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“Metodologie didattiche per
l’insegnamento della lingua italiana a
stranieri - Didattica dell’Italiano L2”
Introduzione
Nel 1971 viene dunque varato dal Consiglio d’Europa il Progetto lingue
moderne (Modern Languages Project). Uno dei primi risultati che la
commissione di esperti riuscì ad ottenere, fu la mappatura e
l’identificazione dei cosiddetti livellisoglia, vale a dire l’insieme delle
competenze linguistiche minime che un cittadino europeo adulto deve
possedere per “sopravvivere” in un Paese straniero. Per “sopravvivenza”
si intende la capacità che, ad esempio, un cittadino italiano a Londra avrà
di compiere azioni di difficoltà elementare adoperando la lingua inglese:
trovare un alloggio, presentarsi in maniera chiara ma concisa, chiedere ed
ottenere semplici informazioni stradali, scegliere ed ordinare un pasto, e
così via. Ma indica anche il livello a partire dal quale si ritiene possibile far
procedere un efficace percorso di formazione linguistica.
«Di cosa gli apprendenti avranno bisogno per agire con il linguaggio, con la
lingua? Che cosa hanno bisogno di apprendere per diventare capaci di usare la
lingua per raggiungere tali obiettivi? Che cosa li spinge ad apprendere?Che tipo
di persone sono per età, sesso, retroterra sociale e culturale? Quali conoscenze,
abilità, esperienze hanno i loro insegnanti? Quale possibilità di accesso hanno a
manuali didattici, ad altre opere di riferimento (dizionari, grammatiche), a
strumenti audiovisivi, alle tecnologie avanzate? Quanto tempo, infine, posso
impegnare nell’apprendimento linguistico?» (pag. 11)
Un aspetto del QCE, che rappresenta una novità sostanziale rispetto agli
studi degli anni ‘70/’80 sui livelli soglia, è costituito dalla grande attenzione
rivolta agli aspetti “culturali” della lingua. Una lingua non è mai
solamente l’insieme di un vocabolario e di regole sintattiche. La lingua, al
contrario, è un sistema complesso e vivo, in continua trasformazione, che
conosce codici ed usi differenti a seconda del contesto in cui viene
utilizzata e che si modifica col modificarsi della comunità di persone che la
utilizza. La lingua riflette il sistema dei valori dei parlanti, lo influenza e ne
viene a sua volta influenzata: è un fattore antropologico, prima ancora che
un insieme rigido di regole codificate, ed è, come tutti i fenomeni culturali,
un sistema aperto ad infinite sollecitazioni. Per questo motivo il QCE
riconosce l’esistenza di un nesso molto stretto fra l’apprendimento della
lingua e quello della cultura della comunità dei parlanti.
Il problema delle competenze nel QCE
Proprio al riconoscimento del legame inscindibile fra apprendimento della
lingua e apprendimento della cultura è legata l’individuazione, operata nel
QCE, delle competenze generali, e delle competenze linguistico-
comunicative.
Le competenze generali consistono in:
• conoscenza,
• abilità e competenza esistenziale
• abilità ad apprendere.
• linguistica,
• sociolinguistica
• pragmatica.
Si intuisce come tutti questi domini non stiano fra loro come dei
compartimenti stagni, separati in modo rigoroso, ma piuttosto rappresentino i
capi di una rete di possibili relazioni comunicative, che finiscono
inevitabilmente per intrecciarsi nella pratica della lingua.
Un aspetto non secondario, che purtroppo nelle “Linee guida nei per la
progettazione dei percorsi di alfabetizzazione” viene affrontato in maniera
soltanto superficiale, riguarda il problema dei discenti del tutto privi di
alfabetizzazione, o dei parlanti lingue analfabetiche, che dunque hanno un
approccio alla lingua quasi esclusivamente di tipo orale. Il tema è emerso
in tutta la sua importanza negli ultimi anni, durante i quali sono apparse
importanti pubblicazioni, mirate a codificare un Livello definito “pre-A1”
nel quale per l’appunto ricade una gran parte della popolazione immigrata
in Italia, specie quella proveniente dalle regioni dell’Africa sub Sahariana.
Recentemente si è avuta la pubblicazione del Sillabo per la progettazione di
percorsi sperimentali dialfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana a livello
Pre A1, un documento di grande interesse (sul quale torneremo in seguito)
stilato a cura degli Enti certificatori dell’italiano L2, che in Italia sono
l’Università per Stranieri di Perugia, l’Università per Stranieri di Siena,
l’Università degli Studi “Roma Tre” e la Società Dante Alighieri.
Le Linee guida per la progettazione della sessione di formazione civica e di
informazione, di cui all’articolo 3 del DPR 179/2011
Di fatto queste Linee guida sono state redatte proprio allo scopo di
promuovere il processo di integrazione dello straniero ed hanno come
finalità di fornire al discente, in forma sintetica, una serie di competenze in
mancanza della quali, potremmo dire, la “semplice” formazione linguistica
risulterebbe monca e priva di una parte di decisiva importanza.
Sanità:
• Diritto alla salute
• Funzionamento e attribuzione della Tessera Sanitaria.
• Struttura delle ASL e delle Aziende ospedaliere.
• campagne vaccinali.
• attività del consultorio.
Scuola:
• Obbligo di istruzione.
• Il sistema di istruzione italiano: la scuola dell’infanzia, la scuola
primaria, la scuolasecondaria di primo grado, la scuola secondaria di
secondo grado.
• Il sistema di istruzione e formazione professionale.
• Contratti di apprendistato.
• Apprendimento permanente.
• Istruzione degli adulti.
• Iscrizione e frequenza.
• Rapporti con la scuola e colloqui con gli insegnanti.
Servizi sociali
• Sistema integrato di interventi e servizi sociali.
• Iscrizione anagrafica per accedere ai servizi sociali territoriali.
• Organizzazione servizi sociali (uffici di cittadinanza, URP).
• Varie forme di sostegno al reddito territoriali (misure di accesso
all’edilizia residenzialepubblica).
Lavoro
• Diritto al lavoro e diritti del lavoro
• Centro per l’Impiego.
• Tipologie di lavoro (subordinato, autonomo, parasubordinato).
• Organizzazioni sindacali tutele dei diritti dei lavoratori.
• INPS, sistema previdenziale.
• INAIL, prevenzione e sicurezza sul lavoro.
Obblighi fiscali
• Imposte sul reddito, imposte sulla proprietà, IVA.
• Dichiarazione dei redditi.
• Servizi di utilità pubblica soggetti a tariffa.
Introduzione
Il QCE mostra di avere molto chiara l’idea delle difficoltà che in sede di
valutazione dei livelli di competenza si potrebbero incontrare ed infatti
esplicita i metodi per l’individuazione dei livelli dividendoli in:
• Metodi intuitivi: basati non sui dati, ma sull’esperienza
• Metodi qualitativi: basati sul lavoro su un numero ristretto di persone
• Metodi quantitativi: basati sul sistema della item-analysis, che prende in
considerazione le singole risposte, anziché i test nel loro insieme.
Il QCE ritiene inadatti i metodi intuitivi e quelli qualitativi, per via del
rischio che valutazioni di tipo soggettivo possano interferire nella
assegnazione di un livello. L’analisi basata sul metodo quantitativo, invece,
garantirebbe risultati costanti rispetto ai criteri e agli ordini di
misurazione scelti.
Si sarà probabilmente notato che tutti gli indicatori individuati dal QCE
sono particolarmente idonei alla valutazione della “performance”
comunicativa: in quanto veicolo di comunicazione e cultura, la qualità
della lingua deve essere valutata nei suoi aspetti concreti e nel suo utilizzo
pratico. I docenti ed i certificatori devono essere in grado di valutare la
competenza che il parlante ha nella lingua come strumento vivo, di fatto
marginalizzando l’importanza delle competenze teoriche. Si ha una
completa percezione di questo aspetto soprattutto se si guarda in modo
approfondito all’interno dei vari livelli e se ne analizzano le caratteristiche
caso per caso.
La scala globale dei livelli del QCE
Introduzione
Per quanto concerne la struttura interna delle singole UA, essa segue in
gran parte il percorso gestaltico di cui si è detto in precedenza, con una
tripartizione che, almeno in superficie, coincide con le «tre P» del modello
inglese presentation / practice / production, ma che nella realtà è
profondamente diversa: le «tre P» erano il prodotto di un insegnamento
molto tradizionale, con l’insegnante che presenta i contenuti o l’input, lo
studente che fa gli esercizi e poi fa vedere quel che ha imparato; il modello
globalità → analisi → sintesi/riflessione non viene dalla pedagogia ma dalla
psicologia e riguarda i meccanismi umani di percezione e rappresentazione
mentale; attraverso concetti diversi ma sostanzialmente paralleli a quelli
gestaltici il modello globalità →analisi →sintesi/riflessione è stato descritto da
Chomsky come meccanismo di funzionamento del LAD (Language
Acquisition Device) in termini di osservazione →creazione e verifica di ipotesi su
quanto osservato → fissazione e uso delle «regole» che sono state osservate,
ipotizzate e confermate. È questo il modello per la maggioranza accettato
in ambito di didattica delle lingue.
Ognuna di queste fasi richiede la scelta di tecniche didattiche adeguate.
Le metodologie didattiche
Oltre ai tipi di intelligenza bisogna ricordare che esistono anche degli stili
di apprendimento, e, soprattutto, dei tratti della personalità che
interferiscono con la azione didattica e, inevitabilmente, la condizionano. Li
possiamo elencare per coppie di opposti:
• Cooperativo/competitivo: lo studente che si segnala per l’atteggiamento
cooperativo tende a collaborare con gli altri componenti del gruppo classe,
eventualmente anche abbassando le proprie difese psicologiche (fino ad
esporsi bonariamente al ridicolo) pur di creare un ambiente che sia
confacente alla sua personalità; all’estremo opposto lo studente
competitivo, desideroso di emergere, che è poco disposto ad accogliere le
richieste di aiuto del compagno, o poco incline a collaborare con lui. Le
tecniche didattiche scelte dovrebbero mirare a stemperare le spigolosità di
queste tipologie di carattere, sollecitando lo studente competitivo
attraverso attività di tipo ludico, e indirizzando quello cooperativo a
focalizzarsi in modo più deciso sul proprio percorso.
• Introverso/estroverso:è un’altra variabile ben nota e ha un ruolo essenziale nel
facilitare o complicare tutte le attività in cui si deve parlare in lingua
straniera con i compagni o con l’insegnante; siccome queste attività sono
necessarie per esercitare l’oralità, lo studente introverso tende a esercitarsi
di meno e quindi aggiunge al disagio psicologico dell’uscire dal proprio
guscio protettivo quello linguistico della scarsa padronanza.
• Ottimista/pessimista: anche in questo caso ci troviamo di fronte a degli
atteggiamenti che, se estremizzati, possono inficiare in modo negativo sulla
riuscita della azione didattica. Lo studente pessimista tenderà ad abbattersi
molto facilmente, mentre quello ottimista potrebbe accettare con
faciloneria le proprie mancanze ed i propri ritardi nell’apprendimento, di
fatto generando delle lacune difficili da colmare.
• Dipendenza/autonomia: si tratta della capacità di affrontare in modo
autonomo i problemi legati alle difficoltà e alla lentezza del processo di
apprendimento, oppure della mancanza di “autocontrollo” ed
“autoverifica”, che spinge molti studenti ad adagiarsi sull’insegnante,
lavorando molto poco su se stessi.
Tecniche in prospettiva collaborativa: la scelta delle tecniche didattiche,
in questo caso, procede dall’assunto che la lingua è un fatto sociale: si
tenderà a privilegiare una metodologia che incentivi la comunicazione,
dunque, o l’acquisizione di competenze attraverso lo svolgimento di
compiti in comune con gli altri apprendenti, in modo da promuovere
l’utilizzo orientato della lingua attraverso attività di problem solving. Proprio
per questa ragione le attività selezionate in base alla metodologia
collaborativa privilegiano un approccio di tipo costruttivistico: la
conoscenza della lingua avviene attraverso la elaborazione di percorsi
comuni e non attraverso la trasmissione di conoscenze dall’alto.
Il concetto di prospettiva collaborativa andrebbe in realtà integrato con
quello di prospettiva cooperativa, che introduce una ulteriore chiarificazione
intorno alla scelta delle tecniche didattiche: quelle collaborative riguardano
l’assegnazione agli studenti di obiettivi comuni, che però andrebbero
raggiunti attraverso il lavoro individuale del singolo; quelle cooperative
riguardano vere e proprie forme di lavoro comune fra gli studenti.
Questo tipo di prospettiva può essere una importante risorsa nel caso delle
cosiddette CAD, classi ad abilità differenziate, ad esempio quelle che vedono
una alta percentuale di studenti stranieri, con formazione e retroterra
culturale differente rispetto ai compagni di origine autoctona: le tecniche
collaborative e cooperative potrebbero rappresentare un incentivo ad
accompagnare gli studenti stranieri verso un più agevole percorso di
integrazione con il resto della classe.
Introduzione
Uno dei punti di maggiore novità che è stato introdotto dal QCE, è
rappresentato dalla concezione della glottodidattica come luogo di
convergenza fra diverse scienze del linguaggio.
Come già abbiamo avuto modo di vedere, infatti, la didattica della lingua
L2 segue dei percorsi che le sono del tutto peculiari (abbiamo sottolineato,
ad esempio, come quella linguistica sia l’unica forma di insegnamento in
cui l’argomento della azione formativa, e lo strumento per condurla in
porto, coincidono) e che ne fanno una disciplina ibrida, aperta alle
suggestioni di molti ambiti di ricerca scientifica.
Il QCE, in tale senso, può essere considerato come un notevole sforzo di
risistemazione della didattica della L2, prodotto a partire da una tesi
apparentemente semplice, ma foriera di numerose conseguenze sul piano
della teoria e della prassi: l’apprendimento della lingua è un fatto
comunicativo, che non avviene in un ambiente asettico e impermeabile
agli infiniti condizionamenti culturali di cui la stessa lingua è carica.
Il destinatario dell’intervento didattico è visto pertanto come un agente
sociale, che interagisce con altri soggetti (i compagni di corso, il proprio
insegnante, la struttura formativa, ecc.) attraverso gli stessi codici che
formano l’oggetto del suo studio.