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VAJONT

Progetto “Grande Vajont” e caratteristiche generali


È il 1957, quando la SADE (Società Adriatica Di Elettricità)
commissiona la costruzione di una diga nel canyon
scavato dal torrente Vajont, infatti proprio così si
chiamerà il bacino artificiale che completa un complesso
sistema idroelettrico (anche chiamato “Grande Vajont”)
lungo la parte a monte del fiume Piave.
Il torrente Vajont scorre nella stretta, omonima valle,
situata nell’odierna provincia di Pordenone (all’epoca dei
fatti era in provincia di Udine). Sfocia nel Piave, tra gli
abitati di Codissago a monte e Dogna a valle, sulla sinistra
orografica del Piave stesso, proprio di fronte al paese di
Longarone.
Il progetto della SADE è quello di sfruttare il principio dei
vasi comunicanti, con 5 serbatoi (Pieve di Cadore, Valle di Cadore, Pontesei, Val Gallina, Vajont) e 4
centrali idroelettriche (Gardona, Soverzene, Piave-S.Croce, Vajont-Colomber), tutti collegati da
circa 30 km di viadotti e ponti-sifone, complessivamente per un area di 990,5 km2. In questo
sistema che sfrutta il principio dei vasi comunicanti, le differenze di quota tra bacino e bacino
venivano usate per produrre energia tramite piccole centrali idroelettriche, come quella del
Colombèr, ricavata in caverna ai piedi della diga del Vajont.
L’ingegner Carlo Semenza ha selezionato proprio la valle del Vajont perché è favorevole alla
costruzione della diga a doppio arco più alta del mondo, quindi oltre al bisogno di elettricità, è
presente anche la questione d’immagine dell’Italia.
Dopo molteplici progetti, quello finale di Semenza prevede uno sbarramento del torrente Vajont
costruito in calcestruzzo (360 mila m 3) del tipo “a doppio arco”, alto 261,60 m (276,13 m sul
coronamento) e largo 22,10 m alla base e 3,6 m sul coronamento, che avrebbe poi formato un
lago artificiale di 168,715 milioni di m2.
La diga viene chiamata “a doppio arco” perché è formata da un arco adagiato in orizzontale, con la
parte convessa a contatto del lago in modo che la spinta dell’acqua venga scaricata contro i
versanti della montagna, e un’ulteriore curvatura anche verso valle, che scarica a terra parte della
componente orizzontale del peso dell’acqua.
Costruzione
La diga è stata costruita dall’impresa edile
Torno, di Milano. Il cantiere fu un sollievo
per l’economia della zona, perché fece
iniziare un grande flusso migratorio
collegato alla costruzione della diga.
1. Nel 1929 l’ingegner Carlo Semenza presenta
un progetto per conto della SIV (Società
Idroelettrica Veneta).
2. Nel 1934 la SADE assorbe la SIV.
3. Nel 1937 Carlo Semenza presenza un secondo progetto, ma molto più ambizioso.
4. N e l 1 9 4 0 l ’ I t a l i a

produzione di elettricità; ma ancora bisognerà aspettare 17 anni prima che l’economia riprenda e il
progetto di Carlo Semenza venga approvato e commissionato dalla SADE e dal governo italiano.
Intanto la SADE commissiona anche la costruzione delle dighe di Valle di Cadore e di Pieve di
Cadore.
5. Nel 1957 i lavori iniziano senza alcuna autorizzazione. Questa arriverà con decreto
interministeriale solo nel 1959, con i lavori giunti ormai a buon punto.
6. Inizialmente gli idrologi monitorano la portata del torrente Vajont e stimano la portata che
avrebbe dovuto avere la diga. Il geologo Giorgio Dal Piaz esamina le caratteristiche delle rocce nei
fianchi della valle. Il fotografo che delinea i contorni che avrebbe avuto la diga al suo compimento.
7. Il geometra (Semenza) che progetta secondo le caratteristiche geologiche e morfologiche della
valle emerse dallo studio approfondito del territorio e del bacino idrografico del torrente.
8. Viene sperimentato un modello della diga per verificarne la robustezza e dinamicità.
9. Si iniziano gli sbancamenti dei versanti in cui sarebbe stata costruita la diga esportando 400 mila
m3 di roccia, per mettere a nudo la componente più resistente.
10. Viene gettato il calcestruzzo contro la roccia di formazione per creare i pulvini (le fondazioni
ancorate alla montagna), ed a partire dall’Agosto del 1958, la diga si alzò ogni giorno di 60 cm.
Mentre nella valle del Piave viene costruito un magazzino dove venivano selezionati i materiali per
la costruzione, il quale era collegato con il cantiere per mezzo di una teleferica con dislivello di 300
m e lunga più di un km e mezzo.
Geografia
La valle del Vajont confina a sud con il M. Col Nudo e il M. Toc, a nord con il M. Borgà e il M.
Porgeit. Il Passo di S. Osvaldo collega la Valle del Vajont alla Val Cellina e da qui a Montereale,
Maniago, fino al nuovo Comune di Vajont, distante 50 km ed
istituito nel 1971.
Il torrente Vajont nasce nelle Prealpi Carniche Occidentali (M.
Col Nudo), a cavallo di Friuli Venezia Giulia e Veneto (province di
Pordenone e di Belluno) e dopo aver curvato verso ovest per
circa 13 km, confluisce nel Piave all’altezza di Longarone,
attraversando una zona caratterizzata da valli ed alpeggi, dove
incontra numerosi affluenti, come quello della Val di Toura, lo
Zemola e il Mesazzo. Ad ovest la vallata si restringe diventando
forra per andare ad intersecare, ad angolo retto, la valle del
Piave. La forra, alta e stretta, è di origine glaciale ma è stata
erosa verticalmente dall’azione torrentizia.
Dal punto di vista naturalistico le valli del Piave e del Vajont
fanno parte rispettivamente del Parco Naturale delle Dolomiti
Bellunesi e del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane che
include, oltre al M. Toc, anche tutto il bacino idrografico
interessato dalla frana.
Cartina geografica
Caratteristiche geologiche
Il corpo geologico della frana del Vajont è
un grande incompreso. Sulla frana, anche
in funzione delle sue dimensioni, si
possono percorrere lembi residui di antichi
depositi del ghiacciaio del Piave, come
sono anche molto diffuse le porzioni
rocciose scarsamente vegetate. In queste
parti sono dominanti le fessure e le trincee
sottoposte a forte erosione, frequenti
piccoli crolli e colate di detrito. Infatti,
avvicinandosi alla nicchia della frana si
possono percorrere conoidi e pietraie
composte da enormi lastre calcaree dovute
a crolli e scivolamenti lungo strato che si
susseguono stagionalmente. Un ambiente
molto vario, con anche preziose zone
umide in alcune depressioni (laghetto del
Mesalezza) e lembi del bosco residuo
(miracolosamente radicato e ancora vivo)
appartenuto alle quote medio alte del
monte Toc, con le piante migrate durante
l’enorme scivolamento del 1963 alle quote
attuali.
N. NOME STRATO PERIODO SPESSORE CARATTERISTICHE
1 Dolomia Principale Triassico Superiore 1000 m Colore: grigio scuro
2 Calcare del Vajont Giurassico Medio 450 m
3 Formazione di Fonzaso Oxfordiano 10-40 m Ha un aspetto stratificato a lamine
parallele ed oblique
4 Rosso ammonitico Cretacico Inferiore 5-15 m
5 Calcare di Socchèr Cretacico 150 m Proviene dal Friuli
6 Scaglia Rossa Cretaceo Superiore – 300 m
Paleocene Inferiore
7 Marne di Erto Paleocene 100-150 m E’ la transizione fra i due strati
adiacenti
8 Flysch Eocene 200 m Caratterizzato da una successione di
arenarie.
Eventi premonitori
 Il 22 marzo 1959 nel bacino artificiale di Pontesei (anch’esso inglobato nel 1957 nel sistema del
Vajont) sul torrente Moè, affluente di destra del Piave in cui sfocia a valle di Longarone, precipita
una frana di 3 milioni di m3.
 La SADE durante la costruzione della diga si rifiutò di costruire la strada che avrebbe aggirato il
bacino artificiale, nonostante che l’avessero promessa alle popolazioni di Erto e Casso. I motivi
erano la forte instabilità dei terreni adiacenti al lago.
 Il geologo Muller riconosce un’enorme massa in movimento sotto la superfice del monte Toc, cosa
che potrebbe provocare diverse pericolose frane che andrebbero a rovinarsi nel bacino idrografico
artificiale.
 Durante l’invaso si verificano alcune forti scosse e si moltiplicano gli eventi franosi, ma nulla in
confronto della frana del 4 Novembre 1960: un fronte di circa 300 m si stacca dal monte Toc e
finisce nel lago, provocando numerosi danni alle abitazioni sul monte Toc. La cosa spaventa
talmente tanto il direttore delle costruzioni idrauliche della SADE Alberico Biadene, da vietare
l’innalzamento dell’acqua.
 Dopo il 14 Marzo 1963, con il passaggio di proprietà della diga dalla SADE all’ENEL, Biadene porta il
livello dell’invaso a 715 m slm, ignorando i preoccupanti movimenti del versante del monte Toc,
che acceleravano sempre più.
 Lettera dei paesi di Erto e Casso: “Abbiamo paura, le scosse continuano sempre più
frequentemente, a volte accompagnate da forti boati. Chiediamo alla SADE di smettere di
dipendere dal lago e prendere i provvedimenti necessari”.
 Testimonianza Felice Fillippin: “Da lunedì 7 Ottobre in poi, si verificarono spaccature e fessure
sempre più ampie nel versante del monte Toc. Girammo tutta la zona della frana e notammo che
sul terreno si erano verificate numerose spaccature piccole e grandi in alto e in basso, aumentanti
di ora in ora. Ricordo che al ritorno notammo nuove fessure in zone ispezionate due ore prima che
ne erano immuni.”
 Lettera del 9 ottobre 1963 di Alberico Biadene all’ing. Pancini, direttore del cantiere del Vajont:
“Tornando al Vajont le dirò che in questo giorno le velocità di traslazione della frana sono
decisamente aumentate. Le fessure sul terreno, gli avvallamenti sulla strada, la evidente
inclinazione degli alberi sulla costa (…), l’aprirsi della grande fessura che delimita la zona franosa, il
muoversi dei punti anche verso la Pineda che finora erano rimasti fermi, fanno pensare al peggio.
Si nota anche un peggioramento delle condizioni di stabilità del monte Toc e qualche caduta di
sassi al bordo ovest (verso diga) della frana. Che Iddio ce la mandi buona”.
Disastro
Alle 22:39 del 9 Ottobre 1963, una massa franosa di 260 milioni
di m3 si stacca dalla parete del monte Toc e precipita nel bacino
del Vajont. Un’immensa ondata si proietta sul versante opposto
risalendolo per circa 100 m, raggiungendo gli abitati di Erto e
Casso. L’ondata si divide in due: la prima parte risale la valle,
sommerge i paesi di Pineda, San Martino e Le Spesse, la
seconda parte delle acque oltrepassa la diga del Vajont,
riversandosi lungo la gola, su Longarone. In pochi minuti la massa d’acqua percorre 1600 m,
raggiunge il paese spazzandolo via.
Uccide centinaia di persone, che vanno ad
aggiungersi alle vittime delle frazioni di frazioni
di Rivalta, Pirago, Villanova, Faè e Codissago
(1450 morti nell’area del comune). L’acqua
risale persino la valle del Piave provocando 111
vittime nel comune di Castellavazzo e giunge
fino a Termine di Cadore, portando con sé
detriti e corpi. In altri luoghi e nei cantieri di
lavoro dell’ex Sade si registrano ulteriori 191
vittime. Diverse stime dimostrano che l’altezza
dell’onda al momento della frana del Toc era di
230 m.
Precauzioni odierne per la costruzione di una
diga.
1. Valutazione del grado di rischio, a livello empirico, ovvero sulla base dei danni nel caso di collasso
o problemi.
2. Valutazione, sulla base delle dimensioni delle opere artificiali e delle caratteristiche della natura
circostante, del progetto del bacino artificiale (curva ipsografica, affluenti, instabilità di territori,
analisi geomorfologica e geologica, appostamento della strumentazione necessaria).
3. Controllo dell’idoneità della costruzione in relazione con le curve di possibilità climatica per il
tempo di 50, 100, 200 anni.
4. Controllo del trasporto solido, ovvero di tutti i detriti che porta il fiume fino alla diga (considerando
i momenti di piena), e quindi il livello di sopportazione per la costruzione.
5. Realizzare scarico di superfice e canale fugatore in calcestruzzo armato, con la grandezza tale che
non ci possano essere sovraccarichi, tenendo conto delle valutazioni idrologiche con un tempo di
ritorno di almeno 200 anni.
6. Valutare le possibilità di collasso dello sbarramento nei seguenti casi: onda di piena a velocità
massima dell’acqua per la durata massima dell’evento, ed a seconda dell’esito di questa
valutazione idraulica, c’è l’obbligo di rispettare la lunghezza delle estensioni idrauliche di scolo,
che è direttamente proporzionale al fattore di rischio.
7. Indagare dell’erodibilità del terreno, tenendo conto della copertura vegetale e delle modifiche che
si apporteranno con la costruzione.
8. Il coronamento della diga deve avere una larghezza di almeno 4 m.
9. Controllo del comportamento della diga se venisse sollecitata da monte verso valle o dal basso
verso l’alto e viceversa.
10. E’ obbligatoria la presenza di canne di drenaggio e di un cunicolo di ispezione al piede di esse.
11. Le dighe ad arco (a gravità o non) devono avere il coronamento largo sufficientemente per lasciar
passare un mezzo di controllo della diga stessa e lo spessore alla base non può essere inferiore al
40% dell’altezza della diga. Il coronamento, inoltre non deve influire o scaricare peso sulla
struttura sottostante, ma deve essere ancorato alle sue estremità.
12. Oltre a grandissime limitazioni sui materiali e delle modalità di costruzione, una diga deve avere
fondazioni che siano inserite in una roccia impermeabile o resa impermeabile. La diga a gravità
deve fondare su un tratto ascendente verso valle. La diga ad arco deve esssere dotata di pulvino.
13. Dotazione di tutta la strumentazione utile a monitorare il comportamento della diga: asta
idrometrica, piezometro, picchetti sul coronamento per verificarne gli eventuali spostamenti,
stramazzo per misurare eventuali infiltrazioni, assestimetri a croce da posizionare uno a monte e
uno a valle, mira sul coronamento, teodolite. Il controllo di tutta la strumentazione deve avvenire
secondo le norme per ciascuno strumento e più frequente in eventi di piena o di sollecitazione.
14. Periodicamente sono obbligatori controlli di funzionamento di ogni parte della diga, pulizie e taglio
della vegetazione.
15. Obbligo di svolgere le indagini geognostiche secondo la litogenesi, la stratografia, la resistenza, la
deformabilità, la permeabilità, le posizioni e le dimensioni del livello di falda. Aiutandosi con dei
pozzetti esplorativi, sondaggi ad elica, a percussione ed a rotazione.
16. Scegliere il materiale di costruzione secondo la propria resistenza meccanica, permeabilità,
quantità disponibile, facilità di scavo, trasporto e posa, distanza dal cantiere.
17. Obbligo di relazione geotecnica comprendente: stabilità dei pendii (anche in presenza dell’opera),
erosione possibile con relative conseguenze, sedimentazione possibile con relative conseguenze
sull’innalzamento del livello del bacino o sulla stabilità dell’opera. Un terreno per essere approvato
dalla relazione geotecnica deve: avere buone caratteristiche meccaniche, essere facilmente
compattabile, presentare i drenaggi per il controllo della filtrazione, non essere ricco di torba,
umido, soffice, altamente organico, congelato o con caratteristiche chimiche o fisiche pericolose o
compromettenti per l’opera.

Mattia Maroncelli

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