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Erano le quindici o le quindici e mezzo, non sono sicuro, c’eravamo fermati a parlare prima di

uscire dalla scuola e avevo perso la cognizione del tempo; ad ogni modo ci trovavamo lì per un
corso di pomeriggio cui avevo aderito, era molto interessante innovativo che si possa definire
di “open mind”: ci presentava alcune problematiche della società e dovevamo cercare modi
alternativi per risolverli.
All’uscita ci seguiva a distanza la più brava della classe, Benedetta, penso che lei partecipasse
ad ogni corso, prendendo sempre appunti e assentandosi il meno possibile, non so se era
solitaria di carattere o stava sola perché non aveva amici; so solo che era sempre la prima ad
entrare e l’ultima ad uscire dalla scuola.
Come tutti i giorni ci fermavamo sotto la galleria Scipioni dove non pioveva e se per
l’indomani non avevamo troppo da fare, ci passavamo ore, di fronte a quel bar a parlare di
qualunque cosa ci passasse per la mente: sport, scuola, ragazze e così via.
Come sempre Benedetta ci passò di fronte ci salutò con un filo di voce e senza nemmeno
provare a trattenersi tirò dritta per la sua strada, dopo che ebbe svoltato l’angolo e dopo
esserci assicurati che non ci potesse sentire abbiamo iniziato a ridere di lei: facevamo battute
di poco gusto ma che da ragazzino facevano ridere nonostante la crudeltà :
-oggi ha ritardato di 15 minuti, strano! Chissà se ora si metterà a piangere!-.
L’indomani mattina mi trovai a scuola come sempre con i miei 5 minuti di ritardo e
aspettandomi una ramanzina dalla professoressa.
Stavolta però , arrivato in classe, affannato per la corsa fatta, non trovai nessuno: solo gli zaini
dei miei compagni.
Un mormorio mi arrivò all’orecchio, lo seguii finché non vidi nell’altro corridoio un ammasso
di ragazzi che si dimenavano per vedere cosa stava succedendo, e così spinto dalla curiosità
così come gli altri mi affrettai a correre.
La porta del bagno era aperta, nulla si vedeva se non una macchia rossa scura a terra, non
collegai subito cosa potesse essere ma mi fu subito chiaro quando vidi il corpo di un ragazzo a
terra proprio li affianco.
Avevo già visto quel ragazzo, era più grande di me e qualche volta ci ho pure parlato e il
giorno prima era a scuola di pomeriggio per il mio stesso corso.
Mio padre lavorava alla polizia, era un investigatore; potreste pensare sia un lavoro forte ma
lui voleva che io seguissi la sua carriera e quindi talvolta mi portava con lui e le cose che
vedevo non sempre erano delle migliori.
Arrivò mio padre, mandato dalla centrale per occuparsi della situazione, con l’aiuto dei suoi
colleghi riuscì a far sgomberare l’area e a far tornare gli studenti alle loro classi per proseguire
una “normale” giornata di studi.
Non riuscii ad essere molto concentrato sugli argomenti trattati quel giorno, così come i miei
compagni di classe che chi più chi meno erano sconvolti, pallidi e oggi più silenziosi che mai.
Alla fine della giornata scolastica non vedevo l’ora di tornare a casa per riprendermi ma mio
padre decise di sfruttare la mia conoscenza della scuola e così mi trattenne lì con sé.
Cercavo sempre di impegnarmi quando ero insieme con lui per non deluderlo e tanto meno
per non fagli fare una figuraccia con i suoi colleghi e così feci anche quel giorno quando provo
a spiegarmi come capire o meglio dedurre tutto il possibile per trovare un sospettato.
Ogni volta che io ero lì con lui di fronte a un delitto o a qualsiasi altro gli spuntava un sorriso
fra le labbra, ne dedussi che era felice che io fossi lì con lui e così rimasi lì senza lamentarmi e
cercando di seguirlo nei suoi ragionamenti contorti.
Mi spiegò come dal semplice tratto lasciato dal coltello con cui era stato pugnalato il ragazzo
era riuscito a capire che quella era la prima volta che l’assassino uccideva, si notava come la
lama era entrata nel torace di quel poveretto con forza, come spinta da un grande odio ma
appena entrata la lama, il possessore subito se ne pentì fu colto dal rammarico allentando la
presa come ci suggerisce il contorno del taglio, subito dopo però pervaso dall’odio riaffondò la
lama e uccise definitivamente il ragazzo.
Quello era un sabato pomeriggio passato a guidare mio padre all’interno della scuola e a
parlargli dei professori e dei ragazzini più grandi di me.
Quel fine settimana dormii poco, come tutte le sere dopo che mio padre mi portava con se,
pensavo a come e perché qualcuno si sarebbe spinto a punto da uccidere, anche se io ne
potevo capire poco.
Passò una settimana, diversa dal normale dove i poliziotti non girovagavano per i quattro
corridoi della suola e tantomeno andavano a chiamare i professori uno ad uno per
interrogarli.
Mi ero ormai incuriosito e continuavo a chiedere a mio padre di aggiornarmi sulle sue
scoperte ma a quanto pare non riuscivano a trovare nulla di compromettente, nulla che
riconducesse a una persona niente di niente.
Questa cosa mi insospettii, come era possibile che non ci fosse nulla: ne un’ impronta ne una
registrazione di qualche videocamera, niente.
Mi ricordai di quando il giorno prima dell’assassinio andammo a quel corso pomeridiano ne
avevamo parlato e con mia assoluta sorpresa Benedetta, solitamente così timida e solitaria, si
era fatta valere nel sostenere la possibilità di riuscire a commettere l’omicidio perfetto.
Me ne ricordai ma finì tutto lì.
L’indomani mattina dopo scuola andai alla centrale con mio padre ma all’ingresso ci sorprese
un uomo in camice bianco e una paio di occhiali sulla fronte; Si affrettò a chiamare mio padre
e mostrargli una bustina di plastica trasparente ma vuota, la apri delicatamente e con un paio
di guanti me sfilò un filo molto sottile, un capello che analizzato al DNA diceva il nome del
possessore.
Capello trovato sul corpo della vittima.
Mi disse subito di chi era e di starne alla larga dato che per il mandato di arresto serviva
minimo di un giorno e che quindi io ci sarei dovuto andare a scuola insieme o meglio in classe
insieme.
Ad ogni persona chiamata per essere interrogata lei sogghignava, non riuscivo a toglierle gli
occhi di dosso e questo è stato il mio errore o almeno credo visto che alla quinta ora mentre
frettolosamente cercavo di dileguarmi e di allontanarmi non trovai più il mio telefono, non
potevo andarsene senza perché con lui cerano anche i miei documenti e così cercandolo
rimasi l’ultimo in classe, quando la vidi uscire tirai un filo di sospiro pensandomi al sicuro ma
giusto dopo cinque minuti, usciti tutti dalla scuola, la vidi rientrare con le mie cose.
Benedetta veniva verso di me, con un ghigno non so se lo faceva perché sapeva che io sapessi
o per un altro motivo che ancora ignoro, fatto sta che a salvarmi fu proprio mio padre che non
so come ma riuscì a trovarmi e anche a trovare l’assassino che era nella stanza con me.
L’unico errore di benedetta è stato essere troppo sicura di se che la portata ad un errore
stupido come quello che l’ha incastrata.

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