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Epicuro libera l’umanità dalla religio
All’inno a Venere, proemio dell’intera opera, si accosta un altro proemio solo del
libro primo: il primo elogio di Epicuro esaltato come colui che ha liberato il genere
umano dall’oppressione della religione, la religio che nel lessico lucreziano
diventa sinonimo di superstitio, che spinge a compiere delle mostruosità. Lui
cerca di dimostrare come la religione non si nulla di pio per l’umanità se è tale da
spingere a compiere mostruosità, come l’uccisione di esseri umani. Epicuro non
era per i suoi discepoli solo un filosofo e tale non è per Lucrezio. Era una specie di
benefattore dell’umanità: un eroe incivilitore. Una sorte di Prometeo, colui che
rubò il fuoco agli dèi donandolo agli uomini. Nel caso di Epicuro il dono non è
materiale: è la liberazione delle menti degli uomini dalle superstizioni. Colui che
per primo si è opposto alle empie superstizioni della religio ingaggiando una
battaglia epica con lei. Lucrezio lo rende qui infatti come un coraggioso guerriero
epico che sfida un nemico temutissimo. Questo motivo encomiastico svolto con
toni ispirati, grande ardore, non è un’invenzione propria: in generale nei circoli
epicurei, Epicuro era visto come un profeta, divinità. Questo modo di celebrarlo
dunque appartiene allo spirito settario dei giardini, dei kepoi, i quali il 20 di ogni
mese lo onoravano come un eroe, proprio un giorno in suo onore. Lucrezio non ha
di sana pianta inventato questi temi ma si è ispirato ai toni celebrativi dei circoli
epicurei. In questo passo Epicuro è celebrato con un tono trionfale, definito
“victor”, vincitore. Lui ha ingaggiato questa dura battaglia con la religione e ne è
tornato vincitore con la sua filosofia e la sua dottrina fisica che non parla di false
credenze o invenzioni bensì,lucidamente, di una realtà dicendoci cosa può
nascere e cosa no: il potere delle cose. Questa espressione “refert nobis victor”(v
75) apparteneva al linguaggio ufficiale romano usato per indicare i generali
romani tornati vittoriosi dopo le battaglie. Epicuro come un vincitore torna dalla
battaglia con un bottino di dottrina che illumina le menti dell’umanità e le salva.
Lucrezio insiste sul primato epicureo: nei versi 66 e 67. Ribadisce che fu il primo a
sfidare la reliogione appellandolo con l’aggettivo primum e primusque. La storia
dell’umanità trova dunque uno spartiacque con la nascita della dottrina epicurea.
Prima di lui gli uomini sono assopiti sotto superstizioni e false credenze della
religione che non permettono loro di ragionare. Questo velo dunque viene
squarciato da questo eroe che dona, grazie al suo coraggio, la possibilità di vedere
la verità,a tutti gli uomini. Le religione è rappresentata come qualcosa che
incombe, che opprime l’umanità. Ausus est (verbo audeo, audere - semi
deponente- osare), lui osò innalzarsi contro la religio. E’ importante il valore
etimologico dei termini: il termine religio d el verso 63 ha un valore dispreggiativo
equivalso a s uperstitio, derivato da supersum-superesse, stare sopra, incombere.
Le credenze sono definite fama deum, favole degli dèi. Il tono è ispirato, di chi si è
finalmente aperto ai segreti della vita cui allude con due grandi metafore: ai versi
70-71 a rta clausta, le porte sbarrate dell’universo che lui per primo spalancò, e i
flammantia moenia mundi, la cintura di fuoco che circondava la terra, secondo le
nozioni astronomiche dei tempi. Epicuro è colui che si spinse oltre queste. Con
una gradatio ascendente, viene descritto mentre spalanca le porte della natura, le
varca vittoriosamente e infine percorre con la mente e con l’anima, l'immensità
dell’universo. L’umanità è rappresentata come una che giace (iaceret) sotto
l’oppressione della religio tradizionale. Usa però il verbo t ollo, alzarsi contro per
indicare il suo gesto eroico. Di questo filosofo si sottolinea il coraggio non solo per
il suo essere primo ma con l’ardore del suo gesto, “ausus est”, con cui osò
affrontare la battaglia. Dopo averlo esaltato con toni trionfali, Lucrezio introduce
un’altra argomentazione molto stringente e logica: come spesso avviene nei
saggi, si previene la critica che può essere mossa da lettori e nemici ideologica.
Lui sa che un discorso simile potrebbe stimolare accuse di empietà che previene
dimostrando che essa sarebbe in realtà rivolta alla stessa religio, piuttosto che alla
filosofia, e non solo: lui stesso la getta. La religio è empia poichè a causa sua
l’umanità si è macchiata di crimini mostruosi come ad esempio il sacrificio di
Ifigenia. Agamennone deve andare a Troia a capo di tanti eserciti greci però deve
consultare la volontà degli dèi che secondo la religione antica si esprimevano
attraverso segni. Allora Agamennone viene indotto a propiziare il proprio viaggio
con un sacrificio umano, molto frequente ai tempi, addirituttura con l’uccisione
della sua stessa figlia Ifigenia o Ifianassa. Questo sacrificio avrebbe pacificato e
gratificato gli dèi. Epicuro si leva contro queste usanze della religio classica.
Quindi non è la filosofia epicurea ad essere empia e scellerata piuttosto lo è la
religio responsabile di delitti efferati.