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Fichte è un grande estimatore di Kant e da lui prendeva le mosse per elaborare teorie e punti di vista
autonomi . Il grande distacco tra i due fu segnato dal modo in cui Fichte risolve l’annoso problema del
“noumeno” ossia la “cosa in sé”.
Molti filosofi seguaci di Kant, prima di Fichte avevano evidenziato come non potesse esistere e fosse
impensabile una “cosa in sé” esterna al soggetto da cui deriva la nostra conoscenza.
Kant aveva trasformato il noumeno in un “concetto limite” oltre il quale l’io non può spingersi (filosofia del
limite e dunque filosofia del finito). Fichte andò oltre, criticando “l’io-Kantiano”: questo infatti aveva la
semplice funzione di “ordinatore” di una realtà preesistente. Era un “io” finito, in quanto limitato nel suo
agire dal noumeno, realtà a lui estranea. Per Fichte l’io diventa creatore infinito, ovvero il soggetto che crea
ogni cosa e che non è condizionato da nessun tipo di vincolo. Questo riconoscimento del ruolo assoluto del
soggetto detto anche “spirito” sancisce la nascita di una nuova corrente filosofica: l’idealismo.
VITA
Johann Fichte nacque a Rammenau, in Sassonia, nel 1762, da una famiglia poverissima. Il suo futuro
lavorativo pareva essere quello di guardiano di oche, la sua principale attività da ragazzo Ma Fichte amava
lo studio e, aiutato da un signore benestare del suo villaggio, prosegue la carriera scolastica presso la
facoltà di teologia di Jena (primo cenacolo romantico) e Lipsia. Il giovane filosofo subisce umiliazioni e
difficolta di ogni tipo in giovinezza : infatti per guadagnarsi da vivere fu costretto a lavorare come precettore
privato. Ma il temperamento forte di Fichte lo conduce a raggiungere mano a mano i gradini più alti della
sua carriera infatti ,dal 1794 al 1799, viene chiamato ad insegnare all’università di Jena. Accusato di ateismo
è costretto a dimettersi e si reca a Berlino dove entra in contatto con le personalità romantiche dell’epoca.
Durante l’occupazione napoleonica di Berlino, pronunciò proprio in quella città i “discorsi alla nazione
tedesca” nei quali affermava il primato del popolo tedesco e auspicava a una nazione tedesca unita,
indipendente e libera dall’egemonia francese e infine quando ivi viene fondata l’università è chiamato ad
insegnarvi fino a ricoprire la carica di rettore. Fichte morì nel 1814 contagiato dal colera.
Il terzo principio mostra come l’Io infinito pone nell’Io infinito, opposto al non-io finito e divisibile ,
un’io finito e divisibile (UOMO). Dunque con il terzo principio perveniamo alla situazione concreta
del mondo, in cui abbiamo una molteplicità di io finiti che hanno di fronte a sé una molteplicità di
oggetti a loro volta finiti.
I tre principi sopra esposti delineano i capisaldi dell’intera dottrina di Fichte, perché stabiliscono:
la realtà di un non-io, cioè dell’oggetto che si oppone all’io finito, ma è ricompero nell’io infinito,
dal quale è posto.
Dunque l’io si è negato creandosi la natura(il non io) per poi risuperarla mediante le gesta dell’uomo.
L’uomo è la manifestazione finita dell’Io infinito.
LA DIALETTICA
L’Io presenta una struttura dialettica articolata in tre momenti fondamentali: tesi- antitesi e sintesi e
incentrata sul concetto di tesi degli opposti. Infatti, il primo principio , l’autoposizione dell’io è la tesi,
l’opposizione del non-io l’antitesi e la determinazione reciproca tra Io e non-io è la sintesi.
LA CONOSCENZA
Per conoscenza Fichte intende l’azione del non-io sull’io. Egli si proclama realista e idealista allo stesso
tempo: realista perché ammette un’influenza del non-io sull’io; idealista perché ritiene che il non-io sia un
prodotto dell’Io. L’ideal-realismo è caratterizzato dalla conoscenza che è già un’azione del non-io sull’io
empirico( realismo) e dall’affermazione che il non-io a sua volta, è già una creazione dell’Io e
dell’immaginazione(idealismo). L’ideal-realismo si avvale dell’immaginazione produttiva: ricordiamo che
per Kant l’immaginazione produttiva era quell’attività a priori che forniva le condizioni formali
dell’esperienza, schematizzando il tempo secondo le varie categorie; per Fichte, invece, l’immaginazione
produttiva è quell’atto inconscio attraverso cui l’io finito ha coscienza. La conoscenza è fruibile attraverso 5
tappe:
LA DOTTRINA MORALE
Secondo Fichte il male dal punto di vista etico possiamo identificarlo con la passività, ossia l’inattività. Al
contrario il modello positivo di etica, indicato da Fichte è l’uomo libero, che però non sarà mai totalmente
libero. Per farsi progressivamente libero, l’uomo deve affrontare quegli ostacoli che il non-io pone sulle
proprie strade e invece di evitarli, si devono superare. Così come Kant, anche Fichte esprime il primato della
Ragion pratica: Kant aveva affermato che la morale ci dà sotto forma di postulati, ciò che la scienza ci nega.
Fichte, per primato della ragion pratica, intende che la conoscenza e l’oggetto della conoscenza esistono
solo in funzione dell’agire da ciò la denominazione di idealismo etico, ossia una teoria che ruota intorno
l’assunzione dell’Io che determina il non-io mediante la libertà e il dovere, il quale si realizza come sforzo
mai concluso. Lo sforzo (Streben) coincide con l’essenza stessa dell’uomo, inteso come compito infinito di
auto-liberazione dell’Io dai proprio ostacoli. Fichte riconosce nell’ideale etico l’infinito dell’Io. L’Io è infinito
perché si rende tale, svincolandosi dagli oggetti che egli stesso pone. E pone questi oggetti , perché senza di
essi non potrebbe realizzarsi come attività e libertà.
SHELLING
VITA
Shelling nacque a Leonberg, in Germania, nel 1775. Fu un ragazzo precoce, infatti gli fu concesso di entrare
a soli quindici anni nel seminario di Tubinga, dove fu compagno di stanza di Hegel e Holderlin, coi quali si
legò in amicizia, ma che poi seguiranno linee di pensiero diverse. Shelling soppianterà il ruolo primordiale di
Fichte nell’ambito dell’idealismo, ma poi Shelling sarà soppiantato a sua volta da Hegel, che a partire dal
1807, data di pubblicazione della fenomenologia dello spirito , diventò la figura di riferimento dell’idealismo
tedesco e non conoscerà tramonto.
Shelling si occupò inizialmente di Fichte. Infatti la sua prima opera “L’io come principio della filosofia” era
molto vicina alle idee di Fichte. Poi però Shelling comincia ritenere che Fichte sminuiva e riduceva
l’importanza della natura. La filosofia di Shelling cerca di recuperare il ruolo della natura , la quale non è un
semplice insieme di leggi meccaniche. Il suo autore di riferimento fu Giordano Bruno, perché era l’unico che
aveva una concezione della natura completamente diversa. Per Shelling la natura è “un tutto organico” ,
perché la natura si deve intendere come un qualcosa di unitario , le cui parti hanno senso e significato solo
se inserite nel tutto. La natura è un organismo fatto da tante parti, che però vanno viste come parti di
questo organismo unico. Ecco il motivo per cui tutto ciò che accade nella natura si riflette inevitabilmente
su tutto. Questo organismo è qualcosa di assolutamente vivo e vitale ed è spirituale. La natura per Shelling
non è un insieme di leggi meccaniche, ma è qualcosa di vivo, che ha anche una sua spiritualità. La natura,
però, è spirituale , in maniera inconsapevole. L’uomo è parte integrante della natura ed è anche esso
spirituale. Quindi c’è un essere, l’uomo, il quale è in grado di riflettere sulla spiritualità della natura, anche
se essa stessa non ne è consapevole. La natura segue un processo ascensionale, alla fine del quale si trova
l’uomo, che è in grado di riorganizzare l’intero processo. Shelling vuole recuperare il ruolo fondamentale
che la natura ha nel mondo romantico e per farlo deve trasformare la natura in un qualcosa di spirituale, di
vivente e di organico, dunque deve rompere con una tradizione meccanicistica e creare una filosofia della
natura che sia basata sull’organicismo. Inoltre la natura ha in se stessa il proprio fine e deve a se stessa il
suo essere. La natura è autonoma dal punto di vista della genesi e non ha un fine esterno, si auto giustifica
ed è auto legittimata. Dunque risponde solo alle sue leggi organiche, ai suoi processi vitali( magnetismo,
elettricità , chimismo). Dunque si ha una concezione organicista, immanentista, perché la natura non ha un
fine che la trascende e una concezione monista.
IDEALISMO TRASCENDENTALE
La filosofia di Fichte aveva creato una contrapposizione tra io e NATURA, così come Kant riteneva che l’io
non potesse rapportarsi in maniera libera con la natura. Dunque vi era una sorta di dualismo e
contraddizione tra io e natura. Cosi come il romanticismo, anche Shelling ritiene indispensabile superare la
scissione tra soggetto e mondo. Affermava infatti che l’io è parte della natura(idealismo trascendentale). Io
e natura sono differenti , ma la loro differenza non è tale da contrapporli. L’unica differenza è che l’io
(l’uomo) è consapevole ed è in grado di riflettere attraverso la ragione, mentre la natura è inconsapevole.
IDEALISMO ESTETICO
Un altro aspetto è quello dell’idelismo estetico ,in cui Shelling parla in particolare dell’arte, che riesce a
conciliare l’elemento consapevole con quello inconsapevole. Già Kant aveva realizzato un’analisi del bello
nella Critica del Giudizio, ma Shelling va oltre. Per il romantico tra tutti i linguaggi, quello artistico è il
prediletto, nonché piuttosto complesso, perché comprende pittura, musica, scrittura, scultura etc. . L’arte,
soprattutto la musica, permette di avvicinare l’uomo all’infinito e all’assoluto. È formata da due momenti
strettamente connessi, infatti si tratta di un endiadi. Il momento inconsapevole del fare artistico è
l’ISPIRAZIONE, che è fondamentale, ma non basta, perché bisogna metterla in forma servendosi della
TECNICA, che costituisce il momento consapevole. Sono necessari entrambi i momenti per dare vita ad
un’opera d’arte. Anche nell’arte, dunque, si crea una convivenza e un’unione tra io e natura.
HEGEL
Hegel nacque a Stoccarda nel 1770 da una famiglia benestante e conformista. frequentò l'università di
Tubinga, dove strinse amicizia con Shelling e Holderlin. È il filosofo che porta a compimento l'idealismo
tedesco e quindi completa la triadi Fichte, Schelling e lui, ma è anche colui il quale segna tutta la storia
dell'800. Appunto tra i tre è quello che ha avuto maggiore successo , infatti, così come Schelling aveva
soppiantato Fichte ,allo stesso modo Hegel soppianta Schelling e diventa il filosofo di riferimento e rimane
tale fino alla fine.
SCRITTI
Mentre Shelling inizia a pubblicare da giovanissimo, al contrario Hegel pubblica la sua opera più importante
all'età di 37 anni. Agli scritti giovanili di carattere soprattutto religioso segue appunto la sua grande opera
“La fenomenologia dello spirito” nella cui prefazione, che risale all'anno precedente, il filosofo dichiara il
suo distacco dalla dottrina di Schelling. Al 1817 risale” l'enciclopedia delle Scienze filosofiche in
compendio”, che la più compiuta esposizione, poi ”la scienza della logica” e “i lineamenti di filosofia del
diritto” (1821), le quali riguardano solo un aspetto della sua filosofia, la prima opera di ambito logico, l'altra
di ambito politico, dove infatti il filosofo esprime la propria adesione allo stato prussiano e ai principi
conservatori della Restaurazione. Dopo la sua morte i suoi allievi ordinarono e pubblicarono i suoi corsi di
Berlino: lezioni sulla filosofia della storia, nozioni sulla filosofia della religione, lezioni sulla storia della
filosofia. Hegel ritiene che la sua filosofia doveva essere sistematica ( non deve occuparsi solo di ogni
ambito del sapere, ma deve anche fare riferimento a principi certi indiscutibili e indubitabili). La sua è
l'ultima filosofia sistematica, perché dopo l'idea di sistema non esisterà più, in parte in reazione della
filosofia di Hegel, ma è dovuto anche alla scomparsa del clima storico, culturale, che aveva favorito la
filosofia di Hegel. Hegel è consapevole di appartenere ad un clima post-kantiano, dal quale è necessario
però andare oltre. Ritiene di essere colui che ha portato a compimento il percorso iniziato da Fichte, il
quale, però, secondo Hegel, ha dato, insieme a Schelling una soluzione parziale che sarà poi completata da
lui.
- Il primo fine della sua filosofia è superare la contrapposizione tra finito e infinito e ciò
significa andare contro Kant, perché segue la filosofia del finito e afferma che l’infinito non
si possa conoscere. Hegel è anche critico nei confronti di Fichte e Schelling, perché ritiene
che Fichte abbia insistito troppo sul lato dell'io, mentre Schelling troppo sul lato
dell'oggetto, del mondo ,della natura, e quindi non siano arrivati neanche loro ad una
soluzione di questo problema. Hegel risolve questo problema affermando che non c'è
dualismo finito e infinito e dunque ricorre alla risoluzione del finito nell'infinito, infatti,
l'infinito è composto da un numero infinito di finiti . Il finito è parte integrante dell'infinito,
ma nello stesso tempo l'infinito va al di là dell'infinito stesso. La conoscenza hegeliana è
monista ,dunque tutto ciò che è finito acquista senso e importanza in quanto parte
dell'infinito. Dunque, ricorrendo alla concezione monista tenta di risolvere un problema
annoso ,mettendo appunto in relazione finito e infinito.
L’assoluto hegeliano è formato da tanti anelli, che non possiamo intendere come qualcosa di statico, al
contrario è un processo in continuo movimento. Verso inizio ‘800 c’era stato un dibattito molto importante
sulla filosofia di Spinoza, che parla di assoluto che viene inteso dagli altri filosofi come una sostanza
immobile e ovviamente al contrario la filosofia idealistica tedesca tende all’azione, al movimento. Questo
discorso viene ripreso da Hegel, che afferma che la filosofia è un processo, tanto è vero che, nella
“Prefazione alla fenomenologia dello spirito”, afferma che l’Assoluto non è all’inizio del processo , ma alla
fine. Proprio per questa processualità la filosofia hegeliana è divisa in parti, perché ognuna di queste parti
testimonia di una tappa del processo. Quindi si tratta di una specie trinità: idea-natura-spirito, che però non
si parla di tre cose totalmente diverse, ma di tre momenti dello stesso processo. Hegel vuole includere nella
sua filosofia letteralmente tutto: la natura come la storia, la logica come l’arte etc. . Questo implica una
serie di passaggi, perché non ci si può occupare contemporaneamente di tutto. Dunque Hegel ritiene che il
farsi dinamico dell’Assoluto passi attraverso i tre momenti dell’idea “in sé per sé”, ossia l’idea in sé stessa a
prescindere dalla sua realizzazione della natura e nello spirito, dell’idea “fuori di sé”, l’alienazione dell’idea
nella realtà spazio-temporale del mondo (=NATURA) e dell’idea che “ritorna in sé” , ossia l’idea che, dopo
essersi fatta natura , acquista coscienza di sé nell’uomo(=SPIRITO). A questi tre momenti strutturali
dell’Assoluto, Hegel, fa corrispondere le tre sezioni in cui divide il sapere filosofico:
- La FILOSOFIA DELLA NATURRA, che studia “l’idea fuori di sé”, ossia la meccanica, la fisica e
la fisica organica
- La FILOSOFIA DELLO SPIRITO, che studia “l’idea che ritorna in sé”.
LA DIALETTICA
L’Assoluto, per Hegel , è fondamentalmente “divenire”. La legge che regola tale divenire è la dialettica, che
consente anche di stabilire quell’identificazione di razionalità e realtà, perché la dialettica ha un duplice
volto, infatti è legge della realtà, ma anche legge del pensiero(Hegel in questo è debitore di Fichte, perché
già lui aveva rivalutato la dialettica). Anche qui c’è una grande distanza da Kant, che affermava che le
categorie erano i modi verso i quali l’intelletto pensa, però esse non hanno un significato ontologico. La
dialettica è costituita da tre momenti fondamentali: tesi-antitesi e sintesi. Essendo processuale dopo che la
tesi è diventata antitesi e quest’ultima sintesi , la sintesi diventerà di nuovo tesi e così via fino ad un certo
punto. Infatti uno degli aspetti più contradditori della filosofia hegeliana è questo, cioè che da un lato il
processo deve avere un compimento , dall’altro lato, se si ha una fine, si fermerebbe lo sviluppo. I momenti
sono tra loro indispensabili, senza tutti e tre non si avrebbe la dialettica:
- La TESI è il momento iniziale e Hegel lo definisce momento intellettuale-astratto. Per Hegel
l’intelletto è una forma decisamente inferiore di conoscenza rispetto alla ragione , infatti, la
conoscenza intellettuale è una forma insufficiente, limitata di conoscenza, perché è
astratta, ossia priva di dialettica. Se ci fermassimo alla conoscenza astratta non
raggiugeremmo mai la verità, mai il compimento del processo e soprattutto rimarremmo
bloccati. Quindi uno degli scopi fondamentali della filosofia di Hegel è superare il momento
astratto. Hegel per spiegare la conoscenza astratta usa l’espressione “Rigidità”. Prendiamo
per esempio i concetti di essere e nulla. L’intelletto li irrigidisce dualisticamente in
un’opposizione totale, che non ha movimento. Un’opposizione di questo tipo non porta a
nessuna sintesi dialettica, perché si ha un’opposizione che rimane tale. L’intelletto è
dunque astratto, poiché non riesce a pensare dialetticamente , ma ha una visione irrigidita
della realtà, che è fatta di cose slegate tra loro e in opposizione( essere e non essere di
Parmenide).
- L’ANTITESI rappresenta un momento altrettanto necessario e fondamentale, si pone in
contrapposizione alla tesi, ed è il momento negativo-speculativo o dialettico, negativo
perché nega la tesi. L’antitesi nega la tesi, ma già in vista della sintesi, quindi in senso
dialettico e abbiamo la possibilità rendere tutto più veloce. Un significato molto importante
dell’antitesi è quello relativo al negativo, che mette in luce anche gli aspetti tragici
dell’esistenza , cioè i momenti in cui la realtà si esprime in maniera conflittuale , che però
sono destinati ad essere superati nella sintesi. Infatti se rimanessimo solo nella tesi,
avremmo una concezione statica e rigida della realtà e della conoscenza, se rimanessimo
solo nell’antitesi avremmo solo uno scontro lacerante, che rimarrebbe tale se non ci fosse
un ulteriore momento: quello della sintesi.
- Il momento della SINTESI è quello massimamente speculativo e Hegel per indicarlo usa
AUFHEBUNG, il qual vuole dire superare, ma nel senso di togliere e conservare
contemporaneamente , togliere la contrapposizione tra tesi e antitesi, ma allo stesso
tempo conservarle nella sintesi.
LA CRITICA HEGELIANA ALLE FILOSOFIE PRECEDENTI
- HEGEL E GLI ILLUMINISTI: gli Illuministi presupponevano che la realtà fosse irrazionale, non
razionale, dimenticando, secondo Hegel, che la vera ragione(lo spirito) è razionale ed è
proprio quella che prende corpo nella storia e abita tutti momenti di essa. Il filosofo
tedesco è convinto che la ragione degli illuministi esprime soltanto le esigenze e le
aspirazioni degli individui. Si tratta, per Hegel, di una ragione finita e parziale, ovvero di un
intelletto astratto , che pretende di dare lezione alla realtà e alla storia stabilendo come
esse dovrebbero essere, mentre la realtà è necessariamente ciò che deve essere
- HEGEL E I ROMANTICI: i romantici hanno posto il problema dell’assoluto come qualcosa che
non è presente sin da subito, ma va conquistato(analogia con Hegel), ma l’oggetto che va
criticato è il mezzo impiegato per raggiungere l’assoluto, ossia il sentimento e la passione.
Mezzi non accettabili , perché il romantico non si affida alla ragione , ma al sogno ,
all’emotività, tutte attività che per Hegel sono irrazionali.
- HEGEL E KANT: Hegel critica la struttura dualistica tra fenomeno e noumeno mantenuta da
Kant volendo costruire una filosofia del finito, della quale faceva parte integrante l’antitesi
tra essere e dover essere, ovvero tra realtà e ragione.
- HEGEL E FICHTE : Fichte viene accusato di cattivo infinito, perché il suo processo non trova
mai un suo compimento, in quanto non si riesce mai a trovare una sintesi vera e propria tra
io e non io. La sintesi è solo tra io divisibile e io non divisibile, elementi inferiori e finiti
rispetto all’io e al non-io. È come se ci fosse sempre uno scontro tra tesi e antitesi e non c’è
sintesi, ma continua contrapposizione.
- HEGEL E SHELLING: Hegel critica l’Assoluto di Shelling, descrivendolo come un abisso vuoto
nel quale si perdono tutte le determinazioni concrete della realtà e lo paragona alla notte
nella quale tutte le vacche sono nere. (Prefazione alla fenomenologia dello spirito).
L’Assoluto di Shelling è qualcosa privo di differenziazioni al suo interno, infatti lo concepisce
come a-dialettico , cioè come un’unità indifferenziata e statica , un po’ come la sostanza di
Spinoza.
LA COSCIENZA
La prima tappa della fenomenologia dello spirito è la COSCIENZA, intesa come ciò che si rapporta con un
“oggetto” percepito come qualcosa di esterno da sé ; si articola a sua volta nei tre momenti della certezza
sensibile, della percezione e dell’intelletto.
- La CERTEZZA SENSIBILE, appare a prima vista come la forma di conoscenza più ricca ; in
realtà è la più povera, la più astratta e la più indeterminata, perché corrisponde al modo
iniziale di rapportarsi alla realtà esterna, che non rende certi di un’indeterminata e generica
cosa singola;
- La PERCEZIONE, è il momento intermedio in cui c’è un rapporto con il mondo esterno, non
basato soltanto sulla certezza sensibile, ma sulla distinzione tra soggetto che percepisce e
l’oggetto percepito, che era implicitamente presente nella certezza sensibile;
- L’INTELLETTO consiste nella capacità di cogliere gli oggetti, non in base alle qualità sensibili,
che sembrano costituirli, ma come “fenomeni”, cioè come risultati di una “forza”, che
agisce sul soggetto secondo sue leggi determinate.
La coscienza compie così un percorso dall’immediatezza della sensazione fino al riconoscimento della
fenomenicità della conoscenza e non è solo l’influenza del singolo , ma anche dell’umanità.
L’AUTOSCIENZA
L’autocoscienza riguarda il rapporto tra noi e le altre autocoscienze, quindi non è più il rapporto con il
mondo esterno, con gli oggetti, ma è un rapporto prima con sé stessi e poi con gli altri. L’autocoscienza ha
alcune figure dialettiche fondamentali celebri come quella di servo-signore e quella della coscienza infelice.
- Servitù-signoria parte da un presupposto importantissimo, cioè che l’autocoscienza passa
necessariamente nel rapporto con gli altri. Quindi Hegel ci dice subito che l’autocoscienza
ha un suo inevitabile fondamento sociale, cioè noi non potremmo mai davvero conoscerci
se vivessimo da soli. Questo riconoscimento passa attraverso una vera e propria lotta e
l’autocoscienza deve passare necessariamente attraverso questa lotta per emergere. Per
questo motivo nasce la figura dialettica del servo-padrone, perché sono due figure che
emergono dalla lotta per il riconoscimento. Il padrone, che è uscito vittorioso da questo
scontro, che è riuscito a imporsi e a farsi riconoscere dagli altri nel suo aspetto positivo, il
servo, invece, è colui che non riesce a realizzarsi, quello che viene sconfitto. Servo-
padrone , secondo Hegel, è però un rapporto che si può rovesciare, perché il servo, può ad
un certo punto prendere consapevolezza di sé stesso, il padrone tronfio, grazie alla sua
vittoria non ha più quella brama che lo muoveva in precedenza, si sente in qualche modo
appagato, e il serve può quindi scavalcare e rovesciare questa situazione.
- Dalla figura del servo-padrone si passa a quella dello stoicismo e dello scetticismo. Lo
stoicismo è una forma di solipsismo, nel quale il saggio si professa apparentemente libero
dai condizionamenti del mondo esterno (ricchezza, passioni ecc.) che però, nella realtà,
rimangono immutati. Lo stoicismo, però, ci conduce allo scetticismo, perché quest’idea per
cui l’uomo non dipende da niente e da nessuno, può condurre a ritenere inesistente il
mondo esterno e si cade in questa condizione scettica per la quale non abbia niente da
condividere con il mondo esterno e questo ci può condurre a mettere in discussione la
situazione esterna.
- La situazione dello scetticismo è molto negativa, perché porta alla figura dialettica più
importante, ossia quella della coscienza infelice, che Hegel, non intende solo come infelicità
della singola autocoscienza, ma anche come situazione storica, come un’epoca che è
dominata da questa coscienza infelice. È un sentimento di vera e propria scissione tra
l’uomo e Dio. L’uomo si trova di fronte un Dio assolutamente trascendente, inaccessibile,
padrone di ogni cosa da cui l’uomo si trova distaccato e appunto per questo si trova in
questa coscienza infelice. Dal punto di vista storico la coscienza infelice trova la sua epoca
per eccellenza, nell’epoca cristiana e medievale, topos tipico del romanticismo.
La coscienza infelice ha al suo interno una serie di passaggi dialettici:
- La DEVOZIONE , che è quel pensiero a sfondo sentimentale e religioso che non si è ancora
elevato al concetto( e quindi la coscienza speculativa dell’unità tra finito e infinito);
- Il FARE o l’OPERARE DELLA COSCIENZA PIA è il momento in cui la coscienza, rinunciando a
un contatto immediato con Dio, cerca di esprimersi nel desiderio , che dirige sul mondo e
non più su Dio, e nel lavoro, da cui trae il proprio godimento. Tuttavia la coscienza cristiana
non può fare a meno di avvertire anche il frutto del proprio lavoro come dono di Dio.
- Tale vicenda prosegue e si esaspera con la MORTIFICAZIONE DI SÈ , in cui si ha la più
completa negazione dell’io a favore di Dio.
LA RAGIONE
Dal punto di vista individuale l’autocoscienza diventa RAGIONE, l’ultimo momento fondamentale dialettico.
La ragione è il momento finale dell’autocoscienza, perché è coscienza di sé nel momento in cui si rende
conto che la ragione è la facoltà fondamentale. Con la ragione si arriva alla sintesi, che consta di vari
passaggi dialettici. La ragione si distingue in:
- RAGIONE OSSERVATIVA
- RAGIONE ATTIVA
- L’INDIVIDUALITÀ IN SÈ E PER Sé
- La ragione osservativa è quella che incomincia osservando la natura, osservando il mondo
intorno a sé, studia l’autocoscienza nel suo rapporto con l’esterno e poi osserviamo noi
stessi per cercare di dedurre il nostro interno. Hegel esamina due scienze sedicenti che
erano di moda ai suoi tempi, ossia la fisiognomica , che aveva la pretesa di determinare il
carattere dell’individuo attraverso i tratti della sua fisiognomia e la fonologia, che
pretendeva di conoscere il carattere dell’individuo attraverso lo studio del cranio
- Ciò apre la strada alla ragione attiva, in cui l’uomo stancatosi della sola osservazione della
natura, ritiene fondamentale, invece, abbandonare questo aspetto e darsi a una vita attiva
di piaceri e di godimento ed ecco che abbiamo, la fase della ricerca del piacere.
In questo momento del piacere incontriamo la figura del destino, cioè ci troviamo di fronte
a delle situazioni più grandi di noi nelle quali non siamo in grado di essere così attivi e né
siamo travolti e quindi sembra che ci sia una nuova ostilità del mondo, che non è legata al
fattore religioso, ma al fallimento delle strategie attive \ed ecco che si passa alla cosiddetta
“legge del cuore” e al delirio della presunzione. Secondo Hegel il delirio della presunzione è
di coloro i quali ritengono necessario trasformare la realtà , che è uno dei massimi peccati
filosofici, in quanto significherebbe che la realtà non è razionale, riferendosi
particolarmente ai Rivoluzionali, a Rousseau, i giacobini, Robespierre e critica anche la
rivoluzione francese, in quanto si accorge che il progetto rivoluzionario vuole modificare la
realtà. Nel momento stesso in cui si entra in conflitto con la realtà esterna , si finisce per
giudicarla negativamente. Infatti, l’uomo decide di essere attivo nel mondo, ad un certo
punto la realtà esterna ostacola in suo progetti , la reazione è affermare che la realtà
esterna è negativa, è la colpevole del suo fallimento , dunque, l’uomo, va ad individuare la
causa del fallimento nella realtà esterna.
- Con l’individualità in sé per sé , momento di maggiore consapevolezza di sé stessi, si cerca
di superare questa situazione conflittuale con il mondo attraverso il regno animale dello
spirito, la ragione legislativa e la ragione esaminatrice delle leggi. Se rimanessimo al livello
dell’individualità non giungeremo mai alla vera universalità e rimarremmo sempre chiusi
all’interno dell’individuo , ma è necessario andare oltre verso lo spirito che apre la seconda
parte della Fenomenologia , che comprende anche la religione e il sapere assoluto .
- Lo spirito passa attraverso l’eticità, la cultura e la moralità. L’eticità corrisponde alla polis
greca, all’eticità classica, quando tra popolo e individuo c’era una perfetta armonia. Il
secondo momento è quello che legato a una vera e propria fattura tra io e società. Il terzo
momento è quello dell’armonia tra individuo e comunità, in cui viene riconquistata
appunto questa armonia , superando le figure imperfette della moralità astratta dell’anima
bella romantica.
- Una delle grandi figure della Fenomenologia dello spirito è l’anima bella. Quando Hegel
parla di anima bella ha presente un certo tipo di persone. L’anima bella è il romantico. È
caricata di un significato sostanzialmente negativo. Hegel sa bene che il romantico entra in
contrasto con la realtà e l’anima bella romantica di fronte a questa realtà così negativa si
sottrae alla realtà. È l’esatto contraltare del Rivoluzionario. L’anima bella romantica si isola
dalla realtà, rifugge perché la considera negativamente e si rifugia in una solitudine, in
un’interiorità fatta di arte, dove nessun altro ci entra, o addirittura nella follia. L’anima bella
romantica, è l’anima di chi, non riuscendo a sentirsi a casa propria nel mondo, decide di
non averci più a che fare. Un individuo del genere non può essere accettato da Hegel,
perché così come non accetta chi vuole trasformare la realtà, perché presuntuosamente
ritiene di essere migliore del mondo. Al contrario l’anima bella si chiude in sé stessa e
chiude ogni rapporto con la realtà e anche in questo caso non è giusto , perché è necessario
, invece, riconoscere ed accettare la realtà, quella che Hegel chiama la “virile identificazione
con la realtà”. Con l’anima bella critica l’anima romantica, che si è scontrata con il reale e
dopo ciò decide di non averci più niente a che fare, che per Hegel è una resa.