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GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 28/09/2020

Leggendo un testo normativo ci imbattiamo in un problema, che è quello


dell’interpretazione e a questo proposito sosteniamo che lo studio della
giurisprudenza, ci insegna a interpretare un testo normativo.
Il CODICE CIVILE è un testo normativo sistematico che nasce ed entra in vigore
nel 1942, mentre sei anni più tardi, quindi nel 1948 assistiamo all’entrata in vigore
della CARTA COSTITUZIONALE.
La prima tipologia di testo normativo è costituita dal testo di tipo legislativo.
Esiste una gerarchia delle leggi.
COSTITUZIONE
REGOLAMENTI DELL’UNIONE EUROPEA
LEGGI ORDINARIE, ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE
REGOLAMENTI
USI
Fino agli anni 60 del secolo scorso, i processi di mutamento del testo normativo da
interpretare erano molto lenti mentre oggi tendono ad essere molto rapidi.
Il testo normativo va a regolamentare una controversia e di per sé, la via migliore
per risolvere un conflitto giuridico è il PROCESSO.
Il testo specifico che va a regolare i rapporti tra due litiganti è il testo sentenza.
GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 29/09/2020
Insegnare giurisprudenza equivale ad insegnare a interpretare un testo normativo e
a comprendere la tipologia dei testi normativi.
Il TESTO LEGISLATIVO non si riferisce solo alla legge in senso tecnico, ma a
tutta la gamma della legislazione come ad esempio le:

· leggi statali

· leggi costituzionali
· norme che non sono leggi come ad esempio i trattati dell’Unione
Europea, che sono recepiti e in
alcuni casi concepiti con legge.
Nel TESTO CONTRATTUALE abbiamo alla base il CONTRATTO che è
l’accordo tra due parti, e nel momento della conclusione del contratto, esso ai sensi
dell’art. 1372 c.c. acquista forza di legge tra le parti, si instaura dunque una
vincolabilità.
Il TESTO SENTENZA detiene al centro la problematica del conflitto.
La lite non può essere risolta come più di duemila anni fa con la legge del più forte
poiché essa è stata superata dalla formazione dell’ordinamento giuridico che
conferisce un nuovo modo per sciogliere i conflitti attraverso una procedura,
affidando la risoluzione a un organo (oggi Stato), o a un cittadino privato
imparziale che decida la controversia. Se colui che vince la controversia ha
ragione si può dire che sia stata fatta giustizia, al contrario se il vincitore non ha
ragione e chi perde non ha torto siamo di fronte ad una sentenza giudiziaria
ingiusta.
Nel mondo odierno il termine GIURISPRUDENZA non indica, come per le
istituzioni di diritto romano, i giuristi ma si indicano le sentenze dei giudici.
Quando si vuol fare riferimento alle opere dei giuristi si parla di DOTTRINA
GIURIDICA, di scienza giuridica.
Oggetto di studio della giurisprudenza è quello di un testo normativo e della sua
interpretazione.
“Il segno di distinzione di ogni comunità organizzata è il diritto. Con il termine
DIRITTO si fa riferimento al modo e alle forme in cui ciascuna società si
organizza, si ordina: di qui, l’altra espressione ordinamento giuridico; dettare
regole per i rapporti tra i consociati, stabilire attraverso quali meccanismi altre
regole possano essere stabilite, e possano venire, modificate o soppresse le norme
in vigore; affidare a determinate persone o collegi di persone il compito di
assicurarne il rispetto e di risolvere i contrasti che ne accompagnano la concreta
applicazione: così può descriversi in maniera elementare, l’ordinamento giuridico
in ogni comunità di uomini”
- Rescigno “Manuale di diritto privato”2000
La prima parte della frase del giurista fa riferimento alla produzione del diritto.
Il diritto è un prodotto artificiale, perché vi è quell’aspirazione da parte dell’uomo
di avere un catalogo di regole immodificabili. Dunque, si può intendere il diritto
come prodotto artificiale e storico.
Ad esempio, quando entrò in vigore il codice civile, la dignità umana in quella
fase storica in cui vi erano i campi di sterminio, aveva una diversa concezione. O
ancora, la differenza di genere sulla quale si fondavano istituti come il lavoro, la
famiglia non era come oggigiorno.
Nel vecchio testo dell’art 1 del c.c. riguardante la capacità giuridica, nel terzo
comma si riporta in nota la differenza tra genere e razza
Tutto ciò per spiegare che il diritto è di natura mutevole, esso è il prodotto di un
determinato contesto, sociale e culturale.
Quando si parla di “affidare a determinate persone o collegi di persone il compito
di assicurarne il rispetto e di risolvere i contrasti che ne accompagnano la concreta
applicazione” si fa riferimento al processo e alle sue regole. Il contrasto si risolve
attraverso l’applicazione di regole affidandone la risoluzione a determinate
persone o collegi di persone.
‘Il diritto è dominio sulla volontà altrui:
• dei governanti sulla volontà dei governati,
• del creditore sulla volontà del debitore, del proprietario sulla volontà di tutti i
consociati (ERGA OMNES)
• del giudice sulla volontà delle parti in causa”

Qui si parla del potere come dominio conferito dal diritto, ad esempio il creditore
detiene potere sul debitore, mentre quando si parla di un proprietario si fa
riferimento alla proprietà
La PROPRIETÀ viene qualificata dal giurista Gaio nelle ‘Istituzioni’ MEUM
ESSE, ossia si sottolinea la propria proprietà su un oggetto nei confronti di altri. Si
esercita il proprio dominio verso tutti e vi è quindi un concetto di esclusione, non
di inclusione.
Quindi cos’è il diritto? È uno strumento di potere regolamentato e non lasciato alla
forza fisica.

GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 30/09/2020


Sia Natalino Irti che Pietro Rescigno ci danno una definizione di diritto, anche se
con toni molto diversi.
IRTI: RESCIGNO:
Utilizza un tono interpretativo utilizza un tono descrittivo
Irti rappresenta il diritto come uno strumento di dominio della volontà altrui e
inoltre ne sottolinea due aspetti:
· IUS PRIVATUM

· IUS PUBLICUM.
Irti mette in evidenza anche due aspetti del diritto privato:
· lo schema creditore/debitore che ci rimanda al libro IV del Codice
Civile che è diviso in OBBLIGAZIONI (di cui ne vengono evidenziate
subito le fonti come il contratto e gli atti illeciti), poi il CONTRATTO
GENERALE, i CONTRATTI TIPICI che sono espressamente disciplinati
dalla legge) e le RESPONSABILITÀ CIVILI.
Il rapporto creditore/debitore è sempre un rapporto a due, anche se può esserci
una pluralità di creditori o debitori, ma nonostante questo il rapporto rimane
sempre a due

· lo schema proprietario/erga omnes che ci rimanda al libro III del


Codice Civile concernente la PROPRIETÀ, I DIRITTI REALI e i
DIRITTI SU COSE ALTRUI nella quale vi è un rapport ERGA OMNES.
Nella seconda metà dell' 800, Vittorio Scialoja scrive in un articolo su come
spiegare giurisprudenza ai giovani che quest’ultimi devono imparare a fare da sé.
Il diritto, a quei tempi, cambiava in modo lento mentre oggi cambia molto
velocemente, a pari passo con i cambiamenti del mondo e della società. Infatti,
ogni volta che essa cambia, cambia anche il diritto che appunto si deve adattare
continuamente alla nuova realtà. Per questo le norme vengono modificate
continuamente.
Bisogna perciò, imparare ad interpretare e proprio sull'interpretazione Gustavo
Zagrebelsky e Mario Brunello scrivono "Interpretare. Dialogo tra un musicista
e un giurista."
Come evidenzia Zagrebelsky, interpretare un testo normative è molto importante
ed ha una sua esigenza, ovvero quella di trovare una certezza, senza che ci sia
nessun effetto sorpresa, anche perché una nuova norma non può essere retroattiva.
Questo perché la persona che compie l'azione deve sapere ed essere consapevole
se sta per compiere un’azione lecita o meno. Una norma deve avere valenza per il
futuro.
Questo vale anche per il diritto privato perché quando due parti si accingono a
concludere un contratto avente forza di legge, entrambe le parti devono sapere da
subito a cosa stanno andando incontro.
Nel diritto bisogna evitare che ci siano soprese, deve essere certo. Come si
realizza e ottiene la certezza?
Facendo norme chiare e costruendo su queste norme una interpretazione
consolidata, ragionevole e prudente, grazie alla quale si conoscono in anticipo le
conseguenze di determinate azioni.
Cosa succede nel caso di una norma nuova senza precedenti né orientamenti?
Sicuramente per il giudice in questione sarà una grossa responsabilità interpretarla
perché apre una nuova via, per questo dovrebbe fare una interpretazione prudente,
attinente alla norma, quindi attenersi alla lettera alla norma.
DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE, CAPO II
12. INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE
Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto
palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla
intenzione del legislatore.
Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha
riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso
rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento
giuridico dello Stato.
In questo articolo viene detto come interpretare una legge e ci sono due modi:
• soffermarsi sul significato delle parole secondo la loro connessione. Quindi
l'interpretazione
parte dalle parole e deve essere perciò letterale.
• bisogna capire l'intenzione del legislatore, cioè la RATIO LEGIS, quindi “a cosa
serve la legge?”
Quando la società muta, la norma viene modificata o viene reinterpretata per
adattare la medesima composizione linguistica ad una nuova società e ad un
nuovo contesto.

GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 05/10/2020


La prevedibilità del diritto e dunque dell’interpretazione del testo normativo si
realizza tramite:
• norme chiare
• precedenti giudiziari ovvero sentenze.

DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE, CAPO II


12. INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE
Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto
palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla
intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una
precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o
materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi
generali dell'ordinamento giuridico dello Stato.

CODICE CIVILE LIBRO IV: DELLE OBBLIGAZIONI


TITOLO II:DEI CONTRATTI IN GENERALE
CAPO IV

1362. INTENZIONE DEI CONTRAENTI


Nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione
delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.
Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro
comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto.
Mentre l’articolo 1362 spinge ad andare oltre il senso delle parole, l’articolo 12
spinge a rimanere all’interno del senso delle parole.
Il secondo comma dell’art 12 sulle disposizioni della legge in generale disciplina
l’interpretazione analogica. Nel momento in cui si applica il processo
interpretativo occorre osservare la norma specifica, nel caso in cui questa non vi
sia, occorre analizzare norme che trattano casi simili e materie analoghe e se
tramite queste non è stato possibile risolvere il caso, ci si riferisce ai principi
generali dell’ordinamento giuridico dello stato.
Nel 1942 i principi generali dell’ordinamento dello stato si trovavano nella Carta
Del Lavoro, espressione del regime fascista. Caduto il regime, entra in vigore la
Costituzione e la Carta Del Lavoro viene abrogata.
DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE, CAPO II
15. ABROGAZIONE DELLE LEGGI
Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del
legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché
la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore.
Il primo caso costituisce l’ABROGAZIONE ESPLICITA, mentre gli altri casi
ABROGAZIONE IMPLICITA.
FONTI DEL DIRITTO
DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE, CAPO I
Sono fonti del diritto:
• LEGGI
• REGOLAMENTI
• NORME CORPORATIVE
• USI
3. REGOLAMENTI
Il potere regolamentare del Governo è disciplinato da leggi di carattere
costituzionale.
l potere regolamentare di altre autorità è esercitato nei limiti delle rispettive
competenze, in conformità delle leggi particolari.
4. LIMITI DELLA DISCIPLINA REGOLAMENTARE
I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi.
I regolamenti emanati a norma del secondo comma dell'art. 3 non possono
nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo.

GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 06/10/2020


I Principi fondamentali riportati nella Costituzione e la parte prima concernente i
diritti e i doveri dei cittadini, impattano in modo diretto sull’assetto dei rapporti
privatistici mentre la parte seconda cioè quella che riguarda l’ordinamento della
Repubblica, la costruzione dello Stato e il suo funzionamento non impattano
direttamente.
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
PRINCIPI FONDAMENTALI
ARTICOLO 2

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come


singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale
Questo articolo riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come
singolo sia nelle formazioni sociali e come riportato nell’ultima parte dell’articolo,
i principi di solidarietà politica, economica e sociale.
ARTICOLO 3.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale
che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Questo articolo contiene il principio di eguaglianza formale. Nel primo comma
si afferma che tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali. Il secondo comma che, partendo dal presupposto
che esistano le disuguaglianze, affida come compito fondamentale alla Repubblica
quella di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di
fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese. Non basta quindi affermare il principio
secondo cui siamo tutti uguali, perché quando un individuo nasce, egli è uguale
agli altri da un punto di vista giuridico, ma è diseguale nel momento in cui si fa
riferimento alle basi di natura economica e sociale. Quindi è compito della
Repubblica rimuovere le condizioni che creano di fatto disuguaglianze.
ARTICOLO 4.
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le
condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria
scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale
della società.
Questo articolo è molto importante in materia di lavoro. La Repubblica riconosce a
tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo
questo diritto.
Ritroviamo quindi lo stesso schema, ovvero si riconosce il diritto al fine di
garantire uguaglianza ma poi si dà come incarico alla Repubblica il compito di far
sì che questo diritto sia effettivo.
ARTICOLO 7.
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e
sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti
accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
ARTICOLO 8.
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi
secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico
italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le
relative rappresentanze
L’articolo 7 e 8 riguardano il rapporto tra Stato e Chiesa e riguardano
l’affermazione secondo cui tutte le confessioni religiose sono egualmente libere
davanti alla legge.
ARTICOLO 9.
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Nel ‘48 i temi
dell’inquinamento ambientale, del degrado del paesaggio erano meno acuti
rispetto a quelli che si sono manifestati nei decenni a seguire fino alle nostre
cronache.

COSTITUZIONE PARTE PRIMA: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI


TITOLO I
Rapporti Civili
ARTICOLO 13

La libertà personale è inviolabile


Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione
personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto
motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge,
l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono
essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li
convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di
ogni effetto.
È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a
restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione
preventiva.
ARTICOLO 14.
Il domicilio è inviolabile.
Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e
modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà
personale.
Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini
economici e fiscali sono regolati da leggi speciali.
ARTICOLO 16.
Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del
territorio nazionale, salvo le
limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di
sicurezza.
Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.
Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi,
salvo gli obblighi di legge
Assai discusso ed evocato durante l’epidemia. Ogni cittadino può circolare e
soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le
limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di
sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Tutte
polemiche riguardante lo strumento normativo con il quale venivano imposte delle
restrizioni a questo diritto costituzionalmente garantito dove è prevista dunque una
riserva di legge per le restrizioni e quindi le polemiche relative sullo strumento del
DPCM ( DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
Impatta anche sul diritto privato perché il diritto di circolare e soggiornare tocca
anche le attività commerciali, turistiche quindi riguarda anche profili che sono
fortemente impattanti sulle attività economiche di impresa.
ARTICOLO 18.
I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente senza autorizzazione, per fini che
non sono vietati ai singoli dalla legge penale.
Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche
indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.
Riguarda direttamente il settore del diritto. Il primo comma impatta direttamente
sulla disciplina contenuta nel libro I del Codice Civile in materia di associazioni
perché la visione del codice sul diritto di associarsi è diversa da quella della
Costituzione. Questo perché il codice è nato in epoca fascista, in un regime
dittatoriale in cui il diritto di associarsi o veniva addirittura vietato o veniva visto
con grandissima diffidenza. Quindi all’interno del nostro codice è previsto il
diritto di associarsi ma allo stesso è previsto anche il controllo del Governo
sull’attività delle associazioni.
ARTICOLO 21.
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel
caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel
caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei
responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo
intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere
eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai
oltre ventiquattro ore, fare denuncia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo
convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro si intende revocato e privo
d'ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi
di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni
contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire
e a reprimere le violazioni.
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
ARTICOLO 24.
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi
davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
COSTITUZIONE PARTE PRIMA: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI
TITOLO II
Rapporti etico-sociali
ARTICOLO 29.
La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i
limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.
ARTICOLO 30.
È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli, anche se nati
fuori del matrimonio.
Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro
compiti.
La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale,
compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.
La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità
Gli articoli 29 e 30 riguardano la famiglia.
La riforma del diritto di famiglia è entrata in vigore nel 1975 e vediamo che la
disciplina contenuta all’interno del Codice Civile del 1942 era esattamente in
contrasto con tutto ciò perché gli articoli affermano parità, eguaglianza tra i
coniugi nei rapporti tra loro e rispetto ai figli, eguaglianza tra i figli nati all’interno
del matrimonio e fuori. Invece La disciplina contenuta nel libro I del c.c. prima
della riforma del 1975 era importata ai principi opposti: era una famiglia costituita
sulla disuguaglianza, una disuguaglianza sia tra i rapporti moglie e marito sia
anche nei rapporti tra padre e madre rispetto ai figli, si sosteneva una famiglia
verticistica, con al vertice il pater familias.
Inoltre, i figli nati al di fuori del matrimonio erano discriminati dal punto di vista
giuridico rispetto ai figli nati all’interno. Sono quindi articoli fondamentali per
quanto riguarda lo studio del diritto privato e i suoi istituti.
ARTICOLO 35.
La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la
formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.
Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad
affermare e regolare i diritti del lavoro.
Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge
nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.
ARTICOLO 36.
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del
suo lavoro e in ogni
caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può
rinunziarvi.
ARTICOLO 37.
La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni
che spettano al lavoratore.
Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale
funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata
protezione.
La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.
La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a
parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.
La legislazione sul lavoro non riguarda direttamente il nostro programma ma
rientra nel grande settore del diritto privato. Tutta la legislazione in materia di
lavoro esistente al momento dell’entrata in vigore della costituzione è in contrasto
insanabile con questi principi e norme.
ARTICOLO 39.
L'organizzazione sindacale è libera.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione
presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un
ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati
unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro
con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il
contratto si riferisce.
I sindacati hanno scelto e tutt’ora sono organizzati con una forma giuridica che
esclude qualsivoglia controllo da parte dello Stato e dal Governo nella loro attività,
scegliendo come forma organizzativa quella dell’associazione non riconosciuta
disciplinata dagli art.36-37-38 del c.c.

ARTICOLO 41.
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica
pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
ARTICOLO 42.
La proprietà è pubblica o privata.
I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi
di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e
di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo,
espropriata per motivi di interesse generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria
e i diritti dello Stato sulle eredità.
Nel momento in cui si parla di fonti del diritto, si fa riferimento alla scala
gerarchica sul cui podio vengono riportate le leggi, i regolamenti, le norme
corporative. Quando entrò in vigore la Costituzione, quella scala gerarchica si
alterò perché mentre quella precedente prevedeva sul gradino più alto la legge,
adesso viene aggiunto un gradino superiore in cui vi è la Costituzione quindi dal
1° gennaio 1948 quell’elenco si arricchisce di una fonte del diritto fondamentale
che addirittura prende il primo posto nella scala gerarchica delle fonti. La scala
gerarchica divenne quindi:
COSTITUZIONE e LEGGI COSTITUZIONALI
LEGGI
REGOLAMENTI
USI
In questa struttura gerarchica delle fonti, la fonte sottordinata deve essere
conforme alla fonte sovraordinata ma una volta che si riscontri la eventuale
difformità potrà essere rimossa in tre modi:
• il legislatore interviene modificando la legge difforme da Costituzione e
introduce una nuova legge a disciplinare quella stessa materia conforme ai
principi della Costituzione. È esattamente ciò che accadde nel 1975 con
riferimento al diritto di famiglia e quindi per rendere conforme tutta la
disciplina codicistica sulla famiglia ai principi della Costituzione.

• un organo di rilevanza costituzionale, previsto dalla stessa Costituzione e ha


come compito di controllare la costituzionalità delle leggi: CORTE
COSTITUZIONALE. Prevista dal titolo VI della II parte della
Costituzione dove vi sono riportate le garanzie costituzionali
ARTICOLO 134.

La Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimità


costituzionale delle leggi e degli

atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione
tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; sulle
accuse promosse contro il Presidente della Repubblica a norma della Costituzione

ARTICOLO 135.

La Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal


Presidente della Repubblica,

per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme
magistrature ordinaria ed amministrativa.

I giudici della Corte costituzionale sono scelti fra i magistrati anche a riposo delle
giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrativa, i professori ordinari di
università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni di esercizio.

I giudici della Corte costituzionale sono nominati per nove anni, decorrenti per
ciascuno di essi dal giorno del giuramento, e non possono essere nuovamente
nominati.

Alla scadenza del termine il giudice costituzionale cessa dalla carica e


dall'esercizio delle funzioni.
La Corte elegge fra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il
Presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile, fermi in ogni
caso i termini di scadenza dall'ufficio di giudice.
L'ufficio di giudice della Corte è incompatibile con quello di membro del
Parlamento, di un Consiglio regionale, con l'esercizio della professione di
avvocato e con ogni carica ed ufficio indicati dalla legge.
Nei giudizi d'accusa contro il Presidente della Repubblica intervengono, oltre i
giudici ordinari della Corte, sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini
aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove
anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici
ordinari.
All’interno della Corte Costituzionale vi è la rappresentanza delle magistrature e
poi vi sono i membri nominati dal presidente della Repubblica direttamente o
nominati dal Parlamento tra professori universitari di materie giuridiche o avvocati
che abbiano 20 anni di esercizio di professione.
È previsto un procedimento per attivare l’intervento della corte costituzionale che
non interviene d’ufficio ma è il punto di arrivo di un percorso al termine del quale
si porta all’esame della Corte Costituzionale un determinato testo normativo al
quale si rivolge una critica cioè quella di non esser stata conforme a Costituzione.
La questione di legittimità costituzionale nasce nel processo, nell’ambito e nel
percorso delle controversie.
GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 07/10/2020
Il primo evento normativo in cui ci imbattiamo dopo l’entrata in vigore del codice
è la COSTITUZIONE, che entra in vigore il 1° gennaio del 1948. Bisogna
occuparsi della costituzione italiana per quanto riguarda il diritto privato, perché
essa ha una caratteristica importante che la distingue dal vecchio statuto Albertino
e anche da altre costituzioni, cioè ha una parte che comprende:
· i principi generali.

· la persona umana.

· rapporti civili economici e sociali.

Essa impatta quindi sulla disciplina privatistica. Ma come impatta?


Innanzitutto, la legislazione deve essere conforme a quello che è riportato sulla
carta costituzionale.
La costituzione è collocata sopra le leggi nella scala delle fonti, ed è il catalogo dei
principi che sorreggono il nostro stato democratico repubblicano parlamentare.
La prima modalità attraverso la quale la costituzione impatta sul diritto privato è
che l'entrata in vigore di essa stimola e sollecita il legislatore a intervenire in quei
campi dove le materie sono disciplinate da testi normativi che non appaiono
conformi ai principi della costituzione.
Come abbiamo già visto la costituzione impatta anche sul diritto del lavoro (la
materia dei rapporti di lavoro che è trattata all’interno del codice civile nel libro
quinto, rientra nell’ambito del diritto privato ma non è oggetto del nostro studio,
rientra nell’esame di diritto del lavoro).
Per quanto riguarda l’assetto normativo che regolava vari elementi come potevano
essere i rapporti di lavoro, orari di lavoro, lavoro delle donne, ambiente di lavoro
etc., la costituzione fissa in alcuni articoli una serie di principi importanti, a
cominciare naturalmente dal principio della piena parità tra lavoro maschile e
femminile o per meglio dire una parità che ha bisogno di essere aiutata, ovvero
quella della donna, sia per quanto riguarda la visione per natura (il fatto di avere
figli) che la visione del legislatore (per il fatto di dover comunque dare un
contributo alla vita familiare), quindi sia come madre (che non è però
stabilito dalla costituzione che la donna deve fare figli) sia come moglie, per la sua
collocazione e il contributo insostituibile che dà all’interno della vita familiare. Il
legislatore decide quindi la parità del lavoro fra i sessi e aiuto legislativo per le
donne che hanno figli, affinché possano coordinare al meglio il lavoro con i
compiti di madre e di donna all’interno della famiglia.
Gli anni successivi all’entrata in vigore della costituzione (inizialmente anche
grazie alle lotte sindacali e poi ai movimenti femminili) sono stati caratterizzati da
una legislazione che ha sconvolto l’assetto normativo nei rapporti di lavoro
precedenti, fino ad arrivare alla legge del 1970 “STATUTO DEI
LAVORATORI”, che è stato un “modello di legge”.
È un modello di legislazione per come è stata fatta e pensata. Fu approvata dal
parlamento dopo che venne studiata ed elaborata dai più importanti professori di
diritto del lavoro dell’epoca. Il padre di questa legge fu Gino Giugni (la legge
infatti è anche chiamata “statuto dei lavoratori Giugni”).
Altro esempio è la RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA del 1975 che
disciplina la famiglia e la rende conforme ai principi della costituzione. Si passa
quindi dalla famiglia patriarcale fondata sul pater Familias (quindi sulla
diseguaglianza), ad una disciplina della famiglia fondata sull’uguaglianza. Questa
riforma disciplina anche la tematica dei figli nati dentro e fuori al matrimonio, che
la carta costituzionale equipara. In passato essi erano trattati in maniera diseguale
nel codice civile.
L'entrata in vigore della costituzione diventa quindi un motore della legislazione.
Essa è una continua sollecitazione al legislatore ad intervenire per modificare le
norme che appaiono in contrasto con i principi della costituzione.
La seconda modalità di impatto avviene attraverso il controllo di legittimità
costituzionale affidato alla corte costituzionale. Nell’articolo 134 della
costituzione della repubblica italiana si può leggere come la corte costituzionale
giudichi sulle controversie.
· Quale è il percorso per arrivare davanti alla corte costituzionale?
Ci si arriva, per quello che riguarda il diritto privato, attraverso un processo.
· Come viene sollevata una questione di costituzionalità riguardo
una determinata norma o testo normativo? Essa viene sollevata
all'interno del PROCESSO.

· Con quale meccanismo? La questione di costituzionalità può essere


sollevata sia in un processo civile, penale o amministrativo.
ES. nel processo civile: Tizio chiama in giudizio Caio davanti ad un tribunale. La
decisione della controversia introdotta da Tizio contro Caio implica
l’interpretazione di alcune norme (le norme che vengono da quel dato rapporto che
è portato davanti al giudice, come quelle riguardanti la compravendita, contratto di
mutuo, proprietà etc..). Su iniziativa delle parti, o anche d’ufficio (cioè su
iniziativa del giudice) viene sollevata una questione di costituzionalità (ES. tale
norma del codice civile è in contrasto con l’articolo 3 della costituzione).
Una volta sollevata la questione il giudice deve fare due valutazioni:
1. “Valutazione sulla rilevanza della questione ai fini del decidere”. In un
giudizio, non si può

sollevare una questione di costituzionalità se non è funzionale alla decisione


della controversia (se la questione è relativa alla controversia o meno). Se
non è rilevante la valutazione finisce qui, se lo è invece si passa alla seconda
valutazione.

2. “Sommario scrutinio di legittimità costituzionale”. Il giudice afferma che “la


questione di costituzionalità sollevata non è manifestamente infondata”.

Se il giudice valuta e decide che la questione di costituzionalità è rilevante ai fini


del decidere e che la questione non è manifestamente infondata, rimette la
questione alla corte costituzionale e sospende il giudizio in attesa che la corte
risponda ed emani la sua pronuncia.
La corte costituzionale valuta sotto il profilo dell’ammissibilità. Essa può decidere:
· La questione non è fondata, quindi rigetta il ricorso. Il giudice può
quindi decidere la controversia senza la preoccupazione che la norma che
deve applicare sia in contrasto con la costituzione. La norma non è
incostituzionale.
· È incostituzionale e la corte in sentenza dichiara incostituzionale la
norma. Questa sentenza viene pubblicata sulla gazzetta ufficiale della
repubblica Italiana, dove sono pubblicate le leggi e tutti i testi normativi. La
norma viene quindi abrogata.
Nella maggior parte dei casi la corte si pronuncia con una SENTENZA
INTERPRETATIVA (nel mezzo, né costituzionale né incostituzionale, è un caso
intermedio) e afferma che la norma sulla quale è stata sollevata la questione di
costituzionalità è conforme a costituzione a condizione che
venga interpretata come dettato dalla corte.
Queste sentenze interpretative di solito sono riportate nelle note a piè di articolo
contenuto nel codice civile.
A questo punto la corte costituzionale fornisce una interpretazione della norma che
la renda conforme a costituzione. Quindi la norma è conforme a costituzione se la
si interpreta come dettato dalla corte.
A questo punto, questa interpretazione diventa vincolante per il giudice. Quindi sia
quel giudice sia tutte le controversie successive dovranno interpretare la norma
come ha detto la corte. È una interpretazione dettata dalla corte costituzionale
che consente di mantenere in vita la norma con questa particolare
interpretazione.
È una “Conditio sine qua non” di costituzionalità, quindi o la interpreti così o è
incostituzionale.
Abbiamo osservato quindi quanto impatta la costituzione sul diritto privato. Essa
può determinare l’abrogazione di norme di diritto privato e può determinarne
anche una interpretazione vincolante.
Ricapitolando, ci sono due modi attraverso i quali la costituzione impatta sul
diritto privato:
1. sollecitazione al legislatore ad intervenire dove ritenga che vi siano norme non
conformi a costituzione.
2. controllo di legittimità costituzionale rimesso alla corte costituzionale
attraverso il percorso obbligato del processo.

C'è anche una terza modalità d’impatto, ed essa riguarda tutti gli interpreti
(giudice, studioso, studente, avvocato).
Questa terza modalità avviene attraverso l’interpretazione costituzionalmente
orientata. Questo discorso si riallaccia all’articolo 12 delle disposizioni sulla legge
in generale, che detta i criteri di interpretazione della legge (il criterio letterale e la
ratio legis), ebbene questi criteri sono integrati con questo.
Con l’entrata in vigore della costituzione, l’attività di interpretazione di un testo
normativo deve avvenire nel contesto costituzionale, all’interno dei principi sanciti
dalla costituzione.
Quindi l'attività dell’interprete si complica perché non basta tener conto del
significato delle parole (secondo la loro connessione logica, sintattica,
grammaticale, ortografica etc..) e non basta nemmeno tener conto della funzione
della norma (ratio legis), ma l’interpretazione deve avvenire nella cornice dei
principi costituzionali, essi diventano quindi un criterio interpretativo importante.
Oltre alle due valutazioni del giudice si aggiunge quindi un terzo elemento, che
non è stabilito dalla legge ma è stabilito dalla giurisprudenza costituzionale, cioè il
giudice deve rimettere alla corte costituzionale le questioni che non possano essere
da lui risolte in via interpretativa. Se il testo normativo consente di interpretare la
norma in modo costituzionalmente orientato non c’è
bisogno dell’intervento della corte costituzionale (lui fa l’interpretazione
costituzionalmente orientata).
Se invece le parole di cui si compone il testo normativo non consentono al giudice
di interpretarle in modo costituzionalmente orientato, egli deve rimettere la
questione alla corte costituzionale.
Un testo normativo di per sé è una composizione linguistica, ed un testo
linguistico difficilmente consente una sola interpretazione perché generalmente ne
consente una pluralità.
Quando una norma presenta dubbi di costituzionalità il giudice si deve interrogare
riguardo la possibilità di interpretarla in modo costituzionalmente orientato (se è
consentito dal testo normativo). Questo problema si pone anche all’avvocato,
come ad esempio la necessità di interpretare delle norme riguardo un parere del
suo cliente.
Se per esempio si danno tre interpretazioni di un testo normativo, se una di esse è
costituzionalmente orientata, quest’ultima è quella preferibile, perché è quella
orientata ad un determinato principio della carta costituzionale. Si tratta
principalmente di un criterio selettivo.
La costituzione entra quindi nell’interpretazione, non si può prescindere da essa,
perché i primi 15 articoli di essa sono i “principi fondamentali”.
Principi generali dell’ordinamento giuridico dello stato italiano furono contenuti
nella CARTA DEL LAVORO, che fu abrogata con la caduta del regime fascista.
Quei principi si trovano oggi nella costituzione.
Qual è il dibattito che si è posto una volta entrata in vigore la costituzione? Il
dibattito che si è acceso tra i costituzionalisti e all’interno della stessa corte
costituzionale è che si tratti di principi programmatici o principi che hanno una
loro precettività ?
Se si tratta di principi e quindi di un testo normativo programmatico, il programma
deve essere realizzato da qualcuno (cioè il legislatore). La costituzione fissa una
serie di principi che devono poi essere realizzati dal legislatore e questo fu
l’orientamento che sembrava prevalente all’inizio.
Il secondo orientamento invece, cioè la natura precettiva delle norme
costituzionali, è stato favorito dal fatto che il legislatore interveniva con grandi
ritardi per realizzare i programmi contenuti nelle norme. Ad esempio, la
costituzione è entrata in vigore nel 1948 e la riforma del diritto della famiglia
avvenne nel 1975, quindi 27 anni dopo. Questo indica una lentezza del legislatore
italiano nella traduzione, declinazione in disciplina legislativa dei principi
contenuti nella carta costituzionale. Questo ha favorito quindi il secondo
orientamento ovvero la precettività dei principi costituzionali.
Per precettività si intende una diretta applicabilità, ed essa è stabilita dalla corte
costituzionale con una decisione del 1956. La corte costituzionale ha detto “le
norme costituzionali sono di
immediata applicabilità” ciò significa che queste norme possono essere applicate
direttamente senza che un legislatore faccia da mediatore. Questa è diventata la
posizione nettamente prevalente.
Un esempio di utilizzo immediato della costituzione nelle sentenze è il principio di
solidarietà economica previsto nell’articolo 2 della costituzione nell’ultima parte
(spesso evocato dai giudici ordinari).
Esso è spesso evocato in controversie aventi ad oggetto l’interpretazione di un
contratto per riequilibrare il rapporto tra i contraenti, qualora esso fosse
squilibrato.
Un esempio recente è stato quando, durante il lockdown, dei servizi commerciali
hanno dovuto chiudere. I commercianti avevano un contratto di locazione
dell’immobile dove esercitavano la loro attività commerciale, quindi si sono rivolti
dapprima al locatore affermando che non potevano pagare il canone
di locazione perché non avevano potuto lavorare. Dato che il commerciante ha
firmato il contratto dove si impegna a pagare il prezzo di locazione, esso si rivolge
al giudice al fine di ridurre il canone di locazione, presumibilmente per un anno
dato che i clienti sono diminuiti significativamente e di disporre che non venga
pagato il canone di locazione per i mesi della chiusura obbligata. Dato che vi è un
contratto, come può intervenire il giudice?
Il giudice interviene sulla base del principio di solidarietà economica e sociale
previsto dall’articolo 2 della costituzione. Questo consente al giudice di entrare nei
contenuti del contratto e modificarli contro
la volontà della parte.
GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 12/10/2020
Abbiamo visto che l’entrata in vigore della costituzione ha grande impatto sul
diritto privato e che la carta costituzionale entra nel “quotidiano
dell’interpretazione” dei testi normativi che attengono al diritto privato.
Al fine di dare una sistemazione definitiva all’elenco gerarchico delle fonti, è
necessario accennare alle fonti del diritto dell’unione europea. Le fonti del diritto
europeo primario vanno a collocarsi allo stesso livello della costituzione italiana.
Nel momento in cui le fonti dell’euro diritto primario che sono:
· TRATTATI DELL’UNIONE EUROPEA

· TRATTATO DEL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA

· CARTA DI NIZZA

· SENTENZE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA


entrano negli ordinamenti degli stati membri, vanno a collocarsi insieme alla
costituzione e dunque ad un sistema delle fonti gerarchicamente ordinato,
sovrapponendo un sistema a rete dove su uno stesso gradino ci sono fonti aventi
pari forza.
Si pone un problema di coordinamento tra queste fonti e allora la fonte sottostante
deve essere conforme ai principi contenuti nella costituzione, ai trattati
dell’Unione Europea ,trattato del funzionamento dell’Unione Europea, carta di
Nizza e sentenze della corte di giustizia.
Assistiamo ad una perdita di sovranità degli stati ad una cessione di sovranità dagli
stati membri all’Unione Europea e questa cessione la si misura in campo giuridico,
perché questo diritto dell’unione europea primario penetra direttamente
nell’ordinamento degli stati membri sicché collocandosi nel gradino più alto del
sistema delle fonti, le leggi statali devono essere conformi.
Quando l’applicazione di un principio dell’euro diritto si pone in contrasto con i
principi dell’ordinamento dello stato italiano, si crea un problema di
coordinamento tra questi principi.
Di fronte ad una fattispecie del genere, chi è il giudice che ha l’ultima parola su
questo caso? È la Corte Costituzionale che, laddove riscontri un contrasto
insanabile tra il principio dell’Unione Europea e un principio fondamentale dello
stato italiano, può dichiarare incostituzionale la legge sulla quale è stato approvato
nel nostro paese ad esempio, il trattato dell’unione europea nella parte in cui
prevede quel principio che è in contrasto con il principio fondamentale dello stato.
Oggi si parla di diritto comunitario, ma è più corretto parlare di DIRITTO
DELL’UNIONE EUROPEA dell’Unione Europea perché oggi si parla di Unione
Europea e non più di Comunità Economica Europea (CEE).
Il trattato istitutivo della CEE è stato approvato nel 1957 ed è stato recepito da una
legge nazionale sempre nel 1957
In ordine cronologico abbiamo:

· TRATTATO ISTITUTIVO DELLA COMUNITÀ ECONOMICA


EUROPEA (1957)

· TRATTATO DI MAASTRICHT (1992) in cui nasce l’Unione


Europea.
• CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE (2000)
approvata a Nizza.
L’art. 6 del trattato dell’Unione Europea attribuisce alla carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea (detta anche CARTA DI NIZZA)lo stesso
valore dei principi del trattato.
Quindi i tre grandi trattati:
1. TRATTATO DELL’UNIONE EUROPEA

2. TRATTATO SUL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA

3. CARTA DI NIZZA
si vengono a trovare sullo stesso piano, non c’è un rapporto gerarchico tra loro e
tutti e tre si pongono sul piano della Costituzione.
Sul gradino più alto del nostro sistema delle fonti troviamo:
Costituzione, Trattato Dell’Unione Europea, Trattato Sul Funzionamento
Dell’Unione Europea, Carta di Nizza e Sentenze della Corte di Giustizia
dell’Unione Europea
che sono sentenze interpretative vincolanti e analoghe a quella che la Corte
Costituzionale dei singoli Stati membri fornisce di alcune norme, laddove dica che
quelle norme siano considerate costituzionali a condizione che si interpretino in
questo modo.
Dal 2009 con il trattato di Lisbona si è avuta la consolidazione dei trattati.
Quindi dal 1° dicembre 2009 abbiamo che quello che era il trattato di Maastricht,
si è come spacchettato in due testi normativi di rango superiore, trattato UE e
trattato del funzionamento dell’Unione Europea.
Il diritto dell’Unione Europea si divide in DIRITTO PRIMARIO e DIRITTO
DERIVATO. Questo che abbiamo trattato finora è il diritto primario.
Il diritto derivato invece, è costituito da due grandi fonti:

· REGOLAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA: è una fonte


direttamente efficace negli ordinamenti degli stati membri non ha bisogno di
essere recepita. Questa fonte si colloca fra le leggi statali e tra il gradino più
alto delle fonti

· DIRETTIVE EUROPEE: non sono immediatamente efficaci negli


stati membri, fissano delle linee guida alle quali i legislatori degli stati
membri si devono attenere per uniformare il diritto degli stati nazionali.
Sono per lo più strumenti per l’uniformità degli stati nazionali attraverso la
quale il legislatore nazionale, all’interno delle soluzioni indicati dalla
direttiva europea che indica soluzioni alternative, può scegliere tra più
opzioni. Inoltre, essa ha bisogno di una legge nazionale attuativa di
recepimento della direttiva.
Fino a pochi anni fa c’erano ritardi di sei/sette anni per il recepimento di alcune
direttive, proprio perché c’era questa forma di resistenza delle tradizioni giuridiche
nazionali, che resistevano ad uniformarsi sul piano normativo e legislativo alle
direttive. Per questo motivo la corte di giustizia dell’Unione Europea per far sì che
questa resistenza degli stati membri venisse ad attenuarsi, è intervenuta con una
serie di sentenze per individuare all’interno delle direttive quelle parti che fossero
così articolate da poter apparire immediatamente precettive, a prescindere dalla
legge di recepimento degli stati membri.
Bisogna considerare anche la CARTA EUROPEA DEI DIRITTI
DELL’UOMO (CEDU), perché a essa è stato dato valore di norma di rango
primario, quindi bisogna collocarla anch’essa nel gradino più alto e analogamente,
alla corte di giustizia dell’Unione Europea, la CORTE EUROPEA DEI DIRITTI
DELL’UOMO la quale è l’unico interprete autentico della carta europea dei diritti
dell’uomo.
GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 13/10/2020
Nell'art.1 delle preleggi del c.c. al primo gradino vi è la legge, che può essere di
tipo statale e regionale. Questo crea un problema di competenza legislativa, e di
rapporto fra la competenza delle singole regioni e la competenza dello stato. La
corte costituzionale si occupa di dirimere questo tema, ovvero il conflitto di
competenze tra regioni e stato.
Se la regione legifera fuori dell'ambito delle competenze proprie di quella regione,
si crea un problema di legittimità costituzionale, cioè di possibile violazione
dell'art.117 della Costituzione che stabilisce le competenze dello stato e delle
regioni in materia legislativa. Quindi se la regione legifera in una materia che è
di competenza dello stato viola la costituzione.
DECRETO LEGGE
Il Decreto-legge è una questione che nel nostro paese è diventata una piaga
legislativa, una patologia della nostra legislazione. Esso è disciplinato dall’art.77
della Costituzione:
Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano
valore di legge ordinaria.
Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la
sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno
stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono
appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.
I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro
sessanta giorni dalla loro pubblicazione.
Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base
dei decreti non convertiti.
Questo articolo stabilisce i limiti dell'attività legislativa del governo, posto che il
nostro sistema costituzionale preveda che l'attività legislativa del nostro paese sia
di competenza del parlamento. Il governo dunque non può in via normale fare le
leggi, salvo nei casi stabiliti dall’articolo.
Il potere legislativo del governo si articola in due momenti:
1. il parlamento conferisce delega al governo a legiferare su una determinata
materia con una legge del parlamento che si chiama legge delega, e lo deve
fare secondo i seguenti principi. Nella delega il delegante, e quindi in questo
caso il parlamento, indica al delegato i principi che dovrà seguire
nell'esecuzione della delega, e il perimetro della delega.
3. Una volta che il parlamento ha approvato la legge delega il governo può fare,
la legge attuativa della delega.
Questa previsione pone un problema ovvero che il delegato rispetti il “binario” che
è stato fissato dal delegante, se non lo rispetta ecceda la delega, quella legge potrà
essere censurata di costituzionalità proprio per difetto o eccesso di delega, nel
primo caso il governo ha legiferato al di fuori del perimetro della delega, nel
secondo caso ha legiferato in un modo non conforme ai criteri dettati dal
legislatore delegante.
Il problema di costituzionalità della norma può essere sollevato nell'ambito del
processo da una delle parti o dal giudice di ufficio. Nel caso in cui venga sollevata
dal giudice, quest’ultimo dovrà fare una duplice valutazione: la rilevanza ai fini
del decidere della norma sulla quale è stata sollevata la questione, e se le norma
non è manifestamente infondata.
Nel secondo comma ci si riferisce invece ad un caso straordinario, terremoti,
allagamenti, casi che richiedono interventi legislativi. Il decreto-legge viene
approvato dal consiglio dei ministri, pubblicato sulla gazzetta ufficiale ed entra in
vigore con forza di legge. Tuttavia, avendo una durata provvisoria, il governo lo
deve immediatamente trasmettere alle camere, e deve essere messa in calendario la
conversione del decreto in legge. Ciò deve avvenire anche se le camere sono
sciolte a causa di nuove elezioni, quindi si convocano appositamente e se il
decreto non viene convertito in legge entro 60 giorni dal parlamento, perde
efficacia.
Questo fenomeno, che nella costituzione era stato previsto come un fenomeno
eccezionale, è diventato nella prassi di questi ultimi 30 anni il modo ordinario in
cui vengono fatte le nostre leggi. Quello che era uno strumento eccezionale, da
circa 30 anni, è divenuto il modo ordinario di legiferare. È una patologia grave del
sistema legislativo, che presenta anche un problema ulteriore, se guardiamo la
realtà di questi ultimi 30 anni vediamo che quando il decreto-legge viene portato
in parlamento per essere convertito in legge nei 60 giorni possono accadere le
seguenti tre cose:
1. viene convertito in legge con modificazioni entro 60 giorni. Quindi abbiamo
due testi normativi: un testo normativo che è stato in vigore per 60 giorni con
la quale i cittadini hanno regolato i loro affari e poi, dopo 60 giorni, quel testo
normativo viene convertito con modificazioni entrando in vigore.
4. non viene convertito perché non c’è un accordo, non c’è una maggioranza
parlamentare che approvi quel tipo di decreto-legge, quindi dopo 60 giorni,
perde l’efficacia e il governo lo reitera. Si assiste quindi ad un decreto-legge
che viene reiterato un numero non stabilito di volte, finché il parlamento non
lo approva.
5. non venga né convertito né reiterato, quindi per 60 giorni è stata in vigore una
legge che ha regolato determinati rapporti.
È un ulteriore difficoltà dell’interpretare perché quando si interpreta un testo
normativo che è un decreto-legge o un decreto-legge convertito in legge, bisogna
essere attenti al tempo, bisogna valutare il tempo in cui si è verificato il caso
concreto che diventa fondamentale.
Nella fattispecie di un decreto-legge che viene reiterato tre volte e poi l’ultimo
testo, il terzo viene convertito in legge con modificazioni, se si ha un caso che è
stato regolato da quei testi normativi, bisogna andare a vedere quale testo era
vigente quando è sorto. Questo perché vi è un principio generale secondo cui:
Tempus Regit Actum
L'atto è regolato dalla legge vigente nel momento in cui è posto in essere
Questo crea una difficoltà all’interprete ulteriore rispetto a tutte le difficoltà che
derivano dalla complessità del sistema delle fonti.
La legislazione nel nostro paese si concentra in un particolare momento dell’anno
ovvero a fine anno, nel mese di dicembre per approvare la LEGGE DI
BILANCIO e ciò deve essere fatto entro il 31 dicembre. In un primo momento
questo provvedimento prendeva il nome di LEGGE FINANZIARIA,
successivamente LEGGE DI STABILITÀ e infine LEGGE DI BILANCIO.
*ESTRATTO DI UN ARTICOLO DEL PROFESSORE *
• LEGGE 30 dicembre 2004 n. 311: un articolo da 572 commi
• LEGGE 23 dicembre 2005 n. 266: un articolo da 612 commi
• LEGGE 27 dicembre 2006 n. 296: un articolo da 1364 commi
• LEGGE 24 dicembre 2007 n. 244: un articolo da 642 commi
• LEGGE 24 dicembre 2012 n. 288: un articolo da 561 commi
• LEGGE 27 dicembre 2013 n. 147: un articolo da 749 commi
• LEGGE 23 dicembre 2014 n. 190: un articolo da 735 commi
Il dato numerico è significativo perché nel momento in cui l’interprete deve
interpretare il comma x del testo normativo, come lo interpreta? Abbiamo detto
che un testo linguistico è suscettibile anche di un'interpretazione di tipo
sistematico nella quale le parole di cui si compone il testo normativo, nella loro
connessione si interpretano in un modo oppure in un altro a seconda del contesto
di cui fanno parte. In questo caso l’interprete deve prendere il comma
“chirurgicamente” lo deve tirare fuori da quel testo andare a ricollocarlo in un
testo normativo suo proprio che disciplina la materia a cui quel comma fa
riferimento.
DECRETO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (D.P.C.M.)
È il decreto di un uomo solo ovvero del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Non è un decreto-legge ma una norma di rango diverso, non di rango primario
perché il decreto- legge una volta entrato in vigore ha la stessa forza della legge
approvata dal parlamento.
Soprattutto attualmente, quando sotto la pandemia si è incominciato a produrre
norme attraverso i DPCM, si è detto questo è un modo per regolamentare la vita
dei cittadini al di fuori del controllo parlamentare, ed è evidente che sia così
perché, se invece di adottare lo strumento del DPCM fosse stato adottato lo
strumento del decreto-legge, quest’ultimo, in base all’art.77 Cost. avrebbe dovuto
essere portato in parlamento entro i tempi previsti dall’art. per essere approvato
entro 60 giorni. Il parlamento avrebbe potuto così “metter becco” sul contenuto del
decreto-legge cosa che invece non succede col DPCM dato che esso sfugge al
controllo parlamentare.
Per questo motivo si è discusso a lungo e si continua a discutere se il presidente
del consiglio dei ministri nel momento in cui ha emanato i vari DPCM avesse un
potere legislativo che lo legittimasse oppure no. Questo discorso tuttavia, attiene
alla tematica della legislazione sanitaria relativa a situazioni di pandemia e quindi
di urgenza e straordinarie.
GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 14/10/2020
Abbiamo parlato del sistema delle fonti applicando un sistema di studi diacronico,
partendo cioè dal 1800 un secolo importante per il diritto privato e civile fino ad
analizzare e riflettere sui cambiamenti del codice civile (1942).
Nell'attuale sistema delle fonti si pongono problemi non soltanto di gerarchia ma
anche di coordinamento tra fonti aventi pari forza e che stanno sul gradino più
alto della scala gerarchica. Negli anni si è dovuto allungare questo gradino perché
le fonti del massimo rango sono aumentate di molto. Abbiamo detto che si è
sovrapposto a un sistema gerarchico un sistema a rete (dove la rete riguarda le
fonti in senso orizzontale ovvero quelle che hanno pari forza).In un sistema di
fonti di questo tipo il problema che oggi più di ieri si crea nel nostro paese è la
certezza del diritto.
Siamo partiti dall'osservare che un cittadino deve sapere, prima di porre in essere
un determinato comportamento quali siano le conseguenze del comportamento che
si accinge a porre in essere. Oggi è sicuramente più complicato di ieri perché i testi
normativi si sono complicati così come si sono moltiplicate le fonti e si è posto
quindi il problema dell'interpretazione dei testi normativi.
In questo contesto è evidente che prevedere la decisione del giudice, la decisione
giudiziaria, prevederne l'esito, è diventato molto più complicato.
Il giudice quando si trova a dover decidere una controversia deve:
1. applicare il testo normativo contenuto nel codice civile.

2. deve rapportarlo alla costituzione.

3. deve rapportarlo alle eventuali sentenze della Corte Costituzionale che


siano intervenute su quella norma.

4. deve rapportarlo ai principi contenuti nei trattati europei:

• Trattato UE.

• Carta di Nizza.

• Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.

5. deve far riferimento anche alle sentenze della Corte di Giustizia ovvero
l’unico sovrano interprete del diritto europeo.

6. deve far riferimento anche ai principi che sono contenuti nella Carta
Europea dei Diritti dell’uomo.

7. deve far riferimento anche alle interpretazioni di questi principi che viene
data dalla Corte di Strasburgo che è l’unica interprete europea della carta
dei diritti dell'uomo, omologa a quella di Giustizia.
Più il sistema delle fonti si complica, tanto più spazio ha la
discrezionalità/creatività del giudice e quanta più discrezionalità ha il giudice tanto
più è imprevedibile l'esito del giudizio.
Ecco perché si pone il problema della certezza del diritto e ci si chiede come si
può tornare ad un'accettabile prevedibilità della decisione giudiziaria.
In passato i testi normativi venivano studiati ed elaborati da giuristi, professionisti
e poi venivano approvati dal Parlamento con testi sufficientemente chiari.
Oggi non è più così, spesso la tecnica di redazione dei testi normativi è
improvvisata e non elaborata quindi l'interprete è chiamato a interpretare un testo
normativo poco chiaro e, in aggiunta a ciò, vi è anche il fatto che la legislatura
ordinaria, ha ceduto il passo alla legislazione straordinaria che, inizialmente
concepita come straordinaria, è divenuta ordinaria.
L’elaborazione dei decreti-legge di urgenza, sono ”pacchetti normativi” per
particolari fenomeni e danno luogo a delle modifiche che avvengono dopo 60
giorni. Bisogna sempre tener conto del periodo in cui sono stati in vigore, 60
giorni ,in forza di legge.
BREVE ACCENNO DEL SISTEMA GIUDIZIARIO
Nel nostro paese il sistema giudiziario prevede una giurisdizione ordinaria ,
amministrativa, contabile della Corte dei Conti e poi ci sono alcune giurisdizioni
speciali.
Quella ordinaria di giurisdizione è civile, penale e tributaria, ma com'è
organizzata?
In modo sommario, la struttura organizzativa del nostro ordinamento giudiziario è
una struttura fondata su tre gradi di giudizio:
Il primo grado davanti al tribunale ordinario diffuso sul territorio. Vi è un tribunale
in ogni città capoluogo di provincia ma ci sono anche città che non sono
capoluoghi di provincia ma sedi di tribunali.
Il TRIBUNALE esamina l'esito della controversia e da luogo alla sentenza di
primo grado.
Sopra ai tribunali vi sono le CORTI D’APPELLO, che sono inferiori rispetto al
numero dei tribunali, infatti vi è una Corte d'Appello in ogni regione.
Tuttavia, ci sono delle regioni che per la loro estinzione o per la loro tradizione
giuridica hanno una pluralità di corti d'appello ma in via generale ve n’è una per
ogni regione.
La sentenza del tribunale di primo grado può essere impugnata di fronte alla
Corte d'Appello.
La Corte d'Appello decide e a sua volta, la sua sentenza può essere impugnata
davanti alla CORTE DI CASSAZIONE che dal 1923 è una sola mentre prima vi
erano più Cassazioni a livello nazionale. Appunto dal 1923 è stata unificata
nell'unica Corte di Cassazione del regno avente sede a Roma, oggi è la Corte di
Cassazione della Repubblica Italiana.
La Corte di Cassazione è a sua volta organizzata in sezioni semplici: civile, penale
e tributaria perché si può arrivare davanti alla Cassazione anche per le
controversie che si hanno contro l’Agenzia delle Entrate.
Vi sono sezioni unite all'interno della Cassazione per risolve le questioni che
risultano essere controverse rispetto alle sezioni semplici.
Il problema della differenza di decisione è il fatto che per l'estrema discrezionalità
del giudicare in un sistema di fonti così caotico, può capitare che le stesse sezioni
della Cassazioni su controversie simili, abbiano orientamenti diversi ed assumano
decisioni diverse così da creare un contrasto di giurisprudenza all'interno della
Cassazione.
Quando siamo in presenza quindi di una questione della massima rilevanza oppure
di un contrasto giurisprudenziale interno alla Cassazione, intervengono le sezioni
unite.
Salvo alcune materie come ad esempio quelle della famiglia o dell’impresa, la
decisone di primo grado è monocratica, cioè vi è un giudice solo.
Per ciò che concerne invece il tema della famiglia e/o dell’impresa, le decisioni
sono assunte da un collegio di tre giudici (collegiali).
Il Collegio delle sezioni unite è composto da 15 giudici.
CHE FUNZIONE HA LA CORTE DI CASSAZIONE?
La funzione della corte di Cassazione è prevista dalla legge, ed in particolare
dall'ordinamento giudiziario degli anni 40, il quale prevede che essa abbai il
compito di assicurare:
“l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto
oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni”
art.65 primo comma del regio decreto n.12
L'ordinamento giudiziario negli anni è stato evidentemente e profondamente
modificato ma nonostante questo, l’articolo sopra citato, dove sono previste le
funzioni della Corte di Cassazione è rimasto eguale. La Corte di Cassazione deve
applicare l'esatta osservanza, deve controllare una sentenza della Corte d'Appello,
esercitare un controllo di legittimità, per questo viene anche detto giudice di
legittimità.
La Cassazione non riesamina i fatti, perché i fatti vengono riesaminati dal
tribunale e li riesamina la Corte d'Appello, ma i fatti poi si consolidano, cioè si
consolida la verità processuale che non è detto coincida con la verità reale, anche
perché il giudice civile deve ricostruire i fatti secondo l'apparato di prove che gli
viene fornito.
Si consolida nel primo e secondo grado una verità processuale ed è quella che
conta e che viene interpretata dal diritto e su quella verità processuale il giudice
decide dando il torto o la ragione.
La Corte di Cassazione fa un controllo di legittimità, ovvero controlla come è
stata interpretata e applicata la legge e come sono stati applicati i testi normativi
coinvolti nella controversia rilevanti al fine del decidere. Nello svolgere questo
fondamentale compito deve assicurare l'esatta osservanza, ovvero che il diritto sia
interpretato correttamente secondo i canoni interpretativi dei testi normativi.
È molto difficile il compito della Corte di Cassazione e spesso si assiste a contrasti
giudiziali, proprio perché le sezioni unite devono comporre i contrasti fra le
sezioni semplici, o all'interno delle sezioni semplici.
Un presidente della Corte di Cassazione che si chiama Giovanni Canzio dichiara
in una relazione: “oggi siamo in presenza di un diritto liquido”, espressione
molto efficace per evidenziare l'imprevedibilità della decisione. L'aumentata
discrezionalità legata alla moltiplicazione e frantumazione del sistema delle fonti è
una grave patologia, quindi bisogna evitare la deriva del giudizio liquido, o del
diritto liquido cioè la deriva di una discrezionalità dei giudici, di una mancanza di
uniformità dell'interpretazione dei testi normativi tali da rendere assolutamente
imprevedibile la decisione giudiziaria.
Per rimediare a ciò, è necessario rendere i testi normativi più chiari, tuttavia la via
dei testi normativi chiari è un’aspirazione che sembra almeno per parecchio tempo
rimanere, quindi la via che è stata intrapresa è stata quella di rendere per legge
vincolanti i precedenti giudiziali. Che significa questo?
Noi viviamo in un sistema giuridico, invece nel sistema anglosassone il diritto è
essenzialmente giurisprudenziale. Infatti, c'è la regola del sottostare alle decisioni,
nel senso che i giudici sono vincolati dal rispettare il precedente, quindi il
precedente è vincolante ed eventualmente bisognate motivare la ragione per cui si
decide di non seguirlo.
Fino a una ventina di anni fa nel nostro ordinamento ci si poteva distaccare dal
precedente, da una giurisprudenza anche della Cassazione consolidata senza darne
adeguata motivazione, e questo faceva accentuare l'imprevedibilità. Mancava una
norma che vincolasse i giudici al rispetto dei precedenti giudiziali.
Oggi invece sono intervenute alcune riforme del processo civile, l'ultima della
quale è stata avviata da Giovanni Canzio, Presidente della Cassazione grazie alla
quale sono entrate in vigore delle norme, così da rendere vincolanti per legge i
precedenti giudiziali.
Il legislatore ha stabilito quali sono i precedenti vincolanti della Corte di
Cassazione che corrispondano a :

· decisioni delle sezioni unite


· orientamenti consolidati delle sezioni semplici

Ci si chiede cosa succeda se la Corte d'Appello ha deciso in modo difforme da


quei precedenti. In questa fattispecie, il soccombente (colui che ha perso) impugna
la sentenza davanti alla Cassazione e laddove la Cassazione riscontri questo
contrasto, cassa la sentenza della Corte d'Appello.
L'avvocato di chi ha vinto che non si trova nella veste del ricorrente (colui che fa
ricorso in cassazione) ma si trova nella veste del resistente (colui che resiste al
ricorso, che è di solito colui che ha vinto in corte d'appello) dichiarerà di
conoscere il precedente della Corte di Cassazione, ma la Corte d’Appello ha preso
una decisione giusta per due motivi:

· perché il caso oggetto non è proprio uguale a quello deciso da quello


di quel precedente e allora merita una soluzione diversa, oppure
· Il caso è lo stesso ma i tempi sono cambiati e quella giurisprudenza ha
bisogno di un ripensamento.

GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 19/10/2020


L'interprete dinanzi a testi normativi che si succedono nel tempo e considerando
come l’attualità sia caratterizzata da una velocità nella successione di testi
normativi che trattano la stessa materia, nel conoscere i pezzettini riscontra delle
difficoltà.
D’altro canto, il principio gerarchico che regola il rapporto tra testo normativo
sovrastante e testo normativo sottostante, cede il passo al sistema in rete e quindi
sempre più frequentemente non si tratta di applicazione del principio gerarchico
ma si tratti della esigenza di coordinamento tra fonti che sul piano gerarchico sono
di pari grado.
Per poter interpretare il testo normativo giusto ci sono dei principi che regolano la
successione della legge del tempo: se a un testo normativo in vigore che regola
una determinata materia succede qualche anno dopo un altro testo normativo che
regola la stessa materia, si pone il problema di quale sia il testo normativo oggetto
di interpretazione e quindi vigente.
È chiaro che il principio cronologico, secondo il quale la norma successiva
prende il posto laddove riguardi la stessa materia della norma precedente, è
un principio che deve essere tenuto in considerazione, ma può essere
applicato soltanto tra norme di pari grado. L’articolo delle preleggi e l’articolo
15 sulla abrogazione delle leggi sono molto precisi a riguardo:
DISPOSIZONI SULLA LEGGE IN GENERALE, CAPO II
15. ABROGAZIONE DELLE LEGGI
Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del
legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché
la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore.
Il discorso diventa più complicato per la parte successiva dell'articolo 15 quando
dichiara che non solo le leggi possono essere abrogate da leggi posteriori per
dichiarazione legislatore (ABROGAZIONE ESPRESSA) ma anche per
incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti.
Questo è un problema di interpretazione perché bisogna andare a vedere dove sia
l'incompatibilità e in cosa consista perché qualora ci sia incompatibilità è chiaro
che la legge successiva abroga la precedente e quindi la legge più recente diventa
il testo normativo da interpretare.
L'ultima ipotesi vi è quando la nuova legge posteriore regola l'intera materia già
regolata dalla legge anteriore supponente.
Qualche volta è opinabile l'incompatibilità e il rapporto tra legge precedente e
legge successiva e se abbia effettivamente o meno quella successiva regolato
l'intera materia oppure no, però di questi principi deve tenere conto l'interprete.
Questo principio si applica se si hanno leggi di pari grado, ma viene attenuato
quando si ha una legge di carattere generale e un'altra di carattere speciale.
ES. all'interno del Codice Civile tra i contratti cosiddetti tipici (contratti
espressamente disciplinati dal legislatore) si trova la disciplina generale del
contratto locazione ma quando entra in vigore una legge speciale, come quella del
1978 la legge che regola il contratto di locazione relativamente ad immobili urbani
ad uso di abitazione o ad uso diverso da abitazione è una legge speciale.
Perciò il rapporto tra legge speciale e legge generale va tenuto in considerazione ai
fini della successione delle leggi nel tempo e quindi al fine di comprendere quale
sia l'oggetto dell’interpretazione.
Su tale rapporto c'è un brocardo che recita
Lex posterior generalis non derogat priori speciali
La legge successiva generale non deroga a quella precedente speciale
cioè laddove vi sia una legge speciale che regola la materia e successivamente
venga disciplinata la materia dal punto di vista generale, la legge generale
successiva non deroga la legge speciale precedente.
L'interprete è tenuto a considerare vigente una previsione normativa secondo
quanto espresso dall'articolo 10 delle disposizioni sulla legge in generale al suo
primo comma,
DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE CAPO II
10. INIZIO DELL’OBBLIGATORIETÀ DELLE LEGGI E DEI
REGOLAMENTI
Le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel decimoquinto giorno
successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto.
Le norme corporative divengono obbligatorie nel giorno successivo a quello della
pubblicazione, salvo che in esse sia altrimenti disposto.
Ciò implica che qualunque testo normativo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
della Repubblica italiana una volta che è pubblicato entra in vigore.
Questo articolo 10, emanato nel 1942, deve coordinarsi con l'articolo 73. della
Costituzione:
COSTITUZIONE PARTE II: ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
TITOLO I
SEZIONE II
ARTICOLO 73.
Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese
dall'approvazione.
Se le Camere, ciascuna a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne
dichiarano l'urgenza, la legge è promulgata nel termine da essa stabilito.
Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il
quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse
stabiliscano un termine diverso.
I passaggi sono tre:
• approvazione da parte dei due rami del parlamento.

• promulgazione da parte del Presidente della Repubblica.

• pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ove il senso della pubblicazione è


quello che tutti i cittadini ne possano avere conoscenza.

Stando all’art. 5 del Codice Penale, nessuno può invocare a propria scusa
l'ignoranza della legge. Tuttavia, su quest’articolo la Corte Costituzionale, con la
sentenza n° 364 del 1988, è intervenuta dichiarando che è illegittimo l'articolo 5
del Codice Penale nella misura in cui non esclude dalla inescusabilità per
ignoranza della legge penale, l'ignoranza inevitabile che si ha o quando il testo
normativo o quando vi è contrasto giurisprudenziale sull'interpretazione.
È una sentenza interpretativa additiva perché è come se aggiungesse un pezzo
all'interno della norma e introducesse una previsione all'interno della norma.
Da un punto di vista storico, l'Italia riparte all'inizio degli anni ʹ60 considerando
che gli anni ʹ50 sono anni in cui la nuova macchina dello Stato, i nuovi organi
cominciando dall'organo massimo di garanzia della Costituzione ovvero la Corte
Costituzionale che sono stati costruiti con la Costituzione, lentamente si mettono
in moto. In un passaggio così traumatico dato dal rimescolio della classe dirigente
del paese, salgono al potere uomini che erano stati esiliati condannati a morte,
magari erano fuggiti, erano stati perseguitati dal vecchio sistema.
Gli anni ʹ60 sono la svolta per il diritto e a partire da quegli anni fino ad oggi, si
possono distinguere tre periodi che sono all'incirca tre ventenni:
• i primi venti anni dal ’60 sono gli anni della grande svolta quando cioè i
principi della carta costituzionale, entrata in vigore il primo gennaio del
1948, incominciano a produrre i loro effetti. Questo primo ventennio 1960-
1980 lo si può qualificare con un'espressione inventata da uno studioso,
Natalino Irti:
l'età della decodificazione

cioè l'età nella quale si sviluppa una legislazione di riforme, sollecitata


dall'esigenza di attuare i principi costituzionali. Il protagonista di questo ventennio
è in primis il LEGISLATORE e tutta questa produzione di legislazione speciale
crea un fenomeno decodificazione, cioè è esposta al di fuori del codice una
materia che diventa disciplinata da leggi ad hoc.

Di questo periodo ricordiamo tre riforme importanti:

1. la RIFORMA SUL LAVORO con la conseguente stipulazione della


Carta dei Lavoratori.

2. la RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA ove il legislatore,


invece che fare una legge accanto al codice civile, fa una legge con la
quale modifica articoli del codice civile.

3. la RIFORMA IN MATERIA DI PROPRIETÀ che sconvolge il


sistema delle locazioni, andando poi a toccarne il contratto ed entra
per limitare l'autonomia contrattuale delle parti.

• Accanto al legislatore vi sono altri protagonisti della vita giuridica ovvero la


DOTTRINA GIURIDICA che interpreta le leggi, e la MAGISTRATURA che
ne permette l’applicazione.

Il vero protagonista è il legislatore e la dottrina accompagna questo fenomeno


legislativo dando il suo contributo di elaborazione e preparazione delle leggi.
Infine, ci sono i giudici che vanno a poco a poco acquistando consapevolezza
del loro ruolo. Infatti, nel 1965 si svolge il primo Congresso dell'Associazione
Nazionale magistrati e durante questo congresso si afferma il dovere del
giudice di interpretare tutte le leggi in conformità ai principi della costituzione
che rappresentano i nuovi principi fondamentali dell'ordinamento.

• il secondo ventennio rappresenta una svolta per quanto riguarda la magistratura.

Difatti il legislatore italiano continua a legiferare ma sono leggi di qualità diversa,


non sono più attuative dei principi costituzionali ma sono leggi dell'emergenza.
In questo periodo si verifica, inoltre, un fatto che dal punto di vista storico è un
fatto epocale ovvero lo scontro tra magistratura e politica.
Il magistrato, non solo negli anni Ottanta e Novanta diventa protagonista ma
addirittura determina e mutua l'andamento politico del paese, è una magistratura
che processa la politica per reati che attengono alla vita politica. Alcuni partiti
verranno estinti, altri partiti sopravviveranno o verranno lasciati sopravvivere.

È opportuno sottolineare che la magistratura degli inquirenti, cioè dei procuratori


della Repubblica, entra nella dialettica politica, condiziona e determina la caduta
di leader politici e partiti politici e ciò fa sì che la politica (Parlamento e classe
dirigente) perda di autorevolezza.
La magistratura è protagonista dell'interpretazione ed è chiaro che in un contesto
nella quale aumenta la legislazione disordinata, la magistratura italiana trova più
spazio per la sua discrezionalità della decisione e quindi il secondo ventennio è il
ventennio nel quale si prepara la stagione odierna, perché si affaccia alla storia
giuridica l'Europa come ordinamento sovranazionale che va ad incidere sugli
ordinamenti degli Stati membri. L'Europa che produce norme e la Corte di
Giustizia che le interpreta come unico e autentico.
• Il terzo ventennio, secondo Nicolò Lipari, è caratterizzato dalla disintegrazione
del sistema delle fonti che impone ormai all'interprete, quale primo atto del
procedimento interpretativo, l'individuazione dell’enunciato da cui muovere e che
fa venir meno l’univocità dell'oggetto, dunque con la disintegrazione del sistema
delle fonti si deve porre il problema di quale sia normativo dell’interpretare.
GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 20/10/2020
Abbiamo visto il periodo di tempo che va dall’entrata in vigore del Codice Civile
ad oggi. Questo periodo, si presenta classificabile in tre fasi, ciascuna di un
ventennio:

· 1960-1980: il protagonista è un legislatore illuminato, che attua in


modo razionale i principi della nuova Costituzione. La magistratura, non
ancora protagonista della vita giuridica e del paese, una dottrina molto colta
e molto vicina al legislatore, perché le leggi vengono elaborate da
professionisti del diritto. Questa fase la possiamo qualificare
convenzionalmente come età della decodificazione, che sta ad indicare la
produzione di un corpo legislativo che si affianca al Codice Civile, andando
qualche volta a modificarlo e costituendo le leggi complementari al Codice
stesso.
· 1980-2000: vi è una svolta che prepara agli anni presenti. In questi
anni il legislatore continua a legiferare ma è un legislatore meno pensoso e
razionale, è un legislatore d’emergenza. Si producono norme d’emergenza
che sono improvvisate e tendono a cambiare spesso. La magistratura
acquista una posizione centrale nella vita giuridica, ponendo il tema di un
eccesso di creatività giurisprudenziale che va contro la prevedibilità delle
norme. La magistratura entra a gamba tesa anche nella dialettica politica e
istituzionale del paese ed a causa di ciò, gli altri due soggetti che
partecipano alla vita giuridica ( il legislatore e la dottrina ) si infiacchiscono,
con il legislatore che entra addirittura in conflitto con la magistratura stessa.
In questo periodo si affaccia un altro protagonista sulla scena giuridica:
Questa diviene protagonista sia come produttore di testi normativi sia dal
punto di vista dei testi fondamentali ( i due trattati e la Carta di Nizza ), che
vanno ad alterare il sistema delle fonti e andandosi a collocare sul gradino
più alto delle fonti del nostro paese.

· 2000-2020: viene introdotta la legge di bilancio, che diviene simbolo


del modo di fare leggi del nuovo legislatore ( ovvero un articolo e centinaia
di commi ). Il primo esempio di obbrobrio normativo coincide quindi con
l’inizio del nuovo millennio ( testi normativi non pensati, scritti male, per i
quali la Corte Costituzionale ha detto che l’interprete, quando si trova a
visionarli, deve tener conto che in quelle leggi possano esserci degli errori
redazionali ). Il legislatore fa quindi delle leggi quasi improvvisate a cui si
aggiunge il fenomeno della decretazione d’urgenza. Dal punto di vista della
produzione normativa si riscontra dunque una qualità scadente, con una
conseguente difficoltà interpretativa, dato che un testo normativo scadente
può avere le più svariate ed imprevedibili letture. Tutto ciò insieme,
all’Unione Europea, dà vita al fenomeno della disintegrazione del sistema
delle fonti. Prima l’interprete partiva dall’oggetto dell’interpretazione, oggi
invece il primo problema che si pone non è quello dell’interpretazione, ma
di andare a cercare la fonte da interpretare.
La magistratura, in questo contesto, assume un potere discrezionale più largo. Il
diritto diviene quindi liquido, non più prevedibile.
Con una produzione normativa così policentrica e reticolare, l’interprete è ormai
costretto ad una costante opera di ricostruzione e persino individuazione del
corretto gradino gerarchico e del grado di forza vincolante della fonte, o del
rapporto di prevalenza tra diverse fonti configgenti.
In questo labirinto si può ben comprendere come sia ancor più cresciuta la
discrezionalità e la creatività del giudice, fino a portare a rilevare che sempre più
spesso le valutazioni del giudice sembrano libere di svolgersi secondo convinzioni
personali, piuttosto che nell’alveo dei criteri fissati dal legislatore.
Si può intervenire andando a fare testi normativi chiari oppure rendendo vincolanti
i precedenti giurisprudenziali.
In questo quadro la funzione delle alte corti:
• CORTE DI GIUSTIZIA
• CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
• CORTE COSTITUZIONALE
• CONSIGLIO DI STATO
è una funzione assai rilevanti. Quando si parla delle alte corti si presenta il
problema della coordinazione fra le stesse.

CODICE CIVILE
LIBRO PRIMO
TITOLO I: DELLE PERSONE FISICHE
Quando il Codice utilizza il termine “persone”, non fa riferimento soltanto alle
persone in carne ed ossa, ma mette sullo stesso piano la persona fisica e la
persona giuridica.
La Costituzione ha una concezione diversa di persona umana rispetto a quella del
Codice del 42 e introduce un’importante espressione: dignità. Oggi quando si
parla di persona si fa riferimento alla persona umana, con la connotazione della
dignità.
Il Codice del 42 (vedi pag. 209) prevedeva anche un principio di disuguaglianza
sotto il profilo della CAPACITÀ GIURIDICA, che è la capacità di essere titolari
di rapporti giuridici, di diritti e doveri.
Oggi è connaturata con la nascita, addirittura la precede, e nessuno mette in dubbio
che spetti a chiunque. Il termine persona proviene dal latino persona, e questo
probabilmente dall'etrusco phersu (“maschera dell'attore”) e ci lascia capire come
dietro la maschera, possa celarsi qualcosa. È un termine che si addice più alla
nozione di persona giuridica che a quella di persona fisica.
La persona giuridica è infatti un qualcosa costruito artificialmente dagli esseri
umani dietro a cui si celano gli uomini stessi.
GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 21/10/2020
Prima della Costituzione, il diritto tendeva solo a regolare gli aspetti patrimoniali
dell’uomo e della società. I diritti dell’uomo e tutto il dibattito riguardante la
soggettività giuridica si sviluppano nel modo in cui oggi lo conosciamo a partire
dalla metà del secolo scorso, quindi dopo la Seconda Guerra Mondiale.

COS’È LA SOGGETTIVITÀ GIURIDICA?


È quel soggetto che l'ordinamento riconosce titolare di diritti e doveri giuridici,
che devono essere tutelati. Quindi tutti siamo soggetti di diritto.
È una battaglia recente, ricordiamo ad esempio la schiavitù in Nord America,
quegli individui non erano considerati soggetti di diritto; anche quando si parla di
riconoscere la soggettività giuridica all’uomo indipendentemente dal sesso, dalla
religione o da qualsiasi altro fattore si tratta di una conquista recente.
Nessun soggetto può essere privato della capacità giuridica, la soggettività
giuridica non può essere né negata né limitata. Le donne ad esempio solo nel
1948 poterono votare per la prima volta.
Essere soggetto di diritto vuol dire essere TITOLARE di situazioni giuridiche
soggettive. Le situazioni giuridiche soggettive sono:
• ATTIVE: diritti soggettivi (categoria più ampia) e poi le facoltà. Il diritto
soggettivo ha sua volta due sottocategorie

1. DIRITTI SOGGETTIVI ASSOLUTI

2. DIRITTI SOGGETTIVI RELATIVI

• PASSIVE: obbligo, onere e soggezione.

I DIRITTI SOGGETTIVI ASSOLUTI sono quei diritti che attribuiscono al


titolare la possibilità di perseguire i suoi interessi o soddisfare il diritto in modo
pieno e assoluto senza cooperazione altrui. E soprattutto l’ordinamento fa sì che
nessuno possa ostacolare il titolare nell’esercizio di questo diritto.

ES. diritto di proprietà, il quale attribuisce al proprietario il diritto di godere in


modo pieno ed esclusivo del bene.

È un diritto solo tra la persona ed il bene. Gli altri devono limitarsi a non
turbarlo.

I DIRITTI SOGGETTIVI RELATIVI sono quei diritti per cui il titolare può
soddisfare il suo interesse ed esercitare il suo diritto attraverso la cooperazione
altrui.
ES. diritto di credito, io ho il diritto al che il soggetto mi dia una somma di
denaro ma io per avere quella somma di denaro ho bisogno che il creditore
adempia alla consegna.

Questo diritto conferisce al titolare il diritto di esigere da una persona una


determinata prestazione per soddisfare il suo interesse.

Eventuali terzi devono semplicemente non turbare questo rapporto.

Fanno parte dei diritti assoluti dei diritti assoluti anche:

• DIRITTI REALI

• DIRITTI REALI DI GODIMENTO E DI GARANZIA

Poi ci sono anche i DIRITTI DELLA PERSONALITÀ che vengono attribuiti


all’uomo in quanto uomo. Questi sono:

• DIRITTO ALLA VITA

• DIRITTO ALLA DIGNITÀ

• DIRITTO ALLA REPUTAZIONE

• DIRITTO AL NOME

• DIRITTO ALL’IMMAGINE

Sono tutti quei diritti che attengono all’uomo come soggetto di diritto, e quindi
possiamo dire appartengono a tutti.

Come abbiamo detto prima, il diritto inizialmente si occupava solo di rapporti


patrimoniali, quindi i diritti della personalità sono stati sviluppati successivamente
e la loro disciplina è stata ricalcata su quella prevista per i diritti reali. Ciò
comporta delle difficoltà perché ad esempio quando vi è la lesione di un diritto, la
regola principale è il risarcimento in forma specifica, ma se parliamo di diritti
della personalità questo risarcimento diventa più difficile da definire.

Solitamente si fa riferimento alla formula del risarcimento per equivalente,


quindi ad una somma di denaro pari al valore della lesione; mentre per i diritti di
tipo patrimoniale è possibile un risarcimento in forma specifica.

I diritti della personalità sono IMPRESCRITTIBILI.


Questa caratteristica la condividono con il diritto di proprietà, ma a differenza di
questo, i diritti della personalità sono anche INALIENABILI perché la proprietà
si può vendere, il diritto alla vita no. E non può essere attribuita ad altri la
possibilità di esercizio dei diritti della personalità.

Possono però essere RINUNCIABILI entro certi limiti e per alcune categorie
specifiche:

• diritto alla vita: è rinunciabile. Il suicidio ad esempio nel nostro


ordinamento non è vietato, è vietata l’istigazione al suicidio. L’ausilio fisico
è lecito, ma non bisogna aver avuto alcun tipo di coinvolgimento nella
formazione della volontà del soggetto.

• diritto all’integrità psicofisica: è rinunciabile. Il limite posto dall’articolo


5 del Codice Civile riporta che sono ammessi gli atti di esposizione del
proprio corpo purché non cagionino una diminuzione permanente della
stessa integrità psicofisica.

ES. anche fare il buco all’orecchio è una diminuzione dell’integrità psicofisica, è


ammessa ed è rinunciabile perché non crea una diminuzione della capacità
di godimento

ES. non possono essere donati e venduti gli organi. È reato perché va a ledere
l’integrità psicofisica; è permesso solo a fini terapeutici, solo quando sono
d’aiuto ad altri affinché guariscano. Attenzione! Non si parla di donazione
degli organi dopo la morte. Parliamo di donazione di midollo osseo, che è
ammissibile, donazione (e non vendita) del sangue, che è comunque una
lesione psicofisica ed una diminuzione, ammessa perché non comporta
problemi.

Per ciò che concerne il diritto alla reputazione e all’immagine sono rinunciabili ma
è sempre ammessa la regola del consenso
ES. quando viene data una nostra immagine a scopo pubblicitario in particolare si
parla di persone famose o sportivi vi è sempre un contratto che vincola. Non ci si
può sciogliere unilateralmente da un obbligo da contratto, se ha ad oggetto il
consenso di un soggetto di diritto della personalità è sempre ammissibile la regola,
come eccezione dei diritti della personalità.
Ovviamente ci può essere una forma di indennizzo, non proprio di risarcimento
perché se vi è risarcimento vuol dire che si è commesso un illecito, ma comunque
è lecito ed ammesso sempre revocare il consenso.
Quindi tutti i diritti della personalità sono IMPRESCRITTIBILI, INALIENABILI,
REVOCABILI con i limiti che abbiamo visto ed è sempre lecita la regola del
consenso.
CAPACITÀ GIURIDICA
è la capacità di essere titolari di ogni situazione giuridica soggettiva, essere
titolari di un diritto è come esercitarlo, la capacità giuridica non dà la capacità di
esercitare un diritto. Si acquista al momento della nascita.
CAPACITÀ D’AGIRE
capacità di esercitare i poteri e le facoltà che sono insite in un diritto. Si
acquista di regola con il compimento del diciottesimo anno di età. Infatti, fino ai
diciotto anni l’ordinamento prevede la figura del rappresentante legale, che nel
caso dei minori sono i genitori.
La capacità giuridica si acquista alla nascita, che è intesa come il momento in cui
il feto esce dal grembo materno ed esala un respiro. Nel caso in cui il feto uscisse
dal grembo materno ma non respirasse, non viene considerato nato. La
respirazione viene considerata l’unica funzione che durante la gravidanza,
all’interno dell’utero, non viene esercitata.
CODICE CIVILE LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA
FAMIGLIA
TITOLO 1
1. CAPACITÀ GIURIDICA
La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita.
I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento
della nascita.

Chi è il concepito? È il feto durante la gravidanza, che non ha capacità giuridica e


non è soggetto di diritto, ma nonostante questo l’ordinamento, prima ancora della
nascita, gli riconosce alcune situazioni giuridiche che vengono protette ma che
sono solo finalizzate alla nascita.
Quindi sono facoltà che il concepito acquista al momento della nascita ma che
l’ordinamento tutela prima di questa appunto. Il concepito può dunque succedere,
hanno capacità di succedere tutti i soggetti viventi al momento della morte del de
cuius ma anche i concepiti. Secondo una previsione del Codice può succedere
colui che nasce entro 300 giorni dall’apertura della successione, quindi chi nasce
prima dei 300 giorni si presume che al momento della morte del de cuius fosse già
concepito. I concepiti possono succedere e possono ricevere per donazione.
È prevista una possibilità eccezionale per quanto riguarda la successione
testamentaria (fino ad ora abbiamo parlato di successione legittima), infatti il de
cuius in questo caso può nominare erede anche un soggetto non concepito purché
sia un soggetto figlio di una persona in vita al momento dell’apertura della
successione.
ES. io per testamento posso anche lasciare un legato, nominare un mio erede il
figlio di una persona a me cara, il quale non è ancora nato ma non è nemmeno
concepito. Se non ci fosse stato il testamento, solo il concepito avrebbe potuto
succedere.
Si può anche fare una donazione ad una persona che non è ancora in vita purché
sia figlio di una persona in vita al momento della donazione.
Nel caso in cui il bambino non nasca, entrano in campo gli istituti
dell’accrescimento (si aumenta la quota degli altri eredi) o della
rappresentazione. O al limite si fa riferimento alla successione legittima.
Fino ad ora abbiamo parlato di rapporti patrimoniali del concepito, ma questi
riceve una forma di tutela anche per i diritti della personalità.
ES. se un soggetto esterno danneggia il feto, al momento della nascita e ciò fa sì
che vi siano dei danni permanenti, il soggetto ha diritto al risarcimento del danno.
ES. se un medico prescrive un farmaco alla donna in gravidanza e questo farmaco
danneggia il feto, che nasce malformato, dopo la nascita ha diritto al risarcimento
per la lesione dell'integrità psicofisica avvenuta prima della nascita.
Quindi il feto viene tutelato nella sua integrità psicofisica anche prima della
nascita. Nel caso in cui la lesione al feto comporti la morte, non vi è risarcimento
al feto ma alla madre e al padre.
Altra forma di tutela che viene riconosciuta al feto è la disciplina dell’aborto. Si
tende a pensare che nei primi 90 giorni la donna può decidere liberamente di
interrompere la gravidanza. Se fosse così dunque nei primi 90 giorni al feto non è
riconosciuta alcuna forma di tutela dell’integrità psicofisica, ma non è così.
Secondo la legge nei primi 90 giorni è consentita l’interruzione della gravidanza
solo se la donna dimostra che per lei è un danneggiamento della sua integrità
psicofisica. Di prassi nessuno va a sindacare se effettivamente vi è una lesione
dell’integrità psicofisica nella gravidanza non voluta. Quindi possiamo dire che in
realtà l’aborto non è libero nei primi 90 giorni. L’ordinamento va a tutelare
l’integrità psicofisica del feto non solo nei confronti di terzi, ma possiamo dire che
la donna è libera di danneggiare il feto.
ES. se un terzo non sa che la donna è incinta (e nemmeno lei ne è al corrente) e
danneggia involontariamente il feto non è obbligato a risarcire un danno
imprevedibile.
In caso di danno permanente quali sono i criteri attraverso i quali si può
quantificare il risarcimento? Lo vedremo meglio quando si andrà ad analizzare il
diritto alla salute perché le lesioni riguardanti il diritto alla salute vengono risarcite
facendo ricorso alle famose Tabelle Milanesi, le quali sono utilizzate dal giudice
per creare omogeneità.
Uno dei fattori che troviamo all’interno delle tabelle è quello dell’età, ad esempio
nel caso di lesione, l’entità della somma è maggiore nella fase centrale della vita
piuttosto che nella fase iniziale o terminale.
Se un terzo cagiona un danno o lesione al feto al momento della nascita, questo ha
diritto al risarcimento.
Sappiamo che molto spesso prima della nascita si chiede ad un medico di avere
una diagnosi del feto per sapere se sia sano o meno, ma che succede nel caso in cui
il medico sbagli? Egli può affermare che il feto sia sano e la donna decida di
portare avanti la gravidanza, ma al momento della nascita il feto risulta essere
malformato. In questo caso viene riconosciuto il diritto al risarcimento del danno
ad entrambi i genitori, per la lesione del diritto di scegliere liberamente se portare
o meno avanti la gravidanza.

È ammissibile un risarcimento del danno anche al feto che poi nascerà?


La Cassazione ha detto no, per il semplice motivo che non esiste il diritto a
nascere se non sano. C’è il diritto a nascere sano, quindi se io ero sano e un terzo
ha leso il mio essere sano allora vi è risarcimento.
Nessun genitore è obbligato ad interrompere gravidanze con feti malformati.
Innanzitutto, è un problema legato al nesso di causalità, bisogna provare che i
genitori, messi al corrente della malformazione, avrebbero sicuramente interrotto
la gravidanza e allora si può cominciare a ragionare, perché se il medico sbaglia
ma comunque i genitori avrebbero portato avanti la gravidanza, già questo avrebbe
interrotto il nesso di causalità. Soprattutto la Cassazione dice che è una
contraddizione, perché io sto riconoscendo un diritto al risarcimento che sorge al
momento della nascita.
QUANDO C’È MORTE ?
Nel momento in cui vi è la cessazione di ogni attività cardiaca e respiratoria.
Quando si parla di morte cerebrale, il soggetto non è morto quindi ha ancora tutti i
diritti della personalità. È consentita una rimozione, sempre mantenendo la tutela
dell’integrità psicofisica, degli organi a favore di soggetti che ne hanno bisogno,
ma vi è ancora il diritto all’integrità psicofisica.
Con la morte cessano tutte le situazioni giuridiche soggettive, non vi è più un
soggetto di diritto. La morte è l’eliminazione della vita e quest’ultima è tutelata nel
nostro ordinamento.
Nessuno può uccidere qualcuno, o meglio nessuno può eliminare il diritto alla vita
di un altro soggetto. La vita è tutelata non solo nei confronti degli altri, ma
anche nei confronti dello Stato stesso, il quale non può cagionare la morte altrui.
ES. nel nostro ordinamento non c’è la pena di morte.
In un caso di omicidio, quindi nel caso in cui un terzo cagioni la morte di un
individuo, quell’individuo ha diritto al risarcimento del danno?
Sorge il diritto del risarcimento del danno, ma non vi è più il soggetto quindi il
risarcimento andrà ai suoi cari per interruzione del rapporto parentale, poiché a
causa dell’omicidio viene a mancare quel legame di affettività con quel soggetto.
Ma non esercitano il diritto al risarcimento del danno da lesione alla vita.
Tuttavia, la Cassazione va a tutelare una situazione particolare è il DANNO
CATASTROFALE cioè quando qualcuno cagiona una lesione che comporta la
morte. Ma dal momento della lesione al momento della morte vi è un lasso
temporale e se in quel lasso temporale il soggetto era cosciente, quindi si è reso
conto che stava per morire, allora in questo caso la Cassazione riconosce il
risarcimento agli eredi, che lo ottengono in eredità. Questo tipo di danno va a
ledere l’integrità psicofisica, perché il soggetto era cosciente ed ha avuto la
consapevolezza di stare per morire. Questo elemento è molto difficile da provare.
DIRITTO ALLA DIGNITÀ UMANA
è uno dei diritti della personalità e si discute molto di questo argomento nel
riguardo dell’eutanasia. Ogni soggetto giuridico ha diritto alla propria dignità, a
poter condurre un’esistenza dignitosa. Il suicidio è libero, quindi se uno ritiene di
condurre una vita non dignitosa può porre fine alla propria esistenza.
Cosa succede in tutti quei casi dove il soggetto non è libero di autodeterminarsi o
di esercitare il proprio diritto alla dignità?
SENTENZA CORTE DI CASSAZIONE N° 21748 04/10/2007
CASO ENGLARO
Ragazza che si trovava in stato vegetativo, non era cosciente, il suo corpo era
tenuto in vita da macchinari e il padre, in qualità di rappresentante legale, decide
di voler staccare la spina del macchinario, sapendo che se l’avesse fatto sarebbe
stato considerato come omicidio. Con uno stratagemma introducono un’azione
giudiziaria con cui ottenere l’autorizzazione a poter staccare la spina. Contenzioso
di primo e secondo grado viene rigettata la richiesta, la Cassazione la accoglie, e
riconosce la tutela della dignità umana qui di ogni soggetto può essere libero di
porre fine alla propria esistenza se non dignitosa, ma se il soggetto non è in grado
un terzo può farlo per lui. Ovviamente quando vi è la prova certa e assoluta che
quel soggetto se fosse stato in condizione di poter interrompere la sua esistenza
l’avrebbe fatto. Sono stati ricostruiti tutti i valori e la personalità di quella ragazza
finché si è giunti alla prova che lei in una vita di tale genere non avrebbe mai
acconsentito nulla. Tant’è che a seguito della sentenza viene introdotto dal
legislatore il testamento biologico.
SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE N° 242 22/11/2019
CASO CAPPATO
Il soggetto era cosciente e bisognava aiutarlo. Il soggetto essendo cosciente, aveva
manifestato la sua volontà ma non essendo in grado di muoversi non poteva
esercitarla. Viene quindi accompagnato in Svizzera dove al soggetto viene dato un
farmaco, ma ciò porta ad aprire un fascicolo per istigazione al suicidio.
La Corte D’Appello rinvia alla Corte Costituzionale che in una prima sentenza non
si pronuncia.
“Nella camera del Consiglio di oggi la Corte Costituzionale ha dichiarato che
l’attuale assetto normativo concernente il fine vita (l’eutanasia) lascia inadeguata
tutela in determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione da
bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti. Per consentire in primo luogo
al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina, la Corte ha deciso di
rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 codice
penale all’udienza del 24 settembre 2019.”
Dopo 1 anno, la Corte Costituzionale dichiara l’incostituzionalità della norma.
GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO
DIRITTI DELLA PERSONALITÀ:
Questi diritti sono:
• Inalienabili
• Irrevocabili
• Imprescrittibili
• Appartengono ai diritti assoluti.
DIRITTO ALLA SALUTE:
È un diritto tutelato nei confronti non solo dei terzi, ma anche nei confronti dello
Stato che ha l’obbligo di tutelare la salute individuale e collettiva di ogni cittadino.
A differenza degli altri diritti per cui è prevista una tutela risarcitoria
( risarcimento del danno per equivalente o in forma specifica ), in questo caso vi è
anche una tutela preventiva ( tutela cautelare che è un ordine che viene impartito
da giudice prima ancora che si arrivi ad una sentenza ).
Per quanto riguarda la tutela risarcitoria, quando si parla di risarcimento al diritto
alla salute, si sta parlando del risarcimento del cosiddetto danno biologico che è il
danno all’integrità psicofisica del soggetto dato che tutte le volte che vi sia una
lesione all’integrità psicofisica, questa lesione produrrà una serie di danni
collegati.
ES. Se un medico, a causa di un comportamento illegittimo, frattura la mano di un
chirurgo o di un pianista, il danno prodotto non sarà solo biologico, ma anche nella
vita lavorativa di questi due soggetti che lavorano con le mani.
Quindi questi danni collaterali sono danni economici, perché gli illeciti arrecano
un danno di tipo patrimoniale e non patrimoniale. Quando parliamo di danno
non patrimoniale , parliamo del danno in sé al diritto della personalità ( in questo
caso è il danno in sé al diritto alla salute).
Il danno patrimoniale invece viene generalmente risarcito nelle sue due
componenti: LUCRO CESSANTE e DANNO EMERGENTE:
• Il danno emergente sono le spese che il soggetto effettivamente
sostiene a causa della lesione arrecatagli da un terzo che possono essere ad
esempio le spese mediche.
• Il lucro incessante è il mancato guadagno a causa della lesione
arrecata da un terzo, per esempio il compenso nel caso del pianista o un
intervento programmato nel caso del chirurgo.
Quando parliamo di diritto alla salute parliamo di danno non patrimoniale.
I tribunali, per quanto riguarda il risarcimento, utilizzano delle tabelle per fare una
liquidazione omogenea dei vari casi.
Inizialmente ogni tribunale aveva una tabella, ma la Cassazione, per impedire
questa disarmonia che persisteva in base a dove si trovavano i tribunali, ha
indicato le tabelle milanesi come quelle da utilizzare universalmente.
I diritti della personalità che trovano espresso riconoscimento nel Codice Civile
sono il DIRITTO AL NOME e il DIRITTO ALL’IMMAGINE
DIRITTO AL NOME:
CODICE CIVILE LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA
FAMIGLIA
TITOLO 1
Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito.
Nel nome si comprendono il prenome e il cognome.
Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e
con le formalità dalla legge indicati.
Il diritto al nome viene tutelato in due casi :
• Il soggetto viene tutelato da possibili usurpazioni del proprio nome
da parte di terzi
ES. un soggetto che si spaccia per un altro e ruba la sua identità.
• Il soggetto viene tutelato nel caso di contestazione legittima
ES. un soggetto contesta l’utilizzo del mio nome.
La persona alla quale si contesti il diritto all'uso del proprio nome o che possa
risentire pregiudizio dall'uso che altri indebitamente ne facciano, può chiedere
giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento. Quindi il
giudice inibisce un terzo ad usare il mio stesso nome e cognome in maniera
legittima.
Inoltre, si ha la tutela del risarcimento del danno.

DIRITTO ALL’IMMAGINE

CODICE CIVILE LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA


FAMIGLIA
TITOLO I
10. ABUSO DELL’IMMAGINE ALTRUI
Qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata
esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla
legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona
stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può
disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni.
Quindi nel Codice Civile, quando si parla di immagine, si intende proprio la
raffigurazione in sé, una raffigurazione del soggetto. Nessuno può utilizzare
immagine altrui, a meno che non ci sia il consenso. L’unica eccezione riguarda
il carattere pubblico della persona.
Per esempio, un giornale che pubblica la foto di un soggetto che per cariche
pubbliche rivestite o per la notorietà che ha, risulta un personaggio pubblico. In
questo caso non si ha bisogno del consenso del soggetto, poiché il giornale ha il
cosiddetto diritto di cronaca. Questa eccezione vale solo per l'utilizzo
dell'immagine in sé, non a fini commerciali. Nell’esempio che abbiamo fatto del
giornale che pubblica la foto di un personaggio pubblico, suddetta foto non può
essere usata per scopi commerciali, ad esempio per sponsorizzare un prodotto.
Oltre all’eccezione del personaggio pubblico, c’è anche l’eccezione in cui
l’interesse pubblico non è legato al personaggio in sé, ma ad un fatto di cronaca.
L’esempio è di un cittadino che compie un gesto eroico salvando una persona, o
uno studente che fa una scoperta particolare e in queste circostanze ci può essere
anche l’interesse pubblico di vedere il soggetto che ha posto in essere quel fatto.
In tutte queste ipotesi ovviamente si parla di soggetti maggiorenni.
DIRITTO ALLA REPUTAZIONE
La reputazione è l’immagine che un soggetto ha nei confronti della collettività, o
meglio l’immagine che la collettività ha di quel soggetto. Con immagine non
intendiamo la fotografia o la rappresentazione, ma intendiamo la considerazione
che la comunità ha di quel soggetto, in base alle proprie idee, alla propria
religione, al comportamento nella vita privata ecc.
Quindi il diritto alla reputazione è il diritto a far si che nessuno leda l’immagine
che il soggetto ha nella propria comunità.
DIRITTO ALL’IDENTITÀ PERSONALE
Questo diritto è una sottocategoria del diritto della reputazione e dell’immagine.
La distinzione avviene sotto il profilo della lesione:
Quand’è che lediamo la reputazione altrui?
Quando attribuiamo un fatto illecito, dal punto di vista giuridico o morale, ad un
soggetto. ES. affermare che un soggetto ha commesso un crimine quando in realtà
non è vero.

Come si può ledere invece il diritto all’identità personale?


Quando attribuiamo un fatto non illecito che però non rispecchia il patrimonio di
idee, di principi, di valori di quella persona.
In particolare, l’entità personale riguarda:
• orientamento sessuale
• orientamento politico
• orientamento religioso.

DIRITTO ALL’OBLIO

Si tratta del diritto alla riservatezza. Se quel carattere pubblico non è più attuale,
è illegittimo che un soggetto continui a vedere esposti fatti della propria vita.
ES. un personaggio pubblico che abbandona il mondo dello spettacolo ha diritto
alla riservatezza.
Un altro esempio può essere un caso della Cassazione che ha coinvolto la Rai.
La vicenda era questa:
un noto cantante che era in un ristorante con i suoi amici, si vede irrompere un
giornalista all’interno del locale per fargli delle domande. Il cantante ha una
reazione eccessiva e molto nervosa che verrà diffusa ovunque. Ai tempi era
legittimo che la Rai diffondesse queste immagini della reazione di quel noto
cantante in virtù del suo carattere pubblico. Dopo 5/6 anni la Rai rimanda in onda
questo servizio, all’interno di una rubrica che faceva una classifica dei personaggi
famosi più antipatici, riproponendo appunto quel video. Questa seconda
riproduzione venne giudicata dalla Cassazione come illegittima, proprio perché
quel servizio non aveva più un’attualità e un interesse pubblico, dato che il
cantante si era ritirato dalle scene.
La Cassazione, quindi, condannò la Rai proprio per aver violato il diritto all’oblio
di quel soggetto.
GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 27/10/2020
PERSONE GIURIDICHE
Abbiamo sempre fatto riferimento alla persona fisica, ma nel tempo si è avvertita
l’esigenza di creare un nuovo centro di imputazione di interessi.
Questo perché tutte le volte che dei soggetti si uniscono per perseguire un fine, il
fine non è più il fine del singolo o dei singoli, ma è il fine di questo ente e questo
fa sì che sorga la necessità di creare un autonomo centro di imputazione che
andasse oltre la persona fisica. Vi era l’esigenza che i soggetti potessero associarsi
per perseguire degli scopi che potevano essere di lucro o meno e che venissero
regolate tutte quelle fattispecie che potevano essere l’imputazione del patrimonio o
chi rispondeva delle obbligazioni contratte nell’interesse dell’ente.
Nel Codice Civile si vede ancora lo scetticismo che c’era da parte dello Stato nei
confronti delle associazioni, ma dove si vede questo scetticismo? Dall’art. 12 del
libro primo che verrà abrogato nel 2000.
CODICE CIVILE LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA
FAMIGLIA
TITOLO II
12. PERSONE GIURIDICHE PRIVATO *ABROGATO*
Le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la
personalità giuridica mediante il riconoscimento concesso con decreto del
Presidente della Repubblica. Per determinate categorie di enti che esercitano la
loro attività nell'ambito della provincia, il Governo può delegare ai prefetti la
facoltà di riconoscerli con loro decreto.
Notiamo quindi che secondo questo articolo non c’è una libertà piena di associarsi
quindi alcuni soggetti non possono liberamente associarsi e creare enti. È
possibile creare enti solo mediante il riconoscimento dello Stato che dà
l’approvazione. Viene fatto un controllo sullo scopo che deve essere lecito e
conforme ai valori perseguiti dallo Stato e veniva fatta anche una valutazione per
quanto riguarda il patrimonio che doveva essere idoneo allo scopo per il quale
l’ente stava sorgendo.
Un’altra limitazione la troviamo nell’art. 17, abrogato nel 1997.
CODICE CIVILE LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA
FAMIGLIA
TITOLO II
17. ACQUISTO DI MOBILI E ACCETTAZIONE DI DONAZIONI,
EREDITÀ E LEGATI
La persona giuridica non può acquistare beni immobili, né accettare donazioni o
eredità, né conseguire legati senza l'autorizzazione governativa.
Senza questa autorizzazione l'acquisto e l'accettazione non hanno effetto.
Capiamo quindi che vi era un controllo da parte dello Stato non solo alla nascita,
ma anche durante la vita dell’ente.
Questo controllo lo si vede anche allo scioglimento dell’ente con l’art. 27 di cui
l’ultimo comma fu abrogato nel 2000.

CODICE CIVILE LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA


FAMIGLIA
TITOLO II
27. ESTINZIONE DELLA PERSONA GIURIDICA
Oltre che per le cause previste nell'atto costitutivo e nello statuto, la persona
giuridica si estingue quando lo scopo è stato raggiunto o è divenuto impossibile.
Le associazioni si estinguono inoltre quando tutti gli associati sono venuti a
mancare.
*ABROGATO*
L'estinzione è dichiarata dalla autorità governativa, su istanza di qualunque
interessato o anche di ufficio.
Un’altra novità del codice è che per la prima volta vengono regolate le
associazioni non riconosciute.
CODICE CIVILE LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA
FAMIGLIA
TITOLO II
36. ORDINAMENTO E AMMINISTRAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI
NON RICONOSCIUTE
L'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute
come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati.
Le dette associazioni possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali,
secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione.
37. FONDO COMUNE
I contributi degli associati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il
fondo comune dell'associazione.
Finché questa dura, i singoli associati non possono chiedere la divisione del fondo
comune, né pretenderne la quota in caso di recesso.
Dall’art 37 vediamo che le associazioni possono liberamente acquistare beni
necessari per lo svolgimento dell’attività dell’ente e quindi non vi è un forte
controllo perché lo stato si disinteressava delle associazioni non riconosciute.

CODICE CIVILE LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA


FAMIGLIA
TITOLO II
38. OBBLIGAZIONI
Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione i terzi
possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse
rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in
nome e per conto dell'associazione.
L’importanza del riconoscimento di un’associazione sta nel fatto che con esso
l’ente acquistava soggettività giuridica, era al pari di una persona giuridica.
Tramite il riconoscimento l’associazione diviene persona giuridica che stava ad
indicare il fatto che c’era un vero e proprio soggetto totalmente scollegato dalle
persone fisiche che lo componevano.
Attraverso il riconoscimento nasce il soggetto giuridico che acquista la personalità
giuridica e l’AUTONOMIA PATRIMONIALE PERFETTA.
L’autonomia patrimoniale perfetta è la rappresentazione di questa netta scissione
tra la persona giuridica e le persone fisiche che compongono l’ente, perché la
regola per le persone giuridiche è che delle obbligazioni dell’ente risponde solo e
soltanto il patrimonio dell’ente stesso.
Quindi la persona giuridica risponde con il proprio patrimonio e quello degli
associati non può essere aggredito in alcun modo e lo stesso vale per il creditore
degli associati.
Nell’associazione non riconosciuta quindi abbiamo visto che i creditori dell’ente
possono in via sussidiaria, aggredire il patrimonio degli amministratori, ma lo
stesso vale per i creditori dei singoli associati che possono aggredire solo nei limiti
della propria quota versata.
Nell’associazione non riconosciuta quindi non c’è questa scissione, si parla di
AUTONOMIA PATRIMONIALE IMPERFETTA.
Perciò:
• l’associazione NON riconosciuta ha un proprio fondo, un proprio
patrimonio, può acquistare delle obbligazioni di cui ne possono rispondere
anche i singoli amministratori per nome e per conto dell’associazione.
• Nell’associazione riconosciuta risponde invece il patrimonio
dell'ente.
Quando nell’associazione non riconosciuta parliamo di responsabilità sussidiaria,
cioè il patrimonio, si intende il patrimonio dei singoli amministratori e non di tutti
gli associati. Questo per sottolineare che delle obbligazioni rispondono solo gli
amministratori, non tutti gli associati.
Oggi non è più necessaria l’autorizzazione governativa per il riconoscimento della
persona giuridica, ma si ottiene un’autorizzazione prefettizia che fa un controllo
prettamente formale, verifica l’organizzazione e che ci sia un minimo di
adeguatezza patrimoniale, ma non fa nessun tipo di controllo sullo scopo, che sia
lecito o conforme agli scopi perseguiti dallo stato.
Quindi ora le associazioni sono libere di acquistare, ricevere per donazione o
testamento senza il controllo e l'autorizzazione dello stato. L'unico controllo che
c’è è nella fase iniziale con il riconoscimento che avviene da parte di un atto
prefettizio. Il riconoscimento non avviene al momento della domanda, ma con
l’iscrizione nel libro delle persone giuridiche. Al momento di quest’iscrizione
diventa persona giuridica e scattano tutte le regole che operano per le associazioni
riconosciute.
COME NASCE L’ASSOCIAZIONE?
Nasce al momento dell’ATTO COSTITUTIVO e di uno STATUTO che sono i
due atti con cui un’associazione può far nascere un ente.
CODICE CIVILE LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA
FAMIGLIA
TITOLO II

16. ATTO COSTITUTIVO E STATUTO. MODIFICAZIONI


L'atto costitutivo e lo statuto devono contenere la denominazione dell'ente,
l'indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonché le norme
sull'ordinamento e sull'amministrazione. Devono anche determinare, quando
trattasi di associazioni, i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della
loro ammissione e, quando trattasi di fondazioni, i criteri e le modalità di
erogazione delle rendite.
L'atto costitutivo e lo statuto possono inoltre contenere le norme relative
all'estinzione dell'ente e alla devoluzione del patrimonio, e per le fondazioni,
anche quelle relative alla loro trasformazione.
Le modificazioni dell'atto costitutivo e dello statuto devono essere approvate
dall'autorità governativa nelle forme indicate nell'articolo 12.
L'atto costitutivo deve rivestire una forma pubblica, deve essere un atto pubblico
redatto dal notaio che certifica quello che avviene in sua presenza e poi le parti si
limitano a sottoscrivere. All'atto pubblico si allega lo statuto.
Per lo statuto, a differenza dell'atto costitutivo, non è richiesta la forma pubblica.
Contiene le norme sull'ordinamento e sull’amministrazione e sono norme che sono
sempre derogabili, ma sono importanti perché è lo statuto che delega la vita
dell'ente.
FONDO COMUNE:
• È composto dalle quote associative.
• Con esso si possono essere acquistati beni, si possono ricevere per
successione, testamento o per donazione. Questo è il patrimonio dell'ente,
una volta avuto il riconoscimento sarà l'unica forma di garanzia per le
obbligazioni.
AMMINISTRATORI E ASSEMBLEA:
Gli amministratori sono coloro che agiscono in nome e per conto, sono quelli che
effettivamente gestiscono l'associazione.
Gli associati non fanno nulla, si limitano ad associarsi e versare. È prevista una
sola funzione inderogabile a favore degli associati nella parte dell’assemblea
ovvero l’approvazione del bilancio che è l'unica cosa che gli amministratori non
possono fare ed è di competenza dell’assemblea.
CODICE CIVILE LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA
FAMIGLIA
TITOLO II

2. CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA DELLE ASSOCIAZIONI


L'assemblea delle associazioni deve essere convocata dagli amministratori una
volta l'anno per l'approvazione del bilancio.
L'assemblea deve essere inoltre convocata quando se ne ravvisa la necessità o
quando ne è fatta richiesta motivata da almeno un decimo degli associati. In questo
ultimo caso, se gli amministratori non vi provvedono, la convocazione può essere
ordinata dal presidente del tribunale.
Per il funzionamento dell’assemblea sono previsti due tipi di quorum:
• QUORUM COSTITUTIVO: è il numero minimo di associati
necessari affinché ci sia un'assemblea
• QUORUM DELIBERATIVO è la maggioranza necessaria affinché
una determinata delibera venga
approvata. Quando si parla di quorum deliberativo e di maggioranza di voti ci si
riferisce ai voti di coloro che sono presenti durante l'assemblea, non dei voti
di tutti gli associati in generale.

CODICE CIVILE LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA


FAMIGLIA
TITOLO II

21. DELIBERAZIONI DELL’ASSEMBLEA


Le deliberazioni dell'assemblea sono prese a maggioranza di voti e con la presenza
di almeno la metà degli
associati. In seconda convocazione la deliberazione è valida qualunque sia il
numero degli intervenuti. Nelle deliberazioni di approvazione del bilancio e in
quelle che riguardano la loro responsabilità [18, 22] gli amministratori non hanno
voto.
Per modificare l'atto costitutivo e lo statuto, se in essi non è altrimenti disposto,
occorrono la presenza di almeno tre quarti degli associati e il voto favorevole della
maggioranza dei presenti.
Per deliberare lo scioglimento dell'associazione e la devoluzione del patrimonio
occorre il voto favorevole di almeno tre quarti degli associati.
FASE DI ESTINZIONE
Le parti possono prevedere le cause d’estinzione nello statuto di cui alcune sono
fissate dal codice e riportate nell’art. 27.
Oltre che per le cause previste dallo statuto la persona giuridica si estingue quando
lo scopo è stato raggiungo o divenuto impossibile.
Con l’estinzione si pone il problema di come devolvere il patrimonio. Sicuramente
devono essere prima liquidati tutti i debiti, se rimane un attivo gli associati
possono scegliere liberamente come dividerli tra loro o si devolve a favore di
un’altra associazione. Il codice non disciplina come il fondo debba essere
devoluto, solo la fase liquidatoria avendo interesse che vengano soddisfatti i
creditori.
Se il patrimonio dell'ente non è sufficiente per soddisfare la pretesa dei creditori:
• Nel caso di Associazione NON riconosciuta, i creditori possono
soddisfare la propria pretesa rifacendosi sul patrimonio degli amministratori
• Nel caso di Associazione riconosciuta i creditori non possono fare
nulla.
L’ASSOCIAZIONE È UN GRUPPO DI PERSONE CHE SI UNISCONO
TRA DI LORO PER IL PERSEGUIMENTO DI UNO SCOPO
COMUNE NON DI CARATTERE ECONOMICO.
Le associazioni non possono in alcun modo perseguire uno scopo economico
perché in caso contrario avremmo una SOCIETÀ.

GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 28/10/2020


LA FONDAZIONE
Mentre nelle associazioni l’aspetto più qualificante è l’ELEMENTO
PERSONALE (gruppo di persone che si associa per il perseguimento di uno
scopo comune), nelle fondazioni è l’ELEMENTO PATRIMONIALE. La
fondazione, dunque, è un patrimonio di beni destinato al perseguimento di uno
scopo NON ECONOMICO (non vi è scopo comune).
Essa è costituita dal FONDATORE e l’ATTO COSTITUTIVO, a differenza
dell'associazione, è UNILATERALE: è il fondatore che, da solo, istituisce una
fondazione. All’interno di quest’ultima non vi è assemblea (necessaria a
controllare l'operato degli amministratori), non vi è un gruppo di associati, bensì
degli AMMINISTRATORI che gestiscono il patrimonio. Inoltre, la maggior
parte delle fondazioni vengono costituite con il TESTAMENTO e il loro
controllo è affidato allo STATO, controllo che nasce dall'esigenza che nessuno
controlli gli amministratori affinché operino secondo la legge nel rispetto della
volontà del testatore. Altra differenza con l'associazione è che non vi sono
fondazioni non riconosciute, al contrario sono tutte RICONOSCIUTE (sono solo
persone giuridiche, soggetti di diritto).
L’atto costitutivo può essere anche MORTIS CAUSA (atti che trovano causa
nella morte del soggetto: testamento); è necessario l’ATTO PUBBLICO
differentemente dallo statuto in cui è necessaria la scrittura privata); deve, inoltre,
contenere una parte in cui il testatore devolve il patrimonio, necessario è l'ATTO
DI DEVOLUZIONE, senza questo la fondazione non può nascere.
Vi sono poi le FONDAZIONI FAMILIARI: un capostipite può prevedere il
soddisfacimento dell'interesse delle future generazioni della famiglia. Le
fondazioni, quindi, non devono perseguire uno scopo economico, di lucro, ma non
è detto che siano di utilità sociale; possono anche essere volte a soddisfare altri
interessi di un gruppo di persone, purché non siano interessi di tipo economico.
PRIMO SETTORE: STATO;
SECONDO SETTORE: MERCATO;
TERZO SETTORE: ENTI CHE PERSEGUONO SCOPI NO PROFIT.
Il controllo maggiore che ha lo Stato nella fondazione è nella GESTIONE
ORDINARIA (art.25 c.c.). Ogni volta che un atto giuridico, in questo caso la
deliberazione degli amministratori, viene annullato, esso cessa di esistere e gli
effetti se prodotti vengono meno.
Le CAUSE DI ESTINZIONE della fondazione sono comuni a quelle
dell'associazione. In questo caso, solitamente è l'atto costitutivo che prevede come
devolvere il patrimonio il quale viene devoluto ad altre fondazioni che perseguono
uno scopo il più possibile aderente a quello del testatore.
CODICE CIVILE LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA
FAMIGLIA
TITOLO II
25. CONTROLLO SULL’AMMINISTRAZIONE DELLE FONDAZIONI.
L'autorità governativa esercita il controllo e la vigilanza sull'amministrazione delle
fondazioni; provvede alla nomina e alla sostituzione degli amministratori o dei
rappresentanti, quando le disposizioni contenute nell'atto di fondazione non
possono attuarsi; annulla, sentiti gli amministratori, con provvedimento definitivo,
le deliberazioni contrarie a norme imperative, all'atto di fondazione, all'ordine
pubblico o al buon costume; può sciogliere l'amministrazione e nominare un
commissario straordinario, qualora gli amministratori non agiscano in conformità
dello statuto o dello scopo della fondazione o della legge.
L'annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di
buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima.
Le azioni contro gli amministratori per fatti riguardanti la loro responsabilità
devono essere autorizzate dall'autorità governativa e sono esercitate dal
commissario straordinario, dai liquidatori o dai nuovi amministratori.

LE COOPERATIVE
Le COOPERATIVE non rientrano tra le associazioni e le fondazioni; esse sono
società che svolgono un'attività economica e perseguono un fine di lucro di tipo
mutualistico nei confronti di una determinata categoria di persone.
I COMITATI
I COMITATI, invece, sono una via di mezzo tra le associazioni e le fondazioni;
in questo caso, è presente l'ELEMENTO PERSONALE perché vi sono i
componenti del comitato, coloro che prendono l'iniziativa e istituiscono il
comitato. Non è presente, al contrario, un'assemblea o i soggetti che svolgono un
controllo sull'attività degli amministratori. I comitati sono molto specifici e i loro
componenti (più simili agli amministratori delle fondazioni che invece agli
associati delle associazioni) non possono modificare lo scopo fissato nell'atto
costitutivo. Possono, inoltre, essere sia RICONOSCIUTI che NON
RICONOSCIUTI (art.41 c.c.). I componenti, quindi, sono quella cerchia ristretta
che dà vita al comitato, i sottoscrittori sono quei soggetti che successivamente, una
volta sorto il comitato, ritengono di aderire, di aiutare quest'ultimo e devolvono
delle piccole somme affinché il comitato possa operare. I sottoscrittori però non
rispondono mai delle obbligazioni dei comitati, rispondono invece personalmente i
componenti.
CODICE CIVILE LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA
FAMIGLIA
TITOLO II
41. RESPONSABILITÀ DEI COMPONENTI. RAPPRESENTANZA IN
GIUDIZIO.
Qualora il comitato non abbia ottenuto la personalità giuridica, i suoi componenti
rispondono personalmente e solidalmente delle obbligazioni assunte. I
sottoscrittori sono tenuti soltanto a effettuare le oblazioni promesse.
Il comitato può stare in giudizio nella persona del presidente.
GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 02/11/2020
Vi è l’esigenza di trovare un’espressione “contenitore” che riesca a comprendere
le associazioni, le fondazioni, le associazioni NON riconosciute, i comitati e tante
altre figure che si incontrano nel c.c. e nella legislazione speciale. (espressione
usata dal professore: “Centro di imputazione di relazioni giuridiche”)
Il Codice Civile del 1942 riflette la FREDDA NOZIONE DI PERSONA, propria
dell’elaborazione concettuale ottocentesca.
Cosa vuol dire che la nozione è “fredda”? Si intende che:

· non è una nozione corrispondente a essere umano perché necessita


l’aggettivo “fisica” per rendere evidente il fatto che si rivolga alla persona
umana.

· corrisponde a SOGGETTIVITÀ GIURIDICA ed è un’attribuzione del


diritto positivo.

· è una nozione che non contempla il PRINCIPIO DI


EGUAGLIANZA.
È una nozione figlia di una elaborazione ottocentesca e quel che meglio esprime
questa elaborazione è un’opera di un grande giurista tedesco, SISTEMA DEL
DIRITTO ROMANO ATTUALE di Friedrich Karl Von Savigny.
Nell’Ottocento in Germania, non vi era un Codice Civile a differenza della Francia
che, sotto Napoleone, si dota di un proprio Codice Civile (1804). Invece in
Germania vi era una battaglia contro la codificazione ed erano i giuristi tedeschi ad
elaborare un sistema di regole e principi tratti dalle FONTE ROMANE. Questo
perché i giuristi tedeschi erano interessati a prendere dal diritto romano ciò che
poteva essere applicato alla Germania di quel periodo.
Arriviamo al 1° gennaio del 1900 che entra in vigore il Codice Civile nello stato
tedesco, ma a differenza del codice civile francese e italiano, questo codice ha una
parte di carattere generale su alcuni argomenti come possono essere ad esempio il
negozio giuridico o le situazioni soggettive.

“Il concetto primitivo del soggetto di diritto deve coincidere col concetto
dell’uomo.
Questo primitivo concetto può ricevere dal diritto positivo modificazioni. Può
cioè, in primo luogo, negarsi a taluni singoli uomini, in tutto o in parte, la
capacità giuridica. Può, in secondo luogo, estendersi la capacità a qualche
altro ente, e così può artificialmente formarsi una persona giuridica.”
-Friedrich Karl Von Savigny

Vediamo da questa citazione come la capacità giuridica non sia connaturata nella
natura umana, ma è il diritto positivo che la dà o la nega oppure la dà e poi la
toglie.

A partire dal codice del 1942, accadono varie cose per arrivare alla nozione attuale
di persona. Stefano Rodotà descrive nel suo libro “La rivoluzione della dignità”
due rivoluzioni avvenute nella quotidianità giuridica:

· la rivoluzione della libertà e dell’uguaglianza.

· la rivoluzione della dignità.


Rodotà ricorda una serie di fonti normative tra le quali mette al primo posto la
nostra Costituzione, con gli art. 3, 32, 36 e 41 che richiamano il concetto di
dignità.

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA PRINCIPI


FONDAMENTALI
ARTICOLO 3.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali.
COSTITUZIONE PARTE PRIMA: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI
TITOLO II
Rapporti etico-sociali
ARTICOLO 32.
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse
della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
COSTITUZIONE PARTE PRIMA: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI
TITOLO III
Rapporti economici
ARTICOLO 36.
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del
suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza
libera e dignitosa.
ARTICOLO 41.
L'iniziativa economica privata è libera
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

· 22° dicembre del 1947 viene approvata la nostra Costituzione

· 1° gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione


· 10° dicembre 1948 l’Assemblea Generale Delle Nazioni Unite
approva la DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI
DELL’UOMO il cui art.1 integra in modo significativo l’antica formula
settecentesca della dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del
cittadino (1789).

DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO


ARTICOLO 1
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati
di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di
fratellanza.
I testi post-bellici che sottolineano questo assetto della dignità sono:

· FONTI NORMATIVE (vedi Costituzione art. 3)

· DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO


elaborata dall’ONU (vedi art.1)
· LEGGE FONDAMENTALE TEDESCA del 8 maggio 1949
“La dignità dell’uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e
proteggerla”

· CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE


EUROPEA (vedi Preambolo)
Nel linguaggio delle carte dei diritti fondamentali il termine “persona” acquista
sempre più il significato esclusivo di persona umana. Il riferimento alla dignità
umana si ha sia nel trattato dell’UE all’art.2 sia nel trattato sul funzionamento agli
art. 18 e 22.

CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA.


1. DIGNITÀ UMANA

La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata.

DIRITTO ALL’IDENTITÀ PERSONALE


Il tema della maschera si riferisce per ciò che concerne l’essere umano, alle
diverse identità che oggi accompagnano la vita di ciascuno di noi. Infatti, ciascuno
di noi non ha una sola identità, ma una pluralità di identità. Il gioco della maschera
vale anche per la persona giuridica nel senso che la persona giuridica è una
maschera dietro cui si celano gli uomini.
PERSONA GIURIDICA
“Indicando le prospettive aperte dalla scienza: prolungare la vita, ritardare la
vecchiaia, guarire le malattie considerate incurabili, lenire il dolore, trasformare il
temperamento, la statura, le caratteristiche fisiche, rafforzare ed esaltare le
capacità intellettuali, trasformare un corpo in un altro, fabbricare nuove specie,
effettuare trapianti da una specie all’altra, creare nuovi alimenti ricorrendo a
sostanze oggi non usate.”
Nella visione del Codice Civile, la persona giuridica ha una sua centralità, è
protagonista al pari della persona umana. Nel rapporto tra le persone giuridiche e
le associazioni NON riconosciute è che le persone giuridiche sono il fenomeno
principale mentre le associazioni NON riconosciute sono una figura residuale.
CODICE CIVILE
LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
TITOLO I: DELLE PERSONE GIURIDICHE
11. PERSONE GIURIDICHE PUBBLICHE
Le province e i comuni, nonché gli enti pubblici riconosciuti come persone
giuridiche godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto
pubblico.
12. PERSONE GIURIDICHE PRIVATE *ABROGATO*
Le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la
personalità giuridica mediante il riconoscimento concesso con decreto del
Presidente della Repubblica. Per determinate categorie di enti che esercitano la
loro attività nell'ambito della provincia, il Governo può delegare ai prefetti la
facoltà di riconoscerli con loro decreto.
13. SOCIETÀ
Le società sono regolate dalle disposizioni contenute nel libro V.
Il LIBRO V tratta del lavoro dell’impresa, dei rapporti di lavoro e
dell’organizzazione dell’impresa. Bisogna fare una precisazione, non tutte le
società hanno personalità giuridica. Le società sono di tre tipi:

· SOCIETÀ SEMPLICE

· SOCIETÀ IN NOME COLLETTIVO

· SOCIETÀ IN ACCOMANDITA SEMPLICE


Queste tre società, dette società di persone, non hanno personalità giuridica.
Vi sono poi altri tipi di società, dette società di capitali che hanno personalità
giuridica:
· SOCIETÀ PER AZIONI

· SOCIETÀ IN ACCOMANDITA PER AZIONI


· SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA

Da questi articoli si può trarre una considerazione, cioè quando si parla di persona
giuridica vengono in gioco due tipi di classificazioni :

· persone giuridiche pubbliche e persone giuridiche private

· all’interno delle persone giuridiche private abbiamo le persone


giuridiche di diritto civile (regolate all’interno del LIBRO PRIMO del c.c.)
e persone giuridiche proprie del diritto commerciale
CODICE CIVILE
LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
TITOLO II: DELLE PERSONE GIURIDICHE
17. ACQUISTO DI IMMOBILI E ACCETTAZIONE DI DONAZIONI,
EREDITÀ E LEGATI *ABROGATO*
La persona giuridica non può acquistare beni immobili, né accettare donazioni o
eredità, né conseguire legati senza l'autorizzazione governativa.
La persona giuridica, nella visione del codice del 1942, si caratterizza per un
controllo penetrante da parte dello stato dal momento in cui nasce (cioè quando
richiede il riconoscimento).
Per arrivare al riconoscimento c’è un percorso di controllo intrusivo al fine di
verificare la meritevolezza del riconoscimento.
Sia l’art. 12 che l’art. 17 sono state abrogati con legge speciale del 2000. Ogni
passaggio significativo della vita della persona giuridica era sottoposto al controllo
dello Stato. Il legislatore del 1942 guardava con diffidenza il fenomeno associativo
e quando ci si associava, il governo esercitava un controllo.
Le associazioni NON riconosciute venivano viste come fenomeno residuale,
perché sono associazioni che si sottraggono al controllo. Le associazioni NON
riconosciute stabiliscono le regole attraverso uno statuto, ma non chiedono il
riconoscimento. Quindi lo stato non può controllarle.
Questa visione di diffidenza e di limitazione nel fenomeno associativo, sono forme
di intrusione dell’organo di controllo nella vita di queste associazioni. Oggi il
fenomeno associativo è cambiato del tutto in nome di due articoli della
costituzione, l’art.2 e art.18 (contrapposto alla visione codicistica). Sulla base di
questi articoli si allentano i vincoli di controllo.
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA PRINCIPI
FONDAMENTALI
ARTICOLO 2.
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
COSTITUZIONE PARTE PRIMA: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI
TITOLO I
Rapporti civili
ARTICOLO 18.
I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che
non sono vietati ai singoli dalla legge penale.
GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 3/11/2020

LA PERSONA

Il Codice civile ha una visione in cui pone sostanzialmente sullo stesso piano
PERSONA FISICA e PERSONA GIURIDICA, quindi, è una visione di
assimilazione: la persona giuridica è assimilata alla persona fisica. Il fatto di
aggiungere l'aggettivo “fisica” a “persona” è la prova che la nozione di persona è una
nozione non coincidente con la persona umana. Sembra dunque che sia una nozione
“fredda”.

Questa visione del codice, il codice del '42 in materia di persone, riflette le
elaborazioni concettuali ottocentesche della pandettistica, che in materia, direi, sono
esemplarmente testimoniate dalla citazione di SAVIGNY: da essa emerge con
chiarezza la visione, e quindi, si parla di soggettività, e Savigny è ben consapevole
del concetto primitivo di soggetto di diritto che coincide con l'uomo, con la persona,
ma questo concetto primitivo può, dal diritto positivo, subire modificazioni:

· Da una parte le modificazioni che attengono alla soggettività della


persona umana; nel senso che la capacità può essere in tutto o in parte
NEGATA (dove negata è più forte che dire limitata. Negata dà il senso di un
diritto positivo che “attribuisce” e come attribuisce può non attribuire, cioè
negare).
· La seconda parte, dove la soggettività, la sub-specie capacità giuridica
può essere la PERSONA UMANA, nel senso dell'attribuzione (e quindi anche
della negazione, secondo questa concezione) o può essere UNA PERSONA
NON UMANA, una persona artificialmente creata dal diritto come centro di
imputazioni di relazioni giuridiche diversa dalla persona fisica, dalla persona
umana, cioè la PERSONA GIURIDICA.

Oggi a seguito delle varie modifiche non c'è bisogno di utilizzare l'aggettivo fisica, la
nozione di persona è la persona umana.

FONTI NORMATIVE

Nelle fonti normative la persona diventa la persona “senza aggettivi”: ormai la


persona è una, è la PERSONA UMANA.

Elemento fondante di questo nuovo concetto di persona è la DIGNITÀ che ricorre in


tutte queste fonti normative. Dalla Carta costituzionale alla legge fondamentale
tedesca, alla carta del 2000 dove addirittura la parola “dignità” la si trova nel
preambolo.

I contenuti giuridici di questa nuova nozione di persona sono i diritti della


personalità dei quali però il Codice civile tratta poco (contenuto povero). La nozione
di persona, senza aggettivi, cioè persona umana, essere umano, è invece una nozione
che si arricchisce di contenuti. Essi all’interno della Carta costituzionale vengono
trattati come categoria. Non si afferma: “i diritti inviolabili della persona sono due
punti ecc.” ma solo che la Repubblica li riconosce e li tutela: è una declinazione più
che normativa, una giurisprudenziale.

LA PERSONA GIURIDICA

La persona giuridica è un'invenzione della modernità. I romani non hanno inventato


la persona giuridica; la persona giuridica è un'invenzione moderna. La persona
giuridica risolve un'esigenza, è un modo di risolverla cioè quella di imputare relazioni
giuridiche ad una entità DIVERSA dalla persona umana.

Ciò non è un'esigenza moderna ma è propria anche dell'antichità, del Medioevo,


propria di tutta la storia giuridica, solo che essa veniva risolta diversamente. La
soluzione “persona giuridica” è una soluzione giuridica e Savigny afferma proprio
che “è una creazione artificiale del diritto”: la persona giuridica è un particolare modo
di organizzare i centri di imputazione giuridici diversi dalla persona umana.
Essenzialmente sono due le situazioni di imputazioni di relazioni giuridiche
-storicamente- diverse dalla persona umana: una a BASE PERSONALE e una a
BASE PATRIMONIALE.

· Quelle a base personale sono le cosiddette “associazioni”, una pluralità


di persone che si mette insieme per realizzare uno scopo comune.

· Quelle a base patrimoniale quando un patrimonio viene destinato ad uno


specifico scopo, quando un patrimonio è in quanto tale centro di imputazione
di relazioni giuridiche.

Nel codice queste due forme si trovano nel libro primo, le ASSOCIAZIONI e le
FONDAZIONI. La fondazione è un patrimonio che viene destinato in questo caso
alla fondazione persona giuridica, per realizzare un determinato scopo, poi è chiaro
che questo patrimonio-fondazione abbia degli organi di governo: un'assemblea, un
consiglio di amministrazione.

Anche anticamente queste erano le due situazioni di imputazione di relazioni


giuridiche diverse dalla persona umana. Ugualmente nel diritto romano c'erano
associazioni, che di solito venivano chiamate “UNIVERSITAS”,
“UNIVERSITATES” al plurale, per indicare un insieme di persone, per realizzare
un comune scopo e anche PATRIMONI.

ES. L'eredità giacente cioè l'eredità non ancora accettata (tutt’oggi disciplinata nel
nostro codice): essa si trova in una sorta di limbo temporale. Dopo la morte del
titolare dell'eredità, essa non ha ancora un nuovo padre, un nuovo titolare perché
l'erede non ha ancora accettato e quindi si trova in una sorta di limbo. È eredità,
perché non c'è più il titolare.

ES. Si pensi ad un'eredità che consiste in un fondo agricolo, un'eredità che consista in
un edificio, un'eredità che consista in una impresa. Muore il titolare ed egli aveva
determinati crediti che fanno parte dell'eredità. Muore il titolare, aveva determinati
debiti ed essi entrano nell'eredità. Naturalmente questa eredità non può essere
abbandonata in attesa del nuovo padrone ma deve essere amministrata, gestita ed
allora essa che è un patrimonio senza titolare sarà a sua volta centro di imputazione di
relazioni giuridiche. Ha una sua “soggettività giuridica”.

L'INVENZIONE DELLA PERSONALITÀ

ES. Tizio, Caio, Sempronio e Mevio danno vita ad una associazione, la dotano di un
patrimonio per realizzare la finalità dell'associazione, ne chiedono il riconoscimento
come persona giuridica. Il nome di questa persona giuridica supponiamo sia Alfa.
Prevedendo nell'atto costitutivo dell'associazione-persona giuridica l'assemblea un
consiglio di amministrazione, un presidente, un collegio di revisori, controllori,
diciamo revisori etc, nel momento in cui verrà riconosciuta nascerà la persona
giuridica.
Secondo il codice del '42 vi era il decreto del presidente della Repubblica, oggi
invece non serve, la procedura di riconoscimento è assai semplificata, viene iscritta
nel REGISTRO delle persone giuridiche e nasce la persona giuridica.

La persona giuridica Alfa è “ALTRO” (alter) rispetto a coloro che l'hanno costituita,
che ne compongono l'assemblea e magari l'amministrano. È altro rispetto alle persone
che hanno dato vita. È un nuovo soggetto di diritto e inoltre ha un proprio patrimonio,
di cui è stata dotata. Dietro la persona giuridica ci sono gli esseri umani, ci stanno
coloro che l'hanno fondata inoltre gli associati possono cambiare, coloro che ne
hanno dato vita possono uscire, possono entrarvi di nuovi, il patrimonio può crescere,
può aumentare, può diminuire.

Questa persona Alfa ha un suo patrimonio, il patrimonio lo hanno costituito le


persone, gli associati ma nel momento in cui l'associazione diviene persona giuridica
esso non è più quello degli associati: il principio dell'AUTONOMIA
PATRIMONIALE PERFETTA.

QUINDI: quando nasce la persona giuridica, il patrimonio di cui gli associati hanno
dotato la persona giuridica per consentire alla stessa di realizzare i suoi fini il
patrimonio diventa il patrimonio della persona giuridica Alfa.

Se un soggetto entrasse in contatto con Alfa concludendo contratti, avendo rapporti di


credito- debito, donando ad essa una parte del patrimonio...

Se il soggetto fosse il creditore il suo debitore sarebbe Alfa dunque Tizio, Caio,
Sempronio e Mevio non sarebbero tenuti a rispondere per i suoi debiti.

AUTONOMIA PATRIMONIALE

Se il patrimonio di Alfa non fosse sufficiente per ripagare i debiti i creditori


potrebbero fare affidamento solo su quel patrimonio.

ES. I debiti di Alfa sono 200. Il patrimonio di Alfa è 100. Mancano 100. Cosa può
fare il creditore? Nulla e il creditore non può rivolgersi nemmeno ai singoli associati.

È questa la grande, straordinaria forza di questa invenzione e che protegge inoltre i


patrimoni personali.

Dal punto di vista giuridico possono esserci diversi livelli di imputazione giuridica.

ES. Alfa è un centro di imputazioni di relazioni giuridiche; Tizio è un centro un


diverso centro di imputazioni giuridiche; Caio è un diverso e autonomo centro di
imputazioni giuridiche; Sempronio è un diverso e autonomo centro di imputazioni
giuridiche; Mevio anche è un diverso e autonomo centro di imputazioni giuridiche.
Diverse sfere di imputazioni. Quando c'è la persona giuridica che è alter (altro)
rispetto alle persone che stanno dietro, comprendere questo fenomeno è facile: ci
sono i rapporti giuridici, le relazioni giuridiche di Alfa e ci sono le relazioni
giuridiche di Tizio, di Caio, di Sempronio e di Mevio.

Tra la persona giuridica e le persone che le hanno dato vita e l'hanno dotata di un
patrimonio e magari rimangono a governarla, c'è una barriera, uno schermo e nel caso
della persona giuridica è uno schermo invalicabile.

Negli anni '60, alcuni studiosi tra cui FRANCESCO GALGANO, parlavano della
necessità di superare la persona giuridica (perché spesso la persona giuridica
diventava strumento di malaffare, si parlava inoltre della patologia della persona
giuridica): Gargano sosteneva la necessità di “bucare” lo schermo, di superarlo.
Questo quando c'era la patologia, quando la persona giuridica era uno strumento per
eludere responsabilità.

Invece il giurista VERRUCO aveva scritto un libro sull'esigenza di “squarciare” il


velo della persona giuridica. Ma questo per dire che la persona giuridica è uno
schermo tra le persone fisiche che stanno dietro e la scena giuridica, che è
invarcabile.

L'associazione non riconosciuta è certamente a soggettività giuridica, è sicuramente


un centro di imputazione di relazioni giuridiche distinto dagli associati.

Ma fra l'associazione non riconosciuta e i singoli associati non si può affermare che
vi sia uno schermo insuperabile: l'associazione non riconosciuta ha un suo patrimonio
che viene qualificato in modo diverso dal patrimonio della persona giuridica, come
FONDO COMUNE, e nel caso in cui il fondo comune non sia sufficiente per
rispondere dei debiti dell'associazione non riconosciuta, la conseguenza è che di quei
debiti rispondono, non gli associati, ma soltanto COLORO CHE AGISCONO IN
NOME E PER CONTO DELL'ASSOCIAZIONE NON RICONOSCIUTA.

SOCIETA’ CON PERSONALITA’ GIURIDICA

Non tutte le società hanno personalità giuridica, soltanto le società cosiddette di


CAPITALI, società per AZIONI e RESPONSABILITÀ LIMITATA, SRL: in
quest’ultima c'è l'essenza del fenomeno dell'autonomia patrimoniale perfetta

Dicendo responsabilità limitata, ci si mette dalla parte degli associati.

Ma se si mettesse dalla parte dei terzi creditori della persona giuridica, avrebbe senso
di parlare di responsabilità limitata? sì e no. Dal PUNTO DI VISTA FORMALE
no, perché in realtà la persona giuridica risponde illimitatamente con tutti il suo
patrimonio.

Vi è un grande studioso di diritto commerciale, il professore FLORIANO


D'ALESSADRO, il quale scrisse con efficacia un libro negli anni '60, criticando la
persona giuridica, cioè criticando la “IMPERFORABILITÀ DELLO SCHERMO”
della persona giuridica.

Nel suo libro scrisse:

“SI GIUNGE ALL'IPOCRISIA DI CONSIDERARE LA RESPONSABILITÀ


(LIMITATA) DI ALCUNI SOGGETTI COME RESPONSABILITÀ
ILLIMITATA DI UN DIVERSO SOGGETTO CUI SI ATTRIBUISCE LA
TITOLARITÀ DI UN PATRIMONIO SEPARATO E AUTONOMO”

Se si parla di responsabilità ci si mette dalla parte degli associati: sono loro che
attraverso lo strumento della persona giuridica riescono a LIMITARE la
responsabilità per le obbligazioni perché risponde la persona giuridica con tutto il suo
patrimonio.

Se ci si mette dalla parte dei creditori, questo tipo di responsabilità, dal punto di vista
giuridico- formale, è ILLIMITATA perché coinvolge l'intero patrimonio.

LA COMUNIONE E IL CONDOMINIO

I diversi livelli di imputazione si hanno con le ASSOCIAZIONI NON


RICONOSCIUTE.

La COMUNIONE è la contitolarità del diritto di proprietà (“questa cosa è nostra”).

Il CONDOMINIO degli edifici è una figura specifica di comunione. Il condominio è


la gestione degli spazi comuni e dei servizi comuni all'interno di un edificio dove, ad
esempio, ogni appartamento appartiene ad un proprietario diverso, quindi, c'è
l'esigenza ad esempio del tetto, delle scale, il riscaldamento se non è autonomo, le
spese per il portiere, la facciata da ripitturare etc: tutte queste cose sono decise
dall'assemblea di condominio. I condomini sono tutti i singoli proprietari. C'è un
amministratore del condominio.

Il condominio di solito non ha un patrimonio e certamente esso non è una persona


giuridica ma è UN CENTRO DI IMPUTAZIONE DI RELAZIONI
GIURIDICHE. Ha una sua soggettività giuridica. Può stare in giudizio: nella
persona dell'amministratore il condominio può far causa ad uno dei condomini, ad
esempio, perché è moroso e non vuole pagare. È IL CONDOMINIO CHE FA
CAUSA. Esso non ha uno statuto ma un regolamento, quindi, ha delle regole.

NON È UNA PERSONA GIURIDICA, È UN CENTRO DI IMPUTAZIONE DI


RELAZIONI GIURIDICHE, ED È IN CIÒ CHE HA LA SUA
SOGGETTIVITÀ GIURIDICA, DISTINTO DAI SINGOLI CENTRI DI
IMPUTAZIONE GIURIDICA CHE SONO COSTITUITI DAI SINGOLI
PROPRIETARI.
Quindi: ci sono rapporti giuridici che fanno capo al condominio, che sono imputati al
condominio e dire che sono imputati al condominio non significa che sono imputati ai
singoli proprietari.

Ma dal punto di vista PATRIMONIALE, dal punto di vista della


RESPONSABILITÀ, rispondono i proprietari in base di solito ai MILLESIMI (i
metri quadri delle singole proprietà) e naturalmente le SPESE vanno in proporzione
sempre ai millesimi.

SOGGETTIVITÀ GIURIDICA = CENTRO DI IMPUTAZIONE DI


RELAZIONI GIURIDICA.

Una cosa è il livello di imputazione del condominio, altra cosa sono i singoli
proprietari. Naturalmente non c'è barriera:

ES. Se il condominio stipula un contratto di appalto per rifare il tetto o rifare la


facciata o le scale etc, contrae un debito.

Supponiamo che il costo dell'opera sia mille.

Il condominio risponde per mille: esso va a chiedere mille ai singoli condomini in


proporzione ai millesimi. I singoli condomini rispondono con tutto il loro patrimonio
personale.

SOGGETTIVITÀ NON CORRISPONDE AD AUTONOMIA


PATRIMONIALE.

LA PERSONA GIURIDICA: OGGI E CODICE DEL ‘42

Certamente nel sistema del codice del 1942 la PERSONA GIURIDICA è


certamente dominante rispetto alle altre figure di, per usare l'espressione di Savigny,
SOGGETTIVITÀ ARTIFICIALE. SOGGETTIVITÀ NATURALE è la
soggettività umana; SOGGETTIVITÀ ARTIFICIALE è un concetto che
comprende certamente la persona giuridica ma anche tutte le altre entità create dal
diritto.

Oggi i giuristi discutono di PERSONALITÀ ROBOTICA. Nella visione del codice


la persona giuridica trionfa, è il protagonista assoluto della soggettività giuridica
artificiale ma oggi sta subendo una crisi.

Oggi è cambiata la concezione delle persone giuridiche, oggi lo Stato non ha “paura”
delle persone giuridiche-associazioni. Ha abrogato l'art. 12, ha abrogato l'art.17, ha
semplificato i meccanismi di riconoscimento: non c'è più diffidenza verso la persona
giuridica.
Oggi se si dovesse chiedere cos’è la persona giuridica si dovrebbe rispondere: “È
UNO DEGLI STRUMENTI DI ARTICOLAZIONE DEL PATRIMONIO IN
COMPENDI SEPARATI”.

GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 4/11/2020


LA FAMIGLIA.

La famiglia è la prima aggregazione sociale non identificabile come ente, non


essendo un centro di imputazione giuridica. È opportuno sottolineare che la sezione
della famiglia nel Codice civile è stata quella più soggetta a RIFORME, perché la
concezione di famiglia presente nel codice del 1942 si è ampiamente evoluta al passo
con lo sviluppo della società e allineandosi con il dettato costituzionale.

LA COSTITUZIONE

PARTE I: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI

TITOLO II: RAPPORTI ETICO-SOCIALI

ARTICOLO 29.

La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi,
con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.

Questo articolo, dunque, delinea la famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio, ove per SOCIETÀ si intende un aggregato di persone che mettono in
comunione la vita e ove l’individualità cede il beneficio allo sviluppo della famiglia
stessa, mentre il termine naturale sta a sottolineare che lo Stato non può utilizzare la
famiglia per perseguire i propri scopi cioè NON può tangerla o mutarla. Questo
perché la famiglia si costituisce prima del diritto e lo Stato, nonché l’Ordinamento,
non può far altro che disciplinarla senza coadiuvarla verso i suoi fini.

Il secondo comma ha reso evidente l’ERRONEA CONCEZIONE della famiglia del


Codice civile del 42, non a caso parla di uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi
cosa che nel codice non era originariamente presente delineando e mostrando una
concezione patriarcale della famiglia, dove era presenta addirittura l’ISTITUTO
DELLA DOTE (una donazione di beni mobili e immobili al marito).

La riforma del diritto di famiglia risale al 1975, successiva all’introduzione della


LEGGE SUL DIVORZIO che in qualche modo apre la strada alla riforma del ’75 in
quanto distrugge e modifica l’impalcatura del regime matrimoniale. Difatti, è
opportuno sottolineare che il MATRIMONIO CIVILE aveva valenza inscindibile al
pari di un MATRIMONIO CANONICO e coloro che volevano sposarsi seguendo il
credo canonico svolgevano DUE CERIMONIE: una dinanzi all’ufficiale dello stato
civile ed una dinanzi al sacerdote. Solo con l’avvento del Fascismo e il concordato
degli anni ’30 nacque il MATRIMONIO CONCORDATARIO e la conseguente
produzione degli effetti del matrimonio religioso anche nella sfera civile.

Con il DIVORZIO vi è una scissione tra matrimonio canonico e matrimonio civile,


ove il primo rimane indissolubile e il secondo no e inoltre si iniziò a vedere il
matrimonio in materia privatistica come un ACCORDO tra le parti che regola
ASPETTI PATRIMONIALI e PERSONALI dei coniugi regolato da questi. È un
negozio giuridico particolare, in quanto assieme al testamento è considerato un
NEGOZIO VOLITIVO PERSONALISSIMO, ove la volontà delle parti deve
essere assolutamente libera.

CODICE CIVILE

LIBRO I: DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA

TITOLO VI: DEL MATRIMONIO

79. EFFETTI.

La promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo né ad eseguire ciò che si fosse


convenuto per il caso di non adempimento.

81. RISARCIMENTO DEI DANNI

La promessa di matrimonio fatta vicendevolmente per atto pubblico o per scrittura


privata da una persona maggiore di età o dal minore ammesso a contrarre matrimonio
a norma dell’articolo 84, oppure risultante dalla richiesta della pubblicazione, obbliga
il promittente che senza giusto motivo ricusi di eseguirla a risarcire il danno
cagionata all’altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa di
quella promessa. Il danno è risarcito entro il limite in cui le spese e le obbligazioni
corrispondono alla condizione delle parti.

Lo stesso risarcimento è dovuto dal promittente che con la propria colpa ha dato
giusto motivo al rifiuto dell’altro.

Difatti, la promessa di matrimonio però non vincola giuridicamente i coniugi ai sensi


dell’articolo 79 c.c. e non li obbliga a contrarre ciò che si è convenuto nella
promessa, la quale è a tutti gli effetti, però, un ATTO GIURIDICO di per sé valido
ma che non produce effetti giuridici rilevanti e le parti sono sempre LIBERE di
scindere la promessa ed ha solo effetti, ai sensi dell’art. 81 c.c., per il
RISARCIMENTO DEI DANNI, inteso come ristoro delle spese sostenute.

UNIONI CIVILI.

Nel 2016 con la LEGGE 76 sono entrate in vigore le unioni civili tra persone dello
stesso sesso a differenza delle CONVIVENZE DI FATTO, ora disciplinate anche ai
sensi della legge 76, che potenzialmente sono sempre state lecite e regolate con
qualsiasi contratto, in quanto aggregazione in cui si sviluppa la personalità umana. Le
uniche fattispecie delicate erano quelle in cui il soggetto era ancora separato o vi
erano i figli del compagno. Invece le unioni omosessuali non erano lecite, perché il
matrimonio è stato fondato come CONTRATTO soltanto tra un UOMO e una
DONNA, ora hanno un riconoscimento normativo e sono esattamente uguali ai
matrimoni civili tra persone di sesso diverso con però delle differenze, che
rispecchiano il fatto che non vi è un'unione destinata alla procreazione per l'essere
umano.

I componenti delle unioni civili di persone dello stesso sesso hanno gli stessi diritti e
obblighi tra loro come i coniugi di un unione civile di persone di sesso diverso, ma
NON hanno il DOVERE DI FEDELTÀ e non si parla di coordinare tra loro
l'INDIRIZZO a familiare questo perché la concezione di dovere di fedeltà che c'è nel
matrimonio è visto nell'ottica della PROCREAZIONE mentre

appunto non essendo presente tale ottica si è ritenuto opportuno di non inserirlo come
dovere dell'unione.

Altra differenza tra matrimonio civile e unione civile è nello SCIOGLIMENTO


difatti quest’ultima può essere interrotta improvvisamente e in via giudiziale le parti
decidono di scioglierla, mentre nel matrimonio non è esattamente così prima in effetti
ci dev'essere la separazione dei coniugi, un PERIODO DI RIFLESSIONE, in modo
da consentire ai coniugi di meditare sulla scelta prima che diventi definitiva.

Altra novità sta nella struttura della famiglia che prima era composta da uomo, donna
e discendenti. Importanti sono a tal proposito i concetti di PARENTELA ed
AFFINITÀ PARENTELA: i parenti sono appunto i componenti della famiglia
nucleare (il padre la madre di discendenti) e ognuno ha i parenti i componenti della
famiglia d'origine; gli affini invece sono quei componenti che si vengono aggiungere
con il matrimonio. Erano esclusi i FIGLI FUORI MATRIMONIO che non avevano
gli stessi diritti dei figli legittimi, nati in costanza di matrimonio. Con la RIFORMA
DEL 2015 si eguagliano figli legittimi e figli illegittimi, non definendoli più tali e
riconoscendo gli stessi diritti compatibili con quelli della famiglia legittima e di
conseguenza allargando il concetto di parentela.

IL MATRIMONIO.

Facendo il punto vi sono TRE TIPI DI MATRIMONIO:

· Il MATRIMONIO CANONICO con soli effetti religiosi;

· Il MATRIMONIO CIVILE con soli effetti civili;

· Il MATRIMONIO CONCORDATARIO che ha effetti civili e


canonici che ha valenza solo per la religione cristiana essendo frutto di un
accordo tra Stato e Santa sede.
A questo si può raggiungere l’unione civile che invece è annoverabile alle persone di
medesimo sesso.

Potenzialmente non vi sono limiti per contrarre matrimonio eccetto la CAPACITÀ


VOLITIVA e la MAGGIOR ETÀ.

CODICE CIVILE

LIBRO I: DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA

TITOLO VI: DEL MATRIMONIO

89. DIVIETO TEMPORANEO DI NUOVE NOZZE.

Non può contrarre matrimonio la donna, se non dopo trecento giorni dallo
scioglimento, dall’annullamento o dalla cessazione degli effetti civili del precedente
matrimonio. Sono esclusi dal divieto i casi in cui lo scioglimento o la cessazione
degli effetti civili del precedente matrimonio siano stati pronunciati in base
all’articolo 3, numero 2, lettere b) ed f), della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e nei
casi in cui il matrimonio sia stato dichiarato nullo per impotenza, anche soltanto a
generare, di uno dei coniugi.

Il tribunale con decreto emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero,


può autorizzare il matrimonio quando è inequivocabilmente escluso lo stato di
gravidanza o se risulta da sentenza passata in giudicato che il marito non ha
convissuto con la moglie nei trecento giorni precedenti lo scioglimento,
l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Si applicano le
disposizioni dei commi quarto, quinto e sesto dell’articolo 84 e del comma quinto
dell’articolo 87.

Particolare giurisdizione c’è per la donna VEDOVA, la quale non può sposarsi se
non dopo 300 giorni dallo scioglimento del precedente matrimonio o
dall’annullamento o dalla cessazione degli effetti del matrimonio, ove per
scioglimento si intende il divorzio, dunque, l’atto successivo alla separazione; per
cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio si fa riferimento al
matrimonio concordatario. Il tempo è indicativo alla visione della famiglia come
nucleo riproduttivo e quindi i 300 giorni servivano a garantire la PATERNITÀ DEL
FIGLIO.

CODICE CIVILE

LIBRO I: DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA

TITOLO VI: DEL MATRIMONIO

143. DIRITTI E DOVERI RECIPROCI DEI CONIUGI.

Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i


medesimi doveri.

Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e


materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione.

Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla
propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della
famiglia.

Il matrimonio implica diritti e doveri che sono uguali per ambo le parti effetto della
riforma del ’75: in primis vi è la FEDELTÀ, ASSISTENZA MORALE (rispetto
dell’altra persona e di esprimere al meglio la propria personalità) e MATERIALE,
COLLABORAZIONE all’interesse familiare e la COABITAZIONE; elementi
fondanti, inoltre, ai fini della separazione:

ES. L’abbandono del tetto coniugale implica delle limitazioni nell’affidamento e


degli oneri nelle clausole del divorzio.

Inoltre, il terzo comma delinea il PRINCIPIO DELLA PROPORZIONALITÀ per


quanto riguarda sia l'assistenza materiale tra i coniugi sia per i figli e la contribuzione
in misura proporzionale ai bisogni della famiglia, anche tramite la costituzione anche
di un fondo familiare.

Anche per quanto riguarda l'ASSEGNO DI MANTENIMENTO per la separazione


divorzio o l'assegno di mantenimento per i figli entra in gioco criterio di
proporzionalità entrambi concorrono in via proporzionale, non a caso il secondo
comma parla in generale di garantire i bisogni della famiglia. La questione della
proporzionalità entra in gioco soprattutto nel DIVORZIO cioè perché l’ordinamento
giuridico cerca di tutelare la PARTE ECONOMICAMENTE DEBOLE e viene
aiutato con un'integrazione da parte dell'altro coniuge, questo soprattutto per quanto
riguarda nel periodo della separazione, anche perché la famiglia benché separata c’è
ancora.
CODICE CIVILE

LIBRO I: DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA

TITOLO VI: DEL MATRIMONIO

144. INDIRIZZO DELLA VITA FAMILIARE E RESIDENZA DELLA


FAMIGLIA.

I coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza
della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia
stessa.

A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato.

Altro elemento della riforma è questo articolo in forza del quale i coniugi concordano
CONGIUNTAMENTE l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della
famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa: a
ciascuno spetta il potere decisionale. Si SCARDINA così la STRUTTURA
PATRIARCALE della famiglia, ove il padre aveva qualsiasi potere decisionale,
concedendo alla donna di far parte delle decisioni per e con la famiglia. Con indirizzo
della famiglia si intendono tutte quelle DECISIONI ECONOMICHE,
EDUCATIVE e MORALI inerenti alla famiglia, tra cui anche la scelta di avere
figli. Prima della riforma qualsiasi atto che andava contro la decisione del marito era
considerato come una violazione dal punto di vista giuridico e normativo.

Il regime patrimoniale della famiglia è quello della COMUNIONE LEGALE dei


beni però i coniugi al momento della celebrazione del matrimonio o anche
successivamente possono sempre optare per la SEPARAZIONE DEI BENI, altro il
regime patrimoniale previsto dal nostro ordinamento, altrimenti poi si parla di
CONVENZIONE MATRIMONIALE, ove i coniugi sono liberi di regolare il
regime patrimoniale con clausole a loro piacimento, identificabile come un contratto
vero e proprio. L'unico limite della convenzione matrimoniale è necessario un ATTO
PUBBLICO, redatto dal NOTAIO e SOTTOSCRITTO DALLE PARTI, senza il
quale il contratto in esame è annullabile.

CODICE CIVILE

LIBRO I: DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA

TITOLO VI: DEL MATRIMONIO

160. DIRITTI INDEROGABILI.

Gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per
effetto del matrimonio.
Nel matrimonio vi è massima autonomia, tuttavia, vi è un limite posto da questo
articolo che tratta dei diritti inderogabili, dunque, il fatto che i coniugi non possano
derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio.
Tuttavia, possono essere DEROGABILI tutti quei diritti e doveri che nascono con il
matrimonio, difatti si può, ad esempio, derogare il diritto di fedeltà ai fini di un
eventuale separazione per prevenire l’addebito, cosa che deve essere fatta prima della
separazione stessa tramite un accordo per avere un onere probatorio. La norma fa
riferimento a diritti e doveri MERAMENTE PATRIMONIALI, come il diritto di
assistenza morale e materiale e il principio di proporzionalità.

GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 9/11/2020

LA PERSONA

Nella storia giuridica, anche prima dell'invenzione della persona giuridica, si è


sempre avvertita l'esigenza di imputare relazione giuridica ad entità di tipo personale
o di tipo patrimoniale diverse dalla persona umana. Nelle varie epoche si sono
adottate le più disparate soluzioni giuridiche per realizzare questa esigenza.

Questo fenomeno si realizzava distinguendo vari livelli di IMPUTAZIONI


GIURIDICHE.

ES. Associazione costituita da A, B, C, D che anticamente, ma anche nell'età di


mezzo, veniva di solito chiamata con l'espressione UNIVERSITAS. Il fenomeno si
realizza con una distinzione fra due distinti livelli di imputazione giuridica.

Quel che non si prevedeva era l'ALTERITÀ delle Universitas rispetto alle singole
persone. Questo si riflette anche sul piano della RESPONSABILITÀ: laddove il
patrimonio dell’Universitas non risultasse sufficiente per soddisfare le pretese
creditorie, intervenivano i singoli associati con il loro patrimonio.

Sulla scena giuridica compare la persona giuridica con il proprio patrimonio.

Tutto ciò porta ad una distinzione dei ceti creditori, perché quando più persone danno
vita ad un'associazione, chiedono riconoscimento e se questo viene dato nasce la
persona giuridica Alpha con il proprio patrimonio.

A questo punto, nel momento in cui viene riconosciuta la persona giuridica, si


realizza una distinzione tra ceti creditori, cioè tra categorie di creditori, ovvero ci sarà
il ceto creditorio della persona giuridica Alpha che avrà come garanzia il patrimonio
della persona giuridica, e poi ci saranno i ceti creditori dei singoli associati. Ciascuno
di questi ceti creditori, fa affidamento sul patrimonio di A, di B, di C e di D.

Si parla quindi di AUTONOMIA PATRIMONIALE PERFETTA: il ceto


creditorio della persona giuridica non può far valere le proprie pretese altroché sul
patrimonio della persona giuridica.
La differenza fra associazione riconosciuta come persona giuridica e associazione
non riconosciuta come persona giuridica è l’ALTERITÀ TEMPERATA: per le
obbligazioni dell'associazione non riconosciuta certamente l'associazione risponde
con il FONDO COMUNE, ma laddove il fondo comune non fosse sufficiente,
risponderebbero con il loro PATRIMONIO PERSONALE coloro che hanno agito
in nome e per conto dell’associazione.

Se si andasse a guardare il fenomeno della SOGGETTIVITÀ GIURIDICA, si


noterebbe che all'interno di questo genus da un lato si andrebbero a trovare le persone
(cioè le persone umane) e dall'altro una tipologia di soggetti diversi dalla persona
umana, ciascuno con una propria disciplina, tra i quali, nella visione del codice del
‘42, certamente la persona giuridica è dominante rispetto ad altre figure di
soggettività.

QUAL È IL QUADRO ATTUALE? CHE COS'È CAMBIATO DAL PUNTO DI


VISTA DELLA SOGGETTIVITÀ GIURIDICA?

-È cambiata la disciplina della persona giuridica: il cambiamento si coglie


essenzialmente in due profili che corrispondono a due articoli abrogati del Codice
civile:

CODICE CIVILE

LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA

TITOLO I: DELLE PERSONE GIURIDICHE

12. PERSONE GIURIDICHE PRIVATE *ABROGATO*

Le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la


personalità giuridica mediante il riconoscimento concesso con decreto del Presidente
della Repubblica. Per determinate categorie di enti che esercitano la loro attività
nell'ambito della provincia, il Governo può delegare ai prefetti la facoltà di
riconoscerli con loro decreto.

Esso riguardava dunque il riconoscimento della persona giuridica e dunque il


controllo da parte delle autorità governative, proprio perché la persona giuridica
veniva vista con una certa diffidenza (oggi il procedimento di riconoscimento della
persona giuridica si è semplificato).

CODICE CIVILE

LIBRO PRIMO: DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA

TITOLO II: DELLE PERSONE GIURIDICHE

17. ACQUISTO DI IMMOBILI E ACCETTAZIONE DI DONAZIONI,


EREDITÀ E LEGATI *ABROGATO*
La persona giuridica non può acquistare beni immobili, né accettare donazioni o
eredità, né conseguire legati senza l'autorizzazione governativa.

Esso riguardava dunque l'acquisto dei beni immobili, l'accettazione di donazioni e


anche l'accettazione di eredità e di legati. Quindi la prima modifica importante,
rispetto al codice del 42, si soffermava proprio sul controllo della persona giuridica
nelle forme di riconoscimento (atto di nascita) e sull'autorizzazione agli acquisti più
importanti.

-Un’altra modifica è avvenuta riguardo il rapporto tra persone giuridiche ed


associazioni da una parte, e le associazioni non riconosciute. Il rapporto che era
previsto nel codice era di RESIDUALITÀ delle associazioni non riconosciute. Ora
la situazione è profondamente modificata da questo punto di vista (si è quasi
rovesciata).

ES. I partiti politici, i sindacati: si sono tutti quanti dati la forma dell'associazione non
riconosciuta, perché non c'è il controllo. Vi è un altro controllo importante: modi di
approvvigionamento delle risorse economiche, i modi in cui questi soggetti si
finanziano, i modi in cui redigono il bilancio.

ES. Tutte le associazioni che non hanno come scopo finale il profitto ma il
volontariato o lo svolgimento di attività sportive e quant'altro, si organizzano secondo
delle leggi che prevedono sgravi fiscali e cioè l’alleggerimento del pagamento delle
imposte.

Queste leggi consentono a queste organizzazioni di organizzarsi indifferentemente o


utilizzando il modello della persona giuridica o utilizzando il modello
dell'associazione non riconosciuta.

Dal punto di vista normativo, pensando alla legislazione speciale che è intervenuta
negli ultimi vent'anni, è stata una sorta di assimilazione delle associazioni non
riconosciute alle persone giuridiche e associazioni, nel senso che legislatore consente
dei BENEFICI FISCALI a prescindere dal fatto che quella data attività socialmente
utile venga portata avanti o con la figura dell'associazione riconosciuta o con la figura
della persona giuridica.

Al di fuori dell'ambito strettamente civilistico cioè nel mondo delle imprese, la


società persona giuridica è cambiata rispetto al codice del ’42. Una delle differenze è
stata l'introduzione nel nostro ordinamento della figura delle SOCIETÀ
UNIPERSONALI, avvenuta a seguito dell'attuazione della cosiddetta XII
DIRETTIVA in MATERIA SOCIETARIA, una direttiva del Consiglio delle
Comunità Europee del 21 dicembre 1989 e attuata il 3 marzo 1993. In questa direttiva
si affermava:

"OCCORRE PREVEDERE LA CREAZIONE DI UNO STRUMENTO GIURIDICO


CHE CONSENTA DI LIMITARE LA RESPONSABILITÀ
DELL'IMPRENDITORE UNICO IN TUTTA LA COMUNITÀ.” (QUINTO
CONSIDERANDO)

DIRETTIVA CONSIGLIO C.E.E. 21-12-1989, N. 89/667/CEE

DODICESIMA DIRETTIVA DEL CONSIGLIO DELLE COMUNITA'


EUROPEE DEL 21-12-1989, N. 89/667/CEE IN MATERIA DI DIRITTO
DELLE SOCIETA', RELATIVA ALLE SOCIETA' A RESPONSABILITA'
LIMITATA CON UN UNICO SOCIO (ATTUATA CON D.LGS. 3 MARZO
1993, N. 88)

Articolo 7.

Uno Stato membro può non consentire la società unipersonale quando la sua
legislazione preveda, a favore degli imprenditori unici, la possibilità di costituire
imprese a responsabilità limitata ad un patrimonio destinato ad una determinata
attività.

Avviene la rottura del dogma giuridico della seconda metà dell’800 e di buona parte
del ‘900 secondo il quale SOLO la persona giuridica con società, in ambito
commerciale, potesse consentire la limitazione della responsabilità patrimoniale
dell'imprenditore e dunque gli imprenditori erano costretti a riunirsi in società dando
vita anche a delle società la cui forma giuridica societaria non corrispondeva alla
realtà economica (perché dietro la società si nascondeva un imprenditore individuale
che si metteva in società con la moglie, con un amico, tanto per poter dar vita alla
società: era una FINZIONE). Ecco allora l'intervento della 12a direttiva che diceva
di prevedere in ogni ordinamento la possibilità per l'imprenditore individuale di dar
vita a IMPRESE INDIVIDUALI A RESPONSABILITÀ LIMITATA (limitata
cioè ad un patrimonio destinato ad una determinata attività).

"CON QUESTA DIRETTIVA SI AFFERMA L'EQUIVALENZA


FUNZIONALE TRA PERSONALITÀ GIURIDICA E ARTICOLAZIONE DEL
PATRIMONIO IN COMPENDI SEPARATI”.

Questa è la citazione del giurista SPADA.

La FUNZIONE della persona giuridica in ambito commerciale è quella di dar vita


nella forma della persona giuridica ad un patrimonio separato da restante patrimonio
destinato ad una determinata attività.

L’aver evidenziato in ambito commerciale che la persona giuridica altro non era che
uno strumento per organizzare l'impresa anche individuale a responsabilità limitata ad
un patrimonio destinato ad una determinata attività, significa aver posto in evidenza
questo fenomeno di EQUIVALENZA FUNZIONALE.

ES. Un soggetto è un imprenditore, vuole dar vita ad un'impresa ma comunque si


vuole cautelare. Allora la organizza a responsabilità limitata, perché nel caso in cui
gli affari andassero male perderebbe solo quello che ha destinato a quell'attività,
mentre se andassero bene guadagnerebbe comunque.

Se un imprenditore avesse fatto una cosa di questo tipo, fino alla società
unipersonale, non avrebbe dato vita ad una impresa individuale a responsabilità
limitata.

ES. Un soggetto ha un patrimonio di 1000 e intende realizzare un’attività


commerciale (ES. una bottega, un bar) e destina ad essa 100. Se la organizzerà senza
personalità giuridica e gli affari andassero male perderà 1000. Se dovesse
organizzarla con personalità giuridica (in questo caso 100 diventerebbe il patrimonio
della persona giuridica) e gli affari andassero male perderà 100.

La struttura (scheletro) della persona giuridica è un patrimonio che si stacca, si


SEPARA dal restante patrimonio personale e viene CONFERITO ad una
determinata attività che si decide venga svolta dalla persona giuridica a cui si dà vita
e a cui si destina tale patrimonio.

ES. Un soggetto ha un patrimonio di 1000 e lo vuole articolare in tre compendi


patrimoniali separati:

COMPENDIO PATRIMONIALE A: NEGOZIO DI FRUTTA E VERDURA → 100;


COMPENDIO PATRIMONIALE B: MACELLERIA → 100;

COMPENDIO PATRIMONIALE C: SALUMERIA→ 100.

Ogni singolo compendio diviene il patrimonio di ogni singola persona giuridica. Se


gli affari andassero bene il soggetto avrebbe un guadagno mentre se andassero male
perderebbe solo 100+100+100 = 300.

GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 10/11/2020

IL MATRIMONIO.

Nella comunione legale, per legale si intende cioè quella PREVISTA DALLA
LEGGE, ovvero che in assenza della volontà delle parti si applica il regime della
comunione legale. I coniugi possono comunque, anche al momento stesso del
matrimonio o successivamente, optare per un altro regime patrimoniale cioè quello
della SEPARAZIONE DEI BENI.

Vi è poi una grande fascia intermedia in cui si parla di CONVENZIONI


MATRIMONIALI, un regime intermedio, dove le parti possono liberamente
prevedere un regime tra loro che sia in parte di comunione o in parte di separazione.
Le convenzioni matrimoniali possono essere stipulate all’atto stesso del matrimonio
oppure anche successivamente purché sia richiesta la forma dell’ATTO
PUBBLICO. Se il coniuge opta per una separazione al momento della celebrazione
del matrimonio non sarebbe sufficiente l’intervento dell’atto pubblico notarile, perché
vi sarebbe il caso concordatario e vi si troverebbe anche il sacerdote che in quel
momento sarebbe anche un pubblico ufficiale della Repubblica italiana, quindi,
certificherebbe lui. Se i coniugi lo facessero successivamente si dovrebbe ricorrere al
notaio con l’atto pubblico cioè la forma prescritta a pena di nullità.

In teoria i beni che i coniugi ricevono per donazione o eredità non rientrano nella
comunione legale ma in una convenzione matrimoniale. Le parti possono prevedere
anche che beni che uno dei due coniugi dovesse ricevere da una donazione o a titolo
di eredità rientrino nella comunione. Non c’è alcun limite, tranne il dovere di
assistenza materiale e morale. Il regime può andare tutto a vantaggio di una persona o
di un’altra, questo attiene alla regolamentazione delle parti, purché l’altro coniuge
riceva l’assistenza materiale (quindi sia in grado di vivere DIGNITOSAMENTE).

ES. Non si può prevedere che due soggetti decidano di sposarsi e uno dovesse
affermare di vivere dei propri beni e ricavi dalla propria attività professionale e l’altro
soggetto che non abbia proventi o beni si debba arrangiare, che sia una questione che
non riguardi il primo soggetto.

Si può prevedere tutto separato ovvero se un soggetto avesse dei beni di proprietà
affinché essi rimangano di sua proprietà oppure che i proventi della sua attività non
rientrino in comunione ma comunque questi ultimi devono anche servire a mantenere
l’altro se quest’ultimo non ne abbia.

SI PUÒ QUINDI REGOLARE TUTTO PURCHÉ NON SI DEROGHI


L’OBBLIGO DI ASSISTENZA MATERIALE.

CODICE CIVILE

LIBRO I: DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA

TITOLO VI: DEL MATRIMONIO

177. OGGETTO DELLA COMUNIONE.

Costituiscono oggetto della comunione:

a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il


matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;

b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo
scioglimento della comunione;
c) i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della
comunione, non siano stati consumati;

d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.

Qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al


matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli
incrementi.

Bisogna fare una distinzione tra la COMUNIONE LEGALE IMMEDIATA e


COMUNIONE DE RESIDUO.

L'oggetto della comunione SUB, A e D dell’art. 177 costituiscono la comunione


immediata. Quanto previsto dalle lettere B e C costituisce la comunione da residuo.

Nella comunione immediata sono oggetto della comunione:

A) “gli acquisti compiuti dai coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio


ad esclusione di quelli relativi ai beni personali”.

Durante il matrimonio tutto ciò che viene acquisito dai coniugi insieme o anche
separatamente, per il fatto stesso che l’acquisto è stato compiuto una volta stipulato il
matrimonio, rientrerebbe IMMEDIATAMENTE nella comunione dei beni. Essi
diventano quindi di proprietà di entrambi, anche se acquisiti da uno solo (è solo il
dato temporale) ad esclusione di quelli derivati relativi ai beni personali.

D) “le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio”.


Riguardo le lettere B e C (comunione de residuo):

B) “i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo
scioglimento della comunione”.

I frutti dei beni personali dei coniugi in teoria non entrerebbero in comunione. Se uno
avesse un bene di sua proprietà personale perché acquisito prima del matrimonio e
percepisse dei canoni di locazione, essi sarebbero frutti del bene personale e questi
non rientrerebbero in comunione legale.

C) “i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della
comunione non siano stati consumati”.

Nell'attività professione i proventi dell’attività non entrerebbero automaticamente


nella comunione. Tutto ciò che viene acquistato con i guadagni dell’attività durante il
matrimonio entra in comunione, ma non lo stipendio automaticamente. Se questi
proventi venissero messi da parte (e quindi non spesi), essi in seguito allo
scioglimento entrerebbero automaticamente in comunione.

Per capire la comunione da residuo bisognerebbe prima conoscere i beni personali.


I BENI PERSONALI.

CODICE CIVILE

LIBRO I: DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA

TITOLO VI: DEL MATRIMONIO

I BENI PERSONALI

Non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge:

a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali
era titolare di un diritto reale di godimento;

b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o


successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi
sono attribuiti alla comunione;

c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;

d) i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli
destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione;

e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla
perdita parziale o totale della capacità lavorativa;

f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col
loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto.

L’acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell’articolo 2683, effettuato


dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del
precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia
stato parte anche l’altro coniuge.

Nell'articolo, la lettera A è una specificazione, le seguenti sono eccezioni.

Essi sono:

A) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali
era titolare di un diritto reale di godimento.

ES. Se uno dei coniugi PRIMA DEL MATRIMONIO avesse una casa di proprietà
e un’autovettura (quindi beni mobili e immobili) essi non andrebbero in comunione
legale.

In un regime di convenzione matrimoniale i coniugi possono anche prevedere che i


beni acquistati precedentemente entrino a far parte della comunione ma servirebbe
una convenzione matrimoniale ad hoc. Nel regime ordinario (legale) non si prevede
che i beni personali di cui il coniuge era titolare prima rientrino in comunione.

B) “i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o


successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi
sono attribuiti alla comunione”

DURANTE IL MATRIMONIO, gli acquisti per successione e le donazioni che uno


dei coniugi riceve non entrano in comunione legale, a meno che il donante non
preveda espressamente che venga fatto a favore della famiglia, dei coniugi. Qui si
tratta quindi di una donazione singola (fatta ad un solo coniuge).

Se un coniuge ereditasse o ricevesse una donazione prima del matrimonio questo


rientrerebbe nella lettera A.

C) “i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori “

Per STRETTAMENTE PERSONALE si intende una categoria molto residua, sono


beni molto intimi della persona. Su questa categoria vi sono molti DIBATTITI
perché possono essere beni di uso strettamente personale anche dei gioielli o orologi,
ma dato il prezzo essi potrebbero essere anche delle forme di investimento.
Bisognerebbe ricondurre all’EFFETTIVA VOLONTÀ, cioè se quel bene sia stato
acquistato effettivamente solo e soltanto per soddisfare un bene personale.

ES. Un bene strettamente personale è una racchetta da tennis, perché va a soddisfare


semplicemente un interesse extra familiare di uno dei coniugi. Se la racchetta invece
fosse particolare e costasse € 10.000 ci sarebbe un contezioso micidiale per provare
che quella racchetta non sia solo un bene strettamente personale ma anche una forma
di investimento. È quindi una situazione difficile.

D) i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli
destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione.

Tutti i beni strumentali grazie ai quali il coniuge possa svolgere la propria professione
non entrano nella comunione legale.

ES. Un soggetto è avvocato e nel suo studio ha una scrivania quindi un bene
strumentale così come un computer e l’arredo ma se lui per arredarlo avesse
posizionato un quadro particolarmente costoso all’ingresso, esso sarebbe un bene
strumentale solo perché si trova all’interno del suo studio ( perché gli serve come
immagine) oppure no?

Questo è un tipico esempio dei problemi che sorgono nei conflitti di matrimonio, per
quanto riguarda le separazioni e divisioni. Bisogna quindi capire cosa entri in
comunione e cosa no.
Quando il valore di un bene è talmente alto che esso smette di essere strumentale ma
è semplicemente anche una forma di investimento? La giurisprudenza valuta in base
al CONTESTO PROFESSIONALE del coniuge.

ES. Un soggetto è un professore e all’ingresso del suo studio ci fosse un divano di €


30.000 esso ci potrebbe stare perché rientrerebbe nella sua immagine con i clienti. In
questo caso si parla di un soggetto che nella sua professione è arrivato ad un certo
livello ed ha quindi una certa clientela, quindi se dovesse mettere un divano esso
dovrebbe essere di valore per evitare brutte figure. IL BENE IN QUESTIONE
RIENTRA QUINDI NEI BENI STRUMENTALI.

ES. Un soggetto ha nel suo studio la scrivania, un tavolo di Ikea ed un divano da


€30.000 all’ingresso, il giudice molto probabilmente lo riterrebbe una forma di
investimento. È evidente che non sia un bene strumentale, dove per strumentale si
intende la professione così come il soggetto la sta esplicando e così come il tipo di
professione che esercita in favore di una certa clientela.

La giurisprudenza va a vedere quindi la professione come viene


COMPLETAMENTE svolta.

ES. Se un soggetto avesse un seminterrato come studio e ci appendesse un quadro


molto costoso, egli non potrebbe pretendere che il quadro sia un bene strumentale,
esso rientrerebbe nella comunione legale. Bisogna quindi andare a vedere il TIPO ed
il LIVELLO di professione (tutto deve essere molto omogeneo).

La comunione legale non è come la comunione vera e propria. Una volta che un bene
entra in comunione, il coniuge non può vendere ad un terzo la propria quota, ma è
titolare del bene insieme al coniuge e se la comunione si sciogliesse quel bene
sarebbe di comproprietà di entrambi, quindi o si dovrebbe vende (quindi meta ad uno
e meta ad un altro) oppure se ci fossero degli accordi si agirebbe sulla base di essi.

Se invece si parlasse di beni personali, essi rimarrebbero ai rispettivi proprietari, e


l’altro coniuge non potrebbe rivendicare nulla, né sul bene né come valore.

F) “i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o
col loro scambio, purché ciò sia espressivamente dichiarato all’atto dell’acquisto.”

ES. Se un coniuge dovesse avere un bene strettamente personale e lo vendesse, quello


che acquisterebbe con i proventi di questa alienazione non entrerebbe in comunione.
Anche il bene acquistato diventa quindi personale.

AMMINISTRAZIONE DEI BENI CHE RIENTRANO NELLA COMUNIONE.

I beni che rientrano nella comunione possono essere amministrati anche


DISGIUNTAMENTE dai coniugi. Per quanto riguarda gli atti di ordinaria
amministrazione, un bene mobile che entra in comunione può essere venduto
tranquillamente anche da uno solo dei coniugi (ovviamente i proventi di questa
vendita rientrerebbero nella comunione). Negli atti di straordinaria amministrazione
(ES. Vendere un immobile) invece è necessario il CONSENSO e la
PARTECIPAZIONE di entrambi. Inoltre, anche l’alienazione di un bene mobile
può essere un atto di straordinaria amministrazione (ES. Un diamante: ovviamente il
bene deve avere un valore significativo).

Gli atti di ordinaria amministrazione sono gli atti di disposizione dei beni mobili di
scarso valore. Per quanto riguarda i beni immobili o beni mobili pregiati, essi
rientrano negli atti di straordinaria amministrazione in cui è necessario il consenso di
entrambi. Se l’atto di straordinaria amministrazione fosse necessario per il bene della
famiglia ed un coniuge si dovesse rifiutare, l’altro coniuge potrebbe ricorrere al
GIUDICE che con un suo intervento sostituirebbe il consenso del coniuge.

LA SEPARAZIONE.

I beni acquistati prima e tutto ciò che è acquistato durante il matrimonio è di proprietà
del coniuge che l’acquista. Ovviamente vi è il dovere di assistenza materiale dei
coniugi ma ciò non attiene al regime patrimoniale.

LE CONVENZIONI PATRIMONIALI.

Esse dipendono dall’autonomia delle parti che possono prevedere tutto

ES. I coniugi possono prevedere che i proventi dell’attività professionale non entrino
come residuo ma in comunione.

SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO.

CODICE CIVILE

LIBRO I: DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA

TITOLO VI: DEL MATRIMONIO

191. SCIOGLIMENTO DELLA COMUNIONE.

La comunione si scioglie per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno


dei coniugi, per l'annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti
civili del matrimonio, per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei
beni, per mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il fallimento di uno
dei coniugi.

Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento
in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data
di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi
al presidente, purché omologato. L'ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a
vivere separati è comunicata all'ufficiale dello stato civile ai fini dell'annotazione
dello scioglimento della comunione.

Nel caso di azienda di cui alla lettera d) dell'articolo 177, lo scioglimento della
comunione può essere deciso, per accordo dei coniugi, osservata la forma prevista
dall'articolo 162.

Il matrimonio civile si scioglie. Per quanto riguarda il matrimonio concordatario non


è corretto parlare di scioglimento, in questo caso si parla di “CESSAZIONE DEGLI
EFFETTI CIVILI DEL MATRIMONIO” a seguito della quale il matrimonio
rimane valido ai fini religiosi ma cessano gli effetti civili. Quando si parla di
scioglimento o cessazione di effetti civili si intende il DIVORZIO, cioè viene
eliminato il legame giuridico tra i coniugi.

La SEPARAZIONE è una fase precedente al divorzio ma che non fa venire meno il


vincolo giuridico di esso. I coniugi sono ancora sposati, è semplicemente un periodo
di “RIFLESSIONE” che si impone prima di arrivare allo scioglimento definitivo. La
durata della separazione (che in passato era molto lunga) è di 6 o al massimo 12 mesi.
È una misura invasiva dello Stato, dato che alla famiglia appartengono dei valori
fondamentali del nostro ordinamento. L'ordinamento italiano si disinteressa delle
UNIONI CIVILI: non vi è interesse da parte dello Stato a promuoverle perché non
sono destinate alla procreazione e data questa ratio giuridica non è prevista la
separazione per loro infatti i contraenti possono quindi sciogliersi
IMMEDIATAMENTE.

Durante la separazione rimangono in capo alcuni DOVERI e alcuni DIRITTI. Il


dovere di coabitazione cessa così come quello di fedeltà, ma la giurisprudenza in
alcuni casi riconosce il diritto alla tutela dell’onore e della reputazione dell’altro
coniuge.

Il dovere di assistenza morale e materiale rimane, tant’è che si parla di “ASSEGNO


DI MANTENIMENTO DEL CONIUGE” (da non confondere con quello dei figli).
Il coniuge che non ha risorse proprie ha diritto a ricevere dall’altro coniuge un
assegno per continuare a godere dello stesso stile di vita che aveva durante il
matrimonio. Questo è l’assegno di mantenimento per la separazione.

Il coniuge separato ha anche diritto a succedere. Quando in una successione legittima


si legge “coniuge” si parla anche di quello separato, che per l’appunto rientra nella
successione. Quindi se un soggetto morisse prima del divorzio i beni verrebbero
divisi tra i figli e il coniuge separato. Vi possono essere dei casi in cui i coniugi non
divorzino ma restino separati a vita proprio per questo motivo. Il coniuge separato
quindi succede come se non fosse successo nulla.

Se la separazione venisse addebitata ad uno dei due coniugi, quello a cui venisse
addebitata perderebbe l’assegno di mantenimento e il diritto di succedere. Questo è
anche uno dei motivi per cui se si ha una relazione extraconiugale si cerca di non
farla trapelare, perché se l’altro coniuge dimostrasse la suddetta relazione otterrebbe
l’addebito a carico dell’altra parte (quella del soggetto che ha la relazione).

ES. Se un uomo riuscisse a provare che la moglie lo abbia tradito non dovrebbe dare
l’obbligo di mantenimento e la moglie non succederebbe se l’uomo dovesse morire
prima del divorzio. In questo caso la donna non verrebbe abbandonata ma avrebbe
comunque il diritto (se sussistono i presupposti) agli ALIMENTI, che è diverso dal
mantenimento.

Gli alimenti consistono in una somma necessaria per la sussistenza. Affinché la


donna abbia diritto agli alimenti vi sono dei requisiti, di cui il principale è che essa
non abbia modo attraverso il suo patrimonio di potersi sostentare da sola. Se la donna
avesse modo di sostentarsi da sola e vi fosse l’addebito, non avrebbe diritto nemmeno
agli alimenti.

DIVORZIO

Con il divorzio cessa ogni diritto e obbligo tra i coniugi, però, è previsto l’assegno di
mantenimento. Finora l’assegno di mantenimento che andava dato al coniuge era
PARAMETRATO con lo stile di vita acquisito durante il matrimonio: non c’era
distinzione tra separazione e divorzio.

La CASSAZIONE nel 2017, in relazione ad un caso di una famosa separazione, ha


affermato che non bisogna garantire lo stesso livello di vita del matrimonio, e se
l’altro coniuge avesse un patrimonio personale e la possibilità di lavorare, l’assegno
di mantenimento non sarebbe dovuto, andando ad assimilare così il mantenimento
agli alimenti. Il mantenimento quando si è separati (si è ancora sposati in quel caso) e
il divorzio sono comunque distinti. Il concetto di mantenere lo stesso stile di vita del
matrimonio riguardo gli assegni di mantenimento è stato quindi messo in discussione.
Questo ha causato uno scandalo che ha portato ad un passo indietro della Cassazione,
una soluzione mediana dove bisogna vedere EFFETTIVAMENTE quanto sia durato
il matrimonio ed il tipo di contributo che il coniuge abbia dato per la vita familiare.

ES. Un soggetto non ha fatto progressioni di carriera perché prevedeva un


trasferimento all’estero e la famiglia si è opposta.

Se i coniugi ricorressero ad alcuni parametri, ci potrebbe essere il diritto agli assegni


di mantenimento che gli garantiscano lo stesso tenore di vita, ma dovrebbero
sussistere dei criteri (ES. La rinuncia di andare all’estero).

L'assegno di mantenimento sorge se le capacità reddituali dei coniugi sono diverse


perché qualora fossero uguali l’assegno non avrebbe luogo.

ACCORDO PREMATRIMONIALE.

Tramite questo accordo le parti regolano la loro separazione, ovvero regolano gli
aspetti patrimoniali tra loro nell’ipotesi in cui verrà lo scioglimento del matrimonio.
Nel nostro ordinamento questi tipi di accordi NON sono VALIDI, questo per dare
una forma di tutela verso il coniuge più debole.

Il meccanismo trovato dalla giurisprudenza è quello che non si può disporre di un


diritto quando il diritto ancora non è sorto, quindi i diritti che sorgono dalla
separazione non possono essere regolati prima di essa.

La RATIO è tutelare il contraente debole perché non si sa con certezza come


potrebbe cambiare il contesto della persona, possono sorgere dei bisogni
completamente diversi col passare del tempo. Nella prassi questi accordi possono
essere stipulati (essi non sono illeciti) ma NON hanno VALORE VINCOLANTE,
le parti non sono vincolate ma il giudice nel momento della separazione, per stabilire
l’entità del mantenimento ne può tenere conto, siccome rispecchia la volontà dei
coniugi.

GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 11/11/2020


PATRIMONIO SEPARATO
Aver previsto la possibilità per imprenditori individuali di costituire una impresa a
responsabilità limitata, con un patrimonio destinato ad una determinata attività
equivale ad aver evidenziato l'EQUIVALENZA FUNZIONALE tra personalità
giuridica ed articolazione del patrimonio in compendi separati.
La personalità giuridica altro non era che uno strumento per articolare il
patrimonio in compendi separati. La persona giuridica è come un SOGGETTO
REALE, messo sullo stesso piano e identificato con la persona fisica e, in effetti,
in quella fase storica la persona giuridica era dominante, tanto che si faticava a
vederla come uno strumento di organizzazione del patrimonio con beni separati:
era quasi un elemento della realtà.
Per dar vita a questa articolazione del patrimonio in compendi separati
giuridicamente fino ad un certo momento storico non si poteva che ricorrere alla
persona giuridica SOCIETÀ e creare società diverse.
Dal 2003, con la RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO, si creò la figura
della SOCIETÀ UNIPERSONALE (ma siamo sempre nell'ambito della persona
giuridica), consentendo ad un imprenditore individuale di dar vita ad una società a
responsabilità limitata o per azioni unipersonali. Si introdusse inoltre anche un
altro istituto che però non ha avuto una grande attuazione dal punto di vista
concreto: la possibilità per una società per azioni di poter destinare una parte del
proprio patrimonio ad un ramo/settore della propria attività d'impresa senza dar
vita ad una nuova ed in questo modo entra nell'ambito dell'ordinamento del diritto
commerciale la figura del PATRIMONIO SEPARATO, destinato ad uno scopo.
Patrimonio separato vuol dire che un soggetto articola il patrimonio in compendi
distinti e separati giuridicamente, separati dal patrimonio madre, si staccano da
esso, vengono destinati ad una determinata attività, ma sono anche distinti tra di
loro: essi, quindi, sono distinti sia in "VERTICALE" sia in
"ORIZZONTALE". In questo modo non si crea una nuova società e il titolare
del patrimonio separato è la società. Il patrimonio è un AUTONOMO CENTRO
DI IMPUTAZIONE di relazioni giuridiche e i crediti/debiti che nascono nella
gestione di quel patrimonio vengono imputati in attivo e in passivo a quel
patrimonio: è questa l'equivalenza funzionale fra persona giuridica e articolazione
del patrimonio in compendi separati. Sono infatti due distinte soluzioni giuridiche,
due distinti istituti ma con equivalenza funzionale. Il patrimonio separato non è
una persona giuridica, la persona giuridica è un modo per realizzare la separazione
patrimoniale in modo diverso.
È una via di mezzo tra un patrimonio acefalo e un patrimonio con un titolare:
l’aspetto più importante è che si crea un patrimonio che è un autonomo centro di
imputazione ed avrà un suo ceto creditorio, distinto dal patrimonio madre, cioè ai
creditori si risponde solo nei limiti del patrimonio separato.
Con la separazione patrimoniale non nasce un nuovo soggetto di diritto ma un
soggetto è titolare di due patrimoni (il patrimonio madre e il patrimonio separato,
destinato ad un determinato scopo): si creano DUE ENTITÀ PATRIMONIALI.
Nell'ambito del diritto civile troviamo la persona giuridica e i patrimoni separati
ma sempre nell'ambito della persona giuridica mentre nell'ambito del diritto
commerciale vale il discorso precedente.
ES. La fondazione è un patrimonio destinato ad uno scopo ma con la veste della
persona giuridica.
Nell'ottica del Codice civile patrimoni destinati ad uno scopo potevano nascere
solo con la veste della persona giuridica.

CODICE CIVILE
LIBRO VI: DELLA TUTELA DEI DIRITTI
TITOLO III: DELLA RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE, DELLE
CAUSE DI PRELAZIONE E DELLA CONSERVAZIONE DELLA
GARANZIA PATRIMONIALE
2740. RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE.

Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni


presenti e futuri.
Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla
legge.
Il fatto che il debitore risponda dell'obbligazione con tutti i suoi beni, presenti e
futuri, è una garanzia perché il creditore sa di poter fare affidamento su tutto il
patrimonio del debitore.
Se il debitore fosse una persona giuridica? Su tutto il patrimonio della persona
giuridica (quindi la persona giuridica rientra nel primo comma).
Il secondo comma fa percepire che non si possa dar vita ad un patrimonio separato
se non sulla base di una previsione di legge, sennò diventerebbe un modo
illegittimo per limitare la responsabilità del debitore.
CODICE CIVILE
LIBRO VI: DELLA TUTELA DEI DIRITTI
TITOLO I: DELLA TRASCRIZIONE
2645-TER. TRASCRIZIONE DI ATTI DI DESTINAZIONE PER LA
REALIZZAZIONE DI INTERESSI MERITEVOLI DI TUTELA
RIFERIBILI A PERSONE CON DISABILITÀ, A PUBBLICHE
AMMINISTRAZIONI, O AD ALTRI ENTI O PERSONE FISICHE.
Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici
registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata
della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di
tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o
persone fisiche ai sensi dell'articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti
al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di
tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita
del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per
la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione,
salvo quanto previsto dall'articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per
tale scopo.

Dunque, questo articolo prevede che gli atti pubblici di destinazione possano
essere trascritti e inoltre una forma di destinazione del patrimonio ad un
determinato scopo senza dar vita ad una persona giuridica. Questa norma era stata
pensata per le PERSONE DISABILI e infatti questo era l'interesse meritevole di
tutela ma poi tratta anche di ALTRI ENTI e PERSONE FISICHE. Quando si fa
questa destinazione nasce un patrimonio separato (non una persona giuridica) che
è destinato a quello scopo, che è opponibile ai terzi e che non può essere intaccato.
L’articolo introduce nell'ordinamento civilistico una FIGURA abbastanza
GENERALE di patrimonio separato, quindi, di patrimonio destinato ad uno
scopo, ma che non diventa fondazione.
RIASSUMENDO: con il patrimonio separato non si crea una persona giuridica e
si rientra nel secondo comma dell'art. 2740 del c.c. Però gli interessi devono essere
meritevoli di tutela, sennò si violerebbe l'art. 2740.
IN CONCLUSIONE: la persona giuridica OGGI non è più l'unico strumento per
dividere il patrimonio in compendi separati mentre nella VISIONE DEL
CODICE INIZIALMENTE, sì.
GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 16/11/2020

LA PROPRIETA’

Il libro terzo del Codice civile è intitolato alla proprietà, il contenuto è più vario di
quello che emerge dalla rubrica, comprende anche una serie di diritti reali (che in
quanto reali attengono alla res) diversi dalla proprietà.

Certamente la proprietà è il DIRITTO REALE per eccellenza. Nella tradizione


giuridica la proprietà è l'espressione della pandettistica e veniva concettualizzato
come DIRITTO SOGGETTIVO nella sua pianezza.

Il diritto di proprietà è la figura giuridica che meglio esprime la categoria della


scienza giuridica che è il diritto soggettivo.

CHE COS’È LA PROPRIETA’

La proprietà è una FORMA DI APPARTENENZA con determinate caratteristiche


la principale è propria nella sua individualità e nell'esclusione degli altri dal rapporto
tra il proprietario e il bene oggetto della proprietà.

La proprietà secondo il Codice civile è una forma di appartenenza, visione che ha


dominato l'elaborazione in materia scientifica della proprietà negli ultimi due secoli, è
una delle forme di appartenenza della tradizione risalente al diritto romano.
È interessante vedere come nel diritto romano esista una pluralità di forme di
proprietà e certamente la proprietà codicistica è una forma di proprietà che ha
dominato gli ultimi due secoli come proprietà individuale.

È una proprietà, dunque, INDIVIDUALE ed ESCLUDENTE perché gli altri sono


esclusi dal rapporto tra il proprietario e il bene oggetto di proprietà.

CODICE CIVILE

LIBRO III: DELLA PROPRIETA’

TITOLO II: DELLA PROPRIETA’

832. CONTENUTO DEL DIRITTO.

Il proprietario ha il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo,


entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.

Se si tiene presente questa caratteristica: PROPRIETÀ INDIVIDUALE


ESCLUDENTE, ciò accumuna la proprietà privata e la proprietà pubblica. Questa
dicotomia caratterizza la proprietà e ha dominato l'elaborazione in materia di
proprietà negli ultimi due secoli ma oggi è in crisi.

La Costituzione ci dice che la proprietà è PUBBLICA o PRIVATA. Uno degli


studiosi principali in materia di proprietà è stato STEFANO RODOTÀ che ha scritto
in modo critico riguardo la nozione di proprietà del Codice civile così da valorizzare
la nozione di proprietà che emerge nella

Costituzione.

Si deve capire in che senso anche la proprietà pubblica è anche essa una proprietà
individuale.

La proprietà pubblica viene da publicus: res publica= RES POPULUS; ma la


nozione di popolo è una nozione plurale non individuale perché il popolo non era
concepito come una persona giuridica. Oggi si parla di proprietà pubblica ma
l'aggettivo pubblico è un aggettivo che non rimanda ad una pluralità ma ad una
singolarità e ciò deriva dalla configurazione della persona giuridica.

COSTITUZIONE

PRINCIPI FONDAMENTALI
ARTICOLO 1.

L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, la sovranità appartiene al


popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Anche se la Carta costituzionale esordisce mettendo in evidenzia come la


SOVRANITÀ appartenga al popolo con un' idea di popolo che è alla base della
Repubblica, ma per nozione giuridica, la caratteristica saliente della persona
giuridica, è evidente che nasconda una PLURALITÀ.

La persona giuridica è stata utilizzata per configurare lo Stato, gli altri enti territoriali,
gli enti diversi dallo Stato ecc.

È individuale perché lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali siano stati configurati
come PERSONE GIURIDICHE: la persona giuridica ha come caratteristica la
possibilità di nascondere una pluralità di figure all'interno anche se all'esterno appaia
come uno, come individualità.

PROPRIETÀ PUBBLICA= proprietà dello Stato, regioni, enti tutti configurati


come persone giuridiche.

Per questo motivo nella concezione degli ultimi due secoli sia la proprietà privata sia
quella pubblica sono state configurate entrambe come individuali.

ES. Per proprietà privata individuale si intende che questo codice sia mio, questo
vestito sia mio e quindi non vostro. Nella proprietà pubblica è più difficile capire la
natura individuale delle proprietà perché si necessita aver capito la nozione di
persona giuridica.

I beni sono l'OGGETTO DELLA PROPRIETÀ.

Paolo Grossi ha scritto nelle forme di appartenenza, nella concezione codicistica che
è la concezione ottocentesca:

I beni sono considerati il piedistallo della proprietà o per meglio dire il


PIEDISTALLO del proprietario.

Questa visione secondo la quale il bene sia considerato il piedistallo del proprietario è
un’espressione molto efficace, perché dà l'idea di un rapporto tra proprietario e bene
oggetto della proprietà che si configura in un certo modo nella visione codicistica e
dall'altro lato nella visione odierna.

Il bene è considerato un piedistallo del PROPRIETARIO dove il proprietario è la


STATUA che sta sopra, un rapporto che in qualche misura si ribalterà nei decenni
successivi fino ai nostri giorni.
Secondo la codificazione francese e quella del Codice civile italiano del 1865 il
protagonista assoluto era il proprietario perché, secondo una visione liberale e poco
ugualitaria, non tutti i cittadini potevano essere proprietari.

La PROPRIETÀ nella post-Rivoluzione francese e dunque nella visione napoleonica


è vista come un elemento che siede sullo stesso piano della LIBERTÀ e
dell'UGUAGLIANZA.

L'articolo 832 c.c. fa riferimento al proprietario ma soprattutto al diritto di godere e


disporre delle cose: questo è il contenuto del diritto.

Altro elemento è “in modo pieno ed esclusivo”: qui viene fuori l'ELEMENTO
INDIVIDUALISTICO e poi introduce un tema che oggi acquisisce una rilevanza
maggiore rispetto a quella del codice e cioè entro i limiti e con l'osservanza degli
obblighi dell'ordinamento giuridico.

CODICE CIVILE

LIBRO III: DELLA PROPRIETA’

TITOLO II: DELLA PROPRIETA’

833.ATTI D’EMULAZIONE.

Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere
o recare molestia ad altri.

Questo articolo si potrebbe dire che rientrerebbe tra i limiti di carattere generale e che
sia una sorta di corollario poiché l'articolo precedente afferma “di godere e disporre
in modo pieno ed esclusivo” ma se il proprietario facesse qualcosa solo per nuocere
ad altri ciò non sarebbe consentito. Questo articolo è divenuto importante negli anni
poiché nasce in relazione alla proprietà e poi diviene alla base della dottrina e della
giurisprudenza contribuendo a costituire la TEORIA DELL'ABUSO DEL
DIRITTO che significa esercitare un diritto in modo abusivo.

Questa figura creata nel nostro paese da studi importanti di PIETRO RESCIGNO
negli anni 60 nasce estratta dall’articolo 833 c.c. e poi estesa a tutti gli altri settori
dell'Ordinamento.

Oggi si parla di abuso del diritto con riferimento al diritto dell'obbligazioni, al diritto
societario a uso di posizione di maggioranza di un socio nella società o abuso di
minoranza con riferimento a una posizione di minoranza esercitata in modo abusivo
per nuocere l'altro ecc.

Questo articolo, nato in ambito proprietario, è divenuto un principio generale


valevole in ogni ambito e settore del diritto privato.
Un giurista dell'Ottocento, VITTORIO SCIALOJA considerato uno statualista che
ha contribuito alla costruzione dello Stato come persona giuridica, scrisse alla fine
dell'Ottocento e visse a cavallo di questi periodi. Scrisse un artico: SOPRA
ALCUNE LIMITAZIONI DELL'ESERCIZIO DELLA PROPRIETÀ E DI
NUOVO SULL'EMULAZIONE: SCRITTO 1879:

La proprietà: “affermazione suprema del diritto individuale, non può, come non può
l'individuo , andare disgiunto dal diritto sociale, onde la sua giusta misura è da
cercarsi nella temperata fusione di questi due elementi. Aspetti diversi di una stessa
cosa, l'individuo e la società non si possono senza errore considerare come cose
distinte. Non bisogna mai dimenticare che ciò che realmente esiste non è l'individuo
per sé stesso nella società per se stessa, ma bensì l'uomo. Trovare il punto in cui
l'unione sia perfetta ecco il problema”.

Scialoja scrisse questa pagina nell'età della massima espressione dell'individualismo


proprietario e da grande giurista, scienziato e da uomo pubblico si rese conto come il
diritto di proprietà, che è la massima espressione del diritto individuale, debba fare i
conti con la società.

Questi sono i due poli entro cui si colloca il dibattito sulla proprietà: INDIVIDUO e
SOCIETÀ.

Lui ci dà l'impressione che la fusione di questi due elementi in realtà sia l'UOMO: la
persona umana.

Uomo e individuo sono due cose diverse: l'uomo è qualcosa che vive nella società ,
non si riesce a concepirlo come soggetto che vivere da solo mentre il proprietario si
deve confrontare nella società in cui il suo diritto di proprietà si colloca.

Vi sono dunque due angolature: una massima espressione del diritto individuale ma
che deve fare i conti con la società, ma dall'equilibrio tra questi due elementi nasce la
MISURA GIUSTA.

LA COSTITUZIONE

PARTE I: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI

TITOLO III: RAPPORTI ECONOMICI

La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o


a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina
i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione
sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi
preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale.

La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i


diritti dello Stato sulle eredità.
GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 17/11/2020
LA PROPRIETA’.
Secondo ciò che si è affrontato precedentemente: le caratteristiche della nozione di
proprietà prevista dal c.c. quindi il fatto che si tratti di una proprietà
individualistica ed escludente e poi anche quell’altra notazione secondo cui la
natura individualistica della proprietà connota sia la proprietà privata sia la
proprietà pubblica. La spiegazione per quanto riguarda la proprietà privata è
banale e quindi è facilmente comprensibile il carattere individualistico di questa
forma di appartenenza ( “questo orologio è mio”) mentre per la proprietà pubblica
il discorso è più complicato, complesso perché per capire il senso secondo il quale
la proprietà pubblica sia stata concepita negli ultimi due secoli come proprietà
individuale bisogna effettuare un ragionamento che coinvolga l’istituto della
PERSONA GIURIDICA come modo di configurazione dello Stato e in genere i
SOGGETTI PUBBLICI ( gli enti pubblici territoriali e gli enti pubblici non
territoriali ).
COME SI È ANDATA EVOLVENDO LA PROPRIETÀ.
La proprietà oggi è la stessa del c.c.? Certamente sono intervenuti testi normativi
che hanno inciso fortemente sul regime della proprietà e proprio sul modo di
concepirla ed essi sono ovviamente e innanzitutto la COSTITUZIONE la quale
colloca la proprietà all’interno dell’art. 42 che si trova né tra i principi
fondamentali né tra gli articoli che vanno dal 13 al 28 che riguardano il diritto
della libertà, dunque la proprietà non è concepita come un connotato della libertà
ma essa è inserita nei rapporti economici: ciò è un indicatore di come la Carta
Costituzionale concepisce la proprietà.
Il PRIMO comma dell’articolo 42 afferma: “La proprietà è pubblica o privata. I
beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.”: vi è dunque la
classificazione tra proprietà pubblica e privata seguita dall’affermazione che i beni
economici appartengano allo Stato, ad enti ( sottintendendo pubblici o anche
probabilmente privati ) o a privati. Quindi da questo comma si evince che il
costituente aveva in mente una distinzione tra proprietà pubblica e proprietà
privata utilizzando il CRITERIO DELL’APPARTENENZA che sarà lo stesso
criterio in base al quale il legislatore del codice classificherà i beni pubblici. Il
criterio di appartenenza è ben diverso dal CRITERIO FUNZIONALE perché il
primo risponde alla domanda “ a chi appartiene? ” mentre il secondo risponde alla
domanda “ a chi serve? ”: questi sono i due criteri che si confrontano per
classificare i beni.
Il primo comma riconosce la proprietà pubblica e la proprietà privata mentre il
SECONDO comma afferma: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla
legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di
assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.“: questo è il criterio
scardinante della concezione individualistica ed esclusiva della proprietà dove si
afferma il contrario cioè che la legge debba disciplinare la proprietà in modo tale da
assicurarne la funzione sociale e da renderla accessibile a tutti.

Il TERZO comma riguarda un istituto che è previsto anche dal c.c. cioè quello
dell’ESPROPRIAZIONE ed afferma che “La proprietà privata può essere , nei casi
preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse
generale.”.

ES. Un soggetto ha delle proprietà, deve passare un’autostrada e per motivi di


pubblico interesse si espropriano i terreni lungo il quale l’autostrada deve passare.

La Costituzione però prevede che venga riconosciuto al proprietario un indennizzo


che non è il prezzo esatto ma , che nell’elaborazione avuta sia da parte della Corte di
Giustizia sia da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, questo indennizzo ha
sempre di più acquisito una dimensione che lo avvicina al valore di mercato del
prezzo del bene oggetto di espropriazione per motivi di interesse generale.

Il QUARTO comma afferma che “La legge stabilisce le norme ed i limiti della
successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.”.

Quest’articolo ha dato vita a tutta una elaborazione di dottrina e di giurisprudenza


che ha impattato sulla disciplina della proprietà codicistica. A quest’articolo
inoltre si deve abbinare un altro articolo cioè l’art.2 della Costituzione che
contiene il principio di solidarietà. Allora vi è da una parte la funzione sociale e la
legge deve intervenire in materia proprietaria in modo da assicurare la funzione
sociale della proprietà, renderla accessibile a tutti mentre dall’altra parte l’articolo
2 con il principio di solidarietà: questi due principi hanno fortemente inciso sulla
disciplina in materia di proprietà.
Poi come riferimento normativo vi è l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea e
quindi della cosiddetta CARTA DI NIZZA la quale colloca il diritto di proprietà
nel titolo II che riguarda le liberta, quindi la collocazione è differente perché a
livello europeo la proprietà viene tutelata assieme alle altre libertà. Il PRIMO
comma dell’art. 17 afferma “Ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei
beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità.
Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico
interesse( torna dunque l’istituto dell’espropriazione ), nei casi e nei modi previsti
dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la
perdita della stessa ( su questo utilizzo dell’aggettivo “giusto” vi è stato un lavorio
della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e su cosa si intenda dunque con
giusto ). L'uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti
dall'interesse generale.”. Poi vi è il SECONDO comma che , anche essendo breve,
è molto importante ed afferma “La proprietà intellettuale è protetta.” .
Anche la Carta europea dei diritti dell’uomo prevede nel protocollo 1 cioè nel
PROTOCOLLO ADDIZIONALE ALLA CONVENZIONE PER LA
SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ
FONDAMENTALI ( CEDU ) , adottato a Parigi il 20 marzo 1952 , l’art 1 sulla
protezione della proprietà che afferma “ Ogni persona fisica o giuridica ha diritto
al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per
causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi
generali del diritto internazionale.(1) Le disposizioni Precedenti non portano
pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute
necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale
o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle
ammende(2).” e inoltre molto importante la formulazione che si trova all’interno
del SECONDO comma.
RICAPITOLANDO
RIFERIMENTI NORMATIVI:
CODICE CIVILE: L’art. 832 ( il contenuto del diritto di proprietà), l’art. 833
( atti d’emulazione), l’art.834 ( nel quale già il codice prevedeva, prima della
Costituzione, l’espropriazione per pubblico interesse ).
CARTA COSTITUZIONALE: Include nei rapporti economici il diritto di
proprietà, lo regola all’art.42 e all’interno del secondo comma attribuisce al
legislatore il compito di emanare leggi che garantiscano, assicurino e che abbiano
come scopo la realizzazione della funzione sociale della proprietà e di renderla
accessibile a tutti. Inoltre vi è l’art.2 con il principio di solidarietà.
LA NORMATIVA SOVRANAZIONALE ED EUROPEA: Da una parte a
livello europeo la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea con l’art.17 e
dall’altra la Convenzione europea dei diritti dell’uomo che nell’art.1 del protocollo
I regola la proprietà.
Precedentemente si è detto che i beni vengono concepiti come una sorta di
piedistallo del proprietario e dunque affermando ciò il bene viene schiacciato nella
sua funzione servente rispetto al proprietario. Si può dire sinteticamente che tutto
ciò che è accaduto in questi decenni sia una sorta di rivincita del bene sulla
proprietà cioè nel senso che a seconda della natura e della funzione del bene si è
conformata in modo differenziato la disciplina della proprietà.
ES. La proprietà di un orologio , di come venga utilizzato dal proprietario e come
egli ne disponga, sotto il profilo del godimento, può arrivare fino alla sua
distruzione, che è il limite estremo ( l’illimitatezza del suo diritto di proprietà).
Nella distruzione dell’orologio non vi sono coinvolti interessi diversi da quelli del
proprietario ma l’orologio può avere anche un valore affettivo, può essere un bene
prezioso e quindi potrà esserci l’interesse di un figlio, di una moglie, di un parente
affinché esso non venga distrutto e venga conservato in modo tale che possa anche
passare agli altri, a chi è legato affettivamente a quel bene.
Facendo riferimento ad un orologio o ad un quadro si capisce che vi sia più che
una sfumatura di diversità se si parlasse di una collezione di quadri. Il rapporto tra
il proprietario ed un quadro è un rapporto che attiene alla sfera esclusivamente
privata del proprietario ma ovviamente se il soggetto avesse una collezione privata
di quadri non si potrà dire che il rapporto tra il proprietario e la collezione di
quadri rilevanti, che hanno segnato la storia dell’arte pittorica coinvolga solo
l’interesse del proprietario.
E’ già diverso dal rapporto tra il proprietario e una penna e anche tra il proprietario
e il singolo quadro ma se il singolo quadro avesse un valore artistico
straordinariamente rilevante si potrebbe andare a vedere scalfito il rapporto
esclusivo tra proprietario e il bene.
Dunque la natura e la funzione del bene reagisce sulla disciplina proprietaria.
Si pensi al paesaggio in senso materiale, ad un bene ambientale, ad un bene
culturale ( l’interesse storico, artistico e culturale e quindi è anche il caso del
quadro che abbia una rilevanza per la storia dell’arte ) oppure ad un bene che abbia
natura e funzione di soddisfacimento di interesse pubblico come una strada. Vi
sono strade private che sono assoggettate all’uso pubblico e in genere esse sono le
strade consortili le quali possono essere utilizzate non soltanto dai consorziati ma
da chiunque intenda attraversarle per raggiungere una determinata località.
In questi decenni è emersa la rilevanza giuridica della funzione del bene oggetto di
proprietà e quindi la funzione del bene ha imposto una disciplina proprietaria
differenziata.
La visione che aveva il codice del ’42 era una visione al singolare cioè di tipo
unitario mentre oggi certamente è stata superata e ad una visione unitaria della
proprietà si è sostituita una VISIONE PLURALE della proprietà. Dalla proprietà
alle proprietà. Da una disciplina unitaria della proprietà a tante discipline delle
proprietà in ragione della natura e della funzione dei beni oggetto di proprietà.
Dalla unitarietà della proprietà alla distinzione, differenziazione, pluralità della
proprietà infatti si parla di STATUTI PROPRIETARI, statuto nel senso di varie
discipline.
Anche guardando il Codice al fondo c’era una visione unitaria ma esso non può
fare a meno di individuare delle distinzioni per esempio tra la proprietà rurale e la
proprietà urbana destinata all’edilizia. Ma se oggi si dovesse guardare, sulla base
della legislazione esistente, si troverebbero addirittura dei corpi normativi
differenziati come ad esempio il Codice dei beni ambientali cosiddetto codice nel
senso che è una norma sistematicamente dedicata alla disciplina dei beni
ambientali, il Codice dei beni culturali, il Codice o la Legislazione della proprietà
edilizia: insomma tante discipline proprietarie ed ecco cosa si vuol dire con statuti
della proprietà.
La proprietà per come è penetrata nel c.c. e nella stessa Costituzione da questo
punto di vista è una proprietà pubblica e privata avente la comune caratteristica di
essere proprietà individuale, una concezione sostanzialmente unitaria della
proprietà ed affermare ciò significa che è appiattita la funzione e la natura dei beni
e che a prescindere da esse i beni siano assoggettati ad una medesima disciplina
viceversa in ragione dei principi della Carta Costituzionale e quindi dell’esigenza,
per utilizzare la terminologia di Scialoja molto presaga da questo punto di vista
anche quando alla fine del 1800 il diritto di proprietà era massima espressione
dell’individualismo proprietario, che la proprietà “ debba fare i conti con la
società” e dall’altra parte la funzione sociale è quella. Il legislatore deve
intervenire per assicurare la funzione sociale della proprietà ma essa dipende dalla
natura dei beni perché vi sono beni che non hanno una rilevanza dal punto di vista
dell’interesse generale e quindi quando si faceva l’esempio dell’orologio e del
proprietario, esso è un rapporto che è insensibile all’interesse della collettività ma
se si trattasse di determinate categorie di beni certamente l’interesse pubblico si
avvertirebbe: quest’ultimo impatta sulla disciplina della proprietà e quindi sul
rapporto tra proprietario e bene perché certamente laddove vi sia una proprietà
privata anche di un bene di interesse pubblico, la proprietà del privato deve fare i
conti con questa funzione che è quella di soddisfare l’interesse della collettività.
E’ chiaro che negli anni certamente per quanto riguarda il tema bene-ambiente e
quindi l’esigenza di una protezione efficace del bene ambientale è sorta ed è
divenuta più acuta quando negli anni ’70 è esploso in tutto il mondo il problema
dell’inquinamento.
Oggi ci troviamo certamente di fronte ad un diritto di proprietà profondamente
diverso da quello avuto in mente dal legislatore del codice del 1942, oggi si assiste
ad una pluralità di proprietà, tanti statuti proprietari, tante discipline delle proprietà
differenziate a seconda della funzione e della natura dei beni. Vi sono quindi si
potrebbe dire statuti della proprietà in ragione di una serie di tipologie di beni:
disciplina della proprietà dei beni ambientali e paesaggistici, disciplina della
proprietà dei beni culturali, disciplina della proprietà edilizia e dunque delle aree
urbane, disciplina della proprietà rurale fino ad una legge di tre anni fa che ha
riconosciuto nel nostro ordinamento i DOMINI COLLETTIVI ed è andata a
disciplinare quello che nella visione individualistica del codice era una sorte di
tabù. I domini collettivi sono quelle proprietà che tradizionalmente in alcune realtà
ma che sono molto diffuse nel nostro Paese e che sono oggetto di dominio
collettivo nel senso che sono a servizio di determinate categorie. Si pensi alle
comunità agricolo - pastorali e a quei terreni che sono di proprietà collettiva
perché servono ad una collettività; allora si discuteva su di esse e il legislatore tre
anni fa è intervenuto stabilendo che si trattasse di domini collettivi.
Oggi ciò che sembrava un tabù per il nostro ordinamento improntato alla proprietà
individuale, è stato infranto perché al suo interno, tra le diverse forme di proprietà,
esiste anche la proprietà collettiva che riguarda soprattutto alcuni domini
territoriali collettivi che servono esigenze agricolo - pastorali di determinate
comunità di persone.
Il principio della funzione sociale della proprietà e quindi l’art.42 della
Costituzione ha influenzato l’interpretazione di alcune norme già presenti nel
Codice Civile.
Ha influenzato l’interpretazione dell’articolo 833 riguardante gli ATTI DI
EMULAZIONE e quindi ha fatto sì che quell’articolo divenisse un limite di
carattere generale del godimento del proprietario. Il caso classico è quello del
proprietario che costruisce un muro nella sua proprietà, un muro che per lui non ha
un’utilità ma che copre la vista al vicino e allora il proprietario, in base alla
definizione dell’art. 832 “ ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno
ed esclusivo”, potrebbe costruirlo ma se quel muro non avesse un’ utilità per il
proprietario ma avesse come risultato soltanto quello di impedire la vista del
paesaggio al vicino quello sarebbe un modo abusivo di esercitazione del diritto di
proprietà. Naturalmente l’elemento della funzione sociale e il principio della
solidarietà hanno portato ad un’espansione di questa norma cioè nel senso che
hanno portato ad una sua interpretazione ben più larga dove sostanzialmente il
diritto di godere e di disporre del proprietario deve misurarsi con l’interesse
sociale e quindi il proprietario ha una serie di limiti che possono essere legati
anche ad esempio alla tutela del paesaggio, architettonica, del decoro...
Un altro articolo importante in materia di proprietà è l’art. 844, che ha avuto
un’estensione applicativa straordinaria e che riguarda le IMMISSIONI. Esso
enuncia nel PRIMO comma“Il proprietario di un fondo non può impedire le
immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili
propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale
tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi( che è un limite
importante al diritto di godere e di disporre della proprietà in modo pieno ed
esclusivo).” e poi il SECONDO comma afferma che “ Nell'applicare questa
norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le
ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso. “ . Si
tratta di un limite che veniva considerato in termini eccezionali nella visione
codicistica e il criterio in base al quale il Codice ritiene che siano legittime o
illegittime le immissioni è la NORMALE TOLLERABILITÀ che non è una
bilancia, non è un metodo tramite il quale si pesa se un rumore o un’esalazione o
un fumo cioè fino a che un tot grammi sia normale tollerabilità e oltre no ma è un
problema di interpretazione che dipende anche dai luoghi.
Un allevamento di suini che manda esalazioni pestilenziali come le manda anche
un caseificio è legittima o illegittima? Dipende, dipende dal contesto. Se fosse un
contesto industriale dove vi sia un distretto per la produzione del formaggio
probabilmente quegli odori sarebbero considerati tollerabili. Se un soggetto
all’interno del suo appartamento iniziasse a produrre formaggio quell’esalazione
probabilmente sarebbe intollerabile. L’allevamento di suini in un contesto di
campagna sarebbe tollerabile ma in un contesto di insediamento urbano sarebbe
intollerabile. Anche per il rumore dipende e così via.
Naturalmente questo articolo ha acquisito una valenza che già esisteva ma una
valenza ancora più rilevante in base al principio della funzione sociale perché
certamente essa è divenuto un limite interno alla proprietà e non uno estero, nel
senso che la funzione sociale comporta che gli atti di disposizione e di godimento
del proprietario debbano tener conto, in ragione di talune tipologie di beni , del
contesto sociale, dell’interesse sociale, dell’interesse pubblico.
Questo discorso impatta con un altro discorso: il libro III del c.c. non si apre con la
proprietà ma con i beni e la loro classificazione. La natura e la funzione del bene si
riflette, si ripercuote sulla disciplina di proprietà di quel bene e tanta più attenzione
bisogna dare alla classificazione dei beni. Se il bene incide sul regime di proprietà
cioè se la natura e la funzione del bene incidono sul regime della proprietà di quel
determinato bene, di quella determinata categoria di beni è rilevante soffermarsi
sulla classificazione dei beni e in particolare, oltre che sulla nozione di bene, sulle
due principali classificazioni, almeno contenute nel codice civile:

· La distinzione tra BENI MOBILI e BENI IMMOBILI che incide


fortemente sulla disciplina della circolazione dei beni;
· La classificazione tra BENI PUBBLICI e BENI PRIVATI che
impatta fortemente sul tema proprietario in ragione della funzione degli
stessi beni.

GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 18/11/2020


I DIRITTI REALI
I diritti reali sono DIRITTI ASSOLUTI che consentono al titolare di escludere
altri dal godimento del bene. Essi hanno un rapporto di immediatezza con la “res”.
In questo rapporto di immediatezza non c’è una parte soggettiva, il rapporto è solo
tra il TITOLARE e il BENE. Gli altri non devono interferire nel godimento del
bene da parte del titolare.
Nel rapporto di immediatezza il titolare è soddisfatto avendo il RAPPORTO
DIRETTO con la cosa, non è mediato da nessuno, mentre nei diritti di credito,
dove vi è un diritto a una somma di denaro a fronte della consegna di un bene, si è
soggetti al debitore (parte passiva) che deve effettivamente consegnare il bene o la
somma. Nei diritti di credito/relativi quindi il rapporto con il bene è MEDIATO
dalla prestazione del debitore.
I BENI
Sono beni le sole cose che possono formare OGGETTO DI DIRITTI.
Per molto tempo ci si è chiesti se gli animali fossero beni. Per alcune tipologie di
animali che garantiscono l’utilità economica si è sempre riconosciuta la loro
appartenenza alla categoria di beni (ES. la pecora o la mucca che garantiscono
oggetto di allevamento) mentre per quanto riguarda gli ANIMALI
D’AFFEZIONE (ES. gatto, cane, pesce rosso) per molto tempo non si è
riconosciuto che fossero beni come oggetti di diritti. È previsto il risarcimento del
danno nei confronti di atti illeciti commessi per quanto riguarda gli animali da
affezione ed in virtù di questa legge questi sono rientrati nella categoria di beni.
Nel momento in cui si riconosce la possibilità di un risarcimento del danno per un
illecito o maltrattamento di questi animali significa che l’ordinamento ha preso in
considerazione questa materialità e da ciò ha ricondotto una serie di effetti
giuridici.
Se l'ordinamento non si interessa e quindi non è ricondotto nessun effetto giuridico
alla cosa, quest’ultima non è un bene dal punto di vista giuridico. I beni nel diritto
sono rilevanti quando producono una UTILITÀ.
CODICE CIVILE
LIBRO TERZO: DELLA PROPRIETÀ
TITOLO I: DEI BENI
813. DISTINZIONE DEI DIRITTI
Salvo che dalla legge risulti diversamente, le disposizioni concernenti i beni
immobili si applicano anche ai diritti reali che hanno per oggetto beni immobili e
alle azioni relative; le disposizioni concernenti i beni mobili si applicano a tutti gli
altri diritti.
Ogni volta che nel Codice si parla di beni immobili si sta parlando dei diritti sui
beni immobili. Nel mondo del diritto non ci si interessa al bene immobile in sé ma
questo bene ha valore perché produce utilità.
ES. Quando si tratta di un edificio non viene tutelato l’edificio in sé ma il diritto di
proprietà.
Tutte le volte che si parla di beni immobili all’interno degli articoli ci si riferisce ai
diritti che hanno oggetto i beni immobili e viceversa; tutte le volte che si parla di
diritti che hanno come oggetto i beni immobili si tratta di una tutela dei beni
immobili. Il bene si tutela solo perché è oggetto di diritti. Il diritto e il bene
oggetto del diritto stesso hanno la stessa importanza.

BENI PRIVATI
I beni privati sono beni che appartengono a privati. Questi beni subiscono delle
limitazioni in virtù degli interessi pubblici e alcune sono generali, cioè
appartengono a determinate categorie di beni.
ES. I terreni: una volta che si è proprietari di un terreno in teoria si ha il diritto di
poterci costruire ma questo diritto è limitato dato che non si può costruire su tutti i
terreni oppure su alcuni si potrebbe ma rispettando dei vincoli edificatori.
Vi sono limitazioni che sono volte a tutelare la CARATTERISTICA
PARTICOLARE del bene.
ES. I BENI CULTURALI non sono liberamente alienabili. Il Ministero dei beni
culturali ha un DIRITTO DI PRELAZIONE cioè se un soggetto è proprietario di
un’opera d'arte non la può liberamente vendere a terzi, bisogna prima informare il
Ministero dei beni culturali e quest’ultimo ha DIRITTO POTESTATIVO cioè
può decidere se acquistare lui stesso oppure, se non esercita tale diritto, il
proprietario potrà venderlo a terzi; perciò la vendita diretta a terzi è illegittima.
Il diritto di prelazione è il diritto che ha un soggetto (in questo caso lo Stato) di
essere preferito nella prelazione di un bene. Questo diritto lo hanno anche i privati:
ES. Nel caso della vendita di un bene immobile locato, il conduttore (inquilino) ha
il diritto di prelazione quindi se il proprietario voglia vendere il bene durante la
vigenza del contratto di locazione dovrà informare il conduttore.
I beni pubblici hanno totalmente un’altra disciplina.
DISTINZIONE TRA BENI MOBILI E BENI IMMOBILI
CODICE CIVILE
LIBRO TERZO: DELLA PROPRIETA’
TITOLO I: DEI BENI
812. DISTINZIONE DEI BENI.
Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le
altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò
che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo.
Sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono
saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo
permanente per la loro utilizzazione.
Sono mobili tutti gli altri beni.
Questa distinzione non è priva di risvolti pratici. La proprietà di beni mobili passa
con la CONSEGNA. Per il trasferimento di beni immobili invece è necessaria la
SCRITTURA PRIVATA (l’atto del privato). L'ATTO PUBBLICO è un
documento redatto dal notaio con il quale si hanno tutta una serie di garanzie.
I BENI IMMOBILI.
Il nostro ordinamento ha interesse alla circolazione di beni immobili e soprattutto
che essa avvenga in sicurezza: non basta la scrittura privata, essa (o anche l’atto
pubblico) deve essere trascritta nel pubblico registro immobiliare (il registro dove
sono scritti tutti i beni immobili dello Stato e dove vengono trascritte tutte le
vicende circolatorie del bene). I professionisti hanno accesso a questi registri, nei
quali si può vedere chi è proprietario del bene e si possono vedere tutti i passaggi
del bene immobile. Il bene immobile, comunque, può circolare con una scrittura
privata senza essere trascritto, ma in questo caso il bene non è tutelato.
ES. Un soggetto A vende un bene immobile di sua proprietà al soggetto B e dopo
cinque minuti lo rivende al soggetto C: se vi è un atto trascritto tra A e B, il
soggetto C non acquisterà NULLA mentre se ci fosse stato un atto scritto solo tra
A e C, anche se B avesse acquistato prima il bene non ne diverrebbe il proprietario
poiché prevale colui con il quale vi è stata la trascrizione, che in questo caso è il
soggetto C.
Nel nostro ordinamento vige il principio della “CONTINUITÀ DELLE
TRASCRIZIONI” ovvero non si ragiona su chi è effettivamente il proprietario
ma si guarda il registro immobiliare.
ES. Un soggetto A vende un immobile di sua proprietà ad un soggetto B e questi
non trascrivono il contratto quindi nei registri immobiliari il proprietario rimane A.
Se dopo cinque minuti A vendesse nuovamente l’immobile ad un secondo
soggetto C e il contratto venisse trascritto, vi sarà il principio di continuità e quindi
si andrà a vedere dalle trascrizioni che A ha effettivamente venduto l’immobile al
secondo soggetto C.
Se più soggetti affermano quindi di vantare un diritto di proprietà, si andranno a
ricostruire le trascrizioni nel registro immobiliare e prevarrà il soggetto che ha
acquistato da colui che risultava proprietario nel registro immobiliare. È una forma
di tutela dei terzi. Si va dal notaio quindi per avere sicurezza e quindi perché egli
si assicuri che colui che vuole vendere il bene sia effettivamente il legittimo
proprietario (controllando sul registro immobiliare): questa è la maggiore garanzia
che fornisce l’atto pubblico rispetto alla scrittura privata.
ES. Se un soggetto viene truffato acquistando da un soggetto che non è il legittimo
proprietario, l’ordinamento non si disinteressa e quindi si avrà il diritto di
risarcimento del danno. Si è tutelati nel profilo economico (si cerca di recuperare il
corrispettivo che si è versato) ma non si acquista la proprietà poiché segue il
principio della continuità delle trascrizioni.
Provare di essere il proprietario di un bene immobile non è facile, tant’è che si
parla di PROBATIO DIABOLICA: per dimostrare di essere proprietario non è
sufficiente che in giudizio si depositi l’atto di compravendita perché si deve
provare di aver acquistato dal legittimo proprietario quindi colui che risultava nel
registro immobiliare come titolare del diritto di proprietà all’epoca del contratto.
Questo però non basta: bisogna risalire tutta la catena cioè verificare anche che
colui che è indicato come legittimo proprietario dai registri abbia acquistato il
bene immobile da colui che era il legittimo proprietario del medesimo bene
all’epoca del contratto e così via. Inoltre, si devono ricostruire i passaggi degli
ultimi 20 anni a causa dell’usucapione. Se dopo 20 anni c’è stato un passaggio
illegittimo colui che è attualmente proprietario ha usucapito, in virtù del possesso.
Ci si può fermare anche prima di 20 anni, nel caso in cui vi è stato prima un
acquisto a titolo originario (ES. Usucapione). Tuttavia, anche se si acquista una
proprietà per usucapione, comunque, si ha la necessità di trascrivere la sentenza di
accertamento dell’avvenuta usucapione: si ha quindi evidenza dell’acquisto a titolo
originario.
La TRASCRIZIONE è quindi ciò che rende l’atto opponibile a terzi infatti tutte
le volte che ci sono più trasferimenti in contemporanea l’ordinamento tutela colui
che ha trascritto per primo anche se avesse acquistato successivamente.
Per quanto riguarda i beni immobili vi è anche il CONCETTO DI
PERTINENZA.
CODICE CIVILE
LIBRO TERZO: DELLA PROPRIETA’
TITOLO I: DEI BENI
817. PERTINENZE.
Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di
un'altra cosa.
La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi
ha un diritto reale sulla medesima.
Vi sono dunque due beni distinti ove uno è un bene PRINCIPALE e un altro è
SECONDARIO. Il bene secondario è destinato in modo durevole all’utilità del
bene principale.
CODICE CIVILE
LIBRO TERZO: DELLA PROPRIETA’
TITOLO I: DEI BENI
818.REGIME DELLE PERTINENZE.
Gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono
anche le pertinenze, se non è diversamente disposto.
Le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici.
La cessazione della qualità di pertinenza non è opponibile ai terzi i quali abbiano
anteriormente acquistato diritti sulla cosa principale.
ES. Se un soggetto fosse proprietario di un immobile (bene principale) che ha una
cantina (pertinenza) e trasferisse l’immobile senza aver menzionato espressamente
di non trasferire anche la pertinenza, trasferirebbe anche la proprietà della
pertinenza. Per impedire ciò si deve quindi specificare di non voler trasferire la
pertinenza insieme alla cosa principale.
I beni mobili non costituiscono pertinenza.
I BENI MOBILI.
Per i beni mobili non c’è nessun requisito né di forma né di pubblicità. Vi è
sempre un contratto.
ES. Se un soggetto A dovesse dare un bene mobile ad un soggetto B, A sta
trasferendo il possesso, ma se B acconsentisse ciò diverrebbe un contratto orale e
A gli starebbe trasferendo la proprietà del bene in questione.
Per i beni mobili vale la regola del POSSESSO VALE TITOLO.
CODICE CIVILE
LIBRO TERZO: DELLA PROPRIETA’
TITOLO VIII: DEL POSSESSO
1153. EFFETTI DELL’ACQUISTO DEL POSSESSO.
Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne
acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento
della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà.
La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal
titolo e vi è la buona fede dell’acquirente.
Nello stesso modo si acquistano i diritti di usufrutto, di uso e di pegno.
ES. Un soggetto A vende un bene mobile a B e dopo cinque minuti lo vende a C.
Tra i due prevale chi ha avuto da A il possesso del bene. Se A consegna il bene a
B egli riceverà il possesso quindi anche se B avesse pagato ad A un corrispettivo e
non avesse ricevuto il bene, egli non sarà tutelato.
Il possesso è assimilabile per gli effetti alla trascrizione sul registro immobiliare.
Sono necessari due requisiti per quanto riguarda il passaggio di proprietà di beni
mobili:

· BUONA FEDE (soggettiva in questo caso) = ignoranza di ledere un


altrui diritto;
· TITOLO IDONEO AL TRASFERIMENTO = contratto (può
essere anche orale).
ES. Se un soggetto A vendesse un bene a B e se tra i due vi fosse un contratto, il
soggetto C però acquista da A dopo cinque minuti: C non ha acquistato dal
legittimo proprietario, perché A ha già venduto il bene a B. Tra A e C c’è un
contratto che però non è valido ed efficace, ma è idoneo (ES. Contratto
verbale). Il contratto di compravendita tra A e C non è legittimo, si parla di
ACQUISTO A NON DOMINO cioè da un non proprietario. Il titolo è
idoneo perché si fa un contratto, un accordo in cui vi è una proposta e una
accettazione e si paga un corrispettivo, ma lo si fa con un soggetto che non è
proprietario. In astratto è idoneo, ma nel concreto non è efficace.

BENI FUNGIBILI.
Un bene fungibile è quel bene che può essere liberamente scambiato con un altro
bene dello stesso genere ed è idoneo a produrre la stessa utilità. Sono beni che non
danno un’utilità per via di una caratteristica particolare, ma sono beni che
appartengono ad un GENUS.
ES. Un maglione comprato in un negozio. Se si trattasse di un maglione che è
stato indossato da Sophia Loren alla notte degli Oscar, che ha di conseguenza un
valore di mercato, quel bene diventerebbe infungibile in virtù di una qualità
particolare ovvero del fatto di esser stato indossato da una celebrità.
L'acquisto della proprietà di beni fungibili passa con il MERO CONSENSO
CODICE CIVILE
LIBRO IV: DELLE OBBLIGAZIONI
TITOLO II: DEI CONTRATTI IN GENERALE
1378. TRASFERIMENTO DI COSA DETERMINATA SOLO NEL
GENERE.
Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento di cose determinate solo nel
genere, la proprietà si trasmette con l’individuazione fatta d’accordo tra le parti o
nei modi da esse stabiliti.
Trattandosi di cose che devono essere trasportate da un luogo a un altro,
l’individuazione avviene anche mediante la consegna al vettore o allo
spedizioniere.
Quindi quando si individua un bene fungibile è necessaria un’attività di
specificazione:
ES. Un soggetto prende un maglione, va alla cassa e afferma “voglio questo”.
ES. Se un soggetto andasse dal tabaccaio, chiedesse un pacchetto di sigarette e
successivamente pagasse: in questo caso ci sarebbe un contratto ma non un
trasferimento della proprietà. Il trasferimento si manifesterà quando il tabaccaio
estrarrà dal genus il pacchetto di sigarette e lo consegnà al soggetto: in quel
momento questo acquisterà il diritto di proprietà su quel pacchetto. Nel momento
in cui il tabaccaio ancora non ha dato le sigarette ma già vi è stato il contratto di
compravendita (soldi e scontrino) il soggetto non ha acquistato la proprietà su una
cosa determinata, ma ha acquistato l’obbligazione ovvero ha il diritto che il
tabaccaio gli venda un pacchetto: si acquista quindi l’obbligo.
La proprietà passa quindi al momento della specificazione. Per i beni infungibili
questo non vale.
BENI INFUNGIBILI.
I beni infungibili sono quei beni che non possono essere sostituiti da altri che
garantiscano la stessa utilità, questo in ragione delle qualità particolari che ha quel
bene.
CODICE CIVILE
LIBRO IV: DELLE OBBLIGAZIONI
TITOLO II: DEI CONTRATTI IN GENERALE
1376. CONTRATTO CON EFFETTI REALI.
Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa
determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il
trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano
per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato.

ES. Per quanto riguarda il maglione di Sophia Loren, la proprietà sul bene la si
acquista nel momento in cui si stipula il contratto.

GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 23/11/2020


LE PROPRIETA’.
I tre pilastri della nostra materia sono: PERSONE (se ancora si può dire così),
PROPRIETÀ e CONTRATTO.
La proprietà è un diritto rispetto ad un oggetto; ad un bene, oggetto della proprietà.
Nel cercare di cogliere lo sviluppo, l'evoluzione, del tema “proprietà” (del diritto
di proprietà, dall'entrata in vigore del codice ai nostri giorni) si è visto anche come
questo rapporto sia un rapporto importante perché certamente oggi la visione della
proprietà NON è una visione UNITARIA, o sostanzialmente o tendenzialmente
unitaria, come intendeva il codice civile del 1942; oggi si parla “DELLE”
proprietà, al plurale, per indicare l'esistenza di TANTI STATUTI delle proprietà,
di tante discipline proprietarie (in ragione della tipologia del bene a cui si
riferiscono).
La nozione di bene e la classificazione dei beni è rilevante perché appunto la
natura e la funzione del bene incide, “REAGISCE” sulla disciplina della
proprietà avente per oggetto quella categoria di beni.
Sono emerse tante discipline proprietarie e per questo si parla di proprietà al
plurale.
Questo incide anche sul tema dei limiti della proprietà e infatti vi sono due tipi di
limiti: i cosiddetti LIMITI ESTERNI e i cosiddetti LIMITI INTERNI al diritto
di proprietà. I limiti esterni, già ampiamente e dettagliatamente disciplinati dal
Codice civile, sono i limiti che attengono al rapporto tra proprietà confinanti o
vicine.
ES. Le IMMISSIONI (art. 844 c.c.), certamente uno dei limiti esterni più
importanti, perché si preoccupano dei rapporti tra proprietà vicine; come anche gli
ATTI DI EMULAZIONE (che secondo il nostro codice è il “divieto di atti di
emulazione”).
Quando invece si parla della nozione di limiti interni, con limiti interni si parla di
“PROPRIETÀ CONFORMANTE”, perché sono proprietà che presentano dei
limiti in ragione della funzione della natura del bene, per meglio dire, in ragione
quindi, per esempio, della “funzione pubblicistica” di alcuni beni.
Ci sono alcuni beni che soddisfano interessi che vanno al di là e al di fuori del
rapporto con il proprietario.
ES. i beni culturali, i beni paesaggistici, i beni ambientali: beni che certamente
soddisfano l'esigenza del proprietario ma non soltanto.
Si pensi ai beni paesaggistico-ambientali e ai beni culturali che certamente hanno
una funzione, quella di soddisfare un interesse pubblico, quindi un interesse che va
al di là dell'interesse del singolo proprietario e a prescindere dal fatto che
appartengano ad un soggetto privato o pubblico (ES. un museo può appartenere ad
un privato o a un ente pubblico): quel che conta non è l'appartenenza ma la
FUNZIONE del bene, il fatto di essere un bene idoneo al soddisfacimento di
interessi della collettività.
Nella misura in cui sia un bene che presenta questa funzione, ecco che la proprietà
su quel bene subisce, in ragione della funzione pubblica di quel bene, dall'interno
(non dall'esigenza di essere coordinata con altre proprietà vicine) delle limitazioni.
Il motore che ha portato all'emersione di questi limiti interni è l’articolo 42,
comma 2, della Costituzione che mette in evidenza la funziona sociale della
proprietà e l'esigenza che il legislatore intervenga per renderla accessibile a tutti
(naturalmente il costituente pensava non a qualunque bene: è di tutta
evidenza la differenza che c'è nel rapporto tra proprietario e un bene che è un
orologio o una penna, ed il rapporto che ci può essere tra il proprietario e un
museo).
ES. Se un soggetto ha un appartamento, un palazzo o un edificio in proprietà ha
tutta una serie di limiti che derivano dal contesto nel quale quell'immobile è
inserito che appunto fa scattare tutta una serie di vincoli che vanno a limitare.
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

PARTE I: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI


TITOLO III: RAPPORTI ECONOMICI

I BENI.
Il bene rispetto alla visione codicistica ha un tale rilievo sul piano giuridico da
condizionare la disciplina della proprietà su quel bene (in questo senso, la
centralità dello studio dei beni). Per questo le classificazioni dei beni sono
importanti, oltre alla nozione di bene che è anch'essa molto importante.
Certamente la nozione di bene presente negli articoli del Codice civile del ‘42, a
parte l’articolo sulle energie, è una che fa pensare alle RES CORPORALES ma
oggi certamente forse rilievo maggiore hanno proprio le RES INCORPORALES,
quelle che non si possono toccare.
La classificazione tra beni mobili e bene immobili si riflette sul regime giuridico
della loro CIRCOLAZIONE. Certamente comprare un orologio è cosa ben
diversa da comprare un fondo, o un appartamento e ci sono dei beni che hanno un
regime ancora diverso, che è quello dei BENI MOBILI REGISTRATI, come le
imbarcazioni o un aereo o un’autovettura ecc.
Naturalmente parlando del differente regime di circolazione dei beni mobili e
immobili, non si può fare a meno di parlare dell’ISTITUTO DEL POSSESSO.
La disciplina della circolazione dei beni immobili e dei beni mobili si differenzia
perché la circolazione dei beni mobili poggia sul TRASFERIMENTO del
possesso (non solo possesso, ma è un istituto centrale per la circolazione della
proprietà dei beni mobili) invece per la circolazione dei beni immobili l'istituto che
ha rilevanza è l'ISTITUTO DELLA TRASCRIZIONE, cioè l'istituto che fa
riferimento alla pubblicità immobiliare.
Sono tante le classificazioni dei beni (fungibili, infungibili, consumabili ecc.) ma
le due grandi classificazioni dei beni sono: da una parte la classificazione tra beni
IMMOBILI e beni MOBILI, dall'altra parte la classificazione tra beni
PUBBLICI e beni PRIVATI.
Il criterio della classificazione in beni pubblici e privati è l'APPARTENENZA. I
beni sono pubblici in ragione dell'appartenenza ad un soggetto pubblico e questo è
il criterio adoperato dal codice del 1942.
L'altro criterio, che non è stato tenuto in considerazione dal Codice del 1942 ma
oggi è il criterio che sta emergendo, è quello che ha portato poi alla nozione di
beni comuni: il CRITERIO FUNZIONALE.
La funzione risponde alla domanda “A CHI SERVONO? A COSA
SERVONO?” che è diverso dal “DI CHI SONO?”, che è il criterio
dell'appartenenza.
La classificazione beni pubblici e beni privati del nostro codice è fondata sul
criterio dell'appartenenza: sono pubblici i beni che appartengono ad un soggetto
pubblico (si tratti dello Stato, si tratti di altri enti pubblici come comuni,
province...) e sono beni privati quelli che appartengono ad un soggetto privato.
Questa classificazione è stata criticata fortemente dalla dottrina, a partire dalla fine
degli anni '50-inizio anni '60 e in particolare il maggiore critico di questa
classificazione è stato il professore di diritto amministrativo de La Sapienza,
MASSIMO SEVERO GIANNINI, che in un corso fatto agli studenti sui beni nel
1962 criticava questa classificazione affermando che fosse una
CLASSIFICAZIONE FORMALE e NON una classificazione di tipo
SOSTANZIALE, proprio perché non va a vedere la funzione del bene. Se si
andasse a vedere la funzione del bene (a chi serve, a che cosa serve) allora la
classificazione formale pubblico/privato verrebbe attraversata e cioè la
classificazione in base al criterio funzionale porterebbe ad una classificazione
TRASVERSALE. Nel senso che ci possono essere beni privati aventi funzione
pubblica (aventi il soddisfacimento di interessi della collettività) e inoltre tra i beni
pubblici vi sono beni che il professore chiamava “A FRUIZIONE
COLLETTIVA” e beni che invece non sono a fruizione collettiva pur magari
presentando un interesse pubblico.
ES. Si pensi ad una caserma: essa è, in base al codice, un edificio pubblico perché
appartiene allo Stato e serve a un interesse pubblico ma non è un bene a fruizione
collettiva.
ES. Si pensi ad una strada, su di essa tutti possono camminarci e dunque è a
fruizione collettiva.
ES. Si pensi ad una strada privata che può essere assoggettata all'uso pubblico: ci
sono moltissime strade private su cui si può passare a piedi o con l'automobile.
L'elemento è la destinazione all'uso pubblico e all'uso della collettività.
Si deve porre attenzione a quando si usa l'espressione “pubblico” perché può
essere equivoca e dipende dal significato che si dà a questo termine: se pubblico è
dello Stato, se pubblico è dell'ente pubblico ma a volte si parla di interesse
pubblico in senso diverso cioè come interesse della collettività.
La classificazione beni pubblici e beni privati prevista dal Codice civile è tutt'ora
vigente, è di tipo formale, fondata sul criterio dell'appartenenza e criticata perché è
una che prescinde completamente dalla funzione del bene: è bene pubblico in
quanto appartiene ad un soggetto pubblico; è bene privato in quanto appartiene ad
un soggetto privato.
C'è una classificazione diversa basata sulla funzione, dove ci sono dei beni
cosiddetti a FRUIZIONE COLLETTIVA che possono essere sia di proprietà
PRIVATA sia di proprietà PUBBLICA o anche addirittura dal 2017 beni di
proprietà COLLETTIVA.
Questa classificazione vigente sull'appartenenza è entrata in crisi e ormai è emersa
una nozione di bene diversa da quella contenuta e sconosciuta al Codice civile: la
nozione di BENE COMUNE. La nozione di bene comune presente nel libricino
di Di Porto non è prevista da una norma ma è entrata nel diritto vivente a seguito
di alcune sentenze della CORTE SUPREMA di CASSAZIONE a SEZIONI
UNITE CIVILI nel 2011, sentenze che hanno chiuso una famosa controversia
riguardante la natura pubblica o privata delle cosiddette VALLI DA PESCA
DELLA LAGUNA DI VENEZIA.
Il DIRITTO VIVENTE è il diritto che “vive”, non scritto nei libri ma è il diritto
visto nella sua dinamicità vitale. La Corte costituzionale afferma che si parla di
esso in presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato della Corte di
Cassazione e quindi il diritto vivente può essere fondato su delle norme ma anche
su un diritto giurisprudenziale, cioè legato al risultato dell'interpretazione della
Corte Suprema della Cassazione.
Vi è stato un tentativo di modificare la classificazione presente nel nostro Codice
civile e quello più importante è avvenuto nel 2007 da una commissione presieduta
da STEFANO RODOTÀ (chiamata COMMISSIONE RODOTÀ, dal nome del
suo presidente). Quella commissione aveva predisposto una riforma degli articoli
del Codice civile inerente alla classificazione dei beni e aveva previsto, accanto
alla nozione di bene privato e accanto alla nozione di bene pubblico, una terza
categoria qualificata “BENE COMUNE”, realizzando inoltre un elenco, una
disciplina dei beni comuni.
Questa commissione ha presentato al Ministro il progetto di riforma che però è
rimasto nei “cassetti” del Ministero della Giustizia e quindi oggi ancora si ha la
classificazione del codice del 1942 ma quel che è cambiato è stato questo
intervento delle Sezioni Unite della Cassazione del 2011 che hanno introdotto
nell'ordinamento del diritto vivente la nozione di bene comune.
Non si deve intendere bene comune, come farebbe pensare la parola, appartenente
a tutti: proprio perché non indica l'appartenenza ma la funzione e quindi è bene
comune non il bene che appartiene a tutti ma il bene che è destinato all'interesse
della collettività. È bene comune il bene a fruizione collettiva a prescindere dal
fatto che il bene appartenga ad un soggetto privato, ad un soggetto pubblico o alla
collettività (domini collettivi).
Il bene comune ovviamente a qualcuno appartiene, ma quel che rileva ai fini della
individuazione è la funzione di bene, la sua destinazione e quindi essere bene a
fruizione collettiva.
Questa nozione di bene comune, dunque, esiste nel nostro ordinamento, è entrata
in via giurisprudenziale, in base alle sentenze della giurisprudenza, che essendo
Sezioni Unite è considerato diritto vivente (se fosse una sola sezione semplice
della cassazione non si potrebbe parlare di orientamento giurisprudenziale
consolidato) ed è entrata la nozione individuata non dal criterio di appartenenza
ma dal criterio di funzione. Quindi la Cassazione ha individuato il bene comune
pensando alla domanda “A CHI SERVE? A CHE COSA SERVE?” e non
pensando alla domanda “di chi è il bene comune?” ben potendo essere di un
soggetto privato, di un soggetto pubblico o di un dominio collettivo.
Naturalmente una questione che oggi non è stata risolta è la questione della
TUTELA. Il problema della tutela si può spiegare in questo modo: se un bene
comune subisce un danno a chi spetta la tutela? Se un bene comune viene
danneggiato, una strada destinata all'uso pubblico viene interrotta, se un fiume
viene inquinato, se un terreno destinato all'uso della collettività viene inquinato,
chi è che ha il diritto di tutelare questi beni? In realtà la norma è quella del Codice
civile e che rimette la tutela alla PUBBLICA AUTORITÀ proprio perché il
codice distingue in ragione dell'appartenenza e non in ragione della funzione.
Noi abbiamo l'uso del bene ma NON abbiamo il DIRITTO DI TUTELA del
bene. Questo è ancora un problema aperto, non essendo stata realizzata la riforma
che Rodotà aveva elaborato.
GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 24/11/2020

POSSESSO.

Nella circolazione dei beni mobili e nell’acquisto della proprietà il possesso


costituisce un elemento importante.
CODICE CIVILE

LIBRO III: DELLA PROPRIETA’

TITOLO VIII: DEL POSSESSO

1140. POSSESSO.

Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente


all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Si può possedere direttamente o per
mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa.

Quando si parla di possesso lo si fa in relazione alla PROPRIETÀ ma anche in


relazione agli altri DIRITTI REALI (alla servitù, usufrutto ecc.). Il possesso è una
sorta di RIFLESSO del diritto di proprietà che si ha attraverso un'attività che
corrisponde all’esercizio della proprietà, quindi, il possessore si comporta rispetto
alla cosa come proprietario, può essere proprietario e può non esser proprietario.

Il proprietario quando si trova nel possesso della cosa è proprietario e al tempo stesso
possessore ma può capitare che possesso e proprietà siano DISGIUNTI: io mi
comporto da proprietario ma non lo sono.

Nel nostro ordinamento si concepisce un solo tipo di possesso. Nel diritto romano
privato ci sono due tipi di possesso: un possesso analogo al nostro (POSSESSIO AD
USUCAPIONEM), ma poi c’è anche una forma di possesso (POSSESSIO AGER
PUBLICUS), quest’ultima è una forma di possesso che non si trasforma in proprietà
ma convive con l’esistenza di un proprietario (che in quel caso è il populus romanus):
possessore e proprietario coesistono cioè il possessore è ben consapevole
dell’esistenza di un proprietario diverso da lui.

Con la proprietà ci si riferisce a un titolo giuridico (TITOLO DI PROPRIETÀ), con


il possesso ad un POTERE sulla cosa che prescinde dal titolo. Può capitare che
possessore e proprietario non coincidano quindi chi è nel possesso non sia
proprietario del bene e chi è proprietario del bene non sia nel possesso del bene.

Se un soggetto possiede un determinato bene senza essere proprietario, l’esito di


questa situazione dove possesso e proprietà siano disgiunti è quello di ricongiungersi,
e ciò può avvenire in due distinti modi:

· L’USUCAPIONE = modo di acquisto della proprietà attraverso il


possesso (quando essa è disgiunta dal possesso);

· CEDE IL PASSO ALLA PROPRIETÀ, laddove il possessore non sia


proprietario del bene e proprietario prima che si verifichi l’usucapione
rivendichi la proprietà sul bene, se riesca a dimostrare nel giudizio petitorio di
essere proprietario.
Il possesso, disgiunto dalla proprietà, non è destinato a rimanere disgiunto in eterno:
o si trasforma in proprietà o arretra di fronte al proprietario rivendicante.

Gli ordinamenti giuridici presenti, ma anche passati, ritenevano di dover tutelare la


situazione del possesso, prescindendo in una prima fase della tutela dall’accertamento
se il possessore fosse o meno anche proprietario. Vi sono due forme di tutela:

· La TUTELA DEL POSSESSORE: è una tutela che prescinde


dall’accertamento del diritto di proprietà, e viceversa si fonda come
presupposto dell'esistenza di una situazione di possesso;

· La TUTELA DEL PROPRIETARIO: si fonda sull’esistenza di un


titolo legittimo di proprietà.

ES. Se un soggetto venisse privato potrebbe attivare sue tutele sul bene, se fosse il
proprietario potrebbe rivendicarlo e devo dimostrare la proprietà però potrebbe anche
scegliere di difendersi ed esperire l'azione a tutela del possessore che è più facile sul
piano della prova nel processo perché il possessore non deve giustificare il titolo del
suo possesso ma deve limitarsi ad affermare la sua volontà di rientrare nel possesso
del bene perché la possedeva (non si va a chiedere a che titolo la si possedeva, è una
tutela immediata, più facile da ottenere).

L'ordinamento appresta una tutela a una situazione che si suole dire di fatto ma si
tratta di una SITUAZIONE DI FATTO che ha una RILEVANZA GIURIDICA
(non è una situazione di mero fatto): il possesso è una situazione di fatto perché la
tutela del possessore prescinde dall'accertamento del suo diritto di possedere e va a
tutelare il fatto in sé.

CIRCOLAZIONE DEI BENI MOBILI.

Se ogni volta che si acquistasse un bene mobile il compratore dovesse accertare la


legittima proprietà di chi te lo vende, si creerebbe un ostacolo alla velocità e alla
sicurezza dei traffici commerciali.

Se un soggetto acquistasse un bene mobile in buonafede, ne avrà il possesso e se


avesse un titolo idoneo all'acquisto (il titolo idoneo per eccellenza è il contratto di
compravendita), il possessore ne diverrebbe proprietario anche nell’ ipotesi in cui chi
gliel'avesse venduto non fosse il proprietario. Inoltre, la buona fede si presume e
anche questa è una facilitazione della tutela del possesso: l'importante è che ci sia una
buona fede iniziale poiché la malafede che sopravviene non rileva.

I requisiti necessari per poter divenire proprietari anche se il venditore fosse un ladro
sono dunque il TITOLO IDONEO ALL’ACQUISTO, come una vendita o una
permuta, BUONAFEDE e POSSESSO: ciò è una garanzia per la sicurezza dei
traffici, altrimenti l'accertamento della proprietà in capo al venditore nel momento in
cui un soggetto acquista un bene significherebbe appesantire la velocità dei traffici e
renderli insicuri, specialmente per i beni mobili che non sono assoggettati ad un
regime di pubblicità.

Il possesso, nel nostro ordinamento, è una situazione temporanea e la tutela del


possessore è temporanea.

Nel II comma dell’art.1140 si trova un altro concetto che è la DETENZIONE della


cosa: è anch’essa un potere sulla cosa ma è distinto dal potere sulla cosa del possesso.
Gli elementi costitutivi del possesso sono:

· L’elemento oggettivo: il POTERE SULLA COSA;

· L’elemento soggettivo qualificato tradizionalmente: ANIMUS


POSSIDENDI: l'elemento soggettivo è quel comportarsi da proprietario che
invece manca nella detenzione e degrada il potere della cosa da possesso a
detenzione.

ES. Un immobile che non sia in proprietà ma in locazione: il conduttore


dell’immobile non è possessore perché ha certamente il potere sulla cosa e
quest’ultimo non si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto
della proprietà perché il conduttore sa dell’esistenza del proprietario. Il suo potere
sulla cosa non è possesso perché manca l'elemento soggettivo e quindi è una forma di
detenzione che ha una sua tutela, ma che non si trasforma mai in proprietà, perché per
trasformarsi occorre che al potere sulla cosa si accompagni l’animus possidendi:
l’esercitare il potere sulla cosa comportandosi da proprietario.

Si può parlare di BUONAFEDE con due significati:

CODICE CIVILE

LIBRO III: DELLA PROPRIETA’

TITOLO VIII: DEL POSSESSO

1147. POSSESSO DI BUONA FEDE.

È possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto. La buona
fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave.

La buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell'acquisto.

ES. Un soggetto vede da lontano che una persona si impadronisce di una bicicletta
lasciata in un parcheggio e poi incontrandola questi gli propone la vendita di questo
bene. Le circostanze in cui quella bicicletta è stata presa dal parcheggio potrebbero
indurre una persona di buon senso a pensare che si fosse trattato di un furto: la buona
fede non può valere quando l’ignoranza dipenda da colpa grave.
Se si afferma che la buona fede sia presunta e basta che vi sia stata al tempo
dell'acquisto significa ESONERARE: è un altro elemento a vantaggio della tutela
del possesso perché non si deve provare la buonafede perché essa si presume. È chi
ha l’interesse a provare la malafede di un soggetto la deve dunque dimostrare ma il
soggetto non deve provare la sua buonafede.

Poi vi è un altro concetto di buonafede che si riferisce alla materia delle obbligazioni,
al libro IV c.c.: BUONA FEDE OGGETTIVA, di cui però non esiste una
definizione codicistica.

CODICE CIVILE

LIBRO III: DELLA PROPRIETA’

TITOLO VIII: DEL POSSESSO

1153. EFFETTI DELL’ACQUISTO DEL POSSESSO.

Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne
acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della
consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà.

La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal
titolo e vi è la buona fede dell’acquirente.

“POSSESSO DI BUONA FEDE VALE TITOLO”, è un'espressione che sintetizza


questa regola ma ci deve essere un titolo idoneo laddove per idoneo si intende
astrattamente idoneo.

ES. Se un soggetto comprasse un orologio da un non proprietario il titolo di acquisto


sarebbe un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà, astrattamente perché
se chi vendesse non fosse proprietario anche il titolo sarebbe non valido a trasferire la
proprietà, ma il possesso in buona fede vale titolo e dunque è come se facesse
diventare il titolo astrattamente idoneo, idoneo in concreto.

La compravendita e la permuta sono titoli idonei a trasferire la proprietà mentre la


locazione e il mandato non lo sono. Gli effetti del possesso disciplinano la
circolazione solo dei beni mobili mentre i beni immobili sono assoggettati da una
differente disciplina.

PRESUNZIONI.

La buona fede nel processo non si deve dimostrare perché si presume perciò è l'altra
parte a dover dimostrare il contrario.

CODICE CIVILE

LIBRO III: DELLA PROPRIETA’


TITOLO VIII: DEL POSSESSO

1142. PRESUNZIONE DEL POSSESSO INTERMEDIO.

Il possessore attuale che ha posseduto in tempo più remoto si presume abbia


posseduto anche nel tempo intermedio.

Ciò è molto rilevante ai fini dell'istituto dell'usucapione poiché in esso si deve


dimostrare il possesso per 20 anni: dunque non si necessita la dimostrazione del
possesso intermedio perché quest'ultimo si presume e quindi l’altra parte nuovamente
ha l’onere di provare che, in questo caso, nel periodo intermedio non si possedeva.

Se in un processo il proprietario vuole rivendicare un bene immobile che è nel


possesso di un'altra persona, il possessore deve dimostrare il possesso inziale e di
possederlo attualmente, il possesso intermedio si presume; chi ha interesse, ovvero
l’altra parte, deve dimostrare che il possesso non è stato continuativo, se non riuscisse
a dimostrarlo varrebbe la presunzione.

Il gioco della presunzione è un gioco che rende molto più facile la posizione nel
processo della parte a cui favore la legge stabilisce la presunzione.

CODICE CIVILE

LIBRO III: DELLA PROPRIETA’

TITOLO VIII: DEL POSSESSO

1143. PRESUNZIONE DI POSSESSO ANTERIORE.

Il possesso attuale non fa presumere il possesso anteriore, salvo che il possessore


abbia un titolo a fondamento del suo possesso; in questo caso si presume che egli
abbia posseduto dalla data del titolo.

Anche in questo caso dovrà essere l’altra parte a dimostrare che dalla data del titolo
alla data attuale non c’è stato possesso e dunque non essendoci stato possesso non si
potrebbe realizzare l’usucapione.

I DIRITTI E OBBLIGHI DEL POSSESSORE NEL RESTITUIRE LA COSA.

Innanzitutto, il legislatore si preoccupa di tutelare il possessore laddove il possessore


sia costretto a restituire la cosa al legittimo proprietario.

Tra gli obblighi e i diritti del possessore nel restituire la cosa ci possono essere:

CODICE CIVILE

LIBRO III: DELLA PROPRIETA’

TITOLO VIII: DEL POSSESSO


1148. ACQUISTO DEI FRUTTI.

Il possessore di buona fede fa suoi i frutti naturali separati fino al giorno della
domanda giudiziale e i frutti civili maturati fino allo stesso giorno. Egli, fino alla
restituzione della cosa, risponde verso il rivendicante dei frutti percepiti dopo la
domanda giudiziale e di quelli che avrebbe potuto percepire dopo tale data, usando la
diligenza di un buon padre di famiglia.

ES. Si pensi ad un bene agricolo: esso dà i frutti che possono essere non soltanto
naturali, poi il rimborso delle spese per la produzione, il tema delle riparazioni
addizioni e miglioramenti. Se il possessore nel tempo in cui ha esercitato il potere
sulla cosa ha fatto dei lavori di riparazione o manutenzione, ha diritto a vedersi
rimborsato le spese delle riparazioni straordinarie anche sia possessore di malafede
poiché se ciò non avvenisse ci sarebbe un arricchimento ingiustificato del
proprietario, perché le riparazioni straordinarie andrebbero a beneficio del
proprietario laddove la cosa venga restituita a quest'ultimo.

L’ISTITUTO DELL’USUCAPIONE.

Un altro effetto straordinariamente importante del possesso è la


TRASFORMAZIONE del possesso in proprietà attraverso l'usucapione.

Il possessore del bene immobile può far accertare dopo 20 anni la avvenuta
usucapione in modo da togliere qualsiasi dubbio, perché potrebbe sempre capitare
che il proprietario si facesse vivo, quindi, per dare stabilità a questa situazione egli
potrebbe chiedere al GIUDICE di accertare l’avvenuta usucapione.

CODICE CIVILE

LIBRO III: DELLA PROPRIETA’

TITOLO VIII: DEL POSSESSO

1158. USUCAPIONE DEI BENI IMMOBILI E DEI DIRITTI REALI


IMMOBILIARI.

La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi
si acquistano in virtù del possesso continuato per vent’anni.

Non si richiede né l'elemento soggettivo della buona fede e nemmeno l'esistenza di


un titolo idoneo: è sufficiente il possesso per 20 anni continuato, ricordando che vi è
la presunzione del possesso intermedio.

1159.USUCAPIONE DECENNALE.
Colui che acquista in buona fede da chi non è proprietario un immobile, in forza di
un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia stato debitamente trascritto,
ne compie l’usucapione in suo favore col decorso di dieci anni dalla data della
trascrizione.

La stessa disposizione si applica nel caso di acquisto degli altri diritti reali di
godimento sopra un immobile.

Quando si parla di beni immobili si ha l'istituto della trascrizione.

Vi è la forma di usucapione ventennale che richiede solo il possesso ma vi è anche


una forma di usucapione cosiddetta abbreviata decennale che invece per potersi
maturare nell'arco temporale di dieci anni richiede altri due requisiti: non solo il
possesso ma anche l'elemento soggettivo del possesso ovvero la buonafede e
l'esistenza di un titolo idoneo a trasferire la proprietà (ES: La compravendita) ma
quest’ultimo deve essere inoltre anche trascritto.

1161. USUCAPIONE DEI BENI MOBILI.

In mancanza di titolo idoneo, la proprietà dei beni mobili e gli altri diritti reali di
godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per dieci
anni, qualora il possesso sia stato acquistato in buona fede.

Se il possessore è di mala fede, l’usucapione si compie con il decorso di venti anni.

Se mancasse dunque il titolo idoneo all'acquisto di un bene mobile basterebbe il


possesso per dieci anni per divenirne proprietari, purché ci sia la buonafede,
sufficiente all’inizio del possesso; invece se ci dovesse essere malafede
occorrerebbero venti anni.

GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO

I TRE PILASTRI

I tre pilastri del diritto privato sono:

· PERSONA e attorno ad essa il tema della soggettività giuridica;

· PROPRIETÀ e BENI;

· AUTONOMIA NEGOZIALE all’interno della quale spicca la figura


del contratto.

Dovendo vedere il Codice civile vi è un altro pilastro:


• L'IMPRESA in cui spicca la figura principale dell’attività di organizzazione
d'impresa: la società.

Questo tema ci rimanda anche al lavoro il quale ha un grandissimo rilievo


costituzionale.

AUTONOMIA NEGOZIALE

NEGOZIO deriva da nec otium= non ozio.

Nel negozio giuridico vi è un rapporto tra GENUS e SPECIES, nel senso che
quando si tratta di negozio si fa riferimento a tutta una serie di atti di autonomia in cui
si manifesta la volontà dell'uomo, che contratti non sono.

ES. Il testamento, l'atto di ultima volontà, che è individuale mentre il contratto è un


incontro tra volontà il quale però è un negozio.

“IL NEGOZIO GIURIDICO È UN ATTO DI AUTONOMIA PRIVATA CUI IL


DIRITTO RICOLLEGA LA NASCITA, CODIFICAZIONE O ESTINZIONE
DI RAPPORTI GIURIDICI TRA PRIVATO E PRIVATO”.

È la definizione di negozio giuridico elaborata da EMILIO BETTI.

La figura del negozio giuridico non la troviamo dentro il nostro Codice, penetra
invece nel

CODICE TEDESCO perché risente dell’elaborazione pandettistica di tutto


l’Ottocento.

Questa definizione, elaborata per ricomprendervi tutti gli atti aventi rilevanza
giuridica frutto della

volontà umana, lascia fuori il contratto posto in essere da un SOGGETTO NON


PRIVATO.

Nella teorizzazione del negozio giuridico di quegli anni questo fenomeno non era
pensato e quando venne elaborata la figura di negozio giuridico, la classificazione
fondamentale era tra:

• NEGOZIO GIURIDICO UNILATERALE

• Due esempi:

1. TESTAMENTO;

2. FONDAZIONE: nasce come frutto della volontà di un negozio costitutivo di


fondazione che è un negozio individuale.

• NEGOZIO GIURIDICO BILATERALE O PLURILATERALE


La figura più importante è il CONTRATTO, ma se pensiamo alle associazioni
anch'esse sono costituite in base ad un atto di autonomia negoziale, tant’è che si
discute se l’atto costitutivo di un’associazione sia un contratto e certamente lo statuto
è espressione dell'autonomia organizzativa degli associati.

Se parliamo di autonomia contrattuale facciamo riferimento all’autonomia nel senso


di concludere un contratto mentre se parliamo di autonomia negoziale invece
facciamo riferimento ad un ambito più ampio: vi è lo stesso rapporto che c’è tra
negozio/contratto e autonomia negoziale/autonomia contrattuale.

COSA SI INTENDE PER AUTONOMIA NEGOZIALE?

Si intende il potere riconosciuto dall’ordinamento al soggetto di diritto privato o


pubblico di regolare con proprie manifestazioni di volontà interessi privatistici.

È una nozione che riflette la situazione attuale, non quella del codice. Nella
definizione di Betti l’attenzione era tutta sul privato.

Secondo la scienza giuridica ottocentesca e primo Novecento il CONTRATTO


rientra nella categoria dei negozi giuridici, in particolare è un NEGOZIO
GIURIDICO BILATERALE.

Oggi più che parlare di negozio giuridico si parla di autonomia negoziale,


un’autonomia che riprende anche i SOGGETTI PUBBLICI.

CODICE CIVILE

LIBRO IV: DELLE OBBLIGAZIONI

TITOLO II: DEI CONTRATTI IN GENERALE

CAPO I: DISPOSIZIONI PRELIMINARI

1321. NOZIONE.

Il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro
un rapporto giuridico o patrimoniale.

CODICE CIVILE

LIBRO IV: DELLE OBBLIGAZIONI

TITOLO I: DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE

CAPO I: DISPOSIZIONI PRELIMINARI

1173. FONTI DELLE OBBLIGAZIONI.


Le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto
idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.

Si può rispondere in due modi alla domanda su cosa sia il contratto:

1. Il contratto è fonte di obbligazione ed è classificato dall'articolo 1173 come


fonte di obbligazione;

2. La nozione che si ricava dall’articolo 1321.

L'articolo 1322 ci dà degli elementi importanti per trattare del contratto.

CODICE CIVILE

LIBRO IV: DELLE OBBLIGAZIONI

TITOLO II: DEI CONTRATTI IN GENERALE

CAPO I: DISPOSIZIONI PRELIMINARI

1322. AUTONOMIA CONTRATTUALE.

I COMMA.

Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti
dalla legge.

Quindi il primo livello dell'autonomia contrattuale è quello che consente di


determinare LIBERAMENTE: è espressione della libertà.

II COMMA.

Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una
disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela
secondo l'ordinamento giuridico.

Mentre nel I COMMA il potere è quello di determinare liberamente il contenuto dei


contratti nel II COMMA si dà il potere di individuare misure contrattuali diverse da
quelle previste espressamente dal legislatore ed è il grande fenomeno dei cosiddetti
dei contratti ATIPICI/INNOMINATI, senza una precisa ed espressa disciplina.

1323. NORME REGOLATRICI DEI CONTRATTI.

Tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che hanno una disciplina
particolare, sono sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo.
Le norme contenute nel TITOLO DEI CONTRATTI IN GENERALE si applicano
a tutti i contratti, non solo ai contratti espressamente disciplinati dal legislatore ma
anche ai contratti che emergano dalla fantasia degli operatori economici dalla prassi
economica e sociale.

L’articolo 1323 contiene un limite all’autonomia contrattuale prevista dal II


COMMA dell’articolo 1322 perché le parti devono rispettare le norme stabilite dal
codice per tutti i contratti in generale.

Il contratto è espressione della libertà e autonomia delle parti ma una volta che esso è
concluso ha FORZA DI LEGGE tra le parti, questo perché vincola in modo così
forte da divenire legge.

1372. EFFICACIA DEL CONTRATTO

Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo
consenso o per cause ammesse dalla legge.

COM'ERA CONCEPITO IL CONTRATTO AI TEMPI DEL CODICE. 1326.


CONCLUSIONE DEL CONTRATTO.

Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza


dell’accettazione dell'altra parte.

Raffigura il contratto come un incontro tra PROPOSTA e ACCETTAZIONE.

V COMMA.

Un'accettazione non conforme alla proposta equivale a una nuova proposta.

Vi sono proposte e controproposte finché non si arriva ad un testo che metta


d’accordo entrambe le parti.

Questa è la visione del codice del’42 che è coerente con la stessa nozione di
autonomia contrattuale: il contratto è ESPLICATIVO DELL'AUTONOMIA. È una
visione che fa pensare a due parti che si trovano sullo stesso piano e che hanno la
medesima forza.

Il contratto è il risultato di una libera negoziazione tra le parti, secondo il codice del
‘42.

Nella visione del Codice civile vi sono alcuni articoli che fanno pensare che ci siano
casi nei quali questa visione codicistica non funzioni: sono due articoli
SINTOMATICI.

1341. CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO.


Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei
confronti dell'altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha
conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza.

Si fa riferimento alle condizioni generali predisposte solo da una parte.

Le clausole generali fanno pensare ad una serie di contratti e che ci sia il sintomo di
uno

SQUILIBRIO CONTRATTUALE. Nel II COMMA questo sintomo emerge


chiaramente.

II COMMA.

In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le
condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte , limitazioni di
responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero
sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre
eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o
rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza
dell’autorità giudiziaria.

Si afferma espressamente che ci siano delle condizioni del contratto, le quali per
essere valide hanno bisogno di una SPECIFICA APPROVAZIONE SCRITTA,
sono clausole messe da una parte per limitare la libertà dell'altra. Ciò fa percepire che
già nella visione del Codice vi siano delle norme che abbiano previsto una realtà
contrattuale diversa da quella nella quale il contratto è frutto della libertà
negoziazione delle parti: è evidente che vi siano i SINTOMI di una realtà
contrattuale tra parti non eguali, che non hanno la stessa forza.

Questo comma fa pensare ad una realtà contrattuale nella quale vi sia un


CONTRAENTE FORTE e un CONTRAENTE DEBOLE: NON sia frutto di una
negoziazione tra PARI.

DIRITTO PRIVATO 30/11/2020

IL CONTRATTO.

Il contratto nella visione del Codice è un contratto essenzialmente tra PARI, cioè tra
parti aventi la MEDESIMA FORZA e dunque fra parti in grado di portare avanti
una trattativa all’esito della quale sta la conclusione stessa del contratto.

Questa visione del Codice è tratta da due norme: una che contiene il principio
fondamentale, che è quello della AUTONOMIA CONTRATTUALE, nella quale
troviamo delle espressioni che fanno pensare all’autonomia delle parti, quali
liberamente.

CODICE CIVILE
LIBRO IV: DELLE OBBLIGAZIONI

TITOLO II: DEI CONTRATTI IN GENERALE

1322. AUTONOMIA CONTRATTUALE.

Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti
dalla legge e dalle norme corporative.

Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una
disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela
secondo l’ordinamento giuridico.

Si afferma dunque che le parti sono libere di determinare il contenuto del contratto,
anche per i contratti tipici; il secondo comma afferma invece che le parti hanno la
libertà di dare un assetto contrattuale diverso dalle fonti contrattuali che il legislatore
ha espressamente previsto e disciplinato.

1326. CONCLUSIONE DEL CONTRATTO.

Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza


dell’accettazione dell’altra parte.

L’accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello


ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi.

Nella SECONDA NORMA invece si descrive un procedimento di trattativa


( proposta, controproposta ) fino ad arrivare ad una proposta che viene accettata.

Vi è un limite di proposte e controproposte ? NO.

1341. CONDIZIONI GENERALI DEL CONTRATTO.


Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei
confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha
conosciute o avrebbe dovuto onoscerle usando l’ordinaria diligenza.

In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le
condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di
responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero
sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di
opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita
proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla
competenza dell’autorità giudiziaria.

Nel secondo comma si prende in considerazione alcune clausole particolari dei


contratti ( CLAUSOLE VESSATORIE ): esse tendono a vessare una parte, a
rendere la posizione di una parte più SVANTAGGIATA ( ES. tendono a limitare la
responsabilità di una delle parti ). Questa norma è chiamata SINTOMATICA,
perché mette in evidenza l’esistenza di una prassi contrattuale diversa da quella
immaginata idealmente dal Codice. Il rimedio che il Codice prevede è un rimedio non
efficace, non adeguatamente tutelante della parte più debole. Il Codice del 1942 ha
un’idea di contratto come ESPRESSIONE DELLA LIBERTÀ NEGOZIALE delle
due parti e come espressione di una prassi contrattuale fra parti aventi la medesima
forza.

Si è visto come in alcuni temi di diritto privato la Costituzione incida in maniera


profonda; come incide invece in materia contrattuale ? Essa incide
INDIRETTAMENTE.

Rimanendo all’interno del Codice da un lato si è visto come la visione codicistica del
contratto sia espressione di una prassi contrattuale fra parti di pari forza. Questo
significa che il Codice si disinteressa del contenuto del contratto ? Se uno intende il
contratto come libera espressione delle due parti allora la risposta è affermativa, si
potrebbe dire che il legislatore si disinteressa del contenuto del contratto ( che
ovviamente non deve essere illecito ), si disinteressa di un eventuale squilibrio.
Infatti, nella visione codicistica, se una parte cercasse di introdurre dei contenuti
vessatori nel contratto, l’altra parte potrebbe opporsi, data la medesima forza
contrattuale dei due soggetti.

Per l’interpretazione del testo contrattuale il Codice detta CRITERI


INTERPRETATIVI appositi, che si trovano agli articolo 1362-1371 del Codice
Civile: queste regole interpretative, le quali ovviamente devono essere rispettate,
sono utilizzate dalle parti una volta CONCLUSO il contratto per interpretarlo ai fini
della sua esecuzione, al fine di porre in essere comportamenti coerenti con quanto
stabilito nel contratto; ma una volta sorta una patologia contrattuale, cioè una volta
che è nata una controversia sarà il GIUDICE, che nello stabilire i torti e le ragioni,
sarà tenuto ad utilizzare suddetti criteri per interpretare il testo contrattuale.

CODICE CIVILE

LIBRO IV: DELLE OBBLIGAZIONI

TITOLO II: DEI CONTRATTI IN GENERALE

1362. INTENZIONE DEI CONTRAENTI.

Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione


delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.

Per determinare la comune intenzione delle parti di deve valutare il loro


comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto.

Questo criterio è quindi molto diverso da quello dell’interpretazione della legge, dove
in primo piano viene posto il senso letterale delle parole.

La lettura di questo articolo è un’altra prova della visione che il legislatore del ’42 ha
del contratto come risultato di una trattativa tra parti aventi pari forza. Nel caso
invece di squilibrio tra le parti, se una fosse più forte e prevaricasse l’altra, non si
potrebbe parlare di comune intenzione delle parti.

1363. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA DELLE CLAUSOLE.

Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a
ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto.

1364. ESPRESSIONI GENERALI.

Per quanto generali siano le espressioni usate nel contratto, questo non comprende
che gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di contrattare.

1365. INDICAZIONI ESEMPLIFICATIVE.

Quando in un contratto si è espresso un caso al fine di spiegare un patto, non si


presumono esclusi i casi non espressi, ai quali, secondo ragione, può estendersi lo
stesso patto.

1366.INTERPRETAZIONE DI BUONA FEDE.

Il contratto deve essere interpretato secondo buona fede.


La buonafede contrattuale è in senso OGGETTIVO e non soggettivo, cioè una
buona fede nel senso di correttezza dei comportamenti.

1367. CONSERVAZIONE DEL CONTRATTO.

Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui
possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero
alcuno.

1368. PRATICHE GENERALI INTERPRETATIVE.

Le clausole ambigue s'interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo
in cui il contratto è stato concluso.

Nei contratti in cui una delle parti è un imprenditore, le clausole ambigue


s'interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui è la sede
dell'impresa.

1369. ESPRESSIONI CON PIÙ SENSI.

Le espressioni che possono avere più sensi devono, nel dubbio, essere intese nel
senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto.

ATTENZIONE: non dice nel senso più favore al debitore.

1370. INTERPRETAZIONE CONTRO L’AUTORE DELLA CLAUSOLA.

Le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto ( 1341 ) o in moduli o


formulai ( 1342 ) predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a
favore dell’altro.

1371. REGOLE FINALI.

Qualora, nonostante l’applicazione delle norme contenute in questo capo il contratto


rimanga oscuro, esso deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato
( 1184, 1286 ), se è a titolo gratuito, e nel senso che realizzi l’equo contemperamento
degli interessi delle parti ( 1374 ), se è a titolo oneroso.

In questa regola finale emerge il tema dell’EQUO CONTEMPERAMENTO degli


interessi delle parti, che sta ad indicare l’equilibrio contrattuale ed emerge
l’ESIGENZA DI GUARDARE il contenuto del contratto, l’assetto di interesse che
le parti si sono date con il contratto.

LE NORME ATTRAVERSO LE QUALI LA COSTITUZIONE INCIDE SUL


CONTRATTO

La prima, nel titolo terzo della parte prima della Costituzione, riguarda i rapporti
economici. Il titolo terzo, dall’articolo 35 fino all’articolo 40 riguarda il RAPPORTO
DI LAVORO e sono norme che ci dicono che il rapporto tra il datore di lavoro e il
lavoratore è squilibrato a favore del primo, tant’è che la Costituzione si pone a favore
del secondo, anche se l’attenzione a tutelare la parte debole oggi si è allentata.

LA COSTITUZIONE

PARTE I: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI

TITOLO III: RAPPORTI ECONOMICI

ARTICOLO 41.

L’iniziativa economica privata è libera ( e quindi tutelata dalla Costituzione ).

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica


pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

L’articolo 41 tratta delle IMPRESE e inoltre ha avuto un IMPATTO INDIRETTO


sulla materia contrattuale nella misura in cui l’iniziativa economia privata non possa
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza,
libertà e dignità umana. In esso si fa riferimento a CONTRATTI
SOGGETTIVAMENTE DETERMINATI, nel senso che dato che quest’articolo
della Costituzione riguarda l’imprenditore, si fa riferimento ai contratti dove almeno
una delle parti sia un imprenditore.

Il terzo comma fa riferimento sia alle parti private sia a quelle pubbliche, ma sempre
nell’ambito dell’attività d’impresa, che può essere esercitata anche da un soggetto
pubblico. Questa norma ha avuto un impatto indiretto sulla materia contrattuale
attraverso l’INTERPRETAZIONE, soprattutto da parte dei giudici.

LA COSTITUZIONE

PRINCIPI FONDAMENTALI

ARTICOLO 2.
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo
sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità, e richiede
l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Anche l’articolo 2 della Costituzione ha avuto un impatto indiretto; non si può dire
che quest’articolo si riferisca alla materia contrattuale, ma afferma un PRINCIPIO
GENERALE.

Queste sono le due principali norme costituzionali che sono state e saranno utilizzate
dalla DOTTRINA e dalla GIURISPRUDENZA in materia contrattuale per andare a
guardare il contenuto del contratto. Per fare ciò bisogna però rimarcare il presupposto
dello squilibrio di forza tra le parti, accettare che il contenuto del contratto non
esprima la comune intenzione delle parti.

È bene ricordare che le norme del Codice in materia di contratti, che si applicano a
tutti i contratti, non sono abrogate ed anzi sono tuttora in vigore.

La norma, attraverso l’interpretazione, è “LIEVITATA”:

ES. Il contenuto del contratto stipulato con il gestore telefonico ( Wind, Tim... ), non
è stato a noi sottoposto con l’intento di intavolare una trattativa, dato che si tratta di
contratti standard imposti da una parte all’altra; il massimo della nostra libertà è
rappresentato dal decidere con quale compagnia stipulare il contratto. La stessa cosa
succede nei contratti di assicurazione per macchine, motorini...

GIURISPRUDENZA I ANNO: DIRITTO PRIVATO 1/12/2020

IL CONTRATTO

I testi contrattuali sono PREDISPOSTI da una parte ed IMPOSTI dall’altra parte: le


due caratteristiche della prassi contrattuale odierna. Oggi, quindi, la prassi
contrattuale è caratterizzata per la gran parte da contratti che hanno un
CONTENUTO STANDARDIZZATO precostituito da una parte, imposto all’altra.

CODICE CIVILE

LIBRO IV: DELLE OBBLIGAZIONI

TITOLO II: DEI CONTRATTI IN GENERALE

1341. CONDIZIONI GENERALI DEL CONTRATTO.

Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei
confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha
conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza.

In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le
condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di
responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero
sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre
eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o
rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza
dell’autorità giudiziaria.

Il legislatore, perciò, oggi ha preso sempre più consapevolezza di una realtà: la prassi
contrattuale, specie in alcuni settori, presenta una DISPARITÀ di forze tra le parti
(contraente più forte e contraente più debole). Preso dunque atto di questa realtà il
legislatore oggi, più di allora, si preoccupa di apprestare al contraente più debole una
tutela efficace poiché la tutela apprestata a tale contraente dal codice del 1942 era una
tutela altrettanto debole.

Oggi di fronte a un fenomeno contrattuale caratterizzato da standardizzazione dei


contenuti contrattuali, contrattazione di massa, vendita online la quale andrebbe
disciplinata in modo da garantire la sicurezza della vendita, squilibrio tra le parti
contrattuali, ci si chiede che risposta darebbe il legislatore. Alla domanda, quindi, su
quale rimedi il legislatore ha apprestato si risponde che ci sono VECCHI RIMEDI
che sono stati rivitalizzati dall’interpretazione giurisprudenziale e NUOVI RIMEDI
introdotti dal legislatore a tutela di determinate categorie di contratti.

CODICE CIVILE

LIBRO IV: DELLE OBBLIGAZIONI

TITOLO II: DEI CONTRATTI IN GENERALE

1374. INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO.

Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a
tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli
usi e l’equità.

Il testo contrattuale, alla luce dell’art.1374, è il risultato dell’AUTONOMIA delle


parti (contenuto che le parti concordano) e degli INTERVENTI dall’ESTERNO
(integrazione del contratto secondo la legge).

ES. Laddove i contraenti prevedano una durata del contratto diversa da quella
prevista dal legislatore, la legge entra nel testo contrattuale e sostituisce la clausola
che le parti hanno previsto in contrasto con la legge con la durata del contratto
prevista dal legislatore (non inferiore a quattro anni).
I punti sui quali si limitava l'autonomia erano la DURATA e il CANONE. Il vecchio
rimedio utilizzato, rivitalizzato dai giudici che è diventata una chiave per tutelare il
contraente debole dalle sopraffazioni del contraente forte è la BUONA FEDE.
Quest’ultima entra nel contratto in tre momenti:

· Nella parte che sta prima del contratto: TRATTATIVE;

· In ragione dell’art. 1375 c.c. e art. 1175 c.c.: ESECUZIONE;

· in ragione all’art. 1366 c.c.: INTERPRETAZIONE.

CODICE CIVILE

LIBRO IV: DELLE OBBLIGAZIONI

TITOLO II: DEI CONTRATTI IN GENERALE

1375. ESECUZIONE DI BUONA FEDE.

Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede.

1366. INTERPRETAZIONE DI BUONA FEDE.

Il contratto deve essere interpretato secondo buona fede.

CODICE CIVILE

LIBRO IV: DELLE OBBLIGAZIONI

TITOLO I: DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE

1175. COMPORTAMENTO SECONDO CORRETTEZZA.

Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza.

Se si andasse a ricostruire la storia della giurisprudenza relativamente all'utilizzo


delle clausole di buona fede si noterebbe come fino ai primi anni ’90 la
giurisprudenza non utilizzasse la buona fede IN MODO EFFICACE cioè in modo
tale da offrire, attraverso il criterio della buona fede, una tutela al contraente più
debole in sede di esecuzione, ma anche in sede di interpretazione del contenuto del
contratto.

L’unione tra la FINALITÀ DELL’INTERPRETAZIONE (realizzare un equo


contemperamento) e l’art.1366 (criterio di buona fede dell’interpretazione del
contratto) fa sì che il giudice intervenga, utilizzando lo strumento della buona fede,
per entrare (“ficcare il naso”) nel contenuto del contratto.
PIÙ è alta la discrezionalità del giudice nell'intervenire sul contenuto del contratto
previsto dalle parti, sul testo contrattuale, MENO sarà garantita la certezza e la
prevedibilità.

Importante è dunque l’esigenza di tener conto come in una valutazione giuridica o in


una decisione giuridica occorra tenere conto del BILANCIAMENTO DEGLI
INTERESSI.

I nuovi strumenti per intervenire sono costituiti essenzialmente da un poderoso


intervento del legislatore fatto in due puntate:

· La prima nel 1996 (LEGGE A TUTELA DEI CONSUMATORI);

· La seconda nel 2005 (legge 06/09/2005 n.206: CODICE DEL


CONSUMO).

La tutela più forte che il legislatore possa offrire è quella di prevederela nullità della
clausola contenuta nel contratto, ma vessatoria per una delle parti.

La LEGGE SULLA SUBFORNITURA (legge 18/06/1998 n.192) disciplina i


contratti fra imprenditori dove sia il fornitore che l'altra parte sono, per l'appunto,
imprenditori. In questa legge vi sono due norme importanti:

· ART.6: nullità di clausola del contratto tra i due imprenditori;

· ART.9: abuso di dipendenza economica. Si considera DIPENDENZA


ECONOMICA quella situazione in cui un'impresa forte è in grado di imporre
ad un'impresa debole, che dipende dalle sue forniture, un contenuto del
contratto squilibrato. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche
della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul
mercato alternative soddisfacenti.

Oltre al giudice che utilizza questi strumenti c'è anche l'AUTORITÀ ANTITRUST
a cui l'imprenditore e anche il consumatore si può rivolgere per avere tutela (di
carattere amministrativo).

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