd. 16: Vorlesungen über die Philosophie der Natur (1819/20),
hrg. von M. Bondeli u. H.N. Seelman, 2002.
Bd. 17: Vorlesungen über die Philosophie der Natur (1825/26),
hrg. von K. Bal, G. Marmasse, Th. Posch, K. Vieweg,
2007.

[EZ] Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im


Grundrisse. Mit Erläuterungen und Zusätzen verse-
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 258

258 L’ETICA DELLA DEMOCRAZIA

hen von L. von Henning, K.L. Michelet u. L. Bou-


mann, in G.W.F. Hegel, Werke in zwanzig Bände, auf
der Grundlage der Werke von 1832-1845 neu edier-
te Ausgabe, Redaktion E. Moldenhauer u. K.M. Mi-
chel, Bände 8-10, Suhrkamp, Frankfurt am Main
1970.
[RZ] Grundlinien der Philosophie des Rechts. Mit Hegels
eigenhändigen Notizen und den mündlichen Zusät-
zen, in G.W.F. Hegel, Werke in zwanzig Bände, auf
der Grundlage der Werke von 1832-1845 neu edier-
te Ausgabe, Redaktion E. Moldenhauer u. K.M. Mi-
chel, Band 7, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1970.
[PhWg] Vorlesungen über die Philosophie der Weltgeschichte,
hrg. von G. Lasson, Bände I-IV, Meiner, Leipzig
1917-1930 (vol. I riv. da J. Hoffmeister 1955; rist.
Meiner, Hamburg 1968).
[PhRel] Vorlesungen über die Philosophie der Religion, hrg.
von G. Lasson, Bände I-IV, Meiner, Leipzig 1925-
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[Bew] Vorlesungen über die Beweise vom Dasein Gottes, hrg.
von G. Lasson, Meiner, Leipzig 1930.
[GPh1] Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, hrg.
von K.L. Michelet, in G.W.F. Hegel, Werke. Vollstän-
dige Ausgabe durch ein Verein von Freunden des Ver-
ewigten, Bände XIII-XV, Duncker und Humblot,
Berlin 1833-1836, ora in G.W.F. Hegel, Werke in
zwanzig Bände, hrg. von E. Moldenhauer u. K.M. Mi-
chel, Bände 18-20, Suhrkamp, Frankfurt am Main
1971.
[GPh2] Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, hrg.
von K.L. Michelet, in G.W.F. Hegel, Werke. Vollstän-
dige Ausgabe durch ein Verein von Freunden des Ver-
ewigten, Bände XIII-XV, Duncker und Humblot,
Berlin 1840-1844.
(Si tratta della seconda edizione curata da Michelet,
non riprodotta nell’edizione Suhrkamp del 1971).
Cortella Etica della democrazia 27-01-2011 12:14 Pagina 259

BIBLIOGRAFIA PRIMARIA 259

2. Traduzioni italiane

[Diff] Differenza fra il sistema filosofico di Fichte e quello di


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l’edizione curata da F. Hespe e B. Tuschling).

Nota. Il confronto con le edizioni originali ci ha indotto talvol-


ta a modificare la traduzione rispetto a quella delle edizioni
italiane citate e sopra riportate.
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I. Mancini, Filosofia della religione
H.G. Gadamer, L’attualità del bello
J.L. Austin, Come fare cose con le parole
V. Melchiorre, Corpo e persona
V. Jankélévitch, Il non-so-che e il quasi niente
H.G. Gadamer, I sentieri di Heidegger
S. Petrucciani, Etica dell’argomentazione
AA.VV., Capire Wittgenstein
M. Horkheimer, Taccuini 1950-1969
G.M. Tortolone, Il corpo tentato
G. Cunico, Critica e ragione utopica
G. Vattimo, Essere, storia e linguaggio in Heidegger
E. Tugendhat, Introduzione alla filosofia analitica
P. Prini, L’ambiguità dell’essere
M. Dufrenne, Estetica e filosofia
I. Mancini, L’ethos dell’Occidente
F. Calvo, Cercare l’uomo
A. Masullo, Filosofie del soggetto e diritto del senso
H.G. Gadamer, Interpretazioni di poeti 1
F. Chiereghin, Possibilità e limiti dell’agire umano
AA.VV., Heidegger e la metafisica
V. Possenti, Le società liberali al bivio
G. Kalinowski, L’impossibile metafisica
M. Ruggenini, I fenomeni e le parole
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V. Vitiello, Topologia del moderno


AA.VV., Filosofia della religione
L. Tarca, Elenchos
N. Rescher, La lotta dei sistemi
J. Ortega y Gasset, Cos’è filosofia?
P.C. Bori, Per un consenso etico tra culture
H.G. Gadamer, La dialettica di Hegel
C. Gentili, Ermeneutica e metodica
J. Ritter, Soggettività
V. Melchiorre, Saggi su Kierkegaard
C. Gentili, A partire da Nietzsche
S. Weil, Primi scritti filosofici
F. Fistetti, Heidegger e l’utopia della polis
H.O. Mounce, Introduzione al “Tractatus” di Wittgenstein
F.D.E. Schleiermacher, Il valore della vita
M. Lollini, Il vuoto della forma
J.L. Austin, Senso e sensibilia
E. Zambruno, Filosofia e teologia in Tomás de Jesús
R. Girard - G. Fornari, Il caso Nietzsche
X. Zubiri, L’uomo e Dio
V. Jankélévitch, Il male
J. Maritain, L’uomo e lo Stato
V. Possenti, La Pira tra storia e profezia
A. Cortese, La creazione
B.G. Muscherà, Ontologia del desiderio in Pietro Prini
A. Savignano, Panorama della filosofia spagnola del Novecento
M. Ruggenini, Dire la verità
B. Bordato, Dio, parola, evento
S. Scribano, La cosa e la sua ombra
X. Zubiri, Struttura dinamica della realtà
A. Paris, Le radici della libertà. Per un’interpretazione del pensiero di
Augusto Del Noce
O. Tolone, Il sorriso di Adamo. Antropologia e religione in Plessner,
Gehlen, Welte e Guardini
V. Cesarone, Per una fenomenologia dell’abitare. Il pensiero di Martin
Heidegger come oikosophia
V. Possenti, L’uomo postmoderno. Tecnica, religione, politica
C. Ciancio, Libertà e dono dell’essere
L. Strauss, La città e l’uomo. Saggi su Aristotele, Platone, Tucidide
O. Ombrosi, L’umano ritrovato. Saggio su Emmanuel Levinas
L. Cortella, L’etica della democrazia
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