In seguito, recitate alcune orazioni — dette « segrete », perché
pronunciate a voce bassa, — il celebrante incomincia il canone, che è il punto centrale della Messa. Il canone è introdotto con il « prefazio», breve dialogo tra il sacerdote ed il ministro, nel quale si loda Gesù, che sta per scendere sull’altare, ripetendo le parole trionfali con cui le turbe l’acclamarono all’ingresso di Gerusalemme: « Benedetto colui che viene nel nome del Signore! » Dopo alcune preghiere per la Chiesa militante sulla terra e specialmente per il Romano Pontefice, per il vescovo, per i fedeli, per coloro che assistono alla Messa, per coloro che vennero raccomandati alle sue orazioni e per coloro per i quali la Messa è applicata, e dopo invocata l’intercessione di Maria e dei Santi, che formano la Chiesa trionfante, il celebrante arriva alla consacrazione. In quel momento, assumendo la personalità del Signore, il celebrante, ad imitazione di Gesù Cristo nel cenacolo, prende l’ostia fra le dita, alza gli occhi al cielo, poi, profondamente curvo sull’altare, pronuncia le parole che compiono il grande miracolo. Poi adora inginocchiandosi. Squilla il campanello. L’Ostia consacrata prima ed il calice dopo sono presentati all’adorazione del popolo. È l’elevazione. Fatta la consacrazione, il sacerdote prega il Signore di accettare il suo sacrificio con la stessa degnazione con cui gradì i tre più conosciuti sacrifici dell’Antico Testamento — quello di Abele, quello di Abramo, quello di Melchisedec, — e lo supplica in favore di tutti i fedeli defunti in genere e specialmente di quelli che gli sono stati raccomandati e di quelli per i quali applica il divin sacrificio. Dopo un breve atto di desiderio, di amore e di umiltà, espresso in tre soavissime preghiere, il sacerdote prima con l’ostia e poi con il calice comunica se stesso e distribuisce il Corpo del Signore ai fedeli.