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Il “famoso crocifisso” dipinto da Michelangelo:

dalle diffamazioni alle collezioni *


Maia Wellington Gahtan

Nel 1564, l’anno in cui il divino Michelangelo morì, il celebre anatomista Vesalio –
anche lui a sua volta etichettato come “divino” – fu accusato di aver sezionato un
uomo vivo, uccidendolo per la gloria dei suoi studi scientifici  1. Accuse del genere
erano abbastanza comuni per chi praticava questa professione, che era sempre guar-
data con un po’ di sospetto. Qualche decennio dopo, il Buonarroti stesso fu accusato
di aver ucciso un uomo per la gloria della sua arte. La leggenda recita più o meno
così: per dipingere una crocifissione Michelangelo si era servito come modello di
un facchino, che aveva legato ad una croce. Poiché l’artista voleva rappresentare in
modo molto verosimile le agonie ultime del Cristo sulla croce, decise di accoltellare
il facchino – in modo da ottenere la scena giusta da dipingere. Già nell’antichità cir-
colava un leggenda simile: secondo Seneca (Controversie X. 5.1), il pittore Parrasio
aveva torturato un schiavo fino alla morte per dipingere un Prometeo sofferente  2.
Alcuni di coloro che raccontano la storia di Michelangelo fanno riferimento anche
a Parrasio, dimostrando che la storia moderna o l’azione stessa era un’imitazione
di quella antica. Nel caso di Michelangelo (o anche di Parrasio), l’aneddoto esalta
l’espressività delle sue opere, ma nel contempo pesa negativamente sul giudizio della
sua personalità, puntando il dito sugli eccessi di un’arroganza capace di spingere ad
atti intollerabili.
La leggenda di Michelangelo assassino, poco conosciuta oggi, era una volta molto dif-
fusa. Essa esercitò un certo peso sulla fortuna critica dell’artista per due secoli buoni
prima di estinguersi. Il quadro, presunto frutto del delitto, chiamato comunemente
“il famoso crocifisso”, fu poi identificato in diverse collezioni d’arte, divenute per tale
motivo mete imperdibili all’interno del Grand Tour. Attraverso alcune fonti in parte
conosciute, ma per lo più ancora ignote, vorrei ripercorrere l’evolversi di questa storia
come chiave d’accesso al mondo dei visitatori alle gallerie nobiliari del Seicento e Set-
tecento e come spia su quella declinante cultura amatoriale 3.
Non si conoscono le origini precise del racconto. Come Vesalio, Michelangelo aveva
studiato anatomia, sezionando dei cadaveri, forse in preparazione alla stesura di un
trattato sull’anatomia 4. Insieme a Vesalio, inoltre l’artista fu difeso contro le false accuse
dal celebre medico e antiquario direttore degli Uffizi, Antonio Cocchi (1695-1758) 5.
La sua conoscenza dell’anatomia, lodata da molti, fu peraltro fonte di critiche pesanti
da parte di Pietro Aretino (seguito da altri) per il suo Giudizio Universale, esempio di
arroganza, immoralità e rozzezza, perché l’artista avrebbe anteposto l’arte alla religione,
rappresentando troppe nudità ed eccessive acrobazie dei corpi. Curiosamente tante
delle sue figure sono descritte come “facchini”, che all’epoca erano conosciuti per la
60 Scritti di Museologia e di Storia del collezionismo in onore di Cristina De Benedictis

loro muscolosità 6. Il critico e teorico d’arte Lomazzo nella sua serie di dialoghi, il Libro
dei Sogni, lo descrive per bocca di Leonardo da Vinci così:

«Dicesi che egli aveva pensato di fare in quella facciata una gabbia overo ciurma de fachi-
ni e de istrioni che andassero saltellando di là su, apponendo non star bene quei membri
e coglioni sì aparenti, non solamente ne’ diavoli e fantasmi ma ne’ Santi […]» 7.

Benché Michelangelo non abbia mai realizzato un dipinto della Crocifissione, i suoi
disegni di Cristo vivo sulla Croce – di cui si conservano vari esemplari eseguiti a Roma
– sono anomali per l’epoca. Il primo, del 1540, fu dato in regalo alla sua amica Vit-
toria Colonna (Fig. 1). Questo disegno è largamente circolato nella seconda metà del
Cinquecento e il Seicento in forma di copia, stampa e dipinto 8. Nei suoi ultimi anni la
figura del Cristo crocifisso compare anche in numerose delle sue poesie – poesie che
sono meditazioni sul peccato, la morte e la salvezza. È possibile che il suo interesse
specifico per l’anatomia, il tema della crocifissione insieme alle le sue immagini insolite
di un Cristo mosso e vivente sulla croce possano aver alimentato la creazione e/o diffu-
sione della leggenda che, a sua volta, suggerisco, fu in parte responsabile per il grande
successo della composizione dopo la morte del maestro.
I primi riferimenti sicuri alla questione provengono da autori che risiedevano a Roma
negli anni Trenta del Seicento. L’artista e critico d’arte tedesco, Joachim Sandrart, che
visse nella città papale tra 1629 e 1635, riporta la leggenda in una breve biografia di
Michelangelo inclusa nel suo libro, Teutsche Akademie. Anche se questo volume fu
pubblicato solo nel 1675, egli aveva raccolto le informazioni sugli artisti italiani (una
parte minore del testo) quando era a Roma. Sandrart trova la leggenda sorprendente
e inaudita, riferendo come la motivazione di Michelangelo sarebbe stata la rappresen-
tazione delle convulsioni e degli spasmi dei muscoli negli ultimi minuti di vita di un
uomo crocifisso 9.
Per un prete inglese, Richard Carpenter, anch’egli a Roma tra 1633 e 1635, il significato
era ben diverso. Carpenter era nato in una famiglia protestante, ma si era convertito al
cattolicesimo e nel 1633 era andato al seminario inglese a Roma. Divenuto sacerdote,
tornò in Inghilterra, ma subito dopo si riconvertì al protestantesimo. Nel 1641 pubbli-
cò il suo primo libro Experience, Historie and Divinitie, una lunga polemica anticattolica
basata in parte sulla sua esperienza romana. La leggenda su Michelangelo cade in una
sezione che condanna l’amore omosessuale tra uomini adulti e ragazzi e si adatta di
conseguenza: il facchino diventa un ragazzo indotto da Michelangelo ad entrare in
casa sua con il pretesto di essere ritratto. Carpenter biasima i cattolici in generale per
non aver punito l’artista e per tenere il dipinto in grande venerazione. Non identifica il
quadro, ma lo descrive come un oggetto in mostra: «dimostra così bene il movimento
dell’anima che sembra che il quadro stesso sta morendo» 10.
Anche se il riferimento all’omosessualità non compare in altre versioni della leggenda,
l’aspetto anticattolico, e specialmente l’idea che l’arte debba suscitare delle emozioni negli
spettatori – sopravvive nell’opera del pastore protestante Theofilus Spizel in un trattato
Maia Wellington Gahtan, Il “famoso crocifisso” dipinto da Michelangelo: dalle diffamazioni alle collezioni 61

1. Michelangelo, Crocifissione, c. 1540, London, British Museum (© Trustees of the British Museum)


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del 1676, che si accanisce contro letterati, scienziati ed artisti. Per Spizel, Michelangelo
avrebbe fatto di tutto per contribuire allo sviluppo di un’arte di stampo cattolico 11.
Un sentimento simile, senza l’argomento anti-cattolico, fu presentato in modo molto
più pittoresco dall’autore anonimo di una poesia che finge di impersonare il povero
facchino crocifisso. Questo sonetto si trova nella Biblioteca Estense a Modena in un li-
bretto manoscritto del Settecento intitolato Il Pasticcio, dove si raccolgono varie poesie
e altri scritti ameni, soprattutto sui gesuiti. Prima del testo, una nota spiega il contesto:
«Michel Angelo Buonarroti uccide un facchino per fare un Cristo spirante al Papa. Cosi
parla il facchino»:

Ambi in croce moriamo, e Christo ed io,


Li traditori son Giuda e Michele;
Un Apostolo a lui la morte ordio
A me toglie la vita Angel crudele

Ambi versiam dal sen vermiglio un rio,


Ove s’erge il penel sorge fedele:
Se Cristo mor per eternarsi in Dio,
Io mor per eternarlo in sù le tele.

Ambi un Angelo abbiam perchè n’assista:


L’uno alle pene il Redentor conforta,
L’altro con novi cruci ognor m’attrista.

Ambi in croce lasciam la spoglia morta;


Ma il traditor di Cristo infamia acquista;
E il carnefice mio gloria riporta 12.

Il testo aggiunge alla storia il particolare che Michelangelo avrebbe eseguito il dipinto
per il Papa, rafforzando l’ipotesi di un’origine romana e collegandola con le critiche al
suo giudizio universale.
La poesia stessa ricorda quelle legate alle famose statue “parlanti” di Roma. Dall’inizio
del Cinquecento la città di Roma offriva ad umanisti e poeti l’opportunità di esprimersi
attraverso varie tipologie di scritti poetici anonimi che venivano appesi su alcune statue,
immaginando che fossero le statue stesse a parlare. La statua più famosa sotto questo
profilo era il Pasquino. Le sue opere venivano pubblicate ogni anno 13. Un’altra di queste
statue parlanti – meno celebre e l’unica fra queste a non risalire all’Antichità – è la fonta-
na del facchino, eseguita nella seconda metà del Cinquecento (Fig. 2). Questa statua fu
anche erroneamente attribuita a Michelangelo nel Settecento da Luigi Vanvitelli 14.
Malgrado la coincidenza dei facchini, è probabile che il sonetto sia opera di qualcuno
che aveva visto il quadro del crocifisso. Spesso si scrivevano poesie per bocca di un’opera
d’arte – anche Michelangelo l’aveva fatto per tramite della sua allegoria della Notte della
sagrestia nuova in San Lorenzo.
Maia Wellington Gahtan, Il “famoso crocifisso” dipinto da Michelangelo: dalle diffamazioni alle collezioni 63

Durante il Seicento la leggenda si associa a


un quadro specifico conservato a Napoli.
Pompeo Sarnelli ne parla nella sua guida
della città partenopea pubblicata nel 1688.
Egli è il primo a descrivere la straordinaria
collezione di quadri nel lussuoso apparta-
mento del Priore alla Certosa di San Mar-
tino, noto come il Quarto del Priore. In ri-
ferimento a questa collezione, che vantava
opere di Tiziano, Ribera, Micco Spadaro
ed altri, il Sarnelli osserva: «soprattutto
famoso è il Crocefisso originale del Buo-
narota, per cui, dicesi, havesse ammazzato
il facchino, per esprimere la sudetta figura
al naturale» 15. Altre guide, come quella di
un secolo dopo di Giuseppe Sigismondo,
continuano a narrare la storia 16.
La combinazione fra le citazioni nel-
le guide di Napoli e le voci popolari a 2. Fontana del facchino, seconda metà del Cinque-
Roma e Napoli ebbe il risultato che il cento, Roma, Via Lata
Quarto del Priore diventò una ferma-
ta obbligatoria nel Grand Tour d’Italia.
Numerose sono le testimonianze scritte lasciate da colti viaggiatori provenienti
da Inghilterra, Francia e Germania. Forse il Quarto del Priore sarebbe diventato
una tappa importante anche senza il quadro e la sua leggenda, ma a giudicare dai
commenti dei vari visitatori, era proprio questa l’opera chiave che tutti volevano
vedere – l’opera più famosa della collezione. Dal punto di vista della storia del col-
lezionismo, questo dipinto unisce le meraviglie dello studiolo rinascimentale, che
aveva una tradizione di lunga durata a Napoli 17, e la bellezza delle galleria barocca
in un unico oggetto, che era un grande opera di un grande nome, ma nello stesso
tempo anche una curiosità.
Nel Settecento quando la fortuna critica di Michelangelo, soprattutto in Nord Europa,
si stava risollevando dopo un forte ribasso nel Seicento (specialmente in Francia), il
Crocifisso era considerato dagli amatori d’arte una delle sue opere migliori, anche se
in realtà non era del maestro e non è citata né dal Condivi né dal Vasari. Il Gentleman’s
and Connoisseur’s Dictionary of Painters di Matthew Pilkington, il primo libro teorico
e biografico sulla pittura scritto in lingua inglese, in un capitolo di sole tre pagine su
Michelangelo, afferma che:

«Le principale opere di questo genio straordinario sono il Crocifisso, che è sempre no-
minato con ammirazione; e il Giudizio Universale, che è l’ornamento della cappella di
Sisto IV nel Vaticano. La favola relativa al primo, che Michelangelo pugnalò il facchino
64 Scritti di Museologia e di Storia del collezionismo in onore di Cristina De Benedictis

che gli aveva fatto da modello, è oggi universalmente demolita; ma la composizione,


l’espressione e il disegno onorano questo eminente maestro» 18.

Anche tra coloro che non credevano alla leggenda, l’attribuzione a Michelangelo e la
sua espressività erano accettate senza esitazione.
Come Pilkington, anche il pittore inglese Jonathan Richardson nel 1719 (che non ave-
va visto il quadro ma sapeva della leggenda) 19, lo storico scozzese Thomas Salmon ne-
gli anni Trenta 20, lo statista Charles de Brosses nel 1739-1740 21, e l’amatrice francese
Stéphanie Félicité du Crest, contessa di Genlis, negli anni Settanta (che come donna
aveva dovuto ottenere una dispensa papale per visitare il Quarto del Priore della Cer-
tosa) considerarono la leggenda una calunnia  22. Un contemporaneo della Contessa,
La Gorse, che fu un paggio alla corte di Luigi XV, era invece tentato di darle credito 23.
L’Abbé de la Porte, scrivendo nel 1782, nota con un po’ di delusione e disprezzo che il
famoso Cristo di Michelangelo era piccolo – solo un piede di altezza 24. Un altro viag-
giatore, Joseph Jerôme de Lalande, notando anche lui le esigue dimensioni, riassume
anche il modo in cui la storia si era diffusa:

«Si deve soprattutto notare un piccolo crocifisso di circa un piede d’altezza, dipinto da Mi-
chelangelo, con un espressione così sorprendente che qualcuno ammirandola affermò che
Michelangelo avesse dovuto crocifiggere realmente un uomo per servirsene come modello:
questa maniera di lodare il dipinto è passata di bocca in bocca, e ne è nata una storia accre-
ditata che è riportata in tanti libri, e ultimamente nelle lettere di Madame du Boccage» 25.

Solo il viaggiatore tedesco Johann Georg Keyssler, scrivendo negli anni Trenta del Set-
tecento e notando che la leggenda era stata associata anche a un crocifisso simile della
collezione del Palazzo Borghese e a una rappresentazione della testa di Cristo spirante del
convento di San Marco a Firenze, suggerisce che se il racconto fosse vero, Michelangelo
avrebbe riprodotto il modello con maggiore efficacia. Nonostante i suoi dubbi, egli dedi-
ca più spazio a questi quadri rispetto a qualunque altro di quelle collezioni! 26
Da un altro punto di vista, quando il Marchese de Sade, che aveva vissuto in Italia dal
1772 al 1776, passando la metà del suo ultimo anno a Napoli, riferisce la leggenda nel
suo libro, Justine (del 1791, scritto quando lo scrittore era in prigione per il tipo di crimi-
ne che da lui prese il nome), il delitto dell’artista è naturalmente visto come una azione
positiva e giustificata – perché niente dovrebbe impedire il progresso degli arti:

«[…] è odioso che futili considerazioni fermino in questo modo il progresso delle scien-
ze; i grandi uomini si sono forse lasciati imprigionare da catene tanto miserabili? E quan-
do Michelangelo volle rendere un Cristo al naturale, si fece forse un caso di coscienza
nel crocifiggere un giovane uomo e ritrarlo nei suoi tormenti? Ma quando si tratta dei
progressi della nostra arte, di quale necessità non devono essere quegli stessi mezzi!»27.

Sono più numerosi i riferimenti pubblicati specialmente nel Settecento che rifiuta-
no l’autenticità della storia, probabilmente perché gli autori volevano screditare le
Maia Wellington Gahtan, Il “famoso crocifisso” dipinto da Michelangelo: dalle diffamazioni alle collezioni 65

voci popolari che circolavano nelle corti


dell’Ancien Régime. Ed è paradossale che il
fervore usato nella confutazione di questa
leggenda sia servito a migliorare la fortuna
di Michelangelo, soprattutto in Inghilterra
e Francia.
A Firenze, la storia era guardata come as-
solutamente falsa sia dal già citato Antonio
Cocchi, che dal grande antiquario e lette-
rato Anton Francesco Gori (nella sua edi-
zione della Vita di Michelangelo di Ascanio
Condivi), come pure dal suo amico Nicolò
Gabburri, da cui ebbe notizie storiche sul-
la leggenda  28. In una lettera del 1732 al
Mariette, famoso amatore d’arte francese e
collezionista dei disegni di Michelangelo,
il Gabburri rassicura l’amico affermando
che la diceria, in parte resa pubblica dal
pulpito da un certo “frate predicatore”, 3. Marcello Venusti, Crocifissione, 1560-1570 circa,
è del tutto falsa  29. Il Gabburri riprende Firenze, Galleria degli Uffizi, in deposito alla Casa
lo stesso argomento nella sua biografia Buonarroti
dell’artista, conservata in un manoscritto
alla Biblioteca Nazionale («Vita dei pittori»), citando il Sarnelli e ponendo la discussio-
ne sulla falsità della leggenda all’inizio del suo discorso subito dopo un’esaltazione del
carattere dell’artista  30. L’autore afferma inoltre che la storia era considerata fasulla dal
gesuita Andreas Schott (1552-1629), che era vissuto a Roma all’inizio del Seicento e
aveva pubblicato vari libri sull’Italia in questo periodo. Se la citazione fatta da Gabburri
è giusta, si deve pensare che la leggenda sia nata non molto dopo la morte dell’artista,
e probabilmente a Roma, per poi trasferirsi a Napoli per via del quadro del monastero
di San Martino 31.
Curiosamente, non avendo visitato il Quarto del Priore, né Gori né Gabburri sapevano
con certezza quale fosse “il famoso crocifisso” citato dal Sarnelli e dal frate dal pulpito,
posto che si riferissero alla stessa opera. Gabburri era certo che l’originale fosse un pic-
colo quadro, allora nella Tribuna degli Uffizi, che riprende il disegno michelangiolesco
del Cristo vivo sulla croce come modello. Questo quadretto (inv. Gallerie, 1890, n.
1559) fu considerato di provenienza michelangiolesca e indicato come esposto su una
mensola della Tribuna già nell’inventario del 1589 32. Successivamente nell’inventario
del 1635 assegnato a Pontormo e attualmente attribuito a Marcello Venusti, è oggi
in deposito presso la Casa Buonarroti (Fig. 3). Secondo il Gabburri, il quadro a cui
Sarnelli si riferisce era una copia di questa composizione 33. Altre fonti del Settecento,
come il già citato Keyssler e Antoine Joseph d’Argenville, confermano che il quadretto
napoletano del Quarto era molto simile a questo e all’altra versione nella collezione
66 Scritti di Museologia e di Storia del collezionismo in onore di Cristina De Benedictis

Borghese, che da metà Settecento competeva anche essa alla leggenda  34. Non è da
escludere che il «frate predicatore», menzionato dal Gabburri e dal Gori, fosse proprio
un domenicano del convento di San Marco, che sarebbe stato anche la fonte per il rap-
porto tra la leggenda e la testa di Cristo morente che Keyssler aveva visto nelle stanze
del Savonarola a San Marco in Firenze 35.
Nell’ottobre 1806, la collocazione del quadretto fu cambiata e la diffusione di que-
sta storia fu quasi interamente interrotta. La Certosa di San Martino fu in gran parte
chiusa da Napoleone. Le maggiori opere d’arte furono raccolte insieme a molte altre
di varie provenienze in preparazione dell’apertura di un nuova galleria regia a Napoli.
La famosa crocifissione è citata in due inventari del monastero – uno che contiene le
155 opere del Quarto del Priore e l’altro con le 288 dell’intera Certosa. Tali inventari
risalgono all’ottobre del 1806, cioè al momento in cui queste opere entrarono nelle
collezioni statali. Da essi risulta che il quadretto era originariamente collocato nella
seconda stanza del Quarto del Priore e misurava due palmi napoletani in altezza e tra
un palmo e un quarto e un palmo e mezzo in larghezza, ovvero circa 52 x 33 cm (1
palmo napoletano = 26,4 cm.). In questi inventari, per la prima volta, il crocifisso era
attribuito alla scuola di Michelangelo, anziché al maestro stesso 36.
Quando le collezioni regie furono nuovamente inventariate nel 1821 dal direttore delle
gallerie di allora, Michele Arditi, non c’erano più tracce del famoso crocifisso. Tra 1806
e 1821, Napoleone era caduto (1815) e i Borboni erano tornati (1818); in seguito, il
museo aveva cambiato nome – da Reale Galleria a Museo Reale Borbonico. Il Museo
aveva un fine abbastanza preciso: illustrare la gloriosa storia della pittura italiana, uti-
lizzando i migliori esempi, e dando una preferenza alla scuola napoletana. Le opere che
non parevano adatte allo scopo, perché erano pale d’altare o perché ritenute di qualità
non sufficiente, oppure perché considerate oscene per il gusto del tempo furono ricon-
dotte al luogo originario o riposte nel deposito del Museo. Tutti questi trasferimenti
furono documentati in modo molto particolareggiato. Cinquantatré opere, ad esempio,
furono restituite alla Certosa di San Martino in questo periodo. Quasi tutte le altre che
facevano parte del Quarto del Priore sono state rintracciate e riportate in loco negli anni
’80 del XX secolo, quando il Quarto fu riaperto al pubblico come museo storico 37. Ma
il famoso crocifisso di Michelangelo è scomparso senza lasciare traccia.
È possibile che questo quadretto sia stato eliminato dal direttore Michele Arditi, che
lo avrebbe considerato un episodio immorale e imbarazzante nella storia illustre della
pittura italiana nello stesso modo che, secondo il critico d’arte francese del Seicento
Roger de Piles, la Leda e il cigno di Michelangelo, che faceva parte delle collezioni regie
francesi, fu data alle fiamme da Monsieur de Noyers, ministro di Luigi XIII, per motivi
di coscienza? 38 La Napoli dell’Ancien Régime poteva essere famosa in tutta Europa per
via di questo quadro, ma la Napoli post-napoleonica sarebbe stata famosa per altri
esempi più salubri della tradizione artistica italiana. È anche possibile che sia stato
rubato per essere poi nascosto in qualche collezione privata di vecchio stampo.
Nella storia del collezionismo italiano, in particolare nella sua fase di passaggio ai mu-
sei didattici, il «famoso crocifisso» è un episodio paradigmatico. La fama della collezio-
Maia Wellington Gahtan, Il “famoso crocifisso” dipinto da Michelangelo: dalle diffamazioni alle collezioni 67

ne del Quarto del Priore era in gran parte


basata sulle dicerie popolari, gli scritti cri-
tici e le cronache di viaggio prodotte dagli
amatori d’arte intorno a questo quadretto
michelangiolesco, considerato da molti
una delle sue opere principali. Alimen-
tando la «culture des musées»  39, questi
scritti e queste visite resero la collezione
sufficientemente rinomata da meritare
che le sue tante opere di pregio formas-
sero un nucleo consistente all’interno del
nuovo museo reale creato per la pubblica
istruzione e godimento. Quando il nuovo
museo si preparava ad aprire le porte al
pubblico, l’opera che sarebbe stata la più
famosa della collezione non ne faceva più
parte e sicuramente non era più degna di
essere esposta, né come opera di Miche-
langelo né come curiosità.
Con la sparizione del quadro del Quar- 4. Il Cristo spirante, già nella collezione Borghese, in
to, la leggenda non poteva sopravvivere, Choix de gravures à l’eau forte d’après les peintures
considerando anche che la versione del originales et les marbres de la galerie de Lucien Bona-
Palazzo Borghese probabilmente era fini- parte, London, 1812, n. 113
ta nella collezione di Lucien Bonaparte,
fratello dell’imperatore, per poi essere
venduta dopo il 1812 quando fu riprodotta in Choix de gravures à l’eau forte d’après
les peintures originales et les marbres de la galerie de Lucien Bonaparte (Fig. 4), e gli
altri esemplari non avevano creato legami forti con la leggenda 40. La storia fu quasi
completamente dimenticata, finché nel 1910 un professore di scuola di Portoferraio
(isola d’Elba) non trovò il già citato libro delle memorie di corte di La Gorse che fa-
ceva parte della biblioteca che Napoleone aveva lasciato dopo il suo esilio sull’isola
fra il 1814 e il 1815 41. La scoperta diventò il soggetto per un articolo del sindaco di
Portoferraio nel giornale locale, «L’Araldo», in cui si affermava che la leggenda non
si trovava nel Vasari, nel Condivi e in nessun altro scritto su Michelangelo! Il tema fu
poi ripreso dai principali giornali di Milano – il Corriere della Sera – e di Firenze – il
Marzocco.
Così, come Napoleone era stato indirettamente responsabile per cancellare la leggen-
da facendo togliere il quadretto dal Quarto, così lo stesso Napoleone – attraverso la
biblioteca che aveva trasportato all’Elba durante il suo esilio – fu altrettanto indiret-
tamente responsabile per la sua rinascita un secolo dopo. Una buona leggenda non
muore mai 42.
68 Scritti di Museologia e di Storia del collezionismo in onore di Cristina De Benedictis

Note
* Versioni preliminari di questo saggio sono state 7
G.P. Lomazzo, Libro dei Sogni, in R.P. Ciardi (a
presentate al Meeting di Renaissance Society of Ame- cura di), Scritti sulle arti, Firenze, 1973-1974, I, pp.
rica, (Mar. 2006, San Francisco) e alla Casa Buonar- 101-102.
roti, Firenze (Nov. 2006). L’autore desidera ringra- 8
Alcuni studiosi ritengono che Michelangelo
ziare Ornella Agrillo, Mario Bevilacqua, Francesco ne avesse regalato a Vittoria Colonna una versione
Caglioti, Eleana Creazzo, Lorenzo Fabbri, Elena Fu- dipinta da Marcello Venusti, perché le lettere par-
magalli e Magnolia Scudieri per i loro preziosi aiuti. lano di una «pictura». Quest’opera poteva anche
1
Vedi André Vésale, rénovateur de l’anatomie hu- essere considerata eretica – in sintonia con la filo-
maine: 1515-1564. Documents conservés en Belgique, sofia di Juan de Valdés, che proponeva un ritorno
Bruxelles, 1957. alla chiesa primitiva, e a cui sia Vittoria Colonna
2
Sulla leggenda di Parrasio, vedi H. Morales, sia Michelangelo si erano avvicinati in quegli anni.
The Torturer’s Apprentice: Parrhasius and the Limits Sul crocifisso per Vittoria Colonna, vedi R. Forcel-
of Art, in J. Elsner (a cura di), Art and Text in Roman liino, Michelangelo, Vittoria Colonna e gli “spirituali,”
Culture, Cambridge, 1996, pp. 182-209. Roma, 2009, pp. 63-158, 242-47, che, in base ai
3
Sulla leggenda (ed altre leggende simili) e il suo nuovi documenti, ipotizza che Marcello Venusti
impatto sul concetto di artista c’è uno studio re- avesse tratto un dipinto dal disegno michelangiole-
cente N.E. Land, Michelangelo, Giotto and Murder, sco quando era ancora in vita il maestro; M. Firpo,
in «Explorations in Renaissance Culture», XXXII, Denis Calvaert e il “Cristo in Croce” di Michelangelo
2 (2006), pp. 204-24. G. Cimino, Il crocifisso di Mi- per Vittoria Colonna, in «Iconographica», VI (2007),
chelangelo per Vittoria Colonna, Roma, 1967, pp. pp. 115-125; H. Chapman, Michelangelo Drawings:
37-45, nella sua indagine per scoprire l’originale Closer to the Master, catalogo della mostra (Londra
del crocifisso donato a Vittoria Colonna, che egli 2005-2006), London, 2005, pp. 254-257; U. Roman
ritiene fosse un dipinto, racconta la leggenda attra- d’Elia, Drawing Christ’s Blood: Michelangelo, Vittoria
verso alcune fonti. Colonna, and the Aesthetics of Reform, in «Renaissance
4
«E ben vero, che di tal facultà, cosi dotto et ricco Quarterly», LIX (2006), pp. 90-129 (in particolare
si partì, che più volte ha havuto in animo, in servigio pp. 103-113); P. Ragionieri (a cura di), Vittoria Co-
di quelli che boglion dare opera alla scoltura et pit- lonna e Michelangelo, catalogo della mostra (Firenze
tura, far un’opera, che tratti di tutte le maniere dei 2005), Firenze, 2005, pp. 165-71, nn. 49-52; saggi
moti humani, e apparenze e dell’ossa, con una in- di K. Herrmann-Fiore, D. Redig de Campos e L. Russo,
gegnosa theorica, per lungo uso da lui ritrovata…», in C. Gizzi (a cura di), Michelangelo e Dante, Milano,
in A. Condivi, Vita di Michelagnolo Buonarroti, Roma, 1995; E. Campi, Michelangelo e Vittoria Colonna, Tori-
1553, f. 42r. Il suo medico era Realdo Colombo, un no, 1994, pp. 58-65; e Cimino, Il crocifisso … cit.
anatomista famoso, allievo del divino Vesalio, che 9
J. von Sandrart, Teutsche Academie, Nürnberg,
assunse la cattedra del suo maestro a Padova prima 1675-80, p. 155 (col. 1): «Die heilige Schrift dur-
di trasferirsi all’Università Pontificia di Roma. chlasse er und ware ein guter Christ dannenhero
5
A. Cocchi, De usu artis anatomicae oratio, Firen- mir fast fur unglaublich vorkommt dass er ein-
ze, 1761, pp. 18-19. Vedi anche M. Fileti Mazza- smals um ein Crucifix zu mahlen einen armen
B. Tomasello, Antonio Cocchi primo antiquario della Mann nactend an ein Kreuz gebunden und damit
Galleria Fiorentina: 1738-1758, Modena, 1996. er die Zuctung der Musculen Ubbleichung des Lei-
6
Nel Seicento, nel contesto dell’Académie des bes und den letzten Streit des Lebens und Todes
beaux-arts (es. Fréart de Chambray, Jacques Re- recht naturlich abbilden mochte selbigen mit fei-
stout, Félibien, de Piles), e soprattutto a causa di nem Degen in der Seite durchstrochen haben solle:
questo affresco, Michelangelo era diventato una Sintemal dieses allzu grausam fur einen Schriften-
figura controversa. Da un lato, era il genio del dise- Menschen und wo es geschehen ware muste da-
gno, dall’altro, un barbaro selvaggio che dipingeva mals die Begierde zur Kunst unsers Kunstelers
figure troppo muscolose e indecenti. La sua arte Liebe Gottseligkeit unverantwortlicher Weisse
era considerata selvaggia e poiché l’arte riflette la ubertroffen haben. Hatte auch in grossem Wehrt
vita, anche il suo carattere era giudicato tale. Sul die Schriften von Bruder Hieronymo Savonarola
luogo comune della muscolosità dei facchini, vedi weiln er ihn auf dem Predigt-Stut oftmalen per-
Land, Michelangelo … cit., p. 214. sonlich gehort…».
Maia Wellington Gahtan, Il “famoso crocifisso” dipinto da Michelangelo: dalle diffamazioni alle collezioni 69

10
R. Carpenter, Experience, Historie, and Divinitie, ma l’uccisor di Cristo – infamia acquista;
London, 1642, pp. 234-5: «Michael Angelo, a e il carnefice mio gloria riporta.
Painter of Rome, having enticed a young man Questa versione è citata da Cimino, Il Crocifisso …
into his house, under the smooth pretence of cit., p. 39, e Land, Michelangelo … cit., p. 215.
drawing a picture by the sight of him: bound him 13
Su Pasquino e simili, vedi A. Romano, La satira
to a great wooden Crosse, and having stabbed di Pasquino: formazione di un genere letterario, in C.
him to the heart with a Pen-knife, in imitation of Damianaki-P. Procaccioli-A. Romano (a cura di), Ex
Parrhasius that had tortured an old captive in the marmore: Pasquini, Pasquinisti, Pasquinate nell’Eu-
like cause, drew Christ hanging, and dying upon ropa moderna, Atti del colloquio Internazionale
the Crosse, after his resemblance & yet escaped (Lecce-Otranto, 2005), Manziana, 2006, pp. 11-
without punishment. And this picture, because 34; A. Reynolds, The Classical Continuum in Roman
it sets forth Christ dying, as if the picture it selfe Humanism: the Festival of Pasquino, the Robigalia,
were dying, and with a shew of motion in every and Satire, in «Bibliothèque d’Humanisme et Re-
part, and because it gives the death of Christ to the naissance», XLIX (1987), pp. 289-309; L. Barkan,
life; is had in great veneration amongst them». Il Unearthing the Past, New Haven, 1999, pp. 209-69;
delitto del Parrasio è menzionato da F. Junius, De e più recentemente, C.W. Christian, Empire without
pictura veterum libri tres (Roterdami 1694), a cura End, New Haven, 2010, pp. 185-89.
di Colette Nativel, Genève, 1996, I.2.3, pp. 184- 14
Sulla fontana e la sua collocazione originaria,
185, e raccontato da C. Dati, Vite de pittori antichi, vedi C. D’Onofrio, Le fontane di Roma, Roma, 1957,
Firenze, 1667, pp. 53-61, ma senza riferimento al pp. 27-34. Il palazzo, ora distrutto, che ospitava
parallelo moderno di Michelangelo (invece l’azione questa fontana, Palazzo Grifoni, era attribuito a
di Michelangelo fu rifiutata nell’edizione di Dati Michelangelo in un manoscritto del 1645. Bernini
pubblicata a Milano nel 1806, citata da Land,
aveva citato la fontana del facchino nelle sue fonta-
Michelangelo … cit., pp. 213, 221 nota 33).
ne per Palazzo Mattei. Attualmente la fontana è su
11
T. Spizel, Felix literatus ex infelicium periculis et
via Lata, vicino a Palazzo Decarolis.
casibus sive de vitiis literatorum commentationes hi- 15
P. Sarnelli, Guida de’ forestieri, curiosi di vede-
storico-thesophicae, Augsburg, 1676, pp. 681-682:
re, e d’intendere le cose più notabili della regal città di
«Bonarottae artem aemulantur (si tamen fuit) qui
Napoli e del suo amenissimo distretto, Napoli, 1688,
vivum hominem suffixit in crucem ut expressius
p. 401. La prima edizione del 1685 non ne par-
Christum pingeret morientem».
la. È possibile che la leggenda fosse nata intorno a
12
Biblioteca Estense, Modena, «Il Pasticcio», ms.
557 (Inv. Sorbelli). Secondo l’inventario, il mano- questo quadro di San Martino, anche consideran-
scritto proviene dalla famiglia Magelli che aveva do che il disegno di Michelangelo del crocifisso era
origine a Montecuccolo e che all’inizio dell’Otto- nella collezione reale di Napoli prima di passare a
cento era trasferita a Modena. Sembra che ci sia William Ottley e poi Thomas Lawrence (Chapman,
anche un’altra versione dello stesso sonetto sempre Michelangelo … cit., n. 91, p. 291).
nella Biblioteca Estense, copiata invece nel Seicen-
16
G. Sigismondo, Descrizione della Città di Napoli e
to, intitolata «Giardino di varie composizioni», III: suoi borghi, Napoli, 1788-1789, p. 114: [nell’appar-
«Michelangelo, pingendo dal naturale un Crocifis- tamento del Priore] «un famoso Crociffisso spirante
so, pone in croce un facchino al quale dà la morte di Michelangelo Buonarroti, che diè luogo alla favo-
e questi, cosi morendo, parla: la, di aver egli situato in croce uno suo domestico,
Ambi siam crocifissi, e Christo ed io, e di averlo faerito a morte per vederlo spirare, onde
e sono i traditor Giuda e Michele; formare il suo quadro sull’originale…»; oppure qual-
un apostolo a lui in morte ordio che decennio più tardi in Napoli e suo Contorno con
a me toglie la vita angiol crudele Appendice, Napoli, 1803, p. 60: «Nell’appartamento
Ambi sgorghiam dal sen vermiglio un rio, del priore, fra le rarità sono un S. Lorenzo di Tiziano,
onde s’erge il pennel sorge fedele: quattro quadri fatti dal Noel Fiamingo sopra castoro
se Gesù muore ad eternarsi in Dio, ad ago, ed un crocifisso di Michelangelo, di tanta for-
io muore ad eternarlo in su le tele. za di espressione, che un uomo di gusto sopreso dalla
Ambi un angiolo abbiam perche n’assista: meraviglia disse: bisogna che Michelangelo per far
l’uno alle pene il Redentor conforta, questo quadro abbia realmente crocifisso un uomo.
l’altro con nuovi crucci ognor m’attrista. Tale detto è stato da taluni preso per al narrazione di
Ambi in croce lasciam la spoglia morta; un fatto, e come tale è stato quindi riferito».
70 Scritti di Museologia e di Storia del collezionismo in onore di Cristina De Benedictis

17
Sulla quale, vedi P.L. De Castris, Collezionismo de Michel-Ange, peint d’après nature. Vous con-
nella Napoli del Cinquecento, in Aspetti del collezioni- naissez ce vieux conte».
smo in Italia da Federico II al primo novecento, Trapa- 22
Madame de Genlis, Mémoires, a cura di D. Mas-
ni, 1993, pp. 57-94. seau, Paris, 2004, p. 242 «La veille de notre départ,
18
M. Pilkington, The Gentleman’s and Connois- nous allâmes à la fameuse chartreuse de Saint-
seur’s Dictionary of Painters, London, 1770, p. 12: Martin, où les femmes n’entrent jamais. Madame
«The most capital performances of this extraordi- la duchesse de Chartres avait un bref du pape pour
nary genius, are the Crucifixion, which is always y entrer avec toute sa suite. On voit dans ce mo-
mentioned in terms of admiration; and the Last nastère le fameux crucifix de Michel-Ange, don’t
Judgment, which is the ornament of the chapel l’admirable vérité de l’expression a fait dire séerieu-
of Sixtus IV in the Vatican. The fable relative to sement que Michel-Ange avait eu la barberie de le
the former, that Michael Angelo stabbed the porter peindre d’après un homme qu’il avait fait secrète-
who had been his model, is now universally explo- ment crucifier dans son atelier: calomnie absurde
ded; but, the composition, expression, and design, autant qu’atroce, qui n’aura d’abord éte qu’une
are an honour to that eminent master». exagération d’éloge, et qui est devenue ensuite un
19
J. Richardson, The Works of Jonathan Richardson. conte populaire, mais démenti par la vie entière de
Containing I. The Theory of Painting. II. Essay on l’artiste e par l’impossibilité du fait».
the Art of Criticism (so far as it relates to painting). 23
La Gorse, Souvenirs d’un homme de cour, ou mé-
III. The Science of a Connoisseur, Whitehall, 1782, moires d’un ancien page, contenant des anecdotes se-
p. 209 (pubblicato per la prima volta nel 1719): crètes sur Louis XV et ses ministres... écrits en 1788,
«What I have been saying, puts me in mind of Paris, 1805, pp. 363-364, nota 6: «  L’amour de la
a story which passes very currently of this great patrie abonde en exemples d’un fanatisme n’existant
master, and that is, that he had a porter fixed as jamais sans une forte passion. On écrirait nombres
to a cross, and then stabbed him, that he might de volumes, si l’on voulait entreprendre le traité de
better express the dying agonies of our Lord in a toutes les espèces de passions auxquelles l’homme
crucifix he was painting: I find no good ground est sujet. L’auteur d’un pareil ouvrage y exhiberait
for this slander. Perhaps it is a copy of a like sto- sans doute l’ardeur des sciences et des arts pous-
ry of parrhasius, the truth of which is also much sée quelquefois de même jusqu’à la frénésie. Il nous
doubted of; it is said he fastened a slave he had parlerait d’Héliodore renonçant, au rapport de Ni-
bought to a machine, and then tormented him to céphore, à son évêché de Trica, pour publier son
death, and whilst he was dying, painted the Pro- beau roman de Théagènes et de Chariclée…Il nous
metheus he made for the Temple of Minerva at montrerait Michel-Ange emporté par la fougue de
Athens». son talent, lequel croyant ne pouvoir bien peindre
20
T. Salmon, Lo stato presente di tutti paesi e popoli au naturel son fameux Christ, // tant que le modèle
del mondo, Venezia, 1761, Libro XXIII: Continua- posé devant ses yeux sur le chevalet serait en vie,
zione dell’ Italia o sia descrizione del Regno di Napoli le poignarda de sang-froid pour parfaire ce table-
(1761), pp. 67-68: «the apartment of the priore is au, unique par la beauté de l’entente et celle de la
like that of a prince with rare and beautiful things) composition ; ce tableau qui figure avec un si grand
[…] raccolta di eccelenti pitture de’ migliori Mae- succès parmi la superbe collection de ceux que les
stri, e tale che può dirsi una compiuta Galleria. Fra curieux admirent dans la galerie du palais du roi de
queste si distinguono in particolare un S. Lorenzo, Naples. Peut-être le sacrifice attribué à Héliodore
originale di Tiziano, e il famoso Crocifisso di Mi- est-il douteux, puisque ni Socrate, ni Photius n’en
chelangelo, per cui vuole la volgar tradizione che font mention, peut-être aussi le crime de Michel-
ucciso avesse un facchino, legato in prima a una Ange n’est-il pas beaucoup mieux avéré, si l’on s’en
trave in forma di croce, per esprimere al naturale réfère au texte d’un dictionnaire sur les antiquités
tutti i suoi movimenti e agonie […] (great library) d’Italie. Mais ces deux assertions, fussent-elles er-
[…] bellezza e magnificenza di questo luogo, che ronées, prouvent du moins à quels excès l’on croit
non ha forse il simile in tutta l’Europa». les passions enclines.»
21
C. de Brosses, Le président Le Brosses en Italie. 24
Abbé de la Porte, Le voyageur ou la connoissance
Lettres familières écrites d’Italie en 1739-1740, Paris, de l’ancien e du nouveau monde, Paris, 1782, XXVII,
1858, I, pp. 371-72, parlando della sua visita a Na- pp. 159-61: «ce qui l’importe au dessus de tout
poli: «C’est aussi là qu’on voit le prétendu crucifix (della Certosa) est l’appartement du prieur: il est
Maia Wellington Gahtan, Il “famoso crocifisso” dipinto da Michelangelo: dalle diffamazioni alle collezioni 71

digne d’un roi. On y voit des plafonds peints, des einen Menschen eines gewaltsamen Todes sterben
desseins originaux qu’on conserve sous glace, e des lassen, um den Prometheum nach solchem Origi-
tableaux d’un grand prix, parmi lesquels se trouve nal desto natürlicher vorstellen zu können, mag
le fameux Christ de Michelange, petit tableau d’en- vielleicht zu der Beschuldigung, womit Angelo be-
viron un pied de haut…». leget wird, Gelegenheit gegeben haben.»: II, p. 55,
25
J.J. de Lalande, Voyage en Italie Paris, 1769, sulla quarta stanza del Palazzo Borghese: «…und
VI, p. 161: «On y fait sur-tout remarquer un pe- Michel Angelo Buonarota den gecreuzigten Chri-
tit crucifix d’environ un pied de haut, peint par stum, welchen desto besser auszudrücken dieser
Michel-Ange, d’une expression si frappante qu’une Künstler einen armen Kerl mit grosser Unbarmher-
personne dans l’admiration, disoit qu’il falloit que zigkeit soll haben gecreuziget, und in solcher Mar-
Michel-Ange eût crucifié réellement un homme ter, nachdem er ihm etliche Schläge an den kopf
pour lui servir de modele: cette maniere de louer gegeben, sterben lassen. Dieses Gemähld in dem
le tableau a passé de bouche en bouche, & l’on en Pallaste Borghese soll das Original seyn, es wol-
a fait une histoire positive qui est rapportée dans lensolches aber auch die Carthäuser zu Neapolis
beaucoup de livres, & derniérement encore dans haben. Eines ist vielleicht so wahr als das andere.
les Lettres de Madame du Boccage» («Je n’ai pu Das heisige ist noch kleiner, als dasjenige, so in S.
voir aujourd’hui su la montagne le sanctuaire des Johanne Lateranensi stehet, und in der That wenig
Chartreux où brille le crucifix de Michel-Ange qui, daran zu sehen, warum man einen Menschen hätte
dit-on, ôta la vie au modele pour mieux imiter son um das Leben bringen sollen»; I, pp. 541-2, sulla
agonie.» in A.M. du Bocage, Receuil des Oeuvres, Pe- testa di Cristo spirante a San Marco: «In der Kam-
risse, 1762, p. 267) mer, welche Savonarola ehemals bewohnet hatte,
26
J. G. Keyssler, Neueste Reisen durch Teutschland, ist der Kopf des sterbenden Heilandes vom Mich.
Böhmen, Ungarn, die Schweiz, Italien und Lothringen, Angelo Buonarota vortrefflich gemahlt zu sehen.
Hannover, 1740 (vol. I) e 1741 (vol. II): II, p. 322, Die Patres erzehlen haben, dass dieses Gemählde
sul Quarto del Priore, San Martino: «Die vielen nach del Originale eines sterbenden Menschen,
und weitläuftigen Zimmer des Patris Prioris sind welchen Buonarota mit Fleiss an einem Creuze
mit den kostbarsten Gemählden, worunter auch hingerichtet habe, um das Gesicht eines auf solche
viele Geographische anzutreffen, ausgezieret. Vor Art verscheidenden Menschen desto natürlicher
andern verdienen des Cavaliere d’Arpino, Mas- ausdrücken zu können, verfertiget worden sein.
simo, Espagnoletto, Ciotti, Zingaro, Santa Fede, Allein die ganze Erzehlung scheinet einer Fabel
Spadaro und Titiano Werte, nebst den Zeichnun- gar ähnlich, ob man sie gleich auch zu Rom und
gen des Rubens und Albrecht Dürer betrachtet zu Neapolis von etlichen andern solchen Gemähl-
werden. Man macht auch viel Wesens aus einem den erzehlet. Indessen ist meines Erachtens das
Gemählde auf Holz, so den gecreuzigten Heiland jehztgedachte Florentinische Stück darin besser
vorstellt, und von Michaël Angelo verfertigt seyn und der Wahrscheinlichkeit gemässer, dass es den
soll, als er einen armen Kerl an ein Creuz bevesti- Kopf auf die eine Seite geneigt oder gebeuget hat,
get und hernach mit einem Dolche erstochen, um an statt dass die obgedachten Römische und Nea-
desto natürlicher eine in solchem Leiden sterbende politanische Gemählde das Haupt des sterbenden
Person abbilden zu können. Das Stück ist gar klein Heilandes ganz steif und aufgerichtet vorstellen.»
und kann man nicht vieles besondere daran erken- 27
«Il est odieux que de futiles considérations
nen, es hält auch der sterbende Heiland den Kopf, arrêtent ainsi le progrès des sciences. Les grands
wider alle Wahrscheinlichkeit, steif in die Höhe. In hommes se sont-ils laissé captiver par d’aussi mé-
dem Pallaste der Familie Borghese zu Rom wird ein prisables chaînes?.... Tous les artistes ont pensé
vergleichen Stück nicht weniger für das Original de meme: quand Michel-Ange voulut rendre un
ausgegeben, und vielleicht ist die ganze Erzehlung Christ au naturel, se fit-il un cas de conscience de
eine Fabel. Wenigstens würde ein so geschickter crucifier un jeune homme, et de le copier dans les
Meister, als Michaël Angelo war, eine solche Be- angoisses?....Mais quand il s’agit des progrès de no-
gebenheit, wenn er zu vergleichen barbarischen tre art, de quelle nécessité ne doivent pas être ces
Unternehmen capabel gewesen wäre, sich beser, mêmes moyens!», in Marquis de Sade, La nouvelle
also im befagten Gemählde geschehen, su Nussen Justine ou le malheurs de la vertu orné d’un fronti-
gemacht haben. Was man von Parrhasius (Vid. spiece et de 40 sujets gravés avec soin, en Hollande,
Iunius de pictura veterum) erzehlt, dass er nemlich 1797, I, p. 319.
72 Scritti di Museologia e di Storia del collezionismo in onore di Cristina De Benedictis

28
A.F. Gori, Notizie storiche ed Annotazioni, in A. 29
Lettera di Gabburri a Mariette, 4 Ottobre 1732, in
Condivi, Vita di Michelangelo Buonarroti, a cura di G.G. Bottari (a cura di), Raccolta di lettere sulla pittura
A.F. Gori, con note di P.J. Mariette, Firenze, 1746, scultura ed architettura scritte da’più celebri personaggi
pp. 117-18: «Qui cade in acconcio di togliere dal- che in dette arti fiorirono dal secolo XV al XVII, Roma,
la mente del volgo ignorante una certa mala voce, 1757, II, pp. 279-80: «Il credere dunque si manife-
che si sparse dopo la morte del Buonarroti, che sto, stimo, che sia degno di biasimo, appunto come
avendo egli si bravamente studiato Anatomia, col lo fu meritamente, e lo sarà sempre quel predicatore
fine di far più maravigliose le sue Statue e Pitture, inesperto, che disse in pulpito pubblicamente, che
spezialemente quelle del Giudizio Universale, che Michelagnolo per fare un Cristo spirante, aveva fatto
egli dipinse nella facciata della Cappella di Sisto; morire crudelmente in croce un povero contadino:
facendo continuamente Notomia de’ Cadaveri onde non vi manca tuttavia chi troppo credulo tenga
umani, per dipignere un Crocifisso, ammazzasse per certa questa novella, che non ha altro fondamen-
a bella posta un facchino: e ciò facesse per ritrarlo to, che l’essere stata detta da un frate. E pure questo
in quell’atto compassionevole, che sperava, me- equivoco deriva dal non aver bene intesa la vita di Mi-
glio così far conoscere la sua perizia ed arte. Ciò è chelagnolo, perché nasce solo dallo studio, che faceva
falsissimo: e ben si comprende dalle sensate per- quel grand’uomo nel tagliare i cadaveri in tempo, che
sone, che tale stravagante ciarla non poteva venire egli stava nella chiesa di S. Spirito per far quel Cristo
in capo ad altri, che a un Frate ignorante, il quale di legno, che vi si vede ancora presentemente. E que-
ebbe il coraggio (senza adurne le prove e i testimo- sto è il mio sentimento, il quale sotopongo volentieri
ni) di farlo noto al popolo un giorno dal pulpito, al vostro purgatissimo giudizio».
in cui declamava; il che si narra da Monsig. Sar- 30
N. Gabburri, «Vite de’ pittori», 4 voll., in Biblio-
nelli a carte 327 delle sue Lettere Ecclesiastiche. A teca Nazionale Centrale, Firenze, Fondo Palatino, E.
me reca maraviglia, che questo dotto Scrittore si B. IX. 5 (1719-41), IV, pp. 1821-1822: «Il Sarnelli
mostrasse propenso a crederlo, e molto più a scri- a 327 nel citare un Crocifisso dipinto (dice Egli)
verlo. Se il Crocifisso dipinto da Michel Agnolo da Michelagnolo, cade ancor Esso nel medesimo
fosse quello, che ora come mi fu detto, in Londra errore nel quale cadde un certo Frate Predicatore,
si conserva, e si vede nella Galleria di un certo Si- quando declamò dal Pulpito, che Michelagnolo per
gnor grande: o quello, in un piccol quadretto si dipignere un Crocifisso ammazzasse a bella posta
vede, e si ammira in questa Regia Galleria, e forse un Facchino; cosa falsissima, e da non credersi se
può essere il modello del quadro maggiore che è a non dagli sciocchi e dagl’ignoranti, soggiugnendo
Londra; dico che queste sole Opere a noi note, ed che questo è il medesimo Crocifisso per cui tenne
altre immagini di Gesù Christo Crocifisso lodate al naturale il detto Facchino sin tanto // che egli
dal Vasari, e da altri, opere tutte del gran Miche- spirasse, ritraendolo in quell’atto per meglio far co-
lagnolo, bastano a convincere tal voce di falsità, noscere la di lui propria perizia nell’Arte, il che vien
e d’impostura; oltre di che ci resta a considera- riprovato da Andrea Scoto. Non si sa di qual Cro-
re l’integrità de’ costumi, e la bontà e la pietà di cifisso intenda di parlare il detto Sarnelli, ma sarà
esso in più luoghi celebrata dal Condivi, dal Va- probabilmente una copia, perché l’originale chiaro
sari, e da altri…». Su quest’edizione di Condivi e indubitato dipinto da Michelagnolo in un picco-
che fu iniziata da Gabburri e completata da Gori lo quadretto si vede conservatissimo nella Camera
con l’aiuto di Mariette, vedi l’articolo di F. Borro- detta la Tribuna nella Real Galleria di Toscana. San-
ni Salvatori, Francesco Maria Nicolo Gabburri e gli drart par. 2a Libro 2° Capitolo 15 a 155. Vasari par.
artisti contemporanei (1676-1742), in «Annali della 3a Libro 2° a 717. Vedi Parrasio nella prima parte
Scuola Normale di Pisa», IV, 4 (1974), pp. 3-72. di questo Libro.», cfr. nota 28. Madame de Lalande
Sembra che Gori abbia fatto una certa confusio- aveva notato questo quadro nella Tribuna: «Un pe-
ne riguardo al contenuto delle opere di Sarnelli. tit tableau de Michel-Ange répresentant Christ en
Infatti nelle «Vite dei pittori» (cfr. nota 30), egli Croix, & au bas Sain Jean & la Madeleine. Il est
suggerisce che Sarnelli commette lo stesso errore bien dessiné & d’une belle exécution: les figures
del frate ignorante, ma non afferma che lo cono- ont environ un pied; il est bien conservé», ma non
scesse. Per il Gabburri, c. 329, probabilmente è l’aveva riferito alla leggenda (de Lalande, Voyage en
un riferimento all’edizione del 1697 della guida di Italie, … cit-, II, p. 215).
Sarnelli (cfr. nota 15). Le sue Lettere ecclesiastiche 31
Si vedano le sezioni sulle città di Napoli,
(Napoli, 1686-96) non menzionano la leggenda. Roma e Firenze in A. Cambieri-A. Schott (a cura
Maia Wellington Gahtan, Il “famoso crocifisso” dipinto da Michelangelo: dalle diffamazioni alle collezioni 73

di), Italiae Illustratae seu Rerum, Urbiumque Itali- 35


Vedi nota 26. Della testa di Cristo spirante col-
carum Scriptores Varii, Notae melioris, Frankfurt, locata nelle stanze di Savonarola, non ci sono tracce
1600 e A. Schott, Itinerarium nobiliorum Italiae, 3 negli inventari del museo. La leggenda esercitò un
voll., Vicenza, 1600 (ed anche nella versione ita- tale fascino da essere trasferita ad un’altra opera al-
liana, «accresciuto di molte cose, che nel Latino lora attribuita a Michelangelo – un dipinto grande
non si contengono») non ha prodotto riferimenti di una Crocifissione in una collezione privata inglese,
all’aneddoto, anche se l’autore descrive la vista e i per il quale il Gori pensava che il quadretto degli
gentilissimi monaci della Certosa di Napoli. Uffizi fosse servito da modello. Fu riferita ad altri
32
G. Gaeta Bertelà, La Tribuna di Ferdinando I de’ artisti famosi per le loro figure realistiche come il
Medici. Inventari 1589-1631, Modena, 1997, p. 10, fondatore della rinascita della pittura italiana, Giot-
nota 78: «in correspondenza a c. 6d: questo qua- to, il pittore lombardo Daniele Crespi e lo scultore
dro in suo luogo s’è messo un quadro d’un Cristo austrico Franz Xavier Messerschmidt (Vedi Land,
in croce che viene da Michelangelo Buonaruoti». Michelangelo … cit.; P. Barolsky, Fables of Art, in
33
Sul quadretto proveniente dalla Tribuna, vedi «The Virginia Quarterly Review», LXXI, 2 (1995),
Forcellino, Michelangelo … cit., p. 112; Ragio- pp. 280-287; G. Nicodemi, Daniele Crespi, Busto
nieri, Vittoria Colonna … cit., n. 52, pp. 170-71; Arsizio, 1930, p. 93; E.H. Gombrich, Preface, in E.
S. Capelli, Marcello Venusti un valtellinese pittore a Kris-O. Kurz, Legend, Myth, and Magic in the Image
Roma, in «Studi di storia dell’arte», XII (2001), pp. of the Artist: A Historical Experiment, New Haven,
17-48, G. Kamp, Marcello Venusti. Reliogiöse Kunst 1981, p. XI), e subentrata in analogia ad altre leg-
im Umfeld Michelangelos, Egelsbach, 1993, p. 105; gende stravaganti, come nella vita di Caravaggio di
Cimino, Il Crocifisso … cit., pp. 61-67. Francesco Susinno (1724): «Per dipingere Lazzaro
34
«Dans la galerie de Florence le grand rond est in un dipinto della sua resurrezione Caravaggio fece
une Vierge don’t la couleur est tranchante è son diseppelire un uomo morto da alcuni giorni e lo
ordinaire, on voit à ce qu’on prétend l’original de fece tenere in braccio a dei facchini. Seneca racconta
son fameux (a) crucifix….(a) un pareil crucifix se un fatto simile riferito a Parrasio. Parrasio dipinse su
trouve à Rome chez le Prince Borghese & un pa- tela un Promoteo a cui l’avvoltoio beccanti il cuore.
reil chez les Chartreux de Naples qu’on assure tous // Come modello usò uno schiavo di nome Olindo
deux originaux.», in A.J.D. d’Argenville, Abregé de la che legò come Promoteo e gli mise dei tizzoni ai
vie des plus fameux peintres, Paris, 1745-1752, p. 82. fianchi – gli aumentò i tormenti finché non raggiun-
Per i giudizi del Keyssler, vedi nota 26. L’inventario se un aspetto adatto ad esprimere il dolore. Dicesi
Borghese del 1693, n. 417, registra «un quadruc- altresì di Michelagnolo Bonarota (io son di parere
cio di due palmi in circa con un Christo in croce che fosse favola) aver conficcato con veri chiodi un
in pietra lavagna del n. 431 segnalo dietro cornice pover’ uomo ad un legno ed avergli quindi trapassa-
dorata di Fra Bastian de Piombo» mentre il n. 431 to il cuore con una lancia, per dipignere un crocifis-
era una Pietà (altro soggetto trattato da Michelange- so», in F. Susinno, Le vite de’ pittori messinesi, a cura
lo per Vittoria Colonna) attribuita a Michelangelo di V. Martinelli, Firenze, 1960, pp. 112-13.
(vedi P. della Pergola, L’inventario Borghese del 1693: 36
Nel 1806, a Frederich Anders fu commissiona-
3, in «Arte antica e moderna», 1965, 202-17. Sul to «di andar subito al convento della Certosa di
quadretto Borghese, vedi Forcellino, Michelangelo San Martino per scegliere li quadri degni per la
… cit., pp. 103-19 e 246-47, che riporta un’altra Real Galleria e farli benanche trasportare al Real
testimonianza dettagliata di questo quadro (senza ri- Museo», citato in F. Strazzulo, La quadreria del
ferimento alla leggenda) fatta da un viaggiatore tede- “Quarto del Priore” nella Certosa di San Martino a
sco, Wilhelm Heinses, nel 1781-83, e una citazione Napoli, in «Atti dell’Accademia Pontaniana», XX-
breve di Johann Winckelmann che lo ricorda come XII (1983), pp. 227-51: 240, che riproduce l’in-
«Il crucifisso famoso di Mich. Angelo lungo un pie- ventario delle 282 opere consegnate al Museo Re-
de e nove pollici e mezzo nella galleria Borghese.» ale nell’ottobre 1806 (dall’Archivio Vecchio dell’ex
Sui palazzi e collezioni Borghese e i suoi visitatori, Museo Borbonico): seconda stanza del Quarto «1
vedi C. Paul, The Borghese Collections and the Display detto di palmi 11/4 x 2 Un Cristo in Croce, Scuola
of Art in the Age of the Grand Tour, Aldershot, 2009. di Michelangelo e dalla Foresteria: «1 detto palmi
Il quadretto Borghese ha portato con sé la leggenda 4 x 3 Un Crocefisso della Scuola di Michelangelo»
anche nel suo passaggio alla collezione di Lucien (p. 244). L’inventario del Quarto del Priore è stato
Bonaparte (vedi nota 40). pubbicato da A. Borzelli, Un inventario di Quadri
74 Scritti di Museologia e di Storia del collezionismo in onore di Cristina De Benedictis

nel Quarto, Napoli, 1913 (dalle Carte del Real Mu- ment qui était du Prieur et qui est aujourd’hui du
seo di Stato Napoli, fascio 51-52), dove si cita una Commandant des Vétérans, on voyait entr’autres
crocifissione nella seconda stanza del Quarto, con objets rares et précieux, un St. Laurent du Titien
la nota: «è il famoso crocifisso della leggenda creata et un crucifix d’une singulière force d’expression,
e ripetuta tra noi». de Buonarroti», oppure E. Pistolesi, Guida Metodi-
37
Inventari più tardivi, anch’essi attualmente in ca di Napoli e suoi contorni, 2 voll., Napoli, 1845,
fase di studio, come l’inventario del 1827, Quadri I, p. 168: «…nell’appartamento del priore eravi
di scarto e del 1852, Catalogo ragionato della Regia un di S. Lorenzo del Tiziano: un Crocifisso spi-
Pinacoteca nel palagio Reale del Museo Borbonico, rante del Buonarroti di singolare espressione…»,
non contengono descrizioni di crocifissioni di pic- che, però, tacciono della leggenda, mentre que-
coli dimensioni legate alla scuola di Michelangelo. sta è ricordata brevemente in qualche manuale
Sulla formazione dei musei a Napoli, vedi, A. Fit- di anatomia dell’Ottocento (G. Hyrtl, Antiquita-
tipaldi, Les musées à Naples au temps de Charles et de tes anatomicae rariores, Vienna, 1835, pp. 35-36,
Ferdinand de Bourbon (1734-1799), in É. Pommier (a nota N: «Idem de Michaële Angelo narratur, qui,
cura di), Les musées en europe à la veille de l’ouvertu- ut Christi Crucifixi vivum exemplar haberet, si-
re du Louvre, Paris, 1995, pp. 275-296. mili caede hominem vivum interemisse dicitur»,
38
R. de Piles, Oeuvres diverses. Tome premier conte- e nella poesia «Das Kreuzifix» del poeta tedesco
nant l’Abregé de la Vie des Peintres avec des Réflexions romantico Adalbert von Chamisso, che quasi sicu-
sur leur Ouvrages, Amsterdam e Leipzig, 1767, p. ramente l’aveva sentita raccontare durante l’infan-
151; cfr. J. Cox-Rearick, Cat. 17: Leda attr. a Gio- zia nella nobile casa francese dove era cresciuto.
vanni Battista di Jacopo detto il Rosso Fiorentino, in F. G. Melchiorri, Michelangelo nel Settecento inglese,
Falletti-J.K. Nelson (a cura di), Venere e amore. Mi- Roma, 1950, p. 22, accennando ai riferimenti alla
chelangelo e la nuova bellezza ideale / Venus and Love. leggenda in Carpenter, scrive: «L’opera del Car-
Michelangelo and the New Ideal of Beauty, Firenze, penter, evidentemente un opuscolo di propagan-
2002, pp. 174-6. da religiosa, come tanta parte dei volumi stampati
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É. Pommier, Préface, in Les musées … cit., p. 14, nell’epoca, non ebbe diffusione, e la sensazionale
e per l’Italia, vedi C. De Benedictis, Per la storia del leggenda non venne più ricordata nel suo e nel
collezionismo in Italia. Fonti e documenti, Firenze, secolo successivo [!!!], ma dovette trovare altre vie
1998, specialmente pp. 108-116, 134-144. di diffusione in altri paesi, se poté formare oggetto
40
Nella didascalia che compare nella pubblica- di una pittura esposta in uno dei Salons parigini
zione del 1812: «Le Christ expirant, petit tableau, alla metà dell’Ottocento.». Di questa pittura fran-
peint sur bois, par Michel-Ange Buonaroti. Table- cese, l’autore non ha trovato tracce.
au qui a donné naissance au bruit populaire que 41
Vedi nota 23.
l’auteur avait crucifié un pauvre pour étudier le 42
Articoli giornalistici, per lo più citati anche in
jeu des muscles, et dont les copies sont répandues E. Steinmann (a cura di), Michelangelo Bibliographie:
par-tout». B. Edelain-Badie, La collection de tableaux 1510-1926, Leipzig, 1927: «Corriere della Sera»,
de Lucien Bonaparte, prince de Canino, Paris, 1997, 4.11.1912 (che fa riferimento a un precedente ar-
pp. 224-225, per la scheda di quest’opera, che era ticolo); G. Mattinutti, Il Crocifisso di Michelangelo e
già nella sua collezione nel 1802. Sulla storia di le origini d’una strana leggenda (lettera all’editore),
questo dipinto in relazione a quello della Galleria in «Corriere della Sera», 7.11.1912; L. Damiani, ne
Doria con cui si confondeva nei documenti, vedi «L’araldo» (prima del 17.11.1912); G. Nascimbeni,
Forcellino, Michelangelo … cit., pp. 103-19, e bi- Michelangelo accusato d’omicidio, in «Il Marzocco»,
bliografia citata. Dopo la sua scomparsa nei primi 17.11.1912. Più recentemente il tema è tornato sui
decenni dell’Ottocento, del Crocifisso napoletano giornali in occasione di una mia conferenza presso
si trovano solo sporadici accenni nelle guide di la Casa Buonarroti: M. Ferri, Michelangelo e la leg-
Napoli, ad esempio L’itinéraire instructif de Rome genda del modello accoltellato, in «Il Giornale della
à Naples, Napoli, 1831, p. 105: «Dans l’apparte- Toscana», 22.11.2006.

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