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La classificazione degli antiepilettici è su base chimica.

Si distinguono:
- le idantoine (come la fenitoina);
- gli iminostilbeni (come la carbamazepina);
- i barbiturici (fenobarbital e secobarbital);
- le succinamidi (l’etosuccimide);
- l’acido valproico;
- le benzodiazepine;
- altri agenti di più recente introduzione (cioè introdotti circa 20 anni fa)

IDANTOINE – FENITOINA
La fenitoina è un farmaco “storico”, assolutamente efficace. È il composto a struttura idantoinica
più usato. Esercita la sua azione antiepilettica attraverso il blocco dei canali del Na+ voltaggio-
dipendenti nello stato inattivato ritardando di fatto l’insorgenza del potenziale d’azione e quindi
impedendo le scariche patologiche, sincrone e ritmiche.

Le caratteristiche farmacocinetiche della fenitoina rappresentano per certi aspetti un punto di


debolezza. Innanzitutto la fenitoina presenta un alto legame con le proteine plasmatiche (circa 90-
95%): questo significa se viene assunto un altro farmaco in associazione che ha anch’esso un’alta
affinità con la fenitoina, questa può essere spiazzata e si possono determinare degli effetti da
sovradosaggio (perché la parte legata è stata spiazzata ed è resa disponibile per l’attività).
Infatti farmaci come il fenilbutazone e i sulfonamidici possono spiazzare la fenitoina dal suo sito di
legame con conseguente aumento della quota di farmaco libero.

Un altro aspetto da attenzionare è il metabolismo: la fenitoina è un potente induttore metabolico


quindi aumenta l’attività del CYP2C9, del CYP2C10 e del CYP3A4 (i citocromi maggiormente
utilizzati per il metabolismo dei farmaci). Questo significa che l’associazione di altri farmaci
metabolizzati dagli stessi citocromi può determinare una riduzione delle concentrazioni del
farmaco in associazione per cui queste potrebbero essere troppo basse per sortire l’effetto.
Inoltre non è da sottovalutare il rischio di alta variabilità individuale per differenze cinetiche nel
metabolismo da polimorfismi di CYP2C9.

Per quanto riguarda le cinetiche di metabolismo ed eliminazione  i farmaci e anche i composti


xenobiotici vanno incontro a cinetiche di metabolizzazione di tipo 01: si tratta di una cinetica
lineare, tanto prodotto viene assunto quanto ne viene metabolizzato. La fenitoina invece ha
cinetiche di metabolismo ed eliminazione di ordine 0, quindi la cinetica è saturabile: l’emivita è
variabile in virtù delle concentrazioni. Il farmaco viene disattivato e poi quando gli enzimi sono
tutti saturati, continua a rimanere attivo in circolo. Questo rappresenta un punto di debolezza per
un eventuale sovradosaggio della fenitoina.
Trattamenti prolungati corrispondono allo sviluppo di tolleranza e inoltre si può verificare una
diminuzione del legame con le proteine plasmatiche in presenza di malattie renali.
USI TERAPEUTICI La fenitoina è utilizzata tuttora, anche se non è il farmaco di prima scelta, nel
trattamento delle epilessie parziali e tonico-cloniche generalizzate. Il suo impiego up to date è la
terapia d’urgenza dello stato di male epilettico. Bisogna però fare molta attenzione perché la via di
somministrazione endovenosa e, talvolta, le eccessivamente elevate concentrazioni di fenitoina
utilizzate possono portare a pericolose aritmie. I canali del sodio cerebrali presentano una grande
affinità con i canali del sodio a livello cardiaco quindi certamente le aritmie possono essere un
effetto collaterale particolarmente grave. Ad esso si correla ipotensione e depressione importante
del sistema nervoso centrale. Quindi è necessario che nella gestione del male epilettico ci possa
essere un controllo, un monitoraggio attento della funzione cardiaca, circolatoria, cerebrale oltre
che respiratoria (e quindi la possibilità di ventilazione).
La TOSSICITà è legata al sito di azione quindi è una tossicità cerebrale.
A concentrazioni terapeutiche si registra una tossicità a livello vestibolare e cerebellare con
conseguenti atassia, nistagmo, diplopia e vertigini.
Possono esserci effetti di tossicità diversi:
- Iperplasia gengivale per alterazione del metabolismo del collagene;
- irsutismo;
- neuropatie periferiche;
- alterazioni del metabolismo del calcio che possono provocare una riduzione della
calcificazione ossea e quindi aumento del rischio di fratture;
- Disconfort gastrointestinale è una delle manifestazioni più frequenti (in comune con l’acido
valproico);
- Effetto teratogeno: l’assunzione di questi farmaci in gravidanza è controindicato perché in
un cerebro in formazione la fenitoina supera la barriera emato-placentare e provoca degli
effetti sul feto.

Le interazioni farmacologiche della fenitoina:


 antiacidi, antiblastici, sucralfato e vigabatrin riducono l’assorbimento e quindi le concentrazioni
plasmatiche di fenitoina;
 L’amiodarone, la ticlopidina, l’isoniazide, il cloramfenicolo, antimicotici (miconazolo,
fluconazolo) e diazepam: aumentano i livelli plasmatici di fenitoina (soprattutto gli antimicotici
che sono degli inibitori metabolici);
 L’acido valproico può spiazzare la fenitoina dalle proteine plasmatiche (la concentrazione
plasmatica totale diminuisce, ma quella libera totale rimane costante) per cui la dose non deve
essere aumentata;
 I contraccettivi orali in presenza di fenitoina possono ridurre la loro efficacia in quanto vengono
metabolizzati più rapidamente. Quindi l’associazione è dannosa più che altro per l’efficacia dei
contraccettivi orali.
 In associazione al fenobarbital aumentano le concentrazioni plasmatiche di fenobarbital.

Domanda: se i farmaci come per esempio i sulfamidici spiazzano la fenitoina dal legame con le
proteine plasmatiche perché aumenta la quota libera? Non dovrebbe verificarsi lo stesso
meccanismo descritto per l’acido valproico, cioè una diminuzione della quota plasmatica totale
mentre la quota libera rimane costante?
Se si somministra un farmaco che determina solo lo spiazzamento, la quota di farmaco libera non
aumenta. L’acido valproico invece è un inibitore metabolico e quindi oltre a spiazzare la fenitoina
ne rallenta il metabolismo.

IMINOSTILBENI
La CARBAMAZEPINA è una sostanza con una elevata plasticità di utilizzo, è uno degli antiepilettici
più usati. Anch’essa come la fenitoina blocca i canali del Na+ voltaggio-dipendenti nello stato
inattivato e quindi inibisce la scarica ripetitiva di potenziali d’azione.
La carbamazepina come la fenitoina è un induttore metabolico e viene metabolizzata ad un
composto attivo, chiamato 10,11-eposside-carbamazepina, responsabile di circa il 50% dell’attività
della carbamazepina.

La carbamazepina è il farmaco di scelta nel trattamento delle crisi parziali e nelle crisi tonico-
cloniche ma viene utilizzato anche come farmaco stabilizzante dell’umore nel disturbo bipolare.
Quest’ultimo è una forma di depressione nella quale momenti di mania si alternano a momenti di
calo dell’umore; si chiamava un tempo sindrome maniaco-depressiva proprio a indicare questa
alternanza di “alti e bassi”.
La carbamazepina viene adoperata anche nel trattamento della nevralgia del trigemino e del
glossofaringeo, un disturbo che affligge non soltanto soggetti avanti nell’età ma anche un po’ più
giovane per ragioni legate a vulnerabilità o esposizione a stimoli come il vento, il freddo, ecc.
La carbamazepina in questo caso risulta efficace anche a concentrazioni non troppo basse (perché
più o meno si utilizzano 400-600 mg, che sono analoghe alle concentrazioni utilizzate per la terapia
anticomiziale).

La tossicità della carbamazepina è assimilabile a quella di tutti questi farmaci che deprimono le
correnti del sodio. Per quanto riguarda la tossicità a livello del SNC si manifestano sonnolenza,
vertigini, atassia, diplopia, visione offuscata (questa è caratteristica della c. più che della fenitoina);
per l’effetto paradosso a concentrazioni più alte invece della sonnolenza, si può manifestare
iperirritabilità e convulsioni fino al coma con depressione respiratoria.
Sono stati registrati rarissimi casi di anemie aplastiche e agranulocitosi, reazioni da ipersensibilità
(reazioni cutanee, eosinofilia, linfoadenopatia, splenomegalia).
Sono effetti che bisogna riconoscere e che sono tutti in linea di massima dose-dipendenti.
Sono stati segnalati anche casi di grave tossicità epatica e pancreatica in soggetti particolarmente
vulnerabili.
Altri effetti molto importanti che dipendono dalla cronicità del trattamento e dalle concentrazioni
plasmatiche raggiunte: la ritenzione idrica, la riduzione dell’osmolalità e iponatriemia. Quindi
potrebbe essere compromessa anche la funzione cardiaca.

Interazioni farmacologiche: fenobarbital, primidone e fenitoina diminuiscono le concentrazioni; i


macrolidi (che sono inibitori metabolici) aumentano i livelli ematici di carbamazepina; il resto
invece riguarda le attività della c. come induttore metabolico.
OXCARBAZEPINA
Una sostanza del tutto analoga alla carbamazepina è l’oxcarbazepina. Funziona come pro farmaco,
infatti viene rapidamente convertito nel suo metabolita attivo, 10-monoidrossi derivato.
Il suo meccanismo d’azione è simile a quello della carbamazepina. Tuttavia rispetto ad essa questo
farmaco ha una minore potenza e una minore tendenza a determinare farmacoinduzione,
determina interazioni farmacocinetiche in misura minore e quindi da un punto di vista di
maneggevolezza è sicuramente migliore rispetto alla carbamazepina.
L’incidenza delle reazioni di ipersensibilità è minore rispetto alla carbamazepina ma gli effetti
collaterali sono simili.

BENZODIAZEPINE E BARBITURICI

Benzodiazepine e barbiturici agiscono sul recettore GABAergico.


Il GABA agisce all’interfaccia tra la subunità α/β; le benzodiazepine tra α e γ; invece i barbiturici
agiscono sulle transmembrane domain (TMD) e quindi all’interno del canale del cloro: in questo
fissano il potenziale di membrana al potenziale di equilibrio del cloro (-70 mV) e rendono più
difficoltoso l’insorgenza del potenziale d’azione amplificando l’effetto di inibizione da parte del
GABA.

Le benzodiazepine: aumentano la frequenza di apertura del canale, aumentano l’affinità del GABA
per il suo sito di legame.
I barbiturici facilitano anch’essi l’attività del GABA però hanno la capacità di legarsi nel poro,
attivano direttamente l’apertura del canale, determinano un aumento nella durata dell’apertura
del canale e hanno anche un effetto, a concentrazioni farmacologiche, di aumento dell’affinità del
GABA per il suo sito di legame.

Al contrario dei barbiturici, le benzodiazepine non causano nessun effetto in assenza di GABA.
Negli studi clinici di fase 1 una delle principali caratteristiche di una farmaco, prima ancora di
dimostrare la sua efficacia, è il Safety profile.
Il safety profile delle benzodiazepine deriva dalla natura autolimitante della depressione da loro
indotta proprio perché questo richiede il rilascio di GABA. Al contrario invece i barbiturici ad alte
dosi attivano il recettore GABA e causano profonda depressione del SNC.

Dosi elevate di farmaci sedativo-ipnotici inducono depressione del SNC che può giungere fino al III
stadio dell’anestesia generale; infatti i barbiturici possono anche essere utilizzati nell’induzione
dell’anestesia.
Nel grafico per ciascun farmaco diverso sono indicate le concentrazioni in rapporto all’effetto: il
triazolam è una benzodiazepina a breve emivita utilizzata come ipno-induttore; il pentobarbital è
invece un barbiturico che determina un effetto massimo (può determinare coma e morte).

I BARBITURICI
I barbiturici fino agli anni ’60 erano i composti sedativo-ipnotici più utilizzati. Vengono inclusi nella
famiglia dei tranquillanti minori per differenziarli dai neurolettici (tranquillanti maggiori). Da allora
il loro uso è enormemente diminuito (indice terapeutico inferiore alle benzodiazepine, minor
profilo di sicurezza, maggior tendenza all’abuso, inducono più facilmente tolleranza).
Hanno una rilevanza dal punto di vista sedativo-ipnotico-ansiolitico molto bassa e ad oggi vengono
utilizzati solo in casi particolari come ad esempio nel trattamento delle crisi di astinenza di etilisti
cronici per ridurre l’eccitabilità neuronale. Quindi si sfrutta il loro effetto sedativo piuttosto che
quello ipnotico.
Attualmente vengono utilizzati come anestetici per via endovenosa (penthotal sodium) oppure
come antiepilettici.

Sulla base della sostituzione delle varie catene, i barbiturici possono essere distinti in:
1) ossibarbiturici (ossigneo in C2), idrosolubili, caratterizzati da inizio d’azione lento proprio
perché sono particolarmente idrofili; hanno emivita e durata d’azione prolungata;
2) tiobarbiturici (zolfo in C2) sono più liposolubili con azione rapida, durata d’azione breve e
metabolismo lungo; sono quelli utilizzati nell’anestesia.
Quindi i barbiturici ad azione prolungata (> 6 ore): sono tutti ossibarbiturici con azione
anticolvulsivante.

In particolare il FENOBARBITAL presenta maggiore attività antiepilettica a dosi che non causano
sedazione. Se così non fosse non si potrebbe mai utilizzare come antiepilettico perché
significherebbe sedare il soggetto quando invece deve svolgere le sue normali attività quotidiane.
Il fenobarbital ha un’attività che varia di intensità a seconda della dose. L’attività antiepilettica si
può raggiungere senza che venga raggiunta la dose che causa sedazione.

Il meccanismo d’azione del fenobarbital consiste nel prolungamento della durata media di
apertura del canale del cloro. Come la fenitoina e la carbamazepina, anche i barbiturici sono degli
induttori enzimatici importanti e quindi aumentano il metabolismo degli altri farmaci.

Il fenobarbital è efficace nel trattamento delle epilessie parziali e tonico-cloniche generalizzate. È


spesso utilizzato per trattare qualunque tipo di convulsione. Nel bambino possono essere presenti
effetti sedativi e disturbi comportamentali, soprattutto se la terapia viene prolungata per molto
tempo o se il dosaggio è eccessivamente elevato. Quindi in questi casi bisogna fare molta
attenzione se il barbiturico rimane l’unica alternativa possibile.

La tossicità è legata all’effetto sedativo e quindi alla sonnolenza ma in alcuni bambini si può al
contrario manifestare iperattività per l’effetto rimbalzo. Ha un effetto teratogeno.
Esiste un analogo strutturale, il primidone, un profarmaco che viene metabolizzato a fenobarbital.
I side effects dei barbiturici
I barbiturici presentano tolleranza farmacodinamica che ha una permanenza prolungata (dura da
settimane a mesi) e farmacocinetica (da pochi gg a una settimana).
Gli effetti indesiderati riguardano diversi organi e apparati:
- apparato respiratorio: depressione dello stimolo respiratorio, dei meccanismi responsabili della
ritmicità, diminuzione stimolo neurogeno (a concentrazioni 3 volte superiore al dosaggio
farmacologico). Quindi bisogna fare attenzione al dosaggio perché si potrebbe andare incontro a
depressione respiratoria importante soprattutto in soggetti predisposti che già hanno patologie
dell’albero bronchiale, una storia di BPCO, che hanno una vulnerabilità in tal senso.
- s. cardiovascolare: per os determinano riduzione della pressione arteriosa mentre per via
endovenosa si ha inibizione della trasmissione gangliare; a dosi elevate si verificano diminuzione
del flusso renale e cerebrale.
A tal proposito nella lezione precedente si è parlato della gestione del paziente intossicato da
benzodiazepine e dell’utilizzo del flumazenil. Il flumazenil non ha effetti indesiderati però è molto
importante la caratterizzazione del paziente cui viene somministrato. Se è presente insufficienza
respiratoria si aiuta il paziente con la respirazione di supporto e uno dei criteri utilizzati per
differenziare l’intossicazione da benzodiazepine da quella da barbiturici è proprio l’effetto sulla
pressione arteriosa: le benzodiazepine hanno un blando effetto relativamente a questo aspetto
mentre il barbiturico può determinare una riduzione importante della pressione arteriosa perchè
si verifica un’inibizione della trasmissione gangliare quando la somministrazione è per via
endovenosa.

Inoltre esistono degli effetti postumi che comprendono depressione del SNC, compromissione del
giudizio e dei riflessi, motivo per cui deve essere assolutamente impedita la guida ai soggetti che
fanno utilizzo di barbiturici.

L’intossicazione da barbiturici avviene a una dose 10 volte superiore alla dose ipnotica; può
manifestarsi respiro lento (questa è una caratterizzazione che potrebbe aiutare a fare diagnosi
differenziale), oppure un respiro rapido e superficiale, una riduzione della pressione che si
accompagna a una riduzione della gittata cardiaca per riduzione della contrattilità. Inoltre possono
verificarsi complicanze polmonari. Molto spesso questi pazienti vanno in shock ipovolemico e in
questi casi bisogna intervenire tramite idratazione supplementare e poi potenziare la funzione
cardiocircolatoria con la dopamina. Quest’ultima va a stimolare i recettori β1 cardiaci in maniera
molto selettiva e non determina un’eccessiva vasocostrizione periferica perciò può consentire la
idonea perfusione di tutti i tessuti.

Posologia del fenobarbital negli adulti e nei bambini  si preferisce la somministrazione per os
perché il farmaco viene metabolizzato per via epatica mentre quando viene introdotto per via
intramuscolo sia le benzodiazepine sia i barbiturici hanno invece un assorbimento piuttosto
irregolare.
SUCCINAMIDI – ETOSUCCIMIDE
L’etosuccimide è il farmaco di prima scelta nel trattamento delle assenze.
Inibisce i canali del calcio voltaggio-dipendenti di tipo T nel neurone di ritrasmissione talamico.
Come abbiamo visto, il talamo gioca un ruolo fondamentale nella genesi dei complessi punta-onda
a 3 Hz tipici delle assenze.
L’etosuccimide può essere somministrato in monoterapia e solitamente è piuttosto efficace.
Qualora non fosse possibile il controllo della patologia con etosuccimide in ionoterapia, si può
associare l’acido valproico che ha anch’esso un effetto sui canali del calcio di tipo T.
Un’associazione del genere però determina una diminuzione della clearence perché l’acido
valproico è un inibitore metabolico e quindi aumentano le concentrazioni di etosuccimide: bisogna
stare attenti al possibile sovradosaggio.

La tossicità è più che altro gastrointestinale con conseguente diarrea, nausea, vomito. Possono
verificarsi anche disturbi a carico del SNC (vertigini, cefalea, letarga) e varie alterazioni
ematologiche, che si presentano in maniera piuttosto sporadica.

ACIDO VALPROICO
L’attività anticonvulsivante dell’acido valproico è riconducibile a meccanismi d’azione multipli:
 inattivazione dei canali del Na+ voltaggio-dipendenti;
 inibizione dei canali del calcio voltaggio-dipendenti di tipo T;
 potenziamento della trasmissione GABAergica per interferenza con il metabolismo del
GABA:
- stimolazione dell’enzima GAD, cioè l’enzima biosintetico responsabile della formazione
del GABA a partire dal glutammato;
- inibizione della GABA transaminasi;
- inibizione di GAT-1.
 Inoltre aumenta la conduttanza al potassio: le correnti iperpolarizzanti al potassio vengono
promosse;
 Inibisce la trasmissione glutammatergica, sebbene non si conosca esattamente il
meccanismo con cui questo effetto si esplicita.

È un inibitore metabolico e presenta un alto legame farmacoproteico, motivo per il quale può
andare incontro a aumenti nella quota di farmaco libero.

Gli usi terapeutici sono molteplici: è utilizzato nelle epilessie parziali e in quelle generalizzate
(dalle assenze alle crisi tonico-cloniche). Inoltre l’acido valproico, così come la carbamazepina, può
essere utilizzato come stabilizzante dell’umore nell’alternanza tra episodio maniacale ed episodio
depressivo.

L’acido valproico presenta principalmente una tossicità gastrica con conseguenti anoressia,
nausea, vomito, dolori addominali e pirosi. Questa è la sintomatologia classica iniziale della
tossicità da acido valproico. Quando poi le concentrazioni si fanno più alte o la terapia viene
prolungata, possono subentrare sedazione, atassia e tremore. Sono chiaramente effetti dose-
dipendenti. Occasionalmente in soggetti particolarmente vulnerabili si potrebbe avere piuttosto
che anoressia aumento di peso, aumento dell’appetito e perdita dei capelli.

Esiste poi una tossicità di tipo idiosincrasico e in particolare epatotossicità: epatite fulminante con
steatosi microvescicolare (è presente in una bassa percentuale di soggetti).

L’effetto teratogeno dell’acido valproico può provocare a spina bifida, anormalità cardiovascolari,
orofacciali e digitali. Per questo l’acido valproico è da abolire/interrompere in tutti quei casi in cui
la paziente desidera o potrebbe intercorrere in una gravidanza. Il farmaco va sostituito e c’è la
possibilità di intervenire con una molecola più moderna, analoga per certi aspetti all’acido
valproico, che è il topiramato.

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