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VULNERABILITA’ DELL’ EMERGENZA

NELLE ESPERIENZE TRAUMATICHE


Psicosi da coronavirus, ansia più contagiosa della malattia
Da alcuni studi recenti si è notato che l’epidemia ha determinato in tutti la comparsa di paure e fobie con il
rischio di innescare una malattia psicogena di massa, ovvero una follia collettiva ispirata dalla contagiosità
della paura. Il rischio è rappresentato dal contagio sociale. In quanto le persone tendono a essere
empatiche e ad emulare i comportamenti, dovuto all’attività dei neuroni a specchio. Bisogna, però,
sottolineare che l’ansia non solo è più contagiosa della malattia ma riduce anche la logicità dei
comportamenti.
Importante capire cosa effettivamente sia una psicosi. Il disturbo psicotico è una condizione caratterizzata
da una percezione alterata della realtà. Questo senso d’irrealtà genera ansia e irrequietezza, rende le
persone attente in maniera maniacale a tutto ciò che li circonda.
La definizione di disturbo psicotico comprende una serie di malattie diverse per cause, durata, ecc.
Il problema che sembra ricordare il passato e ostacolare il lavoro delle Autorità Sanitarie,è quello di una
grave forma di “epidemia psicotica” che ha colpito gran parte della popolazione con manifestazioni
d’isteria collettiva che, probabilmente, sono altrettanto gravi. Le conseguenze della “psicosi” passano
dal drammatico al comico.
Si tratta di una situazione paradossale, alimenta dalla malafede e/o dall’ignoranza di qualcuno che, oltre
a ostacolare le misure di contenimento della malattia, incutono timori e ansietà nelle persone sensibili.
Sarebbe di aiuto attivare delle misure preventive anche contro le “psicosi”.
Alcuni esempi di psicosi in questa situazione sono:
- A Siena un autista di autobus parla con il suo medico e scoppio il panico sul suo bus .
- A Bologna un’anziana fu derubata con la scusa di "disinfettare i soldi" (“Signora, dobbiamo
disinfettare tutte le bancone in circolazione”).
- Truffe e/o speculazioni sui tamponi, mascherine e guanti chirurgici.
- Un filippino fu aggredito al supermercato perché pensavano fosse cinese.
Siamo ormai figli del boom economico, cresciuti con la televisione, smartphone e tablet per i post-
millennials. La tv ha da sempre offerto un ottimo passatempo e un escamotage per intrattenere i più
piccini, tagliando via ogni valenza affettiva che potevano avere il gioco e le attività con i pari e con gli adulti.
Il bambino impara a ‘bastare a se stesso’, a sentirsi onnipotente e a non aver bisogno di altri se non i suoi
strumenti, ad autoregolarsi non più tramite lo sguardo e l’emotività co-creata, ma tramite oggetti fisici
esterni, da lui facilmente manipolabili.
Basti pensare a tutti quei piccoli bambini con ADHD e iperattivi che giunti a scuola non riescono a stare
seduti, prestare attenzione e ad ascoltare, ma che starebbero ore e ore immobili davanti ad uno schermo
qualunque esso sia. Col passare degli anni, quello strumento manipolato diventa manipolatore. Per questo
motivo una notizia in tv si trasforma in psicosi collettiva, odio e paura nei confronti dell’altro, e porta a
rintanarsi nelle proprie case, circondati dai propri cari apparecchi elettronici a seguire ciò che viene da loro
continuamente propinato.

Cosa significa Emergenza anche in ambito psicologico


Con il termine “Emergenza”, generalmente, si intende una situazione imprevista di grave pericolo, che
richiede una risposta rapida ed eccezionale, dunque “non ordinaria”.

Ciò che risulta importante allo scoppio di un’emergenza è il tempo.


Le cose, infatti, accadono in modo molto veloce ed è importante intervenire prontamente, soprattutto nella
fase iniziale, poiché il livello di incertezza sul rischio è elevato, e le informazioni e le impressioni sono tante e a
volte contraddittorie; la componente emotiva è prevalente: la paura durante una crisi è inevitabile e va
riconosciuto il diritto di avere paura, il quale genera, a sua volta, incertezza e mancanza di controllo della
situazione, aumentando così la percezione del rischio. Potremmo dire, dunque, che al pari di un’emergenza, ad
esempio un’emergenza sanitaria come quella causata dal Coronavirus oggigiorno, vi si affianca una vera e
propria emergenza psicologica, più silente ma non meno pericolosa.

L’OMS l’11 Marzo dell’anno corrente ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria, causa Covid-19.
L’elevato rischio di diffusione e di contagio del Coronavirus ha costretto l’Italia ad adottare misure fortemente
restrittive delle libertà personali, una novità, di certo, rispetto alla solita routine giornaliera; questa situazione
ha destabilizzato i cittadini italiani che non hanno avuto il tempo per metabolizzare il cambiamento delle
proprie abitudini, sia di vita privata, sia a livello lavorativo.

La maggior parte delle domande della popolazione riguardano il futuro e le ripercussioni economiche di questa
grave pandemia; le risposte, purtroppo, tuttora lasciano spazio a molteplici dubbi che possono esercitare una
forte pressione emotiva.
Il nostro cervello, infatti, è fisiologicamente programmato per dare senso a quello che sta accadendo,
rispondendo in modo funzionale: dal punto di vista psicologico, in una situazione di emergenza prolungata, la
mancanza di soluzioni ci rende impotenti e vulnerabili.

Alle emozioni classiche di emergenza, come paura, preoccupazione, ansia e stress, vi si affianca la sensazione
di aver perso protezione e sicurezza; ma non solo, nell’attuale situazione le misure restrittive e lo stato di
quarantena adottato dal Governo hanno generato senso di costrizione, perdita di libertà, solitudine,
isolamento ed un senso di impotenza legato sia al non poter stare vicini ai propri cari, sia alla perenne paura di
poterli perdere.
I rischi del persistere di questa situazione di emergenza possono ripercuotersi sulle risorse mentali di cui
disponiamo. La situazione che stiamo tutti vivendo fino ad ora, essendo compatibile con un evento di natura
traumatica, ci fa funzionare spesso in modalità “sopravvivenza”, e le emozioni, nel lungo periodo, possono
mutare in apatia, depressione e tristezza.

Ad esempio, chi continua ad uscire per andare a lavorare, come medici, operatori sanitari e commerciali, è
certamente più esposto ad una sensazione di allarme, angoscia e iper-vigilanza causata dell’alta probabilità
di contagio; chi invece può lavorare da casa potrà sentirsi più difeso e protetto ma, sicuramente, più solo,
oppure se condivide con altri uno spazio ristretto proverà maggiormente rabbia, insofferenza e irritabilità.
Tutt’altra storia riguarda chi si ritrova improvvisamente inoccupato: qui le persone, oltre a
sentirsi disperate e angosciate per la mancata sussistenza economica, percepiranno anche un senso
di vuoto, smarrimento e sentimenti di estraneità.

In questa cornice risulta necessario, dunque, tutelare il benessere psicologico della comunità.
I comportamenti consigliati risultano esseretutti quelli che mantengono e ripristinano le abitudini
quotidiane; inoltre un altro aspetto da ricordare riguarda il nostro cervello, il quale si sviluppa grazie alle
relazioni. Il divenire reale una situazione considerata impensabile costituisce l’aspetto traumatico che
segnerà la nostra società per un lungo periodo e che necessita, altrettanto, una lunga fase di stabilizzazione
attraverso le risorse di cui disponiamo: la “connessione” sociale e la solidarietà sono tra quelle
fondamentali.

A questo punto diventa esplicita l’importanza di intervento da parte della psicologia al supporto
emergenziale.
Innanzitutto, bisogna dire che esiste un settore della psicologia, chiamato psicologia delle emergenze, che
studia i fenomeni psichici, emotivi, cognitivi e comportamentali che insorgono in situazioni di emergenza, e
si occupa dello sviluppo di modelli clinici di intervento volti al recupero, di singoli e di comunità, coinvolti
nell’evento traumatico. La misura di intervento deve essere mirata per ogni singolo individuo poiché
ognuno risponde alle situazione di carattere emergenziale con diverse modalità di adattamento.
Fondamentale, a questo proposito, parlare di tutte le iniziative di supporto psicologico attivate per il
supporto all’emergenza da Covid-19; ad esempio:

 Il Team di Psicologia delle Emergenze all’interno dell’ASL To3: il team si occupa delle persone che
hanno particolari disturbi di ansia o sono state colpite da attacchi di panico con il diffondersi del
virus, sofferenze spesso silenziose ma che incidono sui comportamenti quotidiani, rischiando di
prendere il sopravvento: fobie, angoscia diffusa, difficoltà ad uscire di casa. In questi giorni il Team
ha preparato alcuni consigli, condivisi con associazioni che si occupano di trauma ed emergenza (tra
cui l’Associazione per l’EMDR in Italia), che possono aiutare e favorire un clima di maggior serenità
e stabilità; tra i tanti consigli: non modificare eccessivamente le proprie routine quotidiane,
scegliere non più di due momenti al giorno per informarsi sulla situazione giornaliera, avere cura di
se stessi svolgendo attività fisica o di rilassamento.

 L’iniziativa nazionale di supporto agli operatori sanitari, attivata dall’INAIL in collaborazione con il
Consiglio nazione dell’Ordine degli Psicologi: l’obbiettivo dell’iniziativa è quello di fornire servizi di
supporto e sostegno psicologico e psicosociale per la gestione dello stress, e la prevenzione del
burnout di tutti gli operatori sanitari coinvolti nell’emergenza. (Roma, 11/04/2020)

Trauma psicologico

La parola trauma deriva dal greco e vuol dire “ferita”. Il trauma psicologico, dunque, può essere definito
come una “ferita dell’anima”, come qualcosa che rompe il consueto modo di vivere e vedere il mondo e che
ha un impatto negativo sulla persona che lo vive.

Gli eventi traumatici o eventi critici, sono tutte le situazioni che creano nella persona un grave
sconvolgimento, varie preoccupazioni e un completo travolgimento che le impedisce di riuscire a
controllare l’evento esterno e l’intensità̀ delle emozioni che prova (Zuliani 2007). Vengono suddivisi in
disastri naturali (inondazioni, terremoti, eruzioni vulcaniche, malattie, morte, aborto spontaneo, ...),
disastri causati dall’uomo (guerre, rapine, violenze fisiche e psicologiche, terrorismo, incidenti gravi, ...) e
disastri tecnologici principalmente quelli nucleari (Ferrara e La Barbera 2006). Questi eventi possono essere
di breve durata ma molto intensi, di lunga durata e logoranti, pericolosi, destabilizzanti, improvvisi ed
inaspettati (Stanulovic 2005). Qualsiasi tipo di evento traumatico viene vissuto in modo differente da ogni
persona, a dipendenza dalle caratteristiche individuali, dalle rappresentazioni culturali e dal significato
personale che si pone all’evento. La persona realizza concretamente ciò che le è successo solo a seguito
dell’evento, ma non sarà ancora in grado di comprendere la difficoltà, se non impossibilita, di tornare alle
sue condizioni precedenti; siccome le sofferenze e le pressioni subite non potranno mai essere cancellate,
ma dovranno essere accettate ed integrate all’interno di un percorso che la porterà a un cambiamento di se
stessa (Zuliani 2007). È possibile che le persone restino traumatizzate da un evento, nonostante non siano
direttamente coinvolte, ma se a subire il trauma sono persone che esse sentono vicine (coetanei, amici,
parenti, vicini di dimora, ...); gli individui che subiscono un evento traumatico, provano una serie di
emozioni:

 Paura che l’evento si ripeta: porta l’impossibilità alla persona di ritornare alla propria vita,
costringendola a restare sempre in allerta non godendosi più ciò che le accade intorno.

 Rabbia generalizzata anche verso i primi soccorritori e il personale infermieristico: viene utilizzata
per nascondere la tristezza e la disperazione provata.

 Senso di colpa dato dai propri comportamenti: per aver reagito in modo considerato non corretto
da se stessi o sentirsi in colpa verso altre persone per non averle aiutate.

 Confusione e stordimento cognitivo: la persona si presenta immobile e apatica, vaga senza meta ed
in modo indifferente a ciò che la circonda; può essere un modo di evitare ciò che le è accaduto o
che le sta accadendo.

 Sconforto per la propria vulnerabilità: avviene quando la persona prende consapevolezza del fatto
che nulla è completamente sicuro e nessuno può impedire un evento traumatico.

 Dolore: dato dalle perdite riscontrate e da ciò che si è patito.


Le persone che subiscono un evento traumatico, vanno incontro a una vulnerabilità generale, che
rende ulteriormente difficile affrontare in modo diretto le emozioni negative che provano e di
conseguenza le espone a sviluppare disturbi psicologici o comportamentali, con il rischio di
somatizzare col tempo e sviluppare patologie fisiche (Anaut 2003).

Non affrontare ciò che l’evento ha causato internamente e non trovare delle strategie per stare bene
nonostante l’accaduto, porta la persona a sviluppare il “disturbo post traumatico da stress” che
consiste in un disturbo d’ansia, che le impedisce di vivere in modo normale e con il passare del tempo
aumenterà la sua vulnerabilità nel contrarre patologie e disturbi psicofisici (Tortora e Derrickson 2011).
Sono state evidenziate tre categorie di fattori che rendono la persona vulnerabile e a rischio: i fattori
dell’infanzia, come prematurità, patologie somatiche precoci, deficit cognitivo, abusi o maltrattamenti; i
fattori famigliari, ad esempio separazione dei genitori, violenza subita o assistita, morte all’interno della
famiglia o diagnosi infausta di un componente della famiglia; ed infine i fattori socio ambientali quali
disoccupazione, collocamento in ambiente non famigliare, disastri ambientali, violenze subite,
rapimenti o diagnosi di malattia.

Traumi e conseguenze che stiamo vivendo nella pandemia Covid- 19


Una delle conseguenze più pesanti della diffusione della COVID-19 è la crisi sanitaria che sta aggredendo i
Sistemi sanitari nazionali di tutto il mondo. Sono i professionisti di questo settore, con i loro diversi ruoli e
mansioni, i primi ad essere chiamati ad affrontare un’emergenza di enorme portata, che incide non solo sui
carichi di lavoro e sulla stanchezza fisica, ma anche sulla loro salute psicologica.
In questi giorni l’attenzione di tutti, politici, scienziati, media, cittadini, è gravemente richiamata su un tema
noto alle scienze umane, quello della tutela del benessere psicofisico delle professioni della cura. Mai come
oggi appare chiara l’importanza di pianificare e mettere in atto politiche e strategie di prevenzione della
salute mentale di coloro ai quali è affidata l’erogazione dell’assistenza.
La rapidità con cui l’emergenza sanitaria si è diffusa, l’impatto generato sulla salute di tutti i cittadini, la
scarsità di risorse professionali, di presidi che garantiscano la sicurezza del personale e di adeguati ed
attrezzati luoghi di cura con cui i sanitari si sono trovati a far fronte all’epidemia, il tutto aggravato dal loro
perdurare nel tempo, hanno posto i professionisti della cura nella condizione di vivere in maniera
straordinaria e repentina tutti quei disagi organizzativi, fisici e psicologici – da cui sono afflitti in condizioni
ordinarie, ma in maniera più diluita nel tempo. Infatti, anche al di fuori di questa grave epidemia, chi lavora
in ambiente medico ha quotidianamente a che fare con la gestione di emergenze ed urgenze, con turni
stressanti, reperibilità, carenza di personale, oltre ad un confronto continuo con situazioni di estrema
sofferenza. Per questi motivi il lavoro sanitario è considerato fra quelli che con più facilità possono portare
allo sviluppo della sindrome da burnout, caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e
derealizzazione personale. È su questo terreno che si innestano con la loro gravità i disagi tipici
delle situazioni catastrofiche, a cui viene assimilata la COVID-19, condizione traumatica del soccorritore per
definire, oltre il normale stress psicofisico, ciò che stanno vivendo i sanitari durante questa emergenza; si
tratta di una particolare forma di disagio tipica della relazione di aiuto “soccorritore-vittima”, quando viene
richiesto che le cure siano indirizzate per primo alle vittime primarie e successivamente a quelle secondarie,
i soccorritori. Questo tipo di trauma è stato studiato dalla medicina soprattutto nei periodi di guerra o
durante catastrofi, come terremoti, incidenti aerei, grandi incendi. Si tratta di situazioni che richiedono
uno specifico addestramento ad agire in circostanze molto critiche, caratterizzate da scarsità di risorse
umane e materiali, capacità di adattamento rapido a ciò che la situazione richiede, prontezza nel fare scelte
dolorose. È questo, nell’immediato, il terreno su cui, cresce il burnout e mette radici il futuro disturbo da
stress post-traumatico (DPTS).

L’epidemia di Covid-19 non è un terremoto o una catastrofe naturale, una guerra o un incidente stradale,
ma un nemico strisciante e invisibile che in maniera prima graduale e poi sempre più violenta è entrato
nelle nostre vite: ha però tutte le caratteristiche per aumentare la probabilità di Ptsd, che può comparire
quando sentiamo minacciati noi stessi o i nostri cari da un pericolo grave. 
È indubbia la necessità di tale misura restrittiva della libertà di ognuno, in un momento tragico della storia
dell’umanità; pertanto il primo assunto deve essere quello di seguire quanto le Autorità Competenti ci
dicono di fare (#iorestoacasa). Come ciascuno di noi ha sperimentato nelle scorse settimane, però, tale
isolamento diventa sempre più faticoso da sopportare.
Una recente review pubblicata su Lacet (Brooks & co., 2020) si concentra proprio sulle conseguenze e i
rischi psicologici della misura di quarantena.
La separazione dalle persone più care, la perdita della libertà personale, l’incertezza sul proprio stato di
salute o di malattia e la noia possono avere degli effetti severi sulla psiche degli individui. Studi
epidemiologici su soggetti sottoposti a misure di quarantena evidenziano, infatti, la prevalenza di sintomi
post traumatici, depressione, stress, irritabilità, ansia, insonnia, rabbia e esaurimento emotivo, con un
permanere di un disagio psicologico anche per mesi e/o anni dalla fine della quarantena. 

Molte persone riferivano, inoltre, la difficoltà a ritornare ad una “normalità” per molto tempo dopo la fine
della quarantena. Ciò che sembra avere un maggiore impatto sul distress psicologico, oltre ai fattori
personali già citati, sono: prima di tutto, la durata della quarantena, che, quindi, deve essere protratta solo
per il tempo effettivamente necessario e non deve essere prolungata oltre; la paura di essere infettati ha un
ruolo considerevole nel generare stress soggettivo; la frustrazione e la noia, legati alla riduzione o alla
sospensione delle attività giornaliere in cui ciascuno era impegnato; il timore di non avere abbastanza
provviste o possibilità di approvvigionamento; infine, la confusione legata alle informazioni
inadeguate ricevute. Altri fattori di rischio sono il possedere una storia personale di sintomi
psichiatrico essere impiegato nel settore delle professioni sanitarie.

Il Coronavirus colpisce tutti, senza distinzioni, ma i suoi effetti non sono uguali per tutti.

Oggi durante l’emergenza e soprattutto nei prossimi mesi, quando ci troveremo a vivere le conseguenze
economiche e sociali della pandemia, si evidenzierà che il coronavirus andrà ad acuire le disuguaglianze
rilevanti, già presenti nella nostra società.

Dal punto di vista sociale questa pandemia ha ridefinito il concetto di rapporto collettivo e di relazione, che
dovranno essere gestiti con molta cautela e responsabilità, mantenendo le dovute distanze, necessarie a
prevenire eventuali propagazioni del virus. Tale situazione andrà a mutare fortemente il senso di socialità,
con ricadute sociali ed economiche molto rilevanti. I risvolti economici derivanti dal diffondersi del Covid-19
sono drammatiche e le conseguenze, per i mesi a venire, sull’economia e sul lavoro sono allarmanti.

Le ricadute negative sulle imprese e sulle persone sono e saranno di dimensioni abnormi. Il blocco della
grande maggioranza delle attività economiche del paese ha portato ad una caduta verticale della domanda
di servizi e beni interna ed estera. Dunque, un crollo congiunto di offerta e domanda dovuta all’emergenza
sanitaria, che ha compromesso gravemente le prospettive di crescita economica. Inoltre, ad aggravare il
quadro c’è il fattore tempo, poiché rimane un’incognita il quando potranno essere ristabilite.

Molte delle piccole e medie imprese, che rappresentano il 90% della nostra economia nazionale, non
riescono a riaprire per mancanza di liquidità e di lavoro.

Sono le stime economiche di primavera della Commissione Ue che vedono il Pil italiano contrarsi del 9,5%
quest'anno.

Vulnerabilità generata dal trauma


Uno dei temi centrali della ricerca psichiatrica, è la connessione tra il trauma( di tipo psicologico, fisico,
cognitivo, emotivo …) e il comportamento, e come le esperienze traumatiche plasmano la maturazione dei
meccanismi cerebrali delle emozioni e dei processi cognitivi. Le esperienze traumatiche, nel tempo,
possono manifestarsi con disturbi comportamentali e psichiatrici. Queste manifestazioni potranno essere
specifiche in ogni diverso individuo in relazione ai suoi tratti biologici, alla caratteristiche della sua
personalità, ai fattori educativi, ambientali e culturali in cui prende corpo il suo sviluppo, il suo diventare
adulto (Tronick, 2006).

Le esperienze traumatiche si inscrivono infatti nella dimensione intersoggettiva primaria, modificando la


costruzione e l’organizzazione dei meccanismi e dei processi psicologici, dalla percezione, alle emozioni,
dall’attenzione alla memoria, alle capacità di apprendimento, autocontrollo e di regolazione del proprio
comportamento (Ciulla,  Caretti, 2012). Un trauma destruttura l’identità personale (Van Der Kolk, 2015),
produce una ferita, intercetta una debolezza, una vulnerabilità. La vulnerabilità a cui si è esposti viene
amplificata se chi accudisce o porta aiuto, fallisce nel compito di elaborazione dei vissuti. Diventa difficile
riuscire ad integrare gli stati emotivi e gli impulsi vissuti come disturbanti, ingestibili (Mosquera et al,
2011). La persona vulnerabile è in difficoltà è costretta ad usare e consumare risorse psichiche per
esprimere e isolare il vissuto e l’esperienza. Occorre offrire un trattamento su misura; non si cura il trauma,
ma l’individuo che lo ha subito e che ha risposto ad esso in modo specifico, attingendo al bagaglio di risorse
e di vulnerabilità, mutevoli e dipendenti dal momento di vita (Van Der Kolk, 2015).  

Ne può derivare un ricorso patologico a meccanismi di difesa che affaticano cronicamente e diminuiscono
le capacità di regolazione dell’Io, i livelli di competenza nella gestione degli eventi stressanti, delle sue
azioni, della sua stessa vita mentale. In certi casi, inoltre, questo tipo di difesa patologica può portare il
soggetto a ritirarsi in stati mentali isolati della coscienza ordinaria (Van Der Kolk, 2014).
Malaguti rispetto alla difficoltà dell’’esperire una situazione di vulnerabilità, sostiene l’idea che ogni
persona debba essere considerata come un sistema complesso, che in base alle proprie caratteristiche,
uniche, reagisce agli stimoli in modo differente.

Continua spiegando che “quando il sistema (ovvero un insieme di elementi in relazione tra loro per una
certa finalità) si rompe, si entra in una fase di confusione, di perdita della bussola interna che fino a quel
momento aveva permesso l’orientamento, e si accede a una condizione di vulnerabilità in cui gli elementi di
fragilità, di vulnus (costituenti ogni essere umano e solitamente bilanciati con glie elementi di forza)
predominano sugli elementi positivi, di forza”. Malaguti afferma sulla natura dei traumi, ovvero che “gli
effetti […] dipendono dalle condizioni della sua irruzione della vita, dall’intensità e dalla durata, da
caratteristiche personali e dalla sua storia”.(p. 57)

Stanghellini e Rossi Monti, nella loro definizione di vulnerabilità utilizzano il termine di “dispositivo di
vulnerabilità”. I due autori affermano che “la parola ‘dispositivo’ […] richiama alla mente quelle pratiche in
grado di catturare l’esistenza umana per governarla e indirizzarla verso una certa finalità – intesa per lo più
come parte integrante delle finalità vitali, quali la sopravvivenza individuale e quella della specie, e di quelle
cosiddette ‘spirituali’, principalmente la definizione di sé, del proprio posto nel mondo, e del senso di quanto
accade.”. Viene utilizzato quindi “il concetto di ‘dispositivo’ in maniera più restrittiva per desinare quei
fenomeni che fanno parte dell’ esistenza umana – tra cui il conflitto, il trauma, l’umore e la coscienza – e
che ne rappresentano il fondamento. La parola vuole indicare che questi fenomeni non sono disposti
dall’uomo ma piuttosto dispongono dell’uomo stesso. Sono istituzioni interne alla vita di ciascun essere
umano e agiscono per lo più in maniera implicita. Dispongono la vita per come essa si dà innanzitutto e per
lo più in un dato contesto socio-culturale.”(p. 201)

Per quanto riguarda la definizione più precisa di trauma, secondo Rossi Monti e Stanghellini questa parola
“rinvia al campo della medicina […]. Essa rimanda a un urto esercitato su un organo o un apparato
corporeo. In ambito psicologico sta al centro di un insieme di metafore che fanno in primo luogo pensare a
un’effrazione meccanica esercitata dall’esterno in direzione dell’interno. […] La nozione psicologica di
trauma, dunque, pone l’accento sull’ effetto che un attacco, un assalto violento proveniente dall’esterno ha
sull’interno […]. Questo corpo esterno causa fenomeni di irritazione e vani tentativi di assimilazione o
espulsione.” (p.202)

Nell’ approfondire il tema della vulnerabilità Malaguti cita la studiosa Marie Anaut, la quale afferma che
“l’approccio alla vulnerabilità può essere assunto secondo due assi principali: la presa in carico della
vulnerabilità personale […] e la presa a carico della vulnerabilità legata all’ambiente, che comprende il
contesto umano e le caratteristiche fisiche e materiali del luogo. Un primo approccio alla vulnerabilità […]
può essere compreso secondo due dimensioni:
- la vulnerabilità centrata sul soggetto: predisposizione genetica, risorse e competenze sociali, risorse
cognitive, ecc.
- la vulnerabilità collegata alle debolezze del contesto: strutture famigliari inadeguate, povertà, isolamento
sociale ecc.” (p.73)

Malaguti a proposito di questo afferma proprio che “essere vulnerabili significa non solo fare i conti con la
modificazione dell’immagine di sé che ci si è costruiti, ma anche con il modo in cui gli altri ci percepiscono,
pensano e agiscono la vulnerabilità. In alcuni casi si preferisce celarla, nasconderla, forse perché si ha la
sensazione di non essere compresi, o anche perchè non tutto può o deve essere raccontato. La nozione di
vulnerabilità contempla molteplici dimensioni e aspetti: quello intimo e intersoggettivo e quello sociale e
collettivo.”(p. 59)

Malaguti cita uno studioso francese che descrive il processo complesso di una situazione di vulnerabilità
causata da un trauma con una metafora eloquente: “Manciaux (1999) utilizza la metafora della bambola
spezzata sottolineando che se si lascia cadere una bambola essa si romperà più o meno facilmente:
- secondo la natura del suolo: cemento o sabbia;
- secondo la forza con cui è stata gettata: negligenza o aggressione
- secondo il materiale con cui è fabbricata: vetro, porcellana, stoffa, acciaio Il suolo rappresenta l’ambiente,
il lancio l’evento e la resistenza del materiale il livello di vulnerabilità.”

Per valutare una situazione di vulnerabilità sono quindi necessari diversi elementi legati alla storia della
persona; ma è altrettanto importante soffermarsi sugli elementi di forza, sui fattori protettivi di resilienza.
(p.72)

La risposta dei media al Covid-19

In un momento come questo, nell’emergenza del Covid, in cui il virus ci costringe a non avere dei contatti
sociali dal vivo ma aumentano le interazioni sociali abilitate dalla tecnologia. È una risposta alla potenziale
recessione sociale come Ezra Klein cita Cynthia Boyd in un suo articolo per il Vox: “Dobbiamo abilitare le
persone a rimanere più connesse possibile. Dobbiamo pensare a ciò che gli individui possono fare, ma anche
ciò che noi come vicini e società possiamo fare.”

Isolarci a casa, ci sta facendo sentire più vicini e uniti. Ogni volta che abbiamo aperto browers, abbiamo
incontrato delle iniziative da persone, associazioni, istituzioni o brand come reazione a questa nuova
situazione. Ogni di loro avevano una cosa in comune cioè avvicinare le persone nel momento in cui
possiamo avvicinarci di meno.

L’Italia ha trovato le prime soluzioni come l’aperitivo via canali social, applausi coordinati in tutta l’Italia, a
maratone live, a lauree in streaming, a karaoke e feste di compleanno via app: sono tutte idee che vengono
adottate da altri Paesi aumentando la diffusione.

Quindi abbiamo trovato un modo di raccontare ai nostri amici all’estero quali siano i pregiudizi su questo
virus e come ha cambiato in così poco tempo.

Il punto di vista del prof Lavenia


Il professore Giuseppe Lavenia, è un psicologo e psicoterapeuta, ha risposto qualche domande fatte da
Scuola.net.

1. La curiosità è un motore, è uno stimolo a ricercare nuove opportunità per noi stessi, per la nostra
crescita personale. La curiosità, la fantasia e l’immaginazione trovino degli spunti creativi
perché non si ci senta più annoiati. Dobbiamo riorganizzarsi, strutturando una nuova quotidianità e
dandosi dei compiti giornalieri.
2. Il problema è uso che si fa dello smartphone. Se lo si usa per seguire le lezioni online tenute dagli
insegnanti, se ci si informa facendo attenzione alle fonti, se si utilizza per condividere momenti di
crescita personale. In questo periodo è una buona occasione per stimolare la cooperazione
familiare, nella gestione della casa e partecipare alle conversazioni di famiglia. Lo strumento ci dà la
possibilità di rimanere in contatto con gli altri e con il mondo, può diventare uno stimolo a utilizzare
positivamente la tecnologia che abbiamo ogni giorno tra le mani e farci apprezzare ancor più la
relazione offline.
3. Si deve avere la responsabilità e la consapevolezza di ciò che facciamo. Bisogna avere e darsi dei
limiti, delle regole condivise che permettono a ciascuno, in famiglia, di svolgere il proprio ruolo.
Concedendosi anche momenti di svago con il gameing e con lo streaming: sono utili a non pensare
continuamente alla difficile situazione che stiamo vivendo.
4. La videochiamata aiuta a condividere un po' di ciò che si vive in casa, permette di stabilire una
conversazione fatta di domande e risposte nell’immediato. Ci sono anche i social, le chat e i gruppi
di chat: ciò può creare una sorta di dipendenza da notifica enfatizzata dal legame affettivo che si ha
con questi amici. Fondamentale è mantenere questi rapporti e permettere l'uso delle chat ma può
essere utile stabilire alcune regole familiari.
5. La paura in questo momento è un’emozione molto diffusa: si teme di perdere i propri cari, la
propria quotidianità e le relazioni costruite finora. La paura di perdere i propri cari: è necessario
ragionare ed elaborare questo sentimento. Se ora vogliamo essere d’aiuto ai nostri cari: dobbiamo
restare a casa e seguire le misure igienico-sanitarie che ci sono state dette e ridette.
6. Per non cadere nel panico può essere utile rifarsi solamente alle informazioni che vengono dai
canali ufficiali. È consigliabile evitare le fake news, credere a tutto ciò che arriva sulle chat perché la
maggior parte delle volte sono bufale. Per quanto riguarda la paura e il panico che ci prende
rispetto ai nostri cari, si può stabilire un contatto giornaliero con loro, una volta al giorno, per
sentire come stanno e rassicurarsi a vicenda sulle condizioni di salute cercando, anche di parlare di
altro.

Questi mesi si deve fornire informazioni accurate, rapide e frequenti in una lingua che le persone
comprendono e attraverso canali affidabili, la popolazione sarà in grado di prendere decisioni e adottare
comportamenti positivi per proteggere se stessa e i propri cari da malattie come COVID-19. L’informazione
è la prima risorsa che consente alla popolazione di prendere decisioni informate per prendersi cura della
propria salute e prevenire voci e disinformazione.

I social media affrontano la pandemia


Le piattaforme social stanno fronteggiando il Corona virus cercando di sensibilizzare le persone e
divulgando le notizie ufficiali in linea con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Word Health
Organization): soprattutto sono consapevoli del ruolo significativo che rivestono nella vita delle persone. Ci
sono diverse innovazioni che hanno messo in pratica diversi social: Snapchat lancia Lens Web Builder per
semplificare la creazione di campagne AR lens, Instagram rilancia la nuova feature che sarà possibile
testare la modalità Mirror per le stories; Linkedld lancia Conversation Ads per aiutare i brand; Tik
Tokincoraggia la censura di contenuti che mostrano difetti fisici, luoghi di povertà e persone disabili; You
Tube sta semplificando la sua policy sui Sensitive Events per consentire agli YouTuber la monetizzazione dei
video che discutono dell’epidemia; Facebook è coinvolto in un bug tecnico legato al filtro anti-spam che
blocca erroneamente molti legittimi e la loro condivisione.

Come hanno reagito le piattaforme social?

Le piattaforme che usiamo come strumento principale per connetterci con le persone e i nostri interessi, si
sono mostrate fedeli alla loro promessa. Esse hanno aiutato le community a strutturarsi e permesso un
accesso democratico all’informazione e si sono impegnate a filtrare la parte nociva dell’informazione.
Nonostante ciò rimane ancora impossibile controllare la qualità delle informazioni e in alcuni casi si
diffondono contenuti problematici a causa della mancanza di visibilità su ciò che è criptato. Tutte i social
nominate prima stanno aiutando milioni di persone a connettersi e a combattere la disinformazione,
lavorando con i governi e istituzioni. In altre parole esse hanno dimostrato un senso di responsabilità e sarà
un bene alla nostra relazione con gli strumenti social.

Le Fake News fuori dai social

Il MIT (è il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti: è il dicastero con il portafoglio del Governo italiano
e ha competenza sulle reti infrastrutturali nazionali a servizio dei mezzi di trasporto e sui trasporti terrestri,
marittimi e aeronautici. È stata fondata in Italia nel 2001.) in un suo studio ci dice che le notizie false hanno
70% in più di probabilità di essere ritwittate rispetto alle storie vere. Sono nati siti che rubano dati e
informazioni a quei utenti che sono alla ricerca di informazioni riguardo il fenomeno.

Il New York Times dice: «I ricercatori di sicurezza hanno anche trovato che gli hacker stavano impostando
siti web logori che hanno affermato di avere informazioni sul coronavirus. I siti erano in realtà trappole
digitali, finalizzate a rubare dati personali o rompere i dispositivi di persone che sono atterrati su di loro.»
In questo contesto dove la paura la fa da padrona, si deve mettere una linea di confine e definire dove
finisce la verità e inizia le notizie false. In un clima di incertezza potrebbe portare ad eventi di violenza o
sommossa che non si sono verificati in Italia o negli altri Paesi.

Il New York Times sottolinea l’impegno e l’operato dei Social Network verso questo fenomeno con queste
parole: «Facebook, YouTube e Twitter hanno tutti detto che stavano facendo sforzi per indirizzare le persone
a fonti affidabili di informazioni mediche, e aveva linee dirette di comunicazione per l'OMC e i Centri per il
Controllo e la Prevenzione delle Malattie.»

L’obiettivo comune è fare piazza pulita di esperti improvvisati, di complottiamo e di una cattiva
informazione.

Corona film

Nomino un film che parla di questo virus ed è il mio settore di studio.

Nel periodo in cui il coronavirus ha iniziato a fare notizia e prima che la vita sociale viene fermata per
frenare la pandemia: un regista, Mostafa Keshvari, indipendente ha ideato, girato e finito la
postproduzione in un film sul contagio. l primo film sul Covid-19 si chiama "Corona" ed è ambientato in un
ascensore in più è stato girato in pochi giorni a febbraio. Keshvari ha iniziato a lavorare sul film a inizio
gennaio; in due settimane ha scritto la sceneggiatura e in dieci giorni è stato creato il set. Il film è stato
girato in pochi giorni a febbraio con una troupe di 25 persone: si era all'inizio dell'epidemia.

«Abbiamo affittato uno spazio e ci abbiamo costruito un ascensore.» dice Keshvari. “Corona” è un film di un
budget ultra basso. Agli attori, da cui voleva il massimo realismo, ha dato spazio anche per
l’improvvisazione.

«Ho chiesto loro di immaginare che il coronavirus fosse presente su quell'ascensore.» disse Keshvari. Voleva
che l’azione si svolgesse in tempo reale.

Fra il cast e la troupe non c'è stato nessun caso positivo al virus. L'idea iniziale era di proporre il film ai
festival ma ora con il lockdown (= confinamento) e l'aggravarsi della pandemia l'unica opzione per
diffonderlo è lo streaming. Per il regista, il film ora appartiene all'umanità. 

“Corona” affronta il tema del pregiudizio. L'idea è venuta al regista: proprio su un ascensore, oltre due
mesi fa, leggendo la notizia degli attacchi che stavano subendo, per la paranoia legata al virus, i turisti
cinesi. Il Covid-19 è stato denominato all'inizio virus cinese. Ma ora colpisce tutti, non esiste un problema
razziale. Ora la razza umana deve unirsi per sconfiggerlo.
«Il virus non discrimina, perché dovremmo farlo noi?» spiegando il regista all’Hollywood Reporter.
Cosa succede in un ascensore rimasto fermo, quando nasce il sospetto che una delle sette persone
intrappolate potrebbe avere il coronavirus. Gli personaggi chiusi nell’ascensore sono una nuova inquilina
cinese, un addetto alle riparazioni, un suprematista bianco in sedia a rotelle, il proprietario del palazzo, una
donna incinta e un inquilino indebitato. “Corona” è ambientato nella fase iniziale del Covid-19. Una ragazza
cinese di nome Traei Tsai si trova intrappolata in un ascensore con altre sette persone e con un atroce
sospetto: potrebbe aver contratto il virus ed essere così un pericolo per gli altri.
Un film sulla paura e sul pregiudizio: è uno studio sulla società, sulle persone e sulle scelte morali. Un film
che Keshvari ha girato, ispirandosi alla notizia degli attacchi che i turisti cinesi stavano vivendo per via del
Coronavirus.
Il Coronavirus e l’impatto sulla vita quotidiana
La situazione di emergenza dovuta alla pandemia di COVID-19 mette a dura prova la nostra salute
psicologica. Le preoccupazioni e l’incertezza aumentano con l’aggiornamento quotidiano dei dati su
contagio e letalità del virus e sul suo approssimarsi ai luoghi in cui viviamo.

Un cambio di stile di vita e la paura


“L’impatto più grosso è che ci viene chiesto un radicale cambiamento dello stile di vita quotidiano, dove ci
viene chiesto paradossalmente non di fare più cose, come la società moderna ci ha abituati a fare,
generando il cosiddetto “stress per le tante cose da fare”, ma di non fare, di “restare a casa”, ha spiegato a
Pagella Politica Gianluca Castelnuovo, professore ordinario di Psicologia clinica all’Università Cattolica di
Milano.

Tutto questo può avere delle conseguenze sul piano psicologico per le persone, a cominciare dal nostro
rapporto con la paura.

"In questo contesto di incertezza e di preoccupazione, la paura può essere funzionale, perché si può
trasformare in attivazione e maggiore attenzione, per esempio per rispettare i protocolli di igiene, come
lavarsi le mani e indossare i dispositivi di protezione individuale”, ha chiarito Castelnuovo. "I problemi
possono però verificarsi in quelle persone che hanno maggiori difficoltà a gestire l’ansia, in cui questo stato
può diventare disfunzionale".

Che cosa ci dicono a proposito i precedenti della Sars e di altre epidemie?


Il 26 febbraio scorso, la prestigiosa rivista scientifica The Lancet ha pubblicato uno studio, realizzato da sette
ricercatori del Dipartimento di psicologia medica dell’università britannica King’s College di Londra, dedicato
proprio agli impatti psicologici della quarantena da coronavirus, suggerendo alcuni accorgimenti da
prendere.

Seguendo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), gli scienziati non hanno condotto
un vero e proprio esperimento, che avrebbe richiesto tempi più lunghi, ma hanno fatto una panoramica
della letteratura scientifica (quella che in gergo specialistico si chiama review) in materia di quarantena per
trarre delle conclusioni applicabili alla pandemia da Covid-19.

In totale, i ricercatori hanno trovato sul tema 3.166 pubblicazioni scientifiche, da cui hanno selezionato oltre
20 studi, condotti in dieci Paesi diversi – dalla Cina al Canada, passando per la Liberia e il Senegal – e
dedicati alle misure di quarantena messe in campo dal 2003 in poi per contrastare la diffusione di malattie
come la Sars, l’Ebola o l’influenza pandemica H1N1.

Una ricerca pubblicata nel 2004 ha mostrato che 338 membri di uno staff medico a Taiwan, messi in
quarantena durante l’epidemia della Sars, hanno rilevato nei giorni immediatamente successivi alla fine
dell’isolamento disturbi acuti da stress e una maggior propensione a vivere stati d’ansia e di insonnia.

Un altro studio, uscito nel 2009 e sempre relativo all’epidemia della Sars, ha evidenziato come in un
campione di oltre 500 dipendenti di un ospedale cinese la quarantena abbia aumentato la probabilità di
mostrare sintomi da stress post-traumatico. Un’evidenza, questa, raccolta anche da un’altra ricerca, uscita
nel 2013, che ha avuto per oggetti i bambini e i loro genitori sottoposti a quarantena o altre misure di
isolamento.

Nella popolazioni analizzate dopo giorni di quarantena, "gli studi riportano in generale sintomi psicologici
come disturbi emotivi, depressione, stress, disturbi dell’umore, irritabilità, insonnia e segnali di stress post-
traumatico", scrivono i ricercatori del King’s College, che hanno anche cercato di capire, dalla letteratura
disponibile sul tema, se ci fossero delle caratteristiche individuali o demografiche che “facilitassero”, in un
certo senso, l’insorgere di questi sintomi.

Un punto fermo sembra comunque essere che tra i soggetti più colpiti ci siano proprio i medici e gli staff
ospedalieri, così come i soggetti in giovane età.

"Un rischio nel futuro prossimo è che passata questa crisi potremmo trovarci molti casi di burnouttra il
personale che era in prima linea nel contrastare l’emergenza coronavirus", ha evidenziato Castelnuovo.

Come hanno sottolineato quattro ricercatori cinesi in una lettera pubblicata da The Lancet il 4 marzo scorso,
si sa comunque ancora poco sugli impatti psicologici (e fisici) che i periodi di quarantena possono avere sui
bambini, che in queste settimane sono costretti a restare in casa, lontani dalla scuola.

Che cosa peggiora la quarantena?


Altre evidenze scientifiche portano a ipotizzare il rafforzamento, sotto quarantena, di diversi stressor, ossia
di quegli stimoli esterni che sono fonte di stress. Tra questi, gli stressor più diffusi sono la durata della
quarantena, la paura di essersi contagiati (e anche quella di poter contagiare gli altri, in particolare i
famigliari), la noia, la frustrazione e l’essere privi di beni necessari, non solo alimentari o per la salute, ma
anche immateriali, come quelli legati all’informazione.

"La mancanza di chiarezza, in particolare sui diversi livelli di rischio, ha portato i partecipanti allo studio a
temere il peggio", scrivono gli studiosi del King’s College, commentando una ricerca pubblicata nel 2017 e
relativa all’epidemia di Ebola in Africa occidentale, scoppiata tra il 2014 e il 2016.

Esistono poi degli stressor che aumentano di molto il rischio di mostrare difficoltà psicologiche una volta
finita la quarantena. In particolare, i ricercatori si sono concentrati sul quantificare gli effetti causati dalle
perdite economiche e dallo stigma sociale che vivevano i soggetti isolati una volta liberi.

Tra le evidenze scientifiche, risulta per esempio che chi ha livelli di reddito più bassi mostra una necessità di
supporto maggiore, sia economico che psicologico, durante e dopo i periodi di quarantena.

"Non vanno inoltre sottovalutati i problemi legati ai disturbi alimentari", ha sottolineato Castelnuovo. "Il
rischio in questo periodo di semi-isolamento è quello di badare più alla quantità del cibo, che alla qualità.
Questo contesto può essere utile per rigustare il piacere del cibo, mangiando lentamente e a piccole dosi,
associandola anche a un po’ di attività fisica, rispettando sempre le regole, dal momento che non viviamo in
un regime di coprifuoco".

Che cosa si può fare?


Secondo i ricercatori, è possibile rendere i periodi di isolamento "più tollerabili per il maggior numero di
persone possibile", seguendo una serie di accorgimenti.

Una delle misure necessarie da adottare da parte di un governo è quella di spiegare con chiarezza che cosa
sta succedendo, garantendo una comunicazione istituzionale trasparente e rinforzando il senso di altruismo
nella cittadinanza.

"È necessario però non travolgere i lettori con le notizie angoscianti, ma comunicare le buone notizie, per
esempio i casi di persone guarite dopo aver contratto il nuovo coronavirus", ha spiegato Castelnuovo. "Un
ulteriore aiuto poi, in un’epoca in cui sono fortemente criticate e demonizzate, può arrivarci dalle tecnologie,
che grazie alle videochiamate permettono a chi è isolato di avere un contatto sociale più solido di quello
coltivato solo con dei messaggi".
Un discorso diverso vale per chi non vive da solo e magari in questi giorni è obbligato a condividere gli spazi
domestici con dei famigliari.

"In questi casi è fondamentale strutturare la giornata, dividere i tempi e gli spazi in base a schemi e ritmi,
rassicurando in particolare i bambini", ha sottolineato Castelnuovo. "Questo periodo di semi-isolamento è
troppo lungo per essere lasciato al caso, serve organizzazione del proprio tempo, con ampi margini dedicati
non a semplici passatempi, ma alle proprie passioni personali e ai propri talenti".

Inoltre, un altro elemento molto importante, che ha un impatto significativo sulla dimensione psicologica
dei cittadini, è quello di garantire con facilità l’accesso a beni primari, come quelli alimentari, e a consulenze
di supporto psicologico.

Il progetto “Solidarietà digitale”, promosso dal governo per permettere a imprese e associazioni di fornire
servizi gratuiti alla cittadinanza, va anche in questa direzione. Sul sito ufficiale dell’iniziativa, è possibile
consultare i servizi gratuiti offerti da diverse realtà che si occupano, per esempio, di organizzare colloqui
psicologici in videochiamata.

Inoltre, come spiega il Ministero della Salute, "è disponibile un servizio di supporto psicologico per
affrontare le emozioni durante il momento difficile di questa emergenza", chiamando il numero verde
800.06.55.10 (attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7).

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