La realtà? È tutto il reale, tutto ciò che è: ogni ente, l’insieme
degli enti e, in questo senso, l’essere esistente in generale. Non è qui il luogo di analizzare a fondo che cosa sia la realtà. La realtà non può essere definita a priori. L’onnicomprensivo non è, per definizione, né definibile né delimitabile. La realtà: è in primo luogo il mondo e tutto ciò che costituisce il mondo nello spazio e nel tempo, il macrocosmo e il microcosmo con i loro abissi. Il mondo nella sua storia, nel passato, nel presente e nel futuro. Il mondo con la materia e l’energia, con la natura e la cultura, con tutti i suoi prodigi e orrori. Nessun «mondo sano» comunque, ma soltanto il mondo reale in tutta la sua problematicità: con tutti i suoi condizionamenti concreti e catastrofi naturali, con la sua miseria reale e con tutto il suo dolore. Gli animali e gli uomini nella loro lotta per l’esistenza: nel loro nascere e perire, nel loro “divorare” ed “essere divorati”. La realtà: sono, nel mondo, in particolare gli uomini, gli uomini di tutti i ceti e di tutte le classi, di tutti i colori e di tutte le razze, nazioni e regioni, sono l’uomo singolo e la società. Gli uomini: i più lontani e soprattutto i più vicini (il prossimo), che spesso sentiamo lontanissimi da noi. Gli uomini con tutto il loro umano, troppo umano. Nessuna umanità ideale comunque, ma un’umanità che comprende anche tutto ciò che noi vorremmo escludere dall’”abbraccio universale” e dal “bacio del mondo intero”. Che comprende quindi anche tutti coloro che, in grande o in piccolo, possono renderci la vita un inferno. La realtà: sono soprattutto io stesso, che come soggetto posso farmi mio oggetto. Io stesso in anima e corpo, con le mie doti e il mio comportamento, con le mie debolezze e i miei punti forti. Nessun uomo ideale comunque, ma soltanto un uomo con i suoi alti e bassi, con i suoi lati chiari e oscuri, con tutto quello che C.G. Jung chiama l’«ombra» della persona, con tutto ciò che l’uomo ha spostato, represso, rimosso, e Freud cerca, con gli strumenti dell’analisi, di riportare alla coscienza e di far accettare. Io e il mondo, però, non possiamo – come abbiamo già accennato – essere compresi semplicemente come soggetto e oggetto “che sta di fronte”. L’oggetto e il soggetto non possono essere pensati come staccati e isolati l’uno rispetto all’altro. Il mondo, quale noi lo conosciamo, non è quindi qualcosa di puramente oggettivo o di puramente soggettivo, ma piuttosto il prodotto comune della nostra soggettività e dell’essente-in-sé. Il che significa che, al di là di tutte le distinzioni, il soggetto e l’oggetto sono sempre correlati. Il sì alla realtà Che cosa significa fiducia di fondo? Che cosa si intende per fiducia originaria, fiducia nella vita, nell’essere, nella ragione? Anche qui anzitutto una risposta sintetica: – Nella fiducia di fondo l’uomo dice un sì fondamentale, che si può mantenere coerentemente nella prassi, alla realtà problematica di se stesso e del mondo, un sì con il quale egli si apre alla realtà: questo atteggiamento di fondo positivo significa una certezza di fondo antinichilistica in ogni esperienza e comportamento umano, nonostante la permanente minaccia della problematicità. Specifichiamo i tre punti enunciati: a. Di per sé l’uomo propende per il sì: egli non è indifferente di fronte a tale decisione. Posto tra il caos e il cosmo, tra l’assurdità e l’intelligibilità, tra il valore e il disvalore, tra l’essere e il non-essere, io mi trovo preordinato: per natura vorrei vedere, comprendere, aspirare, avere successo, essere felice. Sono attratto dall’essere. La realtà stessa – la realtà del mondo e di me stesso – agisce su di me. Mi si impone la sua identità, la sua conformità al senso e al valore. b. La fiducia di fondo rende disponibili alla realtà: questa è l’altra possibilità: posso prendere posizione positivamente. Posso incontrare la realtà problematica con una fiducia fondamentale e attribuire un essere autentico a me stesso, al mondo, all’essente in generale. E allora, nonostante tutta la nullità, vedo la realtà: sotto ogni apparenza, invece del non-essere, c’è l’essere. Perciò – senza indulgere a un ottimismo a buon mercato – dico un sì di fondo alla realtà problematica. Pertanto, con questa fiducia fondamentale, mi si rivela la realtà nonostante la nullità; una segreta identità nonostante tutta la contraddittorietà: la realtà come «una»; una segreta pienezza di senso nonostante tutta l’assurdità: la realtà come «vera»; una segreta conformità al valore nonostante tutta l’assenza del valore: la realtà come «buona». E anche nella mia stessa esistenza problematica viene in luce la realtà contro tutta la nullità: l’identità contro il destino e la morte, la pienezza di senso contro il vuoto e l’assurdo, la conformità della mia vita al valore contro la colpa e il rifiuto di sé. Quindi: la realtà problematica, cui mi apro radicalmente, attraverso tutta la nullità, mi manifesta la sua realtà. La realtà si dischiude al mio atteggiamento di fondo fiducioso, che condiziona tutta la mia esperienza e tutto il mio comportamento. Questo è quindi il rischio pieno di speranza della fiducia di fondo, con il quale mi apro al mondo e agli uomini: nonostante tutte le minacciose insicurezze, entro in una certezza di fondo, che il dubbio e l’angoscia, e lo stesso nichilismo, possono sì insidiare, ma non vincere contro la mia volontà. c. Il sì può essere mantenuto coerentemente nella prassi: mentre il no alla realtà si irretisce in contraddizioni sempre maggiori, il sì – come accettazione della realtà problematica – può continuare a vivere anche in mezzo a tutte le insidie. La sfiducia nel caso singolo si può benissimo conciliare con una fiducia di fondo. Quest’ultima infatti può anche riconoscere il momento di verità presente nella sfiducia di fondo – la nullità della realtà –, mentre viceversa la sfiducia di fondo non può individuare alcun momento di verità nella fiducia di fondo – nessuna realtà al di là di tutta la nullità. Pertanto l’atteggiamento della fiducia di fondo, ed esso soltanto, è aperto alla realtà nella sua problematicità. Certamente la fiducia di fondo non può essere mantenuta senza dover affrontare continuamente difficoltà e dubbi, senza sottostare al pericolo dell’amarezza e della delusione, tutte cose però che possono venire superate con una costante fedeltà alla decisione fondamentale presa. Naturalmente la realtà non si svela di colpo, ma soltanto gradualmente: un essere attraverso il velo della nullità. Essa comunque permette sempre nuovi progressi e conquiste. In questo senso fiducia di fondo significa speranza: non soltanto questa o quella determinata speranza, ma la speranza fondamentale, che resiste a tutte le delusioni ed è la condizione di possibilità di una vita veramente umana, l’antipodo quindi della disperazione. Vogliamo però ora inasprire maggiormente il confronto affermando: è caratteristica della fiducia di fondo una razionalità originaria! Che cosa si intende per razionalità originaria? Una razionalità originaria può essere resa possibile soltanto dalla realtà stessa, quale – come pure abbiamo visto – si dischiude alla fiducia di fondo. A chi la consideri con una fiducia di fondo la realtà rivela identità, senso e valore. È perciò caratteristica della fiducia di fondo una razionalità originaria. Se di conseguenza non mi chiudo alla realtà problematica, ma invece mi apro alla sua azione, se non mi sottraggo all’essere per rifugiarmi nell’apparenza, ma oso abbandonarmi a esso, riconosco, non certo prima, ma neppure soltanto dopo, bensì mentre agisco, che quello che faccio è giusto, anzi, che è la «cosa più ragionevole di tutte». Infatti quello che non si può dimostrare o sperimentare in antecedenza lo sperimento nell’atto stesso del confidare: l’essente manifesta l’essere, solo che io non mi chiuda. Per quanto problematica, la realtà si dischiude e manifesta la sua identità, la sua conformità al senso e al valore. Per noi ciò significa: – Il sì fondamentalmente fiducioso alla realtà problematica non si legittima con una razionalità esteriore: io non posso dimostrare, per così dire, dall’esterno, in maniera obiettiva, la fondatezza del mio atteggiamento di fondo positivo. Non si può dimostrare dapprima come evidente e razionale qualcosa che poi potrebbe garantire la fondatezza della mia fiducia, sottraendola a ogni possibilità di dubbio. Non esiste un qualcosa del genere, un simile «punto archimedeo» del pensiero: trattandosi infatti della realtà in generale, e quindi della totalità di ciò che è, al di fuori della quale non c’è nient’altro che il nulla, tutti i fondamenti esterni vengono meno. Lo stesso sì di fondo alla fondamentale razionalità della mia ragione, implicito nel sì alla realtà, potrebbe venire dimostrato razionalmente soltanto con un circolo vizioso. La razionalità della ragione può effettivamente venire ammessa soltanto con una «decisione» di fiducia, alla quale si contrappone sempre l’alternativa della sfiducia di fondo. – Il sì fondamentalmente fiducioso alla realtà problematica si caratterizza per una razionalità interna: io posso sperimentare la fondatezza reale del mio atteggiamento fondamentalmente positivo nei confronti della realtà. Anzi la stessa realtà si manifesta attraverso tutta la problematicità e fa apparire giustificata la mia fiducia di fondo nei suoi confronti (nessuna fede cieca!). In altri termini: con la fiducia nell ’essere, che non è affatto una credulità ontologica, al di là di tutte le minacce reali rappresentate dalla nullit à, faccio l’esperienza dell’essere e, quindi, della fondatezza di fondo della mia fiducia. Parimenti, con la fiducia nella ragione, che non ha nulla a che fare con una credulità razionalistica, e quindi con l’uso fiducioso della ragione, nonostante tutte le reali minacce rappresentate dall’irrazionalità, faccio l’esperienza della fondamentale razionalità della ragione. Come altre esperienze fondamentali (ad es. l’amore, la speranza), anche quella della fiducia diventa comprensibile soltanto nel suo esercizio: nella «prassi». Soltanto nel suo esercizio io sperimento la fondatezza del mio sì alla realtà – che ciononostante continua a rimanere problematica. – La fiducia di fondo è un dono! La realtà mi è data: se mi abbandono fiduciosamente, essa mi si presenta piena di senso e di valore. Anche la mia esistenza mi è data: se mi abbandono fiduciosamente, posso sperimentare il senso e il valore della mia esistenza. Anche la mia ragione mi è data: se mi abbandono fiduciosamente a essa, posso sperimentare la sua razionalit à. La stessa mia libertà mi è data: se mi abbandono fiduciosamente, pure essa mi si presenta e la sperimento come una realtà. – La fiducia di fondo è un compito! La fiducia di fondo nei confronti della realtà, della mia esistenza, della mia ragione e della mia libertà, deve autenticarsi nella prassi. In quanto rischio essa non permette alcuna fuga negli stati d’animo e negli idilli di un «mondo sano». Proprio a causa della problematicità della realtà essa esige sia la critica che la trasformazione delle condizioni sociali che continuano a scuotere la fiducia dell ’uomo nella solidità delle sue istituzioni, autorità e sistemi, e spesso fanno apparire problematica la stessa fiducia di fondo.