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ACCADEMIA DEGLI UNITI

A.D. 1551
«Vicissim nectuntur»
Jura

IL DEFICIT DEMOCRATICO DELLE ISTITUZIONI EUROPEE 

Premessa: 
1) Parlamento Europeo: è vero che è eletto direttamente dai cittadini, quindi apparentemente 
sembrerebbe  un'istituzione  che  rende  la  UE  democratica.  Tuttavia  quest'organo  non  è 
detentore unico del potere legislativo, che condivide con il Consiglio Europeo. Fino all'entrata 
in  vigore  dell'Atto  Unico  Europeo,  nel  1987,  il  Parlamento  europeo  era  coinvolto  nel 
procedimento  legislativo  solo  attraverso  la 
procedura  di  consultazione.  Con  l'AUE  sono  state 
create  due  nuove  procedure:  la  procedura  di 
cooperazione e la procedura di parere conforme. Il 
Trattato di Maastricht ne ha aggiunto una terza, la 
procedura di codecisione, che offre al Parlamento 
europeo  poteri  decisionali  più  ampi  e  che  con  il 
Trattato  di  Lisbona  è  divenuta  procedura 
legislativa  ordinaria.  Nella  prassi,  ad  ogni  buon 
conto, Il Parlamento Europeo si trova a lavorare su 
“proposte” elaborate dai cosiddetti euro‐burocrati 
(circa  40.000  superprivilegiati),  che  elaborano  le 
cosiddette  “direttive”,  che  a  sua  volta  la   
Commissione Europea, dopo averle valutate, gira –  Parlamento Europeo 
in parte ‐  appunto al Parlamento Europeo, il quale 
le può emendare o rifiutare, ma – come s'è detto – 
ha  scarsa  capacità  di  promuovere  esso  stesso,  poiché  la  tempistica  è  “dettata”  dalla 
Commissione. 
 
2) Consiglio Europeo: chi dice che la UE è democratica perché i primi ministri che compongo il 
Consiglio sono eletti dai cittadini non ha capito nulla. Notiamo anche che come Consiglio dei 
Ministri  Europei,  detiene  ‐  insieme  col  Parlamento  Europeo  ‐  il  potere  legislativo  nell'ambito 
dell'Unione Europea.  
Il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro – in tutto 27 – a livello 
ministeriale  che  possa  impegnare  il  governo  dello  Stato  membro,  scelto  in  funzione  della 
materia  oggetto  di  trattazione.  Tale  ampia  formulazione  consente  un  maggiore  flessibilità,  e 
dunque una maggiore discrezionalità da parte degli Stati. 
Esso  si  riunisce  in  varie  formazioni:  a  seconda  della  questione  all'ordine  del  giorno,  infatti, 
ciascuno  Stato  membro  è  rappresentato  da  un  rappresentate  a  livello  ministeriale 
responsabile  di  quell'argomento  (affari  esteri,  affari  sociali,  trasporti,  agricoltura,  ecc.),  più  il 
commissario europeo responsabile del tema in esame. 
La presidenza del Consiglio è assunta a rotazione da uno Stato membro ogni sei mesi. 
Dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona le formazioni sono dieci: 
• Affari generali 
• Affari esteri (presieduto dall'Alto 
rappresentante dell'Unione per gli affari 
esteri e la politica di sicurezza) 
• Affari economici e finanziari (Ecofin) 
• Agricoltura e pesca 
• Giustizia e affari interni 
• Occupazione, politica sociale, salute e 
consumatori   
• Competitività  Consiglio Eurpeo 
• Trasporti, telecomunicazioni ed energia 
• Ambiente 
• Istruzione, gioventù e cultura 
Il  Consiglio  esercita,  congiuntamente  al  Parlamento  Europeo,  la  funzione  legislativa  e  la 
funzione di bilancio; coordina le politiche economiche generali degli Stati membri; definisce e 
implementa  la  politica  estera  e  di  sicurezza  comune;  conclude,  a  nome  dell'Unione,  accordi 
internazionali tra l'Unione e uno o più Stati o organizzazioni internazionali; coordina le azioni 
degli  Stati  membri  e  adotta  misure  nel  settore  della  cooperazione  di  polizia  e  giudiziaria  in 
materia penale. 
Non  deve  essere  confuso  col  Consiglio  d'Europa,  che  è  un'organizzazione  internazionale 
completamente indipendente dall'Unione Europea.  
I ministri sono eletti in elezioni NAZIONALI, su programmi elettorali NAZIONALI, e per ricoprire 
cariche  pubbliche  NAZIONALI  (quando  mai,  durante,  campagne  elettorali  per  eleggere  il 
governo di un paese i candidati presentano le loro idee sulle politiche europee?). In pratica il 
mandato  che  gli  elettori  danno  ai  ministri  è  NAZIONALE,  non  europeo.  Quindi  anche  se  è 
formalmente  vero  che  i  primi  ministri  sono  eletti  (direttamente  o  indirettamente),  bisogna 
riconoscere che il loro mandato politico non li rende legittimati a prendere decisioni nella UE. 
 
3)  Commissione  Europea:  qui  è  bene  mettere  in 
risalto  che  i  commissari  non  sono  eletti  da  nessuno 
ma  nominati  a  tavolino  dai  governi.  È  vero  che  il 
Parlamento Europeo ha un voto di fiducia sul collegio 
dei commissari, però sappiamo che è molto limitato, 
e comunque ricadiamo nel problema del P.E. esposto 
precedentemente. 
La  Commissione  europea  è  una  delle  principali 
istituzioni  dell'Unione  europea.  È  composta  da  un  Commissione Europea
delegato  per  stato  membro:  27,  che  però  deve 
essere  completamente  indipendente  dal  governo 
nazionale che lo indica, ma in quest'ultimo caso si tratta di maieutica politica. È evidente che i 
commissari non sono eletti da nessuno ma nominati a tavolino dai governi.   
4) Legittimità: alcuni dicono che i parlamenti nazionali danno legittimità democratica alla UE, 
perché  chiamano  a  rispondere  i  ministri  sulle  loro  decisioni  europee.  Sarebbe  bello  se  fosse 
vero, ma ci sono due problemi fondamentali: 
• solo  in  una  minoranza  di  paesi  dell’UE  i  parlamenti  effettivamente  chiamano  i  ministri  a 
rispondere sulle questioni UE (ad esempio, con interpellanze parlamentari dopo i summit 
europei).  Quindi  non  è  una  prassi  omogenea  in  UE,  e  molti  cittadini  di  parecchi  stati 
restano esclusi da questo processo. Il Consiglio quindi non è legittimato democraticamente 
nel suo complesso, magari solo alcuni dei ministri che lo compongono sono sottoposti allo 
scrutinio parlamentare, e tutti gli altri? Un'istituzione di governo (qual è il Consiglio) deve 
essere legittimata nel suo complesso, come istituzione, non solo pochi dei suoi membri, e 
gli altri no.  
• Anche supponendo che tutti i ministri dei 27 paesi siano tenuti sotto controllo dai rispettivi 
parlamenti,  questo  non  risolve  la  situazione!  Ancora  una  volta  torniamo  alle  elezioni:  gli 
elettori  quando  vanno  a  votare  per  eleggere  i 
propri  parlamenti  nazionali,  pensano  a 
questioni  nazionali,  che  sono  il  contenuto  dei 
programmi  elettorali  dei  partiti.  Quindi  non 
danno  certo  un  mandato  ai  propri  parlamenti 
sulle  questioni  europee  che  i  futuri  ministri 
andranno  a  discutere  a  Bruxelles.  Anche  se  in 
alcuni  paesi  i  parlamentari  nazionali 
controllano  l'operato  europeo  dei  propri 
ministri, in nome di chi lo fanno? sulla base di 
quali preferenze espresse dagli elettori? 
 
I  riflessi  peggiori  si  hanno  sui  parlamenti  nazionali.  In  Italia,  per  esempio,  80%  delle leggi 
sono  fatte  mediante  il  recepimento  delle  “direttive”  europee.  Ne  consegue  una  grande 
diminuzione  della  sovranità  del  medesimo  Stato.  A  questo  si  aggiunga  un  altro  dato  di  non 
poco conto: appartenere all’UE costa, e solo circa il 50% di tale costo rientra in Italia per mezzo 
di finanziamenti europei a programmi ed opere di pubblico interesse. Insomma, sotto il piano 
economico sono più i costi dei vantaggi. 
  Una  soluzione  sarebbe  quella  di  affidarsi  a  dei  partiti  sovranazionali,  ma  questa  fu 
un’avventura  che  iniziò  nel  lontano  1956,  ad  opera  di  Alexandre  Marc,  Robert  Aron,  Arnaud 
Dandieu,  Denis  de  Rougemont,  del  mantovano  Dacirio  Ghizzi  Ghidorzi  ed  altri  autentici 
federalisti che diedero vita al Partito Democratico Federalista Europeo (PDFE), ma che furono 
osteggiati  da  Altiero  Spinelli,  autore  insieme  ad  Ernesto  Rossi  del  Manifesto  di  Ventotene 
(1941)  e  leader  indiscusso  del  Movimento  Federalista  Europeo  (MFE)  che  si  ripropone  a 
tutt'oggi la sola funzione culturale e non la politica attiva. L’avventura del PDFE praticamente 
non decollò mai, malgrado l’impegno dei suoi promotori. Di contro, anche sull’opera del MFE 
vanno fatte delle riflessioni considerando che l’opinione pubblica crede che il vero federalismo 
sia quello di Umberto Bossi e della Lega Nord. 
 Tornando all’UE, le conseguenze di questo assetto istituzionale sono molteplici. 
Si va dal riconoscimento delle lobby. A Bruxelles ce ne sono numerose. La loro attività è  
legale ed alla luce del sole. Per l'Italia esse hanno creato non pochi rischi. Si pensi al caso della 
Nutella.  Prodotto  che  è  stato  un  successo  internazionale  della  Ferrero,  un'industria  divenuta 
multinazionale partendo da Cuneo. 
Ebbene, ad un certo punto l'euro‐burocrazia passò al Parlamento Europeo, dopo che la 
Commissione  Europea  l'aveva  visionata,  (che,  ricordiamo,  può  emendare  o  rifiutare  la 
“direttiva”,  ma  ha  scarse  possibilità  di  proposta)  una 
norma  (sollecitata  da  due  importanti  multinazionali 
concorrenti della Ferrero) nella quale si prevedeva che 
il  numero  e  la  quantità  di  determinati  grassi  non 
doveva  comparire  negli  alimenti  prodotti  nell'UE. 
Proprio i grassi che la Ferrero utilizzava per la Nutella. 
Fortuna  volle  che  i  grassi  e  le  quantità  in 
questione  siano  presenti  anche  in  altri  alimenti 
naturali,  quali  per  esempio  i  pesci,  altrimenti  l'UE 
sarebbe  risultata  lo  strumento  per  eliminare  dal 
mercato  di  un  paio  di  multinazionali,  la  loro  diretta 
concorrente.  Alla  faccia  del  libero  mercato!  Ed  ecco  –   
in parte spiegate – certe demenziali direttive europee. 
Un'altra  questione  importantissima  e  di  grande 
attualità è quella relativa all'Euro.  
Secondo l’analisi di un grande studio legale internazionale coinvolto nella gestione dei 
debiti  sovrani  (che  ha  chiesto  l’anonimato),  il  punto  di  partenza  da  considerare  è  che  non 
esiste un diritto di uscita dall’Euro, visto che i Trattati sono irrevocabili, fissati «per una durata 
illimitata». Di  fatto  dunque  l’abbandono  della  moneta  unica  potrebbe  avvenire  solo  con  una 
revisione dei Trattati o con un atto unilaterale di uno Stato: ad ogni modo con un atto politico. 
Che però non è privo di conseguenze sul piano legale. Visto che l’Euro continuerà ad esistere, 
le  obbligazioni  dello  Stato  emesse  fino  a  quel  momento  come  devono  essere  considerate? 
Rimarranno  espresse  e  regolate  in  Euro,  o  saranno  convertiti  nella  nuova  (vecchia)  moneta, 
per esempio nella Dracma nel caso della Grecia? La conversione dell’obbligazione nella nuova 
moneta locale ha ovvie conseguenze nei confronti dei creditori, specialmente se essa dovesse 
svalutarsi dopo la sua (re)introduzione.  
Insomma  un  groviglio  giuridico  che  rende  pressoché  impossibile  lo  scioglimento 
dell’Unione. Proprio quello che i padri fondatori dell’Europa volevano ottenere.  
Tuttavia con il Trattato di Lisbona (firmato 
il 13 dicembre 2007)  viene introdotta la possibilità 
di recedere dall'UE (fino a quella data, infatti, vi si 
poteva solo aderire). 
Si  potrebbe,  dunque,  uscire  dall'UE  e 
contemporaneamente uscire dall'Euro. Ma qui non 
si  riescono  a  calcolare  bene  i  vantaggi  e  gli 
svantaggi.  In  ambedue  i  casi  ci  sono  strenui 
sostenitori ed consistenti argomentazioni. 
Valéry  Giscard  d'Estaing,  il  presidente  della 
Convenzione Europea, a suo tempo dichiarò che le 
differenze  tra  i  testi  della  Costituzione  Europea  e 
del  Trattato  di  [Lisbona]  riforma  sono  solo 
"cosmetiche"  e  che  rendono  quest'ultimo  meno 
comprensibile  rispetto  al  primo  mentre  il  "think 
tank"  euro‐scettico  "Openeurope"  si  è  spinto  fino 
all'analisi dettagliata, notando che il Trattato di riforma è per il 96% identico alla Costituzione 
europea, che – ricordiamo – fu definitivamente abbandonata nel 2009 a seguito dello stop alle 
ratifiche imposto dai no ai referendum in Francia e Paesi Bassi.. 
A questo punto è bene rilevare che questa UE non è per nulla democratica.  
Articolo  45:  Principio  della 
democrazia rappresentativa 
1. Il funzionamento dell’Unione si 
fonda  sul  principio  della 
democrazia rappresentativa. 
2.  I  cittadini  sono  direttamente 
rappresentati a livello dell’Unione 
nel Parlamento europeo. Gli Stati 
membri  sono  rappresentati  nel 
Consiglio  europeo  e  nel  Consiglio 
dei ministri dai rispettivi governi, 
che  sono  essi  stessi  responsabili 
dinanzi  ai  parlamenti  nazionali, 
eletti dai loro cittadini. 
3.  Ogni  cittadino  ha  il  diritto  di 
partecipare  alla  vita  democratica 
dell’Unione.  Le  decisioni  sono 
prese  nella  maniera  più  aperta  e 
più vicina possibile al cittadino. 
4. I partiti politici di livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea 
e ad esprimere la volontà dei cittadini dell’Unione. 
Cosa  siano  i  partiti  politici  (semplici  associazioni  al  loro  interno  scarsamente 
democratiche)  oramai  lo  sappiamo,  e  in  nessuna  parte  del  corposo  e  magniloquente 
documento si parla della “sovranità” del popolo, al contrario: 
Articolo II‐12: Libertà di riunione e di associazione 
1. Omissis  
2.  I  partiti  politici  a  livello  dell’Unione  contribuiscono  a  esprimere  la  volontà  politica  dei 
cittadini dell’Unione. 
E che i partiti politici italiani oramai abbiano conquistato la disaffezione dell'elettorato 
è rappresentato dal fatto che circa il 47% degli aventi diritto al voto diserta le urne, o perché 
non si sente rappresentato da questa classe politica, o perché non desidera legittimarla.  
Alexis de Toqueville e Filippo Mazzei, (Quest’ultimo, un Toscano amico dei primi cinque 
Presidenti USA, ed ispiratore della loro Costituzione attraverso Thomas Jefferson) in sostanza 
sostengono la stessa cosa:  
«Che le leggi fatte dai nostri rappresentanti non possono essere dette, né devono essere, leggi 
del paese fintanto che non saranno approvate dalla maggior parte del popolo…  
«È una verità incontestabile che un paese non è libero se tutti i suoi abitanti non partecipano 
ugualmente al diritto di governare…  
«C'è  qualcosa  di  veramente  magico  in  quel  vocabolo  "rappresentanza".  Ha  servito  finora 
ammirabilmente  ad  accecare  la  maggior  parte  del  popolo  per  tenerlo  nella  più  perfetta 
ignoranza dei propri diritti e fargli credere di essere libero mentre la sola meschina porzione di 
libertà da esso goduta è stata quella di scegliersi i padroni.»  
Il Referendum quale strumento per l’esercizio della “sovranità” popolare 
 
Nel  modello  costituzionale  rispettoso  della  “sovranità”  popolare  il  referendum  è  la 
regola, l’inammissibilità costituisce l’eccezione.  
Tutto  l’opposto  di  quanto  accade  nelle  grandi  democrazie  contemporanee,  dove 
l’appello al popolo costituisce un dato fisiologico, una normale cadenza della vita politica.  
Per  esempio:  il  2  novembre  2004,  120  milioni  di  americani  hanno  rieletto  Bush  come 
loro presidente; ma nello stesso giorno hanno anche votato 
163  proposte  referendarie  in  34  Stati.  E  fra  i  temi  sul 
tappeto  campeggiava  la  libertà  di  ricerca  sugli  embrioni, 
approvata  a  larga  maggioranza  dagli  elettori  della 
California; né più né meno di quanto hanno poi deciso il 28 
novembre 2004 gli elettori svizzeri, licenziando con il 66,4% 
dei voti favorevoli un referendum del medesimo tenore.  
Da  ciò  deriva,  en  passant  (di  sfuggita...)  e  sempre 
per  esempio,  che  i  limiti  al  referendum  sanciti  dall’art.  75 
della  Costituzione  italiana:  le  leggi  tributarie,  quelle  di 
amnistia, il rispetto dei trattati internazionali, come alcune 
bocciature della Corte Costituzionale, non sono riscontrabili 
altrove, e per una serie di ragioni andrebbero rivisti.  
Più  in  generale,  dal  tessuto  costituzionale  delle 
democrazie  più  evolute  si  ricava  un  favore  verso  il 
referendum,  come  strumento  di  democrazia  diretta  a  valenza  antagonista  e  di  controllo 
rispetto  alle  decisioni  della  maggioranza  di  governo.  Per  questo  gli  elettori  hanno  titolo  a 
decidere come e più dei loro rappresentanti in Parlamento.  
Ma nel Trattato europeo NON vi è traccia della parola… REFERENDUM! 
Malgrado la PARTE II della CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE dichiari: 
PREAMBOLO: «L’Unione contribuisce alla salvaguardia  e  allo sviluppo di questi  valori comuni 
nel  rispetto  della  diversità  delle  culture  e  delle  tradizioni  dei  popoli  dell’Europa,  nonché 
dell’identità  nazionale  degli  Stati  membri  e  dell’ordinamento  dei  loro  pubblici  poteri  a  livello 
nazionale,  regionale  e  locale;  essa  si  sforza  di  promuovere  uno  sviluppo  equilibrato  e 
sostenibile  e  assicura  la  libera  circolazione  delle  persone,  dei  beni,  dei  servizi  e  dei  capitali 
nonché la libertà di stabilimento.» 
Nota  Bene:  L’organizzazione  dell’UE  è  su  base  confederale.  Lascia  quindi  irrisolti  i 
problemi legati all’autonomia ed indipendenza dei singoli popoli. 
Insomma una soluzione la si potrà trovare solamente quando ci decideremo a cambiare 
gli attuali partiti e la classe politica che essi esprimono.  
A  costoro  resta  difficile  credere  che  in  una  piccola  Comunità  (la  teoria  del 
neofederalismo  di  Gianfranco  Miglio)  basata  sulla  prevalenza  delle  Democrazia  diretta 
(autogoverno) rispetto alla Democrazia rappresentativa, ed improntata a scelte sui fatti della 
politica  (non  sull’ideologia  che  ha  fallito)  potrebbero  rivelarsi  determinanti  per  la  qualità 
dell'esistenza,  per  la  sicurezza,  per  la  giusta  libertà,  per  la  giusta  autorità,  per  una  maggiore 
eguaglianza e per il benessere di tutti. 
Nessuno  sembra  rendersi  conto  che  una  piccola  Comunità,  indipendente  e  federata  a 
livello  di  UE,  gli  può  offrire  maggiore  iniziativa,  una  più  grande  libertà,  la  giusta  autorità,  la 
maggiore  eguaglianza,  il  rispetto  della  giusta  proprietà, un  più  facile  controllo degli  arbitrii  e 
degli abusi del grande capitale e della burocrazia, il rispetto della natura, la condivisione delle 
tasse  da  pagare,  il  controllo  dell'efficienza  delle  istituzioni,  della  sanità,  della  scuola, 
l'abolizione dei monopoli pubblici e privati, etc.. 
I mass‐media – specialmente quelli che sopravvivono grazie al contributo dello Stato, o 
sono espressione di grandi interessi economici ‐ fanno a gara per far vedere ciò che impedisce 
al cittadino comune di usare liberamente la ragione: per rendersi conto, per conoscere e per 
riflettere. 
Uomini  astuti  e  potenti  gli  hanno  fatto  una  società  a  misura  dei  suoi  vizi,  delle  sue 
ambizioni, dei suoi piaceri, delle sue illusioni, della sua pigrizia, del suo consenso in modo da 
ottenere da lui servitù, fedeltà ed obbedienza in nome di falsi "valori" e di falsi "principi". 
Per  questo  il  suo  vangelo  istintivo  è  la  rinuncia,  l'indifferenza,  la  pigrizia,  la  non 
partecipazione, l'acquiescenza ai potenti, la paura delle Istituzioni, della burocrazia, il terrore 
del cambiamento ed accetta lo statu quo come il minore dei mali.  
Riprendiamo  a  coinvolgere  e  spiegare  le  giuste  ragioni  della  nostra  società  e  dell’Europa 
che vogliamo. Diamo potere di scelta effettiva ai cittadini. E l’Europa autenticamente federale 
e  democratica  diventerà  realtà,  poiché  chi  vive  in  grandi  Stati  si  sente  impotente,  e  non  ha 
alcuna idea di come potrebbe essere la sua vita in una piccola comunità indipendente. 
li, 10 Ottobre 2011
p. Accademia degli Uniti 
(il Presidente: Enzo Trentin) 
 
 
 

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„ L‘Accademia degli Uniti ha come simbolo una catena d'oro, col motto latino: Vicissim
nectuntur (sono legati assieme).

„ Il suo statuto ha come finalità la divulgazione della cultura ed il bene della comunità. Sin
dal 1551 s’è impegnata in difesa dei poveri, degli orfani, delle vedove, di ogni sorta di
miserabili. Istituì anche un comitato di avvocati per patrocinare gratuitamente i meno
abbienti.

„ Finalità dell’attuale sodalizio è quella di divulgare la storia e la cultura, nella convinzione


che conoscendo le nostre origini avremo idee più chiare su come programmare il futuro.

„ L’Accademia, dal lontano 1551, organizza giornate di studio sulla politica, l'economia,
l'arte, la cultura.

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