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I paesi africani dove viene parlata la lingua portoghese sono 5: Angola, Capo Verde, Giunea
Bissau, Mozambique, Sao Tomè e Prìncipe. Vengono generalmente denominati con una sigla
comune “PALOP” (Paises Africanos de Lingua Oficial Portuguesa). “Letteratura Africana di
Lingua Portoghese” è la definizione generica che oggi utilizziamo per riferirci alla letteratura che
viene prodotta in questi 5 paesi africani, quindi per riferirci alle 5 letterature. Questa definizione ha
fatto discutere molti critici e letterati e ancora oggi manca un vero consenso comune. Oggi abbiamo
una grande varietà terminologica per riferirci a queste letterature: alcuni critici parlano di
“letterature africane di espressione portoghese”; altri di “letterature delle nazioni africane di lingua
portoghese”; chi poi di “letterature dell'Africa lusofona”.
“Letteratura africana di lingua portoghese” è la definizione meno marcata ideologicamente ed è
anche preferita dagli stessi scrittori africani poiché è la più neutra e meno colonialista siccome
rispetta la realtà in modo oggettivo.
Questa letteratura può essere considerata l'evoluzione e il risultato finale di una situazione storica
che cominciò a crearsi nel XV sec., quando i portoghesi intrapresero la rotta per l'Africa e i viaggi
di scoperta. Il primo continente che incontrarono fu l'Africa, successivamente l'Asia e, nel 1500, il
Sud America (Brasile). Sono letterature molto recenti che hanno una radice lontana legata alla
scoperta di questi paesi.
Fino agli inizi del 1800, la colonizzazione, la presenza effettiva dei portoghesi in Africa era limitata
alla fascia costiera per 3 principali motivi:
1) l'Africa era utilizzata dai portoghesi soprattutto come punto di passaggio, di appoggio, per
raggiungere l'Asia. Si fermavano in Africa il tempo necessario per rifornimenti e carico
merci per poi partire per l'Asia. Infatti l'Africa, dal punto di vista di risorse naturali, era
molto poco interessante per i portoghesi che piuttosto la usavano come serbatoio di schiavi;
2) Difficoltà geografiche e climatiche;
3) Resistenza dimostrata nei confronti dei portoghesi da parte dei locali, per molto tempo ostili,
per cui i portoghesi non erano propensi ad inoltrarsi nelle terre.
Nell'800 avviene un forte cambiamento nella politica coloniale portoghese, l'Africa, da serbatoio di
schiavi e punto di appoggio, diventa una vera e propria colonia. La causa di questo cambiamento
interessò tutta l'Europa: inizia il periodo delle grandi colonizzazioni. L'Africa è un grande
continente che può venir spartito, così le potenti nazioni europee entrarono in forte concorrenza per
riuscire ad accaparrarsi più territori africani possibili o i migliori.
Uno dei momenti più decisivi in questa corsa alla colonizzazione dell'Africa è la Conferenza di
Berlino del 1885. Questa conferenza è molto importante per quanto riguarda la colonizzazione
perché viene sostituito il diritto storico sui possedimenti coloniali, con un altro principio, ossia il
principio dell'occupazione effettiva del territorio. Con questo cambiamento i portoghesi erano
costretti a mobilitarsi se volevano continuare a mantenere i loro territori africani poiché li
consideravano di loro proprietà in base al diritto storico (dato erano li dal 1400). Ora sono obbligati
a inviarvi, molto rapidamente, truppe e funzionari per occuparli realmente, in senso fisico, non solo
le coste ma gli interi territori. È una questione delicata perché i portoghesi, fino a quel momento,
non si erano preoccupati di “occupare totalmente” i territori, poiché non era necessario, ma ora si
trovano davanti ad un obbligo non semplice da rispettare, soprattutto per il fatto che nell'entroterra i
nativi erano molto più radicati e non avevano paura di ribellarsi per riuscire a tenere le loro terre.
Tuttavia, i progetti portoghesi, contrastavano con quelli delle altre nazioni europee. I territori che
progettavano di occupare entravano in contrasto con con i progetti inglesi che avevano un'idea
grandiosa: creare un unico grande territorio, sotto il dominio inglese, che andasse dal Capo de Bona
Speranza fino al Cairo. Quest'idea che si scontrava fortemente con quella portoghese, che voleva un
unione orizzontale, da costa a costa, tra Angola e Mozambico (da est a ovest). Questo progetto
venne chiamato dai portoghesi “Mapa Cor-de-rosa”.
Dopo il congresso e la creazione del progetto, il Portogallo iniziò delle spedizioni all'interno di
questi paesi africani. Ma questa situazione degenerò nel 1890, quando il governo inglese inviò al
Portogallo un ultimatum che intimava il ritiro immediato delle truppe portoghesi da questi territori,
minacciando, in caso contrario, di far ricorso alla forza e dar vita ad una guerra. Il Portogallo non
trovò alcun sostegno negli altri paesi europei e fu costretto a cedere all'ultimatum evacuando i
territori. Fortunatamente, prima che gli inglesi invadessero i territori “portoghesi” si giunse a un
compromesso diplomatico: il Portogallo rinuncia al progetto di una fascia orizzontale (Mapa Cor-
de-rosa) e l'Inghilterra rinuncia al progetto di Nazione Africana sotto il proprio dominio. Così al
Portogallo furono così restituiti i territori che per secoli non aveva mai completamente e veramente
occupato ma che aveva conquistato nel periodo delle scoperte geografiche. Nell'occasione di questo
accordo vennero anche fissati i confini di questi stati africani che sono rimasti più o meno inalterati
fino ad oggi. Questi territori sono rimasti sotto il dominio portoghese fino al 1975 e sono i paesi
oggi denominati PALOP.
Durante il 1800 i portoghesi tentarono svariate volte l'occupazione delle zone interne dei 5 territori
ma ogni volta si scontravano con gli abitanti locali e i contrasti con i nativi si irrigidirono sempre
più trasformandosi in violenze, battaglie, piccole e grandi guerre, che caratterizzeranno gran parte
della seconda metà dell'800 e la prima parte del 1900.
Nella letteratura africana c'è un concetto chiave molto importante che è quello di identità connesso
direttamente a quello di lingua. È un concetto fondamentale che permette di comprendere la
situazione politico-sociale ma anche e soprattutto la situazione linguistica e letteraria di questi
paesi.
Cos'è una lingua? È sostanzialmente uno dei principali codici attraverso cui un parlante, che fa
ovviamente parte di una comunità più ampia, esprime la propria visione del mondo cioè il modo
attraverso cui, questo, vede, immagina e sente questo mondo. La lingua è uno dei mezzi più efficaci
e immediati attraverso cui ognuno di noi esprime e manifesta la propria identità (di parlante e di
parlante parte di una comunità più ampia). Per questo nel mondo esistono tante lingue, perché tante
e diverse sono le culture identitarie, da quelle nazionali a quelle regionali a quelle tribali (per alcune
parti del mondo).
C'è stato un periodo di parziale autonomia delle colonie, un tentativo di decentralizzazione nella
politica portoghese nei confronti delle colonie, durante la Repubblica in Portogallo, instaurata nel
1910. Ma questo periodo terminò presto e definitivamente con l'avvento in Portogallo della dittatura
di Antònio Oliveira Salazar e l'instaurazione dell'Estado Novo; fu la dittatura fascista più lunga
d'Europa (1922-1974). Nel 1930, Salazar, promulga l'Acto Colonial, atto importante che sanciva
l'indissolubilità delle colonie africane dalla madrepatria portoghese e sottolineava la missione
storica del Portogallo di possedere e colonizzare questi territori. È un atto che fa venire i brividi
dove vengono indicati i diritti ma soprattutto i doveri degli indigeni; ad esempio i portoghesi
potevano obbligarli a lavori forzati per opere di interesse pubblico; oppure, gli indigeni potevano
mostrare e vivere usi e costumi quando NON contrastavano con i principi e la morale dell'umanità,
cioè quello che Salazar considerava corretto.
Sotto Salazar, la vera politica portoghese nei confronti delle colonie africane, fu quella
dell'assimilazione ovvero la cancellazione di ogni loro individualità sia culturale, religiosa,
linguistica a favore di una completa portoghesizzazione: cancellare tutto quello che era africano a
favore di ciò che era portoghese.
Tuttavia, a partire del secondo dopoguerra (1945-46-47) cominciò a farsi strada nell'opinione
pubblica europea, un forte sentimento anti-colonialista, motivo per cui molte nazioni europee,
spesso con difficoltà e resistenze, allentarono la morsa verso l'indipendenza delle colonie. Salazar,
invece, emanò restrizioni ancora più rigide (ultima 1953, legge dell'oltremare portoghese). Queste
nuove disposizioni erano mirate a dimostrare che quelle portoghesi, non erano colonie, bensì parti
integranti della nazione portoghese, bracci della nazione, era Portogallo. Tuttavia, nonostante la
resistenza di Salazar, il processo storico di liberazione era ormai in atto dopo la 2WW e gli anni '60
segnarono, da una parte, l'indipendenza di tutte le colonie degli altri paesi europei (Francia, Olanda,
Inghilterra dettero l'indipendenza) mentre per quanto riguarda le colonie portoghese, gli anni '60
segnarono l'inizio delle lotte di liberazione da parte di diversi movimenti indipendentisti.
Inoltre, il 1800, fu il secolo in cui fu abolita la schiavitù. Dal 1570 al 1670 furono esportati in
Brasile, dall'Africa, circa 400.000 schiavi. Dopo la condanna del processo schiavistico (Vienna
1815) e l'abolizione della schiavitù in Inghilterra 1833, anche il Portogallo dovette conformarsi,
così promulgò una serie di leggi mirate all'abolizione della schiavitù ma queste non ebbero alcun
effetto, la situazione rimase invariata. Solo con l'abolizione definitiva della schiavitù in Brasile
(1888) si pose definitivamente termine alla vendita legalizzata degli schiavi africani. Il fatto che non
fosse più
legale non vuol dire che si smise di farlo, la schiavitù continuò ad esistere, in altre forme, con altri
nomi, ma era sempre la stessa cosa. La figura dello schiavo africano fu sostituita da quella del
“serviçal” quindi non erano più schiavi ma servi ed in base alla nuova legislazione, ogni servo
poteva essere costretto a lavorale perché il lavoro aveva una funzione “civilizzatrice”; inoltre lo
sviluppo economico della seconda metà del 1800 portò alcuni proprietari terrieri portoghesi
(soprattutto a Sao Tomè e Principe) a prendere a lavorare dei neri liberi facendo loro dei contratti; in
realtà questi contratti si trasformarono presto in nuove forme di schiavitù e questa situazione
peggiorò durante il regime di Salazar. Accadde così che molte imprese (pubbliche e private)
cominciarono ad utilizzare la manodopera in questo modo, prendendo uomini liberi, facendo loro
dei finti contratti e rendendoli, in pratica, schiavi. Questo, dopo il serviçal, è un altro fenomeno o
“contratado”, persone libere che venivano portate via a forza dalle loro case, dai loro affetti e terre
e costretti a lavorare in condizioni disumane. Su queste condizioni ci sono molte testimonianze
letterarie.
Oltre alla stampa, un altro aspetto molto importante di queste letterature molto giovani (XIX sec), è
l'insegnamento. Intorno al 1960, quando cominciò la lotta contro i portoghesi per l'indipendenza, il
livello di scolarizzazione era bassissimo: l'analfabetismo era al 97% in Angola, quasi 98% in
Mozambico, quasi 100% in Guinea Bissau; solo a Capo Verde l'analfabetismo era più basso (78%).
Questo problema non era casuale, era una conseguenza diretta, una volontà diretta della politica
portoghese che mirava a creare una élite molto ristretta di scolarizzati da utilizzare nel settore
terziario, nell'amministrazione governativa ecc. lasciando il resto della popolazione a se stesso, non
permettendo al popolo di crescere, di studiare, di imparare e quindi di capire, perché più si capisce,
più si sa e più si mette in discussione la realtà dei fatti. Così il governo portoghese preferiva
lasciare il popolo nella totale ignoranza e utilizzarli come manodopera schiava o a basso costo.
Bisogna tener conto che l'educazione e l'insegnamento nelle colonie (anche in Brasile) era stato
per secoli nelle mani dei gesuiti, fino a quando non furono espulsi dal paese nel XVIII sec. Dopo
questo momento passò sotto il controllo dello stato e per poi tornare, alla fine dell'800, sotto i
gesuiti. Il loro insegnamento non era finalizzato alla scolarizzazione, quanto alla fissazione della
religione cattolica (convertire, preghiere..). Nei centri più grandi, generalmente le capitali, c'erano
delle scuole statali destinate ai bianchi, ai portoghesi che lasciavano il Portogallo per andare a
ricoprire ruoli importanti nelle colonie, nell'amministrazione, nell'esercito, nelle aziende private
nelle colonie; in queste scuole veniva usata, ovviamente, la lingua portoghese. Poi c'erano la zone
rurali, l'interno del paese, che erano le zone dove viveva la maggior parte della popolazione nera, e
qui si trovavano i piccoli centri costituiti dai missionari gesuiti. Anche qui la lingua utilizzata era il
portoghese, ma non per impararlo, quanto per convertire; infatti contemporaneamente si usavano
anche le lingue native che appartengono al ceppo delle lingue bantu. Per molti anni, l'insegnamento,
fu limitato alla sola scuola primaria, questo succedeva anche da noi fino al primo dopoguerra. In
Portogallo e nelle colonie, dopo il 1945, ci fu un accelerazione nel processo di scolarizzazione,
sviluppando l'insegnamento secondario, soprattutto quello tecnico perché servivano tecnici da usare
nelle grandi aziende e piantagioni (ambito agricolo quindi). Soltanto in seguito alla nascita dei
movimenti nazionalisti di liberazione (anni '60) che porteranno all'indipendenza delle colonie,
nacquero, nelle città più importanti, delle istituzioni paragonabili alle università, chiamati “studi
generali”.
Nelle colonie, la popolazione nera, sicuramente non leggeva i giornali e non si interessava di
letteratura. I testi letterari erano letti quasi esclusivamente, oltre che dai portoghesi residenti nelle
colonie, dai cosiddetti “assimilados”, coloro che avevano accesso alla scolarizzazione. In questo
contesto di carenza culturale e di preponderanza europea, non poteva esisteva un pubblico africano
che potesse veramente avere accesso ai testi, che li potesse leggere e ricevere qualche stimolo
culturale, che potesse farsi un'idea su quello che stava accadendo a questa popolazione.
Prima che questi africani cominciassero a scrivere, esisteva quella che chiamiamo “letteratura
coloniale”, cioè quella letteratura scritta e pubblicata dai portoghesi che ritornavano in
Portogallo dai viaggi nelle colonie, è una letteratura con una chiara prospettiva di esotismo (che
ricorda la letteratura del 1500), in cui si dava una visione del mondo dal punto di vista del bianco,
del colonizzatore, il viaggiatore e, quando raramente erano presenti personaggi di colore, in genere
venivano descritti come esseri inferiori, in modo superficiale, in modo folclorico, come un qualcosa
di curioso senza alcun tentativo di approfondimento culturale, psicologico o intellettuale. Non erano
considerate nemmeno delle persone.
Al tempo fu uno strumento pedagogico usato dallo stato, in quanto era una letteratura destinata al
pubblico europeo, per cui bisognava esaltare il grande lavoro che veniva fatto dal governo nelle
colonie e di come si trovassero bene i portoghesi, di come si trovavano i neri non interessava a
nessuno. È qui che incontriamo un altro concetto importante, quello di “negritude” (negritudine): è
un movimento culturale che nacque a Parigi attorno agli anni '20-'30 del 1900, grazie all'iniziativa
di alcuni scrittori e intellettuali africani e antillani (soprattutto di lingua francese), tra cui spiccano
alcune figure come il martinicano Sedar e Senghor, che furono ispirati dalle idee anti-colonialiste
della reinassance. Quindi la negritudine non è un fenomeno africano portoghese, ma di tutte le
colonie, in particolare portoghesi e francesi. L'ideologia di base era quella dell'affermazione
dell'identità negra, l'esaltazione della sua creatività e anche delle sue particolari caratteristiche,
anche fisiognomiche (spesso associate alla carnalità e sensualità) in opposizione all'opposizione
politica e culturale dell'uomo bianco. Alcune delle tappe fondamentali del movimento furono la
pubblicazione del 1934, della rivista “ l'Etudiant Noir” (lo studente nero) e nel 1947 la rivista
“Présence Africaine ” (presenza africana).
La negritudine è importante perché, per un certo periodo di tempo, sarà un punto di riferimento
imprescindibile per i maggiori scrittori africani e anche portoghesi. Molti scrittori dedicheranno
poesie alla negritudine perché attraverso questo movimento letterario, gli scrittori cercano di
affermare la loro volontà culturale e anti-coloniale. All'interno della letteratura africana di lingua
portoghese ritaglia un suo spazio perché tratta, in modo quasi ossessivo, gli stessi temi, è un
sottogenere della poesia. Questi argomenti di cui tratta in modo ossessivo sono: la razza e il tema
del colore della pelle, esaltandoli, facendone dei valori simbolici, in opposizione al razzismo
bianco. Infatti, la negritudine, non condanna il valore delle culture europee ma condanna la
dominazione delle culture europee su quelle africane che furono praticamente annullate attraverso il
potere imperiale e coloniale. Quindi, oltre al tema della razza e del colore della pelle troviamo:
l'Africa, spesso chiamata la “madre nera”, occupa in questi testi, soprattutto poetici, un posto di
rilievo con l'obiettivo di restituire valore alla propria terra e a tutto ciò che è “Africa”, quindi alle
culture nel suo senso più ampio, ai modi di vita africani, spesso legati a riti, culti ancestrali, culto
degli antenati, dell'animismo, a questo concetto molto presente di “animizzazione della natura”: per
un africano, il significato del sole, pioggia e cielo è molto diverso da quello degli europei.
Attraverso la negritudine si tenta di riappropriarsi di questo tradizionale modo di vedere le cose,
dalle relazioni sociali, diverse da quelle degli europei, al “pansensualismo vitalista”, concezioni
diverse di morte e nascita. In altre parole, la letteratura delle negritudine, sottogenere della
letteratura africana, ha come obiettivo, oltre a esaltare tutto ciò che è africano, di opporre al mondo
e al modello europeo, molto tecnologico e razionale, il mondo naturale e sensitivo degli africani.
Attraverso il canto della propria terra, gli scrittori cercano di riappropriarsi di tutti e dei più
diversi significati della loro terra.
Le varie (5) letterature africane, sono per molti aspetti diverse l'una dall'altra, perché, pur
appartenendo allo stesso continente ed avendo sofferto la stessa impronta colonialista, sono
comunque il riflesso di condizioni socio-politiche, storiche e linguistiche diverse. Tuttavia ci sono
degli elementi comuni, che si ripetono in tutte e 5 le letterature, tematiche simili e costanti che
ricorrono sebbene rimodulate di paese in paese:
– la negritudine
– l'anticolonialismo
– la lotta di liberazione
– il tema della ricerca
– l'affermazione della propria identità nazionale.
Tra le 5 letterature, quella che più si differenzia è quella capoverdiana, che più che
sull'anticolonialismo e gli altri temi, è incentrata sulle difficoltà che questo popolo capoverdiano ha
dovuto sempre e da sempre combattere nei confronti dell'ambiente naturale, soprattutto per la
siccità. La siccità è una delle tematiche che più ricorrono in questa letteratura. L'altra grande
tematica è quella legata al concetto di emigrazione, visto che nel corso dei secoli molti
capoverdiani (fenomeno tipico di Capo Verde) lasciavano la loro terra per emigrare altrove, in cerca
di condizioni di vita migliori perché l'ambiente è ostile, arido, povero, dove l'agricoltura stenta a
poter essere prodotta, dove non si può allevare nulla e le zone predilette dai capoverdiani sono il
Portogallo, l'Olanda, gli Stati Uniti e l'Italia. È un fenomeno così importante che, secondo studi
recenti, sono molto più numerosi i capoverdiani che vivono fuori da Capo Verde che dentro.
Naturalmente chi lascia Capo Verde sono gli uomini, li rimangono donne e bambini; la promessa è
sempre quella di tornare ma in realtà pochissimi sono i capoverdiani che rientrano, per una ragione
molto semplice, in questi luoghi dove emigrano finiscono per farsi nuove famiglie e così
continuano a mandare soldi a Capo Verde, a casa, pur essendosi costruiti un'altra vita. La
popolazione capoverdiana è composta principalmente da donne e bambini.
Una caratteristica comune a tutte le letterature è il fatto che sono letterature recenti, se non
recentissime. Basta tener conto che le prime attestazioni scritte che possono essere definite
“letterarie” o semi, risalgono alla metà del XIX sec. La prima opera è del 1849. Si tratta di una
letteratura che non ha, a differenza delle letterature europee abituati a studiare e conoscere, una
precedente tradizione scritta. È una letteratura che nasce a metà del XIX e non ha una precedente
tradizione scritta ma ha una lunghissima tradizione orale legata all'africanità, alle sue tradizioni,
che ritroveremo nei testi, soprattutto in alcuni autori come José Luandino Vieira (angolano) o Mia
Couto (mozambicano) che, nella “loro lingua” nella quale scrivono le “loro opere”, cercano di
trasporre tutta l'oralità possibile, sia dal punto di vista contenutistico, di storie e leggende
sull'Africa, sia dal punto di vista linguistico, riportando e utilizzando parole bantu, utilizzando
costruzioni sintattiche in cui sono evidenti le lingue bantu, infatti spesso sembrano testi parlati più
che scritto, ma a seconda del NOSTRO concetto di “letterario”: leggendoli dobbiamo modificare la
nostra concezione di “letterario”. Sono testi in cui la tradizione orale tipica di questi paesi è molto
presente, in tutte le sue forme, di lingua e contenuto. Mia Couto, è lo scrittore africano più
conosciuto al mondo, il quale dice di essere uno scrittore africano bianco di lingua portoghese,
forza e modella la lingua portoghese per plasmarla al mondo africano perché, di per se, la lingua
non sarebbe sufficiente. Si noterà che è una lingua che viene modellata e forzata per adattarsi alla
realtà africana affinché ogni autore possa esprimere, attraverso questa lingua, il proprio mondo, il
proprio sentimento e i propri istinti di uomo africano.
L'Angola è un territorio molto vasto, è quasi 4 volte l'Italia, e ha una popolazione di circa 10 milioni
e mezzo di abitanti e occupa la parte nord-occidentale dell'Africa centro meridionale. Si affaccia
sull'Atlantico e il litorale nord e sud è delimitato da due grandi fiumi, spesso in Africa i confini sono
naturali, il fiume Congo e Cunene. La capitale è la città portuale di Luanda. Secondo studi recenti
in Angola si parlano oltre 40 lingue diverse. Fa sorridere che il portoghese sia lingua ufficiale, è la
lingua di stato ma è parlata da una percentuale molto bassa della popolazione; è la lingua ufficiale
(amministrazione, media, scolarizzazione) ma è la lingua che in pratica parla solo la popolazione
urbana che vive in città. Il resto della popolazione parla le lingue africane, la maggioranza delle
quali appartengono al ceppo delle lingue bantu, gruppo che si suddivide a sua volta in grandi
sottogruppi; infatti troviamo lingue bantu diverse dal nord al sud del paese (kikongo (1mln di
parlanti), umbuntu, kimbundu – importante perché Vieira usa molte parole di questa lingua nelle
sue opere – sono lingue parlate da milioni e milioni di persone). Sono lingue che non hanno una
sistematizzazione normativa, non esistono ovviamente grammatiche e dizionari, sono lingue native
utilizzate in ambito familiare.
L'importanza di queste lingue fu sottolineata da molti intellettuali del tempo, primo fra tutti
Agostino Neto: primo presidente dell'Angola libera, scrittore ed intellettuale. Egli, nel 1979, fondò
un istituto molto importante l' “Instituto Nacional das Linguas”, che aveva il preciso scopo di
creare dizionari, grammatiche oltre che di concepire e creare un'ortografia unificata; non esiste
un'ortografia unificata quindi ognuno scrive a modo suo.
L'istituto doveva creare questo materiale per le principali lingue africane dell'Angola; in realtà quasi
nulla è stato fatto, ne per le lingue africane ne per lo stesso portoghese. Il problema del portoghese
in Angola, e in generale nelle ex colonie dove ora la scolarizzazione è in parte obbligatoria e quindi
è aumentata, è che anche nelle scuole dove si insegna e parla esclusivamente il portoghese, gli
studenti incontrano gradi difficoltà ad imparare la lingua, questo perché, per la maggior parte di
loro, il portoghese è una specie di seconda lingua. I ragazzi che si avvicinano alla scuola, si trovano
di fronte a due diversi universi: quello della famiglia, della comunità e degli amici, ambiti nei quali
sono parlati le lingue materne; quello della scuola, dell'amministrazione e degli uffici, ambito nel
quale devono esprimersi in lingua portoghese. Si tratta di due codici linguistici molto diversi. Si
tratta di adattare una forma che fa parte delle loro lingue materne e riflette il loro mondo, ad una
lingua nata e cresciuta in un ambiente completamente diverso. Questa situazione crea difficoltà
anche nell'accettare la scuola stessa, la stessa classe docente portoghese, non è preparata
sufficientemente dal punto di vista metodologico ad insegnare una lingua, non come prima, ma
come seconda lingua. Questi studenti incontrano grandi difficoltà per quanto riguarda la pronuncia,
in portoghese esistono suoni che mancano nelle lingue bantu e viceversa; gli angolani sono spinti ad
utilizzare i loro suoi adattandoli alla nuova lingua.
La storia dell'Angola non inizia con l'arrivo di portoghesi nel 1483, quando Diogo Cão raggiunse
la foce del fiume Congo. Il 1483 rappresenta una data importante per la storia dell’Angola.
L'Angola, come gli altri paesi africani, ha anche una storia pre-coloniale. Sebbene si tratti di una storia
molto poco conosciuta, perché si basa sulle testimonianze che ci sono state lasciate dai primi cronisti, i primi
portoghesi che si recarono in queste zone, o dalle testimonianze dei missionari. Noi sappiamo che prima
dell'arrivo dei portoghesi in quello che oggi è il territorio angolano esisteva un importante stato chiamato
Mdongo governato dallo Mgola, che in una delle lingue bantu significa “principe”. Da questo termine deriva
il termine odierno Angola.
Questo stato era tributario di uno stato molto più grande situato a nord, il regno del Congo.
Questo è importante perché significa che prima dell'arrivo dei portoghesi in queste aree esisteva già una
organizzazione ben complessa e anche sviluppata e che naturalmente presuppone una precedente storia.
I primi rapporti fra il regno del Congo e i portoghesi furono abbastanza amichevoli, perché fino all’‘800
inoltrato i portoghesi si limitarono ad occupare le coste, dando poco fastidio agli abitanti locali: anche se da
parte dei portoghesi questi rapporti furono sin da subito improntati allo sfruttamento economico e al
proselitismo religioso, sebbene limitati alla fascia costiera del paese.
I portoghesi furono accolti bene da queste popolazioni, ci furono anche una serie di scambi diplomatici
mirati a dimostrare amicizia e riconoscimento scambievole delle rispettive autorità.
I capi di questi regni accettarono di convertirsi al cristianesimo, in segno di buona amicizia nei confronti dei
coloni. Presto però le intenzioni dei portoghesi cominciarono a farsi un po’ più chiare. Il dominio da parte dei
portoghesi si fece più deciso, più esplicito e i rapporti cominciarono a peggiorare. Il motivo reale per cui
questi rapporti si andarono deteriorando fu soprattutto la tratta degli schiavi. Gli interessi dei portoghesi
crescevano nei confronti dell'Angola e crebbero in seguito (1500-1600) alla scoperta dei giacimenti, l'Angola
è molto ricca di materie prime come il ferro, il rame e i diamanti. Lo sfruttamento dell’Angola per molto
tempo si limitò alla fascia costiera.
I centri più importanti divennero quindi i porti di Luanda, che fu fondata nel 1576 nel nord dell'Angola, e
Benguela che fu fondata nel 1617, nel centro sud del paese.
Queste due città erano considerati dei centri di raccolta degli schiavi, che venivano poi spostati a Capo
Verde e da lì smistati verso le varie zone del Brasile.
L'Angola per molto tempo fu un serbatoio di schiavi. Si calcola che nella prima metà del 1500 fossero circa
4000/5000 gli schiavi che venivano deportati in America.
L'800 fu il secolo delle grandi spartizioni europee dell’Africa, nel 1890 ci fu l’Ultimatum inglese che mise
fine al “Projeto mapa cor-de-rosa” del Portogallo. Abbiamo visto che sotto il dominio di Salazar ci fu un
ulteriore inasprimento nei confronti delle colonie e questo portò a sua volta alla nascita dei movimenti di
liberazione nazionale.
Quello angolano è il MPLA (“Movimento popular de libertação de Angola”) che fu fondato nel 1956 ed era
un movimento di ispirazione marxista, che nacque come un’evoluzione diretta del partito comunista
angolano, il cui leader divenne dal 1962 Agostinho Neto, il primo presidente dell’Angola libera.
Nel 1960 nacque un altro movimento, l’UPA (“União das populações de Angola”) che divenne poi un altro
movimento, uno dei principali, il FNLA (“Frente nacional de libertação de Angola”), guidato da un altro
leader importante Roberto Holden, appartenente ad un'area connotata politicamente in modo meno netto, ma
un po’ anti comunista.
Per entrambi i movimenti l'obiettivo primario era l'indipendenza dal Portogallo. Un episodio
particolarmente importante può essere considerato il 1961, un anno di svolta perché è l'anno in cui il MPLA
attaccò le prigioni, le caserme, le stazioni radio, le istituzioni portoghesi a Luanda. Sebbene la repressione
fosse stata immediata ed efficace, questa azione da parte del MPLA segnò l’inizio della lotta armata per
l’indipendenza e l'inizio di una guerriglia lunga e durissima (14 anni di guerriglia) che segnò in modo
indelebile tutta una generazione, non solo di giovani angolani, ma anche di giovani portoghesi che venivano
presi ed inviati come militari in queste zone a fare la guerra contro le popolazioni africane.
Sono molti gli scrittori del post ‘74, una generazione che viene definita la “generazione dei traumatizzati
dalla guerra coloniale”, cioè questi giovani che dopo aver fatto la guerra in Angola rientravano in
Portogallo traumatizzati dagli orrori della guerra. Tra questi autori vale la pena di citare António Lobo
Antunes, che ha dedicato parte della sua opera dopo il ‘75 alla narrazione di questa guerriglia che lui stesso
visse in prima persona da portoghese.
Nel ‘66 nacque un ulteriore movimento rivoluzionario da una scissione interna del FNLA, che si chiama
UNITA, (“União nacional para a indipendência total de Angola”) guidata da un altro leader importante,
Jonas Savimbi.
Finalmente il 25 aprile 1974, come conseguenza della “Revolução dos cravos vermelhos” in Portogallo (una
rivoluzione pacifica, dove, nella bocca dei carri armati, venivano messi dei garofani rossi, e che mise fine
alla dittatura salazarista) si cominciò un riesame della situazione delle colonie portoghesi che portò in breve
tempo, sebbene con circa 10 anni di ritardo rispetto agli altri paesi africani (colonie inglesi e francesi),
all’indipendenza delle colonie africane dal Portogallo.
L'indipendenza dell'Angola fu proclamata l’11 novembre 1975. Indipendenza non significò subito pace e
tranquillità economica. Dopo essersi uniti a favore dell'indipendenza contro il Portogallo, i movimenti
indipendentisti cominciarono a litigare per il potere fra di sé. Questo conflitto si risolse nel ‘76 a favore nel
MPLA, l'Angola divenne una repubblica popolare e il primo presidente fu Agostinho Neto. Questo non
portò alla pace fra i vari movimenti: alla morte di Agostinho Neto ripresero le guerriglie. Si erano formati
due gruppi: da una parte l'UNITA appoggiata militarmente dal Sudafrica, dall'altro MPLA, sostenuta da
Cuba. Nel 1991 furono indette le prime elezioni libere.
Ancora oggi non possiamo dire che in Angola ci sia una pace fra questi movimenti. Sono territori
caratterizzati da una grande instabilità politica, tanto che Jonas, il leader dell’UNITA, è rimasto ucciso in un
conflitto a fuoco fra i vari movimenti nel 2002.
La letteratura riflette e risente delle varie fasi della storia del paese, vissuta dalla popolazione e dagli
scrittori.
La novità sta nell'inserimento della lingua non-appartenente al portoghese europeo, con termini
africani.
Il caso di Joao Maria Vilanova rappresenta un caso davvero particolare: è probabile che si tratti di
uno pseudonimo di un personaggio mai stato identificato e che ha continuato a rimanere anonimo
tanto che quando nel 1971 gli conferirono un premio, non si presentò. Joao Vilanova non esiste
ma non sappiamo chi ci sia dietro questo pseudonimo. È in questo sesto periodo che possiamo
collocare l’attività degli scrittori più conosciuti dell’Angola tra cui Josè Luandino Vieira, Agostino
Neto, Pepetela.
Vengono pubblicate le opere del poeta Antonio Jacinto attivista nell’MPLA, passò la vita in
prigione a Capo Verde dal 1960 al 1974.
Un altro nome da ricordare è Uanhenga Xitu –pseudonimo in lingua Bundu- che fu un attivista
politico sia prima che dopo l’indipendenza e che scrisse una specie di capolavoro nella letteratura
angolana “Mestre Tamoda”, racconto del 1974interessante riflessione sulla lingua e sui
rapporti tra la cultura “colta ” europea e la cultura “popolare” africana:
il protagonista è Tamoda, è un assimilato che dopo essere stato a lavorare a Luanda (capitale) e
quindi avendo contatti frequenti con i portoghesi, torna nel suo paese d’origine e comincia a fare
lezioni di lingua portoghese, ma questo portoghese viene tutto dalla sua invenzione che ha poco a
che vedere con le norme della lingua. Questo perché, facendo credere alla gente del proprio
villaggio di saper parlare portoghese, lui spera di raggiungere uno status sociale più elevato e
quindi essere considerato maggiormente dalla sua gente (tutta una serie di episodi tragicomici pieni
di neologismi fantasiosi, di frasi in timbundu) attraverso questa narrazione Xitu vuole rappresentare
il conflitto che nasce da questo mito dell’assimilazione: la cultura africana doveva assimilarsi alla
cultura europea e per dimostrare i conflitti che succedono all’interno Xitu usa la lingua parlata
d’alta moda che diventa un esempio diretto delle contraddizioni create dal colonialismo e create
anche da tutti i miti. Altri nomi: David Mestre, nacque in Portogallo ma cresciuto in Angola, uno
dei poeti angolani che ha scritto più poesie; poi Ruy Duarte de Carvalho morto nel 2010; e
Manuel Rui autore dell’inno nazionale angolano.
7) 1981 - oggi
In questo anno si crea la brigata “Jovem da Literatura” il cui obiettivo era quello di riunire in un
organo riconosciuto la nuova generazione di scrittori angolani. Questo periodo arriva fino a oggi.
Tra tutti i testi pubblicati anche quello di Pepe Tela “Mayombe” che scrisse durante il periodo
della guerriglia. La complessa situazione socio-economica e politica dell’Angola, ha continuato e
continua ancora oggi a creare problemi per la pubblicazione delle opere. Ciò nonostante ormai si
individuano delle figure centrali di questa letteratura, tra queste quello con maggior successo è Josè
Eduardo Agualusa, nato nel 1960.
Poi c’è Joao Maimona, Ana Paula (ancora più difficile pubblicare per le donne) autrice di una
raccolta di poesie “Rito do Passagem”; Ondjaki è considerato la novità degli ultimi anni.
Ovviamente questi ultimi parlano dell’Angola in maniera differente dai precedenti. Questi
scrivevano andando in giro per il mondo quindi hanno un rapporto diverso con la loro terra, perché
hanno vissuto situazioni storico-politiche diverse negli anni. Ricordiamo il romanzo “Bom dia
Camaradas ” di Ondjaki, nel 2001. L’ultima opera del 2013 che ha scritto è “Uma Escuridao
Bonita”.
Mentre per quanto riguarda Jose Luandino Vieira (ancora vivo), nacque in Portogallo, ma si
trasferì da piccolo in Angola con la famiglia (i portoghesi vedevano nelle colonie una vita migliore,
per le cariche politiche, l’esercito, ecc). Partecipò alla rivista “Cultura”, dopo di che nel 1961 fu
arrestato e rimase rinchiuso in un campo di concentramento a Tarrafaul (Capo V.) fino al 1972;
proprio in questo periodo di prigionia che scrisse quasi tutte le sue opere, anche se molte furono
pubblicate postume all’indipendenza. Ricordiamo la raccolta di poesie “Velhas Historias” del 1974,
sempre nel 1974 “A Vida Verdadeira de Domingo Chavier” e la sua ultima opera del 2006 un libro
di poesie “O livro dos Rios”. Nel 1965 gli fu attribuito un premio per “Luuanda”, l’opera con cui
lui è conosciuto nel mondo. Nel 2006 gli fu attribuito il premio “Camoes”, il premio letterario più
importante in Portogallo oggigiorno e lui lo ha rifiutato per motivi personali ma chiarendo
successivamente perché si considerava un “autore morto”non aveva altro da dire e non avrebbe
detto altro infatti non ha più scritto, dicendo di attribuire il premio a qualcun altro.
La sua opera che è molto ampia divisa in 2 fasi:
A) Comprende tutto ciò che scrive prima del 1962, opere scritte in uno stile classico in una
lingua molto vicina al portoghese europeo;
B) Fase inaugurata dal romanzo Luuanda (1964) e si caratterizza per quella che definiamo una
effettiva e progressiva distruzione della lingua portoghese, angolanizzandola, lo fa
adottando forme gergali, creando neologismi, sovvertendo aspetti sintattici del portoghese,
disseminando il testo di modi di dire africani, interazioni africane alla fine costruisce una
lingua letteraria modellata al mondo africano e che si caratterizza proprio per
l’immediatezza con cui viene riconosciuta. Vieira inoltre usa per designare le sue narrative il
termine “Estorias”: con questo termine (che non esiste in portoghese) intende un genere più
lungo di un racconto, ma meno complesso di un romanzo e che ha una morale finale
AFRICANA, che rimanda alla cultura africana. Ogni sua opera si può dire che è una piccola
epopea nazionale. Le “Estorias” di Vieira sono scritte in questa lingua in cui si incrociano il
portoghese e il Timbundu, con l’obiettivo di prolungare anche nella scrittura l’oralità.
Luuanda
Il romanzo caratterizzato da 3 Estorias che raccontano le vicende quotidiane, i protagonisti sono
tutti personaggi che vivono nei “Musseques” i quartieri più poveri della capitale (come le
favelas), rappresentati principalmente da baracche, privi dei servizi basilari come l’acqua,
l’elettricità, i bagni…
1) Prima estoria: si intitola “Vavo xìxi e seu neto Zeca Santos ” = “Nonna Xìxi e suo nipote
Zeca Santos”, incentrata su questi due personaggi (Xìxi = formica) la nonna e il nipote. Ci
racconta in maniera molto cruda le difficoltà che questi due incontrano nel sostentamento
quotidiano, la ricerca del cibo quotidiano, senza lavoro, difficoltà a trovarlo, spesso
coinvolto in contesti di violenza e la fame. Elemento simbolico in questo testo sono le
condizioni meteorologiche, la pioggia caratterizza sin dall’inizio il testo che quasi porta via
le baracche, che si ritrovano piene d’acqua e scoperchiate, la pioggia rappresenta la
violenza coloniale che tenta di spazzare via quella che era la vita, la cultura nazionale e gli
aspetti caratteristici di questa nazione; un altro elemento è la presenza sempre in lontananza
del fiume “Kwanza” lungo quasi 1000 km, di grande importanza che rappresenta la forza
dell’Angola, presente in molte opere degli autori africani, la forza degli angolani perché
nonostante il dominio portoghese il fiume continua ad esistere, esisteva prima che
arrivassero i portoghesi, rappresenta le radici del paese.
2) Seconda estoria: “Estoria do Ladrao e do Papagaio” ha come personaggi figure popolari
che vivono nel Musseque di “Sanbizanga”; questi personaggi rubano per mangiare; tra
questi troviamo “Lomelino dos reis ” che ruba per dar da mangiare alla famiglia e viene
arrestato per aver rubato delle papere. Storia: Garrido Fernandes è un mulatto molto chiaro
con gli occhi azzurri, consapevole della sua particolarità rispetto al resto della popolazione
nera, ma in realtà ha molte difficoltà con le donne; è geloso del pappagallo perché è il
pappagallo della sua amata e viene anche lui arrestato per aver rubato il pappagallo. Nacia è
una donna giuridica che tiene in grande considerazione gli africani che lavorano per i
bianchi. Lei rifiuta Garrido, il suo pappagallo si chiama Jako’ e ripete parolacce in
kimbundu, inoltre è sporco e mezzo spennato riflette anche lui un altro tipico personaggio
di quell’ambiente. Sarà proprio a questo personaggio che Garrido affiderà una sorta di
parabola sulla vita dei musseques.
La terza storia si intitola “Historia da Galinha e do Ovo”, la storia della gallina e dell'uovo. Si
svolge sempre nel Mousseque di Luanda (la parte povera) e ritroviamo sempre i soliti personaggi
tipici di quest'ambiente sub-urbano: un gazefa, la vecchietta tipica di questi bairros, con il corpo
curvo e magro, accusa una giovane ragazza chiamata Vina, incinta ma il cui marito è in prigione, di
aver rubato l'uovo che la sua gallina, chiamata Capiri, aveva fatto. In questa discussione
intervengono più personaggi: il commerciante. il portoghese che rappresenta il possidente, quello
che ha i soldi; l'assimilato, cioè il giovane che ha studiato e che quindi è ben vestito e che ha, nei
confronti dei suoi fratelli angolani, un atteggiamento di superiorità; la prostituta, figura che non
manca mai nelle storia.
Tutti questi personaggi intervengono nella storia dell'uovo rubato per trarne un profitto proprio:
ecco la morale è proprio questa. Questo perché l'obiettivo è quello di dare una rappresentazione il
più realistica possibile della vita nel Mousseque, una vita fatta di necessità primarie. Vina ruba
l'uovo perché ha fame, ha la necessità di mangiare, quindi troviamo la figura della donna sola
costretta ad affrontare tutte le avversità della vita per di più in attesa di un bambino e con un marito
che, per furto, è in prigione.
Erano più di 2 mesi che la pioggia non cadeva. In tutti i lati del Musseque (parola che non
può essere tradotta) i piccoli figli dell'erba di novembre erano vestiti di pelle di polvere rossa
portata dal vento delle jeep delle pattuglie che ronzavano nel mezzo delle strade e vicoli, di capanne
(tipiche fatte con fango e materiali di fortuna) sorte a caso. Così, quando Vavò sentì in anticipo quei
calori molto caldi e i venti che non volevano soffiare come prima, i vicini la sentirono borbottare
che forse non sarebbero passati neanche due giorni che sarebbe piovuto. Ora il mattino di questo
giorno era nato con le nuvole bianche – oziose all'inizio; scure e pazze poi – che si stavano
arrampicando in cima al Musseque. E tutta la gente dette ragione e Vavò Xixi, lei lo aveva
detto/aveva avvisato, che prima di uscire dalla Baixa, sarebbe piovuto.
[Luanda è divisa in 2 parti; la Baixa è la parte bassa ed è la città vecchia. È la parte che si trova
vicino al porto ed è caratterizzata ancora oggi da delle viuzze molto strette e oggi da molti edifici
coloniali]
Pepe Tela, nasce nel 1941 a Benguela in Angola, ed è uno pseudonimo, una parola bantu che in
kimbundu significa “ciglio”. “Pepe Tela” era il suo nome di battaglia durante la guerra di
liberazione (ognuno aveva un nome con cui veniva chiamato dai companheiros). Nella sua opera la
ricerca di una identità angolana, di un angolanidade, non passa attraverso la lingua come per
Luandino Vieira, che usa un portoghese adattato alla realtà angolana con termini e modi di dire
kimbundu. La ricerca della identità, per Pepe Tela, passa attraverso altri canali, non puramente
linguistici. Uno di questi è rappresentato dalle tematiche che Pepe Tela affronta nelle sue opere,
tematiche che ripercorrono i momenti più importanti, storici, della sua nazione. L'affermazione
della identità nazionale quindi passa attraverso le tematiche.
È autore di molti romanzi e racconti: il racconto è un genere tipico della letteratura africana perché
rispetta di più l'oralità tradizionale della cultura africana.
Mayombe è stato scritto nel periodo della lotta armata e narra di un gruppo di guerriglieri
angolani che agiscono per aprire un nuovo fronte di guerriglia nel Nord dell'Angola. La base di
questo gruppo di guerriglieri è nella foresta del Mayombe.
Attraverso le vicende che accadono a questo gruppo di guerriglieri, Pepe Tela affronta l'importante
tematica delle divisioni, già presenti all'interno di questi gruppi di guerriglieri (il gruppo a cui fa
riferimento è dell'MPLA). Affronta anche il fenomeno del “tribalismo”.
Il quadro che ne esce non è molto positivo: parla dello sfruttamento del tribalismo da parte dei capi
dei gruppi di guerriglia, molto spesso senza scrupoli e, ancor peggio, per fini personali, non per la
grande causa di liberazione.
Fra i vari personaggi spicca il protagonista, chiamato Sem Medo, il quale esprime più volte una
preoccupazione: una volta finito questo momento rivoluzionario e di unione tra i fratelli angolani e i
compagni di lotta, sarebbero stati i politici ad avere la meglio sui soldati.
Pepe Tela, attraverso questa narrazione, si preoccupa del fatto che una volta finita la guerra
coloniale, molti di coloro che hanno combattuto contro i portoghesi per ideali importanti, quali la
libertà, l'indipendenza e la ricerca di affermazione della propria identità coloniale, se ne sarebbero
dimenticati e avrebbero finito, con le loro azioni, ormai non più di un soldato ma di un politico, a
creare uno stato repressivo e, per molti aspetti, simile a quello dei portoghesi.
I dubbi e le riflessioni di Pepe Tela trovarono successivamente la loro ragione: una lunga guerra
civile da parte degli angolani per la presa del potere.
Mayombe può essere considerata una sorta di epopea del periodo della lotta armata, i cui eroi,
però, sono desacralizzati, visti e descritti come in fondo in realtà erano: semplici uomini con vizi e
virtù dell'animo umano. Inoltre, Mayombe, è un'opera importante perché inaugura una stagione, una
fase, della letteratura angolana, critica! La visione che lui trasmette in quest'opera, non era facile da
trasmettere, anche tenendo conto del fatto che lo stesso Pepe Tela faceva parte di quel mondo, di
quella classe dirigente della lotta armata che mette in discussione. In qualche modo mette in
discussione quello che lui stesso stava facendo in quegli anni.
Questa visione e questi timori tornano anche in opere successive come Yaka e in un altro romanzo
intitolato A Geraçao da Utopia del 1992. Quest'opera rappresenta una specie di rilettura in chiave
mitica della lotta per l'indipendenza. Questo romanzo è diviso in 4 parti, ognuna delle quali è
dedicata ad un momento importante della storia dell'Angola, a partire dall'inizio della lotta armata:
1) 1961: data fondamentale per l'inizio della lotta dell'MPLA;
2) 1972: dedicata al periodo della guerriglia;
3) 1982: affronta il momento cruciale della guerra civile;
4) 1991-1992: narra degli accordi tentati tra l'MPLA e l'Unita per indire le elezioni libere.
Questi guerriglieri intellettuali, che facevano parte della sua generazione, si erano formati alla CEI
(Casa dos Estudantes do Impero) e entreranno poi nei vari movimenti per la lotta
dell'indipendenza, che poi sfoceranno nella guerriglia e che, dopo la guerriglia e dopo
l'indipendenza del 1975, vivranno l'immenso dramma e dolore della guerra civile. Il tutto è visto dal
punto di vista mitico e considerato da un punto di vista critico, con lo sguardo disilluso dell'autore
che si interroga sulla psicologia di questi personaggi. Quest'opera ci da la visione di un autore che
guarda in modo disilluso e distante la storia che lui stesso ha contribuito a fare; c'è questo senso di
impotenza da parte di chi, come lui, ha combattuto, di impotenza nei confronti della tragica piega
che ha preso la storia.
Yaka, 1983
La storia che si narra ha delle delimitazioni temporali molto nette: va dal 1890 (data di nascita del
protagonista del romanzo ma anche data dell'Ultimatum inglese al Portogallo) al 1975 (anno di
morte del protagonista e anche l'anno dell'indipendenza dell'Angola).
Il protagonista è Alexandre Semedo, un angolano bianco, con la sua famiglia. Questa famiglia
occupa quasi per intero la storia narrata nel romanzo, quasi come fosse una saga familiare e
diventa la saga familiare di molti bianchi che vivevano nelle colonie: si eleva a storia tipica di molti
bianchi nelle colonie. I neri hanno uno spazio ridotto nella trama ma hanno un peso rilevante
nell'economia della storia. Questo peso ha un importanza fondamentale per l'immaginario dei
bianchi e il significato più profondo del romanzo, che va oltre le linee stesse del romanzo cioè: una
vittoria simbolica dei neri sui bianchi, visti come dei nemici.
Dal punto di vista della struttura formale il romanzo si divide in 5 parti e in ogni parte troviamo:
– un breve titolo
– un epigrafe
– delle brevi frasi nell'epilogo.
Ogni parte è incorniciata da questi caratteri; questi 3 elementi sono importanti perché ci aiutano a
capire il significato di ogni capitolo, ma soprattutto perché, se mettiamo assieme il titolo, l'epigrafe
e l'epilogo di ogni capitolo, il risultato ci aiuterà a chiarire il significato generale del romanzo.
5 parti:
1) A Boca: narra la storia dal 1890 al 1904 ed è a sua volta suddivisa in 15 capitoli.
- epigrafe: A boca dà alla vida, dando o nome – Sabedoria Antiga
quest'epigrafe rimanda ad un proverbio che fa parte delle credenze tradizionali delle popolazioni
bantu, che considerano la parola, assieme al seme e al sangue, elementi vitali, che danno vita. In
questo caso si parla di “nome”: il nome è importante perché è la condizione dell'esistenza, perché
senza nome non esistiamo, niente e nessuno esiste senza poter essere chiamato ed identificato.
Questa parte è dedicata soprattutto all'Ultimatum dell'Inghilterra al Portogallo che costrinse i
portoghesi ad occupare militarmente i territori; ciò che si narra è la reazione della popolazione
angolana a questa invasione militare.
- epilogo: A boca para um lado (la bocca verso un lato)
2) Os Olhos: narra la storia dal 1905 al 1941.
Si parla molto del 1917, anno della rivoluzione russa, composto da 11 capitoli.
Questo 1917 viene analizzato e reinterpretato come evento simbolico che porta gli angolani ad una
propria presa di coscienza della propria identità. È la parte più lunga.
– epigrafe: Nos Olhos estão as luzes e as Làgrimas – Dito dos Mais Velhos
associata alla frase dell'epilogo
– epilogo: Os Olhos para o Mar
in questo capitolo Pepe Tela vuole spingere la visione oltre i confini della terra, i confini
dell'Angola.
3) O Coraçao: 1941-1961, 12 capitoli; dall'anno di nascita di Pepe Tela fino all'inizio della
lotta armata di liberazione.
– epigrafe: rimanda ad un personaggio del popolo chiamato Ondomba, secondo il quale le
pallottole degli invasori bianchi avrebbero potuto uccidere gli angolani, i neri, ma
non avrebbero mai ucciso il loro cuore.
– Epilogo: O Coraçao embaixo da Terra
unisce 2 elementi fondamentali: cuore, simbolo di tradizione e identità, e la terra,
simbolo della propria terra, la terra madre, simbolo di angolanità, attaccamento alla
terra. Il fatto che “il cuore sia sotto la terra” significa che la terra diventa la casa del
cuore e quindi della storia, della cultura e della tradizione. La terra quindi avendo in
se il cuore, diventa il simbolo da cui nasce la vita. La terra, come ricorre anche in
altri autori, ha un valore molto importante, simbolico e metaforico.
4) O Sexo: 1961-1975, anni di “piombo” della liberazione.
Sia l'epigrafe che l'epilogo fanno riferimento alle torture e alle violenze che venivano
perpetrate dai bianchi contro i neri. L'epigrafe rappresenta l'ultima frase detta da
uno dei personaggi di questo romanzo.
– l'epigrafe: Suku Nunca Castigou Féti – Grito ùltimo do Velho Cassenda Quando lhe
arrancaram o sexo. Suku, parola bantu per “dio”, quindi Dio non ha mai castigato
Féti (figura tipica della tradizione africana, simile al nostro Adamo biblico) perché
l'uomo africano è una vittima, è innocente. - “Grido ultimo del vecchio Cassenda quando
lo evirarono, gli tagliarono il sesso”.
L'atto dell'evirare ha un valore simbolico: togliere la capacità di procreare, quando questa capacità
viene tolta ad un popolo, gli si toglie la prospettiva di un futuro, la possibilità di potersi riprodurre,
mettere al mondo figli che portino avanti storia, cultura e tradizione.
“Non fu mai Dio che castigò l'uomo africano, ma gli europei.”
– L'epilogo: O sexo para o Norde. Dato che la guerriglia partì da Nord, l'organo sessuale
maschile diventa simbolo della continuazione del popolo e quindi è legato alla
rinascita del popolo attraverso la guerra di liberazione.
5) As Pernas: completamente dedicata al 1975, divisa in 5 capitoli.
– epigrafe: una breve poesia → Os Homes Atravessam Os Desertos /Sòs /com as suas pernas
– epilogo: As Pernas Para o Sul. → liberazione dal nord al sud.
Yaka è il nome di una statua che, pur non essendo attiva essendo una statua, svolge un ruolo
importante nell'economia del romanzo, lo si può considerare una sorta di narratore alternativo del
romanzo, oltre che di confidente muto di Alexandre.
Il protagonista è il patriarca di questa famiglia, un bianco nato in Angola. Alexandre si rivolge a
Yaka, la considera una sua confidente. Tutti gli altri personaggi sono parte della famiglia di
Semedo. Alexandre Semedo è un pessimo conversatore, un personaggio che non è per niente
attraente, una figura instabile e menefreghista, che cerca di evitare i problemi, il quale ha ereditato
dal padre, il gusto, la passione per la cultura dell'antichità classica. Questa passione lo porta,
credendo di dare dimostrazione di grandezza europea e superiorità, a mettere nomi greci e latini e
figli e nipoti: Aristotele, Achille, Oreste, Socrate... per poi scoprire che sono nomi del tutto inadatti
e inadeguati alle personalità che portano questi nomi → Molto spesso sono nomi opposti alle
personalità dei loro omonimi.
Alexandre, è eternamente indeciso, tanto che soltanto nel 1975, sul punto di morte, comprenderà
che la sua unica e vera patria era l'Angola non l'Europa; constaterà alla fine della sua esistenza, di
essere stato un grande impostore di se stesso. Alexandre rappresenta il bianco di prima
generazione, bianco figlio di Europei nato in Angola, e che, per tutta una serie di ragioni, esita a far
sua l'angolanidade, ha difficoltà a sentirsi angolano, ma allo stesso tempo, vivendo in Angola, ha
molte difficoltà a sentirsi europeo. Solo alla fine prenderà coscienza e atto di quel che realmente è
ed è stato e si sentirà angolano.
Tra gli altri personaggi abbiamo Dona Ana De Aragão, la moglie, una bianca del portoghese che
parte dal Portogallo proprio per sposare Alexandre. Pepe Tela gioca molto sulla personalità della
donna e questo nome apparentemente anti-sonante. È una donna che si presenta come irascibile,
aggressiva, pettegola, che nulla a che vedere con la nobiltà che traspare dal suo nome.
Un altro personaggio è Achille, un uomo che si rivela violento, infatti rappresenta la peggior specie
del colono, il razzista, convinto salazarista e per niente coraggioso, è solo un codardo.
Molte sono anche le figure storiche e leggendarie all'interno del romanzo che hanno una funzione
specifica: quella di recuperare la memoria storica della nazione, cioè che la rivoluzione moderna (la
guerra per l'indipendenza) si inserisce in una tradizione lunghissima, a differenza di altre colonie
come Capo Verde.
Il primo capito di Yaka è molto importante perché descrive la nascita di Semedo, la quale è molto
simbolica perchè nasce per strada e il suo contatto con la terra d'Angola è immediato.
Non credo in me
non esisto Voglio ascendere, salire
non voglio io non voglio essere elevarmi fino a raggiungere lo Zero
e scomparire.
Voglio distruggermi Lasciatemi scomparire!
buttarmi da ponti alti
e farmi andare in pezzi Ma prima griderò
sulle pietre dure dei marciapiedi con tutta la forza dei miei polmoni
affinché il mondo senta:
Polverizzare il mio essere
scomparire
non lasciare nemmeno traccia del passaggio - Sono stato io che ho rinunciato alla Vita!
nel mondo Potete continuare a occupare il mio posto
voi coloro che me lo rubarono (i bianchi)
Voglio uccidermi
e lasciare che il non-io Tenetevi il mondo tutto per voi
si impossessi di me per me non voglio nulla
ne ricchezza ne povertà
Più che un semplice suicido ne allegria ne tristezza
voglio che questa mia morte ne vita ne morte
sia una vera novità storica niente.
una scomparsa totale
persino nei cervelli Non sono. Non esisto. Non sono stato.
di coloro che mi odiano Rinuncio a me stesso
persino nel tempo ho raggiunto lo zero
e si faccia il processo alla Storia
e che il mondo continui e ora,
come se io non fossi mai esistito vivete, cantate, piangete
come se non avessi mai prodotto una opera sposatevi, uccidetevi, ubriacatevi,
come se non avessi influenzato nulla nella vita fate elemosina ai poveri.
come se invece di un valore negativo Nulla mi può interessare
io fossi Zero. a me che non sono,
ho raggiunto lo Zero. Tutto è stato fatto da voi
Ah!
Non contate su di me che soddisfazione che sento
per servire i vostri pasti nel vedervi allegri nel vostro orgogliosi
ne per scavare i diamanti ..
che le vostre mogli ostenteranno nei saloni
ne per prendersi cura delle vostre piantagioni
di caffé e cotone non ci sono mai stati negri!
non contate sugli operai L'africa è stata costruita solo da voi
per allattare i vostri figli sifilitici l'america fu colonizzata solo da voi
non contate sugli operai l'europa non conosce la civilizzazione africana
di seconda categoria Mai un nero ha baciato una bianca
per fare il lavoro di cui siete orgogliosi ne un nero è stato linciato
ne dai soldati incoscienti mai uccisero neri a colpi di..
per urlare con lo stomaco vuoto per
viva il nostro lavoro di civilizzazione …
… saziatevi adesso dentro la morale.
Questa poesia caratterizzata da un ironia molto dolorosa e tragica, è considerata dalla critica
letteraria il livello accusatorio più forte contro le pratiche coloniali, contro la coscienza pulita
perché mai usata dei coloni portoghesi. Questo testo è considerato tra i più violenti scritti in lingua
porto nel XX sec. È una poesia molto lunga nella quale c'è una tematica di base: il rifiuto della
civiltà europea nel suo insieme. In alcune parti viene messo assieme socialismo, capitalismo,
democrazia senza distinzione. È una composizione attraverso la quale Neto attacca tutti i bianchi e i
loro costumi, non solo i portoghesi. Attacca e sorride di quest'atteggiamento quasi incosciente dei
bianchi, con le loro ansie di libertà e giustizia.
I contenuti di questa poesia la resero inedita per molto tempo (scritta nel 1949 ma pubblicata nel
1982). può essere suddivisa in 3 macro testi:
1) introduzione: dall'inizio a “não so nunca foi” → ha un tono ancora serio, non ironico o
sarcastico come i successivi.
“Raggiungere lo Zero” significa che, se il poeta diventa zero, il nero diventa Zero, il colonizzatore
non può far del male, se io non esisto, non puoi! È necessario che io non esista perché tu non possa
giustificare i tuoi atti e non puoi farli. Alla fine lui dice che “raggiungendo lo zero ha salvato
l'uomo” è perché non è attaccabile ciò che non esiste.
2) Dedicata al lavoro schiavo e sfruttamento: prepotenze travestite da giustizia perpetrate dai
bianchi nel mondo nero. Nascondendosi dietro alla religione, le loro religioni sono state
massacrate e abolite in base ad una superiorità che solo i bianchi consideravano essere
giusta. Parla di questi bianchi che colpiscono duramente il popolo nero ma non disdegnano
di andare a letto con le nere. Elenco molto duro, con un tono molto sarcastico e ironico che
elenca le nefandezze rivestite di seta.
3) Assunzione del nulla: raggiungimento dello Zero. Lo Zero significa la negazione
dell'esistenza dell'uomo nero e, annullando l'esistenza di questo mondo, si annulla anche l'efficacia
dell'azione del bianco. Se il nero non esistesse, il bianco non troverebbe alcuna legittimità a fare
quello che fanno.
Il più giovane scrittore angolano e ha un approccio molto diverso nei confronti del colonialismo,
per un fatto puramente generazionale, la Luanda e l'Angola che descrive sono diversi,
semplicemente perchè l'ha conosciuta diversa, non più occupata dai portoghesi, libera e
indipendente anche se con molti problemi.
Ha sempre vissuto e continua a vivere tra l'Angola, il Portogallo e il Brasile, tanto che gli stessi
angolani non lo considerano il baluardo della loro nazione poiché lui stesso vive in Angola solo per
brevi periodi. È autore di molti romanzi e racconti, il primo è del 1989. Molte delle sue opere
hanno come scenario l'Angola tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900, nella quale viene messa in
scena questa società creola e multiculturale ma in fine, è una società ideale, poiché non ha vissuto in
prima persona gli avvenimenti.
Analizzeremo Nação Crioula, un romanzo epistolare ambientato tra Luanda, Lisbona, Parigi e Rio
de Janeiro, ed ha come tema centrale la schiavitù ma tratta anche il problema dell'abolizionismo,
le varie lotte a favore e contro la schiavitù. In questo romanzo epistolare, composto da lettere,
Agualusa resuscita un personaggio letterario che era stato creato da uno scrittore portoghese alle
fine del 1800, nonché Eça De Queiròs, uno dei più grandi scrittori del movimento realista
portoghese, che diede vita a questo personaggio, Carlos Fradique Mendes, l'autore di alcuni
romanzi di Eça, una sorta di pseudonimo quindi. Agualusa riprende questo personaggio per narrare
e rappresentare i conflitti delle società coloniali (schiavismo, condizioni, schiavisti...)
La storia narrata si svolge tra il 1868 (anno in cui Mendes arriva a Luanda) fino al 1900 (anno di
morte di Queiròs). Ad eccezione di una, tutte le lettere sono di Fradique Mendes e indirizzate alla
sua amata, Ana Olimpia Vaz de Caminha, che è un personaggio molto particolare, è nata schiava ma
poi diventa una delle donne più ricche dell'Angola. Altre lettere sono indirizzate alla sua madrina,
Madame Jouarre (confidente). L'ultima lettera, che chiude il romanzo, è scritta dall'amata Ana
Olimpia, scritta a Eça De Queiròs.
In queste lettere Fredique Mendes parla di molte cose: argomenti personali e privati, di fatti politici
e sociali dei paesi che visita e ci da, soprattutto dell'Angola, una visione molto diversa rispetto a
quella conosciuta fin ora con gli autori precedenti. Ad esempio, nella prima lettera, viene descritto il
suo arrivo a Luanda (lui è portoghese, quindi il punto di vista è diverso rispetto a quello di un
angolano), la città gli sembra confusionaria, ciò che lo colpisce è la confusione di voci, il continuo
vociferare di persone che affollano queste strade che lui stesso descrive come malasfaltate e storte,
è come ogni volta che arrivava un pt importante a Luanda, viene ricevuto dal colonnello
comandante, Arcénio de Carpo, il quale non è realmente un militare e, come tutti coloro che quegli
anni si erano molto arricchiti in angola, generalmente portgohesi, arsenio è in realta un trafficante di
schiavi. Dopo un mese che Mendes vive in angola, comincia ad abbituarsi ai costumi locali e alle
abitudini. Descrive i balli, le abitudini ma della “società bene” di Luanda, in saloni dove si riuniva
la creme della società di Luanda. Durante uno di questi balli lui viene presentato a due donne:
Gabriela Santa Maria, che lui definisce come la donna più brutta vista al mondo e anche cattiva, e
Ana Olimpia, la più bella di tutte. Così, attraverso parole e conversazioni tra loro, si scopre che
Olimpia era nata schiava me era diventata una delle donne più ricche di Luanda e, in quegli anni
essere ricchi, significava anche essere potenti e rispettati. Non per grandi capacità economiche, ma
aveva sposato un uomo molto molto ricco, Victorino Vaz de Caminha, uomo di Bahia. Lei nacque
nella sua casa e poi ne divenne moglie. In tutta questa storia Ana O. poi torna ad essere schiava
perchè il marito muore e si era dimenticato di fare una cosa fondamentale: non l'aveva mai
“affrancata”, liberata dalla schiavitu! Non essendo mai stata affrancata, lei passa come tutte le
proprietà del marito, al cognato, l'erede di tuti i beni. Il cognato che non sapeva cosa farsene, la
vende a Gabriela Santa maria che la tiene rinchiusa in casa come schiava. Fradique ovviamente fa
di tutto per liberarla dalla situazione e alla fine riesce a salvarla e decidono di lasciare Luanda per
fuggire in Brasile.
Fuggono su una nave, un brigantino, stracarico di schiavi il cui nome è appunto Naçao Crioula.
Ciò che più colpisce l'attenzione di Fradique in Brasile è la fortissima disparità sociale tra i ricchi,
odiosamente ricchi, e i poveri, profondamente poveri (il popolo). Dopo vari giri in Brasile giungono
a Bahia, dove vivono assieme i subbugli della ribellione del 1835 e partecipando attivamente a
questa ribellione, riesce a farsi un idea della società in cui vive. Lui nel frattempo era diventato a
sua volta uno schiavista e decide di affrancare tutti i suoi schiavi e vivere tranquillamente la sua vita
con la donna che ama. Questo atteggiamento di Frad. Di liberare i suoi schiavi, attira l'attenzione
degli abolizionisti, che lo appoggiano, ma soprattutto degli schiavisti. In questa parte del romanzo,
attraverso le lettere a Madame, entra nel tema vero e proprio dello schiavismo argomentando le
grandi tematiche degli schiavisti e abolizionisti. Gli schiavisti temevano di perdere i terreni per
rivolte degli schiavi e così i coroneis (i colonnelli), cioè i proprietari delle piantagioni, condannano
a morte Frad. Me. E così egli diventa il capo del movimento abolizionista e decide di andare prima
a Rio e poi in Europa per denunciare gli errori della schiavitù.
Di ritorno a Lisbona, Frad incontra il suo amico Eça de Q. (finzione nella finzione) e il romanzo si
chiude con una lettera datata agosto 1900, dopo la morte di Frad Mend. In questa lettera, con un
tono che va dalla felicità alla tristezza, tra le varie cose che annuncia c'è anche la fine della
schiavitù.
In sintesi, l'argomento principale del romanzo è il traffico degli schiavi che legava a doppio filo
Portogallo, Angola e Brasile. I portoghesi furono obbligati a occupare i territori africani e così la
manodopera africana divenne merce per il brasile per coltivare le piantagioni.l'angola è stata la
nazione più schiavizzata, colpita dalle deportazioni in Brasile, l'unica cosa che potevano portare con
se, spesso, erano le religioni africane.
Il brasile, bisogna tener conto, aveva raggiunto l'indipendenza quindi i rapporti con il prtogallo
erano tesi, tanto che i pt decisero di aumentare la presenza europea in brasile.
Quindi Agualusa parte da una realtà storica, utilizzando al suo interno personaggi reali e
mescolando tutto questo alla finzione. In questo modo egli rivisita, in chiave più moderna, questa
importante parte della storia lusofona (3 paesi coinvolti). C'è questo gioco di verità e finzione,
attraverso il quale Agualusa presenta le relazioni tra i 3 paesi.
Il personaggio di fr. me. Ha un gran lato positivo, la disponibilità a conoscere una cultura che non
considera inferiore ma diversa, ha uno spirito aperto ad imparare, un atteggiamento molto lontano
da quello dei coloni. In varie lettere, dove racconta la natura di questa nazioni, traspare un senso
positivo, da pari a pari. La stessa città di luanda viene presentata in maniere molto diversa rispetto a
quel che siamo abituati a conoscere, infatti quando egli arrivò qui (con il suo servo) e la prima cosa
che gli dice è Benvindo a Portugal, per dimostrare questo suo entusiasmo nel voler conoscere
un'altra faccia della sua terra natale (le colonie non erano colonie ma parti dell'impero). Poi, stando
in angola, lui stesso si rende conto che non è portogallo, è una realtà completamente diversa anche
da quella che gli stessi pt volevano far credere ai propri connazionali. In fine scoprirà quella che po'
essere definita una “brasilianità” presente in angola attraverso questa relazione schiavista tra i due
paesi. Il brasile si sosteneva economicamente quasi solo esclusivamente con gli schiavi angolani,
quindi erano interessati a mantenerla come una colonia.
Capo Verde è un arcipelago che è situato davanti al Senegal, ha un'estensione di 4000 km2 ed è
formato da 10 piccole isole che sono divise in 2 distretti: abbiamo le isole di Sotavento di cui fanno
parte 4 isole (Brava, Fogo, Santiago, Maio); e poi abbiamo le isole di Barlavento, che sono al nord
(Boa Vista, Sal, São Nicolau, Santa Luzia, São Vicente e Santo Antão). Santa Luzia è disabitata. La
capitale è Praia.
Sembra che queste isole siano state già conosciute dagli arabi nel XII sec, però la scoperta moderna
di queste isole avvenne soltanto verso la metà del XV sec. Ancora oggi i critici discutono su chi è
stato il primo a scoprire questo arcipelago, se è stato Vicente Dias nel 1445, oppure se è stato un
veneziano chiamato Alvise de Cà da Mosto nel 1456, che disse di aver avvistato delle isole, ma non
sappiamo se quelle isole siano state o meno quelle di Capo Verde. Oppure se è stato António Gomes
nel 1460.
Quello che possiamo dire è che queste isole sicuramente furono scoperte tra il 1450 e il 1460.
Quando furono scoperte le isole erano disabitate.
Secondo i documenti ufficiali, la colonizzazione cominciò nel 1462, all'inizio molto lentamente e
poi in maniera sempre più decisa, via via che aumentava il peso e l'importanza del traffico degli
schiavi. Capo Verde diventò un’importante base per il traffico degli schiavi, nonché anche un
importante scalo commerciale per le spedizioni sia verso l'India che verso l'America. Quindi la
funzione delle isole di Capo Verde rimase questa per molti anni. Le prime isole ad essere popolate
furono Fogo, Maio e Santiago. Furono popolate dai portoghesi che si recavano a Capo Verde e in
parte anche dagli schiavi angolani e mozambicani. Le altre isole saranno abitate solo a partire dalla
fine del 1600. Dopo questo primo momento di importanza commerciale che raggiunse il suo apogeo
nel momento di maggior peso della tratta degli schiavi, nel 1600, la storia di Capo Verde è stata
quella di un progressivo abbandono, una progressiva perdita di interesse da parte del Portogallo.
Questo anche perché le condizioni climatiche in generale non permettevano la nascita di grandi
piantagioni (infatti una delle tematiche più ricorrenti nella letteratura è quella della siccità).Se alle
condizioni climatiche non favorevoli aggiungiamo il fatto che ci fu un mutamento nelle rotte
commerciali e che nacquero anche altri monopoli da parte delle grandi compagnie, possiamo capire
perché l'interesse si è andato diminuendo.
L'iniziale sfruttamento del suolo per le coltivazioni e per allevamenti anche non adatti a quel tipo di
territorio, ebbero come conseguenza principale la scomparsa della vegetazione ed una progressiva
desertificazione del territorio. Queste sono le premesse per una lunga serie di siccità, e
conseguentemente carestie, che cronicamente hanno accompagnato la vita dei capoverdiani
provocando due fenomeni: la morte di molte persone e l'emigrazione di buona parte della
popolazione. Un'emigrazione che inizia già dal 1700. È in questo periodo che la storia
dell'arcipelago di Capo Verde comincia ad entrare in stretta relazione con la Guinea portoghese.
Fu proprio la Guinea Bissau la prima meta dell'emigrazione, anche perché era quella più vicina.
Oltre alla Guinea Bissau le mete più frequenti erano le isole di São Tomé e Príncipe, poi Angola,
Mozambico, Brasile, Portogallo, e a partire dagli inizi del XX sec gli Stati Uniti. Dalla seconda
metà del XX secolo la metà principale divenne l'Europa, principalmente il Portogallo, ma anche
Olanda, Francia e Italia. Sembra che nella prima metà del secolo scorso, gli emigranti furono circa
25.000 e nella seconda metà raggiunsero i 100.000.
Questa forte emigrazione ha fatto sì che i capoverdiani che vivono fuori da Capo Verde sono più
numerosi di quelli che vivono a Capo Verde. Sono soprattutto gli uomini che lasciano l'isola, quindi
i residenti sono principalmente donne e bambini. Sono pochi i capoverdiani che tornano a casa.
Nel periodo in cui iniziò la lotta per l'indipendenza, il legame con la Guinea Bissau tornò ad essere
molto forte ed è infatti qui che fu fondato nel 1956 il “Partito africano per l'indipendenza della
Guinea e di Capo Verde”. Il leader di questo partito era Amílcar Cabral, nato in Guinea ma
cresciuto a Capo Verde, che progettò questa lotta di liberazione comune fra questi due paesi. Capo
Verde raggiunse l'indipendenza il 5 luglio 1975. Questo partito africano governava entrambi i
paesi, con due parlamenti che avevano creato una specie di Consiglio unitario con l'obiettivo di
creare una federazione di questi due stati. Questo progetto non andò a buon fine perché nel 1981 in
Guinea Bissau prese il potere João Bernardino Vieira, e il progetto venne accantonato.
Nello stesso anno i membri capoverdiani del partito africano decisero di uscire dal partito e di
creare un loro partito, il “Partito africano per l'indipendenza di Capo Verde”. Dopo il 1981 ci fu
un momento di tensione tra i due paesi, che successivamente si normalizzò. Il governo
capoverdiano inizio una propria transizione verso un mercato diverso, intraprese una serie di
iniziative per risollevare l'economia, grazie anche all'aiuto della comunità internazionale. Non a
caso, da sempre, sono molto buoni i rapporti tra Portogallo e Capo Verde.
Quindi da semplice lingua di comunicazione limitata, sarebbe poi nata questa lingua autonoma che
ha prodotto una propria tradizione letteraria, originariamente espressa con un accompagnamento
musicale (le “mornas”). L'esistenza di una produzione letteraria in creolo capoverdiano ha
prodotto un ampio dibattito sull’opportunità di ampliare l'uso del creolo anche ad altri ambiti
(saggistica, comunicazione scientifica, traducendo in creolo le opere più importanti della letteratura
mondiale). Questa discussione è ancora in corso, si tratta di una questione molto dibattuta e
complessa, perché come succede molto spesso a queste lingue minori, quello che manca è il
supporto normativo, mancano le grammatiche e i dizionari. In tutte le isole di Capo Verde è stato
approvato e adottato un alfabeto unificato che tutti coloro che vogliono scrivere in creolo possono
usare, conosciuto come Alupec. È un primo passo per tentare di dare delle norme a questa lingua,
affinché possa essere usata.
1 periodo: 0 - 1925
Il primo periodo non ha una data d'inizio, va dal prima fino al 1925, ed è una fase che si caratterizza
per un grande "silenzio letterario" e, allo stesso tempo, per una vasta gamma di testi, che però,
non erano necessariamente letterari. La stampa a Capo Verde arrivò nel 1842. Dopo l’introduzione
della stampa e dopo la pubblicazione, a Lisbona nel 1856, del romanzo di José Evaristo d'Almeida
che si intitola "O Escravo", un romanzo che rappresenta una descrizione molto diretta della società
e delle relazioni umane nella Capo Verde dell’800, segue un lungo periodo che è poco conosciuto
ancora oggi e che arriva fino alla pubblicazione delle poesie di José Barbosa nel 1935, e della
rivista “Claridade” nel 1936, rivista fondata dai maggiori intellettuali del tempo.
Capoverde era la colonia più alfabetizzata delle 5 colonie africane – portoghesi. Nel primo
periodo è stato creato un liceo molto importante, rimasto in vita fino al 1928 e chiamato “Liceo de
São Nicolao”. Fu molto importante per la nascita di una generazione di letterati sicuramente
superiore rispetto a quello che accadeva nelle altre colonie. Una delle figure più importanti di
questo periodo e, in generale della letteratura capoverdiana, è quella di Eugénio Tavares (1861-
1930). Questo autore è famoso soprattutto in patria, Capo Verde; fu giornalista, poeta, narratore ma
è ricordato soprattutto in quanto autore di poesie in creolo, le famose Mornas. Tra le tante mornas
scritte da lui ce n'è una particolare, molto famosa, chiamata Morna da Despedida, meglio
conosciuta come Hora de Bai. Questa morna è stata tratta da una raccolta postuma chiamata
Mornas Cantigas Crioulas (1932). Questo testo è molto importante sia perché è scritto in creolo ed
è molto rappresentativo di questa letteratura, ma soprattutto perché inaugura un tema molto
ricorrente nella letteratura capoverdiana: “la partenza”, la despedida, la lontananza.
Ora di partire,
ora di dolore (partenza associata al dolore)
vorrei
che questo momento non arrivasse mai!
Ogni volta (caratteristica tipica del creolo è usare la “b” al posto della “v”)
che la ricordo,
vorrei
restare qui e morire!
Ora di partire,
ora di dolore!
Amore,
lasciami piangere!
Corpo imprigionato,
vai via tu che sei schiavo!
Oh anima viva,
chi ti porterà via?
Se tornare è dolce,
Andare via è amaro;
Ma, se non si va via,
non si ritorna! (quindi è necessario partire per poi tornare anche se non sono molti i capov che
tornano)
Se moriamo
Nel momento di partire,
Dio, al ritorno
ci darà la vita.
Lasciatimi piangere
Il destino dell'uomo:
questo dolore
non ha nome:
il dolore di amare,
il dolore della mancanza (saudade)
di qualcuno
che voglio, che mi vuole...
Lasciatemi piangere
il destino dell'uomo:
oh dolore
che non ha nome!
che soffre nel vedere
se ha la certezza,
di morire nell'assenza
nella tua tristezza!
La morna, in senso generico, come genere, rappresenta l'anima del capoverdiano; è originaria
dell'isola di Boa Vista e successivamente si estese alle altre isole. Nel passare da un isola all'altra, si
è adattata alla peculiarità di ogni isola. Uno degli aspetti più interessanti è l'origine etimologico
della parola “morna”, che non corrisponde al portoghese “tiepido”: secondo alcuni studiosi si
tratta di una parola introdotta dai marinai francesi poiché si nota una somiglianza, dal punto di vista
grafico e omofono, con delle canzoni francesi di tipo nostalgico chiamate mornes, delle brevi
canzoni nostalgiche cantate dai meticci francesi della Martinica. Secondo altri, la morna sarebbe
una sorta di precorritrice del blues; per altri ancora, si tratterebbe della versione capoverdiana del
fado portoghese. Ancora oggi non si è arrivati ad una conclusione.
Per certo, il poeta, cantava le sue mornas con uno strumento a corde tipico di Capo Verde, chiamato
“cavaquinho”, una sorta di ukulele. È lo strumento per eccellenza che accompagnava la morna
cantata.
La morna è connotata, dal punto di vita terminologico e testuale, dalla presenza di alcune parole
che ricorrono spesso, cioè i termini che caratterizzano questo popolo, un popolo davvero speciale.
Tra queste parole troviamo: sodade e morabeza. Morabeza non è traducibile, ma rappresenta una
particolare predisposizione di spirito e di anima, una sorta di “buona predisposizione”, gentilezza,
cordialità: sono necessari molti aggettivi per tradurla. È una predisposizione tipica del popolo
capoverdiano che ha una connotazione positiva. Un popolo che sorride alla vita nonostante le
grandi difficoltà. La cantante capoverdiana più famosa è Cesària Évora, morta nel 2011, conosciuta
come “la cantante a piedi nudi”, la quale ha il grande merito di aver fatto conoscere la morna
capoverdiana in tutto il mondo.
2 periodo: 1925-1935
La critica letteraria definisce questo periodo “esperitano” perché gli autori di questo periodo fanno
spesso riferimento al mito di Atlantide, una visione mitica di Capo Verde, che sarebbe idealmente
l'ultimo lembo di terra emerso dall'antico continente di Atlantide. È definita anche la fase del
“capoverdianismo”, che non ha nulla a vedere con la “capoverdianità”. Si caratterizza per un
regionalismo un po' terreno che precede la terza fase della capoverdianità (della rivista Claridade).
Del 2 periodo ricordiamo Pedro Cardoso, professore, giornalista, poeta e ricordato in particolare
per una composizione chiamata Ode a Africa, scritta nel 1921 in occasione del congresso
panafricano di Londra. È ricordato anche per Jardim das Hesperìdes, del 1926.
A differenza di quello che accadeva in questi stessi anni in Angola e Mozambico, autori come i
Lopes, erano già noti e considerati autori di valore. La letteratura capoverdiana ha uno sviluppo
diverso rispetto a quello delle altre colonie. Il motivo per cui erano già noti è il fatto che queste
opere e questi autori erano stati accolti da alcuni gruppi di intellettuali portoghesi che roteavano e
gravitavano attorno a 2 riviste molto importanti: Seara Nova e Presença, che li rendevano noti
accogliendoli. In generale Capo Verde, è tra le colonie portoghesi in Africa che ha avuto i maggiori
contatti con la madre patria, soprattutto per una ragione storica di colonizzazione (molto diversa e
meno traumatica di altri paesi).
Manuel Lopes (1907-2005) fu tutto: poeta, prosatore, saggista, drammaturgo, giornalista. Scrisse
moltissimo e molti tipi di testi diversi (romanzi, racconti, saggi, racconti..). Da ricordare Chuva
Brava (1956) e Os Flagelados do Vento Leste (1960).
Chuva Brava narra le avventure di Mane Quim, le quali ripercorrono le tappe storiche della
sofferenza della storia capoverdiana, momenti di grande sofferenza. Le difficoltà economiche e
sociali, il problema della carestia (che per noi è inconcepibile) e il problema dell'emigrazione (la
partenza) ricorrono in maniera ossessiva in ogni opera.
Os Flegelados do Vento Leste riprende la tematica delle avversità tipiche che un capoverdiano
era costretto ad affrontare nella propria terra, prima fra tutte la siccità. Tematiche che non
troviamo generalmente nella letteratura angolana ma molto ricorrenti in quella capoverdiana e che
la rendono molto particolare rispetto alle altre africane. Nel romanzo si seguono le vicende tragiche
che questa famiglia vive nell'ambiente rurale dell'isola di Santo Antao (anni '40) e descrive la
condizione in cui la sopravvivenza di questa famiglia è decisa da elementi incontrollabili da parte
dell'uomo, cioè gli eventi atmosferici, l'uomo li può solo subire passivamente senza fare nulla.
Primo fra tutti è la pioggia elemento così importante perché dalla pioggia, il cui arrivo è
indipendente dalla volontà dell'uomo ma che dalla quale dipende la vita o la morte dell'uomo. Da
questo ne nasce l'opportunità di vivere nella propria terra o l'obbligo di dover lasciare la propria
terra.
Il momento più importante di questo periodo è quello pubblicazione della rivista Claridade, la
pubblicazione (1936) segna la nascita della “capoverdianità letteraria” o rappresenta il primo
risultato concreto e maturo dell'esistenza, anche a Capo Verde, di una precisa identità culturale.
Non è più l'identità del popolo nero o africano ma capoverdiano. Questa rivista segna il primo passo
maturo e segno tangibile di questa precisa identità culturale.
La rivista fu fondata nel 1936 a Mindelo. La storia della rivista viene divisa in 2:
1) 1936-1937 → uscirono 3 numeri;
2) 1947-1956 → uscirono 6 numeri
Questa rivista, come spesso accade con i progetti letterari, nacque senza un programma e progetto
ben definito anche se aveva un intento ben preciso, cioè quello di studiare, approfondire, scrivere e
quindi diffondere e dare la possibilità ad altri di conoscere, gli elementi centrali che definiscono
questa capoverdianità sono: il contesto ambientale (siccità), il mare, povertà e fame, cultura
(obbiettivo: privilegiare l'espressione creola, la lingua creola (crioulo) che il regime coloniale
reprimeva) → non era possibile parlare creolo nei luoghi pubblici ma che era presente!
Claridade è una rivista prettamente letteraria che pubblica poesie e brani in prosa di vari autori.
Vanno ricordati, tra i pubblicati, Jorge Barbosa (poeta principalmente), il suo primo libro è
“Arquipelago” (1935) è una raccolta importante, ed è il motivo per cui ricordiamo Barbosa, perché
rappresenta un punto di svolta nella poesia capoverdiana. È una poesia in metrica libera, versi
sciolti, e soprattutto perché si allontana da quelle che erano le tematiche europee, è una poesia che
si fa capoverdiana. Temi: mare, sodade, siccità, fame e conflitto tra restare e partire.
Gli elementi che contribuiscono in questi anni a definire l'identità capoverdiana, sono gli stessi che
rendono difficile la vita a questa popolazione e il mezzo che viene utilizzato è la letteratura.
Soltanto nel 2002 è stata pubblicata l'opera poetica che contiene tutta la sua produzione poetica.
Un'altra rivista importante è “Certeza” del 1944, di questa rivista escono solo 2 numeri, ma non è
importante il numero ma quello che viene scritto al suo interno e quello che viene pubblicato e
divulgato. È importante questa rivista perché introdusse il neorealismo che imperava in Portogallo
nel contesto insulare. A portare queste nuove idee e divulgare le opere neo-realiste portoghesi fu un
portoghese, Manuel Ferreira, che arrivò a Capo Verde nel 1941 come ufficiale dell'esercito
portoghese, qui rimase fino alla sua morte nel 1992. Oltre a scrivere romanzi che hanno come
tematiche quelle tipicamente capoverdiane, divenne in breve, il più importante e uno dei primi nello
studio delle letterature africane di lingua portoghese. Uno dei pochi portoghesi che si
interessarono allo studio di queste letterature: raccogliere informazioni di queste 5 letterature.
Pubblicò numerose opere che ancora oggi rappresentano la base di qualsiasi studio che riguardi le
letterature africane di lingua portoghese. Infatti il suo nome ricorre molto quanto saggista e studioso
di questa realtà capoverdiana.
Certeza, rispetto a Claridade, aveva una visione più ampia non strettamente legato alla capoverdità,
aprendo anche altre tematiche come la guerra (1944, nel mezzo della guerra mondiale).
Questa “negritudine” è diversa da quella delle altre colonie. In questi 7 anni le negritudine, a
differenza di quanto era successo in Angola, non aveva trovato alcun riscontro a Capo Verde. I
motivi sono principalmente 2:
1) la cultura di Capo Verde è creola, non nera. La popolazione di Capo Verde nacque
dall'incontro della popolazione bianca europea e nera africana.
2) I capoverdiani si sono da sempre sentiti i meno africani dell'Africa lusofona proprio per
questo contatto continuo e buono con il Portogallo.
Il primo che introdusse questa tematica fu Aguinaldo Fonseca, il primo autore capoverdiano che
parla dell'Africa come la radice della propria identità, è il primo che in qualche modo riflette sul
fatto che, sebbene creoli, sono comunque africani, parte della grande madre terra Africa.
Sarà questa la linea (Africa come radice dell'identità culturale) che un'altra rivista, Suplemento
Cultural, seguirà. Questa rivista nasce nel 1958 ed esce 1 solo numero, a causa della censura.
Nel 1962 è stata fondata un'altra rivista chiamata “Se Lo” (un adattamento capoverdiano
dell'inglese “Sail ho!” - nave a vista) che era un supplemento di un giornale di Capo Verde
“Noticias de Capo Verde”. Uscirono soltanto 2 numeri: i temi sono gli stessi espressi dalla
letteratura precedente.
Nel 1962, come negli altri paesi dell'Africa lusofona dell'inizio anni '60, inizia la lotta
anticoloniale, la guerriglia; sono anche gli anni in cui la repressione del regime salazarista si fa
sempre più forte e stringente, anche in campo culturale e letterario.
Capoverde era la colonia più alfabetizzata delle 5 colonie africane – portoghesi. Nel primo
periodo è stato creato un liceo molto importante, rimasto in vita fino al 1928 e chiamato “Liceo de
São Nicolao”. Fu molto importante per la nascita di una generazione di letterati sicuramente
superiore rispetto a quello che accadeva nelle altre colonie. Una delle figure più importanti di
questo periodo e, in generale della letteratura capoverdiana, è quella di Eugénio Tavares (1861-
1930). Questo autore è famoso soprattutto in patria, Capo Verde; fu giornalista, poeta, narratore ma
è ricordato soprattutto in quanto autore di poesie in creolo, le famose Mornas. Tra le tante mornas
scritte da lui ce n'è una particolare, molto famosa, chiamata Morna da Despedida, meglio
conosciuta come Hora de Bai. Questa morna è stata tratta da una raccolta postuma chiamata
Mornas Cantigas Crioulas (1932). Questo testo è molto importante sia perché è scritto in creolo ed
è molto rappresentativo di questa letteratura, ma soprattutto perché inaugura un tema molto
ricorrente nella letteratura capoverdiana: “la partenza”, la despedida, la lontananza.
Ora di partire,
ora di dolore!
Amore,
lasciami piangere!
Corpo imprigionato,
vai via tu che sei schiavo!
Oh anima viva,
chi ti porterà via?
Se tornare è dolce,
Andare via è amaro;
Ma, se non si va via,
non si ritorna! (quindi è necessario partire per poi tornare anche se non sono molti i capov che
tornano)
Se moriamo
Nel momento di partire,
Dio, al ritorno
ci darà la vita.
Lasciatimi piangere
Il destino dell'uomo:
questo dolore
non ha nome:
il dolore di amare,
il dolore della mancanza (saudade)
di qualcuno
che voglio, che mi vuole...
Lasciatemi piangere
il destino dell'uomo:
oh dolore
che non ha nome!
che soffre nel vedere
se ha la certezza,
di morire nell'assenza
nella tua tristezza!
La morna, in senso generico, come genere, rappresenta l'anima del capoverdiano; è originaria
dell'isola di Boa Vista e successivamente si estese alle altre isole. Nel passare da un isola all'altra, si
è adattata alla peculiarità di ogni isola. Uno degli aspetti più interessanti è l'origine etimologico
della parola “morna”, che non corrisponde al portoghese “tiepido”: secondo alcuni studiosi si
tratta di una parola introdotta dai marinai francesi poiché si nota una somiglianza, dal punto di vista
grafico e omofono, con delle canzoni francesi di tipo nostalgico chiamate mornes, delle brevi
canzoni nostalgiche cantate dai meticci francesi della Martinica. Secondo altri, la morna sarebbe
una sorta di precorritrice del blues; per altri ancora, si tratterebbe della versione capoverdiana del
fado portoghese. Ancora oggi non si è arrivati ad una conclusione.
Per certo, il poeta, cantava le sue mornas con uno strumento a corde tipico di Capo Verde, chiamato
“cavaquinho”, una sorta di ukulele. È lo strumento per eccellenza che accompagnava la morna
cantata.
La morna è connotata, dal punto di vita terminologico e testuale, dalla presenza di alcune parole
che ricorrono spesso, cioè i termini che caratterizzano questo popolo, un popolo davvero speciale.
Tra queste parole troviamo: sodade e morabeza. Morabeza non è traducibile, ma rappresenta una
particolare predisposizione di spirito e di anima, una sorta di “buona predisposizione”, gentilezza,
cordialità: sono necessari molti aggettivi per tradurla. È una predisposizione tipica del popolo
capoverdiano che ha una connotazione positiva. Un popolo che sorride alla vita nonostante le
grandi difficoltà. La cantante capoverdiana più famosa è Cesària Évora, morta nel 2011, conosciuta
come “la cantante a piedi nudi”, la quale ha il grande merito di aver fatto conoscere la morna
capoverdiana in tutto il mondo.
2 periodo: 1925-1935
La critica letteraria definisce questo periodo “esperitano” perché gli autori di questo periodo fanno
spesso riferimento al mito di Atlantide, una visione mitica di Capo Verde, che sarebbe idealmente
l'ultimo lembo di terra emerso dall'antico continente di Atlantide. È definita anche la fase del
“capoverdianismo”, che non ha nulla a vedere con la “capoverdianità”. Si caratterizza per un
regionalismo un po' terreno che precede la terza fase della capoverdianità (della rivista Claridade).
Del 2 periodo ricordiamo Pedro Cardoso, professore, giornalista, poeta e ricordato in particolare
per una composizione chiamata Ode a Africa, scritta nel 1921 in occasione del congresso
panafricano di Londra. È ricordato anche per Jardim das Hesperìdes, del 1926.
A differenza di quello che accadeva in questi stessi anni in Angola e Mozambico, autori come i
Lopes, erano già noti e considerati autori di valore. La letteratura capoverdiana ha uno sviluppo
diverso rispetto a quello delle altre colonie. Il motivo per cui erano già noti è il fatto che queste
opere e questi autori erano stati accolti da alcuni gruppi di intellettuali portoghesi che roteavano e
gravitavano attorno a 2 riviste molto importanti: Seara Nova e Presença, che li rendevano noti
accogliendoli. In generale Capo Verde, è tra le colonie portoghesi in Africa che ha avuto i maggiori
contatti con la madre patria, soprattutto per una ragione storica di colonizzazione (molto diversa e
meno traumatica di altri paesi).
Manuel Lopes (1907-2005) fu tutto: poeta, prosatore, saggista, drammaturgo, giornalista. Scrisse
moltissimo e molti tipi di testi diversi (romanzi, racconti, saggi, racconti..). Da ricordare Chuva
Brava (1956) e Os Flagelados do Vento Leste (1960).
Chuva Brava narra le avventure di Mane Quim, le quali ripercorrono le tappe storiche della
sofferenza della storia capoverdiana, momenti di grande sofferenza. Le difficoltà economiche e
sociali, il problema della carestia (che per noi è inconcepibile) e il problema dell'emigrazione (la
partenza) ricorrono in maniera ossessiva in ogni opera.
Os Flegelados do Vento Leste riprende la tematica delle avversità tipiche che un capoverdiano
era costretto ad affrontare nella propria terra, prima fra tutte la siccità. Tematiche che non
troviamo generalmente nella letteratura angolana ma molto ricorrenti in quella capoverdiana e che
la rendono molto particolare rispetto alle altre africane. Nel romanzo si seguono le vicende tragiche
che questa famiglia vive nell'ambiente rurale dell'isola di Santo Antao (anni '40) e descrive la
condizione in cui la sopravvivenza di questa famiglia è decisa da elementi incontrollabili da parte
dell'uomo, cioè gli eventi atmosferici, l'uomo li può solo subire passivamente senza fare nulla.
Primo fra tutti è la pioggia elemento così importante perché dalla pioggia, il cui arrivo è
indipendente dalla volontà dell'uomo ma che dalla quale dipende la vita o la morte dell'uomo. Da
questo ne nasce l'opportunità di vivere nella propria terra o l'obbligo di dover lasciare la propria
terra.
Il momento più importante di questo periodo è quello pubblicazione della rivista Claridade, la
pubblicazione (1936) segna la nascita della “capoverdianità letteraria” o rappresenta il primo
risultato concreto e maturo dell'esistenza, anche a Capo Verde, di una precisa identità culturale.
Non è più l'identità del popolo nero o africano ma capoverdiano. Questa rivista segna il primo passo
maturo e segno tangibile di questa precisa identità culturale.
La rivista fu fondata nel 1936 a Mindelo. La storia della rivista viene divisa in 2:
1) 1936-1937 → uscirono 3 numeri;
2) 1947-1956 → uscirono 6 numeri
Questa rivista, come spesso accade con i progetti letterari, nacque senza un programma e progetto
ben definito anche se aveva un intento ben preciso, cioè quello di studiare, approfondire, scrivere e
quindi diffondere e dare la possibilità ad altri di conoscere, gli elementi centrali che definiscono
questa capoverdianità sono: il contesto ambientale (siccità), il mare, povertà e fame, cultura
(obbiettivo: privilegiare l'espressione creola, la lingua creola (crioulo) che il regime coloniale
reprimeva) → non era possibile parlare creolo nei luoghi pubblici ma che era presente!
Claridade è una rivista prettamente letteraria che pubblica poesie e brani in prosa di vari autori.
Vanno ricordati, tra i pubblicati, Jorge Barbosa (poeta principalmente), il suo primo libro è
“Arquipelago” (1935) è una raccolta importante, ed è il motivo per cui ricordiamo Barbosa, perché
rappresenta un punto di svolta nella poesia capoverdiana. È una poesia in metrica libera, versi
sciolti, e soprattutto perché si allontana da quelle che erano le tematiche europee, è una poesia che
si fa capoverdiana. Temi: mare, sodade, siccità, fame e conflitto tra restare e partire.
Gli elementi che contribuiscono in questi anni a definire l'identità capoverdiana, sono gli stessi che
rendono difficile la vita a questa popolazione e il mezzo che viene utilizzato è la letteratura.
Soltanto nel 2002 è stata pubblicata l'opera poetica che contiene tutta la sua produzione poetica.
Un'altra rivista importante è “Certeza” del 1944, di questa rivista escono solo 2 numeri, ma non è
importante il numero ma quello che viene scritto al suo interno e quello che viene pubblicato e
divulgato. È importante questa rivista perché introdusse il neorealismo che imperava in Portogallo
nel contesto insulare. A portare queste nuove idee e divulgare le opere neo-realiste portoghesi fu un
portoghese, Manuel Ferreira, che arrivò a Capo Verde nel 1941 come ufficiale dell'esercito
portoghese, qui rimase fino alla sua morte nel 1992. Oltre a scrivere romanzi che hanno come
tematiche quelle tipicamente capoverdiane, divenne in breve, il più importante e uno dei primi nello
studio delle letterature africane di lingua portoghese. Uno dei pochi portoghesi che si
interessarono allo studio di queste letterature: raccogliere informazioni di queste 5 letterature.
Pubblicò numerose opere che ancora oggi rappresentano la base di qualsiasi studio che riguardi le
letterature africane di lingua portoghese. Infatti il suo nome ricorre molto quanto saggista e studioso
di questa realtà capoverdiana.
Certeza, rispetto a Claridade, aveva una visione più ampia non strettamente legato alla capoverdità,
aprendo anche altre tematiche come la guerra (1944, nel mezzo della guerra mondiale).
Questa “negritudine” è diversa da quella delle altre colonie. In questi 7 anni le negritudine, a
differenza di quanto era successo in Angola, non aveva trovato alcun riscontro a Capo Verde. I
motivi sono principalmente 2:
1) la cultura di Capo Verde è creola, non nera. La popolazione di Capo Verde nacque
dall'incontro della popolazione bianca europea e nera africana.
2) I capoverdiani si sono da sempre sentiti i meno africani dell'Africa lusofona proprio per
questo contatto continuo e buono con il Portogallo.
Il primo che introdusse questa tematica fu Aguinaldo Fonseca, il primo autore capoverdiano che
parla dell'Africa come la radice della propria identità, è il primo che in qualche modo riflette sul
fatto che, sebbene creoli, sono comunque africani, parte della grande madre terra Africa.
Sarà questa la linea (Africa come radice dell'identità culturale) che un'altra rivista, Suplemento
Cultural, seguirà. Questa rivista nasce nel 1958 ed esce 1 solo numero, a causa della censura.
Nel 1962 è stata fondata un'altra rivista chiamata “Se Lo” (un adattamento capoverdiano
dell'inglese “Sail ho!” - nave a vista) che era un supplemento di un giornale di Capo Verde
“Noticias de Capo Verde”. Uscirono soltanto 2 numeri: i temi sono gli stessi espressi dalla
letteratura precedente.
Nel 1962, come negli altri paesi dell'Africa lusofona dell'inizio anni '60, inizia la lotta
anticoloniale, la guerriglia; sono anche gli anni in cui la repressione del regime salazarista si fa
sempre più forte e stringente, anche in campo culturale e letterario.
5 periodo: 1966-1982
Nel 1966 uscì un'opera molto importante, "O exemplo Geral” di João Vário; nel 1982 uscì la prima
opera di una donna, Orlanda Amarilis, che appare sulla scena letteraria con una raccolta di
racconti che si intitola "Ilhéu dos pássaros" e sebbene anche in questa fase la tematica
fondamentale sia quella della capoverdianità, ciò che si nota è un'apertura anche verso tematiche
diverse, tematiche europee.
6 periodo: 1983 - oggi
Siamo già in una fase post indipendenza ed è qui che troviamo gli autori più giovani, che ancora
oggi sono attivi e producono opere. Tra questi va ricordato Corsino Fortes, le cui opere hanno uno
stile che possiamo definire misto, cioè uno stile che va dall’oralità allo stile letterario in un continuo
cambiamento di registri linguistici, e soprattutto il suo stile è quello di allontanarsi da quello che
sono state le tematiche principali di questa letteratura, si allontana dall’esaltazione della
capoverdianità, dell’africanismo, siccità, fame... Trasporta nelle sue opere il lettore in un bel
viaggio attraverso l’arcipelago.
Un altro autore importante è Germano Almeida.
Questo romanzo racconta la vita e la storia del protagonista, Chiquinho, in tre diverse fasi della sua
vita (3 parti):
1) Infância: la prima parte racconta l'infanzia di Chiquinho nell'isola di São Nicolau, ed è una
parte intrisa di nostalgia, sodade, è una parte in cui incontriamo una lunga serie di personaggi
caratteristici, si parla del mondo magico della tradizione orale, delle storie che venivano raccontate
davanti ad un fuoco nelle sere d'estate, si parla delle canzoni in creolo. Questa prima parte
rappresenta l'ambiente rurale e affettivo, la famiglia, gli amici i giochi...
2) São Vicente: la seconda parte si intitola così perché Chiquinho decide di studiare e quindi per
proseguire gli studi liceali (Liceo Sao Vicente) si deve spostare in un’altra isola, nella città di
Mindelo, dove si trova il liceo. Quando arriva a Mindelo trova una realtà completamente diversa da
quella a cui lui era abituato, incontra una realtà urbana e si inserisce in un gruppo di giovani
intellettuali che decidono di fondare una sorta di associazione culturale, che ha un programma
culturale molto ampio che mira al rinnovamento della realtà insulare e che ricorda ciò che Baltasar
aveva fatto con “Claridade”. Entrare in contatto con la realtà urbana significa anche entrare in
contatto con la realtà della città, dei quartieri popolari, dei lavoratori del porto, con gli operai, cosa
che nella sua isola non c'erano.
3) As águas: nella terza parte Chiquinho, terminato il liceo, torna nella sua isola e trova una realtà
che non sente più come sua perché lui non è più quello che era partito. Quindi vive questa
situazione di sentirsi estraneo a casa sua, l'isola dove era stato estremamente felice. Proprio quando
lui si trova a São Nicolau vive personalmente un periodo molto difficile, quello della siccità, che
porta miseria e morte, e che ha come conseguenza una seconda partenza di Chiquinho. Una
partenza probabilmente definitiva e che matura, in questo terza parte, in maniera lenta e
progressiva. La decisione finale è di emigrare in America. Il titolo “As Águas” ha questo doppio
valore metaforico perché è la mancanza di acqua, la siccità, che porta Chiquinho a prendere la
decisione di andarsene e di prendere la via del mare per andarsene.
È un romanzo di formazione che ci mostra il percorso fatto da molti intellettuali e da tanti
capoverdiani: l’infanzia nella propria isola, la formazione nel Liceo de Mindelo e poi la partenza.
Proprio perché descrive in maniera molto realista le tappe della vita dell’uomo capoverdiano,
assume un significato generale per questa letteratura.
“Eva”
La protagonista del romanzo è una donna, Eva, che è sposata e che ha altri due uomini, oltre al
marito, e lei afferma di amarli tutti. In verità, analizzando il libro, ci accorgiamo che questo
romanzo è più di questo. Potremmo dire che Eva è un romanzo che narra varie storie di
emigrazione che si incrociano. Germano Almeida affronta il tema dell’emigrazione con lo scopo
di far riflettere il lettore su questo fenomeno che si è sviluppato soprattutto dopo l'indipendenza,
perché finché c'è stato Salazar, in Portogallo entravano solo coloro che avevano l'autorizzazione da
parte del governo. “Eva” si può anche leggere come un libro che ci porta a riflette sull’emigrazione.
Lo potremmo leggere anche come l'incontro di due uomini che, pur non conoscendosi, si ritrovano
a Lisbona a parlare durante tutto un giorno di Eva, donna che entrambi amano. Ma anche in questo
caso sarebbe una lettura riduttiva, perché leggerlo così vorrebbe dire lasciare fuori una serie di
questioni che sono affrontate nel romanzo è che riguardano la sfera degli affetti, delle relazioni
umane.
Si tratta di un romanzo molto complesso che presenta una stratificazione, una struttura a livelli
diversi. Sebbene ci sia una storia di fondo (tra Eva e i suoi uomini) a questa storia si
sovrappongono altre storie e quindi anche altre tematiche che rendono questa storia molto densa,
molto intensa e anche interessante, perché è un romanzo che pone degli interrogativi e suggerisce
letture molteplici.
È un romanzo audace, in quanto Almeida esplora il lato più intimo e spesso anche più nascosto
degli esseri umani attraverso le azioni dei suoi vari personaggi. Esplorare questa psicologia dei
personaggi significa anche sollevare dubbi e preoccupazioni.
È anche un'opera nella quella noi ritroviamo gli universi nel quale l'autore si muove di solito, che
ritroviamo anche nelle opere precedenti, come l'universo di Capo Verde dopo l'indipendenza,
l'universo femminile che alla fine resta incomprensibile agli uomini.
Troviamo l'universo urbano, quindi le città di Mindelo, Praia, Lisbona. Un universo urbano che
risulta affascinante perché diverso, ma sempre incomprensibile per chi è cresciuto, come uno dei
protagonisti del romanzo, in una piccola isola capoverdiana come Boa Vista.
Ciò che c'è in questo romanzo è anche la dimostrazione dell'esistenza di un conflitto tra vita
privata, sentimenti privati, pensieri privati e vita pubblica, sentimenti pubblici, maschera pubblica.
Questa differenza tra ciò che si è nel privato e ciò che si mostra di essere nel pubblico, è ancora più
evidente nelle piccole realtà rurali capoverdiane, dove tutti sanno o pretendono di sapere tutto di
tutti. Almeida usa questo gioco tra pubblico e privato per fare una riflessione su una questione
importante, cioè fra l'essere e l'apparire. Da questo confronto fra l’essere e l’apparire, la ricerca va
verso l’essenziale perché ciò che viene messo in discussione è l'identità.
Almeida scrive sulla e della società creola, molti dei ricordi dei vari personaggi del romanzo in
fondo sono i romanzi del Germano Almeida della sua infanzia, ricordi che confronta e che spesso si
scontrano con le sue esperienze da adulto, i comportamenti urbani e rurali, sottolineando le
contraddizioni di questo tipo di società creola, una società dove comunque c’è qualcosa che non
va. Se uno stato ha più abitanti fuori dai suoi confini che dentro vuol dire che c’è qualcosa che non
va, infatti uno dei temi fondamentali che vengono analizzati è l'emigrazione.
Contrariamente a ciò che è usuale nella letteratura capoverdiano, in cui il dilemma che solitamente
ci viene posto, quello fra il partire e il restare a Capo Verde, in “Eva” l’autore esamina la questione
dell’emigrazione da un altro punto di vista: in “Eva” non troviamo capoverdiani che devono partire,
ma la questione dell’emigrazione viene affrontata da coloro che sono già partiti, quindi da
capoverdiani che già vivono in Portogallo. Avendo già lasciato Capo Verde e vivendo da anni in una
realtà diversa, quella di Lisbona, alla fine hanno subito delle trasformazioni grandi, non sono più le
stesse persone, hanno subito trasformazioni che potremmo definire irreversibili.
La questione che poi alla fine Almeida pone è questa: dopo aver lasciato la loro patria, aver vissuto
per anni in contesti diversi, cosa dovrebbero fare queste persone? Dovrebbero restare dove sono
perché non sono più gli stessi o dovrebbero comunque rientrare nella propria terra?
Molti capoverdiani partono per cercare condizioni di vita migliori, promettendo di ritornare dalla
famiglia. Queste persone però, nelle città dove finiscono, si creano nuove vite, nuove famiglie.
C'è una parte del romanzo in cui un personaggio, Reinaldo Tavares, uno degli amanti di Eva e
narratore della storia, intervista alcuni emigrati di Capo Verde. Ne intervista uno che è in
Portogallo dal 1974 e che cerca di spiegare a Reinaldo tutti i motivi, questo conflitto interiore tra il
desiderio di tornare e l’impossibilità di farlo.
C’è un altro punto di vista dell’emigrazione, ed è il caso di Eva, che è una portoghese che arriva
a Capo Verde nel 1975 e lì decide di rimanere. Ciò che sottolinea Germano Almeida in questo caso
è la facilità con cui Eva riesce ad adattarsi e anche ad apprezzare la vita di Capo Verde. È un
inserimento semplice nella società capoverdiana, quello di Eva.
Cosa che invece non accade per i capoverdiani che si devono inserire in un’altra società. Qui
Almeida affronta nuovamente una questione legata al tema dell’emigrazione, ci fa riflettere su una
questione importante: lo straniero che arriva a Capo Verde, inserendosi più facilmente nella vita
capoverdiana, può essere felice e lo dimostra il personaggio di Eva; al contrario, il capoverdiano
che lascia la sua terra, non potrà mai essere felice lontano dalla sua terra. In qualche modo ci fa
capire e riflettere se forse questa ferita che c’è nell’anima del capoverdiano che ha deciso di lasciare
la sua patria non possa essere guarita ritornando nel proprio paese. Questa infelicità di fondo può
essere colmata solo con il ritorno.
C’è anche un po’ di polemica da parte di Germano Almeida, nel suo affrontare questi temi: chi si
comporta meglio? Chi decide di rimanere e quindi di combattere da dentro i problemi del proprio
paese, o ha ragione colui che lascia e cerca condizioni di vita migliori? L’autore qua non si riferisce
alla gente del popolo, a coloro che lasciano la terra per questioni di sopravvivenza, ma la sua
polemica è contro la piccola borghesia amministrativa, quella degli uffici, della parte
amministrativa del paese che, dopo la caduta di Salazar lasciò che i poveri se ne andassero in
Portogallo e assume un tono polemico contro le scelte di questa parte della popolazione soprattutto
in relazione ai figli di questa generazione, che Almeida definisce “figli senza radici”, perché
lasciando Capo Verde non sono più capoverdiani, ma essendo nati a Capo Verde non riusciranno
mai ad essere davvero dei portoghesi e ad essere accettati dai portoghesi come tali. Quindi alla fine
sono esseri senza radici perché non appartengono né al mondo che hanno lasciato, né al mondo nel
quale hanno deciso di andare a vivere.
Questo romanzo può anche essere considerato una lunga incursione nel tema dell’amore, nel tema
del matrimonio, nel tema della fedeltà. Alcuni critici hanno affermato che l’amore, soprattutto
quello dell’amore coniugale, è un tema proibito nel romanzo capoverdiano, perché un amore
coniugale felice senza tradimento o inganno non ha nessuna attinenza a quella che è la realtà dei
fatti; ma parlare di adulterio e infedeltà non è possibile. Bisogna sempre pensare in che tipo di
società siamo. Nella narrativa di Germano Almeida, e in particolare in quella che si svolge nelle
aree urbane, invece questa sorta di promiscuità sessuale è presente e appare molte volte. Non solo
appare e viene presentata, ma viene anche presentata come un fatto relativamente banale. È più
evidente nelle opere che hanno una ambientazione urbana. Nelle aree rurali, l’infedeltà coniugale è
considerata un grave reato d’onore che può essere riparato solo con il sangue.
Sono comunque dei personaggi che, che lo stesso Almeida, definisce immorali ma mai amorali:
immorali perché praticano il tradimento, ma non è amorale perché comunque i personaggi
dimostrano di saper distinguere il bene dal male, cercando di agire sempre e comunque nel modo
migliore che è loro possibile
.
La novità di questo romanzo, quando tratta di infedeltà, si trova nel fatto che si parli di infedeltà
femminile. Incursioni letterarie nell’infedeltà femminile, prima di Almeida, non ci sono state. Forse
l’unica eccezione è “A louca de Serrano” di Dina Salústio, un testo molto particolare: le donne di
Serrano, un villaggio, poiché non riescono a rimanere incinta, dopo due o tre anni di inutili tentativi
decidono di seguire il consiglio della levatrice, ovvero andare in città per provare a cercare e trovare
dei trattamenti medici. Gli uomini di questo villaggio non avevano mai avuto dubbi sul fatto che il
“difetto” del non rimanere incinta fosse da imputare a loro e non avevano nemmeno fatto caso che i
figli nati dopo questi “trattamenti medici” non assomigliassero per niente a loro.
In “Eva” c'è un passo in cui Reinaldo, uno degli amanti di Eva, reagisce quando un giorno viene
affrontato dal marito di Eva, Zé Manuel. Lo affronta perché ha ricevuto delle lettere anonime in cui
qualcuno annuncia anonimamente il tradimento della moglie. Reinaldo in questo passo dice: "mi
faceva male l'anima sentire quelle parole dolorose, tuttavia se non potevo dirgli “amo tua moglie,
dividila con me e saremo felici tutti e tre”, allo stesso tempo non potevo promettergli, ma non
potevo promettere neanche a me stesso, che l'avrei lasciata e che avrei cercato di evitare di
incontrare Eva."
La vita intima e privata dei personaggi è utilizzata da Germano Almeida come uno dei tanti mezzi
per descrivere quella che è la vita pubblica della società urbana di Capo Verde. Qualunque siano
le motivazioni che portano all'infedeltà femminile, continua comunque a non essere accettata dagli
uomini e dalla società in cui la donna vive, a differenza delle donne, che sono da tempo abituate
all'infedeltà maschile e che sono costrette ad accettarla come se fosse un fatto quasi inevitabile. Ciò
che c'è di nuovo in questo romanzo, anche nei confronti del concetto di infedeltà, è che gli uomini
di Eva, pur essendo a conoscenza della sua infedeltà, sembrano non considerarlo un problema e non
smettono di amarla.
C'è una domanda attorno alla quale ruota il romanzo, “Quem és tu Eva, de mil pessoas?” ("chi
sei tu Eva, dalle mille personalità?"). La risposta a questa domanda ci potrebbe portare a
considerare il personaggio di Eva come il risultato finale di tutta una serie di abbozzi che Germano
Almeida stava da tempo elaborando nella sua lunga galleria di personaggi femminili.
Questa figura è considerata dalla critica una delle donne più affascinanti create da Almeida.
Questa ipotesi trova una sua spiegazione nel fatto che in Eva troviamo riassunte molte
caratteristiche presenti anche in altri personaggi femminili di altri romanzi, quindi è come una
summa dei personaggi femminili di Germano.
Anche la semplice osservazione delle edizioni portoghesi e capoverdiane del romanzo ci può
aiutare nel comprendere la lettura di questo romanzo. Entrambe le edizioni hanno una figura
femminile sulla copertina, ma sono due donne molto diverse:
L'edizione portoghese riproduce una pittura tedesca del sedicesimo secolo di Lucas Cranach,
una pittura che ha lo stesso titolo del libro e che rimanda al personaggio simbolico di Eva, quindi un
personaggio che per la sua bellezza, per la sua nudità, per la presenza del serpente e della mela
rappresenta la Donna. Quella di Cranach è l'immagine della debolezza e della fragilità femminile, la
donna che si lascia tentare, di colei che non ha saputo resistere alla tentazione della seduzione e che
proprio per questo trascina anche l'uomo in un mondo di dolore e di sofferenza. Già la copertina ci
dà una possibile interpretazione di questo romanzo.
Anche nella edizione capoverdiana è riprodotta una donna, e si tratta di un quadro di un artista
contemporaneo di Mindelo, Tchalé Figueira, ma la donna che troviamo non è una donna simbolo.
Si tratta di una donna normalissima, una donna con le sue virtù e i suoi difetti, una donna libera
di agire e di decidere della propria vita, anche nel caso del tradimento. Siccome si tratta di un
ritratto noi pensiamo che l’artista abbia voluto riprodurre soprattutto i lineamenti del volto, invece
no. In questo caso l'artista sembra più riprodurre l'anima di questa donna, in quanto si tratta di un
volto distorto, brutto, un volto dal quale traspare la veridicità di questa donna, e forse proprio per
questo aspetto, perché non è una donna simbolo, forse l'immagine di copertina capoverdiana si
avvicina di più a quella che è l'anima della protagonista. Questa nostra interpretazione sembra
essere sostenuta da una affermazione della stessa Eva, quando lei risponde alla domanda di
Reinaldo Tavares (Quem és tu Eva, de mil pessoas?): "Sono solo una donna sposata che tradisce il
marito con almeno altri due uomini e che ha come unica giustificazione il fatto di amarli tutti,
sebbene ognuno in modo diverso".
Nel libro ci sono riferimenti a Casanova, a Don Giovanni, che ci permettono di fare anche un'altra
ipotesi, cioè che Eva può essere vista anche come la versione femminile e moderna della figura del
seduttore. La figura del seduttore è per definizione quella maschile, Germano potrebbe, attraverso
la creazione di questo personaggio, aver voluto ribaltare questa figura del seduttore, dando a questa
figura un volto femminile, quindi una sorta di anima gemella al femminile della figura del
seduttore.
Ad un certo punto nel libro, in cui si parla del piacere della seduzione, Eva fa una confessione che
sembra in qualche modo convalidare questa ipotesi: "conosco anche il piacere della ricerca e
dell'attesa, della seduzione e dell'incertezza, ma soprattutto conosco il piacere di quel momento
unico e irripetibile di vittoria e di tenerezza sull'essere desiderato".
Ma Eva potrebbe anche essere vista e interpretata come una figura creata appositamente per
sottolineare tutti quegli aspetti del femminile che sfuggono da sempre alla comprensione
dell'uomo, infatti gli uomini di Eva accettano senza comprendere. Entrambe queste ipotesi sono
possibili perché è lo stesso testo che ce lo dice.
Contrariamente a ciò che è consueto nei romanzi di Germano, nei quali i personaggi principali sono
sempre capoverdiani, Eva è portoghese. La scelta che il personaggio principale sia portoghese è
un aspetto importante per la narrazione (che si svolge tra Portogallo e Capo Verde), che passa
attraverso i legami e i rapporti esistenti fra questi due paesi. Rapporti che sono sempre stati buoni,
che l'indipendenza ha rafforzato, rapporti però che passano e si manifestano anche nei gesti di
pregiudizio e razzismo, che comunque ci sono. Possiamo parlare di un razzismo primario e
violento, quando si tratta del padre di Eva: lui la caccia di casa quando viene a sapere che lei esce
con un capoverdiano; e un razzismo secondario, ma solo perché meno evidente, nei capoverdiani
più radicali, più politicizzati che in fondo non vedevano di buon occhio una relazione tra un
capoverdiano e una portoghese.
L'altro personaggio, Luís Henriques, (amante di Eva) confessa che a quei tempi era necessaria una
grande forza di carattere per andare a Capo Verde a braccetto con una straniera bianca. C'è un
razzismo da parte dei bianchi nei confronti dei capoverdiani, ma c’è anche un razzismo al contrario.
Sarà proprio Luís Henriques a verificare che questo razzismo non è così facile da cancellare. È
proprio lui che se ne accorge per primo, perché è lui, che appartiene all'élite politica capoverdiana,
che il giorno dell'indipendenza emana insieme ad altri amici un decreto in cui impone il consumo
solo dei prodotti della terra di Capo Verde e che qualsiasi altro tipo di alcool diverso dal Grogue era
proibita. Proprio a causa del troppo Grogue che lui stesso beve, finisce per dichiarare che in realtà
analizzando meglio la situazione c'erano delle cose portoghesi che forse valeva la pena
mantenere, principalmente tre: la lingua portoghese, le donne portoghesi e il vino portoghese.
La nazionalità di Eva, il suo fatto di essere portoghese, è importante per capire la sua personalità
che è molto combattuta, è la personalità di una senza radici. È una donna che è divisa tra un'
ricevuta in Portogallo e una sua formazione, che è una formazione libertaria e in parte
politicizzata di cui è responsabile Luís Henriques, che fanno di questo personaggio un personaggio
diviso: negli affetti, nei paesi, fra modelli di vita, nel modello di società a cui lei appartiene.
Molto significativi sono anche gli elementi della sua storia personale: lei viene rinnegata dal
padre a causa della relazione con Luís Henriques, il padre era un militare reazionario, senza mai un
gesto di affetto, insieme a Luís si reca quindi a Capo Verde. Anche poi stando con Luís non riesce a
trovare quiete e quindi si sposa con Zé Manuel e quindi comincia a frequentare Reinaldo.
Lei cerca di spiegare questa sua inquietudine affettiva così: "ciò che una donna sposata cerca in un
amante è qualcuno che ha il compito di amarla e la vocazione di accarezzarla, ma purtroppo, con il
tempo, anche l'amante diventa un marito e si entra inevitabilmente nel "labirinto" degli amanti
sostituiti da amanti". In qualche modo questa affermazione ci permette di dire che per Eva ogni
amante è innanzitutto una sorta di assicurazione contro eventuali abbandoni e dispiaceri, se
un'amante la lascia ce n'è un altro, ma è indice di questa sua continua ricerca di un amore, ricerca
per la passione.
GUINEA BISSAU
È un piccolo stato (1.300.000 abitanti), costa nord occidentale dell’Africa, tra Senegal e Guinea. Da
un punto di vista geografico è una pianura, con molti fiumi e foreste e la principale fonte di
sostentamento è l’agricoltura. La capitale è Bissau dove si trova il principale porto commerciale e
l’aeroporto internazionale. Si suppone che l’area dell'attuale Guinea Bissau fosse abitata 11 milioni
di anni fa e intorno alla metà del XIII secolo esisteva un regno chiamato Kaabu, tributario del
regno del Mali che impose poi il suo regno nei vari gruppi etnici della regione.
I portoghesi arrivarono in Guinea intorno al 1450. Si ipotizza una data certa cioè il 1446 perché ci
fu il viaggio di uno dei principali navigatori (Nuno Tristao) e 10 anni più tardi iniziarono i contatti
tra portoghesi e popolazioni indigene, e come accadde nelle altre colonie, una delle principali
risorse fu la manodopera schiava. E durante il periodo coloniale la città più importante era
Cacheu, fondata nel 1588, il principale centro portoghese perché da questa città partivano le
merci e gli schiavi per Capo Verde. Tuttavia la colonizzazione portoghese qui fu scarsa fino al
XVIII secolo quando invece, portoghesi e capoverdiani iniziarono a piantare in Guinea caffè, canna
da zucchero e cotone, utilizzando sempre e solo la fascia costiera; perché nella zona interna non si
erano azzardati ad entrare perché c’era il regno Kaabu molto potente. Tra le varie tribù
cominciarono delle guerre e queste lotte interne causarono la caduta del regno Kaabu questo favorì i
portoghesi che sfruttarono la divisione interna per i loro scopi.
Nel 1879 il Portogallo dichiarò la Guinea Portuguesa provincia portoghese. È in questo momento
che cominciò la resistenza portoghese da parte delle popolazioni indigene. I vari tentativi da
parte dei portoghesi per riappacificare fallirono si ritirarono sulla costa di nuovo. Con l'avvento
della Repubblica in Portogallo si allentò il clima con le colonie (1910) e migliorarono i rapporti
(1920) il Portogallo aveva conquistato gran parte del territorio all’interno della Guinea. Con
l’avvento del salazarismo la situa delle colonie peggiorò di nuovo (pesanti imposte, pesanti
tributi..). Amilcar Cabrau fondò il Partido Africano para Indipencia do Capo Verde. Calcabrau
nacque in Guinea, si laureò a Lisbona dove, grazie alla Casa dos Estudantes, entrò in contatto con
gli intellettuali del tempo. Cominciò a preparare la lotta armata che nella Guinea Bissau cominciò
più tardi nel 1963, una guerriglia molto violenta e sanguinaria, e nonostante l’invio di ingenti
truppe portoghesi, il partito Africano, grazie all’appoggio della popolazione della Guinea, già nel
1968 era riuscito a controllare 2/3 del paese. 10 settembre 1974 indipendenza della Guinea. Nel
1975 il partito continuò a governare entrambi i paesi. 1980 un colpo di stato portò alla presidenza
di Joao Bernardo Vieira, un guerrigliero durante la lotta per l’indipendenza. Nel 1994 ci furono le
prime elezioni libere che confermò Joao Vieira (nino soprannome di battaglia). Nel 1998 un altro
colpo di stato che dette il via a una devastante guerra civile tra il governo di Vieira e la vecchia
guardia del partito africano. Questa guerra creò un disastro, oltre 300.000 profughi. I tentativi per
restaurare la pace furono molti ma riuscirono solo in parte. Continuarono i tentativi fino al 1999
quando Manè conquistò la capitale e costrinse Vieira alla fuga. Nuove elezioni nel 2000 che
portarono alla presidenza Kumba Yala, leader del Partido de Renovaçao Social, nel frattempo Manè
tentò un altro colpo di stato ma rimase ucciso. Nel settembre 2003 altro colpo di stato e l’arresto di
Yala. Fino al 2012 è un continuò susseguirsi di colpi di stato da parte delle fazioni, tanto che ancora
oggi c’è la guerra civile in questo paese instabilità politica.
Lingua
Il portoghese nella Guinea Bissau è lingua ufficiale, ma sono tantissime le lingue africane di ceppi
diversi parlati e che sono le lingue delle principali etnie che popolano la nazione. Oltre al
portoghese e alle lingue indigene esiste anche una lingua creola (piccola nazione). Questa nazione
ha una tradizione orale molto viva fatta di proverbi, di storie, di poesie, di canzoni, che hanno la
caratteristiche di essere orali. Figure specifiche che hanno il peso delle tradizioni orali sono il
Djudiu, Griots: sono cantastorie erranti cioè che vanno di paese in paese di tribù in tribù che
trasmettono così poesie, racconti.. e nella società della Guinea Bissau la figura del Griots è una
figura importante ancora prima dell’arrivo dei portoghesi e che esiste ancora oggi. Nel contesto
delle 5 letterature africane di lingua portoghese possiamo dire che quella Guineiana è quella più
limitata, cioè meno vasta e sensibilmente in ritardo rispetto alle altre 4 letterature. Se è vero che
si possono individuare degli ostacoli oggettivi che possono aver rallentato la diffusione della
cultura in questo territorio, è vero che questi ostacoli erano presenti anche nelle altre letterature. C’è
un poeta della Guinea che è Vasco Cabral. La Guinea Bissau a differenza delle altre colonie, ha
ricevuto un trattamento ancora peggiore dai portoghesi, es: la stampa venne introdotta solo nel
1879; il primo periodico pubblicato nel 1924; il primo liceo nel 1958; l’utilizzo obbligatorio del
portoghese nelle scuole; il primo giornale pubblicato da un guineiano “Comercio da guiné”, si
inserisce in un ideologia ancora colonialista, anche se comincia a muoversi qualcosa di nazionale; a
questo primo periodo appartengono due scrittori che producono opere legate al contesto della
Guinea Bissau: Fernanda de Castro e Fausto Duarte. La prima fu una poetessa una narratrice
nata a Lisbona ma che visse a Guinea e che dedica una serie di opere a quella che considerava la
sua “terra di adozione”; Duarte invece scrive una serie di opere in cui il legame tra la cultura
portoghese e l’ideologia coloniale molto forte; queste due fino all’indipendenza sono le uniche
attività ufficiali.
Il primo poeta della Guinea Bissau ad essere conosciuto e riconosciuto a livello internazionale fu
Antonio Batica Ferreira morto nel 1989, visse fuori dalla Guinea, la sua opera sia poetica che in
prosa è legata ai ricordi d’infanzia. Nel primo periodo della lotta coloniale ricordiamo Vasco
Cabral. La sua formazione fu fatta in Portogallo dove entrò in contatto con grandi della politica.
Raccolta poetica di Vasco “A Luta è a minha Primavera”. 44 poesie di cui 2 in creolo, scritte da 14
giovani poeti avevano tutti tra i 19 e i 30 anni, ricordiamo José Carlos Schwartz, Helder Proença:
tematiche delle poesie sempre del colonialismo, difficoltà socali, tensioni politiche. Raccolte
nell’antologia poetica da Guiné Bissau.
Schwartz occupa un posto a se nella storia in generale della Guinea Bissau perché prima ancora di
essere un poeta fu un musicista e cantante, continua ad essere famosissimo in Guinea Bissau, aveva
un gruppo “i Cobiana Djazz” e attraverso questo gruppo ha fatto un opera di diffusione della
poesia e letteratura e cultura incredibile della Guinea Bissau soprattutto durante la guerra. E
attraverso la diffusione con questo gruppo lanciava messaggi di protesta e di lotta, testi legati alle
ingiustizie, alle contraddizioni della guerra, fu anche un attivista politico e per questo venne
imprigionato 2 anni. Le sue poesie sono in creolo ed essendo testi nati per la musica sono testi la
cui musicalità si percepisce solo musicandoli. La sua popolarità in Guinea è così grande che nel
1996 gli è stato attribuito il titolo postumo di poeta nazionale della Guinea Bissau.
Letteratura Mozambicana
Il Mozambico si trova sulla costa sud-orientale dell'Africa, di fronte al Madagascar. È una nazione
molto grande, all'incirca 800.000 km2, con una popolazione di ca 20 milioni di abitanti. La capitale
del Mozambico è Maputo, che prima dell'indipendenza portava il nome di Lourenço Marques, e
si trova nel sud del paese. Gli altri centri importanti si trovano tutti sulla costa; tra le città più
importanti ricordiamo Beira. Il Mozambico, come l'Angola, è abitato da tempi remoti da
popolazioni bantu e nel 1498 la flotta di Gama, diretta per le indie, scoprì questo luogo; entrarono
in contatto con la popolazione locale e, come l'Angola, questa nazione divenne molto importante
per il commercio e la tratta degli schiavi.
La storia del Mozambico, fino alla guerriglia, è molto simile a quella dell'Angola (guerre, lotte,
resistenza) fino a quando nel 1962 nacque un movimento molto importante chiamato “Frelimo”
(nonché frente de liberação de Mozambique) sotto la direzione di due personaggi molto importanti:
Eduardo Chivambo Modlane e Marcelino Dos Santos. Nel 1964 cominciò la lotta armata vera e
propria e questo movimento era un gruppo di guerriglieri molto forte che in breve tempo riuscì a
ottenere il controllo di quasi tutto il Mozambico. Il regime coloniale (governo portoghese) mandò
moltissime truppe in Mozambico, tanto che nel 1969 la Pide (polizia salazarista) riuscì ad
assassinare Modlane. Ci fu allora un nuovo presidente, Samora Machel, che prese in mano il
movimento fino a quando, dopo la rivoluzione dei garofani, non ci fu l'indipendenza, raggiunta nel
20 giugno 1975.
Etinia e lingua
Il Mozambico è abitato principalmente da etnie bantu ma il 10% di popolazione mozambicana è
formato da indiani e discendenti indiani che vivono come una sorta di colonia, una minoranza
presente in Mozambico da secoli. Questa minoranza è importante perché è una componente viva,
fondamentale per la cultura e tradizione di questo paese.
Secondo stime recenti, in Mozambico, si parlano circa 30 lingue bantu diverse. Le principali
utilizzate appartengono a sottogruppi del ceppo bantu. Troviamo però anche lo swahili e
popolazioni swahili, soprattutto nel Mozambico settentrionale: questa lingua è importante ora e in
passato perché era una sorta di lingua franca utilizzata soprattutto per il commercio nella costa
orientale. Ovviamente, è presente il portoghese come lingua ufficiale ed è parlata oggi da buona
parte della popolazione urbana, delle città e che, come in Angola e nelle altre colonie, è ancor oggi
la lingua dell'amministrazione, dei mass media e dell'insegnamento.
Il portoghese del Mozambico, come quello dell'Angola, subisce una modellazione dovuta al sub-
strato di lingue native, dando vita a quella che è una variante mozambicana del portoghese
europeo.
Letteratura
La storia letteraria può essere divisa in 6 periodi:
1) dalle origini al 1924: Si tratta di una fase poco produttiva, nonostante la precoce
introduzione della stampa nel 1854. Dopo il 1854 comincia ad esserci un accenno di
produzione ma questo non ha nulla a che vedere con la produzione letteraria angolana degli
stessi anni.
Nella seconda metà dell'800, l'unica figura davvero rilevante, è José Pedro da Silva Campos de
Oliveira, conosciuto come José de Oliverita: fu poeta e giornalista (due aspetti che caratterizzano
la letteratura portoghese africana in genere) e fondatore di una delle prime riviste mozambicane
chiamata “Revista Africana” nel 1880. La sua opera poetica è stata riunita solo nel 1985 grazie al
lavoro di Manuel Ferreira (capoverdiano che molto si impegnò per la divulgazione di opere aficano-
portoghesi).
Solo all'inizio del 1900 prende piede una tradizione giornalistica più fluente; questa maggiore
attività giornalistica e culturale è dovuta soprattutto a due fratelli: João e Josè Albasini. Questi nel
1909 fondarono “O Africano”, un giornale molto particolare poiché bilingue (portoghese e ronga
→ una delle lingue bantu). João Albasini va ricordato anche perché, nel 1918, ha fondato un'altra
importante rivista chiamata “O Brado Africano” e nel 1925 una raccolta di racconti chiamata “O
Livro da Dor” considerata da alcuni critici l'opera inaugurale della narrativa mozambicana.
2) Dal 1925 al 1945: Tra gli autori di questo periodo ricordiamo Rui de Moronha, parte della
cui produzione è stata pubblicata nel 1946 nella raccolta “Sonetos”. Ciò che caratterizza la
sua opera è il fatto che, sia nelle forme che nel linguaggio, egli rimane molto legato al
portoghese europeo; la sua mozambicanità si ritrova più nelle tematiche (esortazione al
risveglio dell'Africa o la rappresentazione delle sofferenze della vita dell'uomo nero) che
nella forma.
3) Dal 1945-48 al 1963: Il terzo periodo è decisivo poiché la critica letteraria individua il
punto di svolta della narrativa. In questi anni vivono una serie di elementi che unendosi
dinamizzano, vivacizzano il panorama letterario africano (punto di svolta). Tra questi
elementi troviamo l'inizio della produzione poetica di alcuni autori come Fonseca Amaral,
che pubblicò nel 1951 una raccolta “poesie in mozambico” e la pubblicazione della rivista
“Msaho” nel 1952 a Madutu. “Msaho” è il nome di una canzone tipica mozambicana;
questa rivista gioca un ruolo simile a “Mensagem” in Angola, o “Claridade” a Capo Verde,
cioè quello di creare le basi e le condizioni per una produzione letteraria nazionale, per
una letteratura che fosse espressione di una specifica moçambicanidade poetica e culturale.
Probabilmente questo progetto era molto ambizioso e, i tempi non ancor maturi, fecero si
che l'azione pratica fu abbastanza limitata dal punto di vista letterario. Si tratta di un
momento importante perché testimonia l'esistenza, in Mozambico, di una precisa volontà, di
una presa di coscienza, la volontà di formare e dare vita e voce ad una letteratura africana. A
questa 3 fase appartiene anche la figura di Noémia de Sousa, morta nel 2002, e pubblicò nel
1951 una raccolta di sue poesie intitolata “Sangue Negro”.
4) 1964 – 1975
É la fase in cui abbiamo il vero sviluppo della letteratura africana, che si caratterizza soprattutto
per un intensa attività letteraria e culturale, con testi che hanno un tono politicizzante, non ancora
pienamente politico; e una poesia inequivocabilmente anti-colonialista, dove venivano esaltate le
tematiche di rivoluzione e la lotta armata. È la cosi chiamata “Poesia de Luta” che porta uno
stile molto diretto, che si concentra sul contenuto, ciò che era importante era trasmettere il
messaggio a deperimento, a volte, del valore prettamente letterario perché il fine primo era il
messaggio che si voleva trasmettere.
Tematiche: critica sociale e politica e affermazione dell'identità nazionale, riconosciuta
ufficialmente nel 1975.
Gran parte di questa produzione poetica verrà raccolta in un antologia di 3 volumi intitolata
“Poesia de Combate”. Accanto a questa “Poesia di Lotta”, che dopo l'indipendenza si
trasformerà in una poesia propagandistica del nuovo movimento al potere, si farà spazio
attorno alla capitale una poesia diversa perché legata ad un ambiente culturale che non era
direttamente collegato alla lotta armata; una poesia più intimista, dove le grandi tematiche
sono presenti ma viste dal punto di vista dell'isolamento del poeta, di colui che scrive che si
sente isolato, cambia il punto di vista. Siamo nel periodo della censura quindi queste
poesie venivano espresse in forme non dirette, in forme allusive, con molte metafore e
allegorie. Il risultato principale di questo ambiente e questa poesia non direttamente legata
alla Poesia de Luta sarà la pubblicazione dei quaderni di Caliban: 2 numeri nel 1971 e 2
numeri nel 1972. Tra gli autori importanti c'è senza dubbio José Craveirinha.
Sin dal primo numero, queste poesie, si caratterizzano per una cautela stilistico-
contenutistica: esprimere il messaggio facendo attenzione a non cadere nelle maglie della
censura. È
5) 1975-1992
È il periodo della consolidazione della letteratura africana. Molto importante è la fondazione
dell'associazione degli scrittori mozambicani (AEMO) perché, grazie a questa associazione, si
cominciano a pubblicare opere, sia in poesia che in prosa. La presenza di un associazione che da
impulso e sostegno alla pubblicazione delle opere fu fondamentale in questi anni.
6) 1992 – oggi
Fra questi scrittori è necessario ricordare Mia Couto (ancora in vita), Luis Carlos Patraquìm
(giornalista e poeta) la cui poesia abbraccia tutte le tematiche principali come l'identità, tematiche
nuove come il ruolo dello scrittore, l'amore, che in queste letterature è molto latitante (non era la
priorità di produzione letteraria). Ungulani Ba Ka Khosa (uno pseudonimo ronga per Francisco
Cosa) è noto soprattutto per un romanzo pubblicato nel 1987 che si intitola Ualalapi è uno dei
romanzi etno-storici più importante delle letterature africano-portoghesi contemporanee; è
dedicato alle vicende di un re Ngungunhane perché è stato il re che più ha resistito in maniera
decisiva alla colonizzazione fino alla fine del 1800. Il romanzo si sviluppa da diversi punti di
vista: da quello dei portoghesi, la visione ufficiale della storia coloniale; i commenti dell'autore, che
servono soprattutto a mettere in evidenza la parzialità dei documenti ufficiali; la finzione narrativa,
incentrata soprattutto attorno al personaggio Ualalapi. Questo romanzo è interessante perché unisce
elementi realistici e storici con altri che sono fantastici, leggendari, magici. C'è tutta la magia
dell'Africa, fatta di riti, incantesimi, credenze.
Va ricordata anche una delle poche scrittrici africane che ancora oggi pubblica libri, Pauline
Chiziane che è la prima donna africana ad aver pubblicato dei romanzi. La sua è una delle opere
più originali tra quelle contemporanee dell'Africa lusofona, anche perché è la prima volta in cui il
ruolo della donna nella società africana viene approntato in maniera completa e approfondita.
Trattare il ruolo della donna nella società africana, molto tradizionalista, patriarcale e gerarchizzata,
non è semplice; affronta tematiche dure, sconcertanti e a volte scomode. Lo fa in questo stile
molto leggero, molto fluente, un portoghese molto semplice; è un opera dove troviamo ancora
l'incrocio tra il mondo reale e la fantasia.
2 autori importanti nella letteratura africana sono José Craveirinha e Mia Couto, molto diversi
perché José era poeta, mentre Mia comincia a scrivere quando José era già morto quindi due
momenti del Mozambico molto diversi l’uno dall’altro.
José Craveirinha è considerato il poeta nazionale mozambicano, come Camoes per i portoghesi o
Dante per gli italiani. Nasce a Maputu nel 1922, dove muore nel 2003. Fu un autodidatta perché
frequentò la scuola solo fino alla 4 elementare. Come tutti gli intellettuali delle colonie, fu un po di
tutto, giornalista, politico, scrittore. A causa del suo impegno politico fu anche incarcerato dal 1965
al 1969 ma soprattutto fu un narratore e poeta. È stato il primo presidente dell'associazione
dell'AEMO e nella sua carriera ottenne molti premi letterari, il più importante nel 1991, il premio
Camoes, il più alto riconoscimento per un opera letteraria in Portogallo. Gran parte della sua
produzione è ancor inedita sebbene, della sua produzione, sia stato pubblicato comunque molto: nel
1980 uscì una raccolta delle sue poesie intitolata “Xigubo” (termine ronga che fa riferimento ad
una danza guerriera mozambicana); una raccolta in italiano, chiamata “Cantico ad un Dio di
Catrame”, fu pubblicata a Milano nel 1966, sempre a cura di Joyce Lussu, anche questa è un
edizione bilingue (it-pt) è un edizione importante perché molte delle sue poesie furono pubblicate
qui per la prima volta. Nel 1974 viene pubblicata una raccolta chiamata “Karingana Ua
Karingana” (significa “c'era una volta”); nel 1980 esce “Cela 1”; nel 1988 la raccolta “Maria”; nel
1991 una raccolta importante pubblicata a Venezia in una versione bilingue, chiamata “Voglio
essere Tamburo” (Quero ser tambor).
Ci presenta una produzione poetica molto vasta nella quale possiamo individuare 4 fasi:
1) Neo-realista
Una poesia caratterizzata per composizioni con versi molto brevi, composizioni, di per se, molto
brevi, come dei piccoli quadri che descrivono una scena, un luogo, e molto realistiche.
2) Negritudine
Fa parte la raccolta “Cantico ad un Dio di Catrame”, i versi si fanno più lunghi, le composizioni
più lunghe e il protagonista assoluto di questa fase è l'uomo nero, l'africano.
3) Mozambicanità (a moçambicanidade)
L'identità culturale
4) A Libertaçao (la liberazione)
comprende 2 tipi di poesie: quelle scritte nel periodo di prigionia (Cela 1) e quelle scritte in
ricordo della moglie morta, Maria.
In ogni caso, la sua poesia, è l'unica poesia veramente completa nel senso che tocca tutte,
TUTTE, le più importanti tematiche della letteratura africana. Dalla negritudine,
all'affermazione dell'identità nazionale, alla società, all'amore, alla liberazione. Lo fa con una
grandezza e maestria difficili da eguagliare, per questo viene considerato il poeta nazionale.
Alcuni dei suoi testi sono dei punti di riferimento della letteratura africana ancora oggi..poesie
Grito Nero, in Africa sono ancora oggi fondamentali per l'affermazione culturale. Testi come
Manifesto o Inno alla Mia Terra sono segno di un appartenenza culturale che ancor oggi rappresenta
la rivendicazione del nero. Ninguem o Quero ser Tambor, per la poesia di lotta.
Grido Negro
Io sono carbone!
E tu mi strappi brutalmente dalla terra
e fai di me la tua miniera, padrone.
Io sono carbone!
E tu mi accendi, padrone,
per servirti eternamente come forza motrice
ma eternamente no, padrone.
Io sono carbone
E devo ardere, si
bruciare tutto con la forza della mia combustione.
Io sono carbone;
devo ardere nello sfruttamento (nell'utilizzo)
ardere fino alle ceneri della maledizione
ardere vivo come il catrame, fratello mio,
fino a non essere più la tua miniera, padrone.
Io sono carbone.
Devo ardere.
Bruciare tutto con il fuoco della mia combustione.
Si!
Io sono il tuo carbone, padrone.
É un testo che entra nella tematica generale della negritudine, che si basa sul confronto
dell'uomo nero e del carbone, l'uomo nero, come il carbone, è nero; l'uomo nero, come il carbone,
è uno strumento per l'uomo bianco: una forza della natura, un elemento della natura. Sono
elementi di cui l'uomo bianco, brutalmente, si impossessa e che utilizza a suo piacimento senza
chiedere permesso. L'uomo nero che viene trattato come un oggetto. Ma l'uomo nero, esattamente
come il carbone, possiede un energia, un energia che arde tutto, che può trasformarsi in fuoco e
può diventare incontrollata e pericolosa per il suo utilizzatore.
La forza di questo testo sta molto nella risonanza fonetica, ad esempio il dittongo nasale che da
ritmo e intensità al testo, un testo estremamente semplice, il vocabolario è molto semplice, la
costruzione delle frasi anche, poiché riprese dal ritmo della quotidianità.
Manifesto è un testo di negritudine ma anche di forte rappresentazione nella cultura nazionale anche
grazie all'uso di termini che rimandano alla geografia e alla cultura africana.
Manifesto
[la capulana è un elemento importante della cultura africana, è il nome dato in mozambico ai teli
colorati che ogni donna mozambicana possiede; lunghe stoffe sempre molto colorate, le cui fantasie
e colori determinano spesso la provenienza della donna. Questi lunghi teli che diventano vestiti e
coprirle dalla testa ai piedi, è un elemento importante.]
Ah!
il fuoco Oh! il mio petto della tonalità più bella della pece
la luna e appeso all'embondeiro della nostra inaudita
il sudore che fa maturare il miglio speranza
la grande sorella acqua dei nostri fiumi il totem più invincibile il totem del mondo
mozambicani e la mia voce .. degli uomini di Tanganhica,
e il porpora nascente nel bordo azzurro dei seni dal Congo, Angola, Moçambique e Senegal.
delle montagne.
Ah! Un altra volte capo zulu
Ah! Madre Africa nel mio volto scuro di io azagaia banto
diamante e lanciatore di malefici contro...
di belle e larghe narici maschie
frementi che respirano l'odore delle foreste Io tamburo
e le tatuate ballerine macondes (tribù) Io suruma (varie etnie)
nude Io negro swahili
nella barbara meraviglia ritmica io Tchaca
delle sensuali anche pure e nel battere all'unisono …
dei mille piedi scalzi.
Ninguém è una poesia di forte critica sociale, essendo molto breve, è più un bozzetto basato sulla
denuncia di un omicidio, quello commesso dall'uomo bianco sull'uomo nero e sull'esaltazione,
sulla valorizzazione dell'uomo nero, il tutto permeato da un ironia molto amara.
Ninguém
Impalcature
Fino al quindicesimo piano
Del moderno edificio di cemento armato
Il ritmo
Delle foreste dei ferri eretti
Architettonicamente in aria
E un passante curioso
Che chiede:
– è già caduto qualcuno dalle impalcature?
Il brusio in pausa
dei motori degli oli pesanti
e la tranquilla risposta del signor imprenditore:
– Nessuno. Solo due neri.
Quero ser Tambor è una delle poesie più conosciute e diffuse; in questa poesia il tamburo interpreta
vari valori simbolici. Il tamburo, nelle culture africane, è un mezzo di comunicazione e di
diffusione di un messaggio, per esempio alcuni suoni di tamburo potevano indicare l'inizio di una
cerimonia o la guerra. In quanto elemento di comunicazione, egli lo utilizza come metafora della
poesia, anch'essa mezzo di comunicazione.
[In questi versi l'Io lirico rivendica il suo diritto di essere mozambicano, l'immagine del tamburo
diventa il simbolo dell'uomo mozambicano → diventare tamburo = diventare mozambicano;
vedere nel tamburo questo elemento simbolico dell'essere mozambicano permette 2 letture:
1) strumento utilizzato nelle guerre come richiamo → non solo in Africa → Quindi i versi
andrebbero interpretati come un invito alla guerra contro lo sfruttamento coloniale.
2) Strumento utilizzato anche nei riti di iniziazione di qualsiasi tipo → potremmo dare una
lettura più positiva ai versi, cioè il voler essere tamburo significa essere aperto ad ogni rito
di iniziazione quindi il passaggio ad una nuova fase.
Qualunque sia l'interpretazione, c'è comunque il tema centrale della comunicazione. Il tamburo
annuncia comunque una trasformazione che sia guerra o un iniziazione, una possibilità di
cambiamento]
Nemmeno niente!
[In questi versi l'Io lirico nega la volontà di essere fiore, fiume e poesia, quindi nega l'apparente
stabilità del sistema coloniale e, implicitamente a questa rinuncia, denuncia anche le ingiustizie
sociali attraverso la ripetizione della parola “disperazione”; ribadendo queste immagini positive
che lui nega fa parte di un contesto di angoscia, disperazione. La poesia è costruita secondo una
musicalità che ricorda molto quella del tamburo. Un'altra tematica è ovviamente quella della
negritudine].
QUERO SER TAMBOR: Valorizzazione degli elementi della “minha terra”, l’Africa. Le immagini
mostrano un Indurimento delle persone. Il tamburo elemento simbolico e richiamo ad una lotta.
“por em quanto” idea di riprendere la lotta ma non ora perché ora non è il momento giusto per farlo.
C’è tuttavia il desiderio di salvarsi e di recuperare la mozambicanità rubata dal sistema
coloniale. La voglia di riscattare tutto quello che è mozambicano passa attraverso le tradizioni e
attraverso i riti tipici; la realizzazione di trasformarsi in tamburo non dipende dall’IO – LIRICO ma
da una forza esterna, cioè in qualche modo il poeta chiede il permesso a Dio di essere tamburo, e
chiedere il permesso a una forza esterna, a qualcosa di superiore significa che c’è qualcosa che gli
impedisce di esserlo naturalmente, gli impedisce di essere libero perché vive in uno stato di
sottomissione. Craveirinha esprime in questi versi un desiderio di liberarsi dall’oppressione
coloniale dando ai suoi versi il tuono forte e rimbombante dei tamburi, suona il tamburo che in
quanto simbolo della mozambicanità diventa simbolo di un intera comunità che non poteva essere
quello che avrebbe potuto essere.
In questa poesia il poeta riprende la tematica del collegarsi alla tradizione tipica africana fatta di
rituali, di spiriti, di anatemi, di lanciatore di malefici. L'autore qui indica una serie di etnie presenti
in Mozambico.
Mia Couto
Mia Couto è nato nel 1955 a Beira ed è uno degli scrittori più prolifici, ha pubblicato
numerosissime opere soprattutto in prosa; i suoi generi sono racconto, romanzo e cronache sebbene
il suo esordio in letteratura sia avvenuto in poesia infatti la sua prima opera è una raccolta poetica
dell’1982. È uno degli autori africani di lingua portoghese più tradotti nel mondo, in tantissime
lingue. La prima opera in prosa è dell’1986 ed è una raccolta di racconti intitolata “Vozes
Anoitecadas”, tradotto in italiano “Voci all’Imbrunire”; importante è anche “Terra sonambula”,
dell’89 invece abbiamo “Vinte e Zinco”. Il suo scrivere è particolare perché gioca con le parole,
per es. il titolo “Vinte e Zinco” ha due “allegorie”: 25 era un giorno importante per i portoghesi per
l’indipendenza e “zinco” perché le case dei poveri erano fatte di zinco. Altro romanzo importante è
“O Ultimo Voo do Flamingo” che è un romanzo intraducibile per la complessità di giochi di parole
e la sua ultima opera è del 2012 “A Confessao da Leoa”.
Ogni parola che lui inventa c’è un piccolo mondo dietro, un piccolo messaggio. Non solo
prefissa parole o ne usa di già prefissate, ma per esempio opera un’elisione di uno dei prefissi che
occupa la parola, esempio:
● “DES/CAMINHAR” in portoghese troviamo “ DESENCAMINHAR” cioè ha tolto un prefisso, il
prefisso EN.
Quelle di Couto sono creazioni sue, non si rifanno ad una realtà oggettiva, è particolare non solo
perchè sono creazioni imprevedibili quindi il lettore non può prevedere il significato della parola,
ma anche perché le Brincriaçoes mancano di una trasparenza formale, le parole vengono
coordinate in maniera del tutto singolare; è questo che la reso famoso in tutto il mondo, la
particolarità della sua lingua.
Usa anche TRONCAMENTI DELLE PAROLE , e anche questi troncamenti non sono unità
morfologicamente riconoscibili, le tronca in base al suo piacimento senza che ci sia una regola e
anche l’utilizzo del termine neologismo non sarebbe completamente esatto perché non da vita a
parole completamente nuove, ma modifica parole che esistono già. Parole che contengono in sé
quasi delle piccole storie, sono necessarie 3 o 4 parole per spiegare quello che lui dice con una
sola parola. Esempio:
● “AGRA/DADIVA” : DADIVA = DONO, REGALO AGRADAVEL = GRADEVOLE → UN
REGALO GRADITO CAPRETROTTAVA (non si può tradurre con una sola parola in italiano); qui
lui tronca due sillabe della prima parola, tronca “DAVEL”.
Ci sono dei casi di Brincriaçoes in cui non finiscono per subire un troncamento e in questi casi
possiamo parlare di fissazione, esempio:
● “ILUAMINADOS” ILUMINADOS + LUA. LUA è inserita nella parola ILUMINADOS =
ILLUMINATI DALLA LUNA. ;
Negli anni '60 cominciarono i primi gruppi di liberazione; nel 1960 naque il Comitado de
libaração de São Tomê (CLSTM) che nel '72 divenne CLSTP (São Tomê e Principe). con la
Rivoluzione dei Garofani si pose fine al Salazarismo e ci fu un movimento di liberazione delle
colonie e un momento di transizione tra la fine e L'Indipendenza del 12 luglio 1975.
Dopo di ciò, il potere venne preso in mano da un governo socialista a partito unico, che elesse
come leader Manuel Pinto Da Costa; la carica gli venne riconfermata anche alle elezioni del 1985
(sempre a partito unico). Le prime elezioni democratiche multipartito si ebbero solo nel 1991 e
vennero vinte da un partito di opposizione, il PCD (Partito di Convergenza Democratica).
Il principale problema delle isole post indipendenza era l'economia, che faticava a riprendersi e ciò
portò a disordini sociali e a problemi di stabilità governativa fino ad arrivare a dei colpi di stato da
parte dei militari.
2011: venne rieletto presidente Manuel Pinto Da Costa.
La capitale oggi è São Tomê e la popolazione è per la maggior parte meticcia; questo fatto ha
portato allo sviluppo di ben 3 lingue creole:
– il forro creolo di São Tomé;
– il creolo di Principe;
– il creolo degli angolares.
Sebbene la lingua ufficiale rimanga il portoghese europeo, parlato nelle aree urbane.
Gli unici due esempi di autori di prosa furono Alves Preto e Sum Marcky (“No altar da lei” del
1962, fu il 1° romanzo).
La narrativa fu così poco produttiva nelle isole perché l'alfabetizzazione era bassa (pubblico di
lettori inesistenti) e perché per pubblicare serviva una casa editrice disposta a investire (come quelle
portoghesi) ma con quelle locali era possibile pubblicare solo poche copie quindi la possibilità di
circolazione delle opere era molto bassa.
Infine tra gli angolares si ricorda Fernando De Macedo: la sua opera è molto importante perché
rappresenta una parte significativa della popolazione delle isole.