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Solai e tetti lignei in Campania tra XVI e XIX Sec.

Chapter · January 2009

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Marina D'Aprile
Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli
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Solai e tetti lignei in Campania

Solai e tetti lignei in Campania tra XVI e XIX secolo

Marina D’Aprile
Seconda Università degli Studi di Napoli

Sulla base di un recente studio queste note, sinteticamente, illustrano


le connotazioni metriche e realizzative maggiormente qualificanti
i solai e coperture in legno della tradizione campana d’età moderna e
contemporanea1. In linea con le impostazioni di metodo sperimentate
nell’analisi di altri sistemi costruttivi storici regionali, l’attenzione è
prioritariamente rivolta agli impianti poco o nulla connotati sul piano
figurale2. La sostanziale incomprensione delle loro qualità e prestazioni −
causa primaria delle rimozioni e delle scriteriate manomissioni cui spesso
sono andati soggetti − assume un peso ulteriore per gli argomenti trattati, per
la loro peculiare natura, generalmente rappresentata da membrature grezze
o grossolanamente lavorate, assemblate in configurazioni scarsamente
articolate sotto il profilo tipologico ed esecutivo.
Le proprietà morfologico-dimensionali e realizzative, evidenziate quali
parametri funzionali all’attribuzione cronologica di queste strutture,
discendono dalla messa in evidenza dei dati comuni, desunti dalla
sistematica catalogazione di un’ampia rosa di esemplari filologicamente
datati3. I risultati più articolati hanno riguardato i solai, in ragione della
quota di gran lunga superiore di apparati datati con attendibilità, oggi
reperibili a Napoli e nei centri storici delle province, segnatamente in località
a prevalente destinazione rurale4.
Prescindendo dalla qualificazione temporale specifica, il lavoro ha
evidenziato alcune invarianti, innanzitutto, relative alle essenze adoperate,
quasi unicamente coincidenti con il castagno selvaggio. Anche il
confezionamento degli estradossi presenta importanti uniformità, essendo
formato, dal basso verso l’alto, da uno strato di ‘riccio’ (cretonato),
composto con ‘sfabricime’, da uno più spesso in battuto di lapillo e, se è
presente il pavimento, da un pertinente allettamento. Lasciandone invariate
le proporzioni, soltanto le misure dei singoli strati sono risultate talvolta
diverse. Benché non ne sia stato sempre possibile il rilievo, pure le ‘tenute’
1
delle travi – cioè le porzioni infisse nei muri – sovente “impecolate con pece
a due passate”, hanno rilevato dimensioni reiterate di circa 1-1½ palmo
napoletano, ordinariamente inferiori alle prescrizioni della letteratura storica
specializzata, secondo cui dovevano coincidere con la metà o i 2/3 dello
spessore murario5.

1 - Napoli, palazzo
Avati, piano nobile.
L’impalcato,
realizzato nel XVI
secolo, si compone
di travi segate e
piallate, distanziate
mediamente di
1.40 m, e di un
tavolato superiore,
probabilmente
inchiodato.
L’intradosso,
scompartito con
regoli e controregoli
inchiodati,
ripropone in forme
semplificate la
classica morfologia
a cassettoni,
completata da
dipinture.
L’analisi registra una quantità nettamente preponderante di orditure
semplici di travi scortecciate (‘scorzate’) e ‘attestate’, cioè con le tenute
grossolanamente asciate, apparecchiate con chiancarelle – gli elementi
grezzi della tradizione locale, ricavati dallo spacco longitudinale di esili fusti
di castagno6. Soprattutto dalla tarda Modernità, la prassi corrente adottò
uniformemente questa tipologia, mantenendola sostanzialmente sino alla
definitiva affermazione degli impalcati in ferro. Vigono pure esemplari più
raffinati e complessi, come i palchi, talvolta a doppia orditura, in travi “a
filo vivo” − lavorate con la sega a telaio − piallate e dipinte, allestite
con tavole piallate e decorate. Sebbene in misura meno significativa, si
riscontrano identicamente orditure semplici di travi ‘a grosso squadro’
(asciate) e ‘solarini’ o, nei casi più tardi, chiancarelle. Ancorché carente
a paragone di altre tradizioni costruttive specifiche, questa produzione
rivela, insomma, un’articolazione interessante, soprattutto se riguardata nel
quadro dei referenti culturali, tecnici e socioeconomici che quei manufatti
ispirarono.
I parametri funzionali alla pertinente caratterizzazione cronologica
comprendono fattori diversi, come la lavorazione degli elementi portanti
e la misura delle ‘valere’, cioè dei relativi interassi7. Mentre gli esemplari
più antichi (tardo XV-XVI sec.) impiegarono costantemente membrature
segate – così commercializzate e soltanto rifinite e decorate in opera –
le travi asciate ebbero largo uso nel XVII secolo8. Le tipologie scorzate,
adoperate senza sostanziali ulteriori lavorazioni, contraddistinsero invece
uniformemente le confezioni datate dal tardo Seicento a tutto l’Ottocento e
2
Solai e tetti lignei in Campania

oltre, fino all’affermazione dei sistemi in putrelle.


Ad eccezione delle valere alle estremità, ricavate per differenza, in
periodi precisi queste dimensioni ricorrono secondo intervalli ristretti, in
funzione della tipologia dei costituenti l’orditura secondaria, dunque, delle
specifiche categorie merceologiche. Anche queste ultime hanno quindi
un peso importante nella determinazione temporale degli orizzontamenti
tradizionali. Infatti, le tavole (‘solarini’) ordiscono valere sempre superiori
a 1.00 m e finanche di 1.40-1.50 m per le orditure semplici e 1.60-1.80
m per le doppie, secondo quanto ripetutamente riscontrato negli impianti
della prima Modernità e, per quanto è noto, anche del tardo Medioevo.
Le chiancole si adoperarono invece nell’allestimento di valere più piccole,
all’incirca di 1.00 m, tipiche degli esemplari moderni e contemporanei,
ulteriormente distinguibili in ragione di questo ed altri elementi9.

2 - Sant’Arpino
(Ce), palazzo
ducale, piano
primo, scorcio del
solaio (XVII sec.). In
figura è riproposto il
classico impianto a
cassettoni realizzato
in un unico
strato, incollato e
dipinto in opera,
secondo modalità
reiteratamente
riscontrate nel
periodo anzidetto.

Tra tardo XV e soprattutto XVI secolo, come diffusamente riscontrato


nell’edilizia colta partenopea, gli impalcati, sia a semplice sia a doppia
orditura – talvolta ridotta poi a semplice, spesso contestualmente alla
creazione di un nuovo solaio superiore – impiegarono uniformemente travi
segate, piallate e spesso scorniciate, con sezioni in genere di circa 20x30-
40 cm di altezza, e tavole piallate, in media di 40 cm circa, per lo più
inchiodate e munite di commessure scanalate, con l’intradosso scompartito
da regoli e controregoli inchiodati, pure allestiti successivamente. Nei casi
più pregiati le travi potevano essere foderate con essenze diverse, talvolta
limitate alle guance laterali. Nelle orditure semplici le valere misurano circa
1.40 m; nelle doppie, per lo più costruite con travicelli segati e piallati
3
Marina D’Aprile

posti a circa 1.10-1.20 m, sono in media di 1.50-1.60 m fino a 1.80


m. Evidentemente per la luce spesso rilevante e comunque superiore alle
confezioni successive, gli appoggi delle membrature principali sono spesso
rinforzati con mensole lignee, raramente lapidee, in genere modanate, a
volte frutto di ristrutturazioni. Gli intradossi recano dipinture, in media ad olio,
realizzate in opera secondo i modelli classici. Le tavole presentano, infatti,
le cosiddette rosette, mentre lungo le parti a vista delle travi si sviluppano
longitudinalmente decorazioni floreali di più semplice composizione. Sia per
la struttura sia per le decorazioni questi organismi richiamano, insomma,
altre tradizioni costruttive, particolarmente le tipologie a cassettoni dei
grandi palazzi patrizi quattro-cinquecenteschi, soprattutto fiorentini10.

3 - Napoli, palazzo
dello Spagnuolo,
piano nobile,
particolare del
solaio (XVIII sec.).
Oggi è assai
frequente rilevare la
compresenza di più
rivestimenti, come
evidenzia l’esempio
in figura.

Nel XVII secolo i sistemi correnti impiegarono orditure semplici che, al


generalizzato decremento delle dimensioni rispetto agli esemplari pregressi,
associarono l’uso di travi asciate – lavorate con l’ascia da boscaiolo
in direzione delle fibre – con sezioni all’incirca di 20-22x18-20 cm,
apparecchiate con valere di circa 1 m e solarini (larghezza media 10-13 cm)
e, solo dalla fine del secolo, con chiancarelle, lunghe 3½-4 palmi napoletani
(0.95-1.05 m) e larghe 20-40 centesimi di palmo. Dalla seconda metà del
secolo, a cominciare dalla città partenopea si diffusero poi le travature
‘scorzate’ e ‘attestate’, uniformemente allestite con panconcelli e rivestite
con ‘incartate’ le quali, contestualmente all’indicata tipologia di solaio,
dal periodo in parola denotarono un fattore assolutamente peculiare della
pertinente realtà costruttiva che, data la costanza di materiali e procedure
riscontrabile nelle confezioni auliche come nelle consuetudinarie, soprattutto
nel Settecento finì per avere nella qualità di questo rivestimento il principale
elemento distintivo11.
4
Solai e tetti lignei in Campania

4 - San Marcellino
(Ce), edificio in via
Santa Croce 25,
ala nord, piano
terra, particolare
della sezione
dell’impalcato (XVIII
sec.). In figura una
confezione in due
strati, per un totale
di 13-22 cm circa:
dal basso verso
l’alto, il ‘riccio’
o ‘cretonato’,
composto con
‘sfabricime’
asciutto, seguito
da un masso di
maggior spessore
in battuto di lapillo
e dall’allettamento
dell’eventuale
Tra Sette e Ottocento i requisiti di economia, speditezza e semplicità pavimento.
esecutiva caratterizzarono largamente l’edilizia locale, come pure conferma
l’adozione indifferenziata di solai in membrature grezze con apprestamenti
intradossali prima cartacei, poi in tela su graticci lignei. Per gli stessi
motivi, negli orizzontamenti così datati non è raro riscontrare, per esempio,
la mancata chiodatura delle chiancarelle alle travi o il loro mancato
inserimento in ‘caraci’ d’ambito12. All’incirca dalla metà del XIX secolo,
dalle medesime motivazioni - almeno a Napoli dipese pure dalla crescente
affermazione delle tipologie residenziali borghesi – discesero le varianti
assunte nella confezione degli orizzontamenti, sostanzialmente coincidenti
con un generalizzato decremento delle dimensioni. La sezione media delle
travi, sempre scorzate, si attestò su 15-18 cm e la valera su 0.90 m circa,
concordemente alla contestuale diminuzione delle lunghezze dei panconcelli
che, per larghezze più frequenti di 6-8 cm, passarono da 0.95-1.05 m
del periodo pregresso a 0.88-0.93 m. Sia per la riduzione del diametro
degli elementi portanti - da rapportare pure alla comune contrazione della
superficie dei vani di nuova costituzione - sia per la diffusa tendenza ad
una razionalizzazione delle pratiche costruttive, conseguente soprattutto
al miglioramento delle competenze professionali, nel periodo indicato è
infine comune il ricorso alle cosiddette ‘ginelle rompitratta’. Questi sottili
fusti di castagno scorzato (diametro medio 10 cm ca.), già utilizzati nel
Settecento in proporzione minore legandoli con perni trasversalmente alla
struttura principale, dalla metà dell’Ottocento, si fissarono uniformemente
con legature metalliche, le cosiddette ‘strasciolette’, fermate con piccoli
chiodi13.
I tetti della tradizione regionale tra Sette e Ottocento
Il reperimento di coperture lignee inclinate filologicamente datate ha
incontrato alcune difficoltà per lo scarso numero di configurazioni vigenti,
prive di estese ed indistinguibili manomissioni. Trattandosi, come per i solai,
di strutture composte con membrature spesso grezze, secondo conformazioni
5
Marina D’Aprile

e tipologie semplici e reiterate, la manutenzione delle pertinenti orditure,


sovente incomprese sul piano prestazionale e della stabilità, ha generalmente
coinciso con ampie trasformazioni e sostituzioni, nonché con l’aggiunta di
vincoli supplementari e materiali diversi dagli originari.
In base alle datazioni reperite, l’elaborazione delle competenti categorie
cronotipologiche è risultata sostanzialmente relativa al XVIII-XIX secolo14. I
tetti del periodo indicato, insieme a qualche realizzazione della prima metà
del Novecento, rappresentano difatti la gran parte delle strutture storiche
componenti questo particolare repertorio, spesso anche privo di progetti
specifici tanto che, persino nei documenti più dettagliati, è comune il riscontro
della sola elencazione di morfologie e dimensioni dei costituenti elementari.
Naturalmente, si sono riscontrate ripetute e sostanziali congruenze riguardo
ai materiali, alle geometrie, alle lavorazioni ed alle misure delle membrature
portanti ordinariamente impiegate nella confezione di coperture e solai15.

5 - Cicerale (Sa),
edificio in via S.
Leone 24, piano
primo, scorcio del
solaio (XIX sec.).

Vigono conformazioni a doppia falda su capriate e a falda unica o, più


raramente, con strutture dette ‘alla catalana’, tetti a più falde, soprattutto
nelle opere pubbliche, segnatamente militari, ottocentesche. L’edilizia
storica di tessuto comprende invece, uniformemente, strutture a una e a
due falde, con capriate semplici a doppia orditura, secondo il classico
‘coperto alla lombarda’, formato da due ‘cosce’ (puntoni), una ‘corda’
(catena) e da un monaco, nei casi migliori o di maggiore luce provvisto
pure di ‘razze’ (saette)16. Sulle cosce, trasversalmente, erano inchiodate le
ginelle, sulle quali spesso andava direttamente allestito il manto in cotto,
altrimenti sistemato su correntini. Come le membrature, pure le unioni si
caratterizzano per l’estrema semplicità, trattandosi in media di calettature
a dente semplice, come nei nodi catena-puntoni, o doppio o di ‘giunti a
sedia’, come nella connessione monaco-puntoni17. Solo nel caso di elementi
composti (‘catene ammecciate’) vigono configurazioni più articolate, per
6
Solai e tetti lignei in Campania

esempio, con tagli obliqui, coniugati nelle due testate da affrontare e muniti
di indentature, talvolta pure rafforzate con mensole, a loro volta, legate
alla catena con staffe cerchianti. Di norma il monaco era collegato alla
catena tramite una staffa lignea mentre, per quanto è possibile verificare
direttamente, l’appoggio della catena al muro era talvolta mediato da
dormienti. Per fissare la piccola orditura, soprattutto nel Settecento, si
ricorreva diffusamente alle ‘castagnole’, elementi in legno ad uso di bietta,
lunghi circa 50 cm, fissati con perni da 20 cm. Solo nei manufatti più
recenti e negli impianti ristrutturati si registrano componenti metallici,
come le staffe di collegamento monaco-catena chiodate o imperniate
con “perni a passatoio con madrevite e scrofola di chiusura”18. Una volta
realizzati a piè d’opera nodi e giunture, spesso pure incollati, si passava
poi alla ‘congegnatura dè cavalletti’, cioè al loro assemblaggio a terra,
per procedere successivamente alla messa in opera ed al collegamento in
cima, tramite una trave di colmo detta ‘asinello’.

6 - Teverola (Ce),
palazzo ducale, ala
ovest, tetto a doppia
falda (fine XVIII
sec.). La tipologia
a colmi e puntoni,
per luci modeste,
ricorre largamente
nell’areale
indagato,
particolarmente nel
Settecento.

Per i casi di luce modesta il repertorio locale utilizzò pure i sistemi ‘a intermedi
e puntoni’ − con il muro di spina alzato fino al colmo, per fare da appoggio
superiore alle cosce, inchiodate a travi radici a filo dei muri di gronda − e
‘a colmi e puntoni’, risolto con una successione di timpani in muratura
collegati al colmo, sui quali si inchiodavano i puntoni, per luci superiori a
8 m, rafforzati dall’inserimento di controcatene. A differenza del primo tipo,
quest’ultimo prevedeva pure il ricorso a membrature squadrate.
Nel periodo considerato la conformazione della piccola armatura è risultata,
sostanzialmente, costante, essendo formata da ‘ginelle bastarde’ (diametro
medio 8-10 cm) scorzate, attestate e inchiodate ai puntoni19. Al loro posto
possono trovarsi talvolta gli ‘arcarecci’, fissati alle cosce con ‘gattelli o
castagnole’. Superiormente e normalmente ad essi erano i ‘correntini’,
regoli riquadrati lunghi massimo 4.00 m, inchiodati a listoni di castagno
7
Marina D’Aprile

posti sui muri d’ambito e distanziati di circa 32-35 cm in ragione del tipo di
manto. Relativamente alle tegole, infine, la tradizione locale comprese due
tipologie: le ‘tegole maritate’, cioè gli embrici e i coppi, spesso provenienti
dall’isola d’Ischia, e i coppi e i canali, prodotti in varie fornaci (Scauri, S.M.
Capua vetere, Salerno, etc.). Dalla metà del XIX secolo, a cominciare dal
contesto partenopeo, si diffusero invece le tegole marsigliesi.

7 - Trentola-
Ducenta (Ce),
carcere Distrettuale,
tetto a due falde,
particolare delle
incavallature
(1825). La tipologia
a ‘tetto ribassato’,
riscontrata sovente
fuori dal capoluogo
campano,
impiegava capriate
senza monaco con
‘ascialoni’, per luci
comunque modeste
(5 m circa).

Per quanto concerne il Settecento si sono rilevate, in particolare, tre


8 (pag. succ.) - tipologie di coperture inclinate: capriate, ‘tetti ribassati’ e sistemi ‘a colmi
Parete (Ce), edificio
in via V. Emanuele e puntoni’. Per le prime, le incavallature, poste ad una distanza media di
70, colombaia, 1.60-1.70 m, si compongono di catene scorzate in un sol pezzo (diametro
particolare medio 18-20 cm) e puntoni, in genere scorzati, appena più piccoli (15-18
della copertura
(XVIII sec.). Tipo cm). Il monaco è asciato (15x18 cm) mentre le saette, di grandezza simile,
ad ombrello, sono scortecciate. Le unioni sono tutte a dente semplice, fissate con chiodi
l’apparecchio piramidali a testa piatta e staffe lignee.
più comune
prevedeva invece La connessione monaco-catena è risolta con un elemento ligneo, ricavato
un grosso monaco dallo spacco longitudinale di una chiancarella. Il ‘tetto ribassato’ consta
centrale, per lo invece di coppie di puntoni scorzati (diametro medio 18 cm), irrigiditi da
più asciato, sul
quale scaricavano ‘ascialoni’ lignei e da un ‘asinello’ al colmo (diametro medio 10 cm),
i puntoni, a loro mentre il tipo ‘a colmi e puntoni’ prevede timpani in muratura, sui quali
volta, raccordati sono fissate le travi scorzate (diametri medi da 25 a 30 cm), una al colmo
all’unica catena
con elementi lignei e le altre in mezzeria a ciascuna falda, a sostegno di falsi puntoni (diametro
orizzontali, in medio 18 cm) ai quali, trasversalmente ed all’incirca ogni 72 cm, sono
media solo scorzati, fissate le terzere (diametro medio 12 cm).
talvolta sostenuti da
mensole. e tipologie a falda unica pure trovano notevole riscontro nella produzione
indagata, soprattutto nei contesti rurali, segnatamente nei vani di servizio
8
Solai e tetti lignei in Campania

e in generale per luci modeste, in particolare, in età contemporanea.


Restando costante la distinzione operata secondo le tre configurazioni
descritte, nel XIX secolo, per luci fino a 4.00 m si registrano incavallature a
due puntoni, incalettati all’estremità della catena con un incastro semplice
a dente cuneiforme.

9 - Caserta, ex-
caserma Sacchi, ala
ovest, copertura,
scorcio delle
capriate semplici
a sostegno della
doppia falda (XIX
sec.). Per luci
considerevoli, la
tipologia a capriate
impiegava le
cosiddette catene
‘ammecciate’ –
composte cioè da
due elementi, nei
casi più semplici,
‘affacciati’ in
obliquo e fissati
con ‘strasciolette’
– in associazione
a saette e
sottopuntoni.

10 - Caserta,
ex-caserma Sacchi,
corpo angolare
nordovest,
particolare della
copertura (XIX
sec.). In figura una
capriata composta
apprestata come
soluzione angolare,
secondo l’asse di
displuvio, di una
copertura a doppia
falda sostenuta da
capriate semplici.

Per luci tra 4.00 e 7.00 m si riscontra in maggioranza un apparecchio dotato


anche di monaco e controcatena, mentre per strutture da 7.00 a 12.00 m
si rinvengono capriate munite di saette e sottopuntoni. Per luci da 12.00 a
20.00 m, la tipologia corrente coincise, infine, con la ‘capriata palladiana’
9
Marina D’Aprile

mentre, per lunghezze oltre 20 m, si impiegarono i primi impianti misti


legno-ferro alla Polenceau o alla Betancaurt.

1
D’Aprile 2008, pp. 295 - 368
2
Per lo studio delle tecniche edilizie tradizionali campane, tra gli altri, cfr. D’Aprile
2001, 2003, 2008, 2009.
3
Cerullo 2003, pp. 268 - 271; De Marco 2005, pp. 64 - 86, 140 - 162; D’Aprile
2008, pp. 299 - 316.
4
Per l’areale cilentano, cfr. Carillo, D’Aprile 2009.
5
Ragucci 1859, pp. 220 e sg.
6
De Cesare 1855, vol. III, p. 80.
7
I documenti consultati, almeno dal tardo Seicento all’Ottocento, confermano
l’invalsa consuetudine di esprimere la misura dei solai in funzione del numero di
valere, così da calcolare facilmente la quantità di componenti l’orditura secondaria.
Oltre che in base alla qualità delle dipinture, la stessa modalità si applicava pure al
computo delle ‘incartate’.
8
Orditure di travi squadrate e tavole di fattura quattro-cinquecentesca sono state
rilevate pure in vani di servizio e case rurali. Di conseguenza gli elementi segati
rappresentarono le conformazioni correntemente commercializzate nel detto
periodo.
9
Sebbene la dimensione trasversale delle travi scorzate sia poco influenete per
la determinazione cronologica di questi solai, poiché principalmente riferita alla
luce da coprire, se n’è rilevata comunque una certa reiterazione, specie ne Sette-
Ottocento, allorché vigono, rispettivamente, diametri medi di 20-24 cm e di 18- 22
cm circa.
10
Bertoldi 1989, pp. 61 - 82; Menicali 1992, pp. 190 - 195; Romby 1996; De
Cesaris 1997, pp. 181 - 214.
11
L’incartata si componeva di cartastraccia incollata direttamente sul legno
(‘sottocarta’) e di uno strato sovrapposto dipinto in opera. Negli esemplari
seicenteschi è comune rilevare, però, la vigenza di un unico strato.
12
Dal Settecento pratiche esecutive veloci, economiche e di facile applicazione si
diffusero pure nelle località rurali e nell’entroterra, secondo procedure che, per i
solai, rimasero sostanzialmente invariate sino alla prima metà del Novecento.
13
Già dal Settecento, il consolidamento dei solai inflessi prevedeva l’adozione
all’intradosso, trasversalmente alle travi, di fusti scorzati (‘tarcenali’, ‘darcenali’ o
‘dossali’).
14
Qualche osservazione sulle coperture inclinate pregresse, in particolare
seicentesche, può solo trarsi dalla consultazione dei materiali d’archivio. Cfr. Cerullo
2003; De Marco 2005; D’Aprile 2008, pp. 316 - 342.
15
In media pure i tetti impiegarono il castagno selvaggio, sebbene non manchino
esemplari in abete, per lo più, proveniente dal mercato foggiano o, di rado, dalla
Calabria e dalla Basilicata.
16
Tampone 1996, p. 95.
17
Per la miglior tenuta di innesti e calettature non è raro riscontrare l’uso di ‘brache
di ferro e legature di solide staggiolette’.
18
Cerullo 2003, p. 314.
19
Le ginelle si disponevano inchiodate ad intervalli minimi di 1½ palmo.

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