Intelligenza artificiale e videogiochi sono già da tempo legati a filo doppio. Come ricorda un
rapporto stilato da IIDEA, l’associazione di categoria dell'industria videoludica Italiana, essi sono a un
tempo palestra per gli algoritmi di machine learning e terreno fertile per la loro applicazione, per
esempio per migliorare l’intelligenza e l'espressività dei personaggi non giocanti, il realismo del
gameplay o ancora il matchmaking (abbinamento) tra giocatori di pari livello di abilità.
«L’IA fa parte dell’essenza dei videogiochi», spiega Lorenzo Fantoni, giornalista e autore
dello splendido saggio “Vivere mille vite -Storia familiare dei videogiochi”. «I primi esperimenti
videoludici - continua - nascono proprio per misurare le possibilità di una intelligenza artificiale, e già
i fantasmi di Pac-Man era una IA», mentre oggi ci sono addirittura videogiochi «che ne fanno uso per
leggere il comportamento del giocatore, così da poterlo sfidare e contrastare, ma in questo senso c’è
ancora molta strada da fare».
Ma è quando l’intelligenza artificiale viene usata per “aumentare” il videogioco, che le cose
si fanno ancora più interessanti: «Ci sono casi in cui le IA vengono utilizzate per creare ambienti
procedurali», rivela sempre Fantoni. «Si danno in pasto all’algoritmo una serie di elementi di scenario
e poi è l’intelligenza artificiale a creare un ambiente sempre differente». Affascinante è anche
l’esempio di “The Last of Us 2”, «un titolo particolarmente ricco di dettagli in cui le espressioni facciali
dei personaggi non sono decise dai programmatori, ma sono scelte da un sistema di intelligenza
artificiale che sceglie l’emozione migliore in base al contesto, e gestisce i muscoli del viso del
personaggio per realizzarla. In questo modo gli animatori non decidono a priori le reazioni, ci pensa
l’IA a trovare quella giusta per ogni contesto».
Un circolo virtuoso notevole, messo a frutto ad esempio dai ricercatori di Electronic Arts
(produttore tra gli altri della serie di videogiochi di calcio “FIFA”): grazie a una partnership con i
ricercatori della University of British Columbia di Vancouver, essi hanno applicato una tecnologia
chiamata reinforcement learning, per istruire l’IA nell’animazione automatica di personaggi
umanoidi, ottenendo così l’animazione di un calciatore in maniera estremamente realistica.
Altro elemento fondante dei giochi tripla-a è la riproduzione di enormi mondi aperti (i
cosiddetti open world) che il giocatore può esplorare in piena libertà, e che risultano particolarmente
complessi da sviluppare interamente a mano. Oggi però è già possibile sfruttare invece la mappatura
LIDAR (ovvero di telerilevamento tramite impulso laser) delle superficie e degli edifici, per aiutare l’IA
a capire come generare in autonomia territori sempre più realistici (e aderenti alla realtà).
Sempre tramite IA è possibile garantire una maggiore sicurezza per i giocatori, per esempio
applicando filtri che analizzano le interazioni tra gli utenti a caccia di comportamenti scorretti o
violenti e di contenuti offensivi o dannosi (va in questo senso il Project Artemis di Microsoft), ma
anche tutelare il fair play individuando rapidamente chi preferisce barare per vincere, magari
sfruttando qualche bug nel software o appositi programmi. Insomma, dai tempi di Pac Man, la storia
d’amore tra videogiochi e intelligenza artificiale di strada ne ha fatta parecchia. E siamo solo all’inizio.
Fonte: Ansa