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EUGENIO MONTALE

Eugenio Montale è stato definito il “poeta della disperazione” perché, chiuso in un freddo e insensibile
dolore, proietta il suo “male di vivere” sul mondo circostante, dando quasi origine ad una sofferenza che
non è solo umana, ma addirittura cosmica e universale. La sua visione pessimistica dell’esistenza, specie
nella consapevolezza della negatività di ogni mitologia o ideologia, lo spinge verso l’impegno a
oggettivare le cose, i paesaggi, i modi di sentire e gli eventi che possono tradurre ogni sua particolare
emozione.

Per Montale la vita è una terra desolata in cui gli uomini, gli oggetti e la stessa natura sono soltanto
squallide e nude presenze senza significato. In tal modo il Vivere precipita verso il Nulla. Ciò nonostante,
Montale è alla ricerca di un varco da cui poter fuggire per salvarsi. La sua è una negatività che ricerca la
positività. Infatti, nella negazione totale si offre una speranza di salvezza, di una grazia riservata a chi
saprà fuggire da se stesso e dalla propria chiusura.

Montale ritiene che tra l’uomo e l’assoluto sussista una realtà ineliminabile che Ungaretti, invece, tende
a trascendere o addirittura ad eliminare. È il mondo della realtà fenomenica che comprende la natura, le
cose e la storia in cui esse stesse risultano inserite. Alla realtà fenomenica si contrappone una realtà
metafisica che fa riferimento al destino ultimo dell’uomo che sarà da compiersi in un ulteriore
dimensione che lo trascende.

La parola, per Montale, non può aspirare a raggiungere direttamente l’assoluto in quanto essa deve
prima confrontarsi con il reale. Ciò, risulta l’unica speranza di accedere al mistero dell’esistenza. La parola
di Montale indica con precisione degli oggetti definiti e concreti e stabilisce tra di essi una trama di
relazioni complesse il cui fine ultimo è scoprire la direzione e il senso proprio della vita.

La poesia di Montale è stata strettamente connessa alla “poetica delle cose”, lungo una linea letteraria
che ha i suoi maggiori antecedenti in Pascoli e Gozzano, entrambi cari all’autore. La sua scelta letteraria
ricade, dunque, sulle “piccole cose”, ovvero su quegli elementi di una realtà povera che l’uomo può
ritrovare intorno a sé in qualsiasi momento della sua vita. Gli oggetti, le immagini, le voci della natura
diventano per lui degli “emblemi” in cui è trascritto, in forme oscure, il destino dell’uomo, nelle sue rare
gioie e speranze, ma soprattutto nell’infelicità di una condizione e di una condanna esistenziale che non
può offrire né certezze né illusioni.

OSSI DI SEPPIA
Ossi di seppia è la prima raccolta di Eugenio Montale. Il titolo scelto dal poeta è espressione del
sentimento di emarginazione ed aridità nel rapporto con la realtà che caratterizza la prima parte della
sua opera poetica. Il rapporto dell’uomo con la natura non è più simbiotico; Montale rifiuta la tradizione
a lui antecedente della fusione tra l'io poetico e il mondo naturale, così che il paesaggio ligure diventa
nudo e desolato come un osso di seppia. Il sole è una presenza costante che secca tutto ciò che
raggiunge coi suoi raggi, e l'aspro paesaggio naturale ed animale che l'occhio del poeta descrive è un
trasparente simbolo di un suo profondo ed inestirpabile disagio esistenziale.

Ossi di seppia esprime l’impossibilità quasi filosofica da parte di Montale di scrivere di argomenti e valori
‘alti’, e la conseguente rinuncia a diventare un poeta vate quasi sacerdotale, come D’Annunzio prima di
lui. Non si riesce più ad utilizzare la poesia per spiegare realmente la vita e il rapporto dell’uomo con la
natura: la realtà stessa appare incomprensibile e inesprimibile, ed il poeta non può che mettere in
evidenza questa percezione negativa del suo stare al mondo. Solo di tanto in tanto intravediamo qualche
guizzo di speranza, in cui sembra che, per un breve momento, l’uomo possa scoprire la verità ultima che
si cela dietro le apparenze del mondo. Questi toni pessimistici e il connesso "male di vivere" montaliano
si riflettono nello stile prevalente delle poesie di Ossi di seppia che privilegia un lessico non aulico, una
sintassi tendenzialmente prosastica. Il recupero e la profonda rielaborazione formale e contenutistica
della tradizione letteraria italiana fanno sì che la prima raccolta sia un punto fermo tra i più noti e
penetranti della nostra poesia novecentesca.

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