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L'ALBERO DELLA VITA di Sergio Magaldi

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L'ALBERO E L'UOMO
L’analogia di albero e uomo è presente nel Pentateuco [ “L’uomo è come l’albero
del campo”, Deuter. XX,19 ] e trova nel Timeo platonico la sua elaborazione
concettuale:
“E della specie più alta dell'anima umana che abita nella sommità del nostro
corpo, convien pensare che Dio l'abbia data a ciascuno come un genio tutelare, e
che essa ci sollevi da terra alla nostra parentela del cielo, come alberi non terreni
ma celesti: e questo noi diciamo molto rettamente. Perché, sospendendo il capo
e la radice nostra a quel luogo, donde l'anima trasse la sua prima origine, il nume
erige tutto il nostro corpo. Quello dunque che s'abbandona alle passioni e alle
contese e molto vi si travaglia, di necessità non concepisce se non opinioni
mortali e proprio niente trascura per divenire, quanto si può, mortale, perché
accresce la parte mortale: quello invece che si è applicato allo studio della
scienza e alla ricerca della verità ed ha specialmente esercitato questa parte di se
stesso, se raggiunge la verità allora è del tutto necessario che abbia pensieri
immortali e divini [...] per quanto la natura umana possa partecipare
dell'immortalità...” (Platone: Timeo, 90a-c).
A Platone fa eco il famoso Rabbi Lev [Il Maharal di Praga, Yehudà Lev Ben
Bechamel, cui fu attribuita la creazione del Golem] : “…ma è un albero capovolto,
perché l’albero ha la radice in basso infissa nella terra, mentre l’uomo ha la
radice in alto perché la sua radice è l’anima che è di origine celeste…”.
Se l’albero è l’uomo, un po’ in tutte le tradizioni, l’albero della vita, nella
tradizione ebraica, è paragonato ad una colonna [ Etz, albero x u 160 = 7,
Ammud, Colonna d w m u 120=3, 7+3 = 10] e dunque per ghematria (1)
all’albero delle Sephiroth (2).
La colonna è come il giusto (Sepher Bahir), tale colonna sostiene il mondo intero
e il giusto è il fondamento del mondo (Prov. 10, 25).
Joseph Gikatilla (1248-1325 circa), sefardita castigliano e discepolo di Abulafia,
ricorda che a fianco di Yesod, colonna del mondo, sono Hod e Netzâ. Per Mosé de
Leon [presunto autore dello Zohar, tra il 1280 e il 1285] la colonna è come il Sole
[cioè Thiphereth, la colonna di mezzo], e rappresenta il patto santo attraverso
cui l'energia di Thiphereth si diffonde in Malcouth tramite Yesod.
Nel Chassidismo l'ascesa messianica cessa di essere la duplice aspettativa
(regale e/o spirituale) e si identifica in Baal Scem Tov con l'ascesa di mondo in
mondo lungo la colonna di mezzo [menzionata anche in Liqquté Amarìm I, 39]
per acquisire nuove conoscenze e una nuova coscienza.
La nuova consapevolezza, rispetto all'attesa messianica, è che non si tratta più di
attendere la venuta di un messia, ma della possibilità che tutti siano in grado di
compiere l'ascesa lungo la colonna (o spina dorsale), attraverso gli Heikhaloth [I
palazzi della tradizione ebraica, assimilabili ai Chakras della tradizione
orientale]. Occorre tuttavia badare a non cadere nel peccato di idolatria
divinizzando l'albero, la colonna di mezzo, quella del mondo, il serpente, il sole,
la figura di un messia etc...

IL GIARDINO E L'EDEN
Il Gan (n g =53 = 8) Eden ( g d u =124 = 7, come Etz albero), il giardino di Eden, è
un luogo di delizie (124+53=177=15 = 6) ed equivale alla sesta Sephirâ,
Thiphereth, la colonna di mezzo, ma il giardino, come si ricorda in Aesh
Mezareph, ha una etimologia che si lega al fiume Giordano: Yar Din, il Giordano,
cioè il fiume del giudizio g y d r y 50+10+4+200+10=274=13=4, il numero del
quaternario. Qui, il serpente non ancora striscia, non ancora è nella forma che
prenderà dopo la cacciata dal Gan Eden di Adamo ed Eva (Genesi, 3, 14). La sua
presenza è spiegata dalla tradizione nel senso che, benché Adamo ed Eva
avessero l'obbligo di custodire il giardino, non avevano quello di restarvi
entrambi, perché era luogo di privilegio e non un carcere. Quindi Eva, avendo
lasciato Adamo a custodire il giardino, poté uscirne fuori e incontrare il serpente
tentatore, permettendogli poi di entrare nel giardino che Dio aveva creato per
l'uomo. Eva avrebbe dunque già peccato, prima ancora di assaggiare il frutto
proibito, perché l'obbligo di custodire il giardino implicava forse che non vi si
facessero entrare estranei, e il serpente doveva essere un estraneo. Oppure il
serpente si trovava già nel giardino?
Nel 1°giorno Dio crea la luce, nel 2°separa le acque, nel 3° crea la vegetazione,
nel 4° i luminari, nel 5° gli animali dell'aria e dell'acqua, nel 6° prima gli animali
terrestri, poi l'uomo a propria immagine e somiglianza. Anche volendo
considerare questo I Capitolo del Genesi come la summa di tutto ciò che viene
detto dopo, per ciò che riguarda la presenza del serpente nel giardino occorre
considerare quel che è detto nel versetto II, 19, e cioè che (dopo aver posto
l’uomo nel giardino di Eden) Dio presentò tutti gli animali ad Adamo perché li
nominasse, dunque anche il serpente. Solo più tardi, apparve Eva. Quindi non
solo il serpente, ma ogni altro animale aveva accesso al giardino dell'Eden per
volontà stessa di Dio oppure la presentazione degli animali ad Adamo è
avvenuta nel giardino, ma fuori dell’Eden.
C'è infatti da osservare che nel Genesi, giardino ed Eden sembrano cose distinte:
piantò un giardino in Eden, è detto, mentre altre volte il Gan Eden diventa il
Giardino delle delizie. Sembra però prevalente la distinzione. E che siano distinti
non c’è dubbio: lo sostiene innanzi tutto la Mishnah che com’è noto è la Torah
orale. In Berachot, 34b è detto esplicitamente: “Potreste dire forse che Giardino
ed Eden sono la stessa cosa, per questa ragione un testo insegna: ‘un fiume
usciva da Eden per innaffiare il giardino (Genesi, 11, 10)’. Eden e giardino sono
quindi due cose distinte”.
Anche nella letteratura midrashica Eden e giardino sono distinti. Il giardino di
Eden è un luogo chiuso circondato dai divini Palazzi che si trovano in Eden.
Inoltre, in Genesi II, 10 è detto che dall'Eden usciva un fiume che irrigava il
giardino (le 10 Sephiroth) e di lì si divideva in quattro rami [Sapienza,
Intelligenza, Grandezza (Ghedullah, altro attributo di H’ésed Clemenza o Grazia)
e Potenza (Guebourâ che è anche Din, Giudizio e Pachad, Terrore), oppure il
fiume che esce da Eden indica il canale che da Kether giunge a Thiphereth per
irrigare il fondamento (Yesod) assieme a Netzâ, Hod e Malcouth i 4 rami ].
In Zohar I, 247b, Eden è Kether: “quando tutto è unito, un diletto si diffonde in
alto come in basso e diviene un fiume che si effonde per 4 rami uscendo da
Eden”. I rami sono le Sephiroth in analogia con la Tetractis egizio-pitagorica

. 1° Sephirâ

.. 2° e 3° Sephirâ

... 4°, 5° e 6° Sephirâ

.... 7°, 8°, 9° e 10° Sephirâ


e può esservi riferimento anche alle 4 lettere del Nome (Tetragramma),
escludendo la Sephirâ Kether che può essere soltanto vagheggiata

y 2° H'ocmâ

h 3° Binâ

4° 5° e 6° H'esed , Guebourâ e
w
Thiphereth

7°, 8°, 9° e 10° Netzâ, Hod, Yesod e


h
Malcouth

anche se la distinzione tra le 7 Sephiroth cosiddette emotive è puramente


metodologica.
L’ALBERO E IL SERPENTE
C’è un'altra possibilità per spiegare la presenza del serpente nel giardino. Rabbi
Lev, il creatore del Golem, in Sepher Netivot Olam (Il libro delle vie del mondo)
sostiene la parentela tra l'uomo e il serpente, che era, tra l'altro, il re degli
animali e che non avrebbe altrimenti potuto accompagnarsi con lui e tentarlo.
Questa parentela non risiede per caso nella spina dorsale? Secondo una leggenda
talmudica, alla morte di un uomo, dalla sua spina dorsale nasce un serpente. La
ghematria di Nachash, c j n (300+8+50)=358=7, [stesso numero minore di Eden:
Ayin-Daleth-Nun=70+4+50=124=7] è la stessa di Mashiach, messia j y c m
(8+10+300+40)=358=7 e di Choshen, pettorale n c j (50+300+8)=358=7. Il
messia può essere scudo e salvezza oppure divenire un astuto tentatore. Il
serpente, come strumento di Samaele (diavolo) che lo cavalca, è in realtà un
cammello assai prezioso nel deserto.
In Genesi Rabbah (XX,2) si fa notare che dopo che Adamo ed Eva ebbero
mangiato, Dio discute con loro, ma non col serpente che viene immediatamente
condannato (Genesi, 3, 14), perché parlare con lui è inutile, egli è astuto ed
avrebbe sostenuto che così come Dio aveva dato un ordine, lui aveva suggerito
un'altra scelta. Non si deve parlare con lui perché è un incantatore: di qui la
tradizione cristiana che identifica i suoi incantesimi verbali con quelli del
demonio: "Sì... sì... no... no, il resto è del maligno".

L'astuto serpente aveva sopraffatto Eva, è detto in Genesi Rabbah XIX, 4, facendo
insinuazioni sul suo Creatore e affermando: “Dio ha mangiato di quest'albero e
poi ha creato il mondo, per questo vi ha detto di non cibarvene, perché non
possiate creare altri mondi... e divenire come lui".
L’ALBERO DELLA VITA E L’ALBERO DELLA CONOSCENZA DEL BENE E DEL
MALE
Tra i tanti alberi, nel giardino c'è l'Albero della vita e l'Albero della conoscenza
del bene e del male. Gli studiosi della Torah s'interrogarono a lungo su che
Albero fosse quello della conoscenza e dunque sul frutto che il serpente dette ad
Eva ed Eva ad Adamo. Furono sempre indecisi tra quattro frutti: il grano, l’uva, il
cedro e il fico.
Alcuni dissero: “è il grano”, altri risposero: “anche se la conoscenza ci viene dal
grano, è scritto albero e non esiste un albero del grano”. Rabbi Jehudah b. Ilaj
disse che era uva perché in Deuteronomio è scritto: “la loro uva è uva velenosa
ed i grappoli sono grappoli amari”. Quell’uva, infatti, fu amara al mondo esiliato
da Dio. Qualcuno si alzò e disse: “non è l’uva perché da lei viene il vino che è il
simbolo della vera conoscenza della Torah e della sua dolcezza. E la vite da cui
l’uva viene è come Israele che si appoggia alla Torah”.
Rabbi Abbà di Akko disse: “era un cedro, come sta scritto in Genesi: la donna
vide che era buono l’albero da mangiarsi”. E spiegò: “l’unico albero che si mangia
come il frutto è il cedro, non ci nutriamo forse dei suoi germogli freschi?”.
“No – disse Rabbi José – è il fico”. E chiarì prima i motivi per cui non era il cedro.
Il cedro è un albero di bell’aspetto: Perì ’Etz Hadar, simbolo di forza, di bellezza e
di sapienza e Dio stesso chiama Casa di cedro il Tempio di Salomone. Il cedro è
anche simbolo di Abramo, del Sinedrio, del popolo ebraico, del cuore dell’uomo.
Il frutto del cedro fa parte del Lulav per la mitzwah di Sukkoth o festa delle
Capanne. E dunque non può essere il cedro.
“L’albero della conoscenza del bene e del male – aveva concluso Rabbi José – è
dunque il fico, perché fu l’unico albero ad accogliere Adamo ed Eva dopo il
peccato; cioè, l’albero di cui mangiarono il frutto che provocò la malattia, fu
anche l’unico ad offrire le foglie del farmaco temporaneo”.
Ma anche Rabbi José trovò i suoi oppositori e qualcuno disse che non era il fico, il
frutto della caduta, perché il fico è come la Torah. L’albero del fico ha radici
morbide e che, tuttavia, s’infiltrano anche nella roccia più dura, proprio come la
Torah. E questo è un albero i cui frutti si raccolgono un po’ per volta, come solo
un po’ alla volta è possibile studiare la Torah. E come il fico è un albero che fin
tanto che lo frughi trovi frutti, così è la Torah che più si studia, più se ne
traggono insegnamenti. E insomma il vero frutto dell’albero della conoscenza
non fu mai trovato.
Esaminiamo Genesi, II, 8: “E il Signore Dio piantò un giardino in Eden [Gan
Eden= 53+124=177=15=6; cioè Thiphereth, la colonna di mezzo] a oriente, e vi
pose l’uomo che aveva formato, 9: E il Signore Dio fece spuntare dal suolo tutti
gli alberi belli a vedersi, dai frutti soavi al gusto. Fece crescere Etz Chayyim gan
betrok (l'albero della vita entro o in mezzo al giardino) e l'albero della
conoscenza del bene e del male” [Etz Daat t u d x u è 160+474=634=13=4 come
Amud Hashidrah colonna vertebrale h r d c h d w m u e come Yar-din, il fiume
del giudizio, il quaternario. Diverso invece il valore dell’albero della vita: Etz
Chayyim j y y j x u 160+8+10+10+40=228=12=3. I due alberi sono dunque
distinti anche nel loro minore valore numerico, ma l’unità dei due alberi [la loro
somma e la loro moltiplicazione] fa scomparire nuovamente il valore dell’albero
della conoscenza. La loro somma produce il 7 e la loro moltiplicazione
nuovamente il 3, il valore dell’albero della vita].
Così continua Genesi II, 10: “Dall’Eden sgorgava ad irrigare il paradiso, un fiume
che dal paradiso si sprigionava in 4 fiumi diversi II, 15: Il Signore Dio perciò
prese l'uomo e lo pose ad abitare nel giardino di Eden affinché lo coltivasse e lo
custodisse, 16: Gli diede questo comandamento: ‘mangia pure di ogni albero del
giardino 17: ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne
mangiare, perché nel giorno in cui ne avrai mangiato certamente morirai’, III, 1 Il
serpente [...] disse alla donna: ‘Perché Dio vi ha comandato di non mangiare del
frutto di tutte le piante del giardino?’ 2-3: la donna disse al serpente: ‘Dei frutti
di qualunque albero del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto
dell'albero che si trova “betrok gan”, (entro o in mezzo al giardino), Dio ha detto:
‘Non ne mangiate, anzi non lo toccate altrimenti morirete’, 4-5: ma il serpente
disse alla donna: ‘No, voi non morrete. Anzi, Dio sa bene che in qualunque giorno
ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come lui, conoscitori del bene e
del male’. Dopo di che (III,6) la donna tocca e mangia e ne dà ad Adamo.”.
Che si tratti di un solo albero e viceversa di due luoghi distinti (Eden e giardino)
non c’è dubbio. La stessa Eva, nel rispondere al serpente, non nomina l'albero
della vita né lo distingue da quello della conoscenza, ma chiarisce al serpente che
l'albero di cui è proibito toccare e mangiare i frutti è quello che si trova in mezzo
o per entro il giardino. Esattamente quel che è detto con quel Etz Chayyim gan
betrok (l’albero della vita che sta in mezzo o entro) del versetto II, 9.
L'albero della vita distinto da quello della conoscenza si trova menzionato solo
nel versetto II, 9 del racconto biblico e lo incontreremo nuovamente solo alla
fine della vicenda, quando Adamo ed Eva avranno già consumato il frutto.
D'altra parte e ancora, se gli alberi fossero stati due e i frutti dell'albero della vita
non fossero stati proibiti, l'uomo avrebbe potuto mangiarne e rendersi
immortale prima ancora di assaggiare i frutti dell'albero della conoscenza. E se
erano proibiti anche i frutti dell'albero della vita, allora gli alberi da cui era
vietato mangiare sarebbero stati due e non uno soltanto come si ribadisce più
volte.
Si deduce da tutto ciò: in mezzo o entro l’Eden c'è un giardino irrigato (Fiume del
Giudizio) in cui solo Adamo ed Eva possono entrare e che hanno il dovere di
custodire. Come abbiamo già visto questo giardino è un luogo chiuso, circondato
dai Palazzi divini che si trovano al centro del Gan Eden. Per entro (be-trok) il
giardino in realtà si trova un solo Albero, l'albero della vita che per tutti gli
uomini diviene albero della conoscenza del bene e del male, allorché Adamo ed
Eva lo toccano e ne mangiano il frutto proibito. Questa stessa interpretazione si
trova nel Chassidismo: "Il primo uomo peccò a causa dell'albero della
conoscenza e introdusse una divisione tra tale albero e quello della vita" osserva
Baal Shem Tov.
In altri termini, l'albero della conoscenza sta all'albero della vita, come l’occulta
e misteriosa Daat, che peraltro non è una Sephirâ, sta all'albero delle Sephiroth.
E Daat non è una Sephirâ perché in origine non appartiene all'Albero,
analogamente la conoscenza diventa un progetto umano ma non è parte
originaria del progetto divino.
Del resto, “il segreto dell'albero della vita collegato a quello della conoscenza”,
come in Sha 'aré Orah (le Porte della Luce) afferma Joseph Gikatila, è ben noto ai
cabalisti prima ancora dei Chassidim.
Già l'autore del Sepher ha-Bahir (Il libro fulgido, 1150 circa) si mostra convinto
che non ci sia che un solo albero. Qui è Dio a parlare in veste di agricoltore
archetipico (22, 14b): "Io sono colui che ha piantato quest'albero...tutto ho
fissato in esso e l'ho chiamato Totalità, giacché da esso tutto dipende e da esso
tutto deriva".
Cos'è quest'albero? Lo dice ancora il Sepher ha-Bahir (119 e/o 85): "le forze del
Santo, benedetto egli sia, sono poste una dentro l'altra e assomigliano a un
albero. Come l'albero dà frutti grazie all'acqua, così il Santo, benedetto egli sia,
accresce le forze dell'albero per mezzo dell'acqua [...] Grazie a cosa sgorgano le
acque? Grazie [...] alla Shekinah..."
E c'è di più: le acque benché distinte in superiori e inferiori provengono
entrambe da un solo albero che è l'albero della vita. Com'è detto in Tiqqune ha-
Zohar (Gli ornamenti dello splendore) degli inizi del 1300: "Invero le pietre di
marmo puro sono le due yud, comprese nell'Alef a l'una superna e l'altra
inferiore, e perciò non vi è impurità [...] né (vera e propria) distinzione tra acqua
e acqua, poiché tutto è unito assieme e proviene dall'albero della vita che è la
Waw posta al centro dell'Alef".

E in Zohar (II, 84b) è detto che queste due Yud sono le stesse due gocce di Tal,
rugiada l f che il signore rese solide come pietre preziose e con un soffio appiattì
per farne le tavole della Legge.
Nella Qabbalah luriana, la sostanziale unicità dell'albero è sostenuta
esplicitamente. Vital, il più famoso dei discepoli di Itzach Luria, in Etz Chayyim,
L'albero della vita, assegna per entro l'albero delle Sephiroth, la destra all'albero
della vita e la sinistra all'albero della conoscenza, il cui frutto fu mangiato da
Adamo ed Eva. E ciò trova conferma anche in Zohar (I, 36a) dove è detto che nel
giardino di Eden, Eva avrebbe pigiato grappoli d'uva per darli poi ad Adamo e
poco dopo (I,73a) è detto che Noé si sarebbe ubriacato di quel vino non per
ripetere il peccato di Adamo ma per desiderio di conoscenza, cioè "per
investigare sul peccato che era stato del primo uomo; non quindi per aderire ad
esso ma per averne conoscenza e restaurare il mondo. Ma non vi riuscì. Pigiò i
grappoli per esaminare quella vite ma quando giunse a quel punto si ubriacò e si
scoperse..."
Il senso occulto dell'ubriachezza di Noé è appunto da ricercare nel tentativo di
entrare nello stesso stato di coscienza di Adamo, ma ancora una volta la bevanda
della conoscenza si rivela troppo forte per i limiti umani. Tutto il segreto di Noè,
del resto, sembra riassumersi in tre versetti, Genesi 9:20-22, in cui è detto che
Noè, uomo di terra, piantò una vigna e che bevuto del vino si ubriacò e si scoprì
all’interno della sua tenda mentre Cam, suo figlio e padre di Canaan, vide la sua
nudità.
Su questo episodio mi sembra assai illuminante l’interpretazione proposta nel
Sepher-ha Zohar. Qui, si comincia col discutere tra due personaggi, Rabbi Juda e
Rabbi Yossi, circa l’origine di questa vigna. Rabbi Juda sostiene che la vigna
facesse parte, una volta, del giardino dell’Eden e che da questo ne fosse stata
scacciata, mentre Rabbi Yossi sostiene che la vigna si trovasse sulla terra prima
del diluvio e che Noè l’avesse sradicata per poi ripiantarla.
Ora, è abbastanza evidente che nella tesi di Rabbi Juda si parli della vigna come
se si parlasse di Adamo ed Eva, altrimenti come si potrebbe scacciare una vigna?
Quanto alla tesi di Rabbi Yossi, se è vero che è possibile sradicare le viti di una
vigna per ripiantarle, appare ben difficile poterlo fare quando sia trascorso un
anno, cioè più o meno il tempo in cui Noè rimase nell’arca. Allora qui
cominciamo a sospettare che si tratti di una vigna speciale.
C’è di più: nel giardino di Eden, da cui la vigna proverrebbe, secondo rabbi Juda,
sappiamo esserci un fiume che serve ad abbeverare il giardino (Genesi 2,10), ed
è grazie a questo fiume che ogni cosa nasce. Nel significato cabalistico dello
Zohar, il giardino è la Sephirâ Malcouth, che significa Regno o Terra, mentre il
fiume è la Sephirâ Yesod che significa Fondamento. Il sospetto che non di una
comune vigna si tratti ci viene anche dall’osservazione che il versetto 9,20 del
Genesi, in cui si dice che “Noè iniziò a piantare una vigna”, prosegua col versetto
9,21 in cui si dichiara che Noè bevve il vino. Sembrerebbe che Noè non abbia
quasi da aspettare tra il piantare e il bere, ma la cosa più interessante è il
commento di Rabbi Simeone nel già citato passo dello Zohar:
“In questo versetto (Genesi 9,21) si trova uno dei segreti relativi alla Saggezza.
Quando Noè si propose di indagare sull’errore del primo uomo, non certo
nell’intenzione di ripetere lo stesso errore, ma, al contrario, al fine di liberarne il
mondo, egli non ci riuscì subito, allora schiacciò i chicchi d’uva per proseguire la
sua ricerca sulla vigna. Ma, non appena raggiunto questo scopo, si ritrovò nudo e
ubriaco” (Sepher-ha Zohar, 73a-b. )
Insomma, apprendiamo che Noè piantò la vigna per indagare sull’errore di
Adamo. E semmai ci siano ancora dubbi che si stia parlando di una vigna e di un
vino speciali, conviene ascoltare ancora Rabbi Simeone: “Accadde qui come per i
figli di Aronne che, noi lo sappiamo, bevvero vino sul monte Sinai. Chi offrì loro
del vino in un tal luogo perché ne bevessero? Se ti passa per la mente che essi
ebbero voglia di ubriacarsi di vino in un luogo simile, disingannati! Per la verità
fu del vino di Noè che essi si ubriacarono” (Ibid.)
Perché Dio mette Adamo ed Eva, e soltanto loro, be-trok (entro) il giardino che si
trova in Eden e li sottopone al giudizio, mettendoli alla prova? Saggiare l'uomo
non è capriccio divino, sostengono i cabbalisti, ma serve a rendere l'uomo
migliore e nel tempo stesso a renderlo libero. E' a tal fine che Dio si serve di
Satana (Nun-Teth-Shin =359) e del suo cammello, poi divenuto serpente. Ma,
attenzione, perché le minori ghematrie di Satana sono il 17 (3+5+9), cioè Tov,
buono, e il numero 8 (7+1) che rappresenta l’abbandono delle catene temporali
e il dominio dell’Assoluto. Padroneggiare la tentazione del Satan è dunque il solo
mezzo per acquisire la bontà e l’Assoluto. Sia il Sepher bahir sia i testi del
Chassidismo sottolineano la necessità di questa prova su cui si basa il timor di
Dio, l'osservanza della Legge e la libertà consapevole. In Esodo, per esempio, il
peccato di Adamo è nuovamente richiamato, allorché è detto (15,23-25):
"Giunsero a Marah ma non poterono bere l'acqua perché era amara. Il popolo
mormorò contro Mosé dicendo: 'Che berremo?'. Allora Mosé gridò al Signore e il
Signore gli mostrò un legno. Mosé lo gettò nell'acqua e l'acqua divenne dolce".
Allorché il popolo accusa Mosé è presente Satana che viene per tenere lontano
l'uomo dall'Albero della vita. Egli istiga Israele a bere acqua amara, altrimenti
tutti morranno, perché nel deserto non si trova altra acqua. Ma il Signore ascolta
l'invocazione di Mosé e gli mostra un legno che muterà la natura della stessa
acqua. Quel legno altro non è che l'albero della vita che in origine circondava le
acque [si trovava nel Yar Din, il Giordano, il fiume del giudizio].
Ancora una volta sembra essere l'impazienza la causa della caduta. Se non fosse
per Mosé, il popolo berrebbe senza attendere la trasformazione delle acque. E fu
l'impazienza – osserva Gikatilla – a causare la caduta di Adamo, il suo non aver
saputo attendere che il frutto dell'albero fosse maturo, prima di cibarsene.
Fu dunque l'impazienza a perdere il genere umano precipitandolo nel regno
della vita e della morte. Il frutto dell'albero della vita si mutò così nel frutto
dell'albero della conoscenza del bene e del male. Scrive Gikatila in Cha 'aré Orah
(Le Porte della Luce): "Il serpente primordiale...inflisse un danno alla luna (la
Sephirâ Malcouth) per via del primo uomo, il quale...non attese che (il serpente)
mangiasse la propria parte...nel qual caso l'albero sarebbe stato chiamato del
bene e non del male e lui avrebbe potuto mangiarne tanto quanto ne
desiderasse: ne avrebbe mangiato e avrebbe vissuto per sempre (Genesi, 3:22),
secondo il segreto dell'albero della vita collegato a quello della conoscenza..." (f.
105a).
Scrive ancora Gikatilla in Sod ha - Nahach (Il Segreto del Serpente): "... E' per
questo motivo che Dio comanda al primo uomo di non toccare l'albero della
conoscenza, fin quando il bene e il male fossero stati associati, sebbene l'uno
fosse all'interno e l'altro all'esterno. Occorreva attendere che ne fosse staccato il
prepuzio, com'è detto: tratterete i loro frutti come prepuzio (Levitico,19:23), ora
è scritto: prese del suo frutto e ne mangiò (Genesi,3:6). Introdusse un idolo nel
Palazzo (T.B. Ta'anit 28b) e l'impurità penetrò all'interno." (f. 276a-b).
Il prepuzio è la scorza dura, assimilabile alla terra (Adamah) di cui è fatto
Adamo. Solo quando la scorza fosse caduta, il frutto, ormai maturo, avrebbe
potuto essere mangiato e la terra di Adamo si sarebbe mutata nell'oro dello
spirito.
E veniamo ora al secondo atto del mito cosmogonico. Allorché il Signore nomina
nuovamente l'albero della vita e si decide la sorte di Adamo ed Eva (III, 21-24):
"Il Signore Dio fece ad Adamo e ad Eva una tunica di pelle e li vestì, poi disse:
'Ecco Adamo è diventato come uno di noi (angeli), conoscitore del bene e del
male! Badiamo ora che non stenda la mano e prenda anche dell'albero della vita,
per mangiare e vivere in eterno'. Quindi Dio lo cacciò via dal Gan Eden perché
coltivasse la terra da cui era stato tratto. Scacciato Adamo, collocò a oriente del
Gan Eden Cherubini che roteavano la spada fiammeggiante per custodire la via
che portava all'albero della vita, ".
Questi versetti starebbero appunto a dimostrare, secondo alcuni, l'esistenza di
due distinti alberi. Quel che c’è di vero è invece che dell'albero della conoscenza
d’ora in avanti non si parlerà più. Perché Dio se ne disinteressa? Perché l'uomo è
ormai carne, e dunque è già nel regno della conoscenza del bene e del male?
Certo, ma più semplicemente perché un albero della conoscenza distinto
dall'albero della vita non c'è mai stato. Dio lo ha fatto credere all'uomo per
saggiarlo, per metterlo alla prova, ma nel momento in cui l'uomo ha peccato di
ubris, ha voluto cioè rendersi come Dio, anche l'illusione è scomparsa. Sin dal
primo momento non c'è stato che un solo albero, come ha ben visto Tiziano nella
sua tela ad olio dove l'albero, il cui frutto Eva riceve in dono dal serpente,
costituisce l'asse centrale che divide la composizione, creando l'effetto che ciò
che è UNO venga visto come duplice.
Ancora una volta il Sepher ha-Bahir c'illumina sull’intera questione (97-8 e/o
66-7). Ci sono 32 sentieri che l'uomo deve percorrere per giungere in cima
all'albero della vita, l'albero che, con i suoi sentieri, è una metafora del corpo
umano. Cosa è in realtà accaduto nel momento in cui l'uomo, preso da
impazienza e dal desiderio di essere come Dio, ha mangiato del frutto proibito?
Da quel momento l'uomo è entrato nel tempo, nella condizione umana attuale,
tant'è che il Signore lo riveste con una tunica di pelle ed egli non può più cibarsi,
al pari di tutti gli animali, degli effluvi e dei sapori della vegetazione (Genesi, I,
29-30). Ora l'uomo è carne che cerca carne e in quanto tale non potrà più godere
di immortalità. C'è ancora una possibilità, perché il germe della vita immortale è
ancora dentro di lui, ma egli deve fare i conti con i cherubini armati della spada
fiammeggiante per poter entrare nei sentieri e compiere l'ascesa lungo la
colonna-albero.
L’uomo deve iniziarsi, cioè percorrere il cammino all'inverso per tornare alla
condizione originaria, per realizzare il Tiqqun, la restaurazione. Ma, soprattutto,
non deve essere impaziente e deve accettare la morte fisica. In proposito si
osserva in Zohar (I, 130b): "Al tempo in cui il Santo, benedetto egli sia,
risusciterà i morti, Egli farà scendere su di loro una rugiada dal suo capo, grazie
alla quale tutti si leveranno dalla terra (...) una rugiada di luce nel senso proprio
del termine, composta cioè da fiamme superne, attraverso la quale Egli
infonderà vita nel mondo, poiché l'albero della vita trasmette ai mondi una linfa
vitale che mai non cessa".
Del resto, l'uomo può in ogni momento tornare a compiere il peccato di Adamo,
come abbiamo visto accadere ingenuamente a Noé. Reso presuntuoso dalla
conoscenza, consapevole della linfa vitale che dall'albero si trasmette in basso,
egli ancora una volta impaziente, avrà l’illusione di vincere la guardia dei
cherubini per cibarsi della linfa contenuta nei frutti, ma ciò che otterrà, credendo
di aver eluso la sorveglianza dei cherubini, sarà una ubriacatura simile a quella
di Noé.
In conclusione sarà bene porci una domanda. Quale l'insegnamento più
importante che si ricava dal più intrigante e complesso dei miti cosmogonici
dell'Occidente? Il mito ci intrattiene sul mistero dei misteri, il mistero
dell'incarnazione, di cui ci spiega tutto o quasi tutto. Ma questo mistero, a
pensarci bene, non è altro che il segreto della vita. Intendere questo segreto non
è di poco conto, ma pretendere con ciò di divinizzare l'albero, significa fare
idolatria, peccare di ubris.
Il mito insegna che dal momento in cui nasciamo, la nostra condizione è mortale
e che la nostra unica speranza non consiste nel convincere i cherubini con la
spada fiammeggiante a lasciarci passare per poterci procurare l'antitodo contro
la morte, quanto semmai nel mostrare che siamo davvero “rettificati” e degni di
riprendere il nostro posto nel giardino di Eden.
NOTE:
1. S’intende con ghematria il valore numerico e insieme concettuale dato dai
cabbalisti a una singola parola o a un’intera frase in virtù del corrispondente
valore di ogni lettera dell’alfabeto ebraico
2. Nella tradizione cabalistica, le Sephiroth sono i numeri primordiali della
creazione, ‘luci’ o ‘forme pure’ del molteplice. Sono 10 e si possono disporre sui tre
pilastri dell’Albero della Vita. Ad ogni Sephirâ è attribuito un nome e un numero.
Alla colonna centrale appartengono: 1 Kether Corona o Altezza Superiore, 6
Thiphereth Armonia, Bellezza o Compassione, 9 Yesod Fondamento, Generazione o
Alleanza, 10 Malcouth Regno o Esilio. Alla colonna di destra: 2 H'ocmâ Sapienza o
Principio, 4 H'esed Grazia o Misericordia, 7 Netzâ Eternità o Vittoria. Alla colonna
di sinistra: 3 Binâ Intelligenza o Ritorno, 5 Guebourâ Potenza o Giudizio, 8 Hod
Gloria o Splendore.

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