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GLI ETRUSCHI
Gli Etruschi furono un popolo che raggiunse il maggior grado di civiltà, nell’Italia preromana;
Sappiamo poco delle loro origini, sono, quindi, un popolo di origine incerta, che si insedia nel VIII
secolo a.C. nella regione dell'Etruria, tra il fiume Arno e il fiume Tevere, e si sovrappone alla
precedente civiltà villanoviana.
Le prime testimonianze sugli Etruschi sono del 700 a.C.. Essi hanno conquistato molti territori; la
loro massima espansione è stata attorno al 500 a.C. Molte città dell’Italia centrale e della Val
Padana hanno origine etrusca: Bologna (l’antica Felsina), Volterra, Arezzo, Chiusi, Perugia,
Tarquinia, ecc.
Lo storico Erodoto, la fonte ad oggi più accreditata, sosteneva che gli Etruschi facessero parte
dell’Asia Minore: sosteneva che provenissero dalla Lidia e che a causa di una grave carestia,
avessero abbandonato la propria terra d'origine, insediandosi, dopo varie peregrinazioni, nelle
regioni tirreniche dell'Italia centrale, fondendosi con i popoli autoctoni.
Accanto a coloro che pensano che gli Etruschi provengano dall’Asia Minore, vi sono altri autori che
ritengono che essi abbiano origini autoctone, discenderebbero dai popoli mediterranei che abitavano
la nostra penisola gia dalla preistoria. Le origini degli etruschi sarebbero riconducibili alla civiltà
villanoviana.
Tale civiltà non rimase confinata tra l’Arno e il Tevere ma ben presto si estese verso la Pianura
Padana, la Campania, e la Corsica. Il mare da loro controllato fu il Tirreno, da qui il nome Tirreni.
Essi erano organizzati in città – stato indipendenti, non si arrivò mai ad aver euno stato unitario,
anzi le citàà erano spesso in lotta tra loro. Il massimo organismo politico da loro creato fu l’unione
di dodici città-stato ( dodecapoli), in una lega che aveva il centro nel santuario della dea
Voltumna, presso Bolsena e che, in tempo di guerra, eleggevano un comandante unico, detto
“Lars”.
Le loro città sono rimaste sempre indipendenti l’una dall’altra, erano città-stato, rette da magistrati
annuali detti “lucumoni”, i quali concentravano nelle loro mani poteri monarchici, quali civili,
militari e sacerdotali; erano assistiti da un consiglio degli anziani( formato dai capi delle famiglie
aristocratiche) e da un’assemblea popolare. Con il passare del tempo il potere del Consiglio andò
crescendo e si passò all’oligarchia.
Le città etrusche sorgevano su colli per difendersi dagli attacchi nemici e per vivere in un ambiente
più sano rispetto alle pianure, dove dilagavano le paludi e la malaria. Quando costruivano una
nuova città gli etruschi rispettavano una serie di regole: il solco che definiva il perimetro della città
doveva essere tracciato da un sacerdote; egli doveva usare un aratro di rame trainato da uan coppia
di buoi bianchi. La città doveva avere una forma rettangolare formata d aun incrocio di strade che
avevano direzione da nord a sud (CARDO) e da est a ovest (decumano). Questa struttura fu ripresa
dai romani. Le città erano circondate da mura di tufo all’interno delle quali venivano aperte delle
porte ad arco. Al centro della città veniva scavato un pozzo coprto da una lastra di roccia che
rappresentava il legame tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Essi erano politeisti e col tempo, grazie ai contatti con i greci, le divinità etrusche presero le
sembianze degli dei dell’Olimpo. Essi veneravano anche gli antenati. Gli Etruschi erano un popolo
religioso e credevano in molte divinità, inoltre facevano numerosi riti (cerimonie, preghiere che
aiutano i credenti a comunicare con il dio) per ottenere il favore, ossia l’aiuto, dei loro dèi, tra i
quali quelli più importanti erano Tinia, Uni e Menrva (potente triade divina); per gli Etruschi era
molto importante conoscere la volontà degli dèi e il destino degli uomini, cioè che cosa doveva
succedere nel futuro.
Essi credevano nella vita dopo la morte e seppellivano i defunti. Per avere informazioni sugli
Etruschi gli studiosi hanno osservato soprattutto le tombe, nelle quali c’erano tutte le cose che
usavano gli uomini antichi, perché gli Etruschi pensavano che la morte era la continuazione della
vita in terra. Esse erano a forma di grandi camere sotterranee, dette ipogèi ed erano decorate
fastosamente con scene della vita terrena o d’oltretomba e dotate di tutti gli oggetti ritenuti utili alla
vita del defunto.
I cimiteri si chiamavano necropoli ed erano simili alle città dei vivi; necropoli, infatti, vuol dire
città dei morti: erano i luoghi dove venivano sepolti e venerati, cioè ricordati e pregati, i morti.
Erano dodate di strade, piazze, mura e porte. I corpi dei defunti erano posti in sarcofaghi o in vasi.
Le condizioni economiche degli Etruschi furono fiorenti e permisero loro un alto e raffinato tenore
di vita; molto sviluppata era l’agricoltura, ma oltre che agricoltori erano anche artigiani e
commercianti. Essi bonificarono le zone paludose rendendole coltivabili e sulle colline coltivavano
ulivo e vite.
Sapevano lavorare con abilità i metalli: prendevano il ferro e il rame dalle miniere dell’isola d’Elba
o da altre zone della Toscana; inoltre erano bravi navigatori e portavano i loro prodotti in molte
zone del Mediterraneo e perfino sulle coste dell’Europa del Nord, il commercio, infatti, si sviluppò
soprattutto oltremare, con Greci, Fenici e Cartaginesi e importante era la flotta mercantile, che
aveva a disposizione numerosi buoni porti sul tirreno.
Gli Etruschi sono stati i primi a costruire gli archi a volta: gli archi erano fatti con pietre messe una
accanto all’altra “a secco”, cioè senza cemento; notevoli furono pure i templi, che erano bassi e
massicci, a pianta quadrata, cioè se lo si disegna visto dall’alto ha forma di quadrato; era decorato
con bassorilievi e statue in terracotta, dipinte di rosso, nero, blu e bianco.
Le vie erano lastricate, cioè coperte di pietre di forma regolare ed esistevano fognature ed
acquedotti. La maggior parte delle città sorgeva su un colle o un altopiano, per sfuggire alla malaria,
una malattia che era molto diffusa lungo la costa o nel fondovalle, inoltre per difendersi dai nemici
le città erano circondate da mura fortificate, fatte di blocchi di pietra.
Situata alle foci del Tevere e in prossimità del mare, Roma era il naturale punto di approdo sia delle
navi commerciali cartaginesi sia dei mercanti che, dalla Campania viaggiavano verso l'Etruria, o
viceversa; essa era, quindi, un punto cruciale lungo la “strada etrusca”, che collegava centro e sud
Italia, oltre che un comodo approdo per le merci provenienti dalla Sardegna e dalla Corsica.
In un primo momento Roma, pur subendo fortemente l'influenza economica e, quindi, politica dei
vicini centri etruschi, dai cui interessi dipendeva gran parte della sua crescente prosperità, conservò
effettivamente la sua indipendenza politica; ma l'estensione dei traffici e delle attività portava ad
una maggiore centralità di Roma nella vita economica italica e al desiderio, dei vicini centri
etruschi, di controllarne più da vicino le attività. Probabilmente, gli Etruschi temevano che i
Romani, sempre più ricchi e sicuri di sé, potessero sviluppare delle nuove vie di commercio oppure
che, accresciuta la loro forza economica e militare, iniziassero ad imporre condizioni meno
favorevoli per i loro traffici.
Tra il 351 a.C. e il 200 a.C. le città etrusche furono conquistate dai Romani, il cui interesse
nasceva dalla sua posizione geografica, infatti in mezzo al fiume Tevere sorgeva un’isoletta, l’Isola
Tiberina, che offriva un comodo guado (punto in cui la poco profondità permette l’attraversamento
a piedi o a cavallo) dalla riva destra alla riva sinistra. Gli Etruschi volevano controllare questo
guado, perché intendevano arricchirsi con il commercio del sale, un prodotto molto ricercato, in
quanto capace di conservare a lungo i cibi: un vero e proprio “frigorifero dell’antichità. Il guado
dell’Isola Tiberina poteva diventare, a questo scopo, un luogo di mercato di grande avvenire.
FONDAZIONE DI ROMA
I Romani erano discendenti dei latini, provenienti dal nord europa. Roma si sviluppò in poco tempo:
prima conquistò tutto il Lazio e poi arrivò a conquistare un vastissimo impero compresa l’Africa
settentrionale, l’Europa e la Mesopotamia.
La civiltà romana può essere divisa in 3 periodi:
- MONARCHICO DAL 753 AL 509
- REPUBBLICANO DAL 509 AL 31
- IMPERIALE DAL 31 A.C AL 476 d. C
Roma nacque , molto probabilmente, tra il 700 e il 650 a. C. Le vicende delle origini di Roma
possono essere leggendarie e reali.
1. Secondo la leggenda tutto ebbe inizio da troia. Dopo la sua caduta, Enea fuggì alla ricerca
di un luogo dove far sorgere una nuova città. Così sbarcò sulle coste del Lazio dove venne
accolto dal re Latino che gli diede la figlia Lavinia in sposa. I successori di Enea si
avvicendarono al trono pacificamente fino a quando il trono spettò a Numitore, il quale fu
cacciato da Amulio. Quest’ultimo per evitare che i discendenti del fratello potessero
vendicarsi uccise suo figlio e costrinse la figlia Rea a diventare sacerdotessa. Ma Marte si
innamorò di Rea e nacquero 2 gemelli. il re ordinò che i due gemelli fossero gettati nel
Tevere; ai pianti dei gemelli accorse una lupa, che li nutrì con il suo latte. I gemelli furono
chiamati Romolo e Remo. Essi crebbero e, scoperto il segreto della loro discendenza,
uccisero Amulio e rimisero sul trono il loro nonno Numitore, primo re di Albalonga.
Dopo un po’ di tempo decisero di fondare una nuova città, proprio nel luogo in cui erano
stati trovati; a causa di litigi, nati mentre tracciavano la linea che doveva delimitare i confini,
Romolo uccise il fratello e diede il proprio nome alla città. I romani chiamarono la città
Roma, appunto dal nome del suo fondatore. Romolo diede asilo nella sua città a uomini di
ogni provenienza e di ogni condizione, ma poiché mancavano le donne e i popoli vicini
rifiutavano di imparentarsi con i romani, durante i solenni giochi, che bandì in onore di
Nettuno, fece rapire le figlie dei sabini ( RATTO DELLE SABINE) e poi sostenne contro
di loro una guerra, sedata dall'intervento delle stesse donne sabine, che convinsero i due
popoli a condividere la cittadinanza; il potere venne così gestito in comune da Romolo e da
Tito Tazio, che regnarono su sabini e latini ormai uniti. Morto il re sabino, Romolo rafforzò
l'autonomia dell'Urbe sui popoli vicini, diede una costituzione civile e militare e quindi
venne assunto in cielo e venerato con il nome di Quirino.
2. Gli storici, invece, dicono che, nel Lazio, abitavano molte comunità, cioè gruppi, di Latini;
una delle comunità, tra l’VIII e il VI secolo a.C., aveva costruito dei villaggi su sette colli,
che erano vicini alla foce del Tevere. Da questa piccola comunità ha avuto origine la città di
Roma.
Nel punto dove è stata fondata Roma il fiume poteva essere attraversato facilmente; da quel
punto passavano le vie commerciali, che collegavano le città degli Etruschi (che vivevano in
Toscana), con alcune ricche città della Magna Grecia (che si trovavano in Campania); le
persone, che abitavano dove è nata Roma, potevano controllare i commercianti che
passavano per quella via e questa possibilità ha spinto i villaggi ad unirsi e a formare Roma.
PATRIZI E PLEBEI
I patrizi erano grandi proprietari terrieri, la cui comunità costituiva un gruppo chiuso a carattere
etnico e sacrale (l’aristocrazia). Si sposavano e commerciavano tra di loro, avevano essi soli i pieni
diritti civili e politici; ogni gruppo delle loro famiglie formava una gens (gruppo di persone che
condividevano lo stesso nome gentilizio) ed i capi di ogni gens si chiamavano “patres”, ossia
“padri”, fondatori della città.
I plebei, invece, facevano parte della plebs o plebe, un termine che significava “moltitudine”; erano
contadini, artigiani e commercianti; erano immigrati laziali, arrivati dopo la fondazione di Roma e
avevano dovuto accontentarsi dei campi meno redditizi. Tra loro, quelli che avevano un campo
erano anche legionari, cioè avevano il diritto di militare nella legione o esercito e potevano aspirare
ai diritti civili; vi erano, infine, i plebei nullatenenti, che erano chiamati proletari (cioè “proprietari
soltanto della propria prole”) e non potevano aspirare a nulla. I plebei erano esclusi dalle cariche
pubbliche e non potevano avere rapporti ufficiali con i patrizi, se non diventando loro clienti: una
famiglia plebea prestava ubbidienza ad una famiglia patrizia, diventando sua cliente e ne riceveva in
cambio protezione e rappresentanza.
LA SEPARAZIONE TRA PATRIZI E PLEBEI ERA MOLTO NETTA E LE CLASSI ERANO
CHIUSE TANTO CHE RA VIETATO IL MATRIMONIO TRA APPARTENENTI A CLASSI
DIVERSE.
RELIGIONE ROMANA
Politeisti. Si cercava di ottenere il favore degli Dei mediante sacrifici di animali ed offerte di
prodotti della terra. Si tratta, quindi, di una religione a fondo utilitaristico e contrattuale, in base al
quale, dando agli dei quanto è loro dovuto, si ottiene, in cambio, la loro amicizia; il mancato
rispetto del rito, dispiacendo gli dei, comporta un’empietà da lavare con l’espiazione, un piaculum
che avrebbe salvato la comunità. in un primo momento gli dei più importanti erano Giove, Marte,
Quirino(Romolo). Successivamente quando entrarono in contatto con gli Etruschi, gli dei principali
furono Giove, Giunone e Minerva.
I Lari erano divinità legate alla famiglia, proteggevano il focolare domestico.
I Penati erano gli spiriti degli antenati. Ad essi erano dedicati degli altari sui quali il pater familias
faceva delle offerte.
Al re spettavano le funzioni religiose. Al collegio degli auguri aveva il compito di interpretare la
volontà degli dei circa la possibilità di intraprender eo meno delle guerre. La volontà degli dei
veniva interpretata osservando il volo degli uccelli o fenomeni atmosferici.
Gli aruspici interpretavano il futuro attraverso l’esame del fegato degli animali.
Gli arvali si occupavano della purificazione dei campi in cui veniva cantato il carmen arvale.
Le vestali erano delle sacerdotesse il cui compito era quello di tenere sempre acceso il fuoco nel
tempio della dea Vestea.
LA REPUBBLICA ROMANA
Il periodo repubblicano iniziò nel 509 a.C. secondo la tradizione Sesto Tarquinio aveva recato
oltraggio a Lucrezia che si uccise per la vergogna, allora il popolo fu incitato dal marito di Lucrezia
a cacciare il re. Così ebbe fine la monarchia. Ma secondo gli studiosi il passaggio alla repubblica
potrebbe essere avvenuto gradualmente.
Il governo di Roma passò dalle mani del re al Senato e ai magistrati, eletti dai Comizi.
MAGISTRATI: restavano in carica un anno al termine del quale dovevano rispondere del loro
operato in sede civile e penale. Il difetto di tale annualità era la mancata continuità delle scelte
politiche. I Romani, per cautelarsi dall'eventualità di un ritorno al potere monarchico o dal
dispotismo dei singoli politici, stabilirono che ciascuna carica fosse collegiale, cioè che lo stesso
incarico fosse assegnato ad almeno due uomini alla volta.
2 CONSOLI: i consoli erano magistrati + importanti eletti dai comizi tra gli appartenenti alla classe
dei Patrizi. Esercitavano il potere esecutivo e guidavano l’esercito:
Stipulavano accordi con altri popoli
Proponevano leggi
Esercitavano funzioni giuridiche
Godevano del diritto dell’eponimìa, ovvero del diritto di dare il loro nome all’anno in cui
erano in carica.
Col tempo essi furono affiancati dai:
- PRETORI che amministravano la giustizia civile
- QUESTORI che si occupavano del denaro dello Stato, riscuotevano le tasse
- CENSORI addetti al censimento, ovvero alle ricchezze dei cittadini. Restavano in carica
5 anni
- 4 EDILI che si occupavano della costruzione delle opere pubbliche, sorvegliavano l’igiene
della città e preparavano i giochi in occasione delle feste pubbliche.
- DITTATORE che veniva eletto solo in caso di gravissimo pericolo; accentrava i poteri su
di se e sostituiva i consoli. La sua carica non poteva durare più di 6 mesi. Egli non poteva
abrogare le leggi o dichiarare guerra e non poteva imporre nuove tasse.
SENATO: era un organo della repubblica formato dia magistrati più anziani.300. Infatti senex vuol
dire vecchio. La carica di senatore era a vita. I consoli, censori e pretori terminato il loro incarico,
entravano di diritto nel Senato.
- Dava pareri su pace e guerra
- Si esprimeva sulla chiamata dei cittadini alla guerra
- Giudicava l’operato dei magistrati
Esso aveva pochi poteri palesi, ma molti poteri occulti. Ad esempio, non poteva dichiarare la guerra
e la pace, però amministrava tutti i rifornimenti di armi, navi e vettovaglie alle legioni; di
conseguenza, se non era d’accordo su una dichiarazione di guerra o non aveva simpatia per il
console che la comandava, aveva tutti i mezzi per boicottarlo. Inoltre, amministrava i territori
conquistati. Con il tempo il suo potere si accrebbe e divenne il capo effettivo della Repubblica
anche perché non essendoci continuità politica tra i vari magistrati che governavano per un anno,
essa era data dal Senato.
COMIZI: assemblee del popolo a cui partecipavano solo i cittadini romani con diritto di elettorato
attivo e passivo, con esclusione delle donne, dei liberti e degli schiavi.
Avevano la funzione di bilanciare il potere del senato e dei magistrati e costituivano, secondo
Polibio (storico greco del mondo mediterraneo), l'elemento «democratico» della costituzione
romana. Esse erano suddivise in:
- comizi curiati, che, in un primo tempo, eleggevano i magistrati e avevano potere legislativo; ben
presto però, persero tutti i loro poteri, che passarono all’assemblea centuriata e mantennero solo
funzioni religiose;
- comizi centuriati, l'assemblea più importante, alla quale erano stati chiamati a partecipare anche i
plebei; questi comizi erano formati da tutti i cittadini in armi con più di 17 anni, divisi in sei
classi, a seconda del censo ( riforma di Servio Tullio ) e poi suddivisi in 193 centurie (unità militari
di 100 uomini destinati all'esercito); delle 193 centurie, 18 centurie erano di cavalieri, 170 di fanti e
5 di non militari (inermi, ovvero nullatenenti, carpentieri, fabbri, suonatori di corno e suonatori di
tromba).
Le riunioni avvenivano nel "Campo Marzio", ed erano indette per eleggere i magistrati maggiori o
“cum imperio” (consoli, pretori, dittatori, ossia magistrati titolari dell’imperium) e per approvare le
leggi.
I comizi centuriati avevano anche un potere decisionale in tutte le cause penali, che
comportavano la perdita dei diritti civili per il cittadino, servivano a ratificare gli accordi
internazionali, le dichiarazioni di guerra e i trattati di pace .
- comizi tributi: espressione della divisione della cittadinanza romana in tribù, costituivano
l'assemblea popolare con il compito di eleggere i magistrati minori, cioè gli edili e i questori;
CURSUS HONORUM
s’intendeva il percorso che chiunque voleva ricoprire cariche pubbliche doveva seguire. Esso
prevedeva che:
- Bisognava prestare 10 anni di servizio militare per poter accedere alle cariche di questore
( verso i 30 anni) e pretore ( verso i 40 anni). Solo successivamente si poteva aspirare alla
carica di console ( dopo i 40 anni).
- Le magistrature che costituivano le tappe del cursus honorum non prevedevano alcuna
retribuzione; erano, invece, retribuite le funzioni a cui esse davano adito, in qualità di
governatori delle province, prefetti o funzionari con varie mansioni. In particolare, i consoli
e i pretori, alla fine del loro mandato, potevano diventare proconsoli e propretori e
assumere il governo di una provincia, incarico particolarmente ambito, perché oltre a
conferire poteri militari, giuridici ed esecutivi, prevedeva anche la riscossione delle tasse,
che costituiva una grande occasione di arricchimento personale.
LE GUERRE SANNITICHE
Le Guerre sannitiche sono una serie di tre conflitti, combattuti dai Romani contro la popolazione
italica dei Sanniti e numerosi loro alleati, tra la metà del IV e l'inizio del III secolo a.C. Le guerre,
terminate tutte con la vittoria dei Romani (tranne la prima fase della seconda guerra), scaturirono
dalla politica espansionistica dei due popoli che, a quell'epoca, si equivalevano militarmente e
combattevano per conquistare l'egemonia nell'Italia centrale e meridionale, oltre che per la
conquista del porto magnogreco di Napoli.
All'epoca dei fatti, i Romani dominavano già su Lazio, Campania settentrionale, sulla città etrusca
di Veio ed avevano stretto alleanze con diverse altre città e popolazioni minori. I Sanniti, invece,
erano padroni di quasi tutto il resto della Campania e del Molise e cercavano di espandersi
ulteriormente. Nel 354 stipularono un trattato di non belligeranza.
Il casus belli (occasione della guerra), che fece scoppiare la prima guerra tra Sanniti e Romani, fu
offerto dalla città di Capua che, posta sotto l'attacco dei Sanniti, chiese l'aiuto di Roma che però
aveva stipulato il trattato di non belligeranza. Allora la città i Capua si consegnò nelle mani di
Roma ponendosi sotto il suo potere normativo. Così roma fu costretta ad intervenire e scoppiò la
PRIMA GUERRA SANNITICA.(343-341). Il primo anno della campagna militare fu affidata ai
due consoli in carica, Marco Valerio Corvo, inviato in Campania, ed Aulo Cornelio Cosso Arvina,
inviato nel Sannio; La prima guerra sannitica, si concluse nel 341 a.C., con la vittoria dei romani
che affermarono il proprio dominio sulla Campania. Appena terminata la prima guerra sannitica,
Roma dovette far fronte alla ribellione dei Latini, preoccupati della sempre maggiore potenza che
essa andava acquistando, così, nel 338 i Latini, con l'aiuto dei Campani, combatterono contro
Roma, ma vennero sconfitti dall'esercito romano La vittoria portò, come conseguenza, lo
scioglimento della lega latina. In definitiva la lega latina venne sostituita da un organismo
federale romano-latino-campano; alcune città ebbero la cittadinanza romana, altre vennero
trasformate in colonie e altre ancora ebbero particolari tipi di allenza e furono considerate “civitates
sine suffragio”, ossia “cittadinanza senza voto”.
SECONDA GUERRA SANNITICA
Scoppiò a causa dell’occupazione di Napoli da parte dei Romani e quindi i Sanniti videro ostacolata
ogni possibilità di espansione verso la costa. I Romani, in questa nuova guerra contro i Sanniti,
vollero affrontarli nel loro stesso territorio, cioè nel Sannio (odierno Abruzzo meridionale), ma, nel
321 a.C., i Romani subirono una dolorosa sconfitta, in quanto, addentratisi incautamente nelle
montagne del Sannio, furono sorpresi dai Sanniti, guidati dal condottiero Ponzio, in una stretta gola
presso Càudio (alle Forche Caudine); costretti ad arrendersi, essi ottennero la libertà solo a patto di
sgomberare il Sannio e di sottostare ad una gravissima umiliazione, quale quella di passare, tra lo
scherno dei nemici, sotto un giogo formato da 2 lance conficcate nel terreno. Questa pace non venne
accettata dal senato romano e nel 304, sempre sotto il comando del dittatore Cursore, i Romani
entrarono nuovamente nel Sannio, sconfissero i Sanniti, presero la loro capitale Boiano nel
305(presso Campobasso) e costrinsero i Sanniti alla pace. Questi ultimi dovettero rinunciare ai
territori che possedevano sul mare impedendoli di espandersi al di qua e al di la dell’Appennino.
Alcune città entrarono a far parte della confederazione romana mentre altre persero la propria
autonomia. Così Roma diventò la principale potenza dell’Italia Centrale.
TERZA GUERRA SANNITICA(298-290 a. C)
I Sanniti si allearono con quei popoli che si sentivano minacciati dall’espansione dei romani ovvero
gli Etruschi,Umbri e Galli e fu creata una coalizione anti romana. Etruschi e Galli attaccarono da
Nord mentre i Sanniti da Sud accerchiando Roma. L’esercito romano era numericamente inferiore e
subì una serie di sconfitte iniziali, ma successivamente riuscì ad evitare che gli eserciti nemici si
ricongiungessero affrontando i nemici separatamente. Battuti gli Etruschi a Volterra nel 298 a.C.,
gli eserciti romani si rivolsero contro i Sanniti, tenendoli, per 2 anni, lontani dai confini del Lazio.
Sul finire del 296 a.C., però, un esercito sannitico riuscì a passare nell'Umbria, ricongiungendosi
alle forze degli Umbri, dei Galli e degli Etruschi, muovendo contro Roma. I Romani riuscirono
ancora a prevalere e nella durissima battaglia di Sentino (295 a.C.) sbaragliarono i loro avversari,
tanto che, alcuni di essi, chiesero una pace separata. Solo i Sanniti continuarono la guerra contro i
Romani. Nel 290 a. C Roma attaccò i Sanniti sconfiggendoli definitivamente. Questa vittoria segnò
l’inizio del dominio di Roma su tutta la penisola ad eccezione di Taranto, la più ricca e potente
di tutte le città greche, che aspirava all'egemonia delle Puglie.
2 GUERRA PUNICA
I cartaginesi, dopo la 1 guerra punica, cercarono di contenere le perdite subite, con il controllo della
Spagna meridionale, grazie ad Annibale, dove si trovavano miniere di argento e di ferro e dove
l'agricoltura era fiorente . I progressi compiuti da Cartagine in Spagna non sfuggirono a Roma, che
se ne preoccupò molto e, quando il generale cartaginese Annibale, nel 219, si impadronì di
Sagunto, città alleata di Roma, quest’ultima dichiarò guerra. Annibale , consapevole della
superiorità navale di Roma decise di attaccare Roma da settentrione attraversando molto
rapidamente Spagna, Pirenei, Gallia, Alpi e Pianura Padana nel 218. Ebbero luogo così una serie di
vittorie dei Cartaginesi :
- Presso il Ticino
- Nella battaglia di Trebbia
- Sul lago Trasimeno.
Per fronteggiare la gravissima situazione, a Roma venne eletto dittatore Quinto Fabio Massimo.
Egli decise di evitare altre battaglie in campo aperto e di puntare invece su una tattica di
logoramento del nemico, con azioni di guerriglia che ne disturbassero la marcia e i rifornimenti. Ma
era un modo di combattere estraneo alla tradizione romana, che suscitò forti resistenze e valse al
dittatore il soprannome spregiativo di Temporeggiatore. Così, scaduto il semestre della dittatura,
ripresero il sopravvento i sostenitori dello scontro aperto con Annibale, ma il 2 agosto del 216 a.C.
l’esercito romano, al comando dei consoli Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo, subì una
tremenda sconfitta a Canne in Puglia. La Battaglia di Canne rappresentò una delle peggiori disfatte
della storia di Roma, che perse 40 mila uomini.
Di fronte a tale sconfitta Roma non si abbattè e rimpiazzò gli uomini morti. Mentre Cartagine non
poteva rifornirsi in quanto le vie di accesso del Mediterraneo erano controllate dai romani. Cosi’
tergiversarono per parecchi anni e nel frattempo alcune città italiche si allearono con Annibale. Ma
Roma riuscì a riconquistarle. Così Roma era pronta per la controffensiva: il generale Publio
Cornelio Scipione attaccò i Cartaginesi dapprima in Spagna e poi l’Africa nel 203. Appena
sbarcato, con l’appoggio di Massinissa, re di Numidia, ottenne una serie di vittorie che costrinsero i
Cartaginesi a richiamare Annibale in patria.
La vittoria definitiva si ebbe a Zama nel 202 . Scipione fu osannato e soprannominato l’Africano.
Fu stipulata la pace a condizioni durissime per i Cartaginesi in quanto:
- Divettero rinunciare ai possedimenti in Spagna
- Consegnare la propria flotta a Roma
- Impegnarsi a non fare guerra al di fuori del territorio africano
- Pagare un forte riscatto.
Inizia il controllo di Roma sul Mediterraneo.
3 GUERRA PUNICA
149-146. Dopo la sconfitta subita nella 2 fuerra punica, Cartagine cercò di riprendere le proprie
attività commerciali riuscendo a ripagare i debiti di guerra. A Roma, allora, si diffuse il timore che
la città potesse riarmarsi e attaccarla. Di questo diffuso stato d’animo si fece portavoce Marco
Porcio Catone detto il Censore. Egli, alla fine di ogni suo intervento in Senato, era solito ripetere
che Cartagine doveva essere distrutta prima che fosse troppo tardi.
Così quando Cartagine dichiarò guerra contro Massinissa, re della Numidia, a causa dei suoi
continui soprusi, Roma a sua volta dichiarò guerra a Cartagine, poiché il trattato di pace
stipulato alla fine della Seconda guerra punica impediva a Cartagine di dichiarare guerra senza il
consenso di Roma. Inizio la 3 guerra punica.
La Terza guerra punica consistette nell’assedio di Cartagine, guidato da Scipione Emiliano.
L’assedio di Cartagine durò dal 149 a.C. al 146 a.C. Fu durissimo perché i cartaginesi, rifiutato
l’ordine di evacuare la città – che secondo i romani avrebbe dovuto essere abbandonata e ricostruita
più lontano dalla costa – opposero una resistenza disperata. Cartagine fu distrutta e il suolo fu
cosparso di sale in modo da renderlo sterile in segno che lì più nulla doveva crescere.
I GRACCHI
Il grave problema dello spopolamento delle campagne, nelle quali si erano formati i grandi latifondi
coltivati dagli schiavi, e del malcontento degli ex-piccoli proprietari terrieri venne affrontato, per la
prima volta, nel 133 da Tiberio Gracco, eletto tribuno della plebe. Egli apparteneva ad una nobile
famiglia, imparentata con quella degli Scipioni: sua madre, Cornelia, era figlia di Scipione
l’Africano. Cornelia, la madre dei Gracchi, ebbe grande fama a Roma. Quando si nomina Cornelia,
torna subito alla mente il noto aneddoto dei “gioielli”. Si racconta che un giorno Cornelia ricevette
la visita di una ricca matrona romana, che ostentava e decantava i gioielli che indossava; Cornelia la
lasciò parlare, poi chiamò i suoi figli e, rivolgendosi alla matrona, disse con orgoglio: «Questi sono
i miei gioelli».
La madre dei Gracchi fu anche una donna colta, cosa rara al tempo, e dopo la morte violenta dei
figli si ritirò in una villa sul golfo di Napoli, animando un circolo culturale. Nell’intento di
ricostituire la classe dei piccoli proprietari terrieri, che aveva formato il nerbo della società e
dell’esercito romano all’età delle grandi conquiste, TIBERIO propose, nel 133, una legge agraria,
in base alla quale:
- Nessun cittadino romano avrebbe potuto possedere più di 500 iugeri di agro pubblico
(aumentabili sino a mille se aveva dei figli);
- Le enormi estensioni di agro pubblico, che si sarebbero così resi disponibili, dovevano
essere distribuite, a piccoli lotti di 30 iugeri, ai cittadini poveri, dietro corresponsione allo Stato di
un simbolico canone annuo.
Questa legge, però, fu duramente avversata dalla classe senatoria, che godeva l’usufrutto dell’agro
pubblico e si vedeva minacciata nei propri interessi. Proprio nel nel 133 Attalo, non avendo figli,
lasciò in eredità il suo regno a Roma e Tiberio pensò di utilizzare tali beni per la ricostruzione delle
fattorie dei contadini. Ancora una volta tale decisione fu vista dal senato come un tentativo di
scavalcare la sua autorità e così quando egli provò a ricandidarsi come tribuno, l’anno successivo, la
nobiltà sfruttò una disposizione che prevedeva che tra una magistratura e l’altra dovevano
trascorrere 10 anni. Così il contrasto tra Tiberio e nobiltà si acuì tanto che nel 132 fu assassinato
durante i tumulti scoppiati a ROMA.
Ma nel 123 fu eletto tribuno della plebe il fratello minore di Tiberio, Gaio Gracco, giovane di
elevatissime capacità, che aveva come obiettivo quello di far avvicinare i gruppi ostili alla nobiltà:
gli italici e la plebe e i cavalieri.con un allargamento di programma veramente rivoluzionario, egli
propose:
- Il richiamo in vigore della “legge agraria” del fratello;
- Una legge frumentaria, per la distribuzione mensile di frumento a basso prezzo ai poveri di
Roma;
- Una legge giudiziaria che attribuiva ai cavalieri poteri giudiziari e maggiori possibilità
negli appalti;
- Una legge, infine, che concedeva la cittadinanza romana a tutti gli Italici.
- la fondazione di 4 colonie 2 nell’Italia meridionale , una a Corinto e una a Cartagine in modo
da risolvere il problema della disoccupazione agricola.
Il senato, però, manovrò abilmente la situazione, facendo porre il veto alle leggi, da parte del
tribuno Livio Druso, che presentò, contemporaneamente, delle proposte di carattere demagogico e,
in questo modo, Gaio Gracco, non riuscì a farsi eleggere tribuno per la terza volta e, poco dopo, si
fece uccidere per non finire nelle mani dei suoi nemici nel 121.
La morte di Gaio Gracco segnò la fine delle riforme; gli ex contadini non riottennero i propri campi
e gli Italici, delusi nelle loro speranze, quale quello di ottenere il pieno diritto di cittadinanza
romana, cominciarono a covare vendetta verso questa ingiustizia; infine, i cittadini nullatenenti
attendevano dei capi che li guidassero alla soluzione dei loro problemi.
La durissima lotta tra i Gracchi ed i loro avversari, la sconfitta dei due tribuni ed il loro assassinio,
segnarono una svolta nella storia di Roma; da allora in poi, la società romana si divise in due fazioni
nemiche, quali:
- i Popolari, ossia gli “amici del popolo”, che si ispiravano alle idee dei Gracchi, volevano
ridimensionare gli enormi poteri del Senato e tentavano di attenuare lo squilibrio tra ricchi e poveri,
ridistribuendo la terra con la proposta di nuove leggi agrarie. Di essi facevano parte la maggioranza
dei plebei e una minoranza di nobili;
- gli Ottimati (dall’aggettivo superlativo “ottimo”, “il migliore”, con il quale essi indicavano
se stessi), che, invece, volevano rafforzare ulteriormente i poteri del Senato ed impedivano
qualsiasi tentativo di rinnovamento, nel timore che intaccasse i loro privilegi. Gli Ottimati erano
tutti nobili, ma avevano dalla loro parte anche le proprie schiere di clienti, quei plebei nullatenenti
che essi mantenevano e impiegavano in ogni genere di servizio; all’occorrenza, con i clienti,
costituivano bande armate, che scagliavano contro i Popolari.
DITTATURA DI SILLA
Così nell’ 82 Silla si fece proclamare dittatore con ampi poteri.
Impose:
- Le liste di proscrizione: elenchi di persone destinate ad una morte cruenta perché avevano
appoggiato Mario.
- Riforma siliana: attuata con l’obiettivo di rafforzare il potere del Senato
o ai senatori venne nuovamente assegnata l’amministrazione della giustizia togliendola
ai cavalieri
o aumento il numero dei senatori da 300 a 600 includendo anche i cavalieri e isolando
la plebe
o elevò il numero dei pretori a 8
o pretori e consoli dovevano restare in Italia durante il primo anno di carica. Solo nel 2
anno potevano essere inviati dal senato nelle province.
Attuata la sua riforma, che ridava il potere nelle mani della classe senatoria, Silla rinunziò alla
dittatura e si ritirò a vita privata a Cuma, nel 79 a.C., dove morì l’anno seguente.
CATILINA:
Lucio Sergio Catilina apparteneva a una famiglia romana nobile ma decaduta. Nei primi anni della
sua carriera politica si schierò dalla parte di Silla; contribuì quindi attivamente all’eliminazione
degli avversari politici del dittatore inseriti nelle liste di proscrizione. Nel 78 a.C. fu eletto questore;
nel 70 edile; pretore nel 68. L’anno successivo fu inviato come propretore in Africa e nel 66 fu
accusato di concussione. A causa del processo, Catilina non potè candidarsi. Nel 65 a.C. Catilina fu
assolto dall’accusa di concussione e nel 64 a.C. potè finalmente presentare la candidatura al
consolato. Tra gli avversari aveva Cicerone e Antonio Hybrida. Catilina si alleò con Antonio ma
vinse Catilina.
Catilina, da parte sua, tentò di nuovo di ottenere il potere per vie legali. Si ripresentò infatti alle
elezioni consolari del 63 a.C. con un programma che spaventava enormemente i conservatori e le
classi abbienti. Proponeva la cancellazione dei debiti in Italia; la fine del monopolio delle
magistrature da parte degli ottimati; una più equa distribuzione delle ricchezze con misure a favore
dei nullatenenti. Con grande abilità inoltre Cicerone, nell’intento di screditare l’avversario e
provocare la reazione degli ottimati, alimentò le voci allarmistiche a proposito della presunta
minaccia fatta da Catilina di ricorrere alla forza nel caso non fosse stato eletto.
CONGIURA: Catilina non fu eletto; di qui la decisione di ottenere con le armi il potere che non
aveva raggiunto con le vie legali. E così in Etruria Caio Manlio cominciò a raccogliere un esercito,
che nelle intenzioni dei congiurati avrebbe dovuto marciare verso Roma. Cicerone ebbe modo di
conoscere con precisione i piani di Catilina E COSì pronunciò il primo discorso contro CAtilina. Il
giorno dopo Catilina decise di abbandonare Roma per raggiungere l’esercito accampato in Etruria
e nel frattempo Cicerone pronunciò un secondo discorso per informare il senato di ciò che era
accaduto. Cos’ qualche giorno dopo fu proclamato nemico pubblico e Il console Antonio ebbe
l’incarico di marciare contro di lui con un esercito. Il 3 dicembre cicerone pronunciò la 3
catilinaria avendo ottenuto le prove della congiura e in senato si discusse sulle sue sorti: Cesare
propose l’esilio. Cicerone pronunciò a questo punto la quarta Catilinaria; sostenne anche lui la
necessità della condanna a morte, ma si rimise alla volontà dei senatori. Un mese dopo, il 5 gennaio
del 62 a.C., si svolse la battaglia di Pistoia, che vide la definitiva sconfitta dei congiurati. Catilina
morì combattendo valorosamente.
GUERRE SERVILI
Tra il 136 e il 71 a.C. la Repubblica romana fu impegnata nel tentativo di sopprimere diverse rivolte
servili. Tre in particolare richiesero grandi sforzi per essere domate, e lasciarono di conseguenza un
vivido ricordo nella storiografia antica:
- La rivolta capeggiata dallo schiavo di origine siriaca Euno (poi proclamatosi re con il nome
di Antioco), che tenne impegnati gli eserciti romani in Sicilia tra il 136 e il 132 a.C.;
- Una seconda ribellione, scoppiata sempre in Sicilia, guidata dagli schiavi Salvio e Atenione,
che si svolse tra il 104 e il 100 a.C.;
- La terza e più celebre insurrezione, promossa dal gladiatore trace Spartaco, che, cominciata
a Capua nel 73 a.C., si estese ben presto a tutta la penisola italica costringendo i romani a
due anni di feroci combattimenti.
1 GUERRA SERVILE
Svoltasi fra il 136 e il 132 a.C., la prima guerra servile vide contrapposti gli schiavi siciliani
capeggiati da Euno e Cleone di Cilicia e l’esercito romano del console Publio Rupilio.
Nel 146 a.C., dopo la distruzione di Cartagine da parte di Scipione Emiliano, la Sicilia viveva un
periodo di vertiginoso sviluppo economico grazie soprattutto alla ricchezza che le proveniva
dall’esportazione dei suoi prodotti agricoli pregiati, grano e vino in primis. Questo stato di fatto
aveva favorito la nascita di un ceto aristocratico benestante dedito al latifondismo della terra, ma
anche allo sfruttamento delle numerose cave e miniere presenti nell’isola. nel 136 a.C., il ribelle
siriano, alla guida di circa 400 schiavi, entrò nella città di Enna facendo strage di nobili. Questa
azione diede il coraggio ad altri 6.000 schiavi della zona di ribellarsi e unirsi ad Euno,
proclamandolo Re con il nome di Antioco. Le gesta del piccolo esercito arrivarono alle orecchie di
un altro schiavo di nome Cleone, originario della Cilicia, che subito organizzò altri 14.000 uomini
da unire al contingente di Euno. I romani tentarono subito di contrastare i ribelli, ma i primi scontri
risultarono del tutto inutili, tant’è che nel primo anno di guerra i rivoltosi riuscirono a conquistare le
importanti città di Catania e Taormina. Nel 134 a.C., non essendo più i pretori in grado di arginare
la guerra, venne inviato in Sicilia il console Gaio Fulvio Flacco, ma anche questo tentativo non
impedì ad Euno di assediare Messana (Messina), alla guida di un esercito che ormai contava di quai
200.000 unità.La riscossa romana iniziò proprio da questo episodio, quando l’altro console Lucio
Calpurnio Pisone, alla guida di un forte esercito, sconfisse pesantemente i ribelli durante l’ultimo
assalto alla città. Nel 132 a.C., Euno e l’esercito ribelle veniva assediato a Taormina dal console
Publio Rupilio, che dopo la fine delle ostilità sarebbe divenuto governatore della Sicilia. Poco
dopo, anche la città di Enna, dove nel frattempo si erano rifugiati Euno e Cleone, cadde nelle mani
dei romani.
GIULIO CESARE
Cesare sbarcò in Egitto e si intromise nella politica egiziana facendo eleggere Cleopatra della quale
si era invaghito. Poi passò in Asia Minore dove sconfisse il figlio di Mitridate e sconfisse
definitivamente i Pompeiani in Africa Settentrionale.
Quando tornò a Roma era convinto che i tempi fossero maturi per passare ad un regime forte, di
tipo monarchico, accentrato nelle mani di uno solo, quindi si fece quindi nominare – come Silla –
dittatore a vita, che lo rendeva superiore a tutti gli altri magistrati e, con questi poteri, varò alcune
prime riforme:
- una grande riforma agraria, simile a quella dei Gracchi, con la quale molte terre dei
senatori furono distribuite ai veterani della Guerra gallica e della Guerra civile, i quali divennero,
così, piccoli proprietari contadini;
- una vasta serie di opere pubbliche, che diede lavoro ai numerosi nullatenenti della
capitale;
- la fondazione di colonie romane nelle province, che diede terra ai proletari;
- l’aumento del numero dei senatori, da 600 a 900, con l’immissione di personaggi che gli
erano fedeli e che garantivano di votare leggi in armonia;
- la concessione della cittadinanza romana agli abitanti della Cisalpina e a molte genti
della Gallia e della Spagna.
La plebe idolatrava Cesare e volle che gli fosse concesso a vita il titolo di imperatore, che lo
abilitava al comando di tutti gli eserciti; inoltre il nome del quinto mese del calendario romano,
quale “Quintilis”, fu cambiato in “Iulius”, ossia luglio.
Ottenne, inoltre, la potestà tribunizia, che gli permetteva di porre il veto alle deliberazioni degli
altri magistrati e del senato.
Il Senato, per ingraziarselo, stabilì addirittura che fosse divinizzato dopo la morte.
Il 15 marzo del 44 a.C. (le Idi di marzo, secondo il calendario romano) un gruppo di senatori, che
vedeva in lui il nemico della Costituzione repubblicana lo uccise a pugnalate, mentre entrava
nell’aula del Senato. Tra loro vi erano anche uno dei suoi figli adottivi, Marco Bruto.
OTTAVIANO AUGUSTO
Quando tornò a Roma nel 29, ricevette il titolo di Augustus, deriva da augeo, accresco, indicava la
caratteristica di un uomo che faceva aumentare il benessere dei cittadini.
Ebbe altri titoli:
- Princeps senatus: primo cittadino dello Stato
- Imperator: termine con cui si indicavano i generali vittoriosi
- Pontificato massimo: la più alta carica religiosa, aveva il controllo di tutte le funzioni
religiose
- Proconsolato per tutto l’impero: che gli permetteva di controllare tutte le province
strategiche
- Tribuno della plebe: permise di controllare le Assemblee della plebe, dove si potevano
votare leggi senza bisogno dell’approvazione del Senato
Fu un fautore del ritorno ai valori tradizionali degli antenati, il mos maiorum, cioè
quell’insieme di comportamenti e tradizioni che sono il fondamento dell'etica: esse
comprendono innanzitutto il senso civico, la pietas, il valore militare, l'austerità dei
comportamenti e il rispetto delle leggi.
Sviluppò un’intensa opera di promozione della cultura potenziando le biblioteche. I poeti
Virgilio, Orazio, Tito Livio descrissero l’età augustea come un periodo di pace e prosperità.
Mecenate è universalmente riconosciuto come uno dei fautori del successo politico e culturale
di Ottaviano Augusto, del quale fu amico della prima ora, nonché potente “ministro della
cultura”. Si deve infatti a lui la costruzione di quei solidi legami tra il principe e il fior fiore dei
poeti del tempo, CREANDO IL Circolo di Mecenate.
Fece edificare il foro di Augusto, l’ara pacis e il Pantheon.
Per amministrare al meglio l’impero, Ottaviano divise le province in 2 categorie:
- Senatorie: che versavano le tasse nell’erario, il tesoro statale
- Imperiali: affidate a persone fidate del principe, versavano i tributi al tesoro imperiale.
Visse fino a 77 anni ma non avendo figli, fu costretto a designare come successore Tiberio, suo
figliastro.
COMMODO 180/192:
si rivelò diverso dal padre: sregolato, narcisista e violento. Non amava i campi di battaglia e si
affrettò a concludere la pace con i Quadi e Marcomanni e rientrò a Roma in trionfo. COmmodo
voleva essere come Nerone, l’imperatore della plebe romana: si esibiva nell’arena vestito di una
pelle di leone per dare la caccia alle belve, prosciugando le casse dello stato.
Con l’arrivo della peste si creò una profonda crisi economica e militare dovuta anche
all’aggressione di nemici esterni come i Parti in Oriente e i Germani. Eppure commodo abbandonò
a se stessa l’amministrazione dello stato dedicandosi alla cura della sua persona.
Così facendo il senato complottò più volte nei suoi confronti fino al 192, quando venne assassinato
da alcuni senatori e dalla sua concubina Marcia.
DIOCLEZIANO:
la fine della dinastia dei Severi aprì un periodo di Anarchia militare: erano infatti i soldati a
proclamare gli imperatori, sperando di ottenere privilegi. Se poi il primcipe non manteneva quanto
promesso, veniva eliminato. Nel frattempo le pressioni dei barbari si fecero sempre più minacciose.
Si aggiunse anche la gravante della crisi economica che determinò la crisi dei piccolo proprietari e
quindi la fuga dalle campagne. Per cui in questo periodo si susseguirono una serie di imperatori che
governarono per pochissimo tempo.
Fino ad arrivare a Diocleziano, nato da una famiglia di umili origini. Nel 284 fu acclamato
imperatore mettendo fine alle lotte dinastiche. Si rese subito conto che un impero così vasto non
poteva essere governato da un solo re , per questo associò un abile generale, Massimiano, a cui
affidò il governo d’Occidente.
Nel 293 varò un nuovo sistema di governo, la tetrarchia, cioè governo a 4 in cui il potere veniva
diviso tra i due imperatori augusti. Diocleziano scelse il generale Galerio, mentre Massimiano
Costanzo Cloro. Dopo vent’anni i due imperatori avrebbero dovuto abdicare e lasciare il posto ai
loro cesari, in questo modo si sarebbero evitate lotte dinastiche. Per essere più vicini alle aree
maggiormente esposte a minacce esterne, ciascun tetrarca scelse un luogo diverso. Diocleziano
scelse Nicomedia, in Asia minore, Massimiano Milano, GAlerio SIrmio e Costanzo Treviri sul
Reno.
Nella tetrarchia Diocleziano assunse un ruolo predominante. Tanto da essere considerato di origine
divina.
Nel 303 emanò un editto di persecuzione dei cristiani, considerati una minaccia perché non
riconoscevano la religione romana ufficiale.
Modificò la struttura dell’esercito romano: furono creati reparti stanziati nelle città principali. Si
trattava di un esercito mobile (compagnia). Si trattava delle truppe migliori e meglio equipaggiate.
Lungo la frontiera invece, venne posto l’esercito di confine, costituito da limitanei, arruolati tra i
proprietari terrieri delle zone di confine. Per finanziare l’esercito, avviò una riforma fiscale. Essa
prevedeva un censimento della popolazione dell’impero; parallelamente venne realizzato un catasto,
cioè un inventario delle terre coltivabili, la loro estensione e il numero dei contadini che vi
lavoravano. Sulla base di quanto acertato, vennero introdotte:
-l’imposta fondiaria
-l’imposta personale:
Col tempo la pressione fiscale divenne gravosa per la popolazione cosi’ DIocleziano emanò l’editto
dei prezzi, con il quale impose valori massimi dei salari e dei prezzi a cui potevano essere
venduti i prodotti. I trasgressori venivano puniti con la pena di morte.
Molti cominciarono ad abbandonare le lor attività per sfuggire al fisco. Questa situazione rischiava
di mettere in crisi il sistema di raccolta delle imposte. Per questo impose l’ereditarietà dei
mestieri, cioè la proibizione di cambiare mestiere.
Nel 305 Diocleziano abdicò e morì nel 303. Ricominciarono le lotte per la conquista del trono im
quanto anche gli altri tetrarchi abdicarono.
COSTANTINO
Figlio di Costanzo Cloro, cominciò la sua carriera militare durante il governo di Diocleziano.
A Roma i pretoriani elessero imperatore Massenzio. Lo scontro tra Costantino e quest’ultimo fu
inevitabile. Fino al 312 quando Costantino lo sconfisse nella battaglia di Ponte Milvio. Ora
l’impero si trovava a essere gocernato da due augusti: Costantino regnava sull’occidente, Licinio
sull’Oriente. Secondo una tradizione leggendaria, Dio sarebbe apparso in sogno a Costantino
prima della battaglia di Ponte Milvio dicendo di apporre sugli scudi la croce per ottenere la vittoria.
Per questo si convertì al cristianesimo emanando l’editto di Milano o editto di tolleranza, oltre a
riconoscere la libertà di culto, l'editto di Milano determina l'obbligo di restituire tutti i luoghi,
beni e possedimenti in precedenza acquistati, requisiti o tolti ai cristiani durante il lungo
periodo delle persecuzioni. Costantino considerava la religione cristiana un potente strumento di
governo, così le Chiese furono ricostruite ( ad esempio San Pietro) ed esentate dal pagamento delle
tasse.
In campo amministrativo:
- Mantenne le 12 diocesi create da Diocleziano e le raggruppò in 4 grandi prefetture: quella
d’Oriente, d’Italia, delle Gallie e d’Africa.
- In campo militare: Capo supremo dell'esercito è l'imperatore. Sotto di lui 4 magistri militum,
col comando militare di una prefettura e ai suoi ordini un magister equitum e un magister
peditum e un certo numero di duces i quali avevano il comando territoriale di specifici tratti
di frontiera provinciale.
- istituì la carica del quaestor sacri palatii, incaricato di redigere leggi e responsi e di regolare
le alte carriere militari
- Accanto alla carriera civile c’era anche quella ecclesiastica in quanto Costantino aveva
provveduto ad assegnare poteri giurisdizionali ai vescovi.
- Introdusse una riforma monetaria: fece coniare il solidus d’oro, la moneta sostituì l'aureo
come principale moneta d'oro dell'Impero Romano.
Costantino e Licinio però perseguivano linee politiche diverse in quanto il primo era a favore dei
cristiani mentre il secondo dei pagani. Nacque così uno scontro tra i due il 18 settembre 324 che
vide la sconfitta di Licinio nella battaglia di Crispoli in Asia Minore. Così Costantino rimase
l’unico padrone dell’impero e la tetrarchia cessava di esistere. Divise l'impero tra i figli
assegnando a Costantino II Gallia, Spagna e Britannia, a Costanzo II le province asiatiche, l'Oriente
e l'Egitto e a Costante I l'Italia, l'Illirico e le province africane.
Egli fondò una nuova capitale, Costantinopoli, a Bisanzio nel 330. Il luogo venne scelto come
capitale nel 324 per le sue eccezionali qualità difensive e per la vicinanza ai minacciati confini
orientali e al danubiani. Inoltre, consentiva a Costantino di sottrarsi all'influenza invadente,
degli aristocratici presenti nel Senato romano, che tra l'altro erano per lo più ancora di
religione pagana, a differenza dell'imperatore. La creazione di una nuova capitale era necessaria
per fronteggiare il regno dei Persiani, ma allo stesso tempo era una presa d’atto che la parte più
importante dell’impero fosse l’Oriente.
Morì nel 337 e preferì non nominare un unico erede, ma dividere il potere tra i suoi tre figli cesari
Costante I, Costantino II e Costanzo II e due nipoti Dalmazio e Annibaliano.