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Storiografia

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Per storiografia s'intende la descrizione della storia (in greco graphia, da graphè,
"descrizione") e comprende tutte le forme di interpretazione, di trattazione e trasmissione
di fatti e accadimenti della vita degli individui e delle società del passato storico. Con il
termine storiografia si indicano anche tutte le opere storiche relative a uno specifico
periodo o che si riferiscono a un definito argomento o scritte in osservanza a un
determinato metodo[1]

Indice

 1Storia e storiografia
o 1.1Definizione di Storia
o 1.2Definizione di storiografia e di conoscenza storica
o 1.3Le fonti
o 1.4Metodologie storiografiche
o 1.5Storia nota e ignota
o 1.6Finalità della storia
 2Storia della storiografia
o 2.1Storiografia antica
 2.1.1Le origini della storiografia: Erodoto e Tucidide
 2.1.2L'età classica
 2.1.3L'età ellenistica
 2.1.4Storiografia romana
o 2.2Storiografia medievale
o 2.3Storiografia rinascimentale
o 2.4La storiografia nell'età della Controriforma
o 2.5Storiografia illuministica
o 2.6Storiografia romantica
o 2.7Storiografia contemporanea
 2.7.1Von Ranke e la professionalizzazione della storia
 2.7.2Burckhardt e la nascita della storia culturale
 2.7.3La storiografia marxista
 2.7.4La scuola delle Annales
 2.7.5La microstoria
 2.7.6La New Cultural History
 2.7.7La World History
 3I caratteri della storiografia moderna
 4Note
 5Bibliografia
 6Voci correlate
 7Altri progetti
 8Collegamenti esterni

Storia e storiografia[modifica | modifica wikitesto]


Nell'uso corrente il termine storia viene usato indifferentemente per designare due insiemi
che in realtà hanno significati diversi e per alcuni aspetti opposti. Per non cadere in questo
equivoco occorrerebbe distinguere la storia - propriamente detta che è un insieme di fatti
accaduti (res gestae) - dalla storiografia, che è un insieme di forme di scrittura e
interpretazione di quei fatti. Per loro natura la storia è oggettiva mentre la storiografia è
soggettiva, dal momento che di uno stesso fatto si possono dare diverse interpretazioni.
Definizione di Storia[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Storia.

Con il termine di "Storia", nella sua più ampia accezione, si intende il complesso di tutte le
vicende e trasformazioni accadute, note ed ignote, che si sono verificate nell'ultima
piccolissima parte del passato. La Storia infatti non corrisponde a tutto il passato
compreso tra la supposta origine dell'Universo (o della Terra) e il presente (13, 7 miliardi di
anni), ma a quella sua piccola frazione (circa 50.000-100.000 anni) in cui si è avuta la
presenza umana su questo pianeta. Per capirne le proporzioni, se tutto il passato
corrispondesse a 24 ore, la storia occuperebbe solo gli ultimi 6 decimi di secondo.
Purtroppo è diffusissima la supposizione errata che la Storia inizi con l'invenzione
della scrittura, che in realtà è solo il passaggio tra Preistoria ed Età Antica. In realtà
quell'evento non ha alcun significato universale, dato che riguardò solo le culture che ne
furono influenzate nell'area euroasiatica. L'errore deriva da una persistente visione
eurocentrica che ha diviso la storia in periodi (periodizzazione) e che ha scelto come
evento di passaggio tra la prima parte della Storia (la Protostoria) e l'Età Antica per
l'appunto l'invenzione della scrittura. In tal modo si escluderebbero dalla Storia non solo
la Preistoria, ma tutti i popoli degli altri contesti e tutti coloro che non hanno utilizzato per
millenni la scrittura. In proposito vale ancora la metafora efficace di Marc Bloch: "Lo
storico è come l'orco della fiaba: là dove fiuta odore di carne umana, là sa che è la sua
preda."[2]
La storia così intesa come insieme di eventi, è oggettiva, dato che tutti i fatti, noti e ignoti,
che la compongono, cambiano la realtà precedente e sono irreversibili e irripetibili.
Volendo suddividere i fatti che la compongono, si possono individuare:

 gli eventi: avvenimenti di breve o brevissima durata che il più delle volte hanno
un'incidenza limitata, ma che a volte possono avere anche portata e
ripercussioni molto persistenti (terremoti, cataclismi, grandi battaglie);
 i fenomeni: andamenti che si svolgono durante periodi più lunghi, estesi almeno
nell'arco di una generazione. Tendenze e svolgimenti di portata ampia che si
svolgono prevalentemente in campo economico, sociale, demografico, culturale;
 le evoluzioni: trasformazioni di lunghissima durata e portata amplissima. Si
estendono oltre le singole epoche storiche e a volte risalgono anche a tempi
precedenti alla comparsa dell'uomo
(mutazioni astronomiche, geologiche, climatiche, ecc.).
La storia procede per processi di trasformazione, o evolutivi, attraverso una transizione
continua, in cui evoluzioni, fenomeni ed eventi, motivazioni e accidentalità, fattori
ambientali e umani, contrasti e coincidenze si intrecciano, si urtano, rimbalzano, si
deformano, scompaiono e riappaiono, influenzati da rapporti di causalità, come dalle
perturbazioni della causalità e si attuano secondo svolgimenti previsti e imprevedibili. Tutto
ciò confluisce a formare delle congiunture, in altre parole quelle combinazioni eterogenee
di situazioni e di fatti che, proprio per la loro complessità interna sono irripetibili. Ogni
periodo della storia può essere visto come la combinazione di un'ampia gamma di
concomitanti condizioni, circostanze, fattori, andamenti e variazioni di origine remota,
recente o contemporanea.[3]
Definizione di storiografia e di conoscenza storica[modifica | modifica
wikitesto]
La storiografia, cioè la descrizione dei fatti nella storia, è l'insieme di tutte le forme e
maniere di interpretare, trasmettere, studiare e raccontare i fatti accaduti, cioè la storia
propriamente detta. Dato che ogni considerazione, ricerca ed esposizione su ciò che è
avvenuto deriva da interpretazioni personali, influenzate e condizionate dal clima culturale
e politico in cui opera l'interprete, la storiografia è soggettiva, parziale e provvisoria. Anzi
siccome ogni persona tra i miliardi di quelle viventi dispone di una personalità unica e
irripetibile che ricorda, filtra e interpreta i fatti e le notizie in maniera propria e peculiare, si
può affermare che di ogni fatto possono esistere tante interpretazioni storiografiche quanti
sono gli esseri pensanti che lo prendano in considerazione, anche se è agli storici che si
delega il compito di fornire le esposizioni più fondate e attendibili. La differenza tra storia e
storiografia è quindi analoga a quella che c'è tra un fatto e il suo ricordo, tra vivere una
vicenda e raccontarla. Dopo che si è attuata nei suoi tempi, nei suoi modi e con i suoi
effetti oggettivi, se ne ricorda e se ne riporta solo una sintesi nella quale del reale
svolgimento rimangono alcune immagini, sensazioni e prospettive, selezionate e
compresse dalla nostra memoria e dalla nostra interpretazione in maniera del tutto
personale e soggettiva.
Data la sua relatività, la storiografia non può produrre verità storiche, o meglio
storiografiche, inamovibili e assolute, dovendosi parlare sempre di ricostruzioni,
interpretazioni e conoscenze più o meno attendibili, che rimangono comunque sempre
parziali e provvisorie.
Dalla storiografia deriva la conoscenza storica che può essere individuale, quando deriva
dalla ricerca, dalla didattica, dall'apprendimento e dalla divulgazione, o collettiva, che
deriva dalle capacità del sistema scolastico e dei mass media.
Dalla conoscenza storica dipendono la sensibilità e interesse per il Patrimonio dato dai
beni ambientali e storico/artistici.[4]
Le fonti[modifica | modifica wikitesto]
Alla base della conoscenza della storia ci sono le fonti, cioè le impronte lasciate dai fatti
sotto forma di manufatti, tracce, testimonianze, documenti e resti. Tutte le azioni umane e
tutti i fenomeni naturali producono risultati concreti che ne divengono gli attestati; pertanto
ogni essere vivente e ogni oggetto è fonte di conoscenza sugli eventi e sulle eventuali
volontà che l'hanno generato e trasformato e quindi oltre che sulla sua origine, anche sulle
sue motivazioni, sulla sua funzione e sui suoi contatti.
La denominazione di fonte, col suo richiamo implicito allo sgorgare, al venire alla luce e al
manifestarsi dell'acqua, è particolarmente efficace per indicare queste impronte del
passato. Come l'acqua sorgiva può scorrere sotterranea prima di apparire, così le fonti
delle conoscenze storiche possono rimanere a lungo ignote e occultate prima di rivelarsi o
essere ritrovate. Infatti esse non sono sempre rimaste note e; soprattutto tra quelle di
origine più remota molte sono state perdute o nascoste o trascurate e ricompaiono o si
manifestano solo in seguito al loro ritrovamento o al loro riconoscimento. A volte e sempre
in maggior misura la scoperta di nuove fonti o di loro particolari aspetti prima trascurati è
frutto dello sviluppo dei metodi e degli strumenti di ricerca e delle tecnologie di analisi.
Le fonti possono essere considerate le radici e i puntelli delle ricerche storiche, poiché la
loro disponibilità è essenziale, ma non si traduce automaticamente in notizie e
informazioni certe. Perché se ne possano dedurre conoscenze affidabili si rende
necessaria un'opera di analisi e di decifrazione, dato che spesso si mostrano con
un'apparenza ingannevole. Quella di saperle interpretare scoprendo ciò che di reale si
nasconde dietro la loro facciata è una delle sfide più ardue che chi svolge ricerche storiche
deve affrontare. Pertanto ogni oggetto, scritto o traccia può divenire testimonianza e
rivelare informazioni attendibili solo in ragione delle capacità del suo interlocutore di
osservarla e di interrogarla. Tale capacità si persegue attraverso la critica, tesa ad
accertare cosa la fonte può o non può rivelare, e l'esegesi, cioè la decodifica,
l'interpretazione, l'esposizione e il commento dei suoi contenuti.
Da quanto affermato appare evidente che sono da considerare fonti non soltanto quelle
scritte - come a volte si suppone - ma anche l'infinita varietà delle altre impronte del
passato. Quelle scritte insieme a quelle cartografiche sono generalmente raccolte negli
archivi pubblici e privati, civili ed ecclesiastici. Tra quelle di altra natura, alcuni oggetti e
resti di particolare pregio, rarità e valore documentario sono conservati nei musei. Occorre
però ricordare che abbiamo continuamente sotto gli occhi fonti ed archivi che non sono
racchiusi e delimitati in alcuna sede preposta. Ogni persona e ogni paesaggio è un
concentrato di fonti della sua storia. Si può affermare che il mondo intero è una grande
raccolta di fonti e che pertanto ciascun ambiente, paesaggio e territorio è fonte, archivio e
museo della sua storia. Le indagini storiche possono essere paragonate alle composizioni
di mosaici ed essere tanto più complete e attendibili quanto più ampia è la disponibilità di
notizie. Ma dato che le fonti non sono presenti in ugual misura per tutte le epoche della
storia, cambia di conseguenza anche il lavoro e l'atteggiamento degli storici nei loro
confronti. Per i tempi più recenti l'abbondanza delle fonti, pur consentendo ricostruzioni più
particolareggiate, obbliga a selezionarle preventivamente con un lavoro di scelta che
implica già un'interpretazione. Man mano si retrocede nel tempo divengono sempre più
rare e oscure lasciando ampi vuoti e crescenti dubbi e costringendo i ricercatori ad
attingere a indizi e sintomi, a ricorrere ad analogie, congetture e deduzioni, o addirittura a
proporre ricostruzioni prevalentemente ipotetiche e indiziarie. [5]
Metodologie storiografiche[modifica | modifica wikitesto]
Le metodologie storiografiche sono costituite dai metodi di indagine, di interpretazione e di
esposizione delle ricerche storiche. Le grandi discriminanti sono il rapporto con le fonti e il
loro uso. Alcuni storici se ne avvalgono in maniera diretta e pertanto sono più attendibili;
altri preferiscono disquisire sulle interpretazioni dei loro colleghi conferendo maggior peso
al proprio pensiero.
Storia nota e ignota[modifica | modifica wikitesto]
La storia può essere indagata attraverso le tracce che hanno lasciato i suoi fatti: le fonti.
Ogni cosa corporea e incorporea è fonte delle vicende che l'hanno generata e può essere
interpretata. Noi stessi siamo fonti storiche. I nostri comportamenti e la nostra cultura sono
frutto di una lunga evoluzione che risale ai primi esemplari della nostra specie; se fossimo
in grado di interpretare il nostro patrimonio genetico tramandato nelle varie generazioni, vi
potremmo leggere moltissime informazioni sul nostro passato. Se la storia è costituita da
quel minimo frammento passato in cui è stata presente l'umanità, dobbiamo constatare
che di questa parte così ridotta conosciamo solo una piccolissima porzione. È per questo
che è utile distinguere la storia nota, che è molto limitata, da quella ignota, che è invece
costituisce la stragrande porzione dell'intera storia. La storia ignota è tale o per la perdita
delle sue tracce, per occultamenti volontari e involontari, o per la nostra incapacità di
leggerne le fonti. Ogni volta che si recupera un reperto archeologico o che si rintraccia un
documento perduto o che si utilizzano nuove tecniche per leggere le fonti si ha l'occasione
di ampliare le nostre conoscenze su quanto ancora non sappiamo della nostra storia, ma
sapendo comunque che non riusciremo mai a riequilibrare il rapporto tra ciò che
conosciamo e ciò che ignoriamo.[5]
Finalità della storia[modifica | modifica wikitesto]
Si studia la storia per capire il presente e noi stessi. Si studia se stessi per capire
la società, lo Stato, la civiltà nella quale si vive, anche, e soprattutto, in rapporto con il
passato.
Nel momento in cui si nasce si eredita anche quella parte oscura che è il nostro passato,
con cui mantiene legami tutto il nostro successivo agire. La storia può e deve integrarsi
con le altre materie scientifiche attraverso studi interdisciplinari, allo scopo di illuminare il
più possibile il nostro percorso evolutivo.
È la mancanza d'identità, vale a dire il difetto di conoscenza delle proprie radici, a portare
l'intolleranza, che è alimentata inoltre dalla mancanza di una corretta conoscenza della
storia degli altri, dell'altrui punto di vista e dello spirito di accettazione delle alterità.

Storia della storiografia[modifica | modifica wikitesto]


Tutte le interpretazioni dei fatti non possono che essere diverse, non solo perché personali
e soggettive, ma anche perché a loro volta influenzate dai diversi punti di osservazione o
di vista, cioè dai contesti culturali che si differenziano nello spazio e nel tempo (ad
esempio: nello spazio, per le diverse aree geopolitiche attuali; nel tempo, per le correnti di
pensiero e i contesti ideologici che si sono succeduti). Per questo è possibile tracciare una
storia della storiografia.
Storiografia antica[modifica | modifica wikitesto]
Chi era lo "storico" antico? Era uno che descriveva e raccontava quello che aveva visto e
sentito personalmente o indirettamente: fatti, vicende e popoli. Il punto di vista della prima
storiografia era costituito quindi dal “presente”: solo successivamente l’attenzione dello
storico cominciò a orientarsi anche verso il passato, ricostruito in qualche modo attraverso
le memorie e i documenti, le tracce. Naturalmente la storiografia “scientifica” era cosa ben
diversa dalla mitologia, che già conteneva riferimenti al passato più o meno lontano: lo
storiografo non era il poeta, e quindi cercava di spiegare “perché” erano avvenuti
determinati fatti, individuando le “cause” remote degli eventi accaduti nel presente.
Le singole vicende furono dunque inquadrate in un contesto logico-cronologico coerente e
interdipendente, fondato soprattutto sul rapporto di causa-effetto. Gli elementi mitici e
leggendari furono esclusi dalla trattazione storica. Anche lo strumento espressivo era
diverso: gli storici scrivevano solo in prosa, il verso era ormai superato e ritenuto
inadeguato allo scopo. Per gli antichi scrivere storia significava tramandare fatti realmente
accaduti badando non solo a registrare gli eventi, ma a individuare le connessioni, i
rapporti di causa, e possibilmente ricavandone un insegnamento. Al di là di questo intento
di base abbastanza generico, che può valere anche per la storiografia di altri periodi,
alcuni elementi caratterizzano più specificamente la storiografia antica:

 l'esigenza del discernimento, che portava a selezionare i fatti importanti, da


tramandare, da quelli secondari e a distinguere le cause vere dai pretesti e dalle
cause occasionali;
 l'aspirazione alla veridicità e all'imparzialità in quanto condizioni per una
ricostruzione fedele degli eventi; solo per i discorsi dei personaggi era ammessa
una ricostruzione approssimativa (non quello che essi avevano detto, ma quello
che essi avrebbero potuto dire);
 l'impostazione pragmatica, cioè fondata sulla concretezza dei diversi fatti
militari, strategici, politico-istituzionali, ecc.;
 la documentazione, che poteva derivare dalla testimonianza diretta (in
greco autopsia, "il vedere da sé"), dallo studio dei documenti, dalla conoscenza
delle dinamiche politiche;
 la patina letteraria, tanto che lo scritto di storia era inteso come opus oratorium
maxime (Cicerone), nel senso che il racconto si snodava in una prosa d'arte
che, accanto ad un utile insegnamento, doveva anche offrire un piacevole
intrattenimento letterario;
 l'interesse per i personaggi, cioè il cosiddetto metodo prosopografico (dal
greco pròsopon, "faccia", e gràpho, quindi "notizia di personaggi") che
privilegiava le imprese di pochi protagonisti trascurando perlopiù le condizioni
economiche e sociali, la mentalità popolare, la vita quotidiana;
 l'idea che la storia sia magistra vitae in quanto consente di fare previsioni per il
futuro sulla base di quello che è accaduto in precedenza: gli antichi infatti,
avendo una concezione circolare del tempo, ritenevano che la storia si ripetesse
e quindi l'uomo potesse trarre dagli esempi del passato una lezione su come
comportarsi in analoghe circostanze. Quindi l'attività dello storico doveva avere
anche lo scopo di far emergere l'insegnamento della storia.
Le origini della storiografia: Erodoto e Tucidide[modifica | modifica wikitesto]

Erodoto, autore delle Storie

Se i primi passi nel campo storiografico avvengono tra la fine del VI e l'inizio del V secolo
a.C. dalle ricerche geo-etnografiche o genealogiche dei primi logografi (tra cui il più
famoso fu Ecateo di Mileto), la storiografia greca raggiunse la piena dignità con l'opera
di Erodoto di Alicarnasso (V secolo a.C.), fin dall'antichità considerato il vero padre della
storia.
Durante i conflitti con l'Impero Persiano viene a costruirsi dentro l'ecumene greca una
identità comune che si basa principalmente su una costruzione politica antitetica a quella
delle monarchie orientali.[6] Da ciò ne scaturisce una consapevole riflessione sulle vicende
del popolo greco, nei suoi rapporti col mondo barbarico (essenzialmente l'Impero
achemenide), ma anche nella dinamica dei suoi rapporti interni.
In Erodoto il peso della tradizione logografica si fa ancora sentire, specialmente nella
prima parte dell'opera, nell'impostazione per singoli lògoi, cioè per sezioni su base etnica e
territoriale, anche se essa appare contemperata dall'esigenza di presentare un evento
come le guerre tra Greci e Persiani (combattute fra il 490 ed il 478 a.C.) nel contesto di
una visione generale dell'uomo e della storia. Un primo enunciato di metodo si incontra nel
proemio delle Storie:
«Espone qui Erodoto di Alicarnasso le sue ricerche, perché delle cose avvenute da parte degli uomini non
svanisca col tempo il ricordo; né, di opere grandi e meravigliose, compiute sia da Elleni sia da Barbari, si
oscuri la gloria; e narrerà fra l'altro per quale causa si siano combattuti fra loro.»
(Erodoto di Alicarnasso, Storie, I proemio)
In questo breve proemio, la comparsa del termine historìes (da connettere con la
radice id- di "vedere", il cui perfetto òida assume il significato di "ho visto", quindi
"conosco", "so") rende l'idea di una ricerca condotta in preparazione dell'opera: una
ricerca che poteva abbracciare avvenimenti, tradizioni etnografiche, resoconti di viaggi,
notizie geografiche, ma che, per il fatto stesso di sussistere, prendeva le distanze
dall'oralità dei rapsodi e dei poeti lirici. Anche i rapsodi ed i poeti erano animati dal
desiderio di non lasciare che si oscurasse la fama delle gesta compiute, ma la memoria
collettiva tramandata da Erodoto è frutto di una indagine razionale che, pur non
escludendo la dimensione religiosa del mito, pur registrando tradizioni e notizie
stravaganti, ha messo in salvo una quantità enorme di preziosi materiali che costituiscono
ancora oggi la fonte principale per lo studioso delle guerre persiane.
Di questa attitudine documentaria apparirà consapevole Erodoto stesso, quando, dopo
aver presentato le origini mitiche del conflitto tra i greci e popoli dell'Asia, esprimeva una
prima professione di imparzialità nel narrare gli avvenimenti:
«Così raccontano i Persiani e i Fenici. Ma non di questo intendo io parlare: se così o diversamente si siano
svolti tali fatti. Comincerò, invece, dall'indicare colui di cui so che fu il primo a far torto agli Elleni; e
proseguirò poi nel racconto trattando di città piccole e grandi, degli uomini, senza far differenza: perché
quelle che erano grandi in antico sono per lo più diventate piccole, e quelle che ai miei tempi erano grandi
erano prima state piccole. Sicché, conoscendo la perpetua incostanza del benessere umano, ricorderò le une e
le altre senza fare differenza.»
(Erodoto di Alicarnasso, Storie, I 5, 3-4)
Tucidide, autore de La guerra del Peloponneso

Il definitivo superamento della tradizione logografica si ebbe, alla fine del V secolo a.C.,
con le Storie che l'ateniese Tucidide dedicò ai primi vent'anni alla guerra del
Peloponneso (431-411 a.C.), facendovi precedere una breve sintesi della più antica storia
del mondo greco (la cosiddetta archeologia) e un'ampia trattazione delle cause del
conflitto, attraverso una dettagliata indagine del cinquantennio precedente. Tucidide si
proponeva di ricostruire, attraverso un'indagine molto rigorosa, i fatti nella loro effettiva
realtà, escludendo il favoloso e il soprannaturale e rifiutando programmaticamente ogni
abbellimento retorico, fatta eccezione per discorsi fittizi, nei quali cercò di ricostruire
il senso generale delle parole effettivamente pronunciate. In questo modo egli fondò la
cosiddetta storiografia pragmatica, che non intendeva fornire semplicemente
un'interpretazione del passato, ma, pretendendo di avere individuato una serie di costanti
nella natura umana e nel suo operato, si autoproclamava un'acquisizione per sempre,
ossia un mezzo valido per comprendere ogni realtà futura e agire di conseguenza. Il V
secolo a.C., il secolo della "rivoluzione culturale" della Grecia antica, fu il secolo in cui si
affermò pienamente lo spirito razionalistico e scientifico della cultura greca. In questo
contesto si collocò anche la nascita della scienza storiografica, i cui fondatori sono
considerati unanimemente Erodoto e Tucidide.
Gli studiosi successivi hanno colto differenze e affinità tra i due "padri della storiografia":
ad esempio, era comune a entrambi l’attenzione prevalente verso il presente o verso il
passato prossimo e inoltre tutti e due tendevano ad individuare le cause delle vicende
storiche nelle volontà e nelle passioni degli uomini. Soprattutto i grandi uomini, nel bene o
nel male, facevano la storia, che svelava quindi la natura umana. Ciò che li differenziava
era invece una certa attitudine di Erodoto a servirsi ancora dei racconti e degli elementi
poetici e mitologici e a giudicare i fatti sulla base di criteri etici, mentre Tucidide appariva
più “moderno”, nel senso che mirava a raggiungere una maggiore “oggettività” e
imparzialità di giudizio. Un merito indiscusso della storiografia greca fu inoltre quello di
ampliare le conoscenze etniche, culturali e geografiche dei greci: le ricerche storiche infatti
superarono i ristretti confini del mondo greco e rivelarono l’esistenza di altri popoli e civiltà.
L'età classica[modifica | modifica wikitesto]
Tutta la storiografia successiva si muove nel solco tracciato da Erodoto e Tucidide. A
Erodoto (senza peraltro condividerne la curiosità antropologica) si richiamava
formalmente, per la presenza di singoli excursus sui popoli stranieri venuti a contatto con
la grecità, Eforo di Cuma, autore di una storia generale del mondo ellenico ampiamente
basata sulla compilazione di fonti precedenti, della quale possediamo solo frammenti.
Diversi autori scrissero storie del mondo greco che si ponevano consapevolmente come
continuazione dell'opera storica di Tucidide, bruscamente interrotta al 411, in pieno
svolgimento della guerra del Peloponneso: nacquero così le Elleniche di Senofonte e
quelle, per noi perdute, di Teopompo di Chio che narravano rispettivamente gli eventi dal
411 al 362 a.C. e dal 411 al 394 a.C.; di autore anonimo sono le cosiddette Elleniche di
Ossirinco (dal nome della località egiziana del ritrovamento papiraceo che le ha
parzialmente restituite), la cui parte conservata concerne l'anno 396/395 a.C.
Nella sua vasta e poligrafica attività letteraria, Senofonte diede vita anche ad altri filoni
storiografici o di genere affine alla storiografia: con l’Anabasi, resoconto dell'avanzata
all'interno dell'Asia, e della successiva avventurosa ritirata, di un esercito di mercenari
greci di cui Senofonte stesso si trovò ad assumere il comando, egli creò il genere della
memorialistica militare, che eserciterà un incerto influsso sui Commentarii cesariani; con
la Ciropedia, biografia romanzata e agiografica di Ciro il Grande, fondatore dell'impero
persiano, presentato come modello di monarca ideale, diede vita alla storia romanzata e
con l'Agesilao, re spartano pure vagheggiato come modello, creò l'archetipo della biografia
encomiastica. Con le Storie filippiche di Teopompo, che esponevano gli eventi del mondo
greco dal 359 al 336 a.C. ponendo al centro dell'interesse la figura di Filippo II, re
di Macedonia), nasce la monografia storica, incentrata su una singola personalità e di
conseguenza su un limitato periodo di tempo. Con il riassunto, dovuto allo stesso
Teopompo, delle Storie di Erodoto, prende corpo il filone dell'epitome, destinato a grande
successo:)
L'età ellenistica[modifica | modifica wikitesto]
La fase più antica della storiografia ellenistica concentrò la sua attenzione sull'impresa
orientale di Alessandro Magno, sul disfacimento del suo impero, sulla conseguente
formazione delle monarchie greco-macedoni e successivamente sulla storia dei loro
rapporti (per esempio Clitarco di Alessandria, Ieronimo di Cardia, Duride di Samo, Filarco
di Atene). La storiografia di questo periodo, in buona parte perduta, appartiene in
prevalenza al filone patetico o drammatico: essa mirò a suscitare nel lettore intense
emozioni attraverso artifici (come gli imprevisti, le peripezie, i colpi di scena) paragonabili a
quelli della tragedia classica. Questo tipo di rappresentazione tragica degli avvenimenti
caratterizzò tanto la storiografia incentrata sulla figura di Alessandro Magno, quanto quella
successiva, che andava spostando il proprio baricentro verso Occidente, in quanto
diventava ormai inevitabile fare i conti con una nuova potenza e con la sua rapida ascesa:
Roma aveva cominciato ad affacciarsi sullo scenario del Mediterraneo.
Storiografia romana[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Storiografia romana.

Quando, al volgere del III secolo a.C., a Roma si cominciò a sentire l'esigenza di


ricostruire (e di esaltare) il proprio passato nelle forme dell'indagine storica, la storiografia
greca aveva ormai alle proprie spalle tre secoli di tradizione. Ma già ai tempi di Polibio,
mentre scriveva le sue Storie, a sua volta la storiografia aveva da tempo fatto il suo
ingresso nella letteratura latina. Era inevitabile, ad ogni modo, che i primi storici latini si
confrontassero con i modelli greci - come del resto accadde negli altri generi letterari, vista
la recenziorità della letteratura latina. I cosiddetti annalisti della prima generazione, Quinto
Fabio Pittore e Lucio Cincio Alimento, se da un lato cercarono un modello strutturale nella
tradizione indigena degli Annales pontificum (o Annales maximi), cioè nelle cronache
annualmente compilate e affisse a cura del pontefice massimo (il presidente del collegio
sacerdotale dei pontefici) per informare la comunità sui principale avvenimenti, dall'altro
non si limitarono a desumere dagli storici greci l'interesse per la ricerca delle cause o la
datazioni per olimpiadi o una serie di notizie sulla storia stessa di Roma, ma si spinsero
fino a utilizzarne la lingua. La rinuncia alla creazione di un linguaggio storiografico latino
può essere stata determinata da un senso di frustrazione di fronte al secolare prestigio
della storiografia greca, ma anche e soprattutto dal desiderio di farsi capire, attraverso
l'uso di una sorta di lingua franca della cultura, dal consesso internazionale degli
intellettuale, e cioè in sostanza dal mondo greco o ellenizzato, nel quale proprio sullo
scorcio del III secolo a.C. si era fatto sempre più forte l'interesse per Roma e la sua storia,
ma andava anche crescendo la diffidenza verso la nuova potenza. In particolare, Quinto
Fabio Pittore nella sua opera intendeva controbattere, secondo Polibio, l'interpretazione
filocartaginese della sua prima guerra punica che era stata fornita dallo storico greco Filino
di Agrigento.
Quinto Fabio Pittore e Lucio Cincio Alimento furono entrambi attivi al tempo della seconda
guerra punica: dopo la rotta di Canne (216 a.C.), Fabio capeggiò, forse in ragione della
sua dimestichezza col greco, la delegazione inviata a consultare l'oracolo di Apollo a Delfi;
Cincio, pretore nel 210 in Sicilia, fu poi catturato da Annibale. Entrambi scrissero in greco
una storia di Roma dalle origini leggendarie e dalla fondazione (che posero
rispettivamente nel 747 e nel 729 a.C.) fino all'età contemporanea, cioè fino alla seconda
guerra punica, inserendo anche riferimenti autobiografici (come poi farà lo stesso Catone)
ed esponendo i fatti anno per anno. L'opera di Fabio, indicata dalle fonti come Annales,
trattava più dettagliatamente il periodo più antico e quello più recente della storia di Roma
ed era volta ad esaltare, attraverso le figure dei suoi eminenti rappresentanti, il ruolo
avutovi dall'antichissima gens aristocratica dei Fabii, dando vita così a una storiografia
individualista e filopatrizia, in cui la storia era vista come il prodotto di singole grandi
personalità appartenenti alla nobilitas.

Marco Porcio Catone, autore delle Origines.

All'impostazione cronachistica, individualista e filopatrizia dei primi annalisti, nonché all'uso


della lingua greca, si oppose vigorosamente, negli ultimi anni della sua lunga e operosa
esistenza, Marco Porcio Catone, cui spetta il merito di aver fondato, con le Origines, una
storiografia nazionale in lingua latina, in cui la storia di Roma era inserita nel contesto di
quella dei popoli italici e vista come il risultato dell'agire di un'intera comunità. Con la
storiografia di Catone nasceva un genere di importanza assolutamente fondamentale. Al
ruolo di documentazione culturale che è proprio di tutti gli altri generi letterari la storiografia
aggiunge infatti un valore specifico, nel senso che proprio agli scritti degli storici noi
dobbiamo la conoscenza dell'antichità. Ebbene, questo filone interrotto che dall'età arcaica
giunge alla tarda antichità fa capo proprio a Catone, il cui esempio fu assolutamente
determinante sul piano della lingua: dopo i lui, i cosiddetti annalisti della seconda
generazione o annalisti di mezzo, attivi nella seconda metà del II secolo a.C., rinunciarono
infatti definitivamente a scrivere in greco.
Tra la fine del II e la prima metà del I secolo a.C., per quanto il tradizionale modello
annalistico delle storie generali continuasse a mostrarsi vitale (sono di questo periodo
gli Annales di Claudio Quadrigario e di Valerio Anziate), si manifestò una tendenza a
ridurre la trattazione entro limiti cronologici o temetici più ristretti, anche inaugurando
nuove forme di narrazione storica, come quella dei commentarii - a metà strada tra
autobiografia, memorialistica e storiografia - che trovarono la migliore espressione in
Cesare, o come le monografie tematiche di Sallustio.
Storiografia medievale[modifica | modifica wikitesto]
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Storiografia rinascimentale[modifica | modifica wikitesto]

Machiavelli, autore delle Istorie fiorentine

Gli storici rinascimentali, tra i quali furono insigni Flavio Biondo (nel XV secolo),


Machiavelli e Guicciardini (nel XVI secolo), abbandonarono la visione medievale legata a
un concetto di tempo segnato dall'avvento di Cristo, per sviluppare un'analisi degli
avvenimenti concepita laicamente, con un atteggiamento critico verso le fonti. La storia
divenne una branca della letteratura e non più della teologia e si rifiutò la convenzionale
divisione cristiana che doveva avere inizio con la Creazione, seguita
dall'Incarnazione di Gesù e dal Giudizio finale. La visione rinascimentale esaltava invece il
mondo greco-romano, condannando il Medioevo come un'era di barbarie e proclamando
la nuova epoca come era di luce e di rinascita del mondo classico.
La storiografia nell'età della Controriforma[modifica | modifica wikitesto]
Se la storiografia rinascimentale mantenne un tono prevalentemente retorico e moralistico-
pedagogico, con l'avvento del tacitismo si fece strada un nuovo gusto della storia,
dominato da un’intensa meditazione politica. «Il nuovo atteggiamento poneva come fine
ultimo alla storia, la «prudenza»: metteva ossia la lettura delle storie a fondamento di una
politica non utopistica, ma induttiva e storica, funzionalizzando totalmente la verità della
storia alla verità politica (la conoscenza della vera tecnica di governo dei principi) [7]. Di
conseguenza, lo storico dovendo narrare «non verba, sed res gestas, ex quibus oritur
prudentia», meno gradito riusciva al nuovo gusto l'uso di concioni. Il tacitista Ducci
giudicava, infatti, «oziose» molte orazioni guicciardiniane, «etsi prudentiae policiae
plenas» (ma tosto temperava: «multas quoque necessarias et valde historice»); lodava
invece incondizionatamente la «discussio finium» delle azioni dei principi, fatta dal
Guicciardini, secondo lui, spesso «diligenter, ac forte melius quam alius historicus» [8].
L'orientamento storiografico sviluppatosi da questo atteggiamento fece naturalmente gran
posto all'insegnamento guicciardiniano, guardando alla Storia, nel fatto, come ad uno dei
suoi più autorevoli modelli. Anticiceroniana, ossia antiletteraria e antiumanistica,
caratterizzata da un interesse esclusivo alla «politica», la nuova storiografia ebbe un
senso altissimo della serietà dell'impegno storiografico, del «decoro» della storia, da
portarla a sdegnare, nelle scritture storiche, la «voluptas», l'elemento pittoresco e
romanzesco e ad amare invece lo stile (come quello della Storia) grave e severo, senza
inutili eleganze e civetterie rettoriche, stretto tutto ai fatti essenziali.» [9]
Storiografia illuministica[modifica | modifica wikitesto]

Il barone Paul Henri Thiry d'Holbach

Attraverso l'esame critico della storia, l'illuminista può riconoscere la continuità dell'opera


della ragione e denunciare gli errori e le contraffazioni con cui erano state tramandate sino
ad allora le vicende umane allo scopo di mantenere gli uomini nella superstizione e
nell'ignoranza. Nella storia così come sinora veniva presentata

«si vedono gli errori e i pregiudizi susseguirsi via via e cacciare in bando la verità e la ragione. [10]»

Pierre Bayle per primo si dedicherà nel suo Dizionario storico e critico (1697) alla


compilazione di una «raccolta degli errori e delle falsità» da cui deve essere epurata la
storia come fino ad allora è stata presentata. Egli è un minuzioso e preciso raccoglitore di
fatti attestati da documenti e testimonianze così numerose che Ernst Cassirer (1874–
1945) lo considera il fondatore dell'acribia storica.
«[Lo storico] deve dimenticare che appartiene a un certo paese, che fu educato a una data fede, che deve
riconoscenza a questo o a quello e che questi o quegli altri sono i suoi parenti o i suoi amici. Uno storico in
quanto tale è come Melchisedec, senza padre, senza madre, senza genealogia. Se gli si domanda da dove
viene deve rispondere...sono abitante del mondo; non sono al servizio dell'imperatore, né al servizio del re di
Francia ma solo al servizio della verità...[11]»

Il criterio sommo dunque della ricerca, per lo storico neutrale, è quello di scoprire come
vera storia quella che segna la vittoria della ragione sull'ignoranza e per questo
dall'illuminismo viene condannato in blocco il medioevo come età di fanatismo e
oscurantismo religioso mettendo da parte gli aspetti positivamente culturali di quel periodo.

Pierre Bayle

La mutevolezza degli avvenimenti storici è solo apparente: al di là di queste differenze


l'illuminista coglie il lento ma costante emergere sulla superstizione e l'errore l'elemento
immutabile della ragione:
«Tutto ciò che deriva dalla natura umana si assomiglia da una parte all'altra dell'universo; invece tutto ciò
che può dipendere dalla consuetudine è differente, e può risultare simile soltanto per caso...invece la natura
ha diffuso l'unità stabilendo ovunque un piccolo numero di princìpi invariabili: così il fondamento è ovunque
lo stesso, mentre la cultura produce frutti diversi.[12]»

Per Lessing la storia, come ricerca della verità comincia solo con l'Illuminismo, tutto ciò
che l'ha preceduta è una sorta di "pre-istoria". [13]
Storiografia romantica[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Concezione romantica della storia.

Nell'età del Romanticismo si ebbe un superamento della


concezione illuminista della storia, a cui fu rimproverato di basarsi su un'idea
della ragione astratta e livellatrice, che in nome dei suoi principi generici era giunta a
produrre le stragi del Terrore della Rivoluzione francese. A quella i romantici sostituirono
una «ragione storica», che tenesse conto anche delle peculiarità e dello spirito dei diversi
popoli, a volte assimilati a degli organismi viventi, con una loro anima e una loro storia. [14] e
una nuova concezione della storia che mettesse in discussione la convinzione illuminista
della capacità degli uomini di costruire e guidare la storia con la ragione.
Le vicende della Rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato che gli
uomini si propongono di perseguire alti e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla realtà
storica. Il secolo dei lumi era infatti tramontato nelle stragi del Terrore e il sogno di libertà
nella tirannide napoleonica. Dunque la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio che
agisce nella storia. Esiste una Provvidenza divina che s'incarica di perseguire fini al di là di
quelli che gli uomini ingenuamente si propongono di conseguire con la loro meschina
ragione.
«La storia umana appariva perciò guidata non dalla mente e dal volere dell'uomo, fosse
pure il più alto genio, non dal caso, ma da una provvidenza che supera gli accorgimenti
politici e che drizza a ignote mete la nave dell'umanità.» [15]
Nel complesso, la polemica contro l'ugualitarismo e il cosmopolitismo illuministi assunse
aspetti e caratteri diversi a seconda dei contesti, aspetti che tuttavia restarono intrecciati e
difficilmente separabili in maniera netta. Vi fu da un lato una tendenza restauratrice, rivolta
però non tanto al ripristino anacronista dell'Ancien régime, quanto al recupero di quelle
tradizioni, religiose in particolare, ritenute patrimonio della coscienza collettiva.
[16]
 Significativa fu l'opera di De Maistre e altri autori, per i quali «la storia umana è diretta
da una provvidenza che supera gli accorgimenti politici e che drizza a ignote mete la nave
dell'umanità.»[17]
In generale «s'identificò la storia della civiltà con la storia della religione, e si scorse una
forza provvidenziale non solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe
sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela della giustizia,
Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e costruttore di storia l'arbitrio individuale e il
raziocino logico».[18]
D'altro lato, la stessa concezione provvidenziale della storia diede luogo ad altre tendenze
che potremo definire liberali, per le quali i principi proclamati nel 1789 restavano validi, pur
essendo da condannare gli esiti giacobini della Rivoluzione Francese.[19] François-René de
Chateaubriand in una sintesi esprimeva ad esempio l'esigenza di «conservare l'opera
politica che è scaturita dalla rivoluzione» e «costruire il governo rappresentativo sulla
religione». La libertà di religione fu ritenuta in particolare un antidoto basilare sia al
dispotismo assolutistico, che all'anarchia rivoluzionaria. [20]
Storiografia contemporanea[modifica | modifica wikitesto]
Von Ranke e la professionalizzazione della storia[modifica | modifica wikitesto]
Leopold von Ranke fu il fondatore del metodo che fu prevalente nella storia ufficiale sino
agli anni sessanta del Novecento. Attenzione per le fonti documentarie, studio rigoroso dei
fatti sulla base delle fonti e critica per le visioni positivistiche ed hegeliane furono il suo
assetto principale. La dottrina metodologica ha il compito di mostrare i fatti come essi sono
effettivamente apparsi, astenendosi dal proporre interpretazioni.
Fu critico nei confronti della filosofia della storia e in particolar modo dell'interpretazione
proposta da Hegel, la quale escludeva la componente umana dalla storia, riconducendo al
solo manifestarsi dell'idea nel mondo fenomenico il percorso storico, finalizzato al pieno
affermarsi dell'idea stessa. Ranke, invece, si proponeva di ricondurre dal piano delle idee
a quello dei fatti, connesse tramite una specifica correlazione. Secondo un legame
immanente, l'idea non è indagabile a priori slegata dagli eventi, così come nella
comprensione della storia non è possibile il passaggio dal particolare fenomenico
all'universale dell'idea.
L'oggetto della storia non è possibile indagarlo né in senso positivista come somma dei
semplici fatti, né per via strettamente speculativa, tramite concetti universali. Per Ranke, le
dottrine dominanti in un determinato periodo non possono essere valide in eterno per
considerare lo studio di periodi differenti. Le idee forti sono le tendenze dominanti in
ciascun secolo, non si può tramite queste risalire ad un concetto generale della storia. La
storia è da intendere come una continua tensione tra evento e idea, inscindibile l'uno
dall'altro, particolare ed immanente in ciascun periodo essa si attui.
Burckhardt e la nascita della storia culturale [modifica | modifica wikitesto]
Lo studioso svizzero Jacob Burckhardt, critico nei confronti della moderna società
industriale e contrario alle tendenze idealistiche e storicistiche dominanti nel mondo
accademico dell'epoca, elaborò una particolare disamina storiografica,
chiamata Kulturgeschichte (storia della cultura - cultura nel senso di civiltà) nella quale
enfatizzava lo studio dell'arte, della cultura e dell'estetica.
La sua opera principale fu Die Kultur der Renaissance in Italien[21], pubblicata nel 1860.
L'indagine storica di Burckhardt si presenta come una ricerca di tipo culturale, dal
momento che l'autore si impegnò a ridurre la storia degli eventi ad un ruolo estremamente
marginale, analizzando al contrario soltanto le manifestazioni artistiche e culturali di quel
periodo storico. Anche la politica (e ancor di più l'economia) vennero sostanzialmente
trascurate in favore dello studio di fattori esclusivamente culturali. Burckhardt analizzò una
serie di elementi caratterizzanti quell'età che egli chiamò «fattori costanti e tipici»,
ricercandone le varie espressioni che potevano trapelare dalla produzione artistica del
periodo.
La storiografia marxista[modifica | modifica wikitesto]
La storiografia marxista prende spunto dalla concezione materialistica della storia di Karl
Marx e Friedrich Engels.
Marx ed Engels esprimono l'esigenza di un sapere che sia prodotto immediatamente dalla
realtà concreta e positiva, empirica e verificabile, e che non discenda invece da un
presupposto e idealistico «Spirito assoluto» che deduce speculativamente i vari aspetti
della realtà secondo un non dimostrato e indimostrabile sviluppo di questo stesso
presunto Spirito.
Marx ed Engels intendono muovere da «presupposti reali, dai quali si può astrarre solo
nell'immaginazione. Essi sono gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali
di vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti, quanto quelle prodotte dalla loro
stessa azione. Questi presupposti sono dunque constatabili per via puramente
empirica.»[22].
Marx considera la produzione dei mezzi di sussistenza attività fondamentale dell'uomo,
nonché prima azione storica specificamente umana. Sulla base di questa attività ne
individua altre tre: la creazione e la soddisfazione di nuovi bisogni, la riproduzione (quindi
la famiglia) ed infine la cooperazione fra più individui. Sorge solo ora la coscienza: al
contrario di tanti altri, Marx non delinea la coscienza come presupposto dell'uomo, seppur
riconoscendole un ruolo fondamentale nella vita, ma come prodotto sociale che si sviluppa
in relazione all'evoluzione dei mezzi di produzione e a tutto quello che esse comportano,
in una parola alle forze produttive. La coscienza si manifesta quindi in diverse forme a
seconda del processo storico. Ma solo con la successiva divisione tra lavoro manuale e
mentale la coscienza può automatizzarsi dal mondo, dando luogo alle forme culturali
conosciute. La totalità dell'essere sociale va dunque indagata dalla sfera produttiva.
La scuola delle Annales[modifica | modifica wikitesto]
La Scuola delle Annales (in francese École des Annales) è la definizione data a quello
che, probabilmente, è il più importante gruppo di storici francesi del XX secolo e che
divenne celebre per aver introdotto rilevanti innovazioni metodologiche nella storiografia.
Tale gruppo viene di solito indicato semplicemente Les Annales. Il nome deriva dalla
rivista, fondata nel 1929 da Marc Bloch e Lucien Febvre, Annales d'histoire économique et
sociale, tuttora esistente e pubblicata dal 1994 con il titolo di Annales. Histoire. Sciences
sociales. A Febvre e Bloch si aggiunse il belga Henri Pirenne, studioso di storia
economica, che supportava l'analisi storica comparata ovvero una disciplina che mette a
confronto diversi aspetti della storia.
L'elemento iniziale di novità nell'approccio di Marc Bloch e Lucien Febvre fu il
coinvolgimento nello studio della storia di altre discipline, dalla geografia alla sociologia.
Nei primi anni di lavoro presso l'Università di Strasburgo collaborarono strettamente con
studiosi di altre scienze sociali e ne acquisirono parte dei metodi. Un altro elemento
innovativo apportato da questa corrente di studio fu lo spostamento dell'attenzione dallo
studio della storia degli "eventi" (histoire événementielle) a favore dello studio della storia
delle strutture.
La microstoria[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Microstoria, Carlo Ginzburg e Il formaggio e i vermi.

Carlo Ginzburg

Un impulso fondamentale alla crescita della nuova storia culturale è stato dato dal lavoro
di alcuni ricercatori italiani, Carlo Ginzburg, Giovanni Levi e Edoardo Grendi che intorno
agli anni settanta hanno dato vita al filone di studio della cosiddetta microstoria. Questo
indirizzo storiografico ha proposto la revisione dei metodi quantitativi della storia
economica per liberarsi dal determinismo che caratterizzava le ricerche storiche di natura
socioeconomica. L'obiettivo è stato quello di mettere a fuoco gli individui e le singole
personalità storiche, le cui caratteristiche avrebbero permesso di ricostruire le mappe
mentali, i costumi e gli atteggiamenti degli uomini del passato. La microstoria ha voluto
distanziarsi dalla cosiddetta «grande narrazione» del progresso occidentale. Questo
significa rifiutare l'immagine di una civiltà che, dall'antica Grecia al Cristianesimo,fino
all'Illuminismo ed alla rivoluzione industriale, è stata descritta nei termini di un grande
percorso di costante progresso e sviluppo. Nelle pieghe di questo percorso trionfalistico -
questa è stata la critica mossa dai microstorici - sono stati dimenticati i contributi di molte
culture minori, di gruppi umani e singolarità di vario genere che non hanno partecipato in
modo diretto ai grandi eventi storici sopra elencati.
A partire dagli anni Settanta sono comparse centinaia di ricerche microstoriche, ma
indubbiamente il più importante riferimento bibliografico è Il formaggio e i vermi scritto e
pubblicato nel 1976 da Carlo Ginzburg.
La New Cultural History[modifica | modifica wikitesto]
Università della California, Berkeley

Con il termine nuova storia culturale si intende un preciso filone di studi iniziato nella
seconda metà del XX secolo che ha sviluppato e approfondito le innovazioni che gli storici
culturali ottocenteschi e primo-novecenteschi avevano introdotto. L'espressione «nuova
storia culturale» (New Cultural History, da cui l'acronimo NCH) è entrata in uso alla fine
degli anni ottanta. Era il titolo di un libro, destinato a grande notorietà, pubblicato
nel 1989 dalla storica americana Lynn Hunt, che raccoglieva i contributi forniti da vari
studiosi ad un incontro tenutosi due anni prima a Berkeley, presso l'Università della
California, sul tema La storia della Francia: testi e cultura[23]. Questo settore di studio ha
vissuto una crescita spedita a partire dagli anni settanta. Il numero degli storici che si sono
dichiarati "culturalisti" è aumentato in maniera considerevole, sviluppandosi a spese di
altre discipline storiche come la storia sociale e la storia economica. Tra il 1992 e il 2006 il
numero di storici identificati nella categoria della storia sociale è diminuito del 60 per
cento, mentre il numero di quanti si riconoscono nella cosiddetta storia culturale è
aumentato del 78 per cento[1]. Nel 2008 è stata inoltre fondata ufficialmente
la International Society for Cultural History, con lo scopo di coordinare a livello
sovranazionale le molte ricerche nate in grembo a questa disciplina.
La World History[modifica | modifica wikitesto]
La World History (da non confondere con la storia mondiale o la storia universale), è un
metodo di insegnamento e di indagine storiografica emerso nel 1980 che vuole esaminare
la storia da una prospettiva globale superando le visioni monoculturali e parziali. La world
history rileva e analizza schemi e modelli applicabili a tutte le culture umane
nell'evoluzione storica. Questa disciplina basa il suo studio su due categorie storiografiche
principali: il sincretismo (come i processi storici hanno avvicinato le culture più disparate) e
la discrepanza (la varietà e le differenze tra i modelli sociali).
Dal 1936-1954 escono in tre periodi differenti i dieci volumi che compongono Study of
History di Toynbee, questo studioso segue il pensiero comparativo specifico per le civiltà
indipendenti di Spengler. Toynbee rivela sorprendenti parallelismi ed analogie nelle nove
culture organiche definite da Spengler per quanto riguarda la loro origine, lo sviluppo e il
loro decadimento. Toynbee rigetta però il determinismo dei cicli di crescita e declino come
retti da una legge naturale, la sopravvivenza di una civiltà dipende per Toynbee dalla sua
risposta ai mutamenti del contesto. Come Sima Qian, Toynbee spiega il declino come
dovuto alla loro corruzione morale. Dal primo al sesto volume individua come soluzione a
questo degrado morale dell'occidente il ritorno a una qualche forma di cattolicesimo pre
riforma, dal settimo all'ultimo volume il suo seguito popolare diminuisce mentre tra gli
studiosi prende corpo il dibattito sugli errori contenuti nelle sue teorie. [24]
McNeill in The Rise of the West (1965) partendo dagli studi di Toynbee, dimostra come
società differenti dell'Eurasia abbiano interagito tra di loro fin dall'inizio della loro storia
influenzandosi reciprocamente. Lo studio di McNeill si focalizza ampiamente intorno alle
relazioni dei popoli mondiali rilevando come queste siano diventate più consistenti e
frequenti negli ultimi tempi. Prima del 1500 circa la rete di comunicazione tra le culture è
stata l'universo eurasiatico, il termine usato per descrivere queste aree di interazione varia
da studioso a studioso, alcuni di questi lo definiscono sistema-mondo o ecumene. Ma
indipendentemente da come viene chiamato, l'importanza di questi contatti interculturali ha
cominciato ad essere riconosciuta da molti studiosi. [25]

I caratteri della storiografia moderna[modifica | modifica wikitesto]


Alcuni caratteri della storiografia antica persistono, spesso con adeguamenti, nella
storiografia moderna, tuttavia è chiaro che, proprio per le leggi della storia stessa, il
presente è diverso dal passato e così la più recente concezione storiografica è
sostanzialmente diversa da quella antica. La differenza più importante dipende dal fatto
che la storiografia moderna è figlia del metodo scientifico: essa non è una scienza esatta,
ma della scienza condivide l'obiettivo di cercare la verità sulla base di un metodo
razionale. Una condizione di questa ricerca della verità è l'obiettività dello storico. Anche
l'obiettività, come la verità storica, rappresenta una meta a cui tendere più che un obiettivo
sistematicamente raggiungibile.
È già uno stadio importante del processo che mira all'obiettività l'onestà intellettuale dello
storico, che deve mirare veramente alla ricerca della verità e non a somministrare al suo
pubblico verità intenzionalmente deformate o stravolte da preconcetti ideologici oppure
deturpate dalla volontà di offrire un piacevole intrattenimento. I racconti deformati da una
storiografia politicamente militante o romanzati da un giornalismo storiografico di carattere
commerciale, le notizie a effetto, le accentuazioni arbitrarie di aspetti sensazionali sono
sottoprodotti della storiografia che la moderna società della comunicazione produce
incessantemente e che rischiano di contaminare la nostra conoscenza storica. Un
importante antidoto per evitare tali deformazioni può essere garantito dall'autonomia dello
storico, che deve poter esercitare la propria ricerca in serenità, senza dipendere
da padroni né da poteri forti.
D'altra parte lo storico deve essere consapevole che la storiografia è imprescindibile
dall'intervento dello storico. Anche le testimonianze, per quanto abbiano un'esistenza
oggettiva, sono comunque selezionate, gerarchizzate, interpretate dallo storico; ancora
una volta l'esperienza dell'informazione contemporanea dimostra quanto si possa
influenzare l'opinione pubblica semplicemente disponendo i fatti in un certo ordine, così da
valorizzarne alcuni a svantaggio di altri.
Anche lo storico moderno ritiene di esercitare un mestiere utile, ma in un senso diverso da
quanto pensavano gli antichi in base alla concezione della storia come magistra vitae.
Secondo gli storici moderni la storia ha una duplice utilità: innanzitutto permette di
conoscere se stessi attraverso la conoscenza del passato spinta fino alle proprie origini;
inoltre consente di mettersi in guardia dal ripetere errori che sono già stati commessi in
passato, senza però poter arrivare ad insegnare come effettivamente comportarsi in
quanto le circostanze storiche non si ripetono mai uguali in epoche e contesti diversi.
Recentemente, in un articolo dell'araldista[26] e paleografo[26] italiano Fabio Manuel Serra,
riprendendo le posizioni di Robin George Collingwood, di Carl Gustav Hempel e di Karl
Popper, è stata proposta una lettura del metodo storiografico contemporaneo secondo il
rigore della logica del primo ordine[27] e anche della logica modale[28] con l'intento di fornire
una dimostrazione logico-filosofica di come sia possibile produrre una conoscenza storica
che possa tendere a un metodo scientifico oggettivo, ma anche con l'intento di mettere in
luce come sia fattibile, da parte di chi non si attiene (per vari motivi) al rigore
metodologico, produrre una conoscenza storica falsa che però, apparendo verosimile,
trova successo in sede divulgativa, generando il rischio di vanificare il lavoro dei
professionisti.

Note[modifica | modifica wikitesto]
1. ^ Enciclopedia Italiana Treccani alla voce corrispondente
2. ^ Marc Bloch, L'apologia della storia o mestiere di storico, Einaudi, Torino, 1998.
3. ^ Rolando Dondarini, "Materiali di metodologia della ricerca storica", sito docente Università di
Bologna.
4. ^ Rolando Dondarini, Per entrare nella Storia, Bologna, CLUEB, 1999.
5. ^ Salta a:a b Rolando Dondarini, "L'albero del tempo", Bologna, Patron, 2007.
6. ^ Prodi, Introduzione allo studio della storia moderna, p.102
7. ^ Cfr. spec. G. TOFFANIN, Machiavelli e il «Tacitismo»: la politica storica al tempo della
Controriforma, Padova, 1921.
8. ^ LORENZO DUCCI, Ars historica, Ferrariae, 1604, pp. 96 e 168.
9. ^ Walter Binni, I classici italiani nella storia della critica: Da Dante al Marino, Nuova Italia, 1970,
pp. 492-493.
10. ^ Centro piombinese di studi storici, Ricerche storiche, Volume 29, ed. L. Olschki, 1999
11. ^ P. Bayle, Dizionario storico e critico in Società filosofica italiana, Rivista di filosofia, Volume 46,
Taylor editore, 1955
12. ^ Voltaire, Saggio sui costumi
13. ^ Andrea Tagliapietra, Che cos'è l'illuminismo: i testi e la genealogia del concetto, Pearson Italia
S.p.a., 1997, p.65
14. ^ Traniello, Storia Contemporanea, Torino, Sei, 1989, p. 32.
15. ^ A. Omodeo, Introduzione a G. Mazzini Scritti scelti, Edizioni scolastiche Mondadori, Milano,
1952 p.6
16. ^ G. Verucci, La restaurazione in "Storia delle idee politiche", a cura di L. Firpo, Torino, UTET,
1973.
17. ^ A. Omodeo, Introduzione a G. Mazzini Scritti scelti, Milano, 1934
18. ^ Adolfo Omodeo, L'età del Risorgimento italiano, Napoli, 1955
19. ^ Traniello, op. cit., p. 36.
20. ^ Ivi, p.38.
21. ^ Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, Firenze 1953
22. ^ K. Marx, F. Engels, L'ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1967, p. 17.
23. ^ Hunt, The New Cultural History, Berkeley 1989.
24. ^ William H. McNeill, Arnold J. Toynbee a Life (1989)
25. ^ William H. McNeill, "The Changing Shape of World History." History and Theory 1995 34(2): 8–
26.
26. ^ Salta a:a b Fabio Manuel Serra, Riflessioni sulla logica in rapporto al metodo storiografico.
Paragone tra il lavoro dello storico e quello dello storiofilo, in RiMe - Rivista dell'Istituto di Storia
dell'Europa Mediterranea, n.2/I n.s., giugno 2018, p. 123, DOI:10.7410/1350, ISBN 978-88-
97317-40-1, ISSN 2035-794X (WC · ACNP).
27. ^ Fabio Manuel Serra, Riflessioni sulla logica in rapporto al metodo storiografico. Paragone tra il
lavoro dello storico e quello dello storiofilo., in RiMe - Rivista dell'Istituto di Storia dell'Europa
Mediterranea, n.2/I n.s., giugno 2018, p. 112, DOI:10.7410/1350, ISBN 978-88-97317-40-
1, ISSN 2035-794X (WC · ACNP).
28. ^ Fabio Manuel Serra, Riflessioni sulla logica in rapporto al metodo storiografico. Paragone tra il
lavoro dello storico e quello dello storiofilo., in RiMe - Rivista dell'Istituto di Storia dell'Europa
Mediterranea, n.2/I n.s., giugno 2018, p. 115, DOI:10.7410/1350, ISBN 978-88-97317-40-
1, ISSN 2035-794X (WC · ACNP).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
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 Fernand Braudel, Storia, misura del mondo, Bologna, Il mulino, 2002.
 Fernand Braudel, Scritti sulla storia, Milano, Bompiani, 2003.
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 Federico Chabod, Lezioni di metodo storico, Roma-Bari, Laterza, 1993.
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 Rolando Dondarini, Per entrare nella Storia, Bologna, CLUEB, 1999.
 Lucien Febvre, Problemi di metodo storico, Torino, Einaudi, 1976.
 Eduard Fueter, Geschichte der neueren Historiographie, München-Berlin, 1911
(trad. it. Storia della storiografia moderna, Milano-Napoli, R. Ricciardi, 1970).
 François Furet, Il laboratorio della storia, Milano, Saggiatore, 1985.
 Giuseppe Giarrizzo, La scienza della storia: interpreti e problemi, Napoli,
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 Georges Lefebvre, Riflessioni sulla storia, Roma, Editori riuniti, 1976.
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 Arnaldo Momigliano, Problèmes d'historiographie ancienne et moderne, Paris,
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 Leopold von Ranke, Zur Kritik neuerer Geschichtschreiber, Leipzig und Berlin,
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 G. Resta - V. Zeno Zencovich, La storia giuridificata, in G. Resta e Vincenzo
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 Gian Paolo Romagnani, Storia della storiografia. Dall'antichità a oggi, Roma,
Carocci, 2019, ISBN 9788843094448
 Fabio Manuel Serra, Riflessioni sulla logica in rapporto al metodo storiografico.
Paragone tra il lavoro dello storico e quello dello storiofilo, in RiMe - Rivista
dell'Istituto di Storia dell'Europa Mediterranea dell'ISEM del CNR, n.2/I n.s.,
giugno 2018; DOI: 10.7410/1350, ISBN 978-88-97317-40-1 ISSN 2035-
794X (WC · ACNP).

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]


 Storia
 Storia dell'uomo
 Storia culturale
 Giudizio storico
 Geodeterminismo

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]


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