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4. Colorismo e razionalismo.

Vienna è contrassegnata da una dominante musicale di ascendenza armonica-cromatica, cioè


deriva la sua sintassi e la sua sensibilità dal mondo wagneriano: Il cromatismo esasperato, le
armonie costruite su accordi di carattere wagneriano, implosivo ed estenuato, sono la matrice del
mondo viennese.

Il cromatismo portato in maniera esasperata porta alla dissoluzione della tonalità e alla
dissoluzione del rapporto tonica-donimante. Quella di Vienna quindi è un’estetica di carattere
psichico, improntata ad una dimensione inconscia molto forte.

Parigi invece dal punto di vista musicale è tutta volta verso il diatonicismo, cioè le scale
diatoniche che invece hanno una caratteristica limpida, molto più razionale, non psichica e questo
riflette l’ascendente di tipo razionalistico della cultura francese, nonchè quella sorta di richiamo
all’ordine che era una richiamo al drenaggio del sentimentalismo-romantico-borghese che aveva
contrassegnato l’800.

Il diatonicismo della Parigi del 900, delle avanguardie storiche, deriva anche dalla sintassi
armonica di quello che è stato il più importante musicista a cavallo tra l’800 e il 900 della Francia,
cioè Debussy.

La sintassi musicale di Debussy è totalmente diatonica, perchè si basa su scale per toni interi,
esatonali e pentafoniche che lui ascolta dalla tradizione del gamelan giavanese all’Expo di Parigi
del’89, ma che prende anche dal fascino che esercitarono su Debussy le scale modali di
Palestrina che lui sentì a Roma giovane, vincitore del Prix de Rome.

Debussy assimila il wagnerismo, apprezza di esso l’apertura all’infinito dell’opera, però la volge
verso il simbolismo che prende da Mallarmè.

Il simbolismo ha una concezione della vita intesa come una foresta di simboli, che si rivelano
attraverso epifanie che la coscienza poetica deve essere in grado di cogliere e decodificare.

Per cui c’è il rifiuto della linearità consequenziale del tempo e una visione epifanica della realtà.

Questa concezione simbolistica è il contesto poetico, la sensibilità in cui Debussy riversa nel
wagnerismo, soprattutto nel Parsifal.

Il linguaggio di Wagner è costituito da armonie occlusive, dense, il linguaggio di Debussy è


costituito da armonie aperte ed estatiche e liberatrici.

Il Debussy orchestrale è tendenzialmente meno brumoso di quello pianistico: ha dei colori più
screziati ed intensi, con delle pennellate più dense e anticipa, in modo mirabile, i colori e la
dinamica del colorismo Fauve che sarà del primo Ravel e di Stravinsky.

Il termine Fauve vuol dire in francese fiere, belve e fu dato in campo pittorico alle prime
esposizioni di Matisse definendoli delle belve per il loro colorismo acceso e allucinazione
cromatica rispetto a Monet e altri.

Ascoltiamo l’incipit del terzo capitolo di La Mer: il dialogo del vento e del mare.

Si sentono i wagnerismi di Debussy con quelle tensioni armoniche che non si risolvono, ma anche
il carattere ritmico e soprattutto di colore che anticipa il Fauve.

Nel panorama della storia della musica, Debussy rappresenta l’ultimo momento conciliativo del
rapporto fra coscienza e mondo, prima della rottura dei codici o nel mondo atonale o
nell’aggressione tellurica e barbarica del Fauve.

In Debussy c’è questo proscioglimento della coscienza attraverso l’evocazione e l’epifania


contemplativa del simbolismo.

Dal diatonicismo nasce quello che alimenterà il Fauve e cioè il politonalismo perchè il Fauve, oltre
ai colori marcati e i ritmici asimmetrici aggressivi e barbarici, tipici dello Stravinsky russo, usa la
sintassi politonale.

Ci sono più centri tonali, cioè si rimane dentro la tonalità, non c’è L’ emancipazione della
dissonanza, ma vi è come una sorta di urgere folle di tensioni.

Politonalismo è la ricaduta nelle avanguardie del diatonicismo come la rottura della tonalità lo è
del cromatismo.

Mentre l’espressionismo atonale della cultura viennese, che di matrice prevalentemente ebraica,
esprime un urlo di disperazione di cui il quadro di Munch ne è palesemente rappresentativo, l’urli
dell’Io del Fauve è l’urlo di un Io in piena salute che aggredisce il mondo con gli umori barbarici di
una natura che non intende mediare. Aggredisce i codici della realtà e li stravolge, mentre nel
mondo atonale i codici si dissolvono per l’enigma della coscienza che spaesata, vive in un mondo
disso

Ascoltiamo un passo della Sagra della Primavera, suonata per la prima volta a Parigi il 15 maggio
del 1913. Nella Sagra della Primavera, Stravinsky esaspera i passi meno estatici e ritmicamente
più barbarici del La Mer di Debussy a cui deve molto artisticamente prendendo questi elementi e
portandoli avanti secondo un’ estetica più tellurica.

La Primavera di Stravinsky è il risveglio della Russia Pagana dopo l’inverno, il rito della terra,
ancestrale. Non c’è nulla di umanisticamente elegiaco.

I colori vengono trattati a blocchi, quasi in un’ottica proto-cubistica, per cui c’è questa formidabile
energia che rappresenta il culmine della tendenza del Fauve.

Parigi è stata, soprattutto tra il 10 ed il 30 circa, a cavallo tra la Grande Guerra e le due Guerre
Mondiali, l’epicentro del laboratorio della cultura dell’avanguardia europea, perchè in Francia già
negli anni 90 del 800 stava covando una tendenza ad un prosciugamento di carattere lineare che
sarà poi la matrice antiromantica e non intrisa di psichismo che darà vita poi a quella che è la
corrente più dominante della Parigi del 900 storico e in assoluto la più popolosa, che è quella del
neoclassicismo: un razionalismo neoclassico sotteso ad un decostruzionismo provocatorio e di
cui Satie ne è il massimo esponente.

All’inizio Satie, che era interessato molto ai rosacroce, al simbolismo esoterico, scrive delle
composizioni molto sognanti. Lui aveva una preparazione musicale abbastanza da autodidatta,
pertanto scriveva solo al pianoforte le famose Gymnopedie, che si ispirano ad un arcaismo
ellenico, come le danze delle fanciulle, che poi Debussy gli orchestrò due facendogli un grande
regalo.

Al passare del secolo ci fu una separazione non polemica, perchè mentre Debussy rimase legato
allo scandaglio della coscienza, all’interesse introspettivo serio e profondo, Satie volse verso un
decostruttivismo quasi proto-dadaistico, provocatorio, prosciugato, non volto n’è allo scandaglio
armonico tipico di Debussy, nè alla virulenza caratteristica del Fauve del primo Stravinsky. Satie
stesso definisce la sua musica da arredamento, da tappezzeria: il minimalismo decostruzionistico
che è una delle cifre ironiche, fondamentali del 900, di carattere anti-borghese.

Satie scrive composizioni chiamate le Gnossienes, che viene dalla parola “gnosi”, dalla
componente ermetica, sognante ma in modo estramemente lineare, opposta a quella di Debussy
con dei momenti armonici di estraniamento che sono appunto il prologo di composizioni che lui
scriverà con palese intento provocatorio come Sonatine bureaucratique o Tre pezzi in forma di
pera, in difesa di Debussy nei confronti della critica che polemizzava sul fatto che nelle sue
composizioni non ci fosse una forma.

Satie fu il punto di riferimento del Gruppo dei Sei, i neoclassici francesi tra cui i più importanti
Paulenc e Milhaud e Honegger.

Ascoltiamo la sesta Gnossien del 1897 che è una sorta di esotismo misterioso di carattere
simbolico.

Anche Debussy, dal 15, prosciuga il suo linguaggio con una sorta di puntillismo pianistico negli
Studi, ma soprattutto va a conciliare la struttura della sonata classica col modello suo delle
epifanie. Vuole ripensare la classicità non accettando però il concetto di sviluppo nel senso della
consequenzialità come in Beethoven, ma apprezzando lo sviluppo contrappuntistico di Bach.

Debussy aveva capito che lo sviluppo in Bach non è lo sviluppo di rapporto causa-effetto della
sonata di Beethoven, è uno sviluppo figurale, una struttura che ruota attorno ad un nucleo
tematico che è quello che Debussy cerca di fare con le sue armonie estatiche e con la sua
sensibilità simbolistica.

Nel 20 Stravinsky stupisce il mondo con una improvvisa virata verso il neoclassicismo che durerà
30 anni con accenti surreali e decostruttivi.

Lo spunto è di Djagilev, il suo committente,che gli fece notare che Tommasini fece a Roma un
pastiche di sonate di Scarlatti e Respighi fece lo stesso con i temi di Rossini e lo esortò a fare lo
stesso suggerendogli persino la fonte: le musiche di Pergolesi.

Dal Flaminio, Dall’Adriano in Siria e da una sonata di Pergolesi, Stravinsky scrive La Pantomima
del Pulcinella, di cui le scene verrano disegnate da Picasso.

Il Pulcinella è la versione farsesca e decostruttiva del Pierrot Lunaire di Schoenberg, l’angoscia


esistenziale, con una venatura di nostalgia verso l’oggettività neoclassica.

Stravinsky per i prossimi 30 anni esplorerà tutti i moduli della classicità, anche arrivando alla
polifonia fiamminga, e gli darà modo di calarsi in una sorta di camaleontismo trasformistico
alterando i codici della tradizione classica.

Nella Pantomima del Pulcinella prende Pergolesi e altera le divisioni ritmiche rendendole
meccaniche e scoordinate, dà a strumenti che mai nel barocco avrebbero avuto un ruolo solistico
delle parti solistiche, e c’è una straordinaria vivacità anche di carattere contrappuntistico.

Ascoltiamo lo Scherzino.

Sulla scia del Pulcinella di Stravinsky e sul lavoro di Satie che era più defilato, si sviluppa anche in
modo provocatorio, anche perchè la cultura d’avanguardia sente anche il dovere morale,
attraverso lo sberleffo culturale, di mettere alla berlina la cultura tronfia della borghesia e
dell’accademie de France che aveva promosso la guerra patriottica per cui c’è anche un intento
di contestazione politica e si diffonde il gusto del pastiche.

Il pastiche che può essere fatto come il Pulcinella di Stravinsky con elementi moderni dentro al
contesto classico e che fece germogliare il fenomeno della contaminazione tra codici diversi che
è uno dei grandi tentativi, anche i più vivaci di vivificare la tradizione europea-culturale, attingendo
da altre fonti.

Un caso divertentissimo di grande vivacità è proprio di uno del Gruppo dei Sei.

L’anno dopo il Pulcinella, Milhaud, appena tornato dal Brasile, scrisse dei pasticci su temi di
samba e rumbe brasiliane però orchestrandoli come un concerto grosso settecentesco ed un
esempio divertente è Le boeuf sue le toit ( il bue sul tetto) che prende il nome da una canzone
brasiliana.

La pantomima è Molto Gustosa: la vicenda si svolge in un bar dell’epoca del proibizionismo,


siamo negli anni per cui chiara ironia verso l’America, la gente beve. C’è la sciantosa, la dark lady,
il pugile suonato, il malavitoso. Ad un certo punto entra un poliziotto è il bar si trasforma in latteria
e tutti bevono latte, fino a quando il barista aziona un enorme ventilatore a pale sul soffitto che
decapita il poliziotto e la sciantosa con la testa del poliziotto fa una danza dei sette veli
chiaramente irridente e dissacratoria come la Salome, poi la testa viene rimessa al poliziotto che
rinasce è tutto torna come prima.

Parallelamente a questi signori, agisce Ravel che fonde la tavolozza Fauve con l’asciuttezza e la
linearità neoclassica.

Ravel a cavallo tra il 20 ed il 30 fece una tournée in America e contaminò il suo linguaggio con il
blues, come si sente negli accenti iniziali del Concerto in Sol del 1932 e anche nella sonata per
violino e pianoforte, dove il violino ad un certo punto venne usato come un banjo. Ebbe rapporti
con Gershwin e ne assimilò alcuni elementi.

Anche Stravinsky andando in America prenderà spunto dal jazz: esempi sono Ebony Concert,
Concerto per clarinetto e sassofono, suonato spesso dall’Orchestra di Woody Herman che lui
soprannominava spesso Ebony Face, e Ragtime.

In contrapposizione ai colori smerigliati di Ravel e alla decostruzione estraniante di Stravinsky, ci


fu il razionalismo di Poulenc, il modello classico oggettivo evocato con assoluta limpidezza.

Va ricordato che il neoclassicismo è il partito di maggioranza assoluta nel panorama delle


avanguardie storico-musicali europee a dispetto della dodecafonia di esigua minoranza, solo che
il neoclassicismo è declinato nei modi più disparati: dal neoclassicismo mescolato col Fauve di
Ravel al neoclassicismo severo di ascendenza bachiana di Hindemith.

Il fattore comune delle avanguardie storico-musicali è anti-romanticismo: mentre a Vienna il


mondo atonale lo esaspera, a Parigi si ritorna all’oggettivismo razionalistico con un modo
surreale.

Ascoltiamo il concerto per due pianoforti in re minore anch’esso del 1932. L’impianto strutturale è
para-mozartiano però sono evidenti nel taglio melodico della frase i richiami a Bach.

Ci sono sottili forme di parentela, di codici che si toccano. Il concerto fu pensato nella stessa
tonalità del primo dei tredici concerti per uno o più cembali scritti da Bach che ha proprio per
tema con quel tipo di taglio degli intervalli.

Un esempio di asciuttezza limpida e squillante del neoclassicismo stavolta fuori Parigi lo troviamo
in Prokofiev con la Sinfonia classica. La prima Sinfonia infatti fu scritta pensando ad Haydn per
celebrare la grande attesa messianica della grande rivoluzione d’ottobre, per cui Prokofiev
pensava al ritorno dell’illuminismo settecentesco, alla chiarezza emblematica di aspettative
giacobine che la rivoluzione russa incarnava.

Altro esempio di sinfonia classica è quella di Britten, la Simple Symphony, che lui scrisse da
ragazzino, essendo un enfant prodige.

Mentre il neoclassicismo di Poulenc e anche quello fuso col Fauve sono più mimetici, cioè hanno
una componente di imitazione felice del calco classico, dopo 18 anni di attività neoclassica,
Stravinsky fa un capolavoro neoclassico dove arriva alla totale decostruzione modernistica del
modello di riferimento che pure si coglie e lo ricostruisce in modo astratto.

E’ un concerto che prende il nome della residenza in campagna di amici che lo avevano ospitato
nel 37-38 negli Stati Uniti: Dumbarton Oaks, le quercie di Dumbarton è un ripensamento di un
concerto grosso in tre movimenti ( quarto brandeburghese di Bach ) con fittissimo uso di
contrappunto decostruito nel modernismo e rimontato in una concezione astrattiva dentro la
tonalità.

Stravinsky mantiene lo spirito del Brandeburghese anche se ha smontato il modello e lo ha fatto


rivivere secondo un modernismo astrattivo straordinario: non c’è una somiglianza mimetica
melodica, c’è l’essenza dell’idea, la dialettica interna, lo stacco e il colore.

Stravinsky e Schoenberg sono stati indubbiamente le due teste di serie delle avanguardie storico-
musicali, anche altri musicisti sono stati dal punto di vista poetico-espressivo non inferiori a loro,
tipo Webern, Berg o Hindemith e Bartok, però loro sono stati come atteggiamento antitesi:
Stravinsky amava la battuta, Schoenberg era un ebreo serissimo, politicamente conservatore.

Tutti e due, uomini così diversi, erano accomunati da un amore reverenziale verso Bach.

Stravinsky scrisse “il puro contrappunto mi sembra l’unico materiale possibile con cui si possano
forgiare forme musicali solide e durevoli. Non può essere rimpiazzato nè dalle raffinate armonie nè
dalla più ricca orchestrazione”.

Questo amore per il contrappunto porterà Stravinsky a chiudere la sua formidabile carriera, nei
suoi anni americani, scrivendo le sue ultime composizioni in modo dodecafonico, lui che aveva
sempre odiato la dodecafonia, perchè venne ispirato da Webern.

La dodecafonia infatti funziona secondo le regole del contrappunto fiammingo bachiano.

D’altro canto Schoenberg, pur venendo dal versante tardo-romantico germanico, con la
dodecafonia arriva ad una radicale assunzione di modello oggettivo di carattere bachiano, perchè
la serie può essere variata secondo gli artifici del contrappunto fiammingo, infatti nella
dodecafonia gli omaggi a Bach sono innumerevoli. La dodecafonia può essere intesa pertanto
come una forma radicale di neoclassicismo che non ha nulla di mimetico, prendendo la legge è la
struttura senza nulla che imiti.

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