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STORIA DELLA MUSICA

CAP 1 – LA MUSICA NEL MONDO ANTICO

Musica greca e civilta’ occidentale

Parlando di musica antica (musica greca e della cultura della civiltà occidentale) non riusciamo a
definirne veramente il contenuto fino infondo perché nonostante ci siano molte notizie
tramandateci da filosofi, teorici e poeti dell’antichità, ci sono rimasti solo piccoli frammenti, per
altro di difficile interpretazione e comprensione.
Questa totale mancanza ci induce a pensare che il tutto non è derivato da un incidente storico, ma
dal fatto che non si riteneva la musica un arte e quindi di conseguenza non così importante da
dover essere tramandata, ma come diremmo oggi, usata solo come musica d’uso.
La mancanza di una solida tradizione musicale ha permesso che la musica fosse molto più
permeabile e sensibile agli altri richiami culturali, facendo in modo che altre tradizioni hanno
potuto innestarsi nel tronco principale senza traumi ne problemi.
La difficoltà nel risalire alla storia della musica greca sta anche nel fatto che il termine musica
(μουσική - in greco) non aveva lo stesso significato che ha oggi, ma indicava un insieme di attività
artistiche, e solo quelle che venivano considerate degne di essere scritte venivano tramandate,
come ad esempio la poesia, mentre altri aspetta come quelli musicali venivano affidati più alla
trasmissione orale.
Gli strumenti musicali usati dai Greci in realtà si trovano già sviluppati in Egitto e in Mesopotamia
(arpe, cetre, flauti di vario tipo, sistro) sin dal 3° millennio a.C.
Rispetto alle civiltà antiche, babilonesi, egizi, ecc. dove la musica era strettamente legata al culto
religioso, grazie ai greci quest’ultima assume un lato più laico ed educativo.

I miti musicali e le testimonianze più antiche

Una delle più preziose testimonianze lasciateci dal mondo antico è il trattato di PseudoPlutarco –
De Musica, ove sono presenti opere di autori sconosciuti a cui però non era attribuita la parte
scritta a loro medesimi, ma bensì in questo caso a Plutarco, (pseudoepigrafi) che solo
successivamente si scoprirà la sbagliata attribuzione.
Riferendosi a Omero, egli in esso indica le circostanze più appropriate per la pratica della musica,
avendo scoperto che essa è l’esercizio più idoneo, per il piacere che procura (tanto è vero che,
quando Achille per via della disputa con Agamennone smise di combattere, faceva esercitare lo
spirito dell’eroe con la bellezza delle melodie).
La musica oltre a assumere una funzione ricreativa assumeva anche una funzione etico-
conoscitiva; se prima veniva strettamente legata ad altre arti come la medicina, gli incantesimi,
ecc.. nel periodo omerico perde questo valore per acquistare una dimensione edonistica (una vera
e propria filosofia), motivo per il quale la figura del musicista inizia a prendere valore e
quest’ultimo ad essere considerato un vero e proprio professionista della sua arte.
La musica diventa fondamentale per la buona riuscita di banchetti e cerimonie mondane, e come
accompagnamento di canti, inni (a Dei e non) e al ballo.
Il cantore ha sempre dei repertori pronti per ogni evenienza, e viene accompagnato dalla lira
(strumenti ellenici); mentre strumenti a fiato come l’aulos o la syrinx (anche se in futuro
largamente usati in Grecia) vengono all’inizio visti male soprattutto per la loro provenienza dalle
zone Asiatiche.
Infatti come da tradizione Orfeo suona la lira, accompagnandosi col canto (strumento inventato da
Apollo, il Dio della bellezza).
L’unione della lira e dell’aulos costituisce una della basi più importanti del pensiero musicale
greco, raccoglie il concetto di armonia (concetto concepito dall’unificazione dei contrari, essa
nasce dall’unione dei molti termini mescolati e dall’accordo di termini discordanti cit. Filolao).
Secondo Filofao, filosofo di scuola pitagorica, i rapporti musicali esprimono nel miglior modo la
natura la natura dell’armonia universale (armonia data dall’insieme dei numeri, dei suoni, ecc..)
La musica ovvero armonia quindi non è solo il suono di uno strumento musicale, ma è anche lo
studio degli intervalli, è l’applicazione allo strumento ed può addirittura essere associata al
movimento degli astri che si muovono secondo delle leggi numeriche e proporzioni armoniche
(musica delle sfere: concetto che avrà fortuna nella musica greca, nel Medioevo e ripreso anche
nel Rinascimento).
Per i pitagorici anche l’animo è armonia, motivo per cui la musica essendo anche essa armonia, ha
la capacità di ricostruire, di riprodurre, di cambiare e addirittura di curare l’anima (catarsi:
purificazione, termine utilizzato nell’antica Grecia per indicare la parentela tra medicina e musica).

L’armonia e l’<ethos> della musica

Le prime ricerche sul calcolo matematico degli intervalli e sulla correlazione tra musica e animo
umano si attribuiscono a Pitagora.
Ogni tipo di musica imita un certo tipo di carattere ed esprime sensazioni diverse.
C’è una stretta corrispondenza anche tra suono e anima, visto che l’anima è movimento come è
movimento il suono (dato il muoversi delle corde della lira).
L’ethos della musica (carattere, temperamento della musica) non indica solo il carattere o uno
stato d’animo, ma bensì anche i costumi, le tradizioni, le usanze di un paese.
Nella filosofia di Platone (427-347 a.C.) si accentua un grande problema presente nel pensiero
pitagorico: la grande distanza, lo spacco, presente tra la musica udita e quella solamente pensata,
frattura probabilmente data dal fatto che conosciamo molto ciò che riguarda il pensiero e la teoria
della musica Greca ma quasi nulla della reale consistenza sonora.
Infatti nello stato ideale di Platone la musica dovrebbe essere bandita, per non lasciare spazio a
piacere e dolore, anziché alla legge.
Il filosofo Platone condanna la musica sul lato del piacere, mentre invece la accetta cautamente se
fosse depurata da armonie dannose, pensa che la musica possa essere una scienza e quindi non
più un oggetto dei sensi, ma della ragione, motivo per cui la avvicina la accosta alla filosofia
identificandola come alta forma di Sapienza (Sophia).
Platone considerava la possibilità che la musica venga considerata quando entrava in città come
momento in cui dal puro intelligibile (che può essere capito soltanto attraverso l’intelletto) possa
passare così alla sua realtà sensibile, ma senza che venga meno il suo valore educativo e senza
farsi abbindolare dalle sregolatezze musicali del proprio tempo.
Da qui l’atteggiamento di Platone può sembrare equivoco e ambivalente nei confronti della
musica, ma in realtà nello stato ideale di Platone, lui dà un ruolo fondamentale al musicista,
perché ha il compito di dare una educazione musicale ai giovani, che però sia sempre corretta e
conforme con le regole e che porti i giovani ad agire nell’intera vita con ritmo e armonia.

I <nomoi> e la rivoluzione musicale del v secolo

Sempre lo di PseudoPlutarco – De Musica ci porta a conoscenza dei nomos (nomos = legge),


difficile capire con precisione cosa siano, ma dato il significato del termine, ci fa pensare a degli
schemi melodici stabiliti da usare in base alle occasioni.
Ai nomoi colleghiamo sia l’ethos musicale sia uno stabile insegnamento musicale probabilmente
risalente al 670 a.C. a Sparta dato che attorno a quella data sono già presenti feste in onore di
Apollo che comportavano concorsi musicali.
Platone viveva in un momento storico in cui la musica nella Polis stava prendendo sempre più
piede e non era più una sola scienza, ma stavano emergendo anche dei professionisti di questa
scienza.
Quindi possiamo proprio definire Platone come maggior responsabile di questa divisione tra la
musica concepita come matematica come filosofia, e la musica realmente eseguita e udita più
vicino perciò a professionisti e a mestieri.
Diversamente da Platone la pensava Aristotele (384-322 a.C.), catalogando la musica più in
maniera empirica.
La musica per Aristotele ha come fine il piacere, e come tale rappresenta un ozio, quindi qualcosa
che si oppone all’attività e al lavoro.
Il suo inserimento nell’insegnamento dei giovani si giustifica solo per il semplice fatto che anche
per il riposo sono necessarie nozioni e pratiche, che poi avevano scopo solo su se stesse.
C’è da ricordare che l’ozio per i Romani e l’antica Grecia non era considerato negativo come al
giorno d’oggi, anzi, era considerato il modo più appropriato per passare tempo libero e per non
rendere l’uomo schiavo, motivo per cui per Aristotele la musica era considerata una disciplina
nobile e liberale.
Ma con questo pensiero veniva ad accentuarsi la divisione tra ascolto e diletto della musica
(attività non manuale e che quindi rende l’uomo libero) e dall’altra l’esecuzione vera e propria
della musica (lavoro manuale che rende l’uomo schiavo e quindi senza una educazione liberale).
Per Aristotele i giovani devono acquistare l’arte solo per la capacità di poter giudicarla, quindi si
devono dedicare all’esecuzione fino a che sono giovani e astenersi quando sono diventati anziani,
e in quel momento sapranno giudicare e godere di esse in base alle esperienze della gioventù.
Solo se succederà questo la pratica musicale si fermerà a fatiche eccessive, e continuerà sempre a
rendere l’uomo libero e non schiavo del lavoro.
Aristotele riprende il concetto di Platone di catarsi cioè della purificazione e lo modifica dicendo
che non ci sono melodie più o meno dannose dal punto di vista etico, ma semplicemente la
purificazione avviene attraverso una liberazione delle passioni che vengono imitate musicista,
quindi non più la musica in se, ma ciò che imita il musicista.
La rottura presa in considerazione da Platone tra musica udita e musica pensata, viene ripresa da
Aristotele ma viene cambiata evidenziando uno spacco tra la musica che rappresenta l’ozio degno
di un uomo libero e dall’altra parte l’attività servile del musicista professionista.
Idea che si accentua con il filosofo Aristosseno (allievo di Aristotele), ormai in piena Età Ellenistica
(323 a.C. – 30 a.C.) può considerarsi uno dei più grandi musicologi dell’antichità.
La sua importanza sta nell’aver spostato il centro dell’interesse dagli aspetti puramente
intellettuali ad aspetti concretamente più sensibili e psicologici dell’esperienza musicale.
Nell’età Ellenistica fino alla nascita della civilta’ romano-cristiana il pensiero tenderà a incanalarsi
verso due binari distinti: da una parte l’aspetto scientifico, teorico, acustico, psicologico; dall’altra
sopravvive la corrente platonica legata all’etica musicale, con un maggior riguardo verso la
religione, legato per certi aspetti alla cultura del neoplatonismo cristiano.
Anche Plotino, il più grande filosofo neoplatonico, afferma che la musica è la rappresentazione
terrena del ritmo del regno ideale, intesa come via di accesso al regno superiore, non sensibile,
contrapposta alla musica come oggetto dei sensi.
Tutto ciò ci riporta alla distinzione tra musica udibile e non udibile e allo stretto legame tra musica
e mondo etico.
Tutti questi pensieri saranno riportati nel Medioevo cristiano e saranno inseriti nella nuova
problematica religiosa.

Musica e musicisti dell’antica Grecia

Il termine poesia (lirica) deriva da lira (strumento musicale), questo ci fa capire il forte legame tra
le 2 cose, infatti i valori ritmici della musica erano gli stessi di quelli della poesia lirica o epica.
Uno dei centri più importanti della poesia doveva essere l’Isola di Lesbo, patria di due famosi poeti
musicisti, Terpandro e Arione. A Terpandro si attribuisce il merito di aver portato la lira da 4 a 7
corde (anche se ci sono fonti storiche che smentiscono questo), a Arione è attribuita l’invenzione
del ditirambo (canto corale in onore del dio Dionisio) accompagnato dall’aulos.
Nel VII e VI secolo si fissano i nomoi (schemi melodici da utilizzare in base alla ricorrenza), ma
verso la fine del VII secolo, vengono sostituiti da Alcmane con melodie suggerite dai canti degli
uccelli, questo perché i nomoi risultarono troppo vincolanti per la libera fantasia dei poeti-
musicisti.
In seguito poi sostituiti dai modi, schemi più elastici che si adattavano meglio alla poesia e musica
lirica e tragica del V secolo.
Nel IV secolo la tradizione musicale inizia a subire una profonda trasformazione, Timoteo eleva il
numero delle corde della lira da 7 a 11 permettendo così al poeta-musicista di poter avere più
armonie, soprattutto nell’ambito della tragedia (il movimento più popolare e importante
dell’epoca) trasformandolo da rito religioso e civile a un vero e proprio spettacolo, slega la
giunzione tra sillaba e nota musicale, introduce gli intervalli enarmonici (quarti di tono), il
melodizzare diventa flessibile, la musica si orna di fioriture e abbellimenti (una volta considerati
inutili) diventato più ardua e complessa, e così facendo nasce definitivamente la vera professione
dell’esecutore.
Il contatto tra Romani e Greci inizia a esserci nell’età Ellenistica infatti dal II secolo a.C. molti
musicisti Greci furono presenti a Roma.
Ma la musica a Roma non aveva molto rilievo, infatti era lasciata spesso a schiavi e liberti.
Ma nonostante ciò era sempre presenti nei banchetti e nelle cerimonie (perché vista come forte
mezzo di socializzazione) ed era molto più ricca strumentalmente e colorata rispetto la musica
Greca che era per lo più un solo accompagnamento al canto.
Strumenti come la tibia (usata in coppia), la buccina, il lituus bronzeo (di origine etrusca), simile a
un corno, la tuba, l’hydraulis (organo idraulico) e vari strumenti a percussione.
Da questo riusciamo a capire che la musica a Roma fosse popolare e che accompagnasse sempre
spettacoli come quelli dei gladiatori e la pantomima (azione scenica muta).

Notazione e teoria musicale nell’antica Grecia

I documenti musicali rimasti ci sono stati tramandati da papiri, incisioni su lastre di marmo e su
pietre tombali.
Tutti i documenti sono posteriori all’epoca classica della cultura Greca e conferma il fatto che fino
al IV secolo la musica era tramandata esclusivamente in forma orale.
Una delle fonti più chiare di informazione sulla notazione greca musicale è l’Introduzione alla
musica di Alipio che contiene le tavole illustrate delle 2 scritture musicali alfabetiche.
Per quando riguarda la ritmica sappiamo che la metrica ritmica coincideva con la ritmica testuale
delle poesie.
Il primo studioso di musica da un punto di vista teorico e tecnico, nonché il primo musicologo
dell'antichità viene considerato Aristosseno. I suoi studi individuarono alla base del sistema
musicale greco, il tetracordo, una successione di quattro suoni discendenti compresi nell'ambito di
un intervallo di quarta giusta. I suoi estremi erano fissi, quelli interni erano mobili.
L'ampiezza degli intervalli di un tetracordo caratterizzava i 3 generi della musica
greca: diatonico, cromatico, enarmonico.
Il tetracordo di genere diatonico era costituito da 2 intervalli di tono ed uno di semitono. Il
tetracordo di genere cromatico era costituito da un intervallo di terza minore e 2 intervalli di
semitono. Il tetracordo di genere enarmonico era costituito da un intervallo di terza maggiore e 2
micro-intervalli di un quarto di tono.
Nei tetracordi di genere diatonico la collocazione dell'unico semitono, distingueva i tre modi:
dorico, frigio e lidio. Il tetracordo dorico aveva il semitono al grave ed era di origine greca. Il
tetracordo frigio aveva il semitono al centro ed era di origine orientale, come il tetracordo lidio in
cui il semitono stava all'acuto.
I tetracordi erano, di solito, accoppiati a due a due; potevano essere disgiunti o congiunti. L'unione
di due tetracordi formava una harmonia. Lo Diazéusi era chiamato il punto di distacco fra due
tetracordi disgiunti; il sinafè, il punto in cui si univano due tetracordi congiunti.
Se nelle harmonìai si abbassava di un'ottava il tetracordo superiore, si ottenevano gli ipomodi
(ipodorico, ipofrigio, ipolidio), congiunti. Se ad una harmonia disgiunta si aggiungeva un tetracordo
congiunto all'acuto, un tetracordo congiunto al grave e sotto a quest'ultimo una nota
(proslambanòmenos), si otteneva il sistema tèleion (o sistema perfetto), che abbracciava
l'estensione di due ottave. Il teleion, fu elaborato nel IV secolo a.C. Il primo grande mutamento,
nell'epoca classica, è il passaggio dai nomoi ai modi corrispondenti. Già in Sofocle i nomoi sono
scomparsi.
Con Euripide vi è la comparsa, accanto al genere diatonico, di due nuovi generi: cromatico ed
enarmonico. In realtà quest'innovazione si deve a Timoteo di Mileto, protagonista della rivoluzione
musicale del V secolo, accompagnata dalla costruzione della lira con non più di sette o undici
corde, proprio per consentire l'uso delle alterazioni. Questi generi sono di derivazione orientale.
L'introduzione delle alterazioni apporta una sfumatura, una carica espressiva maggiore rispetto al
genere diatonico. Questa è la ragione per cui Euripide utilizzò i generi enarmonico e cromatico. La
sua tragedia aveva un'accentuazione espressiva delle passioni, esprimibile solo con i generi
cromatico ed enarmonico. Altre novità nelle tragedie di Euripide. I filosofi e gli intellettuali del
tempo, dinanzi alla rivoluzione del V secolo, si divisero, come fu desumibile dalla riflessioni
di Platone e Aristotele, entrambi filosofi del periodo classico.
La confusione tra armonia e tonos, che cominciò a farsi in quell’epoca è il segno della decadenza
della cultura musicale del periodo classico.
L’armonia indica la definizione della melopea, dell’idioma musicale attraverso le sue parti
caratteristiche (intervalli, intonazione, ecc)
Il tonos invece è un concetto teorico che consiste nel trasporto della scala del “Sistema perfetto”
sui diversi suoi gradi mediante rotazione progressiva.

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