אֱ ִ ֑הים, ’ĕlōhîm)
Secondo la grammatica ebraica (ebr. ֱא ִ ֑הים, ’ĕlōhîm) è un sostantivo maschile plurale. Tradurre
’ĕlōhîm con “Dio” può comportare dei problemi di falsificazione del senso originario dato dall’ autore
biblico, che non aveva ancora maturato il concetto di divinità sviluppatosi successivamente, in periodi
storici lontani da quelli biblici. Quindi è anacronistico attribuire il senso di divinità alla parola ’ĕlōhîm.
Il termine ’ĕlōhîm, di radice trilitterale, deriva dal termine bilitterale ’ēl, da ul, potenza, forte. Da ciò,
ʾēl ha un ventaglio di significati: potente, governante, re, condottiero e sim., ma questo termine è
tradotto spesso con “Dio”. L'estensione della radice alh esalta il potere legislativo, da ciò che ʾēl, il
governatore diviene il legislatore e giudice, espresso con (ebr. אֱל֣ וֹ ַהּ, ’ĕlôah) e poi (ebr. ֱא ִ ֑הים, ’ĕlōhîm).
Il termine ’ĕlōhîm dal punto di vista morfologico è in realtà un plurale maschile, secondo la regola
della lingua ebraica che prevede che i plurali maschili terminino quasi sempre con il suffisso (ebr. ים,
im). Tuttavia, come in tutte le lingue, le regole generali non sono assolute, ma ci sono sfumature ed
eccezioni. Il plurale maschile ebraico espresso dal suffisso (ebr. ים, im) non è paragonabile al plurale
italiano, perché in ebraico può esaltare solo la qualità, l’ eccellenza, l’astrazione, l’intensità, l’
indefinibilità e non il numero. E’ consueto della lingua ebraica usare nomi plurali per indicare al
singolare ciò che non può essere definito, cioè il pluralis excellentiae. Ad esempio, nel sēper Jô’ēl
(Libro di Giobbe), viene descritto un animale mitico il ḇehēmôṯ. Alcuni lo identificano con
l’ippopotamo e altri con un animale preistorico. L’ autore sacerdotale lo chiama al plurale ḇehēmôṯ
(ebr. ) ֭ ְבהֵמוֹת. Secondo la grammatica ebraica, ḇehēmôṯ è il plurale di “bestia” (ebr. ְבּ ֵהמָה, ḇehēmâ):
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E’ evidente che il plurale utilizzato è riferito ad una sola bestia (pluralis excellentiae) considerata dall’
autore “la bestia per eccellenza”, “il bestione”, “la bestia più grande di tutte”, è il genere di plurale
che posto a entità singolari indica ciò che è indefinibile, incomprensibile e di notevoli dimensioni.
Anche il termine ’ĕlōhîm, riferito al potente di Israele, è lo stesso tipo di plurale che indica l'indefinibile.
Quindi non un plurale propriamente, ma in pratica un sostantivo singolare. Quello che determina se
una parola è singolare o plurale non è la morfologia della stessa, ma il verbo che regge. Il
plurale ’ĕlōhîm, inoltre, non è un plurale di maestà: in ebraico biblico come in greco tale plurale non
esiste. Da notare che il sostantivo ’ĕlōhîm è applicato nella Scrittura anche per un singolo ’ĕlōhîm
straniero o ad esseri umani, ma ha diversi significati che variano a seconda del contesto, perché di certo
“Al tempo della vecchiaia di Salomone, le sue mogli gli fecero volgere il cuore verso ’aḥărê (ebr. אַח ֵ ֲ֖רי
, altri) ’ĕlōhîm (ebr. ֱא ִ ֣הים, ’ĕlōhîm), ed il suo cuore non appartenne interamente a Yhwh ’ĕlōhāyw
(ebr. ֱא ָ֔היו,’ĕlōhîm suo), come il cuore di Dāwiḏ suo padre.” – I Melāḵîm 11:4.
Il primo termine ’ĕlōhîm che incontriamo è preceduto dall’aggettivo plurale ’aḥărê in riferimento agli
’ĕlōhîm stranieri e rende il termine ’ĕlōhîm un plurale numerico; mentre il secondo ’ĕlōhîm è riferito a
Nel pāsûq seguente il termine ’ĕlōhîm è nello stato costrutto “’ĕlōhê” e viene utilizzato al singolare
“Salomone seguì ‘Aštōreṯ, ’ĕlōhê (ebr. ֱא ֵ ֖הי,’ĕlōhîm di) Sidonî.” – I Melāḵîm 11:5.
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Vediamo un altro esempio:
“Ciò, perché i figli d’ Israele mi hanno abbandonato, si sono prostati davanti ad ‘Aštōreṯ, ’ĕlōhê (ebr.
ֱא ֵ ֣הי, ’ĕlōhîm di) Sidoni, Ḵemôš, ’ĕlōhê (ebr. ֱא ֵ ֣הי,’ĕlōhîm di) Moab, Miləkōm, ’ĕlōhê (ebr. ֱא ֵ ֣הי
Si citano dei nomi di ’ĕlōhîm dei popoli stranieri, i quali non erano trini, né plurali, ma singoli ’ĕlōhîm,
sia maschili che femminili, eppure tutti sono chiamati, individualmente, ’ĕlōhîm, la stessa parola
Nel corso dei secoli più volte gli israeliti caddero nell’idolatria servendo gli ’ĕlōhîm stranieri chiamati
“E di nuovo i figli di Israele fecero male agli occhi di Yhwh e servirono ha bbe‘ālîm (ebr. ַה ְבּ ָע ִל֣ים, i
(ebr. ֱא ֵ֨הי, ’ĕlōhîm di) Sidone e ’ĕlōhê (ebr. ֱא ֵ ֣הי, ’ĕlōhîm di) Moab e ’ĕlōhê (ebr. ֱא ֵ ֣הי,’ĕlōhîm di) figli
di Ammon e ’ĕlōhê (ebr. ֱא ֵ ֣הי,’ĕlōhîm di) Filistei; essi abbandonarono Yhwh e non lo servirono più”
– Šōpeṭîm 10:6.
Le espressioni “i bbe‘ālîm” (ha bbe‘ālîm) e “le ‘ašətārôṯ” (hā ‘ašətārôṯ) è il modo semitico dello
scrittore antico per indicare gli ’ĕlōhîm dei popoli stranieri o per indicare i vari ’ĕlōhîm in diverse
versioni:
“la bbə‘ālîm (ebr. ַל ְבּ ָע ִל֣ים, ai bbə‘ālîm) hanno sacrificato we la ppesilîm (ebr. ְו ַל ְפּ ִס ִל֖ים, e agli idoli)
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Con il passaggio al monoteismo giudaico, i bbe‘ālîm e le ‘ašətārôṯ furono considerati il simbolo dell’
idolatria dell' uomo verso i falsi ’ĕlōhîm. Il Baʻal e la ‘Aštōreṯ erano ’ĕlōhîm adorati in diverse versioni,
come ad esempio Baal-Shamîm ossia “Baal come re del cielo” adorato a Tiro, Baal di Pe‘or ossia
“signore del Monte Pe‘or”, Baal-Berîṯ, Baal-Ammon, Baal di Tarso, sono solo alcuni esempi di tali
Baal localizzati:
“Ma alla morte di Gedeone i figli d’ Israele si pervertirono e fornicarono dietro ha bbe‘ālîm (ebr.
ַה ְבּ ָע ִל֑ים, i bbe‘ālîm) e presero loro Ba‘al Berîṯ lē lōhîm (ebr. לֵא הִ ֽים, a ’ĕlōhîm) – Šōpeṭîm 8:33.
Per “le ‘ašətārôṯ”, troviamo meno indicazioni perché in generale l’’ĕlōhîm femminile era inclusa o
compresa nel maschio e l’ adorazione di quest’ ultima era accompagnata dalla prima. Con il termine
“Allora Ya‘ăqōḇ disse alla sua casata e a tutti coloro che erano con lui: rimuovete gli ’ĕlōhê (ebr.
ֱא ֵ ֤הי,’ĕlōhîm di) stranieri che sono in mezzo di voi… . E dettero a Ya‘ăqōḇ tutti gli ’ĕlōhê (ebr. ֱא ֵ ֤הי,
’ĕlōhîm di) stranieri che erano nelle loro mani e i pendenti che avevano alle loro orecchie…” – Berē’šîṯ
35:2,4.
La fede degli israeliti in un solo ’ĕlōhîm fu abbandonata e ritrovata più volte nel corso dei secoli e,
quando fu redatto il testo biblico era in un tempo in cui l’ aveva ritrovata; bisogna altresì dire che nel
Tanakh troviamo fossili di versetti di epoca antichissima, che portano a pensare ad un periodo in cui lo
yahwismo ebraico sarebbe stato una monolatria prima di diventare monoteismo. L’ ambiguità del
termine ’ĕlōhîm è il risultato di tali cambiamenti, ovvero la reinterpretazione della monolatria del
periodo antico al monoteismo della riforma deuteronomista del Re Giosia nel VII-VI secolo e.v, e
successivamente dal giudaismo rabbinico del II secolo a.e.v. Quando il narratore utilizza la parola
’ĕlōhîm riferito al potente di Israele costruisce sempre le frasi con verbi e aggettivi al singolare, se ne
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contano circa 2500. Tuttavia ci sono frasi costruite con verbi e aggettivi al plurale e in alcuni casi il
“Ed edificò (Ya‘ăqōḇ) là un altare e chiamò quel luogo ’Ēl di Bêṯ’־Ēl, poiché là si erano rivelati (ebr.
נִגְל֤ וּ, niḡəlû) a lui hā’ĕlōhîm (ebr. הָ ֽ ֱא ִ֔הים, hā’ĕlōhîm) quando fuggiva dalla presenza di suo fratello –
Berē’šîṯ 35:7.
Il verbo ebraico al plurale niḡəlû rende il termine ‘ĕlōhîm un plurale di eccellenza (pluralis
excellentiae), come a significare che “le pienezze della divinità” erano concentrate nell’ ‘ĕlōhîm di
Israele e non distribuite tra i vari ‘ĕlōhîm stranieri. Non di rado il nome ’ĕlōhîm è determinato
(hā’ĕlōhîm), per significare qualcosa come “l’ ‘ĕlōhîm per eccellenza” del Vicino Oriente antico:
Un altro pāsûq in cui compare il verbo al plurale è quando ’Aḇərāhām racconta l’uscita da Ur:
“E fu che quando ’ĕlōhîm (ebr. ֮ ֱא הִים,’ĕlōhîm) hiṯə‘û ’ōṯî (ebr. הִתְ עוּ א ֹ ִתי, fecero vagare me) dalla casa
Il verbo “fecero vagare” (ebr. hiṯə‘û ’ōṯî) è al plurale e rende il termine ’ĕlōhîm un pluralis excellentiae,
come per indicare che “le eccellenze della divinità” mi fecero vagare.
Nel successivo pāsûq il termine ’ĕlōhîm è costruito col plurale hāleḵū, “andarono”, portando il
“E chi è come il popolo tuo, come Israele? E quale nazione vi è sulla terra estesa per cui ’ĕlōhîm
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A liberare il popolo di Israele dalla schiavitù d’ Egitto fu Yhwh, e questo è ripetuto più volte nel
Tanakh; la parola ’ĕlōhîm assume il (pluralis excellentiae), come ad indicare “le pienezze della
divinità” e non per indicare un plurale numerico. Nella Scrittura ‘ĕlōhîm riferito al potente di Israele
presuppone sempre il monoteismo più assoluto. Uno degli argomenti che viene più utilizzato contro il
monoteismo assoluto è il titolo ’ĕlōhê hā’ĕlōhîm, titolo che la Bibbia a più riprese conferisce all’
‘ĕlōhîm di Israele. Le espressioni ’ĕlōhê hā’ĕlōhîm e ’ăḏōnê hā’ăḏōnîm è soltanto un assoluto in forma
di superlativo-relativo, cioè colui che è l’ ‘ĕlōhîm per eccellenza e il signore per eccellenza, dato che
gli altri ’ĕlōhîm non lo sono nel vero senso della parola:
“perché Yhwh vostro ‘ĕlōhîm è l’‘ĕlōhîm di ‘ĕlōhîm e signore di signori” (ebr. kî Yhwh ’ĕlōhêḵem hū’
Infatti una delle forme del superlativo ebraico consiste nel dire di una cosa che è, relativamente a una
seconda. Nella concezione ebraica il potente di Israele era la sintesi di tutte le verità parzialmente
rappresentate dalle potenze del paganesimo. Così è ad esempio per l’espressione, santo dei santi (ebr.
ק ֹ ֶדשׁ ַה ֳקּ ָדשִׁים, qōḏeš ha qqŏḏāšîm), per indicare ciò che è eminente in santità tra altre cose ritenute sante,
e cieli dei cieli (ebr. šemê ha ššāmāyim), con cui si vuol dire che ciò che per noi è il cielo è ancora
soltanto una sorta di mondo terrestre rispetto al cielo superiore. Nelle lingue semitiche vi è quello che
viene chiamato pluralis excellentiae (anche se alcuni lo negano ignorando la linguistica, è una forma
grammaticale comune a tutte le lingue semitiche sin dall’antico akkadico, e trasmessa anche all’arabo).
La categoria del pluralis excellentiae designa i nomi astratti, che hanno verbi e aggettivi al plurale. Un
altro esempio è quando il re Šā’ūl consulta l'evocatrice di En dor per evocare il profeta Šemû’ēl, egli è
chiamato ’ĕlōhîm e a questo è fatto seguire il verbo al plurale, “salenti” (ebr. ע ֹ ִל֥ים, ‘ōlîm):
“’ĕlōhîm vidi salenti dalla terra” (ebr. ’ĕlōhîm rā’îṯî ‘ōlîm min hā’āreṣ) – 1 Šemû’ēl 28:13.
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La Bibbia italiana traduce ’ĕlōhîm con “essere divino” e non si percepisce minimamente il plurale di
astrazione o indefinibilità, perché il verbo viene tradotto al singolare: “Vedo un ’ĕlōhîm (ebr. אלהים
,’ĕlōhîm) che sale dalla terra”. In quel caso il sostantivo ’ĕlōhîm è riferito ad un solo uomo ed è
abbinato un verbo al plurale, ne consegue che il verbo (ebr. ‘ōlîm) rende il sostantivo ’ĕlōhîm un
Se tutte le ricorrenze di ’ĕlōhîm fossero tradotte con “dio” anche gli umani godrebbero di questo titolo:
“Sarà lui (’Ahărōn) a parlare per te al popolo: egli sarà per te come bocca e tu per lui sarai lēʾlōhîm
Da ciò, Yhwh è si ’ĕlōhîm, in quanto legislatore, ma non può essere tradotto con “Dio” perché secondo
cananeo di Ugarit, costituite da ēl e dei suoi figli inferiori. La Scrittura descrive l’’ĕlōhîm degli israeliti
come un essere concreto, simile all’ uomo (antropomorfismo), ma solo per far capire un messaggio o
un insegnamento:
“Poi udirono il rumore dei passi di Yhwh ’ĕlōhîm nel giardino a rûaḥ del giorno” – Berē’šîṯ 3:8.
Bisogna anche dire che il termine greco theos ha le sue definizioni e dichiarare che l’’ĕlōhîm di Israele
riferimento al potente di Israele è sempre, in tutti i casi, singolare e non indica in alcun modo che possa
implicare o suggerire una pluralità. L’uso del verbo al plurale, nelle pochissime volte, è in stato
coortativo o in plurale di astrazione. Così lo determinano i narratori biblici e tutti gli studiosi della
lingua ebraica, ebrei e non ebrei. Chiunque abbia dei dubbi può consultare le opere di Rabbi Saadia
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Gaon, David Kimhi, Abraham Ibn Ezra, Yehuda ben David Hayyukh (ebrei) e di John Reuchlin,
Wilhelm Gesenius, Paul Joon, Rudolf Meyer ed altri studiosi (non ebrei).
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