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Cleo Dubois si controllò il cappello e la borsetta prima di suonare il

campanello di casa Wuyts, sulla Rheinalle, di fronte al Reno.


Le aprì Peter Wuyts, d’aspetto gradevole, sulla quarantina, con
indosso una sgargiante camicia bluette, un panciotto grigio e dei
pantaloni a coste.
“Benvenuta!” La salutò, invitandola a entrare.
Il sorriso sotto i folti baffi sembrava contenere un migliaio di denti.
Cleo ringraziò e salì i gradini. Oltre l’ingresso vi era il salone dove
tutti la stavano aspettando.
Le tende erano state chiuse, come da sua indicazione, e tutti i mobili
erano stati spostati per fare spazio al tavolino centrale, di mogano,
dove in cerchio erano seduti la signora Nora, la giovane Beth e il
piccolo Timothy.
“Benvenuta!” Ripeterono in coro, facendo per alzarsi, con eccellente
coordinazione.
“State pure comodi,” Li pregò Cleo, prendendo posto insieme a
Peter.
Il soggiorno era tenuto caldo dal fuoco nel camino e illuminato da
graziose lampade appese ai muri.
Cleo estrasse dalla borsetta il suo registratore Phillips e lo posizionò
al centro, acceso.
Tutti i presenti rimasero in silenzio osservandola disporre un
tovagliolo ricamato sulle gambe, un accendino color oro sul tavolo,
di quelli di un tempo, dalle forme art decò, ed estrarre dei piccoli
occhiali da vista che si posò sul naso.
Il suono cadenzato del grande orologio a pendolo nell’angolo si
univa ai loro respiri ansiosi.
“Credo possiamo cominciare,” Propose Cleo.
“Ma come!” Protestò Peter, “Così, senza spiegazioni?”
La ragazza si trattenne. Si tolse gli occhiali e li piegò per posarli
accanto all’accendino.
Detestava essere interrotta, ma doveva compiacere i suoi clienti o
non l’avrebbero fatta lavorare in pace.
“Cosa vuole sapere?” Chiese con calma.
Il padre guardò i famigliari come a raccoglierne i quesiti.
“Cosa dobbiamo aspettarci? Cosa succederà?”
Cleo aveva risposto a quelle domande tante volte che ormai le parole
uscivano dalle labbra senza bisogno di formularle nella testa.
“Non so cosa succederà signor Wuyts. Ogni volta è differente.
Dipende da che tipo di spirito infesta questa casa, da quanto tempo e
dalla forza con cui può operare nel nostro mondo”.
Come di consueto, le sue parole non tranquillizzarono i presenti.
Continuarono a scambiarsi occhiate incerte mentre cercavano di
capire se avessero fatto bene a far entrare una medium in casa loro.
Cleo poteva sentire i loro pensieri graffiarle la pelle. Era già stata
criticata a causa del suo aspetto così carente di spettacolarità.
Le sue colleghe sostenevano che in questo mestiere è importante fare
scena. Vestire abiti larghi e sontuosi. Portare capigliature inusuali e
smalto esotico.
Ognuna di loro aveva il proprio stile, partendo da quello circense per
giungere a quello funebre, passando attraverso una miriade di
varianti che abbracciavano il voodoo, la wicca e perfino il satanismo
più bieco.
Lei però non riusciva a fingere, a non essere sé stessa, una semplice
ragazza di ventitré anni dai capelli color rame e gli occhi azzurri, dal
viso pulito e i modi ordinati, che da quando era bambina poteva, e
spesso aveva dovuto, parlare con gli spettri.
Quella mancanza era però anche il suo pregio.
Le sue colleghe sopportavano ogni forma d’ingiuria: Erano state
chiamate ciarlatane, truffatrici, megere e fannullone.
I loro spettacoli così teatrali richiamavano una finzione troppo
esplicita, mentre lei, silenziosa come i fantasmi con i quali mediava,
andava e veniva via rapidamente.
Chi richiedeva i suoi servigi era sempre soddisfatto e nessuna
lamentela aveva intaccato la sua reputazione.
Il suo modo di lavorare non era memorabile o visivamente
appagante, ma era serio e professionale. Ed efficiente.
Tremendamente efficiente.
“Cosa dobbiamo fare noi?” Insistette la signora Wuyts.
“Praticamente nulla” Spiegò Cloe, “Userò la vostra forza psichica
per richiamare il mio spirito guida. Sarà sufficiente che teniate le
mani giunte, a formare una catena che vi colleghi a me”.
La famigliola eseguì con perizia, facendo attenzione a prendersi per
mano, come fosse la prima volta.
“Ora chiudete gli occhi”. Tutti eseguirono.
Sussurrando, Cloe cominciò a pronunciare il nome di Anvee, la
creatura che le era legata dalla nascita e che le consentiva di guardare
nel mondo dell’oltre, dove nessun vivente poteva andare prima del
tempo.
Il calore nella stanza calò di colpo, come se il fuoco nel camino si
fosse estinto d’improvviso.
La luce che attraversava le loro palpebre prese a sfarfallare, perdendo
intensità.
Cloe alzò il mento verso l’alto e aprì gli occhi. Anvee era lì, nella sua
forma pura, quella di una nuvola azzurrognola dai contorni indefiniti,
pulsante di lieve energia.
“Benvenuto tra noi!” Lo salutò sorridendo.
L’anima cambiò colore, virando sul bianco, segno di pace.
“E’ qui?” Chiese Beth con un acuto nervoso nella voce.
Cloe sapeva che c’era ma doveva dimostrarlo agli altri.
“Anvee io ti prego, batti un colpo se ci sei” Pronunciò.
Anvee si mosse volteggiando sopra le loro teste. Con uno slancio
precipitò sul tavolo, facendolo saltare sul posto.
Tutti si allarmarono emettendo un breve grido all’unisono mentre
stringevano più forte le mani.
Cloe fece una smorfia per sopportare la presa di Peter e continuò:
“Anvee io ti prego, dicci se altri spiriti sono qui con te adesso”.
Lo spettro calò piano in mezzo a loro.
Il registratore prese a gracchiare, colpito dalle interferenze, poi
dall’altoparlante giunse una voce, lontana e stridula.
“Quuuaaaatttrrrroooo”.
“Mio Dio!” Disse Nora mentre saltava sulla sedia. Tutto il gruppo si
adeguò per non spezzare il cerchio.
“NON LASCIATE LE MANI!” Gridò Cloe. Aveva bisogno della
loro energia per mantenere il contatto.
“Non abbiate timore, nulla ci può toccare!”
A quelle parole Nora tornò a sedere, cautamente.
Anvee aveva contato altri quattro spiriti in quella stanza, decisamente
molti più del solito.
“Anvee, mio amato, mostraci gli spiriti presenti”.
La nuvola si rimpicciolì fino a divenire minuscola e si infilò
nell’accendino.
Questi prese a levitare dolcemente, portandosi sopra il tavolo.
“Cosa succede?” Chiese il piccolo Tim a bassa voce.
“Aprite gli occhi” Ordinò Cloe.
Tutti lo fecero e trattennero il fiato.
L’accendino volteggiava sopra le loro teste, come attaccato a un filo.
Cloe era rigida, le pupille rigirate all’indietro e la bocca dischiusa.
“Anvee, fai ciò che ti chiedo!”
L’accendino si accese, generando una fiamma esagerata di colore
blu.
Il fuoco si spingeva fin quasi al soffitto, illuminando il gruppo più di
quanto facessero le lampade e allungando la loro ombra oltre le
pareti.
Cloe chiuse gli occhi e li riaprì. Le iridi azzurre erano tornate al loro
posto e poté osservare il mondo reale.
Non c’erano spettri davanti a lei, solo la famiglia Wuyts, stretta
spalla a spalla.
Prima di allora, l’accendino aveva sempre mostrato le presenze
intorno a lei, così che potesse confrontarsi con loro e aver ragione
della loro presenza. Era questa l’abilità che aveva insegnato ad
Anvee anni prima e che l’aveva portata a risolvere numerosi casi in
tutta Düsseldorf.
Mosse lo sguardo a destra e sinistra, sondando gli angoli bui del
salone.
“Qualche problema?” Chiese Peter, sarcastico.
Cloe lo fissò.
“Non capisco” Disse. Poi vide le loro ombre.
Erano nere, più di quanto la luce permettesse, e si muovevano.
Tutte le ombre si agitavano convulse.
“E’ così che fai allora” Disse Nora.
“E’ così che ci stani” Continuò Beth.
Cloe provò ad alzarsi ma i cognugi Wuyts serrarono la presa sui suoi
polsi.
“Lasciatemi!” Gridò.
“E’ così che ci snudi e che ci esili” Si unì Timothy.
Si alzarono tutti e accerchiarono Cloe.
Peter e Nora la spinsero verso il muro trattenendola per le braccia.
“Ma ora è finita. Finisce qui”.
Beth allungò la mano dietro al pianoforte, accostato da una parte, e
ne trasse un lungo coltello da cucina.
“Cosa fate?” Pianse Cloe, ma era tutto chiaro.
Gli spettri che infestavano le case, quando nessuno la chiamava o
qualche altra collega falliva, possedevano le persone.
E lei era famosa.
Aveva operato molte volte. Era oramai il primo nemico di queste
entità, che finalmente l’avevano messa in trappola.
Beth si avvicinò.
Il fuoco azzurro dell’accendino colpiva la lama come un riflesso di
luna.
“Aiutami Anvee” Si lamentò lei, ma lo spettro non poteva.
Esorcizzare uno spirito era diverso da scacciarlo, e lì ne aveva
quattro senza nessuno che la difendesse.
Beth le avvicinò il coltello al viso.
“Addio Miss Dubois, è stato un dispiacere”.
Abbassò l’arma e le trafisse lo stomaco.
Il sapore amaro del sangue riempì la bocca di Cloe mentre
l’accendino si spegneva e cadeva sul tavolo, inerte.
“Se ci sei batti un colpo” La canzonò Timothy.
La pugnalarono molte volte lasciandola lì ad agonizzare, prima di
gettare l’arma in terra.
Peter si sistemò il panciotto, Beth stirò la gonna e Tim strinse i nodi
delle scarpe.
“Bene” Disse Nora, “E’ ora di tornare dalle nostre ‘famiglie’”.
Peter rise, seguito dagli altri.
Tutti e quattro lasciarono la casa, disabitata da tempo.
Rimase vuota per anni prima che qualcuno azzardasse l’acquisto.
Quando la nuova famiglia varcò la porta d’ingresso, Cloe era lì,
consapevole da anni della sua condizione.
Aveva ripassato tutti i trucchi, e presto avrebbe potuto usarli.

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