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Marina D'Aprile
Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli
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All content following this page was uploaded by Marina D'Aprile on 02 May 2016.
Marina D’Aprile
Seconda Università degli Studi di Napoli
1 - Napoli, palazzo
Avati, piano nobile.
L’impalcato,
realizzato nel XVI
secolo, si compone
di travi segate e
piallate, distanziate
mediamente di
1.40 m, e di un
tavolato superiore,
probabilmente
inchiodato.
L’intradosso,
scompartito con
regoli e controregoli
inchiodati,
ripropone in forme
semplificate la
classica morfologia
a cassettoni,
completata da
dipinture.
L’analisi registra una quantità nettamente preponderante di orditure
semplici di travi scortecciate (‘scorzate’) e ‘attestate’, cioè con le tenute
grossolanamente asciate, apparecchiate con chiancarelle – gli elementi
grezzi della tradizione locale, ricavati dallo spacco longitudinale di esili fusti
di castagno6. Soprattutto dalla tarda Modernità, la prassi corrente adottò
uniformemente questa tipologia, mantenendola sostanzialmente sino alla
definitiva affermazione degli impalcati in ferro. Vigono pure esemplari più
raffinati e complessi, come i palchi, talvolta a doppia orditura, in travi “a
filo vivo” − lavorate con la sega a telaio − piallate e dipinte, allestite
con tavole piallate e decorate. Sebbene in misura meno significativa, si
riscontrano identicamente orditure semplici di travi ‘a grosso squadro’
(asciate) e ‘solarini’ o, nei casi più tardi, chiancarelle. Ancorché carente
a paragone di altre tradizioni costruttive specifiche, questa produzione
rivela, insomma, un’articolazione interessante, soprattutto se riguardata nel
quadro dei referenti culturali, tecnici e socioeconomici che quei manufatti
ispirarono.
I parametri funzionali alla pertinente caratterizzazione cronologica
comprendono fattori diversi, come la lavorazione degli elementi portanti
e la misura delle ‘valere’, cioè dei relativi interassi7. Mentre gli esemplari
più antichi (tardo XV-XVI sec.) impiegarono costantemente membrature
segate – così commercializzate e soltanto rifinite e decorate in opera –
le travi asciate ebbero largo uso nel XVII secolo8. Le tipologie scorzate,
adoperate senza sostanziali ulteriori lavorazioni, contraddistinsero invece
uniformemente le confezioni datate dal tardo Seicento a tutto l’Ottocento e
2
Solai e tetti lignei in Campania
2 - Sant’Arpino
(Ce), palazzo
ducale, piano
primo, scorcio del
solaio (XVII sec.). In
figura è riproposto il
classico impianto a
cassettoni realizzato
in un unico
strato, incollato e
dipinto in opera,
secondo modalità
reiteratamente
riscontrate nel
periodo anzidetto.
3 - Napoli, palazzo
dello Spagnuolo,
piano nobile,
particolare del
solaio (XVIII sec.).
Oggi è assai
frequente rilevare la
compresenza di più
rivestimenti, come
evidenzia l’esempio
in figura.
4 - San Marcellino
(Ce), edificio in via
Santa Croce 25,
ala nord, piano
terra, particolare
della sezione
dell’impalcato (XVIII
sec.). In figura una
confezione in due
strati, per un totale
di 13-22 cm circa:
dal basso verso
l’alto, il ‘riccio’
o ‘cretonato’,
composto con
‘sfabricime’
asciutto, seguito
da un masso di
maggior spessore
in battuto di lapillo
e dall’allettamento
dell’eventuale
Tra Sette e Ottocento i requisiti di economia, speditezza e semplicità pavimento.
esecutiva caratterizzarono largamente l’edilizia locale, come pure conferma
l’adozione indifferenziata di solai in membrature grezze con apprestamenti
intradossali prima cartacei, poi in tela su graticci lignei. Per gli stessi
motivi, negli orizzontamenti così datati non è raro riscontrare, per esempio,
la mancata chiodatura delle chiancarelle alle travi o il loro mancato
inserimento in ‘caraci’ d’ambito12. All’incirca dalla metà del XIX secolo,
dalle medesime motivazioni - almeno a Napoli dipese pure dalla crescente
affermazione delle tipologie residenziali borghesi – discesero le varianti
assunte nella confezione degli orizzontamenti, sostanzialmente coincidenti
con un generalizzato decremento delle dimensioni. La sezione media delle
travi, sempre scorzate, si attestò su 15-18 cm e la valera su 0.90 m circa,
concordemente alla contestuale diminuzione delle lunghezze dei panconcelli
che, per larghezze più frequenti di 6-8 cm, passarono da 0.95-1.05 m
del periodo pregresso a 0.88-0.93 m. Sia per la riduzione del diametro
degli elementi portanti - da rapportare pure alla comune contrazione della
superficie dei vani di nuova costituzione - sia per la diffusa tendenza ad
una razionalizzazione delle pratiche costruttive, conseguente soprattutto
al miglioramento delle competenze professionali, nel periodo indicato è
infine comune il ricorso alle cosiddette ‘ginelle rompitratta’. Questi sottili
fusti di castagno scorzato (diametro medio 10 cm ca.), già utilizzati nel
Settecento in proporzione minore legandoli con perni trasversalmente alla
struttura principale, dalla metà dell’Ottocento, si fissarono uniformemente
con legature metalliche, le cosiddette ‘strasciolette’, fermate con piccoli
chiodi13.
I tetti della tradizione regionale tra Sette e Ottocento
Il reperimento di coperture lignee inclinate filologicamente datate ha
incontrato alcune difficoltà per lo scarso numero di configurazioni vigenti,
prive di estese ed indistinguibili manomissioni. Trattandosi, come per i solai,
di strutture composte con membrature spesso grezze, secondo conformazioni
5
Marina D’Aprile
5 - Cicerale (Sa),
edificio in via S.
Leone 24, piano
primo, scorcio del
solaio (XIX sec.).
esempio, con tagli obliqui, coniugati nelle due testate da affrontare e muniti
di indentature, talvolta pure rafforzate con mensole, a loro volta, legate
alla catena con staffe cerchianti. Di norma il monaco era collegato alla
catena tramite una staffa lignea mentre, per quanto è possibile verificare
direttamente, l’appoggio della catena al muro era talvolta mediato da
dormienti. Per fissare la piccola orditura, soprattutto nel Settecento, si
ricorreva diffusamente alle ‘castagnole’, elementi in legno ad uso di bietta,
lunghi circa 50 cm, fissati con perni da 20 cm. Solo nei manufatti più
recenti e negli impianti ristrutturati si registrano componenti metallici,
come le staffe di collegamento monaco-catena chiodate o imperniate
con “perni a passatoio con madrevite e scrofola di chiusura”18. Una volta
realizzati a piè d’opera nodi e giunture, spesso pure incollati, si passava
poi alla ‘congegnatura dè cavalletti’, cioè al loro assemblaggio a terra,
per procedere successivamente alla messa in opera ed al collegamento in
cima, tramite una trave di colmo detta ‘asinello’.
6 - Teverola (Ce),
palazzo ducale, ala
ovest, tetto a doppia
falda (fine XVIII
sec.). La tipologia
a colmi e puntoni,
per luci modeste,
ricorre largamente
nell’areale
indagato,
particolarmente nel
Settecento.
Per i casi di luce modesta il repertorio locale utilizzò pure i sistemi ‘a intermedi
e puntoni’ − con il muro di spina alzato fino al colmo, per fare da appoggio
superiore alle cosce, inchiodate a travi radici a filo dei muri di gronda − e
‘a colmi e puntoni’, risolto con una successione di timpani in muratura
collegati al colmo, sui quali si inchiodavano i puntoni, per luci superiori a
8 m, rafforzati dall’inserimento di controcatene. A differenza del primo tipo,
quest’ultimo prevedeva pure il ricorso a membrature squadrate.
Nel periodo considerato la conformazione della piccola armatura è risultata,
sostanzialmente, costante, essendo formata da ‘ginelle bastarde’ (diametro
medio 8-10 cm) scorzate, attestate e inchiodate ai puntoni19. Al loro posto
possono trovarsi talvolta gli ‘arcarecci’, fissati alle cosce con ‘gattelli o
castagnole’. Superiormente e normalmente ad essi erano i ‘correntini’,
regoli riquadrati lunghi massimo 4.00 m, inchiodati a listoni di castagno
7
Marina D’Aprile
posti sui muri d’ambito e distanziati di circa 32-35 cm in ragione del tipo di
manto. Relativamente alle tegole, infine, la tradizione locale comprese due
tipologie: le ‘tegole maritate’, cioè gli embrici e i coppi, spesso provenienti
dall’isola d’Ischia, e i coppi e i canali, prodotti in varie fornaci (Scauri, S.M.
Capua vetere, Salerno, etc.). Dalla metà del XIX secolo, a cominciare dal
contesto partenopeo, si diffusero invece le tegole marsigliesi.
7 - Trentola-
Ducenta (Ce),
carcere Distrettuale,
tetto a due falde,
particolare delle
incavallature
(1825). La tipologia
a ‘tetto ribassato’,
riscontrata sovente
fuori dal capoluogo
campano,
impiegava capriate
senza monaco con
‘ascialoni’, per luci
comunque modeste
(5 m circa).
9 - Caserta, ex-
caserma Sacchi, ala
ovest, copertura,
scorcio delle
capriate semplici
a sostegno della
doppia falda (XIX
sec.). Per luci
considerevoli, la
tipologia a capriate
impiegava le
cosiddette catene
‘ammecciate’ –
composte cioè da
due elementi, nei
casi più semplici,
‘affacciati’ in
obliquo e fissati
con ‘strasciolette’
– in associazione
a saette e
sottopuntoni.
10 - Caserta,
ex-caserma Sacchi,
corpo angolare
nordovest,
particolare della
copertura (XIX
sec.). In figura una
capriata composta
apprestata come
soluzione angolare,
secondo l’asse di
displuvio, di una
copertura a doppia
falda sostenuta da
capriate semplici.
1
D’Aprile 2008, pp. 295 - 368
2
Per lo studio delle tecniche edilizie tradizionali campane, tra gli altri, cfr. D’Aprile
2001, 2003, 2008, 2009.
3
Cerullo 2003, pp. 268 - 271; De Marco 2005, pp. 64 - 86, 140 - 162; D’Aprile
2008, pp. 299 - 316.
4
Per l’areale cilentano, cfr. Carillo, D’Aprile 2009.
5
Ragucci 1859, pp. 220 e sg.
6
De Cesare 1855, vol. III, p. 80.
7
I documenti consultati, almeno dal tardo Seicento all’Ottocento, confermano
l’invalsa consuetudine di esprimere la misura dei solai in funzione del numero di
valere, così da calcolare facilmente la quantità di componenti l’orditura secondaria.
Oltre che in base alla qualità delle dipinture, la stessa modalità si applicava pure al
computo delle ‘incartate’.
8
Orditure di travi squadrate e tavole di fattura quattro-cinquecentesca sono state
rilevate pure in vani di servizio e case rurali. Di conseguenza gli elementi segati
rappresentarono le conformazioni correntemente commercializzate nel detto
periodo.
9
Sebbene la dimensione trasversale delle travi scorzate sia poco influenete per
la determinazione cronologica di questi solai, poiché principalmente riferita alla
luce da coprire, se n’è rilevata comunque una certa reiterazione, specie ne Sette-
Ottocento, allorché vigono, rispettivamente, diametri medi di 20-24 cm e di 18- 22
cm circa.
10
Bertoldi 1989, pp. 61 - 82; Menicali 1992, pp. 190 - 195; Romby 1996; De
Cesaris 1997, pp. 181 - 214.
11
L’incartata si componeva di cartastraccia incollata direttamente sul legno
(‘sottocarta’) e di uno strato sovrapposto dipinto in opera. Negli esemplari
seicenteschi è comune rilevare, però, la vigenza di un unico strato.
12
Dal Settecento pratiche esecutive veloci, economiche e di facile applicazione si
diffusero pure nelle località rurali e nell’entroterra, secondo procedure che, per i
solai, rimasero sostanzialmente invariate sino alla prima metà del Novecento.
13
Già dal Settecento, il consolidamento dei solai inflessi prevedeva l’adozione
all’intradosso, trasversalmente alle travi, di fusti scorzati (‘tarcenali’, ‘darcenali’ o
‘dossali’).
14
Qualche osservazione sulle coperture inclinate pregresse, in particolare
seicentesche, può solo trarsi dalla consultazione dei materiali d’archivio. Cfr. Cerullo
2003; De Marco 2005; D’Aprile 2008, pp. 316 - 342.
15
In media pure i tetti impiegarono il castagno selvaggio, sebbene non manchino
esemplari in abete, per lo più, proveniente dal mercato foggiano o, di rado, dalla
Calabria e dalla Basilicata.
16
Tampone 1996, p. 95.
17
Per la miglior tenuta di innesti e calettature non è raro riscontrare l’uso di ‘brache
di ferro e legature di solide staggiolette’.
18
Cerullo 2003, p. 314.
19
Le ginelle si disponevano inchiodate ad intervalli minimi di 1½ palmo.
10