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INTRODUZIONE

L'anonimo del Seicento afferma che la storia si può definire una guerra
contro il tempo poiché toglie al tempo stesso gli anni ormai morti e li
rimette di nuovo in battaglia.
Ma, dice giustamente l'autore, gli storici prendono in considerazione solo
le imprese dei grandi personaggi. Ritenendosi non in grado di affrontare
questi argomenti e avendo avuto notizia di fatti memorabili capitati però a
persone delle classi umili, il narratore si accinge volendone comporre un
racconto, o relazione. In questa relazione l'anonimo parlerà di scene di
malvagità, tragedie, accompagnate da imprese virtuose e bontà
contrapposte alle operazioni diaboliche. Il secentista riflette sul fatto che,
se codesti fatti sono accaduti sotto l'impero del Re Cattolico (il Sole),
l'eroe dei nobili Prosapia (paragonato alla Luna), i Senatori (che sono
come Stelle) e i Magistrati (Pianeti) che insieme formano un bellissimo
Cielo, si può solo dire che bontà e malvagità lottano tra loro e gli uomini
non ne possono nulla.
Poi l'autore spiega che, dato il fatto che la vicenda avvenne quando egli era
giovane e i protagonisti sono morti, per rispetto loro non rivelerà i veri
nomi, e lo stesso farà per i luoghi. Inoltre è convinto che se qualcuno dirà
che questa è un'imperfezione del Racconto, potrà solo essere una persona
digiuna dalla Filosofia. E poi si chiede cosa siano i nomi se non cose
superficiali. A questo punto il Manzoni interrompe la trascrizione del testo.
Si chiede infatti se quando avrà finito di riportarlo, ci sarà qualcuno che
prenderà la briga di leggerlo. Questa riflessione gli fa sospendere appunto
la copia e pensare seriamente a cosa fare. Secondo lui, anche se l'eccessivo
uso di analogie e figure retoriche non si protende per tutta l'opera, lo stile
rimane pur sempre dozzinale, sgrammaticato. Così, ritiene Manzoni,
l'autore del Seicento riesce ad essere allo steso tempo sia rozzo che
artificioso. Inoltre afferma che non è di certo cosa da presentare ai lettori
di oggigiorno. Ma il narratore considera così bella la storia che gli appare
un peccato che resti sconosciuta. Allora decide di riscriverla, modificando
lo stile. Alcuni fatti però gli erano sembrati così strani che ha voluto
verificarne la veridicità, interrogando latri testimoni. L'indagine aveva
cancellato i suoi dubbi. Ma ora pone il problema dello stile con cui
sostituire l'opera originale. Dice che chiunque riscrivi un Racconto altrui
senza che gli sia stato richiesto è obbligato moralmente e giustamente a
giustificare le sue scelte stilistiche. Così Manzoni aveva pensato di
indovinare le critiche possibili e confutarle tutte. Ma lascia perdere per due
buone ragioni: la prima che un libro impiegato a giustificarne un altro è
cosa ridicola, in secondo luogo un libro solo basta ed avanza.

I CAPITOLO
Il romanzo de I promessi sposi di Alessandro Manzoni inizia descrivendo
il paesaggio, lungo le rive del lago di Como che proseguono fino a
restringersi formando il fiume Adda.
Attorno al lago circondato dai monti, c'erano i campi dei contadini, le case,
i boschi che arrivavano fin su ai monti. Lecco era una di quelle terre, a
quel tempo un grosso borgo incamminato a diventare una grossa città.
Lungo una delle stradicciole che percorrevano i monti veniva percorsa da
don Abbondio che pronunciava il suo ufizio e tra un salmo e l'altro
chiudeva il libro, a testa china e la mano che destra fungeva da segna libro
mentre l'altra era piegata dietro la schiena.
Lungo la strada c'era un bivio la strada di destra portava su al monte l'altra
andava fino giù al torrente. Come era solito fare don Abbondio alzò la
testa arrivato al bivio, e vide due uomini uno dirimpetto all'altro, i loro
vestiti facevano capire da dove venivano: portavano una reticella verde al
capo, due lunghi mustacchi arricciati in punta, una cintura di cuoio lucido,
da essa spuntavano due pistole, un coltellaccio inserito in un taschino degli
ampi calzoni, un corno pieno di polvere da sparo, penzolante sul petto e
infine uno spadone, si facevano conoscere come i bravi.
Si notava benissimo che aspettavano qualcuno e quel qualcuno era proprio
don Abbondio non ne fu contento. Lesse un altro dei versi nel suo libro
affrettò il passo e quando fu tra i due uomini si fermò un di loro salutò don
Abbondio, esso chiese se i signori avevano bisogno. L'altro bravo rispose
che non si doveva fare, perplesso don Abbondio rispose che cosa non si
doveva fare, il bravo completò la frase dicendo che domani il matrimonio
tra Renzo e Lucia non si doveva celebrare. Don Abbondio tornò a casa e
difficilmente ne parlò con la sua serva Perpetua, poi andò a letto.
Già nel primo capitolo c'è la comparsa dei bravi, allora erano i servi del
padrone don Rodrigo. Nella loro descrizione si vede che era gente che non
scherzava, armati fino ai denti. Don Abbondio era un prete si era fatto
prete non per vocazione ma per i soldi che a quei tempi scarseggiavano,
poi perché i preti erano molto autonomi e almeno avevano qualcosa da
mettere sotto i denti ogni giorno. Don Abbondio non aveva un cuor di
leone, ma aveva capito che in quei tempi un animale senza artigli e zanne
era come un pesce fuor d'acqua, cioè se non eri dalla parte del più forte
facevi presto a ritrovarti ad un metro e mezzo sotto terra.

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