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Marco Cavallo
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All content following this page was uploaded by Marco Cavallo on 14 March 2016.
Psicologo e Psicoterapeuta, Ricercatore in Neuropsicologia, Università eCampus, Novedrate
(Como), Italia; Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL TO3, Torino, Italia.
Psicologa, Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL TO3, Torino, Italia.
Indirizzare le richieste a Marco Cavallo (marco.cavallo@uniecampus.it).
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1. Introduzione
su figure per lui affettivamente significative. Altri aspetti di rilievo nel feno-
meno del maltrattamento sono la gravità, la frequenza, e la cronicità (per
esempio, Camisasca, 2009; Di Blasio, Camisasca, & Procaccia, 2007; Pro-
caccia, 2011). Inoltre, alcune caratteristiche come l’età, il genere, il tempe-
ramento o la pregressa disabilità possono portare il bambino a una maggiore
vulnerabilità a certe forme di maltrattamento (Di Blasio, 2000). Questa sche-
matica categorizzazione non riflette però la complessità della realtà del fe-
nomeno. In ambito clinico è, infatti, estremamente raro identificare situa-
zioni “pure”, mentre sono frequenti quadri in cui entrano in gioco diversi tipi
di maltrattamento, a cui si vanno a sommare altre variabili ambientali e so-
ciali di rilievo. Il maltrattamento infantile in tutte le sue varie forme influenza
in modo significativo lo sviluppo sociale, emotivo e cognitivo del bambino.
Sono ormai molti gli studi che si sono occupati delle sequele psicopatologi-
che e psichiatriche derivanti dal maltrattamento (ad esempio, il disturbo post-
traumatico da stress, i disturbi d’ansia, la depressione, e i disturbi del com-
portamento).
Tuttavia, nel bambino con storia di maltrattamento, risulta essere anche
cruciale l’indagine delle conseguenze del maltrattamento sullo sviluppo ce-
rebrale e sulle funzioni neuropsicologiche, che possono condurre a deficit
cognitivi e a conseguenti ridotte future performance scolastiche e professio-
nali. Le ricerche in tale importante ambito hanno iniziato recentemente a for-
nire risultati interessanti. Obiettivo del presente lavoro è, pertanto, quello di
passare in rassegna recenti studi sulle possibili sequele neurobiologiche e
neuropsicologiche del maltrattamento infantile, per identificare quali aree ce-
rebrali siano maggiormente coinvolte a seguito di tale esperienza, e correla-
zionalmente per individuare quali domini cognitivi ne vengano maggior-
mente influenzati. Queste evidenze sono, infatti, indispensabili per proget-
tare protocolli neuropsicologici accurati utili a indagare approfonditamente
le funzioni cognitive deficitarie nei bambini maltrattati e, dove possibile, a
implementare interventi terapeutici mirati.
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(Gunnar & Quevedo, 2007), è stato ipotizzato che questa variazione rispec-
chi la vicinanza della figura di attaccamento principale che esercita una re-
golazione sul bambino sia a livello fisiologico sia emotivo (Gunnar et al.,
1996; Tarullo & Gunnar, 2006). Il caregiver, rispondendo in maniera appro-
priata alle richieste del bambino e rispecchiando le sue emozioni in modo
accurato, ne regola le emozioni, gli impulsi e i livelli di attivazione (per
esempio, Camisasca, 2009; Camisasca, Miragoli, & Di Blasio, 2014; Cigala
& Mori, 2012). Da alcuni studi è, infatti, emerso come bambini con attacca-
mento sicuro abbiano livelli di attivazione del sistema dello stress più bassi
rispetto a bambini con attaccamento disorganizzato o insicuro (Spangler &
Grossman, 1999; Spangler & Schieche, 1998). Spesso però è proprio chi si
occupa delle cure primarie del bambino a diventare artefice del maltratta-
mento, trasformandosi da “base sicura” a stressor. Infatti, molti dei bambini
che hanno vissuto esperienze di maltrattamento precoci presentano un’alta
incidenza di attaccamento disorganizzato (per esempio, Attili, Di Pentima,
& Toni, 2013; Zeanah et al., 2005), che porta ad alterazioni nell’attivazione
del sistema dello stress.
Durante una situazione stressante i sistemi che vengono attivati, e che
interagiscono tra loro modulando le risposte agli stressor acuti e cronici,
sono i seguenti (De Bellis, 2003):
• il sistema neurotrasmettitoriale (asse locus coeruleus-sistema nervoso
simpatico-midollare del surrene);
• il sistema neuroendocrino (asse-ipotalamo-ipofisi-surrene).
Le esperienze traumatiche infantili influenzano, dunque, il normale sviluppo
cerebrale attraverso l’attivazione anomala di questi sistemi biologici dello
stress (De Bellis, 2001). Infatti, l’esposizione prolungata alle sostanze se-
crete dai sistemi dello stress può interferire con lo sviluppo cerebrale attra-
verso diversi meccanismi, quali la perdita accelerata (o l’accelerato metabo-
lismo) nei neuroni, ritardi nella mielinizzazione, anomalie nella modalità di
pruning appropriata alla fase di sviluppo, l’inibizione della neurogenesi o la
diminuzione stress-indotta dei fattori di crescita cerebrale (Lupien, McEwan,
Gunnar, & Heim, 2009).
Lo stress sembra influenzare in particolare la funzionalità e la struttura di
alcune aree cerebrali direttamente coinvolte nella reazione allo stress. Più in
dettaglio, la risposta allo stress è stimolata da stimoli esterni che vengono
elaborati attraverso i sensi e il talamo, per poi attivare l’amigdala, che a sua
volta comunica con la corteccia prefrontale, il nucleo paraventricolare
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Nelle ultime due decadi, diversi studi si sono occupati dei correlati neu-
roanatomici e neuropsicologici del maltrattamento infantile, fornendo inte-
ressanti risultati preliminari. Guarderemo pertanto ora alle principali strut-
ture cerebrali criticamente coinvolte nel fenomeno, arricchendone la tratta-
zione con la presentazione delle principali funzioni neuropsicologiche a esse
associate.
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risultati di questo studio per accennare al ruolo della plasticità in età infan-
tile. Infatti, sebbene le esperienze traumatiche nell’infanzia possano lasciare
sequele a lungo termine, si evince come un intervento precoce, che vada a
modificare l’ambiente soprattutto relazionale del bambino possa portare a
modificazioni cerebrali positive attraverso i meccanismi della plasticità neu-
ronale. Essa si riflette, infatti, soprattutto nella creazione di nuove connes-
sioni attraverso le fibre mieliniche della sostanza bianca. Questo tipo di pla-
sticità è presente fino all’età adulta ed è sensibile alle esperienze e all’am-
biente sociale e relazionale (Lebel et al., 2012; Miller et al., 2012). Per que-
sto motivo, l’individuazione precoce delle alterazioni cerebrali anche strut-
turali in bambini maltrattati risulta utile per promuovere interventi che va-
dano ad agire a livello dell’ambiente sociale e relazionale del bambino, e che
promuovano la plasticità cerebrale e auspicabilmente il recupero e l’incre-
mento delle funzioni sottese a queste aree.
3. Conclusioni
Soltanto nel corso degli ultimi anni si sono iniziate a indagare le sequele
neurobiologiche, di neuroimaging e neuropsicologiche frequentemente asso-
ciate ai fenomeni del maltrattamento e dell’abuso infantili, e le evidenze
scientifiche oggi disponibili, per quanto necessariamente preliminari, ap-
paiono di estremo interesse. Le variabili che entrano in gioco nel maltratta-
mento durante l’infanzia sono molte e difficili da considerate congiunta-
mente, quali le caratteristiche del maltrattamento stesso (la tipologia, la du-
rata e la cronicizzazione), le caratteristiche del bambino (l’età, gli aspetti ca-
ratteriali e fisici, l’insorgenza o meno di un disturbo dell’umore o di PTSD),
e le variabili socio-economiche e culturali che caratterizzano l’ambiente di
riferimento relazionale del bambino.
A livello neurobiologico, dall’analisi dei diversi studi effettuata nel pre-
sente contributo, i sistemi di risposta allo stress sembrerebbero rappresentare
la chiave del problema. L’esperienza del maltrattamento attiva una risposta
anormale allo stress, responsabile dell’accumulo delle sostanze secrete dai
sistemi neurotrasmettitoriali e neuroendocrini come risposta alla situazione
stressante, che a loro volta vanno a interferire con il fisiologico sviluppo delle
aree dell’encefalo più vulnerabili. Le strutture cerebrali maggiormente col-
pite sono rappresentate dal sistema limbico (amigdala e ippocampo), dalla
corteccia prefrontale e dalla sostanza bianca, sia in termini funzionali (ipe-
rattivazione o ipoattivazione) sia strutturali (volumi aumentati o diminuiti).
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