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Ecologia

Teoria, natura, politica

a cura di Igor Pelgreffi


Titolo | Ecologia. Teoria, natura, politica
Testo a cura di Igor Pelgreffi

ISBN | 978-88-27836-71-2
Prima Edizione 2018

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LE PAROLE DEL NOVECENTO

Collana diretta da
Vincenzo Cuomo

Comitato scientifico

Bruno Moroncini (Università di Salerno)


Felice Ciro Papparo (Università di Napoli “Federico II”)
Rossella Bonito Oliva (Università di Napoli “L’Orientale”)
Alessandro Dal Lago (Università di Genova)

Secolo complesso e contraddittorio, il Novecento si è concentrato in parole –


dagli slogan dell’ideologia politica ai refrain delle canzoni – che ne hanno
detto le aperture, le pieghe, le emozioni e i disastri. Raccogliendo in volume i
materiali elaborati nei seminari che la rivista “Kaiak” organizza con cadenza
annuale su alcuni nodi lessicali del secolo, ripensando le costellazioni e le
faglie del suo linguaggio ed esplorando ulteriori lemmi della riflessione con-
temporanea, la collana “Le parole del Novecento” indaga i varchi e le traiet-
torie di un’epoca in cui la filosofia mostra ancora di soggiornare.
Indice

9 Igor Pelgreffi
Ecologia: natura, tecnica, politica

33 Manlio Iofrida
Il paradigma ecologico dal punto di vista filosofico

45 Roberto Marchesini
Ontologia relazionale ed ecologia

63 Vincenzo Cuomo
Ecoumene o sub-scendenza? Sull’ecologia radicale

89 Paolo Vignola
Figli di un Antropocene minore. Il «popolo a venire» come
individuazione ecologica collettiva

105 Enrico Schirò


Jean Baudrillard e l’écologie maléfique

123 Valerio Nitrato Izzo


Note giuridico-politiche sulla soggettività nell’età delle catastrofi

139 Sara Baranzoni


L’eco di Guattari: ambiente, soggettività e tecnologie nel XXI
secolo

161 Orazio Irrera


Decentrare la biopolitica. Note per una genealogia coloniale
dell’ecologia politica

177 Emanuele Leonardi


La Green Economy come “Ragionevole ideologia”. Note per una
genealogia del nesso valore-natura e delle sue trasformazioni
207 Marco Pavanini
Co-immunologia. La declinazione ecologica del pensiero di Peter
Sloterdijk

223 Tiziano Possamai


Gregory Bateson: verso un’ecologia della mente
L’eco di Guattari: ambiente, soggettività e tecnologie nel
XXI secolo

di Sara Baranzoni

Il pianeta Terra sta conoscendo un periodo


di intense trasformazioni tecnico-
scientifiche che, come contropartita, hanno
generato fenomeni di squilibri ecologici
che minacciano a breve termine, se non vi
si porta rimedio, l’insediamento della vita
sulla sua superficie.
Félix Guattari, Le tre ecologie

Riflettere oggi sulla problematica ecologica significa dover fare i


conti con il concetto di Antropocene, un termine coniato all’inizio
del nuovo millennio per significare la supposta epoca in cui l’essere
umano sarebbe diventato un fattore geologico di prim’ordine, in
grado di trasformare, mettendolo seriamente a rischio, l’equilibrio
geo-fisico e chimico della Terra1. Trasferitosi immediatamente dal
campo della speculazione scientifica a quello filosofico-critico, tale
termine ha generato una molteplicità di interventi, che pure nella
differenza dei rispettivi punti di vista sulla situazione attuale, hanno
riposizionato al centro del dibattito sulle relazioni il pensiero della
crisi, accompagnato da un’estetica della catastrofe e dell’apocalissi.
In effetti, le prospettive devastanti aperte da tali prognosi rispetto
all’impatto dell’umano sulla superficie e atmosfera terrestre

1 Proposta dal Nobel per la chimica olandese Paul Cruzen nel 2000, la nozione di
Antropocene è tutt’ora in corso di validazione su di un piano geologico, ma
ampiamente sdoganata per quanto riguarda le scienze umane e sociali. Per
un’introduzione al tema, cfr. P. J. Crutzen, Benvenuti nell’Antropocene. L’uomo ha
cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era, a cura di A. Parlangeli,
Mondadori, Milano 2005. Si vedano inoltre le pubblicazioni monografiche delle
riviste “Lo Sguardo” (n. 22, 2016), “La Deleuziana” (n. 4, 2016) e “Azimuth” (n. 9,
2017).
140 Sara Baranzoni

sembrano indicare la possibilità – ormai sempre più probabile – di


conseguenze talmente drammatiche da minacciare la scomparsa della
stessa specie umana. Eppure, e nonostante ciò, la maggior parte degli
studiosi ha risposto all’evento Antropocene – come lo hanno
chiamato gli storici Bonneuil e Fressoz in uno dei primi importanti
contributi sul tema2 – con un rinnovato vigore teorico, sviluppando
dunque nuovi concetti, nuove ontologie e nuovi modi di vedere il
mondo. Una forza, questa, che va di pari passo con una ripresa
dell’impegno politico, e con un appello generalizzato alla
riconcettualizzazione dell’agency umana, molto spesso intesa nei
termini di una riconciliazione con la natura, che permetta di
abbandonare la tendenza alla crescita e al progresso a favore di una
più rispettosa “fusione ecologica” con il non umano. O, all’estremo
opposto, di una rinnovata fede nel potere della tecnoscienza, che si
esplicita nella ripresa del sogno tracotante della riprogrammazione
della terra, da realizzarsi attraverso un’operazione geo-ingegneristica
su scala planetaria, la quale dovrebbe essere in grado di stabilire un
nuovo bilanciamento tecno-bio-sferico, non senza un certo profitto3.
Ora, anziché proporre una carrellata di tali ragioni critiche,
analizzandone alla luce del presente i rispettivi deliri, si tenterà qui di
recuperare uno dei pensieri ecologici più interessanti del secolo
scorso, quello di Félix Guattari, per inserirlo antetempo e a
controtempo in questa riflessione, mostrando come, da un lato, egli
compia un’anticipazione dei temi dell’Antropocene e lo faccia
precisamente nei termini appena indicati mentre, dall’altro, sia già in
grado di suggerire una “terza via”, che si allontana
dall’atteggiamento fideistico adottato sia da parte dei “deep
ecologists” nei confronti della natura, che da parte dei “geo-
costruttivisti” nei confronti della tecnica. Nel desiderio di superare
questa dicotomia e il suo piano oppositivo, ma comunque
mantenendo ferma una distinzione, Guattari inaugura un pensiero
ecologico del tutto originale, in primo luogo affermando l’impos-
sibilità di pensare l’inquinamento ambientale se non nei termini di
2
J.-B. Fressoz, C. Bonneuil, L’événement Anthropocène. La terre, l’histoire et
nous, Paris 2013.
3
Per un’analisi dettagliatamente sfaccettata di tali punti di vista, si veda Frédéric
Neyrat, La part inconstructible de la Terre. Critique du géo-constructivisme, Seuil,
Paris 2016.
L’eco di Guattari: ambiente, soggettività e tecnologie nel XXI secolo 141

un’interdipendenza con gli altri tipi di inquinamento (sociale, mass-


mediatico, mentale...) che stanno logorando le nostre vite4, ed in
seguito proponendo un ripensamento, che chiamerà “ecosofia”, delle
relazioni tra individui, società e ambiente – inteso anche in quanto
ambiente tecnologico («si potrebbe altrettanto bene ridefinire
l’ecologia ambientale come ecologia delle macchine»5) o, per usare
un termine guattariano, meccanosfera – al fine di una loro
reinvenzione.
Proprio a proposito dell’elaborazione lessicale di Guattari,
occorre specificare una piccola nota metodologica. Com’è stato
proposto6, l’invenzione terminologica, così come l’intreccio di
svariati gergalismi, fa certamente parte della sua strategia politica,
volta a scardinare la potenza istituzionalizzante delle semiotiche
dominanti, e dunque, al far fluire materiali significanti fuori contesto
e in un intreccio di sovrapposizioni che ne mutano le funzioni. Ma
siccome si sceglierà qui, perlomeno nella prima parte, di privilegiare
l’aspetto sintomatologico dell’analisi proposta dall’autore, sarà
spesso necessario “svestirlo”, e perciò eliminare buona parte dei
“guattarismi”, per poterlo far emergere nella sua attualità. Questo
non per minimizzare la singolarità espressiva dello scrittore-Guattari,
né per separare di netto la parte analitica da quella progettuale,
quanto per provare a superare quella riterritorializzazione autoriale
alla quale il suo lessico, una volta tanto suggestivo quanto
assolutamente enigmatico, è stato negli ultimi decenni sottoposto. Il
presente testo sceglierà piuttosto di far funzionare Guattari
diversamente, ossia attraverso quei pungoli contemporanei che
vengono offerti dall’aggiornamento dei problemi o dalla riflessione

4 F. Guattari, Entretien à la télévision grecque (1992), «Chimères», 1/2009 (n°


69), pp. 51-63. La trascrizione di tale intervista è consultabile anche su
www.cairn.info/revue-chimeres-2009-1-page-51.htm, ed è tradotta in italiano col
titolo “Dagli anni d’inverno all’ecosofia”, sul n. 40 della rivista Millepiani (pp. 77-
86). Per un approfondimento in merito, mi permetto di rimandare a S. Baranzoni,
“Cosa state facendo di voi stessi?” Guattari e la televisione, verso un’era post-
media, in I. Pelgreffi (a cura di), Il filosofo e il suo schermo. Video-interviste
confessioni monologhi, Kaiak, Tricase 2016.
5
F. Guattari, Le tre ecologie, Sonda, Alessandria 1991, p. 43.
6
Si veda, tra gli altri, A. Goffey, Introduction, in F. Guattari, Schizoanalytic
Cartotographies, Bloomsbury, London 2013.
142 Sara Baranzoni

di altri filosofi, costringendoci a rientrare nella profondità della sua


concettualizzazione e, ancora una volta, a metterla alla prova.

1. Le tre sintomatologie

Quando si parla della sintomatologia guattariana, del resto, viene


subito alla mente la sua produzione degli anni ‘80, quella che, nutrita
dall’incontro con Deleuze e dalla stagione post-sessantotto di critica
all’ordine sociale e politico capitalistico7, dà il via ad una
straordinaria produzione concettuale dove all’analisi micropolitica si
associa l’entusiasmo nei confronti di “altri possibili”. L’ottimismo
nei confronti della volontà di inventare nuove pratiche sociali
emancipatrici collettive sfocerà nella scrittura di Mille Piani8, e si
esalterà con il viaggio in Brasile dell’82, dove, accompagnato da
Suely Rolnik, Guattari testimonierà l’avvento di una “rivoluzione
molecolare” sotterranea9, fatta di grande vitalità nelle politiche del
desiderio, della soggettività e della relazione con l’altro, dopo
decenni di dittatura militare. Eppure, quasi contemporaneamente,
egli stava riscontrando anche come in realtà, col fallimento di una
certa idea di progresso e di modernità, si fosse creata una sfiducia
collettiva nei confronti delle stesse pratiche emancipatrici, e come,
nell’“inverno mondiale”10 degli anni ‘80, fosse il grigiore delle
pulsioni destrorse, dell’autonomia del mercato, e delle nuove forme
di razzismo e di schiavismo delle soggettività, in fondo, a trionfare.
Ecco perché, sul finire del decennio, Guattari avverte la necessità di
tentare una ricomposizione di tali aspetti, e, con Le tre Ecologie, di
rilanciare il destino del piano collettivo associato a quello mentale, o
individuale, ed a quello ambientale/tecnologico.
In questo senso, dicevamo, il discorso ambientale, relativo ai
mutamenti climatici, all’inquinamento ed al deterioramento delle
possibilità di vita sulla terra, diviene un volano perfetto per poter

7
Si veda in particolare G. Deleuze, F. Guattari, L’anti-Edipo, Einaudi, Torino
1975.
8
G. Deleuze, F. Guattari, Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia, Orthotes,
Napoli-Salerno 2017.
9
F. Guattari, S. Rolnik, Micropolitiques, Seuil, Paris 2007.
10
F. Guattari, Les années d’hiver. 1980-1985, Les prairies ordinaires, Paris 2009.
L’eco di Guattari: ambiente, soggettività e tecnologie nel XXI secolo 143

analizzare in un senso più ampio lo stato ed il destino delle relazioni


sociali e politiche. Ed è proprio su questo piano che, di fronte agli
attuali allarmismi ecologici, pienamente giustificati dallo stato di
fatto ma frequentemente affrontati in modi del tutto insoddisfacenti,
il pensiero di Guattari può ancora fornire elementi di riflessione
fondamentali.
A suo avviso, è in effetti proprio l’incomprensione di fondo
rispetto allo stato di insieme dei fenomeni di contaminazione a
generare l’assurdità della situazione (tuttora) attuale. La sostanziale
incapacità analitica delle formazioni politiche mondiali, che si riflette
nell’assenza di proposte affermative sensate, e nel conseguente
fallimento di ogni summit, riunione e congresso decisionale, era già
stata colta da Guattari, il quale faceva risalire l’impasse generalizzato
a gravi errori nella valorizzazione delle relazioni e delle attività
umane. Se seguiamo il ragionamento del filosofo francese, tali errori
possono essere fatti risalire a due matrici principali, che finiscono per
essere intrinsecamente legate: la prima, consta in un appiattimento
delle differenze che, dal punto di vista dell’ecologia mentale, si
potrebbe pensare come una crisi più generale delle relazioni delle
soggettività con le proprie esternalità (sociali, animali, vegetali,
cosmiche, tecniche...), che tendono a divenire sempre meno altre, e
per questo sempre meno singolari. Un’indifferenza generalizzata,
insomma, che non si esaurisce nel serialismo mass-mediatico e nella
conformizzazione dei comportamenti, per cui, direbbe ad esempio
Bernard Stiegler, ogni esperienza diviene sempre meno “mia”, e ogni
volta più simile a quella dell’altro11. Certamente, la riproduzione
massificata degli stessi standard percettivi, indotta dalla specifica
conformazione dei prodotti mediatici12, sopprime la differenziazione
nell’elaborazione delle esperienze e provoca un’eccessiva
sincronizzazione delle coscienze, conducendo, sempre secondo
Stiegler, a una proletarizzazione generalizzata della sensibilità13. Ma
da un certo punto di vista, tale sincronizzazione è pur sempre

11
Cfr. B. Stiegler, De la misère symbolique, Flammarion, Paris 2013, p. 19 e sgg.
12
Su questo tema, cfr. S. Baranzoni, “Il noi che sente. Esperienza condivisa e
formattazione tecnologica”, in Il senso sociale. Dal social alla polis e ritorno, a cura
di S. Baranzoni e P. Vignola, Kaiak edizioni, Tricase 2016, pp. 33-56.
13
Cfr. B. Stiegler, La société automatique 1. L’avenir du travail, Fayard, Paris
2015, p. 43 e sgg.
144 Sara Baranzoni

necessaria per permettere l’individuazione collettiva, ed ancor prima,


la possibilità di sentire insieme, e di sviluppare insieme sogni e
progetti per il futuro. Il vero problema, e anche qui la critica di
Guattari può essere proseguita attraverso il punto di vista
stiegleriano14, si presenta quando l’eccesso di delega tecnica arriva a
far corrispondere l’interiorizzazione dell’esperienza con una serie di
codici percettivi e rappresentazioni fornite da dispositivi e software:
nel momento in cui le informazioni sono elaborate quasi del tutto
automaticamente attraverso questi linguaggi, si perde la capacità di
sintetizzarle in nuove immagini, e dunque di sognare, di proiettare
visioni individuali e collettive verso l’avvenire15, di desiderare
insomma. Ciò che si riscontra nelle persone, in generale, è «un
abbandonarsi all’ordine delle cose, una perdita di speranza di dare un
senso alla loro vita»16. Di pari passo con una governance che nella
sua nullità agisce soltanto attraverso “discorsi sedativi” e per
“gestione della disperazione”, ossia instillando una graduale
devalorizzazione delle singolarità e precarizzando le esistenze17, ciò
non può che rinforzare le visioni apocalittiche che nutrono la
concettualizzazione dell’Antropocene, conducendo «i modi di vivere
umani, individuali e collettivi [ad evolversi] nel senso di un loro
progressivo deterioramento»18, ed installando a lungo termine zone
di miseria talmente evidenti da spingere Guattari a parlarne nei
termini di una “terzomondizzazione” interna ai paesi sviluppati,
esacerbata dalle questioni relative alle migrazioni e al razzismo 19.
14
Non è in realtà questo l’unico frangente di tale coincidenza. Sebbene parta da
necessità a volte piuttosto distanti, il pensiero dei due filosofi è spesso affine, e non
situandosi affatto sul piano dell’eredità o della prosecuzione, quanto su quello di una
sintomatologia e di un’etica del presente, tale affinità andrebbe esplorata a fondo. In
Italia, il merito della prima associazione in tal senso va alla rivista Millepiani, che
nel 2006 pubblica un numero dal titolo “La catastrofe dell’immaginario” (n. 30,
febbraio 2006) dedicato, appunto, a Guattari e Stiegler, sebbene mantenendo qualche
riserbo sulla trattazione filosofica di quest’ultimo. Nel presente testo si cercherà
invece di schizzare qualcuno dei tratti d’unione tra i due, con particolare riferimento,
evidentemente, al discorso ecologico.
15
Per quanto riguarda Stiegler, cfr. Dans la disruption. Comment ne pas devenir
fou?, Les lièns qui libèrent, Paris 2016.
16
F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 39.
17
Ivi, pp. 16-18.
18
Ivi, p. 13.
19
Ivi, p. 17.
L’eco di Guattari: ambiente, soggettività e tecnologie nel XXI secolo 145

Ora, questa desingolarizzazione, o indifferenziazione diffusa,


potrebbe sembrare scongiurata dalla presente ubiquità dei dispositivi
“social”, dove le parole d’ordine vanno sempre più nel senso della
personalizzazione, della condivisione, e della socializzazione delle
esistenze. Ma questo fraintendimento può essere immediatamente
dissipato se si pensa alla tipologia di godimento installata da tali
dispositivi, di tipo rapido e pulsionale, e dunque più orientata al
consumo che ad un’effettiva partecipazione collettiva ed affezionata
nella produzione simbolica. O anche alla loro maniera di ridurre ogni
primo vagito di singolarità a una semplice particolarità all’interno di
una gamma di possibilità in molti casi già presente, o
immediatamente ricondotta, ai profilaggi di mercato costruite sulla
base dei big data.
Si apre qui la seconda matrice che genera inettitudine nelle letture
del presente, la quale ha origine, secondo Guattari, «nel contesto
dell’accelerazione dei mutamenti tecnico scientifici»20 e
nell’incapacità delle formazioni sociali di impadronirsi di questi per
renderli operativi. A suo avviso, «tutto fa pensare che gli aumenti di
produttività determinati dalle attuali innovazioni tecnologiche si
iscriveranno lungo una curva di crescita logaritmica»21: presto
potremo salutare «la prodigiosa espansione di una soggettività
assistita dal computer»22 ed assistere alla “teleguida” degli individui
e dei gruppi umani. È dunque inutile continuare a separare il campo
psichico, ancora analizzato in relazione col suo passato individuale e
collettivo, dal campo tecnico, che lo trascina piuttosto verso il futuro.
Così come il discorso sociale dall’avvento di queste nuove socialità:
e alla luce di ciò, tutte le istituzioni e gli organismi di educazione,
cura o assistenza dovrebbero rivedere non solo le loro pratiche,
quanto il proprio lessico teorico, le loro prospettive, per non
congelare le proprie visioni su certe garanzie o autorità, e rimettersi
così al passo con le trasformazioni tecnico-sociali. Non tanto per
arginarle, come spesso si pretende in certi ambienti che si dicono
“modernisti”, o per recuperare valori legati ad antiche maniere di
vivere. Mai più il lavoro e l’ambiente torneranno ad essere quello che

20
Ivi, p. 14.
21
Ivi, p. 33.
22
Ivi, p. 22.
146 Sara Baranzoni

sono stati, dopo la mondializzazione dei mercati, le rivoluzioni


robotiche e lo sviluppo delle biotecnologie o delle neuroscienze, ed è
assurdo, nonché totalmente artificiale, pensare di potersi affidare a
certe correnti “arcaicizzanti e folkloricizzanti”23, che si tratti di
piccoli gruppi di specialisti o di amanti della natura, anche in senso
letterale24. Più che fermare o riavvolgere il nastro delle
trasformazioni, sarebbe necessario capire se e grazie a quali forze
sarà mai possibile orientare tale iper-produzione verso strade meno
assurde, afferma Guattari. A suo avviso, anzi, è proprio
l’accelerazione dei mutamenti tecnico-scientifici che deve essere
ripresa in considerazione ed analizzata da un punto di vista che,
ancora una volta in relazione con il pensiero di Stiegler, non
esiteremmo a chiamare farmacologico25. Tale accelerazione, lungi
dal poter essere negata, rappresenta senza ombra di dubbio un
pericolo estremo per le soggettività, sempre più stressate, catturate e
soggiogate dall’appropriazione neoliberale delle tendenze tecniche26.
Così come il capitalismo globale sta distruggendo la biodiversità,
attraverso l’inquinamento, la devastazione dell’ambiente e degli
habitat, il suo aspetto cognitivo sta annichilendo la diversità
culturale, i legami sociali, le capacità critiche e i saperi in generale,

23
Ivi, p. 32.
24
In questo senso, sarebbe interessante pensare quanto possa corrispondere a un
vero cambiamento culturale un’iniziativa come quella del “Manifesto ecosessuale”
di Elizabeth Stephens e Annie Sprinkle (cfr. Manifesto ecosessuale, in “La
Deleuziana”, n. 6/2017: “I milieux del desiderio”, pp. 175-176), pensato come un
fronte di recupero di certi «ambienti avvelenati dalla distanza» (E. Hache, Lasciarsi
toccare. Introduzione al Manifesto ecosessuale, in “La Deleuziana”, n. 6/2017, cit.,
pp. 172-174, cit. p. 173), e di una ricostituzione delle relazioni attraverso i corpi e
grazie a certe pratiche affettivo-amorose con la terra.
25 Com’è noto, facendo leva sul termine greco “pharmakon”, contemporaneamente

rimedio e veleno, Bernard Stiegler ha sviluppato tutto un pensiero della tecnologia


che la vede come al tempo stesso intensificante e diminutrice di potenza delle
soggettività e delle collettività. Cfr., in particolare, B. Stiegler, Ce qui fait que la vie
vaut la peine d’être vecue. De la pharmacologie, Flammarion, Paris 2010.
26
Su questo punto, cfr. le analisi di F. Berardi Bifo, che chiude così il suo
“L’accelerazionismo in questione dal punto di vista del corpo” (in Gli algoritmi del
capitale, a cura di M. Pasquinelli, Ombre Corte, Verona 2014, pp. 39-43): «il
processo di soggettivazione autonoma è devastato dall’accelerazione caotica, e la
soggettività sociale è catturata e soggiogata dalla governance del capitale, sistema
costituito da dispositivi automatici che corrono a velocità strabiliante» (p. 43).
L’eco di Guattari: ambiente, soggettività e tecnologie nel XXI secolo 147

riducendoli appunto a un elemento di consumo dalla rapida


obsolescenza, e perciò privando gli individui del tempo necessario
per prendersene cura: «non scompaiono soltanto le specie, ma
scompaiono le parole, le frasi, i gesti della solidarietà umana»27.
Dall’altro lato, però, e proprio mentre costituisce questo pericolo,
l’accelerazione tecnologica è anche in grado, se gestita adegua-
tamente, di generare tutta una serie di possibilità di rinnovamento, o
persino addirittura, come è stato affermato28, di costituire il passo
definitivo verso la tomba del capitalismo stesso29. Ad esempio,
sostiene Guattari, la rivoluzione informatica sta «rendendo dispo-
nibile una quantità sempre maggiore di tempo di attività umana
potenziale»30, o di tempo libero accessibile, che potrebbe essere
utilizzato ai fini di una reinvenzione della cultura, della creazione,
della ricerca, dell’arricchimento delle forme di vita e delle
sensibilità, ma che in assenza di una riflessione profonda sul tema
rischia di condurre a nient’altro che disoccupazione, marginalità
oppressiva, solitudine, inoperosità, angoscia, nevrosi. Ed è dunque
perché le possibilità così aperte non si ritorcano in negativo che è
necessario, secondo il fondatore della clinica di La Borde, re-
inventare l’ecologia, facendola passare per i tre assi già presentati –
in maniera in effetti molto simile all’organologia proposta da Stiegler
per studiare in maniera coerente la con-sistenza degli organi
artificiali, sociali e psichici31. Non ci sarà alcuna vera risposta alla

27
F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 26.
28
Ci riferiamo qui all’ormai noto “Manifesto per una politica accelerazionista” di
Alex Williams e Nick Srnicek (in Gli algoritmi del capitale, a cura di M.
Pasquinelli, cit., pp. 17-28).
29 Per un’estesa ricognizione del tema dell’accelerazionismo si veda l’ottimo

lavoro del collettivo Obsolete Capitalism (http://obsoletecapitalism.blogspot.com).


Sul piano della sofferenza della soggettività in questa situazione tecnologica
estrema, e sulle possibilità farmacologiche aperte dall’accelerazione tecnica, si veda
S. Baranzoni, P. Vignola, “Biforcare alla radice. Su alcuni disagi dell’accelerazione”,
in Moneta, rivoluzione, filosofia dell’avvenire. Nietzsche e la politica
accelerazionista in Deleuze, Foucault, Klossowski, Guattari, a cura di Obsolete
Capitalism, ebook, Obsolete Capitalism Free Press-Rizosfera, 2016.
30
F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 14.
31
Secondo Stiegler, «l’organologia generale è un metodo di analisi congiunta della
storia e del divenire degli organi fisiologici, degli organi artificiali e delle
organizzazioni sociali. Essa descrive una relazione trasduttiva tra tre tipi di “organi”:
fisiologici, tecnici e sociali. La relazione è trasduttiva nella misura in cui la
148 Sara Baranzoni

crisi ecologica, annuncia Guattari, se non si sarà in grado di


riorientare gli obiettivi della produzione e dell’economia, in tutti i
sensi, compreso quello abitativo, in questa direzione. Ed a proposito
del discorso abitativo, come dimenticare l’attualissimo riferimento a
Donald Trump, una di quelle «alghe mutanti e mostruose» che
vengono lasciate libere di proliferare ed occupare «interi quartieri di
New York, di Atlantic City ecc., per “ristrutturarli”, aumentarne gli
affitti e cacciar via, nella stessa operazione, decine di migliaia di
famiglie povere, la più parte delle quali sono condannate a diventare
[…] l’equivalente dei pesci morti dell’ecologia ambientale»32.
Quest’alga tossica, figlia dell’incuria ed esacerbata oggi dalle
possibilità offerte dal capitalismo delle piattaforme33, sta ormai
occupando trasversalmente «le interazioni tra ecosistemi, meccano-
sfere e universi di riferimento sociali e individuali»34, tanto da aver
portato alla proposta di trasformare, non soltanto simbolicamente e
non senza un certo humor, il nome dell’epoca geologica ad oggi più
artificialmente disastrosa in Trumpocene35. Ed in effetti, tornando a
Guattari, continuando a sposare una certa mentalità trumpiana, fatta
di noncuranza, individualismo e vacuità, e dunque a riprodurre gli
stessi schemi che hanno portato al disastro attuale, non si potrà che
procedere verso il peggio. A meno di una rivoluzione sociale,
politica, culturale, che imponga un punto di vista che non pensi le
relazioni necessariamente in termini di profitto, i comportamenti in
senso utilitaristico, e le regolazioni come dipendenti dai soliti
rapporti di forza.
Sono dunque questi i tre piani sintomatologici che emergono
dall’analisi guattariana, e che, anche a fronte di una loro attualiz-

variazione di un termine in un organo coinvolge sempre la variazione dei termini


negli altri due tipi di organi». V. Petit, “Vocabulaire d’Ars Industrialis”, in B.
Stiegler, Pharmacologie du Front national, Flammarion, Paris 2013, p. 419.
32 F. Guattari, Le tre ecologie, cit., pp. 25-26.
33 Per un’analisi dal sapore guattariano della relazione fra Trump e le piattaforme

social, segnalo G. Genosko, I buchi neri della politica: risonanze di microfascismo,


in “La Deleuziana”, n. 5/2017: “Le macchine da guerra dei ritornelli terrestri”, pp.
59-67.
34
F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 25.
35
Su questa proposta, cfr. P. Vignola, Notes for a Minor Anthropocene, in
“Azimuth”, n. 9, 2017, pp. 81-96; T. Cohen, Make Anthropos Great Again! Notes on
the Trumpocene, in “Azimuth”, n. 9, cit., pp. 97-112.
L’eco di Guattari: ambiente, soggettività e tecnologie nel XXI secolo 149

zazione come quella compiuta, richiedono una immediata presa di


attenzione attraverso le tre ecologie.

2. Le tre terapie

Qui non si tratta di proporre un modello


di società “chiavi in mano”, ma soltanto
dell’assunzione dell’insieme delle
componenti ecosofiche, il cui obiettivo
sarà, in particolare, l’installazione di
nuovi sistemi di valorizzazione.
Félix Guattari

Nonostante lo sguardo sintomatologico di Guattari sia talmente


potente da saper cogliere, nelle trasformazioni in atto, i primi
elementi del disastro che ai suoi tempi si stava solo preparando, e
talmente ricco di spunti da meritare un ampio spazio di riflessione,
non si può non dar conto della parte terapeutica della sua proposta,
allo stesso modo affascinante ed ancora attuale. Un sistema di cura,
quello guattariano, che non discende certo da punto di vista
psicanalitico o medico, ma che, ancora una volta, invoca
l’assunzione di paradigmi etici capaci di responsabilizzare in primo
luogo tutti coloro che si trovano in una posizione di intervento sulle
istanze individuali psichiche e collettive. Paradigmi che, allo stesso
tempo, devono svolgere una funzione estetica, perché l’invenzione
non si irrigidisca in una ripetizione mortifera delle pratiche, dei
riferimenti e dei “catechismi”, bensì inauguri sempre nuove aperture
prospettiche, in accordo con una precisa analisi del sensibile.
Si tratta dunque di un progetto altamente politico, che se da un
lato si pone come obiettivo macro l’installazione di nuovi sistemi di
valorizzazione, e di conseguenza, la riorganizzazione degli obiettivi
della produzione, deve in realtà trovare il suo primo appoggio nei
«territori molecolari della sensibilità, dell’intelligenza, e del
desiderio»36, per giungere in seguito a un lavoro su grande scala.
Solo partendo dal piano micropolitico e microsociale, afferma

36
F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 15.
150 Sara Baranzoni

Guattari, si sarà in grado di incidere sui grandi sistemi di valore che


organizzano le relazioni e rimetterle in piedi, cambiate di segno.
Ecco allora che la terapeutica ecologica si dispiega
micropoliticamente nelle sue tre direzioni, utilizzando il discorso
ambientale come trampolino per aprire il cantiere ecosofico, e per
affrontare la questione della responsabilità attraverso la sua
riconcettualizzazione “dal basso”. Se alla fine degli anni ottanta,
dopo la fagocitazione capitalistica di tutto il corredo teorico figlio del
sessantotto37 era senz’altro sentita la necessità di “trovare nuove
armi”38, oggi tale spinta non si è affatto esaurita, e se le armi critiche
nel frattempo forgiate non hanno saputo o potuto resistere alla
famelica avanzata del capitalismo, è forse perché di questa resistenza
hanno fatto la propria roccaforte, chiudendo a doppia mandata porte
e finestre per non permettere al nemico di infiltrarsi. Nuove monadi
del pensiero, i concetti così cristallizzati hanno perso ogni contatto
col fuori e si sono creduti contenere già tutto il mondo, sebbene,
quasi leibnizianamente, in forma ancora oscura – necessitando
dunque soltanto una forte analisi interna per rendere chiaro ed
evidente ciò che ancora non lo era a sufficienza. Oggi, però, con la
rottura epistemologica causata dalla proposta teorico-concettuale
dell’Antropocene siamo forse di fronte alle stesse condizioni di
possibilità che permisero a Guattari di lanciare il suo grido, e dunque
a una nuova opportunità per sbloccare il pensiero, facendogli
finalmente muovere qualche timido passo al di là del muro che esso
stesso si è costruito attorno.
Quali potrebbero dunque essere le teorie, quali i valori, e quali le
pratiche che, seguendo lo spirito guattariano fin qui evocato, possono
considerarsi, oggi, degne di un’ecosofia dell’Antropocene?
Se dal punto di vista ambientale Guattari faceva leva sulla
necessità di istituire un nuovo impegno verso il futuro, partendo dal
ripensamento della relazione tra gli equilibri naturali e gli interventi
umani, questo non significava di certo l’apertura di nuove visioni

37
Sull’idea che il capitalismo può passare da una fase all’altra della sua esistenza
mobilizzando ed incorporando le critiche principali e più potenti che gli vengono
mosse, interessante il confronto con le analisi di Luc Boltansky e Eve Chiapello, in
Il nuovo spirito del capitalismo, Mimesis, Milano-Udine 2014.
38
G. Deleuze, “Poscritto sulle società di controllo”, in Pourparler, Quodlibet,
Macerata 2000, pp. 234-241.
L’eco di Guattari: ambiente, soggettività e tecnologie nel XXI secolo 151

antropocentrate, dove applicando «con padronanza i loro crescenti


poteri sociali, economici e tecnologici per migliorare il benessere dei
loro simili, stabilizzare il clima e proteggere il mondo naturale», gli
esseri umani potessero essere in grado di obliterare tecnologicamente
la loro dipendenza dall’ambiente39. La fiducia nei successi ottenuti
grazie all’incremento tecnologico non può, sostiene Guattari, essere
isolata dai suoi effetti sugli altri piani ecologici, né tantomeno,
aggiungiamo, sfociare in una supposta preservazione della “natura”
del pianeta, che secondo gli eco-modernisti potrebbe invece essere
così riportata a «uno stato più selvatico e più verde»40. Alla luce del
fatto che «verrà un tempo in cui sarà necessario elaborare immensi
programmi per regolare il rapporto tra l’ossigeno, l’ozono e il gas
carbonico nell’atmosfera terrestre», o che «in futuro, il problema non
sarà più soltanto quello di una difesa della natura, bensì quello di
un’offensiva per riparare il polmone amazzonico, per far rifiorire il
Sahara»41, e sebbene tale evoluzione non potrà (e non dovrà) certo
essere fermata, il filosofo non chiede affatto di spingere
ulteriormente sull’acceleratore per portare a compimento queste
mirabolanti promesse. Il suo appello, come si è detto, va piuttosto in
direzione dell’adozione di una nuova etica ecosofica, in grado di
affrontare «questa situazione affascinante e terrificante insieme»42, e
di prendersi cura di tutto ciò che necessariamente si dispiega attorno
al divenire macchinico, ossia i divenire animali, vegetali, cosmici,
secondo temporalità umane e non-umane al contempo. Se «alla
narrazione della genesi biblica stanno per sostituirsi le nuove
narrazioni della ricreazione permanente del mondo»43, dovremmo
allora tentare di comprendere a fondo le ragioni ed i pericoli di tale
prospettiva, per essere in grado di decostruirla, così come ha
brillantemente fatto Frédéric Neyrat44. E sulla base di questa
39 Tale è la tesi del “Manifesto ecomodernista” (2015), una scrittura collettiva di
filosofi, sociologi, attivisti, scienziati ed artisti, raccolti perlopiù attorno al
californiano Breakthrough Institute, che invoca questo tipo di presa di potere al fine
di costituire un “buon Antropocene”, in nome della libertà e dell’autodeterminazione
umana. Cfr. http://www.ecomodernism.org/italiano/.
40
Ibid.
41
F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 43.
42
Ibid.
43
Ibid.
44
Cfr. F. Neyrat, La part inconstructible de la Terre, cit.
152 Sara Baranzoni

decostruzione, esigere un’altra politica, che si fondi su una logica


locale per costruire “nuovi territori esistenziali”. Attenzione: locale
non significa qui limitato ad aspetti culturali specifici o ad una certa
originarietà folklorica, né tantomeno l’introduzione di un discorso
dal dubbio sapore regionalista, protezionista o autarchico. Piuttosto,
è sul piano dell’investimento affettivo e pragmatico sulle rotture-
biforcazioni possibili, capaci di fare la differenza, che si insiste. Ecco
che allora troviamo da una parte la proposta di Neyrat per una Terra
abitabile, spazio topologico che – lontano dal voler richiamare un
principio di distribuzione matematica – si caratterizza innanzitutto
come territorio per una “terapia ontologica”45 delle relazioni tra
esseri e luoghi46. Un progetto che non si basa su di un’ipotetica
“simmetria generalizzata” delle relazioni – dove ogni elemento è
uguale all’altro e perciò deve godere degli stessi diritti, finendo così
per “normalizzare” l’antropizzazione di ogni aspetto del pianeta47 –
ma che è capace di riorganizzarle secondo la modalità del
“passaggio”, per un’ecologia politica dei “soggiornanti transitori”
della Terra, le cui traiettorie sono imprevedibili ed eccentriche48. Ciò
non significa, afferma Neyrat, attribuire all’umano piena libertà nel
poter fare qualsiasi cosa (siamo ben lontani dai discorsi sul
Transumanismo), ma precisamente interpretare il vivente come «un
passaggio di tempo attraverso dei luoghi»49. Egli mostra così come la
Terra si possa in realtà pensare come un tragitto di lungo corso, che
non ha prodotto il vivente, ma che lo ha integrato al suo apparire,
attraversandolo, incrociandolo, lasciandolo comunque vivere nella
sua irriducibile atopia. Come allora proteggersi dai disastri, ci si
potrebbe chiedere, se non al prezzo di un disinteresse “turistico” nei
confronti dei luoghi? La necessità di formulare un’etica del
45 Ivi, p. 34.
46 Cfr. inoltre, F. Neyrat, L’indemne. Heidegger et la destruction du monde,
Sens&Tonka, Paris 2008, e Id., Atopies. Manifeste pour la philosophie, Les belles
lettres, Paris 2014.
47
La critica nemmeno troppo implicita di Neyrat si rivolge soprattutto a Bruno
Latour. Si veda in particolare B. Latour, Non siamo mai stati moderni, Elèuthera,
Milano 2009, e Id., Reassembling the Social: An Introduction to Actor-Network-
Theory, Oxford UP, Oxford 2005.
48
F. Neyrat, L’indemne, cit., p. 194 e sgg., Id., Atopies, cit., p. 71 e sgg.
49
F. Neyrat, Atopies, cit., p. 72. Nella stessa pagina, Neyrat associa apertamente la
sua proposta con quella guattariana dei “territori esistenziali”.
L’eco di Guattari: ambiente, soggettività e tecnologie nel XXI secolo 153

passaggio, del “lasciar-essere”, dell’abitare transitoriamente e


dell’auto-organizzazione locale dell’oikos come luogo di decisioni,
conflitti e negoziazioni50, si incorpora fortemente con la visione
guattariana dell’ecologia sociale, e più in là, con alcune proposte
formulate negli ultimi anni da Bernard Stiegler, proprio su questo
tema.
In effetti, le strade della prospettiva ecosofica, allo stesso tempo
pratiche e speculative, etiche ed estetiche, sociali e politiche,
dovrebbero, secondo Guattari, ristabilire un «rapporto con l’altro,
con lo straniero, con il diverso: tutto un programma che sembrerà
molto lontano dalle urgenze del momento!» ma che sarà sempre più
necessario per «arginare il grigiore e la passività diffusi»51. Entra qui
in gioco, allora, l’altro concetto di località, quello proposto da
Stiegler, che, a sua volta lungi dal voler organizzare questo rapporto
secondo la modalità del “ripartire” le determinazioni spaziali52,
intende proporre il territorio come un’occasione per “dar luogo”,
capace di farsi carico delle differenze psico-sociali anziché di
renderle indifferenti. In questo senso, si può citare il lavoro condotto
assieme ad un’equipe cangiante di ricercatori nell’area parigina di
Plaine Commune53 per farne un “territorio apprendente contributi-
vo”. Tale progetto affianca alla riflessione sull’abitabilità innanzitutto
un processo di “capacitazione” continua degli abitanti54, anche
attraverso la produzione e l’utilizzo di tecnologie digitali
specificamente orientate alla partecipazione, deliberazione e azione

50
Su questo tema, si veda anche la critica di Neyrat alla prospettiva sferologica di
Peter Sloterdijk (F. Neyrat, La vie dans les sphères: comment vivre dans un oikos
éclaté?, in “Multitudes”, n. 24, 2006, http://www.multitudes.net/wp-
content/uploads/2006/04/24-neyrat.pdf).
51 F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 45.
52 Cfr. J. Rancière, La partizione del sensibile. Estetica e politica, DeriveApprodi,

Roma 2016.
53 Ossia, l’area che comprende nove municipalità nella banlieu nord di Parigi. Si

veda http://www.plainecommune.fr.
54
Il processo di “capacitazione”, così chiamato sottintendendo il rimando alle
teorie dell’economista Nobel Amartya Sen, seppure non troppo distante dalle
proposte di educazione continua del cittadino, si occupa nello specifico di
valorizzare, migliorare e mettere a disposizione le capacità individuali perché
possano divenire punto di forza per tutto il collettivo, e trasmesse in un ricircolo
continuo di moltiplicazione dei saperi.
154 Sara Baranzoni

cittadine, e in seguito la sperimentazione dei lineamenti di


un’“economia contributiva”, basata proprio sulla possibilità di
mettere a valore, ma ovviamente non in senso capitalistico, le
specifiche abilità di ciascuno. «L’epoca contemporanea», scrive
Guattari, «esacerbando la produzione di beni materiali e immateriali
a detrimento della consistenza di territori esistenziali individuali e di
gruppo, ha generato un immenso vuoto nella soggettività che tende a
divenire sempre più assurdo e senza rimedi»55. Ecco allora che il
progetto di Plaine Commune, ponendo l’attenzione precisamente
sulle “configurazioni esistenziali” (direbbe Guattari) che si
instaurano in relazione con tali beni, ma anche facendosi carico della
precarietà tipica di questa conglomerazione territoriale, e così
trasformando segregazione, isolamento e frammentazione in
progressione culturale e sociale, ci sembra un tentativo interessante
di rispondere all’invocazione del nostro autore:

nuove borse di valore, nuove deliberazioni collettive che offriranno


possibilità alle iniziative più individuali, alle più singolari, alle più
dissensuali, sono destinate ad apparire – appoggiandosi in particolare
su mezzi di concertazione telematici ed informatici. La nozione di
interesse collettivo dovrebbe venir allargata a delle attività che, a
breve termine, non danno profitto a nessuno, ma che, a lungo
termine, sono portatrici di un arricchimento processuale per
l’insieme dell’umanità. Ciò che qui è in discussione è l’insieme del
futuro della ricerca fondamentale e dell’arte56.

Ovviamente, le proposte sul piano ambientale così come quelle


sul piano sociale dovranno andare di pari passo con la presa in carico
del piano soggettivo dell’ecologia mentale, che si occuperà di
monitorare costantemente i processi di soggettivazione (o
individuazione) in corso, e di intenderli profondamente per poter
reinventare il rapporto del soggetto con il corpo, con le sue fantasie,
con la sua temporalità e finitudine, e perfino con i sogni, per
recuperare quella facoltà immaginativa di cui già abbiamo analizzato
la crisi. Al contempo, nella sua articolazione con il collettivo, ci si
dovrà prendere cura delle relazioni e dei rapporti interpersonali a tutti
55
F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 28.
56
Ivi, p. 42.
L’eco di Guattari: ambiente, soggettività e tecnologie nel XXI secolo 155

i livelli, per effettuare quella “terapia ontologica” promossa da


Neyrat, facendo ben attenzione ad evitare ogni uniformazione
qualitativa del punto di vista, ogni in-differenziazione, che cerchi di
creare un consenso quantomai artificioso intorno a certi tipi di
pratiche, o voglia mettere sullo stesso piano qualsiasi tipo di
relazione. Generata da certe letture contemporanee di Deleuze e
Guattari che hanno in qualche modo “mitizzato” il tema delle
relazioni (si pensi alla distorsione di concetti piuttosto inflazionati
come quello di rizoma, ad esempio), arrivando a sostenere l’utopia
dell’interconnessione generalizzata, della rete totale all’interno della
quale nulla si può isolare o separare, quest’ultima idea è segnalata da
Frédéric Neyrat come una pericolosa trappola teorica, economica e
politica. Affermare che ogni essere, vivente o meno, sta sullo stesso
piano, sembra procedere in effetti più nell’ordine dell’uno che del
rispetto della molteplicità, e per di più, «siccome tutto è in rete,
legato, interconnesso, allora non è più possibile alcuna distanza
rispetto al mondo in cui viviamo. Bisogna dunque accettare il mondo
così com’è, con la sua turbolenza ontologica»57, lasciandoci in balia
degli eventi ed in uno stato di incertezza totale. Aggiungeremmo che
l’interconnessione assoluta, da un certo punto di vista lusinghiera per
il senso di eternità e partecipazione totale che sembra conferire, è in
realtà tutt’altro che promotrice di tali aspetti, contribuendo piuttosto
a quella anestetizzazione delle coscienze di cui si parlava all’inizio,
come effetto precisamente calcolato da parte del sistema di
governance attuale. Ciò perché una simile assolutizzazione delle
relazioni apre le porte alla loro facile automatizzazione o
sussunzione algoritmica, innescando situazioni di controllo, regola-
zione, ed addirittura sfruttamento, nel senso di quelle forme ormai
note sotto l’appellativo di “governamentalità algoritmica”58. Del
resto, pare che Guattari stesse già pensando in questa direzione
quando affermava che la soggettività capitalistica si trova ormai
presa in un processo di automatizzazione tale da essere generata da
«operatori di ogni tipo e livello» e in questo senso eterogestita: «è a
partire dai dati esistenziali più personali – si dovrebbe dire addirittura

57
F. Neyrat, La part inconstructible de la Terre, cit., pp. 29-30.
58
Cfr. T. Berns, A. Rouvroy, Gouvernementalité algorithmique et perspectives
d’émancipation, in “Réseaux” 177, 2012, pp. 163-196.
156 Sara Baranzoni

infrapersonali – che il CMI costituisce i suoi aggregati soggettivi di


massa […] assicurandosi un potere sul massimo dei ritornelli
esistenziali per controllarli e neutralizzarli»59.
È dunque impadronendosi dei dati esistenziali di ciascuno, così
come degli elementi che compongono le semiotiche economiche,
giuridiche, tecno-scientifiche, e di soggettivazione che si compone
questa “grammatica algoritmica” – un sistema asignificante e
asoggettivo di controllo, basato sull’estrazione di dati e metadati
attraverso diverse tecniche di profilaggio e nell’ottica di una
previsione a lungo termine dei comportamenti individuali e collettivi.
Ed è proprio sfruttando questa “relazionalità aumentata”60 che,
secondo Antoinette Rouvroy, la governamentalità algoritmica diviene
tanto una radicalizzazione quanto una strategia immunitaria del
capitalismo e del neoliberalismo,

che essa “purifica” o “spurga” da tutto ciò che potrebbe metterli in


“crisi”, ossia interromperli o farli biforcare: il mondo stesso
(rimpiazzato puramente e semplicemente dai flussi di dati), la vita
(in ciò che essa ha d’intempestivo come la nascita o d’interruttivo
come la morte), i soggetti (capaci di reticenza – di non fare tutto ciò
di cui sono capaci – e di affabulazione, suscettibili di far biforcare il
corso delle cose)61.

Secondo la filosofa belga, l’essere senza mondo, senza vita, senza


soggetti, fa di questa realtà totalmente e puramente relazionale una
situazione inabitata e inabitabile. Ma attenzione: né in Le tre
ecologie, né altrove, ci pare di poter affermare, Guattari sta
mitizzando l’interconnessione generalizzata, quanto piuttosto la
possibilità di «rendere processualmente attive delle singolarità
isolate, rimosse, che girano e si rigirano su se stesse»62. Certo, esse
dovranno essere messe in condizione di poter comunicare tra loro,
59 F. Guattari, Le tre ecologie, cit., pp. 30-31. L’acronimo “CMI” sta per
Capitalismo Mondiale Integrato.
60
N. Thrift, cit. in E. Hörl (ed.), General Ecology. The New Ecological Paradigm,
Bloomsbury, London 2017, p. 8.
61
A. Rouvroy, La governamentalità algoritmica: radicalizzazione e strategia
immunitaria del capitalismo e del neoliberalismo?, in “La Deleuziana”, n. 3/2016:
“La vita e il numero”, pp. 30-36 (cit. p. 35).
62
F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 31.
L’eco di Guattari: ambiente, soggettività e tecnologie nel XXI secolo 157

ma non al fine di essere inglobate nel meccanismo totalizzante


precedentemente indicato, né per “risolvere i contrari”, quanto
piuttosto per «coltivare il dissenso»63, rispettando le dinamiche di
avvicinamento e separazione, i fuori norma, come potenziali di
individuazione che non lavorino per la ripetizione e il
consolidamento dell’equilibrio dell’universo semiotico capitalista, e
che siano in grado di sciogliere gli ormeggi quando necessario.
In questo senso, afferma Guattari, la nuova logica ecosofica dovrà
ispirarsi al lavoro dell’artista, quando in grado di lasciarsi trainare
alla deriva da un dettaglio accidentale, che di colpo lo fa biforcare,
allontanandolo dai legami precedentemente istituiti. Cogliere questo
tipo di possibilità può permettere di sviluppare delle pratiche
specifiche tendenti a modificare e re-inventare non solo i modi di
essere all’interno di coppia, famiglia, contesto urbano, lavoro, ma più
in generale anche a ricostruire le modalità di essere-in-gruppo, fino
alla possibilità di sviluppare nuovi contratti di cittadinanza.

63
Ivi, p. 30. Tra l’altro, questo rischio di degenarazione della comunicazione
relazionale tra i singoli era già stato preso in considerazione da Guattari nella sua
critica al lavoro di Gregory Bateson, la cui ecologia delle idee è sicuramente
fondamentale perché non viene limitata alla psicologia degli individui ma si
organizza in sistemi o menti che potremmo dire collettive, ossia che non si limitano
più agli individui che vi partecipano. Ma la sua lettura dell’azione ed enunciazione
delle singole parti come legate a un sottosistema ecologico (contesto) che realizza un
modello cibernetico, dunque autocontrollato (attraverso i regolatori) e tendente di
per sé a un equilibrio autoconfermante, non può trovare totalmente d’accordo
Guattari, che riporrà sempre il primato nelle prassi di rottura rispetto a un pretesto (e
dove il contesto sarà sempre dunque qualcosa che si instaura attraverso l’azione).
Cfr. ivi, p. 34.
158 Sara Baranzoni

3. Per concludere...

La grande ignoranza dogmatica che


tuttora persiste da parte di numerosi
teorici ha mantenuto le lotte di
emancipazione sullo stesso piano del
capitalismo.
Félix Guattari

Ci pare importante affrontare un punto sul quale un


aggiornamento di Guattari sembra essere strettamente necessario, e
che riguarda precisamente il tema dell’ecologia psichica.
Se Guattari giustamente denunciava la tendenza del Capitalismo
Mondiale Integrato a decentrare sempre più i suoi centri di potere,
ponendo più interesse nella produzione di segni, sintassi e
soggettività che a quella di beni e servizi64, ciò di cui oggi siamo
testimoni non è certo il rischio di avere soggettività prodotte a partire
dalle necessità del CMI e a misura delle sue logiche. Semmai, ed
ancora una volta seguendo Antoinette Rouvroy, è proprio la
produzione di soggettività ad essere in qualche modo scongiurata, e
proprio a causa delle trasformazioni algoritmiche a cui già abbiamo
accennato. Il fatto che i dati raccolti siano asignificanti, a
quest’altezza non produce certo, nella loro articolazione, quella
possibilità di creare nuovi linguaggi o semiotiche di rottura che
Guattari immaginava. Per di più, nello pseudo-linguaggio
datiformato non si dà alcun piano di costruzione individuante, ma
soltanto l’aggregazione di dati per la composizione di un profilo. Ed
essendo questa un’attività produttiva totalmente eterogestita, non si
creano nemmeno più occasioni di soggettivazione in relazione con la
presunta riappropriazione dei dispositivi o degli strumenti tecnici.

Non c’è più soggetto, in effetti. Non è soltanto che non c’è più
soggettività, è che la nozione di soggetto è a sua volta
completamente evacuata grazie a questa colletta infraindividuale di
dati, ricomposta a un livello sovra-individuale sotto forma di profilo.

64
Ivi, p. 29. Cfr. anche p. 38 e sgg.
L’eco di Guattari: ambiente, soggettività e tecnologie nel XXI secolo 159

Voi non apparirete mai più65.

Del resto, non si può negare che Guattari lo avesse a sua volta
intuito. Scrive, infatti, in Rivoluzione molecolare:

La testura stessa del mondo capitalista è fatta di questi flussi di segni


deterritorializzati […] il capitalismo si sostiene essenzialmente su
macchine a-significanti. I movimenti in borsa, ad esempio, non
hanno alcun senso; il potere capitalistico a livello economico, non fa
discorsi, cerca soltanto di controllare le macchine semiotiche a-
significanti, di manipolare gli ingranaggi a-significanti del sistema.
Esso attribuisce a ognuno di noi un ruolo: medico, bambino,
maestro, uomo, donna, omosessuale. Ognuno dovrà poi adattarsi al
sistema di significati che gli è stato preparato. [...] Le macchine a-
significanti non conoscono né i soggetti, né le persone, né i ruoli, e
nemmeno gli oggetti delimitati. È proprio questo che conferisce loro
una specie di onnipotenza: esse passano attraverso i sistemi di
significati nei quali si riconoscono e si alienano i singoli soggetti 66.

Salvo una precisazione: non ci sono più significati attribuiti ai


profili, soltanto abitudini, di condotta, consumo, di scelta. Ma se
cade uno dei tre piani dell’ecosofia, non cadrà allora tutto il sistema
così raffinatamente pensato da Guattari? Se l’accelerazione
tecnologica doppia in velocità il piano individuale e quello collettivo,
così come sostiene Stiegler67, non si perderà allora la possibilità di
ricostituire quell’equilibrio organologico fatto di attenzione reciproca
fra i tre livelli? Non rischiamo, nel momento in cui tali connessioni si
perdono, di divenire pazzi per davvero?
Verrebbe allora da chiedersi quali dovrebbero o potrebbero essere
le forme o i contenuti capaci oggi di riaggregare seppur
metastabilmente queste soggettività dissolte, dividuate (per utilizzare

65
A. Rouvroy, B. Stiegler, Il regime di verità digitale. Dalla governamentalità
algoritmica a un nuovo Stato di diritto, in “La Deleuziana”, n. 3/2016, cit., pp. 6-29
(cit. p. 13).
66
F. Guattari, Rivoluzione molecolare. La nuova lotta di classe, Pgreco, Milano
2017, pp. 207-208.
67
Cfr. B. Stiegler, Dans la disruption, cit.
160 Sara Baranzoni

un termine degli stessi Deleuze e Guattari), e dunque di poter


davvero contribuire ad una nuova “ecologia generale”68.
Se sul piano teorico abbiamo già individuato alcuni degli
strumenti in grado di stare al passo con le trasformazioni del
presente, sul piano dell’attività e delle pratiche la sperimentazione è
tutt’ora in atto. Ci sentiamo però di essere ancora una volta
d’accordo con Guattari nell’affermare che, se «quel che condanna il
sistema di valorizzazione capitalistica è il suo carattere di
equivalente generale», ossia di matrice che assorbe ed appiattisce
tutti gli altri modi di valorizzazione, ad esso «sarebbe opportuno, se
non opporre, per lo meno sovrapporre degli strumenti di
valorizzazione fondati sulle produzioni esistenziali»69, smarcate dalla
resa e dal profitto che il capitalismo, comunque, tenterà di generare.
Ecco allora che l’alternativa potrà essere cercata nel senso di questo
rovesciamento di valori e di logiche, e dunque nel tentativo di
scongiurare, «con tutti i mezzi possibili», «la crescita entropica della
soggettività dominante»70. O per meglio dire, di questa non-
soggettività dominante. E non certo, come lo abbiamo affermato a
più riprese, per andare nel senso di un nuovo umanismo, quanto nel
segno di un anti-umanismo o post-umanismo radicale e strategico,
secondo Neyrat71, o di un divenire neghentropicamente “non-
inumano”, secondo Stiegler72. Una volta intrapreso un simile tragitto,
allora, starà alle nuove componenti ecologiche il compito di
ripolarizzare questi fenomeni, ed attraverso i saperi così generati,
affermare il proprio peso nei rapporti di forza politici e sociali73.

68
Cfr. E. Hörl (ed.), General Ecology, cit.
69
F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 42.
70
Ivi, p. 44.
71
Cfr. F. Neyrat, L’indemne, cit., p. 207.
72
Cfr. B. Stiegler, Dans la disruption, cit., p. 46.
73
Cfr. F. Guattari, Le tre ecologie, cit., p. 43.
Nella stessa collana
1. Corpi. Teorie, pratiche e arti dei corpi nel Novecento (a cura di AldoMeccariello, Vincenzo
Cuomo)*
2. Utopie/distopie. Percorsi di critica dell’immaginario politico (a cura di Gianvito Brindisi)
3. Medium. Dispositivi, ambienti, psico-tecnologie (a cura di Vincenzo Cuomo)
4. Inconscio.Semantica, sintassi, storia (a cura di Eleonora de Conciliis)

Estetica e teoria delle arti

1. Il pensiero e il suo schermo. Morfologie filosofiche fra cinema e nuovi media (a cura di Igor
Pelgreffi)*
2. Vincenzo Cuomo, Eccitazioni mediali. Forme di vita e poetiche non simboliche
3. ErkkiHuhtamo, Elementi di schermologia. Per un’archeologia dello schermo (a cura di
Roberto Terrosi)
4. Arti e tecniche nel Novecento. Studi per Mario Costa (a cura di Vincenzo Cuomo e Igor
Pelgreffi)
5. Mario Costa, Artmedia. L’oggetto estetico dell’avvenire. Storia di un progetto scientifico.

Scritture
1. Mario Costa, Esercizi di filosofia per immagini*
2. How Shall I Act (a cura di Sara Baranzoni)*
3. Jean-Luc Nancy, Dov’è successo? (a cura di Igor Pelgreffi)*
4. Il pasticciaccio: Gadda e la filosofia (a cura di Lucia Lo Marco)
5. Il filosofo e il suo schermo. Video-interviste confessioni monologhi (a cura di Igor Pelgreffi)
6. La vera via. Per una lettura degli Aforismi di Kafka di Raffaele Di Stasio

Sistemi di pensiero e società


1. Bernard Stiegler, Il chiaroscuro della rete (a cura di Paolo Vignola)*
2. Franz Boas, L’antropologia (a cura di Giuseppe Russo)*
3. Mondi multipli I. Oltre la grande partizione (a cura di Stefania Consgliere)
4. Mondi multipli II. Lo splendore dei mondi (a cura di Stefania Consigliere)
5. Fabio Treppiedi, Differenti ripetizioni. Pensare con Deleuze
6. Il senso sociale (a cura di Sara Baranzoni, Paolo Vignola)
7. Michel Foucault ‘maestro involontario’. Rifrazioni epistemologiche, etiche e politiche (a
cura di Gianvito Brindisi)

* con Kainos Edizioni, sino a luglio 2014

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