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Correlati neuropsicologici e di neuroimaging del maltrattamento e dell'abuso


infantili

Article  in  Maltrattamento e Abuso all'Infanzia · December 2015


DOI: 10.3280/MAL2015-003002

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2 authors, including:

Marco Cavallo
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Correlati neuropsicologici e di neuroimaging
del maltrattamento e dell’abuso infantili
Marco Cavallo, Arianna Signorino

Il maltrattamento infantile influenza negativamente lo sviluppo sociale, emotivo e cogni-


tivo del bambino. Oltre alle ben note sequele psicopatologiche, in anni recenti si sono ini-
ziate a indagare le conseguenze del maltrattamento sullo sviluppo cerebrale e sulle funzioni
neuropsicologiche, che possono condurre a performance scolastiche e professionali non
soddisfacenti. Le evidenze scientifiche oggi disponibili, per quanto preliminari, suggeri-
scono che i sistemi di risposta allo stress giochino un ruolo di primo piano. L’esperienza
del maltrattamento sembra attivare una risposta anormale allo stress, che interferisce con
il fisiologico sviluppo di aree dell’encefalo più vulnerabili a stimoli stressogeni, quali il
sistema limbico, la corteccia prefrontale e la sostanza bianca. Tali modificazioni cerebrali
si ripercuotono negativamente su diversi domini cognitivi. Accanto all’imprescindibile di-
mensione relazionale, la recente evidenza scientifica suggerisce, pertanto, un’attenta con-
siderazione anche delle dimensioni neuropsicologica e neurobiologica, al fine di condurre
un’accurata indagine diagnostica e realizzare interventi terapeutici efficaci.
Parole chiave: bambino, maltrattamento infantile, cervello, neuroimaging, neuropsicolo-
gia.

Neuropsychological and neuroimaging correlates of child maltreatment and abuse.


Child maltreatment influences negatively the social, emotional and cognitive development
of children. In addition to the well-known psychopathological sequelae, in recent years
research has started to investigate the negative impact of maltreatment on neural structures
and neuropsychological abilities too, that can lead to limited performance at school or
work. Recent preliminary evidence suggests that the stress response system may play a
pivotal role. Maltreatment may activate an abnormal response to stress, that interferes with
the development of more vulnerable brain areas, such as the limbic system, the prefrontal
cortex, and the white matter. These changes have a significant impact on various cognitive
domains. In addition to the relational dimension, recent evidence thus suggests that it is
important to take into account seriously also the neuropsychological and neurobiological
dimensions, to perform an accurate diagnostic process and to implement effective thera-
peutic interventions.
Key words: child, child maltreatment, brain, neuroimaging, neuropsychology.


Psicologo e Psicoterapeuta, Ricercatore in Neuropsicologia, Università eCampus, Novedrate
(Como), Italia; Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL TO3, Torino, Italia.

Psicologa, Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL TO3, Torino, Italia.
Indirizzare le richieste a Marco Cavallo (marco.cavallo@uniecampus.it).
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Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 17, n. 3, novembre 2015, pp. 13-38


Cavallo e Signorino

1. Introduzione

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 1999; p. 62):


«Per abuso all’infanzia e maltrattamento debbono intendersi tutte le forme di mal-
trattamento fisico e/o emozionale, abuso sessuale, trascuratezza o negligenza o sfrut-
tamento commerciale o altro che comportino un pregiudizio reale o potenziale per
la salute del bambino, per la sua sopravvivenza, per il suo sviluppo o per la sua
dignità nell’ambito di una relazione caratterizzata da responsabilità, fiducia o po-
tere».
L’OMS (2014) ha tracciato un bilancio complessivo sull’epidemiologia
della violenza in tutte le sue forme con il recente Global Status Report on
Violence Prevention. In tale rapporto, a proposito del maltrattamento infan-
tile, si stima che:
• 1 adulto su 4 (25%) nel mondo è stato abusato fisicamente da bambino;
• 1 donna su 5 (20%), 1 uomo su 10 circa (5-10%) ha subito abuso sessuale
da bambino.
Sempre l’OMS ha pubblicato nel 2013 (Sethi, 2013) un rapporto sulla pre-
venzione del maltrattamento all’infanzia in Europa dal quale è emerso il se-
guente scenario:
• 852 bambini sotto i 15 anni muoiono ogni anno in Europa per maltratta-
menti;
• 18 milioni di bambini sono vittime di abusi sessuali (13.4% bambine e
5.7% bambini);
• 44 milioni di bambini sono vittime di violenza fisica (22.9%);
• 55 milioni di bambini sono vittime di violenza psicologica (29.6%).
Il maltrattamento si differenzia sotto diversi aspetti sia quantitativi sia
qualitativi. Può trattarsi di singoli eventi, eventi ripetuti o di un pattern di
interazioni che caratterizza la relazione tra la figura abusante, molto spesso
una persona vicina al bambino che si occupa delle sue cure primarie, e il
bambino. L’abuso e il maltrattamento infantile possono includere sia com-
portamenti di tipo commissivo, ovvero maltrattamenti di ordine fisico, ses-
suale e psicologico, sia comportamenti di tipo omissivo, ovvero di trascura-
tezza e negligenza o di abbandono vero e proprio e incapacità a provvedere
ai bisogni primari del bambino. Un’ultima tipologia di maltrattamento infan-
tile è rappresentata dalla violenza assistita, ovvero quando un bambino assi-
ste, direttamente o indirettamente, ad atti di violenza che vengono perpetrati
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Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 17, n. 3, novembre 2015, pp. 13-38


Correlati neuropsicologici del maltrattamento

su figure per lui affettivamente significative. Altri aspetti di rilievo nel feno-
meno del maltrattamento sono la gravità, la frequenza, e la cronicità (per
esempio, Camisasca, 2009; Di Blasio, Camisasca, & Procaccia, 2007; Pro-
caccia, 2011). Inoltre, alcune caratteristiche come l’età, il genere, il tempe-
ramento o la pregressa disabilità possono portare il bambino a una maggiore
vulnerabilità a certe forme di maltrattamento (Di Blasio, 2000). Questa sche-
matica categorizzazione non riflette però la complessità della realtà del fe-
nomeno. In ambito clinico è, infatti, estremamente raro identificare situa-
zioni “pure”, mentre sono frequenti quadri in cui entrano in gioco diversi tipi
di maltrattamento, a cui si vanno a sommare altre variabili ambientali e so-
ciali di rilievo. Il maltrattamento infantile in tutte le sue varie forme influenza
in modo significativo lo sviluppo sociale, emotivo e cognitivo del bambino.
Sono ormai molti gli studi che si sono occupati delle sequele psicopatologi-
che e psichiatriche derivanti dal maltrattamento (ad esempio, il disturbo post-
traumatico da stress, i disturbi d’ansia, la depressione, e i disturbi del com-
portamento).
Tuttavia, nel bambino con storia di maltrattamento, risulta essere anche
cruciale l’indagine delle conseguenze del maltrattamento sullo sviluppo ce-
rebrale e sulle funzioni neuropsicologiche, che possono condurre a deficit
cognitivi e a conseguenti ridotte future performance scolastiche e professio-
nali. Le ricerche in tale importante ambito hanno iniziato recentemente a for-
nire risultati interessanti. Obiettivo del presente lavoro è, pertanto, quello di
passare in rassegna recenti studi sulle possibili sequele neurobiologiche e
neuropsicologiche del maltrattamento infantile, per identificare quali aree ce-
rebrali siano maggiormente coinvolte a seguito di tale esperienza, e correla-
zionalmente per individuare quali domini cognitivi ne vengano maggior-
mente influenzati. Queste evidenze sono, infatti, indispensabili per proget-
tare protocolli neuropsicologici accurati utili a indagare approfonditamente
le funzioni cognitive deficitarie nei bambini maltrattati e, dove possibile, a
implementare interventi terapeutici mirati.

2. La traumatologia dello sviluppo: conseguenze del maltratta-


mento sullo sviluppo cerebrale

La traumatologia dello sviluppo è lo studio sistematico dell’impatto neu-


robiologico e psicologico degli eventi sfavorevoli precoci sul bambino in via
di sviluppo (De Bellis, 2001).

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Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 17, n. 3, novembre 2015, pp. 13-38
Cavallo e Signorino

Lo sviluppo cerebrale è regolato dalle complesse interazioni esistenti tra


i geni, l’ambiente, le esperienze di vita della persona e i periodi critici o sen-
sibili di vulnerabilità/resilienza a tali esperienze. Le prime tappe dello svi-
luppo del sistema nervoso sono in gran parte determinate da processi mole-
colari e cellulari intrinseci, tuttavia una volta stabilita la struttura di base delle
connessioni nervose, l’esperienza può modificare i complessi circuiti cere-
brali in via di sviluppo. L’attività nervosa, generata dalle interazioni con il
mondo esterno dopo la nascita, rappresenta dunque una via attraverso cui
l’ambiente può influenzare la struttura e le funzioni dell’encefalo. Questa
influenza attività-dipendente che si esercita sul cervello in via di sviluppo è
particolarmente efficace se interviene nell’ambito di determinati periodi cri-
tici (Purves et al., 2001). I periodi critici sono delle finestre temporali durante
le quali l’esperienza è in grado di esercitare la sua massima influenza sull’or-
ganizzazione e sulla funzione del sistema nervoso. I periodi critici dello svi-
luppo corrispondono probabilmente a specifiche fasi dello sviluppo neurale,
come la formazione delle connessioni sinaptiche o la presenza e l’attività di
segnali molecolari che specificano i circuiti della connettività neuronale
(Gazzaniga, Ivry, & Mangun, 2002). La maturazione del sistema nervoso
avviene, dunque, in specifici momenti, nel corso dei quali lo sviluppo gene-
ticamente determinato incontra l’esperienza. Le esperienze negative, come il
maltrattamento precoce, possono quindi portare ad alterazioni dello sviluppo
dell’encefalo e a gravi sequele neurobiologiche e neuropsicologiche. Ci de-
dicheremo ora a esaminare il ruolo dello stress nel fenomeno del maltratta-
mento infantile, per poi volgere la nostra attenzione alle alterazioni cerebrali
e neuropsicologiche associate a tale fenomeno.

2.1 Il ruolo dello stress nel maltrattamento infantile: considerazioni


neurobiologiche

Il maltrattamento infantile, in tutte le sue espressioni, può essere consi-


derato come un’esperienza che comporta nel bambino livelli molto elevati
di stress. Il buon funzionamento del sistema dello stress dipende molto dalla
relazione di attaccamento/accudimento che si viene a creare tra il bambino,
e chi si prende cura di lui. Infatti, a livello ontogenetico il sistema ipotalamo-
ipofisi-surrene matura durante il primo anno di vita attraversando prima una
fase di iper-attivazione (Gunnar, Brodersen, Krueger, & Rigatuso, 1996) e
in seguito una fase di ipo-attivazione. Interpretando questa modulazione di
attivazione del sistema dello stress alla luce della teoria dell’attaccamento

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Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 17, n. 3, novembre 2015, pp. 13-38


Correlati neuropsicologici del maltrattamento

(Gunnar & Quevedo, 2007), è stato ipotizzato che questa variazione rispec-
chi la vicinanza della figura di attaccamento principale che esercita una re-
golazione sul bambino sia a livello fisiologico sia emotivo (Gunnar et al.,
1996; Tarullo & Gunnar, 2006). Il caregiver, rispondendo in maniera appro-
priata alle richieste del bambino e rispecchiando le sue emozioni in modo
accurato, ne regola le emozioni, gli impulsi e i livelli di attivazione (per
esempio, Camisasca, 2009; Camisasca, Miragoli, & Di Blasio, 2014; Cigala
& Mori, 2012). Da alcuni studi è, infatti, emerso come bambini con attacca-
mento sicuro abbiano livelli di attivazione del sistema dello stress più bassi
rispetto a bambini con attaccamento disorganizzato o insicuro (Spangler &
Grossman, 1999; Spangler & Schieche, 1998). Spesso però è proprio chi si
occupa delle cure primarie del bambino a diventare artefice del maltratta-
mento, trasformandosi da “base sicura” a stressor. Infatti, molti dei bambini
che hanno vissuto esperienze di maltrattamento precoci presentano un’alta
incidenza di attaccamento disorganizzato (per esempio, Attili, Di Pentima,
& Toni, 2013; Zeanah et al., 2005), che porta ad alterazioni nell’attivazione
del sistema dello stress.
Durante una situazione stressante i sistemi che vengono attivati, e che
interagiscono tra loro modulando le risposte agli stressor acuti e cronici,
sono i seguenti (De Bellis, 2003):
• il sistema neurotrasmettitoriale (asse locus coeruleus-sistema nervoso
simpatico-midollare del surrene);
• il sistema neuroendocrino (asse-ipotalamo-ipofisi-surrene).
Le esperienze traumatiche infantili influenzano, dunque, il normale sviluppo
cerebrale attraverso l’attivazione anomala di questi sistemi biologici dello
stress (De Bellis, 2001). Infatti, l’esposizione prolungata alle sostanze se-
crete dai sistemi dello stress può interferire con lo sviluppo cerebrale attra-
verso diversi meccanismi, quali la perdita accelerata (o l’accelerato metabo-
lismo) nei neuroni, ritardi nella mielinizzazione, anomalie nella modalità di
pruning appropriata alla fase di sviluppo, l’inibizione della neurogenesi o la
diminuzione stress-indotta dei fattori di crescita cerebrale (Lupien, McEwan,
Gunnar, & Heim, 2009).
Lo stress sembra influenzare in particolare la funzionalità e la struttura di
alcune aree cerebrali direttamente coinvolte nella reazione allo stress. Più in
dettaglio, la risposta allo stress è stimolata da stimoli esterni che vengono
elaborati attraverso i sensi e il talamo, per poi attivare l’amigdala, che a sua
volta comunica con la corteccia prefrontale, il nucleo paraventricolare

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Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 17, n. 3, novembre 2015, pp. 13-38
Cavallo e Signorino

dell’ipotalamo, l’ippocampo e il locus coeruleus nel tronco encefalico. Que-


sto complesso circuito è responsabile dell’aumento dell’attività del sistema
nervoso autonomo, dell’innalzamento della pressione sanguigna e della fre-
quenza cardiaca, e dell’alterazione del metabolismo basale e dello stato di
vigilanza, con conseguente incremento della secrezione di catecolamine e
cortisolo (De Bellis, 2003). Vedere in proposito la figura successiva.

Figura 1 - Principali reazioni neurobiologiche allo stress.

Questo sistema, evoluzionisticamente utile per difenderci dai pericoli


ambientali, diventa però disfunzionale nel momento in cui si attiva in modo
parossistico all’interno della relazione che intercorre tra un bambino e chi si
prende cura di lui. L’accumulo delle sostanze che vengono secrete durante
la reazione allo stress (catecolamine e cortisolo) provoca modificazioni nello
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Correlati neuropsicologici del maltrattamento

sviluppo atteso dell’encefalo, aumentando la probabilità di osservare sequele


psicologiche e neuropsicologiche rilevanti, quali il Disturbo Post-Trauma-
tico da Stress (PTSD). Il PTSD colpisce la maggior parte dei bambini che
hanno subito maltrattamenti. Tale disturbo si presenta dopo l’esposizione a
un evento traumatico che ha in qualche modo minacciato l’integrità fisica e
mentale della persona e che ha generato una risposta di intensa paura e sen-
timenti d’impotenza. Le caratteristiche principali sono rappresentate dallo
sviluppo, a seguito di tale evento traumatico, di sintomi di rivivificazione
intrusivi dell’evento, di evitamento di situazioni che possono rievocare il
trauma, e di iper-attivazione della reazione di allerta (iperarousal). Sono
stati riscontrati in diversi studi elevati livelli urinari (De Bellis et al., 1999)
e salivari (Carrion et al., 2002) di cortisolo e di catecolamine urinarie (dopa-
mina e norepinefrina; De Bellis et al., 1999) in bambini maltrattati affetti da
PTSD. Inoltre, è stata ripetutamente rilevata una disregolazione nei livelli di
cortisolo e di catecolamine in bambini maltrattati con disturbi dell’umore
(Alink, Cicchetti, Kim, & Rogosch, 2012; Bruce, Fisher, Pears, & Levine,
2009; Gunnar, Morison, Chisholm, & Schuder, 2001; Hart, Gunnar, & Cic-
chetti, 1996; Kaufman et al., 1997). Tali sintomi creano una disregolazione
dei sistemi di risposta allo stress, che se cronica può portare a ripercussioni
rilevanti sulla morfologia e funzionalità cerebrali. In una recente review (Zo-
ladz & Diamond, 2013), che ha preso in esame diversi studi sul PTSD, sono
state riscontrate alterazioni significative a livello dei sistemi di risposta allo
stress precedentemente descritti, e a livello di importanti strutture nervose,
quali l’amigdala, la corteccia prefrontale e l’ippocampo (Pagani & Cavallo,
2014). Inoltre, si è osservata frequentemente anche la presenza di alterazioni
di rilievo nei meccanismi di mielinizzazione del cervello in via di sviluppo,
con ripercussioni negative sulle strutture più ricche di fibre mieliniche quali
il corpo calloso.

2.2 Alterazioni cerebrali e neuropsicologiche nel maltrattamento


infantile

Nelle ultime due decadi, diversi studi si sono occupati dei correlati neu-
roanatomici e neuropsicologici del maltrattamento infantile, fornendo inte-
ressanti risultati preliminari. Guarderemo pertanto ora alle principali strut-
ture cerebrali criticamente coinvolte nel fenomeno, arricchendone la tratta-
zione con la presentazione delle principali funzioni neuropsicologiche a esse
associate.

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Cavallo e Signorino

Corteccia prefrontale. La corteccia prefrontale rappresenta la parte più


anteriore del lobo frontale ed è sede delle funzioni esecutive. Le funzioni
esecutive rappresentano un sistema neurocomportamentale sovraordinato
che racchiude diversi processi cognitivi interrelati, responsabili dell’effi-
cienza e dell’adeguatezza dell’esecuzione di qualsiasi comportamento inten-
zionale e diretto a uno scopo (Anderson, 2002; Stuss & Knight, 2002; Welsh
& Pennington, 1998). Esse sono dunque responsabili dell’integrazione tra
pensiero e azione (Shallice & Burgess, 1996): si tratta di un processo di for-
mazione, mantenimento e continuo “aggiustamento” dell’assetto mentale,
che assicura la modulazione delle funzioni cognitive e socio-emozionali, af-
finché possa essere tenuta sotto controllo l’elaborazione delle diverse infor-
mazioni ambientali esterne e interne al soggetto. Le funzioni esecutive per-
mettono, dunque, di programmare, regolare e modulare il comportamento in
base alle richieste ambientali interne ed esterne. Le abilità cognitive che sono
riconducibili alle funzioni esecutive sono: l’attenzione, la memoria di la-
voro, l’apprendimento e l’utilizzo di strategie, l’abilità di organizzazione
temporale degli eventi, la pianificazione e il problem-solving, la flessibilità
cognitiva e il controllo inibitorio. Come si evince facilmente dal lungo
elenco, si tratta di essenziali abilità cognitive la cui piena maturazione è in-
dispensabile per garantire al bambino, prima, e all’adulto, poi, il raggiungi-
mento di un livello soddisfacente di performance scolastiche e professionali.
I recenti studi di neuroimaging che hanno coinvolto bambini maltrattati
affetti da PTSD (Carrion et al., 2009; De Bellis & Hooper, 2012; Maheu et
al., 2010; Tottenham et al., 2011), hanno suggerito la presenza di una com-
promissione delle funzioni esecutive di attenzione e inibizione, unitamente
alla disregolazione dei circuiti della regolazione emotiva e della memoria.
Tali aree sono primariamente implicate nei circuiti di risposta allo stress e
ne subiscono, quindi, le eventuali conseguenze dovute alle esperienze di
maltrattamento.
Inoltre, è stata recentemente registrata una riduzione del volume nella
corteccia prefrontale mediale (Dannlowski et al., 2012a): gli autori ipotiz-
zano che tale modificazione possa derivare dal fatto che quest’area ha molte
connessioni con l’amigdala ed è implicata nei processi di regolazione emo-
zionale. Quindi, una disfunzione nei sistemi di elaborazione delle emozioni,
che coinvolgono l’amigdala, potrebbe inibirne lo sviluppo o causare un
danno strutturale. In uno studio di morfometria basata sui voxel (De Brito et
al., 2012), un gruppo di bambini maltrattati confrontati con un gruppo di
bambini non maltrattati ha mostrato un diminuito volume della sostanza gri-
gia nella corteccia orbitofrontale, unitamente al giro temporale medio.
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Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 17, n. 3, novembre 2015, pp. 13-38


Correlati neuropsicologici del maltrattamento

Come si è visto, i deficit cognitivi, che solitamente derivano dai danni


alla corteccia prefrontale, sono primariamente relativi alle funzioni esecu-
tive. Infatti, Beers e De Bellis (2002) hanno riscontrato performance sca-
denti in test che misuravano attenzione, ragionamento astratto, pianifica-
zione, problem-solving, inibizione e flessibilità mentale in bambini maltrat-
tati affetti da PTSD, rispetto al gruppo di controllo. Un danno alla corteccia
prefrontale e una correlata alterazione delle funzioni esecutive sono stati ri-
scontrati anche in studi più recenti. De Bellis e colleghi (2009), in uno studio
condotto su bambini trascurati, hanno rilevato la presenza di disturbi a livello
dell’attenzione e delle funzioni esecutive insieme ad altri deficit di memoria
e di linguaggio. Tali deficit si riflettevano poi sul quoziente intellettivo (QI),
che risultava basso. In questo studio è anche stata trovata una correlazione
tra i sintomi del disturbo post-traumatico, gli indici di maltrattamento e il
funzionamento cognitivo. In un altro studio di De Bellis e colleghi (2013)
sono state trovate prestazioni deficitarie in vari domini cognitivi, incluse le
funzioni esecutive, così come nel livello di QI, che non sembravano essere
associate alla presenza del disturbo post-traumatico. Le prestazioni in com-
piti di attenzione selettiva sembravano invece correlare con i sintomi disso-
ciativi. Infine, è importante notare che tali deficit alle funzioni esecutive
sembrerebbero non essere limitati all’infanzia, bensì perdurare anche du-
rante l’età adulta. Infatti, in un recente studio di Nikulina e Widom (2013)
sono stati riscontrati deficit nelle funzioni esecutive di attenzione alternata e
problem-solving/ragionamento astratto in adulti trascurati da bambini.
I deficit alle funzioni esecutive, pertanto, influenzano in maniera signifi-
cativa diversi domini cognitivi. L’importanza delle funzioni esecutive nei
meccanismi attentivi e di memoria le rende cruciali per un adeguato sviluppo
intellettivo, e una loro disfunzione in età scolare può influenzare il bambino
per tutta la vita, causando limitate performance scolastiche e professionali.
Sistema limbico. Il sistema limbico è composto dalle strutture cerebrali
corticali e sottocorticali che controllano le funzioni emozionali. Proprio per
questa sua funzione è uno dei sistemi più coinvolti nel fenomeno del mal-
trattamento. In questa sede, ci si soffermerà sulle strutture limbiche più rile-
vanti ai fini del nostro discorso: l’amigdala, e l’ippocampo.
L’amigdala è un’area sottocorticale dell’encefalo coinvolta nella valuta-
zione del significato emotivo degli stimoli in ingresso (Tottenham et al.,
2010; Tottenham & Sheridan, 2009). L’amigdala invia le sue afferenze a
diverse strutture cerebrali, tra cui la corteccia frontale, l’ippocampo, lo
striato, l’ipotalamo e il tronco encefalico (Gordon & Hen, 2004; LeDoux,

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Cavallo e Signorino

2000; Tottenham, 2012; Tottenham & Sheridan, 2009) e riveste un ruolo


critico nel sistema che regola le risposte emotive come la paura e l’ansia.
In studi condotti sugli animali, è stata trovata una stretta associazione tra
le esperienze stressanti precoci legate al caregiver, l’aumento del volume
nell’amigdala e la diminuzione del volume nell’ippocampo, nella corteccia
prefrontale e nel corpo calloso (Arnsten, 2009; Hill, Hillard, & McEwen,
2011; Jackowski et al., 2011). Attraverso studi di neuroimaging strutturale è
stato possibile riscontrare recentemente simili alterazioni anche negli esseri
umani (Dannlowsky et al., 2012b; McCrory, De Brito, & Viding, 2011; Tei-
cher, Anderson, & Polcari, 2012).
Sebbene in alcuni studi non siano state riscontrate conseguenze a livello
amigdaloideo in bambini maltrattati (De Bellis et al., 2002), in altri studi di
neuroimaging funzionale e strutturale si è osservata un’anomalia nell’attiva-
zione dell’amigdala durante compiti di riconoscimento di espressioni fac-
ciali in bambini vittime di maltrattamento, e nel volume dell’amigdala destra
in giovani adulti con storia di stress precoce e cronico (Dannlowski et al.,
2012a, b; McCrory et al., 2013; Tottenham et al., 2011; Maheu et al., 2010).
In particolare, McCrory e colleghi (2013) hanno registrato un’accresciuta
risposta emotiva all’espressione facciale della rabbia e sorprendentemente
anche all’espressione facciale della felicità. È stato, dunque, ipotizzato dagli
autori che il maltrattamento possa essere collegato a disfunzioni negli stadi
precoci del processamento emotivo per volti che esprimono emozioni sia
negative sia positive, mentre una risposta appropriata alla minaccia caratte-
rizzerebbe solo gli stadi più avanzati del processo. Tale risposta può, dunque,
essere considerata come un meccanismo adattivo che il bambino maltrattato
sviluppa per fronteggiare le situazioni di stress.
L’iper-attivazione dell’amigdala, in particolare nell’area basolaterale de-
stra, è stata osservata anche in altri studi (Dannlowski et al., 2012a, b). In
tali ricerche si è messa a confronto la disfunzione dell’amigdala con l’insor-
genza dei disturbi dell’umore, quali depressione e ansia. Obiettivo era quello
di determinare se tale iper-attivazione potesse giocare un ruolo a livello di
vulnerabilità ai disturbi dell’umore o se fosse invece una caratteristica sa-
liente di tali disturbi. Dai risultati sembrerebbe che la presenza di un’iper-
attivazione dell’amigdala giochi un ruolo cruciale come fattore di rischio per
futuri disturbi dell’umore in individui maltrattati nell’infanzia. Infatti, è cli-
nicamente evidente che spesso i bambini maltrattati presentano comporta-
menti aggressivi, ansia sociale e disadattamento.
Vista la discordanza negli studi riguardo alle conseguenze del maltratta-
mento sull’amigdala, in un recentissimo studio Weems e colleghi (2015)
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Correlati neuropsicologici del maltrattamento

hanno provato a considerare l’età come moderatore delle conseguenze dello


stress traumatico sull’amigdala, poiché tale area sembrerebbe continuare a
crescere e a svilupparsi fino alla tarda infanzia (Uematsu et al., 2012;
Weems, Scott, Russell, Reiss, & Carrion, 2013). L’obiettivo di questi autori
era quello di testare l’ipotesi secondo la quale lo stress sarebbe associato a
una variazione atipica nello sviluppo dell’amigdala, che andrebbe a sua volta
a moderare la relazione tra età e il volume di questa fondamentale struttura
neurologica. Gli autori hanno riscontrato che a seconda dell’età di esposi-
zione dei bambini agli eventi traumatici del maltrattamento, e quindi allo
stress, si potevano osservare differenti volumi dell’amigdala destra: volume
più ridotto nei bambini più piccoli, e dimensioni maggiori nei bambini espo-
sti allo stress in un’età successiva. Risultato che coincide con studi prece-
denti in cui era stato rilevato un aumentato volume nell’amigdala destra in
bambini più grandi (Mehta et al., 2009), e un ridotto volume in bambini più
piccoli (Carrion et al., 2001) esposti a maltrattamento in età infantile. Un
fattore cruciale alla base delle modificazioni strutturali e funzionali
dell’amigdala risulta dunque essere l’età di esposizione al maltrattamento,
oltre alle caratteristiche del maltrattamento stesso.
L’ippocampo è una struttura che si trova nel lobo temporale mediale, e
che svolge un ruolo cruciale nella memoria e nell’apprendimento, così come
nella gestione della risposta allo stress. Questa struttura risulta essere spesso
ridotta durante la depressione maggiore (McQueen & Frodl, 2010), ed è stato
recentemente ipotizzato che possa giocare un ruolo nella mediazione della
relazione tra maltrattamento infantile e depressione (Rao et al., 2010). L’ip-
pocampo risulta, inoltre, estremamente vulnerabile alla risposta neuroendo-
crina (rilascio di cortisolo) che si attiva durante le situazioni di stress. Te-
nendo presente tale vulnerabilità, ci si aspetta che le disregolazioni del si-
stema dello stress dovute a situazioni di maltrattamento, che esitano nell’ac-
cumulo di sostanze (quali il cortisolo) interferiscano con la struttura e la fun-
zionalità dell’ippocampo.
Sorprendentemente, in diversi studi (Carrion et al., 2001; McCrory et al.,
2011) non sono state riscontrate differenze significative nel volume dell’ip-
pocampo tra bambini maltrattati con disturbo post-traumatico e non. Ridotti
volumi dell’ippocampo erano invece stati trovati in adulti maltrattati e in
adulti affetti da PTSD (Bremner et al., 1997; Smith, 2005). Sembra dunque
che la presenza di atrofia nell’ippocampo abbia bisogno di più tempo per
svilupparsi e che la sola esposizione a elevati livelli di cortisolo, durante le
fasi di sviluppo infantile dell’encefalo, non sia di per sé sufficiente per creare
modificazioni a breve termine.

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Cavallo e Signorino

Dato il ruolo dell’ippocampo nell’ambito della memoria, soprattutto di


tipo episodico, si è notato che una sua disfunzione nell’infanzia, dovuta
all’esposizione a situazione stressanti e alla presenza di PTSD, può causare
deficit a livello della memoria sia verbale sia visiva (De Bellis, Hooper,
Spratt, & Woolley, 2009; Samuelson, Krueger, Burnett, & Wilson, 2010).
Anche De Bellis e colleghi (2013) hanno riscontrato la presenza di deficit
nel dominio della memoria sia in soggetti maltrattati con PTSD sia in sog-
getti maltrattati senza tale disturbo, circoscrivendo pertanto il ruolo del
PTSD quale causa dei deficit di memoria presenti nei bambini maltrattati.
Valentino e colleghi (2008) hanno invece indagato la memoria in bambini
abusati e trascurati messi a confronto con un gruppo di bambini non maltrat-
tati, con un paradigma differente. Gli autori hanno infatti utilizzato, per il
compito mnemonico, degli stimoli (parole) rilevanti legati alla figura ma-
terna: gli autori hanno rilevato una prestazione deficitaria nelle fasi di recu-
pero dalla memoria, nei bambini abusati ma non in quelli trascurati. Una
possibile spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che, avendo continue espe-
rienze negative nella relazione materna, questi bambini potrebbero essere
portati a distogliere la loro attenzione e la loro memoria dagli stimoli legati
alla figura di attaccamento, per proteggersi da ulteriori eventi negativi. Per-
cepirebbero, quindi, gli stimoli legati alla figura materna come potenzial-
mente pericolosi e stressanti, e si attiverebbe un sistema “protettivo” che ri-
durrebbe l’attenzione verso quegli stimoli e non ne permetterebbe un’ade-
guata codifica e interpretazione. Gli autori quindi sostengono che non ci sia
un vero e proprio deficit di memoria, ma che tale disturbo si presenti solo
quando viene attivato il sistema di attaccamento durante la codifica o il re-
cupero di stimoli legati alle figure di attaccamento abusanti. Ulteriori studi
sono ovviamente necessari per chiarire la portata esplicativa di questa ipo-
tesi.
Cervelletto. Il cervelletto è una struttura neurale che si trova nella fossa
cranica posteriore ed è stata tradizionalmente considerata avente funzioni
primariamente motorie. Tuttavia, considerate le sue ricche connessioni con
le strutture limbiche, con l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con la corteccia
temporo-parietale e con la corteccia frontale, risulta essere cruciale anche
nei processi emotivi, nella memoria e nelle funzioni esecutive. Recenti studi,
infatti, suggeriscono un ruolo significativo giocato in ambito cognitivo da
varie strutture cerebellari (Schmahmann, 1991; Schmahmann, Weilburg, &
Sherman, 2007).

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Correlati neuropsicologici del maltrattamento

Lo sviluppo del cervelletto sembra essere molto influenzato dall’am-


biente e, quindi, in presenza di esperienze di maltrattamento potrebbero es-
serci ripercussioni anche a questo livello. De Bellis e Kuchibhatla (2006)
hanno infatti rilevato, in bambini affetti da PTSD correlato a maltrattamento,
una riduzione del volume cerebellare sia destro sia sinistro, rispetto al
gruppo di controllo. Il volume del cervelletto era, inoltre, correlato positiva-
mente con l’età di insorgenza del trauma e con il QI, e negativamente con la
durata del trauma. Anche Carrion e colleghi (2009), hanno riscontrato una
riduzione di volume in alcune aree del cervelletto, in particolare nella so-
stanza grigia a livello del ponte e nell’area posteriore del verme. Tali modi-
ficazioni anatomiche correlavano con i disturbi a livello del processamento
emotivo e dell’attenzione, suggerendo una vulnerabilità di queste aree alla
risposta cronica allo stress. In un altro studio in cui si è andati a indagare il
volume del cervelletto (Bauer, Hanson, Pierson, Davidson, & Pollak, 2009)
in bambini precocemente deprivati, è stato osservato un minor volume dei
lobi cerebellare superiore-posteriore destro e sinistro. Queste regioni cere-
bellari sono connesse a due importanti aspetti della cognizione: il lobo sini-
stro con la memoria visuo-spaziale, quello destro con componenti di piani-
ficazione delle funzioni esecutive.
Il cervelletto è dunque anch’esso implicato nella risposta al maltratta-
mento. Oltre al processamento emotivo, il cervelletto sottende a funzioni co-
gnitive quali l’attenzione e le funzioni esecutive, indispensabili per un buon
adattamento all’ambiente di riferimento del bambino prima, e dell’adulto
poi.
Sostanza bianca e corpo calloso. La sostanza bianca è composta dai fasci
ascendenti e discendenti di fibre nervose ricoperte dalla guaina mielinica,
che collegano reciprocamente diverse aree dell’encefalo, e quest’ultime con
il midollo spinale. Le alterazioni nei fasci di fibre della sostanza bianca sono
solitamente collegate a disfunzioni cognitive e comportamentali variegate, a
seconda dell’area colpita. Il corpo calloso ne è l’esempio più importante:
risulta composta da fasci di fibre mieliniche e ha la funzione di connettere
tra loro aree omologhe dei due emisferi cerebrali. Un deficit a livello del
corpo calloso può portare a disturbi psicologici e dello sviluppo, come la
sindrome da deficit di attenzione e iperattività e ritardi nello sviluppo cogni-
tivo e linguistico (Lyoo et al.,1996; Preis, Steinmetz, Knorr, & Jancke,
2000).
De Bellis e colleghi (2002), in un campione di 28 bambini e adolescenti
affetti da PTSD rispetto a un campione di controllo, hanno riscontrato vo-
lumi ridotti del corpo calloso in diverse sotto-regioni (ginocchio, porzione
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Cavallo e Signorino

anteriore e posteriore del corpo centrale, istmo e splenio). Anche Jackowski


e colleghi (2008), hanno trovato una riduzione nell’integrità delle aree po-
steriore e mediale del corpo calloso in bambini maltrattati affetti da PTSD.
Recenti studi si sono avvalsi di una tecnica di imaging a tensore di diffusione
(DTI-Diffusion Tensor Imaging) per approfondire lo studio della sostanza
bianca. La DTI sfrutta il movimento preferenziale (proprietà diffusive e di-
rezionalità) dei protoni delle molecole d’acqua all’interno dei tessuti cere-
brali lungo l’asse degli assoni (Pajevic & Pierpaoli, 1999). Questo tipo di
diffusione (denominata anisotropica) fornisce informazioni sul cervello im-
maturo prima della mielinizzazione, durante la maturazione, e in condizioni
normali e patologiche (Rollins, 2007). In virtù di questa sensibilità al movi-
mento anisotropico dei protoni, la DTI consente di visualizzare singoli tratti
di sostanza bianca come strutture anatomiche discrete. Inoltre, essa permette
anche di fornire informazioni sulla microarchitettura della sostanza bianca.
Questa recente tecnica di neuroimaging consente, dunque, di fare una map-
patura tridimensionale delle fibre della sostanza bianca per studiare la con-
nettività cerebrale in vivo. Le ricerche nel campo del maltrattamento infan-
tile hanno rivelato un’associazione significativa tra la trascuratezza dovuta
all’istituzionalizzazione e le alterazioni microstrutturali nella sostanza
bianca nei circuiti limbici e paralimbici, nel circuito fronto-striatale e nei
circuiti sensoriali (Eluvathingal et al., 2006; Govindan et al., 2009; Hanson
et al., 2013). Questi risultati correlano, dunque, con gli studi analizzati pre-
cedentemente, in cui le alterazioni cerebrali a livello strutturale in bambini
maltrattati, si riscontrano maggiormente nel circuito limbico (amigdala e ip-
pocampo) e nelle regioni frontali.
Un recentissimo studio di Bick e colleghi (2015) sulle conseguenze della
trascuratezza sulla sostanza bianca cerebrale in bambini istituzionalizzati e
in bambini prima istituzionalizzati ma successivamente dati in affidamento,
ha rivelato che l’esposizione a maltrattamento nella primissima infanzia in
assenza di affidamento successivo risultava associata ad alterazioni nelle mi-
crostrutture della sostanza bianca localizzate principalmente nel corpo cal-
loso, nel cingolo e nel fornice, nella corona radiata anteriore e superiore,
nella capsula esterna, nella capsula interna retrolenticolare destra e nel lem-
nisco mediale destro. I bambini dati in affidamento invece mostravano alte-
razioni solo nella sezione centrale del corpo calloso e nella corona radiata
superiore, segno di un possibile recupero di alcuni circuiti della sostanza
bianca per quei bambini rimossi precocemente dagli istituti e affidati a ca-
regivers presumibilmente meno deprivanti. È quindi importante partire dai

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Correlati neuropsicologici del maltrattamento

risultati di questo studio per accennare al ruolo della plasticità in età infan-
tile. Infatti, sebbene le esperienze traumatiche nell’infanzia possano lasciare
sequele a lungo termine, si evince come un intervento precoce, che vada a
modificare l’ambiente soprattutto relazionale del bambino possa portare a
modificazioni cerebrali positive attraverso i meccanismi della plasticità neu-
ronale. Essa si riflette, infatti, soprattutto nella creazione di nuove connes-
sioni attraverso le fibre mieliniche della sostanza bianca. Questo tipo di pla-
sticità è presente fino all’età adulta ed è sensibile alle esperienze e all’am-
biente sociale e relazionale (Lebel et al., 2012; Miller et al., 2012). Per que-
sto motivo, l’individuazione precoce delle alterazioni cerebrali anche strut-
turali in bambini maltrattati risulta utile per promuovere interventi che va-
dano ad agire a livello dell’ambiente sociale e relazionale del bambino, e che
promuovano la plasticità cerebrale e auspicabilmente il recupero e l’incre-
mento delle funzioni sottese a queste aree.

3. Conclusioni

Soltanto nel corso degli ultimi anni si sono iniziate a indagare le sequele
neurobiologiche, di neuroimaging e neuropsicologiche frequentemente asso-
ciate ai fenomeni del maltrattamento e dell’abuso infantili, e le evidenze
scientifiche oggi disponibili, per quanto necessariamente preliminari, ap-
paiono di estremo interesse. Le variabili che entrano in gioco nel maltratta-
mento durante l’infanzia sono molte e difficili da considerate congiunta-
mente, quali le caratteristiche del maltrattamento stesso (la tipologia, la du-
rata e la cronicizzazione), le caratteristiche del bambino (l’età, gli aspetti ca-
ratteriali e fisici, l’insorgenza o meno di un disturbo dell’umore o di PTSD),
e le variabili socio-economiche e culturali che caratterizzano l’ambiente di
riferimento relazionale del bambino.
A livello neurobiologico, dall’analisi dei diversi studi effettuata nel pre-
sente contributo, i sistemi di risposta allo stress sembrerebbero rappresentare
la chiave del problema. L’esperienza del maltrattamento attiva una risposta
anormale allo stress, responsabile dell’accumulo delle sostanze secrete dai
sistemi neurotrasmettitoriali e neuroendocrini come risposta alla situazione
stressante, che a loro volta vanno a interferire con il fisiologico sviluppo delle
aree dell’encefalo più vulnerabili. Le strutture cerebrali maggiormente col-
pite sono rappresentate dal sistema limbico (amigdala e ippocampo), dalla
corteccia prefrontale e dalla sostanza bianca, sia in termini funzionali (ipe-
rattivazione o ipoattivazione) sia strutturali (volumi aumentati o diminuiti).

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Cavallo e Signorino

Tali modificazioni cerebrali si ripercuotono su diversi domini neuropsicolo-


gici. Le abilità più colpite risultano essere le funzioni esecutive (associate ai
lobi prefrontali), mentre la memoria, legata in modo significativo ai circuiti
dell’ippocampo, non risulta essere compromessa globalmente, ma solo per
stimoli carichi emotivamente che richiamano le figure abusanti.
Nonostante l’urgenza di realizzare ulteriori studi per far luce sulle conse-
guenze neuroanatomiche e neuropsicologiche del maltrattamento, da questi
primi risultati risulta chiara la necessità di costruire protocolli neuropsicolo-
gici mirati utili per effettuare un’accurata indagine diagnostica e poter co-
struire un percorso di trattamento adeguato, al fine di sostenere il più possi-
bile lo sviluppo delle abilità deficitarie a seguito del maltrattamento. La presa
in carico di questi bambini così fragili è pertanto un’azione complessa, che
deve necessariamente includere interventi a livello cognitivo, psicolo-
gico/emozionale e sociale. Un intervento tempestivo e appropriato, che tenga
conto della complessità delle variabili in gioco, può infatti contribuire a ri-
durre significativamente le conseguenze a lungo termine del maltrattamento,
assicurando a questi bambini un futuro migliore del loro passato.

Ringraziamenti

Gli autori desiderano ringraziare la dott.ssa Maria Luisa Perucchini per il


suo prezioso aiuto nella raccolta del materiale bibliografico.

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Accettato ottobre 2015

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