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V.

Dal Medioevo a Trento; da Trento al Movimento liturgico

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:

CATTANEO E., Il culto cristiano in Occidente. Note storiche (Bibliotheca Ephemerides Liturgicae. Subsidia
13), C.L.V.-Edizioni Liturgiche, Roma 1992.

MAGNOLI C., Introduzione storico-teologica alla liturgia cattolica (pro manuscripto).


VALLI N., “LITURGIA (DALL’VIII AL XIX SECOLO) e la Chiesa in Italia”, in Dizionario Storico Tematico: La Chiesa in
Italia. Volume I - Dalle Origini All'Unità Nazionale (pubblicazione on line a cura dell’Associazione Italiana dei
Professori di Storia della Chiesa).

1. La riforma gregoriana in campo liturgico (sec. XI)

Dei secoli. che vanno dall’XI al XIII un primo capitolo da puntualizzare è la riforma
della Chiesa promossa da Gregorio VII e la sua incidenza nell'ambito liturgico. Anche se
essa ha importanti riflessi nel campo dei rapporti tra potere religioso e potere politico, molti
studiosi concordano nel ritenere la riforma gregoriana un fatto primariamente intra-
ecclesiale. Cattaneo parla di uno sforzo teso "anzitutto alla ricostruzione della più santa
disciplina ecclesiastica", la quale ''usò del fattore liturgico come punto di convergenza di
ogni regola disciplinare" 1 . I vizi che travagliavano la vita ecclesiastica erano
sostanzialmente due, la simonia e il nicolaismo. Per "simonia" si intende
quell’atteggiamento mentale e pratico per cui ogni posto di responsabilità ecclesiastica è
percepito, anzitutto o esclusivamente, come "un beneficio" da comprare. Per "nicolaismo" si
intende il pratico non rispetto dell'impegno al celibato, per cui buona parte del clero viveva
in stato di concubinato. La riforma gregoriana mise mano con decisione a questa situazione,
riproponendo ancora una volta come prospettiva di soluzione il binomio liturgia-vita
comune. I chierici dovevano vivere insieme, rinunciando ad avere beni personali e mettendo
in comune i frutti dei loro benefici. Solo così potevano attendere alla celebrazione diligente
e continua della liturgia per la loro personale santificazione e per quella del popolo loro
affidato. Mediante la vita comune e la diligente e devota vita liturgica essi erano
grandemente aiutati a mantenere l’impegno di castità, richiesto dal loro stato clericale. I
promotori della riforma dei costumi del clero, per rendere ancora più incisiva la loro azione,
invitavano i fedeli a disertare le messe celebrate dai sacerdoti dei quali non fosse certa la
castità. Gregorio VII si preoccupò di sostenere questa vasta azione di riforma della vita
ecclesiastica con una riorganizzazione liturgica che eliminasse in radice le cause dei mali di
cui soffriva, in questo campo, la vita della Chiesa: un notevole rilassamento ascetico nella
pratica liturgica e la persistente lontananza di molta parte della chiesa latina dal costume
liturgico romano. Quest'ultima situazione aveva provocato, a suo parere, la disgregazione
1
E. CATTANEO, Il culto cristiano... , 198
1
dell'unità liturgica occidentale, mettendo io forse la stessa integrità morale e dottrinale della
liturgia. L'azione di riforma si sviluppa dunque in tre direzioni2:

a) nella linea dell’affermazione dell’autorità papale anche in campo liturgico. Gregorio


VII chiese per la prima volta a tutta la Chiesa latina di assumere la consuetudo liturgica
romana. Il mondo tedesco aderì spontaneamente a Roma, avendo già intrapreso da tempo
questa direzione di marcia. In Spagna il rito ispano-visigotico venne abrogato nel 1080
(Concilio di Burgos) e sostituito con il rito romano. Solo Milano, pur risentendo di una più
marcata romanizzazione, conservò proprio rito particolare3. Va segnalato, in sede critica,
che l’adesione di tutto l’Occidente ad un preteso ordinamento liturgico romano è, di fatto, la
consacrazione per tutta la Chiesa latina della liturgia romano-germanica, codificata nel
sacramentano gregoriano con le integrazioni del Supplementum Alcuini e nel Pontificale
romano-germanico del sec. X. Roma impose alle chiese occidentali una liturgia già permeata
della nuova cultura e del nuovo spirito religioso dei popoli subentrati alla dissoluzione
dell’impero romano antico.

b) nella linea del ritorno all’antico, sia quanto alla recitazione del salterio
nell’ufficiatura divina, sia quanto all'esercizio del digiuno con preparazione ascetica alle
celebrazioni liturgiche.

c) nella linea della formazione e della disciplina dei fedeli. Qui la riforma liturgica
promossa da Gregorio VII mostra i suoi limiti. L’intento è quello di ricondurre i fedeli a una
regolare pratica liturgica, perché essa è segno di "una vita obbediente alla legge divina", ma
"i riformatori non giudicarono opportuno attaccare la situazione precaria nella quale i fedeli
si trovavano di fronte all'azione liturgica"4. La citazione di Cattaneo è qui particolarmente
illuminante:

"I riformatori gregoriani non si proposero né di diminuire la prevalenza


clericale anche in ordine alla loro concezione di una Chiesa
prevalentemente gerarchica, né di facilitare la comprensione della
liturgia [NB: la mancanza d'istruzione catechistica, propedeutica alla
celebrazione e di predicazione biblico-mistagogica dentro la
celebrazione, continuerà ancora per secoli]. Le mete alle quali mirarono
furono: 1. - Coltivare la stima per il sacerdozio, mettendo a forti colori sia
l’esigenza della santità in ordine alla celebrazione liturgica, sia
l'indegnità dei preti nicolaiti e simoniaci così da dispensare i fedeli
dall’assistenza ai riti sacri piuttosto che presenziare a tali indegnità... 2. -
Coltivare il senso del mistero di fronte all'azione liturgica. Ciò risulta
particolarmente da due fatti: a) distacco netto dei fedeli dai sacerdoti

2
E. CATTANEO, Il culto cristiano... , 201-207.
3
La ricerca storica non ha ancora individuato con sicurezza le ragioni di un tale "privilegio".
4
E. CATTANEO, Il culto cristiano... , 203-204.
2
celebranti mediante accorgimenti architettonici dei quali il più noto è il
lectorium o jubé... b) La lettura della Bibbia è riservata al clero... Ciò... è
detto con autorità da Gregorio VII nella lettera di risposta al duca dei
Boemi, nel 1080, che gli aveva chiesto di poter far leggere le letture della
messa nella lingua slavonica... 3. - Coltivare le devozioni sia pure in veste
liturgica (per esempio "ricevere spesso la comunione" e "coltivare la
fiducia nella Madonna")"5.

2. I secoli XII-XV

Il sec. XII vede svilupparsi l'influenza liturgica diretta di Roma su tutto l'Occidente,
inaugurata da Gregorio VII, con una maggiore determinazione nella sua codificazione
giuridico-cerimoniale:

1) Il Decretum Gratiani (1141 ca.), raccoglie, tra l’altro, per la prima volta in maniera
organica quello che diverrà la base di un diritto liturgico comune;

2) Il Pontificale secundum consuetudinem et usum romanae Curiae, composto tra la


fine del sec. XII e l'inizio del sec. XIII, rivela un procedimento nuovo di composizione,
anche se il materiale liturgico censito è, grosso modo, quanto già conosciuto nel Pontificale
Romano- Germanico del sec. X. È ormai la Curia Romana, che è andata via via acquisendo
forza e prestigio in riferimento all'esplicazione del ministero petrino, ad indicare la forma
liturgica cui tutta la Chiesa latina è tenuta ad attenersi.
Le diverse esperienze di vita monastico-cenobitica, che hanno ridato vita al
monachesimo benedettino, a partire dal sec. X, e che hanno preparato (soprattutto i
cluniacensi, i camaldolesi e i vallombrosani) le nuove forme di vita canonicale semi-
monastica (i cosiddetti "canonici regolari" contrapposti ai "canonici secolari": agostiniani e
premonstratensi), offrono nel corso del sec. XII ampia documentazione scritta delle loro
consuetudines liturgiche. Esse, pur non distanziandosi in maniera sostanziale da quelle
romane, portano in sé

"una revisione della liturgia per renderla più adatta ad esprimere i nuovi
fermenti spirituali individuabili nelle riforme e nelle dispute degli ordini
religiosi, nei dibattiti spesso aspri fra monaci e canonici e in quei fedeli
che si agitano contro consuetudini ormai non più amate"6.

Perché dare peso a questi fatti? Gli studiosi sono concordi nel riconoscere nelle
consuetudines monastiche o semi-monastiche dei canonici regolari l’ultimo vero momento
di tangenza tra liturgia e vita spirituale, l’ultima occasione in cui il rinnovamento della vita
ecclesiale e spirituale passa in maniera organica dall’attenzione all’elemento "liturgia". Si

5
E. CATTANEO, Il culto cristiano... , 205-207.
6
E. CATTANEO, Il culto cristiano... , 211.
3
dovrà poi attendere il sec. XIX, con la nascita del movimento liturgico (ancora una volta
dovuta alla riforma del monachesimo benedettino), per riprendere un cammino di
convergenza tra vita spirituale e vita liturgica o, più in generale, tra azione pastorale della
Chiesa e liturgia.
Sul versante della pratica del popolo cristiano nel sec. XII il fatto liturgico resta
centrale. I fedeli "assistono" alle celebrazioni; adempiono il precetto festivo settimanale e la
comunione pasquale, in un’osmosi molto forte tra ritmi della vita religiosa e ritmi della vita
sociale; celebrano i momenti salienti della vita umana mediante i sacramenti e i
sacramentali, ma con difficoltà ne penetrano il senso profondo e traggono da questi
momenti rito-cultuali l’alimento specifico della propria vita devota e della propria
spiritualità personale. Lo schema in atto sembra piuttosto un altro. "In occasione" della
liturgia il popolo cristiano esprime la sua fede e il suo amore al Signore, valorizzando per la
propria pietas e per la propria devotio solo alcuni elementi di essa o, addirittura, mettendo al
centro quanto, liturgicamente parlando, è più periferico.

1) Nella celebrazione eucaristica prevale una netta concentrazione sul momento della
consacrazione sacramentale, sfuocando non poco l'esigenza e la necessità del momento della
comunione sacramentale. L'introduzione, tra la fine del sec. XI e la prima metà del sec. XII,
del "rito dell'elevazione" è sintomatica al riguardo. Alla comunione "per manducazione" si
tende a sostituire una comunione "per visione", alla quale vengono riconosciuti, nella
letteratura dell'epoca, effetti spirituali analoghi. Scrive Cattaneo:

"Fu introdotta l'elevazione dell'ostia perché tutti potessero vederla e


mediante la vista comunicarsi, anche nella speranza di vedervi, qualche
volta, l'immagine del Salvatore. Tutto ciò piaceva e soddisfaceva
parecchio il popolo perché era vivo, drammatico, senza fatica di pensiero,
piacevole esercizio di fantasia; sollievo dall'impegno di una comunione
sacramentale per la quale la confessione diveniva un ostacolo a causa
delle forti. penitenze imposte a soddisfazione delle colpe commesse"7.

A conforto della sua tesi, qualche pagina più avanti egli cita i consigli di vita devota
dati da un maestro di scuola milanese, Bonvesin della Riva, ad un suo discepolo (siamo
ormai alla fine del '200):

"Quando ne hai tempo, vai spesso ad ascoltare le Messe, per vedere


Cristo nato dalla Vergine madre e, vedendolo, con piena fede adorarlo
devoto e a lui raccomandare te e la famiglia tua. Ricevi alla fine dalla
mano del sacerdote la benedizione. Quel giorno, credimi, te ne starai più
sicuro"8.

7
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 220.
8
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 245.
4
Nell’ordinamento dell’anno liturgico il culto dei santi si arricchisce in modo
straordinario, sia quanto al numero delle feste sia quanto alla loro solennizzazione, finendo
in non pochi casi per sovrapporsi alla stessa celebrazione dei misteri della vita del Signore e
snaturando non poco il senso e il cammino dell'anno liturgico stesso. I santi, di cui la liturgia
fa memoria lungo l'anno liturgico, sono venerati dai fedeli "soprattutto come soccorritori dei
mali di ogni genere"9 e la loro festa è occasione di rinnovamento spirituale (predicazione al
popolo, confessione e comunione straordinaria). Emerge preponderante la figura del santo
"patrono" (di una città, di una chiesa, di una corporazione di lavoro, di uno stato di vita), la
quale è tanto più venerata dal popolo, quanto più è "taumaturgica" e "dispensatrice di
grazie". Anche le letture agiografiche, introdotte in quest'epoca nell'ufficio divino, tendono
ad assumere un genere letterario "leggendario", ampliando la dimensione del miracoloso e
dello straordinario. In generale si può affermare che l'impulso eccezionale dato al culto dei
Santi dentro e fuori l'ordinamento liturgico è, in quest'epoca, uno degli strumenti più efficaci
di sensibilizzazione e di educazione del popolo alla vita cristiana. Resta però problematico il
raccordo tra culto/devozione dei santi ed azione liturgica complessiva della Chiesa, la quale
rimane sostanzialmente incompresa ed eccentrica, nel senso etimologico del termine,
rispetto ali' oggetto di attenzione e di interesse specifico dei fedeli.
Il sec. XIII conferma ed approfondisce quanto è stato messo in luce per il sec. XII. Si
segnalano alcuni fatti che avranno un peso specifico anche per i secoli successivi.
Un primo dato da considerare è la situazione emergente dal Concilio Lateranense IV
(1215), espressione della volontà di riforma avviata da Innocenzo III (1198-1216). Dai
canoni conciliari appare un triste quadro di ignoranza del clero e dei vescovi, di negligenza
nelle celebrazioni, di assenza di predicazione. I canoni relativi all’obbligo della confessione
annuale (saltem semel in anno proprio sacerdoti) e alla comunione pasquale (ad minus in
Pascha) vengono commentati così dal Cattaneo:

"Davvero qui - e si noti attraverso un concilio ecumenico - è


indirettamente denunciato l'indice più basso nella storia della chiesa
relativo alla vita liturgica dei fedeli10.

I rimedi pensati dal Concilio rivelano la volontà energica di Innocenzo III (1198-
1216) di far fronte agli abusi e di provocare un'inversione di tendenza (ogni cattedrale ed
ogni collegiata è obbligata ad avere un maestro di teologia che insegni regolarmente ai
chierici di qualsiasi grado; i Vescovi istruiscano personalmente o per mezzo di altri coloro
che sono stati promossi al sacerdozio circa i divini uffici e i sacramenti della chiesa, e in
qual modo debbano celebrarli secondo le regole prescritte; la predicazione venga affidata ai
religiosi, ecc.). Manca però al Concilio una visione chiara della liturgia, tale da configurarla
come luogo di una ripresa e di una riforma. n problema è piuttosto disciplinare. Il mondo
spirituale dell'epoca è profondamente mutato e si esprime o "in occasione" della liturgia
ufficiale, se non, nei casi più radicali, "a prescindere" da essa.

9
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 233.
10
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 233.
5
Dal punto di vista della liturgia ufficiale l’epoca immediatamente seguente al
concilio Lateranense IV conosce la prima revisione un poco organica dei libri liturgici:

1) il Pontificale della Curia romana, cui abbiamo già fatto cenno, riordina il materiale
liturgico riguardante le celebrazioni in cui presiede il vescovo;

2) il Messale della Curia romana riordina il libro plenario per la celebrazione eucaristica
lungo l’anno liturgico (esso sarà adottato dagli Ordini mendicanti e, tramite loro, diffuso in
tutta la Chiesa latina);

3) il Breviario della Curia romana, che rivede l’ufficio divino, adattandolo al


generalizzarsi della recitazione privata delle ore liturgiche e all’affermazione più chiara
dell'impegno giuridico, cui sottostanno le persone (chierici) a ciò deputate. Rimaneggiato
ulteriormente dai francescani, perché fosse più corrispondente alle esigenze del loro
ministero itinerante, il breviario della curia romana sarà diffuso per tutto l'Occidente.

Uno dei fenomeni più importanti del sec. XIII, che contribuì in modo rilevante al
rinnovamento generale della vita della Chiesa, fu sicuramente la nascita dei due nuovi
Ordini mendicanti (domenicani e francescani) dediti alla predicazione al popolo in una
forma di vita itinerante. Il loro influsso è rilevante anche in campo liturgico. Da una parte,
come abbiamo già segnalato, essi contribuirono a diffondere per tutta l'Europa la Liturgia
ufficiale della curia romana, ridando impulso, forse inconsapevolmente, al processo di
unificazione liturgica intrapreso da Gregorio VII. Dall'altra essi favorirono, magari contro le
intenzioni dei loro fondatori11 un certo "divorzio" tra liturgia e spiritualità. La liturgia non è
più giudicata un canale "popolare" di autentica vita cristiana. Di spettanza del clero, in un
ordine oggettivo e pubblico di gesti- riti - parole eseguiti in una lingua non capita, essa non
si configura più come via ordinaria per l'annuncio del vangelo e per l'esercizio della pietà
cristiana. Scrive il Cattaneo:

"La stragrande maggioranza dei fedeli dal sec. XIII in poi segue in misura
preponderante le preghiere e le devozioni suggerite dalla spiritualità dei
mendicanti, la cui attività durerà, in questo campo, fino al sec. XVIII12.

Infine gli ordini mendicanti, configurando il ministero come fondamentalmente


missionario ed itinerante, mettono in crisi l'ordinamento monastico-canonica) e che ancora
nel sec. XII aveva proposto una sua sintesi tra vita cristiana e liturgia, e dichiarano

11
In passato è stata presentata all’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano un’interessante tesi su L'eucaristia
negli scritti di S. Francesco d'Assisi (autore: Angelo Elli), che rivela in san Francesco una grande "sensibilità liturgica"
io rapporto al contesto dell'epoca.
12
E. CATTANEO, Proposta di uno schema sui rapporti fra Liturgia e pietà popolare nella chiesa occidentale, in Liturgia
e religiosità popolare. Proposte di analisi e orientamenti. Atti della VII settimana di studio dell'associazione professori
di Liturgia (Studi di Liturgia 7), Bologna 1979, 110.
6
inadeguato alle loro nuove esigenze di vita apostolica lo schema liturgico soggiacente alla
vita canonicale. Gli obblighi fondamentali rimangono (messa e ufficiatura quotidiana), ma
tutto ormai si compia in forma privata e con mentalità più giuridica che spirituale. Il
passaggio dall'opus Dei in coro al breviarium recitato singolarmente ne è l’elemento più
appariscente. La revisione del breviario ad opera di Aimone di Faversham, considerato il
secondo fondatore dell'ordine francescano (1243/44), "cambiò il corso del culto pubblico in
occidente" (Van Dijk), nel senso che l'ufficio divino, preghiera corale per eccellenza,
diviene ora ufficialmente preghiera liturgica individuale a forte rilevanza giuridica.
Resta infine da segnalare l’opera liturgica di Guglielmo Durando (cf. Cattaneo pp.
240-242), nato verso il 1230 e morto a Roma nel 1296. Il suo apporto principale è una
nuova redazione del Pontificate Romano13, pensato non solo per la liturgia papale ma anche
per quella di ogni vescovo diocesano. Il testo da lui preparato, anche in ragione del suo
eclettismo liturgico, ebbe un enorme successo e la Chiesa di Roma finì con l’imporlo a tutte
le Chiese dell'Occidente:

"Il Durando aveva posto nel suo libro tutto quanto l'azione quotidiana
pastorale gli suggeriva ed era molto, perché ormai il costume religioso
voleva la consacrazione di ogni momento e azione della vita individuale e
sociale, religiosa e laica; e così di ogni cosa materiale utile alla vita
stessa. Era un espandersi della devozione, l'affermarsi di un senso
religioso che, meno nutrito di idee profonde, voleva il consenso divino ad
ogni particolare per garantirsi benedizione e prosperità"14.

- Rilievi conclusivi

Riassumiamo le note storiche relative ai secc. XI-XIII attorno a tre concetti chiave:
1) giunge a compimento in quest’epoca. il processo di lenta clericalizzazione della
liturgia (cf. il compimento del messale plenario; la distinzione netta dello spazio presbiterale
dallo spazio assembleare; il "breviario", che fa della "lode di Dio" (opus Dei), la preghiera
di colui che ha assunto lo stato clericale e ne ha un preciso obbligo giuridico);

2) si avvia una più precisa determinazione rubricale-cerimoniale della liturgia, che


favorirà il processo di unificazione liturgica di tutto l’Occidente sotto il magistero della
curia romana;

3) Non si può più parlare di una vera e propria partecipazione dei fedeli alla Liturgia se
non nel senso di una "assistenza" o di un "ascolto" devoto. Il popolo esplica le sue devozioni
"in occasione" delle festività liturgiche e dei momenti sacramentali che ritmano la sua

13
Le pontifical romain au moyen-âge. Le pontifical de Guillaume Durand, ed. M. Andrieu (Studi e testi 88), Città del
Vaticano 1940.
14
E. CATTANEO, Il culto cristiano... , 241.
7
esistenza. La pietà popolare si alimenta a fonti diverse dalla Liturgia ufficiale della Chiesa,
pur non staccando mai il contatto con essa.

- I secoli XIV e XV

I secoli XIV e XV furono contrassegnati da luci e ombre: a un intenso fervore culturale, si


accompagnava il malessere dovuto ai conflitti e a grandi tragedie, tra le quali la pestilenza
del 1380. La spiritualità vedeva il prevalere dell’individualismo sul senso ecclesiale con la
conseguente fatica a considerare la liturgia, continuamente interpretata secondo i criteri
dell’allegoria, una fonte essenziale per la vita cristiana; a prevalere erano dunque le svariate
forme della pietà popolare. In quest’epoca, per di più, il consolidarsi dell’istituto della
commenda ebbe tra le sue conseguenze deleterie il disimpegno nella liturgia da parte di
ecclesiastici, privi talvolta di ordini maggiori, o il suo esercizio in modi sconvenienti,
sanzionati dal Concilio di Vienne (1312-13). Si aggiungano i contrasti tra clero diocesano e
ordini mendicanti, continuamente dotati di privilegi, esenzioni e facoltà di agire nell’ambito
della vita sacramentale. D’altra parte, le grandiose cattedrali che andavano sorgendo
esigevano una liturgia celebrata con solennità e si dimostrarono luoghi adatti ad accogliere
il gusto musicale che andava diffondendosi, più orientato a dilettare con la sua piacevolezza
che a nobilitare il testo sacro, curandone l’intellegibilità. È documentato, soprattutto nella
seconda metà del XIV secolo, il riordino delle regole per l’ufficiatura corale dei Capitoli. I
fedeli erano avvertiti della preghiera con il suono delle campane e intervenivano
direttamente quasi solo ai Vespri domenicali.
Nel 1334 papa Giovanni XXII (1316-1334), spinto dalla sua diffusione a livello locale,
introdusse nel calendario universale della Chiesa la festa della Santissima Trinità nella
domenica dopo Pentecoste, superando l’opposizione di principio fino ad allora sostenuta
dalla Sede Apostolica, contraria a legare a un giorno specifico il mistero di Dio sempre
celebrato. Gregorio XI (1370-1378) fissò al 21 novembre la festa della Presentazione di
Maria al Tempio, Urbano VI (1378-1389) nel 1389 quella della Visitazione. La crescita
continua dei giorni considerati festivi rende ragione della discussione che sarebbe avvenuta
al Concilio di Costanza (1414-1418) in merito alla possibilità di lavorare dopo aver
compiuto il dovere di presenziare alla messa. Fu di Urbano V (1362-1370), nel 1370,
l’iniziativa di inviare Giacomo d’Itri (+ 1387/93), che avrebbe avuto poi parte attiva nello
scisma d’Occidente, a visitare chiese e monasteri di rito bizantino per correggere gli “errori”
dei loro libri liturgici, in particolare nella preghiera eucaristica. Nel confermare, l’anno
seguente, le disposizioni del predecessore, papa Gregorio XI parlò di “alcune parole
aggiunte” al testo del Canone che generavano una interpretazione erronea ed eretica e che
andavano immediatamente cassate. I presunti “errori” individuati erano la supplica
epicletica per la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo, che
nelle anafore orientali viene dopo il racconto dell’istituzione.

8
Nel secolo XV si evidenziò la tendenza ad adottare, nel modo di celebrare, il fasto tipico
delle corti signorili, parallelamente a una progressiva diminuzione della preoccupazione
liturgico-pastorale. Lo si constata nei cerimoniali, redatti a partire dal pontificale di
Guglielmo Durando, da illustri componenti della corte papale, quali Giovanni Burcardo (c.
1450-1506), Agostino Patrizi Piccolomini (c. 1435-1495) e Paride Grassi (c. 1460-1528). Si
avvertiva, al contempo, l’aspirazione a una riforma della liturgia, dentro il quadro della più
generale riforma della Chiesa “in capite et in membris” promossa dal Concilio di Costanza e
intrapresa da alcuni vescovi.
Del Concilio di Firenze (1439-1445) si deve ricordare, nella Bolla Exsultate Domino (22
novembre 1439) sull’unione con gli Armeni, la precisazione del settenario sacramentale con
la specificazione di materia e forma celebrativa. Poiché tale decreto ometteva la formula di
consacrazione del Corpo e del Sangue del Signore, essa fu inserita nel decreto di unione con
i copti e gli etiopi (4 febbraio 1442).

L’inizio del Cinquecento avvenne in Italia nel desolante quadro spirituale lasciato da
Alessandro VI (1492-1503), per altro grande mecenate e protettore di insigni umanisti,
contro il quale predicò Girolamo Savonarola (1452-1498). Al domenicano che dovette
patire la scomunica e la condanna a morte per eresia, si deve il Trattato nobilissimo del
sacramento, emblematico per intendere gli sviluppi dell’approccio allegorico alla
celebrazione della messa, originatosi nell’alto medioevo. Giulio II (1503-1513), oltre ad
accentuare lo splendore dei luoghi di culto, fondò la Cappella musicale che da lui prese il
nome per garantire la celebrazione quotidiana delle Ore canoniche. Morì durante il Concilio
Lateranense V (1512-1517) da lui convocato e proseguito da Leone X (1513-1521), al quale
fu indirizzato il Libellus, di cui si tratterà poco oltre. Il Lateranense V affrontò la questione
liturgica solo sotto il profilo disciplinare, dando però alcune regole per la formazione, che
contemplano l’attenzione alla dimensione celebrativa. Negli anni successivi cominciarono a
farsi strada interessanti tentativi volti a restaurare lo spirito liturgico nel clero a utilità dei
fedeli. Il domenicano Alberto Castellani (o da Castello) preparò una nuova edizione del
pontificale romano, dedicandola a Leone X e poco dopo compose un altro libro liturgico di
ben più largo interesse, il Liber sacedotalis, nel quale raccolse tutti gli ordinamenti rituali di
competenza presbiterale, riordinando tutte le leggi canoniche con attenzione pastorale. Tra
l’altro vi incluse l’ordo missae composto da Burcardo, che Alessandro VI aveva deciso di
far introdurre in tutti i messali di rito romano. Il successo dell’opera di Castellani indusse
Leone X a progettare una revisione del breviario, che commissionò al vescovo Zaccaria
Ferreri (1479-1524), il quale si dedicò soprattutto agli inni, ma non poté concludere l’opera,
perché affidata da Clemente VII (1523-1434) prima a Gaetano da Thiene (1480-1547) e, in
seguito, al cardinale spagnolo Francisco Quiñonez (c. 1482-1540); anche la proposta di
quest’ultimo, certamente apprezzabile e per molti aspetti precorritrice dei tempi, non ottenne
mai un’approvazione ufficiale. La chiusura del Lateranense V coincise con il divampare

9
della riforma protestante, per le cui vicende si rimanda all’abbondante trattatistica. La
riforma cattolica pre-tridentina non aveva ignorato la causa della liturgia, pur fra differenti
sensibilità nell’assumerla. Rimanendo nell’ambito dell’ufficiatura, il bisogno di
rinnovamento si manifestò in ordini e congregazioni religiose che talora recuperarono lo
stile dell’antico opus Dei benedettino (Eremitani), più spesso ne fecero l’espressione della
pietà personale (Cappuccini, Barnabiti): i Gesuiti giunsero persino ad abolire il coro. Quanto
ai fedeli, la loro attenzione continuò a essere rivolta soprattutto al culto eucaristico con
l’incremento delle esposizioni del Santissimo Sacramento, anche nella forma delle
cosiddette Quarantore, spesso animate da intenti riparatori, e con l’impulso dato alle
Confraternite, nelle quali si coltivava l’abitudine alla comunione mensile.

3. La riforma liturgica tridentina


In questo capitolo è messa a tema la "dimensione liturgica" della riforma generale
della Chiesa promossa dal concilio di Trento. Tale riforma, compresa la sua dimensione
liturgica, è voluta ed orientata dall'assise conciliare ma, data la preoccupazione
prevalentemente dogmatica di quest'ultima, è pazientemente dipanata solo nei decenni
successivi.
- Prima del Concilio: il ''Libellus" del 1514

Per capire il concilio di Trento e la portata del suo influsso in campo liturgico, è
opportuno ricostruire, almeno per cenni molto sommari, i tratti fondamentali del periodo
immediatamente precedente.

Un buon punto di partenza è il Libellus, presentato a Leone X attorno alla metà del
1514 dai monaci camaldolesi Tommaso Giustiniani e Vincenzo Quirini, per sollecitare la
riforma della Chiesa. In esso viene denunciata in tutta la sua drammaticità l'ignoranza dei
preti sia riguardo alla lingua latina (appena il due per cento - dicono gli autori - o il dieci per
mille ha imparato la lingua latina così da poter pienamente capire i testi che legge ogni
giorno nelle chiese), sia riguardo alla Sacra Scrittura e alla dottrina cristiana ("è vergognoso
- scrivono ancora - e sconveniente che nella Chiesa di Dio molti religiosi e molti sacerdoti
non abbiano mai letto la sacra storia dell'evangelo"), con la conseguente povertà spirituale e
devianza religiosa della pietà dei fedeli (“a causa dell'ignoranza - sono sempre loro parole -
sono caduti nella superstizione più sciocca e nella credulità per la magia e ne danno larga
prova molte orazioni, formule di benedizione contro ogni male ed ogni infermità, sovente
accompagnate al culto dei santi ausiliatori, alle loro immagini recate spesso in processione
per implorare collettivamente speciali aiuti e protezioni”). La denuncia è chiara: la prassi
liturgica, non capita e vissuta dal clero e quindi dai fedeli nel suo autentico significato, non
risultava strumento efficace per orientare correttamente la pietà dei fedeli. Di fronte a queste
condizioni di "degrado" religioso e spirituale in campo liturgico Giustiniani e Quirini
10
tentano una serie di proposte di riforma. Chiedono, anzitutto, un intervento pontificio che
obblighi il clero alla conoscenza del latino prima di assumere l’abito monastico o prima di
accedere agli ordini sacri. Invocano, ancora, per tutto il clero l’obbligo della predicazione
domenicale al popolo. Propongono infine, per dare un orientamento nuovo alla pietà dei
fedeli, l’uso della lingua parlata nella proclamazione della Sacra Scrittura durante la liturgia
eucaristica e nei canti della Messa (“se pertanto, per tua iniziativa, ciò che è letto o cantato
nelle chiese, dappertutto o almeno in qualche regione, sarà letto o cantato nella lingua
parlata, stimiamo che gioverà in modo mirabile alla conoscenza dei precetti divini e alla
correzione dei costumi”). Giustiniani e Quirini aggiunsero poi due proposte di sostegno:

1) radunare in un solo volume le principali leggi ecclesiastiche, specie quelle di


carattere liturgico;
2) provvedere a un Messale, a un Breviario, a un Cerimoniale e a un Calendario uguali
per tulle le chiese, affinché i chierici, i monaci e i religiosi, dediti alle celebrazioni
liturgiche, avessero un modello unico cui attenersi15.

Le proposte di riforma di Giustiniani e di Quirini, cui corrisponderanno alcune prese


di posizioni disciplinari del Concilio Lateranense V (1512-1517), ebbero scarsa incidenza. È
possibile parlare, a proposito dei decenni immediatamente precedenti il Concilio di Trento
di una mancata riforma della Chiesa e, in essa, di una mancata riforma liturgica, proprio
mentre in Germania Lutero dava il via alla sua riforma, che avrebbe investito con forza
anche la dimensione liturgico della vita della Chiesa.

- Prima del Concilio: Martin Lutero (1483-1546)

Per comprendere in modo corretto l’opera di Lutero in campo liturgico occorre


precisare che il suo punto di partenza non fu anti-liturgico per principio. Egli prese le mosse,
come del resto altri in quel tempo, dagli abusi diffusi nella prassi liturgica del tempo, da un
uso quasi magico, spesso superstizioso, devozionale o semplicemente giuridico, del culto
cristiano e dalla constatazione di una diffusa incapacità di capire e di partecipare la Liturgia
(lo stacco fra il clero e il popolo; la lingua usata nella Liturgia, ecc...). Solo
progressivamente a partire dal 1520, a causa della sua opposizione sempre più dura alla
disciplina romana, ma soprattutto in ragione di una riflessione teologica sempre più anti-
sacramentale, la sua opposizione alla liturgia cattolica si fece più radicale ed ideologica,
anche se sul piano pratico-rituale lo stacco non avvenne senza tentennamenti. Illuminante al
riguardo il giudizio del Cattaneo:

15
In evidente sintonia con quest’ultima proposta si possono segnalare i diversi tentativi, negli anni immediatamente
precedenti il Concilio di Trento, di fornire nuove edizioni dei libri liturgici ufficiali, tentativi resi possibili anche dalla
recente invenzione della stampa: il "Pontificale romano" del Castellani (1520); il "Sacerdotale", sempre del Castellani
(1523); il "Breviario" del Card. Quiñonez (1535). L’esito di queste revisioni dei libri liturgici, pur favorite e sostenute di
volta in volta dai Pontefici regnanti, non raggiunse, tuttavia, l’effetto sperato.
11
"In Lutero non è visibile un piano logico di soppressione della Liturgia
cattolica, nonostante fosse a lui possibile in conseguenza della nuova base
teologica. Si nota in lui piuttosto una reazione progressiva al culto
cattolico, sempre priva di serenità, con palesi incertezze, pronta ad
indulgere a compromessi nel timore di una reazione popolare"16.

Per una puntuale segnalazione delle singole determinazioni del nuovo "culto
evangelico" in Lutero e negli altri riformatori, in campo liturgico decisamente più radicali e
conseguenti, si rimanda a Cattaneo e alle interessanti indicazioni di B. Neunheuser17.

In sintesi si può ricordare: sul versante propriamente dogmatico, ma con precise


conseguenze di carattere-liturgico, la riforma giunse progressivamente a rifiutare la qualità
sacramentale della Cresima, dell’Ordine Sacro, del Matrimonio e dell’Estrema Unzione, il
carattere sacrificale della celebrazione eucaristica (con la conseguente abolizione dei riti
offertoriali e dell'intero canone, lasciando sussistere solo la parte corrispondente alle parole
di Gesù) e la dottrina della transustanziazione come modalità corretta per comprendere la
dottrina della “Presenza reale” (con l’abolizione, titubante ma progressiva, del rito
dell’elevazione e delle forme di culto eucaristico extra missam: esposizione-adorazione-
benedizione eucaristica-processione eucaristica-solennità del Corpus Domini). Sul versante
direttamente liturgico, ma in stretta connessione con la sua impostazione teologica, Lutero
abolisce la messa privata, sopprime la confessione auricolare e riduce drasticamente ogni
forma di culto alla Vergine e ai Santi. Il tutto del nuovo culto evangelico è l’annuncio della
Parola, mediante la lettura delle Scritture e la predicazione o "sermone", sia nella santa
Cena 18 , celebrata solo alcune volte nel corso dell'anno, sia nel Predigtgottesdienst
domenicale. Ristabilì per tutti la comunione al calice, abolì l'uso del latino in favore della
lingua parlata e curò la partecipazione al canto di tutta l'assemblea nella lingua materna. Se
alcune scelte di carattere pastorale (il volgare nella liturgia, la partecipazione del popolo al
canto, ecc...) rispondevano ad una reale esigenza di rinnovamento, percepita anche da
cattolici particolarmente illuminati, l’opera liturgica complessiva di Lutero, e in genere della
riforma, rimane estremamente problematica, e di questo se ne vanno accorgendo oggi anche
i liturgisti riformati più attivi in campo ecumenico. A Lutero, e complessivamente alla
riforma, sfugge il senso proprio della liturgia, che è la sua realtà misterico-sacramentale,
proprio nel momento in cui vuole riportare le celebrazioni cristiane alla loro purezza
originaria: manca inoltre a Lutero e ai riformati una sufficiente conoscenza storica della
liturgia, che non permette loro di saper distinguere tra le "incrostazioni deteriori" e le
"dimensioni costitutive". Così il progetto pastorale di rinnovamento liturgico difetta del
criterio fondamentale di verifica che è la sua corrispondenza con ciò che la liturgia è e deve

16
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 292.
17
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 292-298; B. NEUNHEUSER, “Il movimento liturgico protestante. Origini ed aspetti
fondamentali”, Salesianum 36 (1974) 33-67, specialmente pp. 37-47.
18
Per una conoscenza più precisa della Liturgia riformata nei secoli 16/17 si veda: Coena Domini I. Die
Abendmahlsliturgie der Reformdlionskirchen im 16/17. Jahrhundert, ed. I. Pahl (Spicilegium Friburgense 29), Friburgo
1983, pp. XVIII + 611; II. Die Abendmahlsliturgie der Reformationskirchen vom 18. bis zum frühen 20. Jahrhundert,
ed. I. Pahl (Spicilegium Friburgense 43), Friburgo 2005.
12
essere. Gioca invece surrettiziamente un ruolo decisivo la sensibilità spirituale dell’epoca,
che corrisponde a quella realtà complessiva chiamata devotio moderna. Lutero e gli altri
riformatori tendono a codificare nella liturgia il sentire della devotio moderna, per la quale
ciò che conta è l’incontro personale ed interiore con la sola Scriptura, dimenticando (o non
accorgendosi) che essa era precisamente il frutto del divorzio tra Liturgia e spiritualità.
Scrive Neunheuser:

"La riforma della Liturgia progettata da Lutero non è dunque riuscita,


come oggi ammettono perfino molti dotti di parte evangelica. Egli ha
cercato, ma non ha trovato, il contatto con la genuina tradizione del
servizio divino; è rimasto infine un "cumulo incoerente di macerie". Per
conseguenza la storia della Liturgia protestante dei secoli successivi, fino
all'illuminismo compreso, è una storia di dissolvimento delle antiche
forme del culto divino nelle chiese evangeliche della Germania".

- Al Concilio (1547-1565)

Era necessario richiamare questi dati per la comprensione di ciò che fu nel suo
complesso la riforma liturgica tridentina e postridentina. Essa nasce da un’urgenza, già
avvertita da tempo in ambito cattolico, di porre rimedio ai molti abusi in campo liturgico, di
riportare i riti a una maggiore semplicità e comprensibilità, di uniformare le diverse
tradizioni liturgiche secondo una via maestra che fosse punto di riferimento per tutti.
Accanto a quest’esigenza di riforma interna si fece sempre più forte il contesto polemico nei
confronti della riforma protestante. Questo contesto polemico, vissuto anzitutto a livello
dogmatico, costringerà spesso il Concilio a una difesa apologetica della prassi rituale
cattolica, difesa che non favorirà una serena presa in esame dei problemi liturgici realmente
esistenti. Da ultimo è necessario segnalare come neppure Trento, come già la Riforma,
abbia preso le mosse da un’adeguata comprensione storica e teologica della liturgia. Anche
questo fatto non ha permesso di affrontare i singoli problemi di pastorale liturgica in un
quadro di riferimento più vasto e più decantato. È risaputo come, a livello storico, i padri
conciliari, e gli attuatori della riforma dei libri liturgici, abbiano ritenuto di potersi rifare alla
liturgia dell’epoca di Gregorio VII, per ritrovare la pristina norma sanctorum patrum.

Sul versante propositivo le indicazioni conciliari riguardanti la liturgia e la sua


riforma si trovano soprattutto nella terza ed ultima fase dei lavori (1562-1565).

 La questione della lingua liturgica non viene affrontata direttamente, ma solo si


condanna l’asserzione protestante dell’assoluta necessità di usare il volgare nella
liturgia.
 Il Concilio riconosce che le diverse celebrazioni liturgico-sacramentali della Chiesa
hanno anche un fine didattico-educativo e prescrive che i fedeli vengano avviati il più
possibile alla comprensione di quanto la Chiesa celebra:
13
"Affinché i fedeli si accostino ai sacramenti con devozione e riverenza, il
santo Concilio comanda a tutti i vescovi che non solo espongano al
popolo l’efficacia e l’uso dei sacramenti, quando li amministreranno, ma
anche curino che da parte di tutti i parroci si compia l’osservanza pia e
prudente delle stesse cerimonie, servendosi, se ce ne sarà bisogno e si
potrà fare con comodità della lingua volgare, secondo la forma prescritta
dal Concilio per l’esposizione di ciascun sacramento nel catechismo,
forma che i vescovi cureranno di far tradurre fedelmente in lingua volgare
e di far spiegare al popolo da tutti i parroci. Nel corso della solennità
della Messa e durante la celebrazione degli uffici divini nei giorni festivi o
solenni, spieghino in lingua volgare i sacri testi e suggeriscano pensieri
salutari che si sforzeranno di far penetrare nei cuori evitando tutte le
questioni inutili per meglio istruire i fedeli nella legge del Signore" (Sessio
XXIV, De Reformatione, cap. VII).

 Il Concilio rinvia alla volontà del Papa la questione della revisione/riforma dei libri
liturgici, sottolineando la necessità e l’urgenza di quest'opera, per dare in mano ai
sacerdoti che sarebbero stati formati nei Seminari i testi e gli ordinamenti per
un’ordinata e devota celebrazione.

 La questione della musica vocale viene solo accennata, ma non approfondita.

Questo elenco di indicazioni pratiche per il rinnovamento della vita liturgica della
Chiesa, anche se incompleto, rivela lo stato di frammentarietà delle proposte avanzate da
Trento in tale ambito. Anche l’elaborazione dei criteri-guida per una nuova edizione di tutti
i libri liturgici romani, che avessero finalmente valore universale all’interno della Chiesa
cattolica di rito latino fu demandata al dopo Concilio. Anzi, a rigore, Trento non ha neppure
pensato ad un vero e proprio centralismo e a una rigida uniformità in campo liturgico. Una
differenziazione era di per sé contemplata. Sarà solo il progressivo crescere di un clima di
opposizione compatta al pericolo protestante a irrigidire l’unicità della forma liturgica
romana nel senso di una rigorosa uniformità.

- L'immediato dopo-Concilio (1565-1614)

Per il periodo immediatamente successivo alla conclusione del Concilio raccogliendo


una serie di dati documentari, del massimo interesse per la storia liturgica:

1) Il Catechismus ad parochos (1566) aveva lo scopo di fornire ai parroci e a quanti


esercitavano la cura animarum la conoscenza di tutte quelle verità adatte all’intelligenza dei

14
fedeli. Secondo Cattaneo esso rivela però “una minore preparazione circa l’argomento
liturgico e forse una minore sensibilità per i problemi pastorali della Liturgia”19.

2) Dal 1568 al 1614, in poco meno di 50 anni, furono pubblicati tutti i libri liturgici,
emendati secondo l’antica tradizione romana (pristina norma sanctorum patrum). La
storiografia liturgica attuale ha definitivamente mostrato che “con i mezzi allora a
disposizione la riforma non ha fatto altro che purgare e restaurare il rito romano medievale,
più o meno secondo la forma di Gregorio VII”20. I libri liturgici romani ormai stampati in
editio typica furono imposti a tutto l’Occidente cattolico, fatta eccezione per quei riti, come
il rito ambrosiano, che potevano vantare almeno duecento anni di tradizione autonoma.
Si cominciò dal Breviarium Romanum (1568) per dare ai sacerdoti un solido strumento di
pietà personale, con cui adempire fedelmente all'obbligo giuridico dell'ufficiatura. Si passò
al Missate Romanum (1570), detto, dal nome del Papa che lo promulgò, "Messale di Pio V"
e si chiuse una prima tappa dei lavori con il Martyrologium Romanum (1583), secondo il
nuovo calendario liturgico. Con questi primi tre libri liturgici furono eliminate molte feste di
Santi che prima riempivano ogni giorno dell'anno, ridando vigore ai grandi cicli
dell’Avvento e della Quaresima e alla celebrazione domenicale. Tutto rimase però in
un’ottica clericale: il breviario è la preghiera liturgica dei sacerdoti e il messale è il libro
plenario, riservato al sacerdote in tutte le sue parti: ogni testo deve essere letto da lui, anche
ciò che spetta ad altri ministeri liturgici.
La seconda fase dei lavori di riforma dei libri liturgici portò al Pontificale Romanum (1596),
libro necessario per l'azione liturgico-sacramentale dei Vescovi e del Papa, al Cerimoniale
Episcoporum (1600), con tutte le indicazioni per l’esatta esecuzione delle cerimonie
episcopali e al Rituale Romanum (1614) per l’azione liturgico-sacramentale dei preti in cura
d’anime.
Nel 1588 nacque la Sacra Congregazione dei Riti con lo scopo di stabilire con precisione lo
svolgimento delle cerimonie liturgiche, di vigilare sull’esatta applicazione della riforma dei
libri liturgici e di dirimere eventuali controversie sull’interpretazione delle norme contenute
negli stessi. Fu dato così un notevole impulso alla scientia rubricarum, che diverrà in poco
tempo magna pars dell’approccio scientifico alla Liturgia. La nascita della Congregazione,
incaricata di vigilare su tutte le questioni di carattere liturgico, da una parte fu uno
strumento efficace per combattere gli abusi e per dare un indirizzo unitario alla riforma, ma
dall'altra favorì in campo liturgico un fissismo ed un immobilismo mai prima d'ora
conosciuti.

3) Sul versante di una maggiore comprensione dei riti da parte dei fedeli in vista di una
loro più autentica partecipazione, di cui al Concilio si era fatto parola, ben presto si fece
retromarcia. Cattaneo annota:

19
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 315-316.
20
B. NEUNHEUSER, Storia della Liturgia attraverso le epoche culturali (Bibliotheca Ephemerides Liturgicae Subsidia
11), Roma 1977, 114 .
15
"Alcuni vescovi, tornati alle loro sedi, dapprima tennero conto degli inviti
conciliari per un'azione liturgica a vantaggio dei fedeli: Poi, dinnanzi ai
continui attacchi dei protestanti, ritennero maggiormente prudente tacere
dei riti e delle cerimonie, non proporre la lettura diretta in volgare delle
epistole e dei vangeli... nel timore di interpretazioni individuali,
continuare la presentazione della Messa come un seguito di episodi della
passione di Gesù Cristo - secondo il metodo inaugurato da Amalario -,
propugnare la comunione spirituale alla Messa più che l’Eucaristia. Anzi
fu ritenuto opportuno appoggiare le vecchie devozioni non inficiate da
superstizione (furono così ristabilite feste della Madonna e dei Santi già
soppresse); affidare l'istruzione dei fedeli unicamente alle scuole di
catechismo, che ebbero tutta la cura dei pastori d'anime, ma durante le
quali non vi era cenno né alla liturgia della Messa, né a quella dei
sacramenti, né all'anno liturgico, le cui feste principali risultavano tali
per l'invito pressante ai buoni di partecipare al banchetto eucaristico...
Basta sfogliare i libri devozionali, le spiegazioni della Messa, i canoni
sinodali e provinciali, le prediche di quell’era per avvertire come nel
ventennio seguito al Concilio si dimenticò quel poco che esso aveva
suggerito per la pastorale liturgica"21.

Questi appunti su Trento e sulla riforma liturgica da esso scaturita si possono


utilmente chiudere con l’equilibrato giudizio di B. Neunheuser:

"L'opera riformatrice di Trento e dei Papi è degna di altissima lode. Essa


ha salvato la Liturgia dalla crisi del cinquecento. È però anche un'opera
limitata. Mentre ha fissato la Liturgia, per vincere la situazione caotica di
quell'epoca, ha rimosso la Liturgia dalla vita vissuta, l'ha resa quasi una
forma congelata, costringendo così la pietà dei fedeli ad allontanarsene,
volgendosi a forme di pietà popolare e devozionale, dando così origine,
senza volerlo, alla cultura religiosa del Barocco"22.

4. La prassi liturgica in epoca barocca


Si considera qui, in modo necessariamente molto sintetico (per un approfondimento
cf. Cattaneo), la prassi liturgica in epoca barocca con lo iato venutosi a creare tra culto
pubblico esterno ed ufficiale della Chiesa e pietà personale e vita devota dei fedeli.
L'interpretazione della prassi liturgica in epoca barocca (il tardo '500 e l'intero '600)
deve fare i conti con l'interpretazione complessiva di quest'epoca definita da Neunheuser
l’ultima grande epoca dell'Europa cristiana, dove per l’ultima volta tutto, in ogni settore, è
determinato dal fattore religioso, il quale vuole esprimersi in una "furia eroica", quasi

21
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 319.
22
B. NEUNHEUSER., Storia della Liturgia attraverso le epoche culturali,114-115.
16
incarnando il sovrumano e il sovrannaturale nella realtà sensibile. Jedin, storico del Concilio
di Trento e della questione post-tridentina, ha formulato l’ermeneutica dell’epoca barocca
attorno ai concetti di "riforma della Chiesa" e di "controriforma" ponendo un interrogativo:
siamo di fronte a una riforma che matura nella Chiesa come volontà rinnovatrice, magari
assumendo come stimolo alcune provocazioni provenienti dalla riforma protestante, o si
tratta di una semplice riorganizzazione, fondata sostanzialmente su una difesa apologetica
della propria tradizione, in un muro contro muro con la riforma protestante che impedisce di
cogliere eventuali provocazioni positive, nell’intima convinzione di salvare in questo modo
la fede e la Chiesa? Cattaneo, riprendendo questo binomio e applicandolo alla Liturgia,
affida una valenza più riformista all’azione della Chiesa cattolica di Francia e una valenza
più controriformista all’azione della Chiesa Cattolica di Spagna, Italia, Germania e Austria:

"Ritornando ad una distinzione più volte fatta, si può dire che mentre in
Italia dominò la controriforma, in Francia si fece strada, nonostante le
opposizioni romane, una riforma, anche se inficiata in qualche misura da
propositi giansenisti. Per questo non sorprende di trovare nel '600
francese alcune testimonianze della volontà di far partecipare i fedeli alla
Liturgia"23.

- Orientamenti controriformisti in campo liturgico

Globalmente si può dire che in campo liturgico il peso della Controriforma, guidata
da Roma, fu preponderante.

a) Un primo grande orientamento, raggiunto con l’imposizione dei libri liturgici romani
a tutta la Chiesa cattolica, fu l'unificazione definitiva della prassi liturgica secondo la
tradizione romana. La diffusione dell'ordinamento parrocchiale fin nel più sperduto
villaggio codifica definitivamente per l’intera Chiesa cattolica la Liturgia romana sia nella
forma celebrativa dei sacramenti (si veda l'influsso del decreto "Tametsi" anche sul versante
della forma celebrativa del sacramento del matrimonio), sia nella strutturazione dell’anno
liturgico e del santorale, sia nell’organizzazione della preghiera oraria del clero. Ciò che non
era riuscito a Carlo Magno e neppure a Gregorio VII viene finalmente raggiunto con
l’ordinamento liturgico centralizzato post-tridentino. Anche le Chiese, come quella
ambrosiana, che avevano ottenuto il permesso di conservare il proprio rito particolare,
mostrano nella revisione dei loro testi una certa tendenza a "romanizzare". Non si può
dimenticare che in quest’epoca la Chiesa conosce la sua prima grande azione missionaria al
di fuori dell'arca mediterranea (le Americhe; l’Estremo Oriente), al seguito delle grandi
scoperte e conquiste coloniali. Dal punto di vista rito-cultuale alle nuove popolazioni
evangelizzate viene trasmesso lo stesso ordinamento liturgico romano, lingua latina
compresa. Sarà nell'ambito della Compagnia di Gesù che farà capolino l’interrogativo circa
la possibilità di assumere nel culto cattolico qualche elemento rituale della tradizione dei
nuovi popoli giunti alla fede, dopo averne verificato la compatibilità con la fede cristiana. Il

23
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 348.
17
caso più serio sarà quello dei "riti cinesi", che darà origine ad una celebre controversia,
iniziatasi nella prima metà del secolo XVII, alla morte di Matteo Ricci (1610), e conclusasi
solo con la pubblicazione della bolla pontificia Ex quo singulari del 1742 24 . Scrive A.
Chupungco:

“I principali aspetti della controversia furono l'uso di parole cinesi da


parte del missionari Gesuiti per esprimere concetti cristiani, e il permesso
dato ai convertiti di svolgere, con certe restrizioni, i riti in onore di
Confucio e degli antenati”25.

Questi tentativi di assumere alcune strutture linguistiche e rituali della tradizione


cinese, benché purificate degli elementi chiaramente incompatibili con la nuova fede,
provocarono accuse violente da parte di altri missionari, soprattutto domenicani, e tutto fu
bloccato. Resta però interessante la lettura di un documento di "Propaganda fide" del 1659
nel quale, almeno in linea di principio, si fa strada la possibilità di distinguere tra annuncio e
celebrazione della fede da una parte e forma culturale europea (romana) dall'altra:

"Che cosa c'è di più assurdo che il portare la Francia, la Spagna, l'Italia
o qualunque altra parte dell'Europa in Cina? Non importate queste cose,
ma la fede, la quale non respinge o danneggia i riti e le consuetudini di
alcun popolo, purché non siano sconvenienti, ma anzi vuole che siano
conservati "26.

b) Un secondo grande orientamento della prassi liturgica di quest'epoca è la tendenziale


riduzione cerimoniale della Liturgia. L’unificazione liturgica del mondo cattolico, attuata
sulla base dei nuovi libri liturgici romani e sotto l’occhio vigile della nuova Congregazione
dei Riti, puntò tutte le sue carte sull’esatta e decorosa esecuzione delle cerimonie da parte
del clero e dei ministri a esso subordinati. Questa cura della cerimonia, regolata dalla
scienza delle rubriche, divenne l’antidoto alla negazione liturgica protestante e lo strumento
attraverso il quale i fedeli avrebbero dovuto percepire la dimensione misteriosa, sacra e
intangibile della Liturgia cristiana, pur senza comprendere il senso dei testi e dei riti. A
favorire questa tendenziale riduzione della liturgia a cerimonia, da eseguire con il massimo
rispetto di tutte le rubriche, contribuiva in larga misura l’orientamento complessivo della
riflessione teologica sulla Chiesa e sui sacramenti e in particolare:

1) la tendenziale riduzione della liturgia ad actio clericalis e la difficoltà ad


articolare un discorso più positivo sulla partecipazione di tutti i fedeli al sacerdozio di

24
Si può consultare al riguardo F. BONTINCK, La lutte autour de la liturgie chinoise aux XVII et XVIII siècles
(Pubblications de I'Université Lovanium de Leopoldville 11), Louvain-Paris 1962, XXXVI+548.
25
A. CHUPUNGCO, L'adattamento della Liturgia tra culture e teologia, Casale Monferrato 1985, 44.
26
Cf. lnstructio Vicariorum Apostolicorum ad Regna Synarum Tonchini et Cocincinae Proficiscentium, in Collectanea
Sacrae Congregationis de Propaganda Fide I, Roma 1907: "Quid enim absurdius quam Galliam, Hispaniam, ltaliam
aut ullam Europae partem in Synas invehere? Non haec sed fidem importate quae! nullius gentis ritus aut
consuetudines, quae modo prava non sint aut respuit aut laedit, immo vero sarta tecta esse vult":.
18
Cristo, sul fondamento dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, senza contraddire la
ministerialità propria e specifica del sacerdozio ordinato;

2) la frequente sovrapposizione dell’affermazione dogmatica circa l’efficacia


oggettiva dei sacramenti con il senso proprio della prassi liturgica. Una sottolineatura
unilaterale dell’ex opere operato porta infatti a ritenere che la stessa azione liturgica
"funziona per se stessa", a prescindere dal coinvolgimento soggettivo di coloro che
compongono l’assemblea, con una loro partecipazione attiva e consapevole. Basta
così che il ministro ordinato abbia eseguito con scrupolo la forma del rito, che la
Chiesa ha stabilito come coerente all’istituzione di Cristo, intendendo fare ciò che
intende la Chiesa, perché l’atto liturgico abbia raggiunto il suo scopo;

3) la presentazione della liturgia come "culto pubblico esterno" di una Chiesa,


pensata quasi esclusivamente in termini di societas iuridice perfecta. A partire da
questa visione di Chiesa, carente del suo aspetto propriamente misterico di corpo
mistico di Cristo animato dalla potente azione dello Spirito, era inevitabile porre
l’accento sull’apparato esteriore delle cerimonie liturgiche che, impressionando per la
loro bellezza e il loro decoro, dicono la perfezione di quella "società" che le pone in
atto.

c) L'iniziale preoccupazione, emersa a Trento, di una qualche partecipazione dei fedeli


alla liturgia perse presto ogni slancio. Emerse piuttosto la volontà positiva che i fedeli,
assistendo alle azioni liturgiche, percepissero attraverso cerimonie sempre decorose e
possibilmente solenni un senso di mistero arcano e sublime. Cattaneo annota: "La Messa
doveva apparire ai fedeli un mistero, particolarmente nella sua parte centrale" 27 , dove il
termine mistero ha insieme la valenza di "qualcosa che l’uomo non può mai completamente
afferrare" e di "qualcosa di cui non si comprende nulla". Anche la chiusura all’uso del
"volgare" nella liturgia si irrigidì progressivamente fino alla messa all’indice dei libretti per
i fedeli che traducevano l’ordinamento della Messa e in particolare il testo del Canone,
considerato "testo sacro" per eccellenza. Si possono leggere al riguardo le parole del
cappuccino Angelo Conti nella "misteriosa considerazione intorno ai riti della sacrosanta
Messa", scritto nel 1625:

"Per tal rispetto dunque, non si esporranno qui le precise e formate


parole del sacro Canone, ma solo la misteriosa significazione dei Riti, atti
e gesti in esso contenuti28.

La presenza alla Messa da parte dei fedeli è descritta dalla letteratura spirituale del
tempo come "assistenza devota". Le varie scuole di spiritualità del tempo si preoccuperanno
di indicare il modo con cui "assistere devotamente alla Messa". Si tratta normalmente di un
esercizio di preghiera mentale o di un esercizio di meditazione dei misteri della vita del
27 E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 332.
28
Cf. E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 332.
19
Signore. San Francesco di Sales scriverà tra i propositi del novembre 1602: "Nei giorni
festivi reciterò il rosario durante la Messa solenne" 29 . La comunione eucaristica,
raccomandata come fondamentale atto di devozione, tende a rimanere un rito a se stante,
collocato spesso nella pratica pastorale prima o dopo la celebrazione eucaristica. Non il
vertice della partecipazione dei fedeli all’atto celebrativo, in stretta connessione con la
consacrazione del pane e del vino, ma un rito autonomo, che risponde al bisogno dei fedeli
più devoti, anche se ovviamente relativo alla celebrazione dell’Eucaristia, in quanto il pane
consacrato di cui i devoti si cibano è consacrato nel sacrificio della messa. Anche la
predicazione al popolo, molto raccomandata da Trento ai sacerdoti in cura d’anime, stenta a
trovare il suo posto più naturale all’interno della celebrazione. Darà piuttosto i suoi frutti in
riferimento ad altre realtà della vita religiosa di quest’epoca: le SS. Quarantore, i tridui e le
novene in occasione delle feste patronali e delle principali solennità mariane, i quaresimali,
particolari momenti di calamità sociali o naturali. In questo modo resterà a lungo priva di un
riferimento biblico preciso e non avrà molta attenzione ad introdurre i fedeli alla vita
liturgica.

- Lo iato tra Liturgia ufficiale e pietà popolare

In stretta relazione con le ultime affermazioni si può riconoscere uno iato sempre più
evidente tra liturgia ufficiale, atto del clero, cui il precetto, per altro molto esteso, impone
un’assistenza che nei casi migliori può diventare devota, e le forme notevolissime di pietà
cristiana, nelle quali si constata un’autentica espressione del sentimento religioso popolare.
Cattaneo riporta in proposito un severo giudizio di Jungmann, secondo il quale "la vita
liturgica del Barocco entra in una fase di dissoluzione storica... quale nessun altro periodo
della liturgia ha conosciuto", ma aggiunge di suo, con molta perspicacia, la constatazione
che "all'uniformità rubricistica e statica (della Liturgia)... per impulso della cultura, messa in
sollecito movimento dalle idee rinascimentali, si contrappone una vigorosa espansione delle
forme espressive della pietà devozionale e dell’arte" 30 . Le linee portanti della "pietà"
dell’epoca barocca si possono raccogliere in quattro orientamenti:

a) Il culto eucaristico extra missam, radicato nella verità dogmatica della Presenza
reale per transubstantiationem, che a Trento era stata ribadita con forza. l fenomeni più
vistosi al riguardo sono: 1) il grandissimo impulso dato alle confraternite del SS.
Sacramento; 2) la ristrutturazione del presbiterio per porre in più grande evidenza il
tabernacolo, al centro, sontuosamente decorato, sormontato da un tempietto con il luogo
dell'esposizione; 3) le trionfali processioni eucaristiche (dalla festa del Corpus Domini alla
processione eucaristica mensile), durante le quali venivano rievocati, anche
drammaticamente, episodi dell'Antico Testamento e della vita del Signore; 4) la
composizione di messe de venerabili in onore del SS. Sacramento; 5) le solenni estensioni
del SS. Sacramento per l'adorazione dei fedeli e le solenni benedizioni eucaristiche, anche
durante la s. Messa. La presenza reale di Cristo nell’ostia consacrata, percepita anche come

29
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 331.
30
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 329.
20
presenza protettrice e miracolosa, avvince l’animo religioso dell’epoca barocca e dà luogo
ad uno sviluppo artistico, architettonico, scultoreo, pittorico e musicale di notevole intensità
e valore31.

b) Il culto alla Vergine Santissima, conosciuto ed inserito nella Liturgia fin dall'epoca
patristica, come correlativo alla centralità del mistero di Cristo (solennità di Maria Madre di
Dio; festa dell'Annunciazione...), cresciuto durante tutto il Medioevo in forme più libere e
rispondenti alla pietà religiosa del popolo, continua il suo rigoglioso sviluppo in epoca
barocca per linee più marcatamente devozionali. Alla base del grande impulso dato in
quest’epoca alla devozione alla Vergine stanno i nuovi santuari mariani, normalmente legati
a fatti miracolosi o ad avvenimenti straordinari, in cui l’azione protettrice di Maria (''S.
Maria delle Grazie" è uno dei titoli più usato) si è manifestata con particolare evidenza e la
predicazione al popolo, fortemente incentrata in senso mariano. È di quest'epoca
l’immissione nel calendario liturgico della festa della Madonna del Rosario, a ricordo della
battaglia di Lepanto (1571) e in ringraziamento per la vittoria ottenuta e la festa del Nome di
Maria a ricordo della battaglia di Vienna (1683) e della cacciata definitiva dei Turchi
dall’Europa. Si diffonde grandemente la pratica del Rosario, addirittura suggerita da qualche
maestro spirituale come il miglior mezzo devoto per assistere alla S. Messa; il sabato, già da
secoli giorno votivo mariano, riceve nuovo impulso nella prassi pastorale, mentre si va
diffondendo nelle parrocchie la funzione serale con il canto solenne della "Salve Regina",
seguito dalla Benedizione Eucaristica, dove si saldano insieme culto eucaristico e culto
mariano. Tra le pratiche di pietà più raccomandate c'è infine, per il clero e per i laici, la
recita quotidiana dell’ufficio della B.V. Maria32.

c) Il culto dei Santi, ridimensionato un poco dalla riforma dei libri liturgici
postridentini, perché tendeva a soffocare la centralità dei misteri della vita del Signore,
celebrati nell’arco dell’anno liturgico, "a poco a poco riprese gran parte dei giorni
dell’anno". La struttura architettonica stessa delle chiese barocche o barocchizzate ne è
testimonianza visibile. L’orientamento del luogo di culto all’altare centrale viene come
smarrito nella serie di altari laterali o di vere e proprie cappelle dedicate all’uno o all’altro
santo, per permettere le diverse devozioni dei fedeli e per incentivare le donazioni da parte
delle famiglie nobili o abbienti.

d) La devozione al crocifisso e alle sue santissime piaghe. Cattaneo la presenta così:

"Coltivata già nel Medioevo - basti ricordare un S. Francesco d'Assisi -


ora riceve un ulteriore e più affettuoso impulso dalla riforma luterana che
negava alla Messa il carattere sacrificale ed affermava che la

31
Per una conoscenza più diretta del contesto ambrosiano dell'epoca si legga l'interessante E. CATTANEO, Contributo
alla storia eucaristica di Milano, in Storia eucaristica di Milano (Ricerche storiche sulla Chiesa ambrosiana XI.
Archivio ambrosiano 45), Milano 1982, 90-99.
32
Per una conoscenza più approfondita del culto/devozione a Maria a Milano si veda: E. CATTANEO, Maria Santissima
nella storia della spiritualità milanese (Archivio Ambrosiano 8), Milano 1955.
21
giustificazione consisteva soltanto nella non imputazione delle colpe
coperte dal sacrificio di Cristo sulla croce. Tali affermazioni procuravano
una reazione psicologica: perché se la passione di Cristo non toglieva, ma
copriva i peccati, i meriti di essi apparivano minori di quelli predicati
dalla dottrina tradizionale che, cioè, il sangue di Cristo lavava ogni
peccato a chi rinnovava il suo amore a Dio"33.

In questa direzione si può leggere la spiritualità di S. Carlo, raffigurato normalmente


in preghiera davanti al Crocifisso, la spiritualità carmelitana e quella di san Francesco di
Sales, confluita nella "Filotea" (1607), opera spirituale per tutte le anime desiderose di
perfezione. La devozione alla Passione di Cristo avrà il suo approdo più vistoso nell'ordine
dei Chierici scalzi della Santissima Croce e Passione di Nostro Signore Gesù Cristo (i
Passionisti), fondato da S. Paolo della Croce nel 1720. Accanto ai tre voti. classici coloro
che entrano nel nuovo ordine ne emettono un quarto che consiste nel promuovere la
devozione alla Passione di Cristo tra i fedeli. Con loro si diffonderà enormemente la pia
pratica della via crucis.

- Canto e musica

Non si può parlare della prassi liturgica io epoca barocca senza accennare al
grandioso sviluppo delle forme musicali, sia del canto vocale che della musica strumentale.
Il canto polifonico ricevette un'investitura ufficiale da parte della gerarchia della Chiesa e
"abbassa sempre più l’interesse per il vecchio monodico e diatonico canto gregoriano"
(Cattaneo, p. 343). Geni musicali come Pierluigi da Palestrina (1525-1594), Orlando di
Lasso (1532-1594) e Tommaso Ludovico da Victoria (1548-1611), operanti a Roma nella
seconda metà del '500, conferirono definitiva dignità liturgica a questo nuovo modo di
intendere il canto. La musica polifonica è messa al servizio dei testi dell'ordinario della
Messa (Kyrie; Gloria; Sanctus-Benedictus; Credo; Agnus Dei) e dei testi del proprio dei
tempi liturgici e delle feste.
Ben presto però l’equilibrio raggiunto da questi compositori fu infranto da altri più
preoccupati di meravigliare con la loro musica che di servire la preghiera liturgica.
Comprendiamo i ripetuti interventi della Congregazione dei Riti, uno in particolare del
1643, nei quali viene denunciato l’abuso di Messe solenni, in cui sono introdotte esecuzioni
musicali non attinenti all’atto liturgico, ma solo preoccupate di "piacere" e "attirare"...
Accanto all’ingresso trionfale della polifonia nelle celebrazioni liturgiche, il '600 conosce
anche l’investitura ufficiale della musica organistica. L’organo, giunto a una notevole
perfezione tecnica, diviene lo strumento ecclesiastico per eccellenza, dalle più imponenti
cattedrali all’umile chiesa di campagna. La polifonia e la musica organistica di quest’epoca
hanno prodotto un patrimonio artistico di inestimabile valore religioso e culturale. Ciò che
emerge come interrogativo critico sul versante della liturgia è la capacità di questi nuovi
sviluppi artistico-musicali di compiere un reale "servizio liturgico". La domanda non verte,
33
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 325.
22
di principio, sulle forme vocali e musicali in quanto tali, ma sul loro esito pratico
complessivo. Una seria ricerca musicologica attuale, che tenti di riformulare il rapporto tra
arte vocale e musicale e liturgia, dovrebbe dedicare grande attenzione alla "musica sacra" di
quest’epoca.

5. La prassi liturgica nei secoli dei lumi

Molte delle notazioni fatte per l’epoca barocca circa la prassi liturgica ufficiale e la
sua distanza dalla pietà devozionale dei fedeli, conservano piena validità anche nel corso del
'700 ed oltre. Ciò che appare nuovo e meritevole di attenzione durante il secolo dei lumi è
da una parte la nascita di un interesse storico-erudito nei confronti della Liturgia e delle sue
fonti antiche e dall’altra l’emergenza di una certa istanza di riforma, motivata sia dal
desiderio, schiettamente illuministico, di una pratica religiosa (la liturgia è parte integrante
della pratica religiosa) scevra dall’esuberanza e dall’esteriorità dell’epoca barocca e guidata
dalla luce dell’intelligenza e della cultura (si tratta di un movimento tutto sommato elitario),
sia da una lettura in chiave pastorale della liturgia stessa (la liturgia come luogo in cui
l’azione pastorale di un vescovo può esprimersi con efficacia). Cattaneo prende spunto
proprio da questo secondo orientamento per caratterizzare il '700 come il secolo in cui
comincia a farsi strada una "scienza pastorale liturgica".

- L'interesse storico-erudito

La nascita di un interesse storico-erudito nei confronti della liturgia e delle sue


antiche fonti è dovuta principalmente alla volontà apologetica di fornire prove solide della
tradizionalità del culto cattolico, di fronte alla persistente contestazione da parte del
protestantesimo. Essa risente però anche di quel rinnovato fervore di ricerche nel campo
delle antiche fonti cristiane e non, che percorre tutto il '700 e che sfocerà, dal punto di vista
delle diverse espressioni artistiche, nello stesso stile neo-classico. Tra i molti nomi di eruditi
di fonti liturgiche vanno ricordati almeno Mabillon, Marténe (pubblica una documentazione
ancora oggi fondamentale circa gli antichi riti e le antiche consuetudini liturgiche della
chiesa: De antiquis ecclesiae ritibus), Tomasi e Muratori, che nel 1748 pubblica le fonti più
antiche della "Liturgia romana antica" (i Sacramentari Veronense, Gelasiano e Gregoriano).
A prescindere dalla motivazione prevalentemente apologetica, l’edizione (per altro, a
giudicare con gli strumenti oggi a disposizione, poco critica) delle antiche fonti liturgiche
metterà in circolazione la conoscenza dei tesori liturgici della chiesa antica. Questo sarà la
premessa per uno studio più scientifico della prassi liturgica, per lo sviluppo di una
riflessione teologica sulla Liturgia e costituirà la base per una sua efficace riforma.

- L’esigenza di riforma

Più complesso risulta ripercorrere l’esigenza di riforma del '700 in campo liturgico e i
tentativi effettivamente messi in atto. Si devono almeno richiamare:

23
a) Il lavoro di riforma dei libri liturgici, in particolare il Breviario e il Messale, messo in
atto in molte diocesi della Francia e conosciuto anche come fenomeno delle "liturgie neo-
gallicane"34. Si tratta di una riforma dei testi liturgici (canti e orazioni) secondo il criterio
dell'arricchimento sia biblico (sostituzione di testi non biblici con testi biblici) che liturgico
(recupero di nuovi testi dell’eucologia dai sacramentari antichi da poco editi). L’opera di
riforma non ebbe un carattere organico per tutta la Francia, ma fu intrapresa per iniziativa di
singole diocesi, cui aderirono altre diocesi, entusiaste del lavoro fatto da queste. Roma non
guardò mai con favore a questi tentativi, che rimettevano in discussione l’unità liturgica
della riforma postridentina; nell’ottocento l’abate della rinata abazia benedettina di
Solesmes, P. Guéranger, sarà il deciso e tenace fautore di un ritorno della Chiesa francese ai
libri liturgici romani, impegnandosi a diffondere un giudizio fortemente negativo dell’intera
impresa neo-gallicana.

b) Un capitolo ben studiato da Cattaneo è la produzione liturgica di Muratori, molta


sotto pseudonimo (Lamidio Pritannio), riguardante i problemi di pastorale liturgica. Tra di
essi emerge per importanza l’operetta "Della regolata devozione dei cristiani" (1747), in cui
l’accento (tipicamente illuministico) va posto su quell’aggettivo "regolata", che sottintende
l’intervento della "ragione" e della "cultura" illuminata. La categoria della devotio racchiude
in sé il complesso della pratica religiosa dei cristiani senza una precisa distinzione tra ciò
che noi oggi chiamiamo "liturgia" in senso stretto e i "pii esercizi" 35 . Tra i temi più
vivacemente affrontati da Muratori, e che provocarono dibattiti e contrasti anche duri,
emerge quello dell’uso del Volgare nella Liturgia (il Muratori si fa promotore di esso
almeno per la lettura del vangelo); quello della riduzione delle festività di precetto,
esageratamente numerose con risvolti negativi anche di carattere sociale (la gente si
ubriacava, nascevano risse, i costumi sessuali si allentavano...); i suffragi in favore dei
defunti; le varie forme del culto eucaristico, del culto alla Vergine c del culto ai Santi. Pur
non muovendo decisamente da un ripensamento teologico della natura del culto cristiano
Muratori dà l’impressione di una grande sapienza e di un grande equilibrio, volto a
combattere ogni rischio di superstizione e ogni forma di abuso, ma anche a valorizzare la
genuina tradizione della Chiesa. È, in qualche modo, un antesignano del rinnovamento
liturgico.

c) Meritano pure attenzione le riforme ecclesiastiche austriache, molte delle quali


direttamente attinenti alla prassi liturgica e devozionale dei fedeli. La valutazione
complessiva di quest’azione di riformismo ecclesiastico-liturgico promosso dall’Austria,
richiede di tenere presente sullo sfondo la questione delle nomine ecclesiastiche di parte
regia (senza preavviso e senza previa approvazione della Sede Pontificia) e dunque lo stato
già precario dei rapporti tra la Chiesa e lo stato dentro e fuori l'impero austro-ungarico.
Cattaneo documenta con dovizia di particolari (pp. 417-432) la ricca legislazione austriaca

34
F. Brovelli ne ha fatto uno studio accurato in Ephemerides Liturgicae 96 (1982) 279-406; 97 (1983) 482-549.
35
Questa distinzione è adottata da Sacrosanctum Concilium 13.
24
in materia liturgica e valuta l’impatto che essa ha avuto sulla vita delle chiese direttamente
interessate. Rimandando ad una lettura diretta dei dati documentari, si raccoglie qui il suo
giudizio globale sostanzialmente critico, prima che sui contenuti delle riforme attuate, sulla
modalità con cui esse furono perseguite:

"Esse furono imposte e dovevano essere accettate solo in forza


dell'autorità imperante e furono stabilite senza alcuna preoccupazione
pastorale, ossia non tenendo conto dello stato d'animo religioso delle
popolazioni, alle quali si chiedeva solo obbedienza senza accorgersi del
suo stato d'animo generale, ormai lontano dalla sudditanza propria
dell'età medievale"36.

Si deve comunque constatare che tali riforme ebbero una certa efficacia pratica, soprattutto
nella regolazione di tutti quei punti io cui venivano ad incrociarsi l’ambito civile e l’ambito
religioso: 1) i giorni delle festività di precetto; 2) le feste patronali e il loro rapporto con gli
obblighi lavorativi; 3) le liturgie funebri; 4) le pubbliche manifestazioni di culto nelle chiese
e fuori (orari, frequenza, processioni, tridui, novene). Nelle nostre zone la legislazione
austriaca su alcuni di questi punti giunse fino al Vaticano II.

6. Il Sinodo di Pistoia

In questo '700 riformista in campo liturgico grande importanza ha rivestito il Sinodo di


Pistoia (1786), più direttamente operante sotto l’influsso delle idee gianseniste, divulgate in
Italia da alcuni professori dell'università di Pavia. Esso è un fatto di chiesa locale (la diocesi
di Pistoia e di Prato sotto la guida del vescovo Scipione de’ Ricci), ma con l’esplicita
pretesa di coinvolgere l’intera chiesa italiana. Scrive Cattaneo: “Come tutta la vicenda
insegna, si volle con tale sinodo iniziare localmente una riforma per estenderla a tutta la
Toscana, con la speranza di influenzare tutta l’Italia non esclusa Roma”37. I fatti sono presto
detti: Leopoldo II, granduca di Toscana, con il pieno appoggio del vescovo de’ Ricci,
convoca un sinodo a Pistoia dal 18 al 28 settembre 1786, inviando ai vescovi suoi sudditi un
elenco di 57 punti (più della metà su problemi liturgici e devozionali), sui quali essi sono
chiamati a esprimere una loro valutazione. Cattaneo annota: “In sostanza l’elenco
corrisponde a molte delle riforme austriache. La novità è nel continuo riferimento a idee
gianseniste, le quali, riversate nei decreti sinodali, permisero una loro condanna esplicita da
parte della Sede Apostolica”38. Il Sinodo si svolse sotto la presidenza del vescovo de’ Ricci
e la sovrintendenza teologica di Tamburini, e promulgò una serie di decreti di riforma39.
Leopoldo II di Toscana e de’ Ricci tentarono di far approvare i decreti sinodali
dall’assemblea dei vescovi toscani, riunita nel maggio del 1787 in vista della convocazione

36
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 417.
37
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 435.
38
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 438.
39
E. CATTANEO, Il culto cristiano..., 439-443.
25
di un più ampio concilio nazionale, ma la cosa non riuscì e la maggioranza dei vescovi si
schierò decisamente contro. La Sede Apostolica condannò il sinodo 8 anni dopo con la bolla
Auctorem Fidei (28/10/1794), nella quale vengono riprese e censurate 85 proposizioni
sinodali. Alcune affermazioni sono bollate come "eretiche" per gli errori dogmatici in esse
contenuti, mentre altre sono definite "false o ambigue". Cattaneo commenta:

Si ha la chiara sensazione che con la condanna "parziale" di tali


proposizioni si sia voluto soprattutto colpire i loro autori, poi riaffermare
il principio che solo alla Sede Apostolica spetta la riforma o la revisione,
la condanna o l'approvazione di tutto ciò che riguarda il culto e avvertire
che si deve ritenere "temerario" (è l'aggettivo più ricorrente) fare in tale
materia cosa anche semplicemente "pietati fidelium ingiuriosa" o "piarum
aurium offensiva" o "favens haereticorum conviciis" 40.

Io conclusione la volontà di riforma liturgica del '700 si arena contro due scogli:
un'insufficiente o addirittura fuorviante quadro teologico di riferimento, per una
comprensione del fatto liturgico nella vita della Chiesa; un’intromissione pesante del potere
civile in un ambito tipicamente ecclesiastico, che suscita immediatamente la diffidenza e
l’opposizione romana. Se a questo si aggiunge la dimensione troppo elitaria di un sentire
illuministico della "devozione cristiana", non compresa e non condivisa dal clero in cura
d'anime e dal popolo con lui, si può capire come una stagione pur così vivace non abbia
prodotto alcun reale riavvicinamento tra culto ufficiale della Chiesa a pietà dei fedeli.

7. I prodromi in Italia del Movimento liturgico

Nonostante queste difficoltà, il movimento per la partecipazione dei fedeli alla liturgia era
percepibile già in quegli anni: all’inizio dell’ottocento comparvero infatti parecchie
traduzioni del messale a uso dei fedeli e si moltiplicarono testi illustrativi e di commento. Si
pensi alla Guida liturgica (1829-30) di Giuseppe Maria Pavone, al Dizionario sacro
liturgico (1931-32) di Giovanni Diclich o, in ambito milanese, alle Memorie storiche
relative al rito ambrosiano (1824) di Giacinto Ferrario e agli studi di Luigi Biraghi (1801-
1879). È nota, altresì, la denuncia della “divisione del popolo dal clero nel pubblico culto”,
espressa da Antonio Rosmini (1797-1855) nel suo libro Delle cinque piaghe della Santa
Chiesa, scritto nel 1832, ma pubblicato nel 1848, nel quale identifica tra le cause l’uso del
latino. La Santa Sede non si mostrava incline a introdurre novità. Lo dimostrano
l’atteggiamento di Gregorio XVI (1831-1846), che nel 1841 non approvò una rinnovata
edizione del breviario ambrosiano, e di Pio IX (1846-1878) che nel concistoro del 9
dicembre 1854 invitava a istruire i fedeli solo a una presenza devota alla santa messa. Si

40 CATTANEO E., Il culto cristiano..., 446.


26
comprende dunque il successo del Manuale di Filotea di Giuseppe Riva (1803-1876) che
continuava ad affiancare ai momenti della celebrazione eucaristica gli eventi della vita di
Cristo, per suscitare sentimenti corrispondenti alle diverse circostanze. Un’autentica
spiritualità liturgica poteva essere coltivata solo da chi aveva la cultura sufficiente per
intendere i testi.

Il Concilio Vaticano I, apertosi l’8 dicembre 1869, non ebbe il tempo di affrontare la
questione liturgica, essendo stato aggiornato sine die il 20 ottobre 1870.

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