1° limite) Innanzitutto abbiamo una coincidenza tra strategia e pianificazione strategica, si tende a farli
combaciare ma in modo errato. La pianificazione è un processo organizzativo, una procedura organizzativa
dei tempi di cosa fare e quando fare le varie attività (esiste un ufficio, o meglio il controller, che si occupa di
gestire il processo della pianificazione strategica, ha una visione ampia dell’azienda e deve definire gli input
utili per le decisione, quali attori coinvolgere in questo processo decisionale, definisce “l’agenda” sui temi
della strategia). Chi definisce la strategia però non è chi gestisce il processo! Il controller è colui che fa
consulenza ai manager, li aiuta a far si che possano definire una strategia, responsabilità del top
management.
Si tratta di una relazione che può essere biunivoca, è possibile prima definire la strategia da parte del top
management e successivamente il controller definisce un piano per metterla in pratica.
Sono concetti quindi molto distinti ma abbiamo il rischio che ciò che emerga dalla pianificazione venga
assunto come strategia. La pianificazione può essere mantenuta ferma per i successivi tre anni, per
esempio. Tuttavia la strategia in questo intervallo di tempo potrebbe cambiare Set informativo del piano
strategico che non si allinea con il dinamismo del contesto strategico.
2°) Secondo problema. La pianificazione finisce per diventare un tubo burocratico, le aziende pensano di
fare la strategia costituendo l’ufficio della pianificazione strategica, il quale però diventa un insieme di
rituale burocratici. Si creano due ambiti paralleli perché la pianificazione rimane confinata nell’ufficio senza
impattare sul lavoro degli altri manager. Rischia di diventare costosa e inutile.
Premessa: la pianificazione la vediamo strutturata nel tempo (ha differenti fasi). La prima fase è lo studio
dell’ambiente di contesto, analisi del settore industriale e dell’ambiente. Ad esempio si effettua un’analisi
PESTEL per l’ambiente. Ci sono altri framework come ad esempio Porter, modello delle 5 forze competitive
per il settore industriale.
Il primo obiettivo del controller è analizzare l’ambiente esterno e lo fa attraverso varie metodologie.
L’analisi competitiva è anche dal punto di vista interno (time consuming): ovvero si fa un’analisi delle
risorse che comprende l’analisi dei propri capitali inteso non solo come capitale finanziario (bilanci, che
rappresentano la manifestazione della condizione di eq. economico, finanziario, patrimoniale) ma come un
concetto più ampio:
- capitale umano (insieme di conoscenze, competenze e abilità delle persone il controller tende a
fare il cd bilancio delle competenze, ovvero una mappatura delle competenze delle persone. Si
tratta di un bilancio che presenta sempre “dare” e “avere” e si mettono in luce le skills possedute
ma anche ciò che le persone non hanno e che devono avere).
- Poi abbiamo il capitale relazionale: ovvero il ponte tra l’impresa e l’ambiente esterno, riguarda le
relazioni (partnership) tra l’impresa e i propri stakeholders. Quindi riguarda forme di cooperazione,
collaborazione che possono assumere strutture più o meno formali ma che hanno in comune
l’aspetto relazionale. Questo capitale diviene molto importante nelle relazioni di supply chain: in
termini di vantaggio competitivo vince l’impresa che riesce a stipulare accordi di fornitura
strategica, di fiducia.
Il capitale umano e razionale hanno in comune il fatto che siano intangibili: non ne vediamo i
risultati economici, mentre in realtà oltre a vedere il loro costo dovremmo vedere anche il loro
investimento (si investe sulle persone, investimento sul capitale intangibile).
- L’altra forma di capitale importante è quello organizzativo: talvolta si sente parlare di
“managerialità”, leadership dell’azienda, cultura aziendale, capacità di lavorare in gruppo, essere
una comunità di apprendimento. Si usano queste espressione per designare la qualità dell’impresa
di avere una buona leadership. Nel contesto italiano è poco risaltato, ovvero ci sono molte
mancanze nel tessuto imprenditoriale italiano. Questo capitale organizzativo è legato ad una
struttura organizzativa o un organigramma (responsabili ruoli, divisione del lavoro all’interno
dell’azienda) o funzionigramma ( entra nello specifico di ciascun ruolo dettando compiti specifici,
mansioni, attese di quel ruolo organizzativo. Troviamo le declinazioni dei compiti che il soggetto è
chiamato a svolgere) : ci restituiscono il livello di sviluppo organizzativo di un’azienda, poiché
tendono ad esplicitare il sistema di compiti, ruoli, responsabilità di individui all’interno dell’azienda
(chi fa qualcosa e chi ne ha la responsabilità).
Uno dei grandi problemi dell’azienda è quando i dipendenti vanno via, il capitale umano degli
individui non si traduce sempre in capitale organizzativo, proprio e tipico di quell’azienda (il
management deve cercare che invece sia così! Per non perderci una volta che il dipendente
abbandona il posto il lavoro).
Capitale intellettuale è quella forma di capitale che riunisce il capitale umane, relazionale e organizzativo.
Nel momento in cui si parla di analisi interna ci riferiamo all’analisi delle risorse e delle capacità
dell’impresa. L’insieme delle risorse sono quegli strumenti che servono all’impresa per essere
competitiva.
Quindi si tende a incrociare i risultati della PESTEL e di Porter con le capacità a livello di capitale. Questo
incrocio è il classico obiettivo della SWAT: opportunità e minacce, forze e debolezze
OPPORTUNITA' MINACCE
FORZE
DEBOLEZZE
Le riflessioni che emergono da questa analisi portano alla scelta della strategia L’analisi SWOT porta alla
scelta della strategia.
Le critiche riguardano l’automatismo dei processi di analisi e la scelta della strategia. Le critiche che si fa alle
aziende è che non è detto che con un’attenta analisi derivi una buona strategia. Dal momento che
l’analisi SWOT viene fatta dal controller, c’è il rischio che l’interpretazione sia soggettiva, c’è il rischio di
uno scollamento tra chi pianifica e chi effettivamente la deve mettere in pratica. È importante la capacità
delle persone per disegnare qualcosa di distintivo, cioè la leadership visionaria all’interno delle imprese,
ossia persone che pur avendo gli stessi dati riescono a immaginare un futuro diverso. Soggetti diversi, con
proprio background, pur partendo dalla stessa analisi arriverebbero a conclusioni diverse. È necessario che
ci siano persone che arrivino a immaginare un futuro diverso per via della loro capacità di lungimiranza e di
visione di sviluppo.
Una volta definita la strategia, si traduce in una pianificazione formale che dà origine a diversi livelli di
decisioni, con le quali si va ad impattare sull’attuale modo di essere azienda, andando a definire una nuova
lettura dell’ambiente. L’azienda rivede il proprio posizionamento inducendo un cambiamento dell’ambiente
e settore (A’’ e S’’), con un approccio trasformativo, l’azienda quindi non si limita a subire l’ambiente.
Una volta definita la strategia questa si traduce in decisioni e queste vanno a impattare sul posizionamento
dell’azienda e apportare determinate modifiche, o meglio rivoluzionare il settore in cui si opera.
A volte viene detto che la strategia è che sia fatta dalla pianificazione strategica, invece non è cosi, è fatta
dai manager!!
È possibile che si crei un processo autoreferenziale rispetto al lavoro del manager: scollamento tra l’ufficio
di pianificazione strategica e il management pensando che sia frutto di un lavoro condiviso quando in realtà
così non è La pianificazione strategica non è una strategia, servono i manager che intervengano.
5) Abbiamo altri limiti che hanno a che fare con gli strumenti di misurazione delle performance. Quelli
tradizionali sono orientati su ciò che è più facilmente misurabile, ovvero orientati ai risultati di breve
periodo. Abbiamo l’influenza dei bilanci aziendali che sono frutto di applicazioni di leggi che definiscono
come redigere i bilanci per scopi di comparazione con le altre aziende. Questo porta le aziende ad adottare
decisioni sul breve periodo (sbagliando).
6) Sbilanciamento verso l’efficienza a scapito di aspetti quali qualità, innovazione, tempestività, sostenibilità
ecc…
La contabilità direzionale è nata con il nome di contabilità industriale, divenuta poi “analitica” e “per la
direzione” e nasce per misurare e controllare i costi. Perché si sviluppa? Il motivo lo ritroviamo nel fatto che
vuole avere il presidio della dimensione di efficienza con una forte influenza dei bilanci. La formazione del
bilancio destinato a pubblicazione ha influenzato la contabilità industriale. Uno degli aspetti valutativi di
maggiore rilevanza nelle aziende industriali è la valorizzazione del magazzino. Il magazzino, infatti, consente
di far fronte agli ordini anche se dovesse esserci carenza di materie prime. Nel corso del tempo, molte
imprese hanno adottato il just in time. Dal punto di vista contabile, il magazzino richiedeva valutazioni
rilevanti ai fini di valorizzarlo in bilancio. In Italia, i magazzini vengono valorizzati al minore tra il costo di
produzione e valore di realizzo. Il costo di produzione è il costo pieno industriale che si calcola sia con costi
diretti che indiretti, per poterlo calcolare occorre la contabilità industriale, quindi essa si sviluppa
storicamente per valorizzare i magazzini.
Tuttavia ci sono dell’interdipendenze! Il costo industriale è legato al costo commerciale e cosi via. Questa
lettura non ci va vedere i processi che per definizione sono trasversali.
In ambito aziendale si abbiamo avuto lo sviluppo di tecnologie di ABC e ABM che hanno introdotto una
logica di processi che tende ad essere trasversale all’azienda. Si è passati quindi dalla verticalità
all’orizzontalità.
Questo istituto ha rilevato che le tradizionali misure economiche finanziarie sono troppo finanziarie a
scapito della crescente importanza degli asset intangibili nell’equazione del valore dell’impresa (è il caso del
costo del lavoro, che viene dedotto dai RV. In una logica tradizionale di orientamento alla performance
bisognerebbe ridurre i costi tra cui i costi del lavoro, ma se il lavoro lo vediamo come un asset, una risorsa
competitiva, dovremmo investire su questo!).
Alcune misure tradizionali sono irrilevanti rispetto ai processi decisionali. Esempio: un indice misura il ciclo
monetario che dipende dalla rotazione del magazzino. Un’azienda che fa lean production, con la logica del
just in time, non le servono nulla quegli indici e inoltre sono difficili da comprendere e comunicare per chi
non abbia un background aziendale-economico, problema sia dei destinatari delle informazioni e sia per
coloro che devono farlo comprendere.
Sono misure poco chiare riguardo il legame tra le operations e gli obiettivi strategici dell’impresa, le misure
economico finanziarie non parlano il linguaggio dei manager operativi. CFR Balance scored
Tutti i limiti sopra esposti hanno portato a mettere in discussione il budget. È nato un movimento contro il
budget, nasce da pochi anni (2003). Il problema non è il budget in quanto tale a non funzionare, ma i
comportamenti che esso determina.
1. Il budget viene dopo la pianificazione strategica (che detta gli obiettivi) mentre il budget alloca le
risorse per raggiungerli. Questa allocazione avviene in termini economico-finanziari.
2. La pianificazione riguarda l’azienda nel suo insieme, mentre il budget riguarda i singoli centri di
responsabilità economica, viene fatto per centri!
3. La pianificazione strategica guarda al lungo periodo (es tre anni), mentre il budget è uno strumento
di programmazione annuale ed è tanto più efficacie quanto più si sviluppa in modo infrannuale
(alcuni oggi sono mensili).
La logica che lega PS e budget è il ROLLING: pianificazione strategica e budget sono collegati in modo
dinamico.
Il primo anno di pianificazione strategica non corrisponde al primo anno di budget, quest’ultimo riguarda
l’arco infrannuale, ha un articolazione e livello di dettaglio molto maggiore.
A gennaio faccio gli scostamenti (obiettivi-risultati) e vado a vedere le cause, che portano un feedback che
va ad impattare sia sui risultati (sulla realizzazione) ma anche sugli obiettivi (significatività degli obiettivi non
sufficiente). Durante tutto l’anno di budget, mensilmente si fa un test degli scostamenti. Questo comporta il
fatto che nel corso dell’anno, grazie ad una profonda conoscenza di ciò che è stato fatto (learing by doing)
si ritorna a fare la pianificazione strategica. Alla luce di ciò, abbiamo avuto la possibilità di introdurre un
nuovo anno alla pianificazione strategica (rolling)
Tra questi due strumenti c’è uno stretto collegamento tale per cui il budget deriva dalla pianificazione ma
il budget porta a rivedere la pianificazione! Se questo non accade si presentano dei limiti:
il budget rimane ad un livello troppo astratto, di pianificazione strategica. Il budget deve riuscire ad
incidere sui comportamenti all’interno dell’organizzazione per essere efficace.
Manca il suo scopo se si comporta come un piano strategico senza andare in dettaglio
Non svolge la sua attività se serve solo per premi e punizioni perdendo di vista la sua natura di
meccanismo di apprendimentoquesto aspetto può causare una distorsione (induce una eccessiva
pressione e si perde il valore del budget come strumento di apprendimento) deve consentire di
valutare la propria performance in modo formativo (es sperimentare).
I due processi, definizione degli obiettivi e di allocazione delle risorse, nella misura in cui sono rigidi,
procedurali, rischiano di apparire come dei sistemi burocratici alimentando se stessi e non permettendo di
governare l’incertezza dei sistemi aziendali. Abbiamo bisogno che tali processi diventino DINAMICI e atti ad
assorbire l’INCERTEZZA del contesto in cui ci si muove.
Dall’altra parte abbiamo notiamo il fatto che, la formazione della strategia aziendale non si può vedere in
una logica sequenziale, un processo dall’alto verso il basso, ma deve essere visto in un modo dinamico.
Nasce l’esigenza di dare importanza anche alle strategie che si formano “giorno dopo giorno facendo”
pratica, proprio per effetto della complessità dobbiamo imparare learning by doing. È necessario che il
management porti alla luce questi aspetti.
Nel corso degli anni abbiamo assistito
ad una evoluzione del modello di
Anthony, in particolare abbiamo
assistito ad una fusione tra la direzione
strategica, direzionale e operativa.
Rispetto al modello di Anthony, il controllo direzionale esso stesso diventa strategico, non si ha più quella
netta distinzione tra pianificazione strategica, controllo direzionale e operativo. La questione fondamentale
diventa come possiamo incorporare la strategia nel controllo di gestione. Preso atto che questa divisione è
astratta, serve un sistema capace di incorporare la dimensione strategica, ovvero la definizione degli
obiettivi di fondo. In questa ottica abbiamo come supporto l’opera di Mintzberg.
Dal lato opposto, ci sono strategie che verranno realizzate, le quali sicuramente saranno in parte opera di
ciò che è emerso da un piano strategico ma in realtà sono frutto anche di ciò che emerge con il fare, non
solo le strategie deliberate quindi. Si tratta di azioni che emergono con il fare e che permettono di dare
risposta al cliente e di conseguenza possono andare a posizionare l’impresa ulteriormente. Si tratta di un
“flusso di azioni” che in modo coerente e ripetitivo prende forma attraverso la quotidianità aziendale.
Quando abbiamo più azioni coerenti e ripetitivi che puntano verso una precisa direzione prendono il nome
di strategie emergenti.
Alla luce di questi diversi concetti di strategia (che tendono a fondersi nella operatività aziendale, non
devono essere visti distinti!) ci porta a distinguere diverse forme di controllo:
A) CONTROLLO DELLA PERFORMANCE PIANIFICATA : posto alla fine della strategia deliberata, che
assume il significato di controllo della strategia pianificata e con la quale si controllano gli obiettivi
che sono stati definiti dal piano strategico. Si controlla se gli obiettivi strategici deliberati da un
piano siano stati o meno realizzati. Forma più tradizionale di controllo. È una forma di controllo
strategico
B) CONTROLLO DELL’IMPLEMENTAZIONE: posto alla fine dello schema, è una forma di controllo
dell’implementazione. Ha una freccia di ritorno poiché riguarda sia la strategia deliberata che
intenzionale.
C) CONTROLLO DELLA REALIZZAZIONE: forma di controllo posta alla fine delle strategie emergenti. Il
management aziendale deve ideare dei sistemi di controllo capaci di controllare e monitorare, non
solo ciò che è stato deliberato, ma anche ciò che emerge con il learning by doing. Questo controllo
lo dobbiamo intende come dei sensori accesi sull’operatività dell’azienda per portare alla luce
questo flusso e valutarne la performance e l’efficacia. Si tratta di controllare ciò che non era stato
pianificato. Se era stato pianificato qualcosa abbiamo un punto di riferimento, mentre in questo
caso non abbiamo un punto di riferimento con cui confrontarci. L’idea è di “gettare” dei sensori sul
campo, affinché possano dare dei segnali deboli e generare un controllo interattivo, tipico del
controllo di tipo C (in contrapposizione a quello definito DIAGNOSTICO, di tipo A).
Controllo interattivo
D) CONTROLLO DELLA PERFORMANCE STRATEGICA: forma di controllo più integrata perché integra sia
il controllo della strategia intenzionale, deliberati, emergenti! Quando parliamo di controllare la
performance in una prospettiva strategica, non ci riferiamo solamente a controllare la realizzazione
degli obiettivi del piano, ma ci preoccupiamo di vedere se ciò che è stato fatto ha prodotto valore,
al di là che sia stato pianificato o meno.
Quindi:
• Strategie deliberate: sono i piani che i manager tentano di implementare in uno specifico mercato
sulla base di un’analisi delle dinamiche competitive e delle capacità correnti
• Controllo dell’implementazione
• Strategie realizzate: rappresentano l’esito di ambedue i flussi, ossia ciò che effettivamente avviene;
sono la combinazione delle strategie pianificate che sono state effettivamente implementate e
delle strategie emergenti non pianificate che si sono manifestate spontaneamente
Controllo della performance strategica
Robert Simons:
Le routine e le procedure formali basate sulle informazioni che i manager utilizzano per mantenere o
modificare le modalità di comportamento dell’organizzazione nello svolgimento delle attività
Simons (1995) ha proposto il framework delle leve di controllo (LOC) come strumento per l'attuazione e il
controllo delle strategie di business. Secondo Simons, quattro concetti chiave sono collegati alle LOC:
• I valori fondamentali,
• I rischi da evitare,
• Le incertezze strategiche
Ognuno di questi è direttamente controllato da un particolare sistema o, come designato da Simons, una
LOC
Punto di partenza del framework: la ricerca continua ad ignorare l’interdipendenza tra i differenti sistemi di
controllo che si svolgono nella medesima azienda e nello stesso tempo.
Ferreria e Otley preferiscono utilizzare il concetto di PMS per intendere un approccio differente da quello di
Anthony. Si parla di approccio olistico e si fa riferimento alla volontà di fondere i tre sistemi di
pianificazione e controllo.
Le diverse strategie aziendali sono a differenti livelli: a un livello di corporate, a livello di singole business
unit, a livello di funzioni aziendali. Ripartizione a tre livelli delle strategie.
CORPORATE:
- Internazionalizzazione
- Diversificazione
- Integrazione che sottende l’integrazione VERTICALE e ORIZZONTALE.
BUSINESS UNIT (cfr Porter)
- Differenziazione
- Leadership di costo
- Di nicchia o focalizzazione
FUNZIONI AZIENDALI (ambiti di conoscenza specialistica nei quali vengono svolte le attività di
creazione di valore cfr. catena del valore mirato al cliente)
- Ricerca e sviluppo (crea valore diretto per il cliente, l’idea di un prodotto o servizio è quella di
soddisfare le esigenze del cliente)
- Engineering e progettazione di processi, prodotti o servizi
- Produzione intesa come il manufacturing
- Marketing
- Distribuzione
- Assistenza post-vendita
Si tratta di attività che l’impresa mira a realizzare per soddisfare le esigenze attraverso il concept dei servizi,
progettazione dell’idea, creazione del prototipo, considerazione delle leve di marketing e le varie attività a
diretto contatto come la distribuzione e l’assistenza.
Le strutture organizzative negli anni si sono adattate con riferimento alle strutture di corporate.
1. Se un’impresa persegue una STRATEGIA DI INTEGRAZIONE verticale o orizzontale, qual è la tipica
struttura o assetto organizzativo dell’impresa? STRUTTURA ORGANIZZATIVA FUNZIONALE
DEF. integrazione verticale: tenere tutte le attività sotto il controllo dell’impresa. Una strategia che si basa,
non sull’outsourcing, ma sul controllo di tutte le attività che riguardano la catena del valore. La strategia di
esternalizzazione prevede che l’impresa si concentri sul disegno dei processi e dei prodotti, si concentrano
sul concept del prodotto, gestiscono il marketing e presidiano il servizio al cliente. La fase di realizzazione
del prodotto e di distribuzione sono nella maggior parte nei casi esternalizzate.
Un concetto essenziale quando si parla di strategie di integrazione è la SCELTA MAKE OR BUY: riguarda la
produzione del prodotto. La teoria dei costi di transazione si basa sull’idea che il governo delle transazioni
economiche può vedere tre diversi meccanismi all’opera:
- Make
- Buy
- Controllare le attività utilizzando alleanze strategiche, partnership, join venture, consorzi ecc:
accordi
Come effettuo la scelta? Dipende da quanto il mercato sia sviluppato rispetto quel determinato bene o
servizio
- laddove esistano mercati che tendano alla concorrenza perfetta, in cui ci sono tanti fornitori e
acquirenti, prodotti omogenei –> ci si rivolge al mercato, si predilige il “buy” perché è più efficiente
- A volte ci sono situazioni che presentano delle transazioni specifiche (il cliente ha delle richieste
che sono personalizzate), quindi servirebbe un investimento specifico che l’impresa dovrebbe fare
perché non trova sul mercato ciò che cerca.
- A volte è necessario che l’impresa instauri una relazione con il fornitore per via dei prezzi che ha
bisogno siano stabili, risorse scarse, ecc
- Un altro aspetto è l’opportunismo
dell’individuo: nelle relazioni
economiche conta l’affidabilità
dell’individuo.
PRO:
- Middle management: ufficiali di collegamento (tra i capi della funzione e la base operativa): da un
lato traduce le indicazioni che vengono dal top management in comandi e controllo per la base
operativa; dall’altro lato sono dei “sensori” sul campo che permettono di captare determinate
attività che provengono dal basso e farli arrivare al top management
- Chiara identificazione dei ruoli, compiti, responsabilità
- La maggiore specializzazione si traduce in bassi costi di produzione sia in termini di costi fissi (
determina centralizzazione di alcune funzioni e determina economie di scala, la stessa funzione
svolge la stessa attività e abbiamo un maggiore assorbimento dei costi, diminuisce il costo fisso
unitario aziendale) che in termini di costi variabili ( abbiamo economie di esperienze, la
specializzazione permette alle persone di svolgere un lavoro ripetitivo quindi diventano più
efficienti mettendoci meno tempo, meno costi variabili unitari)
CONTRO:
Serve una struttura differente rispetto quella precedente, serve una struttura multi divisionale. Al di sotto
del CEO e dello STAFF avremo delle divisioni e di nuovo si ripresenta la struttura funzionale. Questo tipo di
struttura organizzativa multi divisionale può esser più o meno spinta: sarà spinta quando le divisioni
nell’impresa hanno molta autonomia e corrispondono ad un centro di responsabilità di investimento che
porta una responsabilità di ROI, questo accade quando sono talmente autonome da decidere sia gli
investimenti che i fattori che determinano il risultato operativo. Si dice anche struttura “impura” poiché
dentro le divisioni non troviamo tutte le stesse funzioni, alcune funzioni (come per esempio il marketing, o
la logistica) possono essere traslate allo STAFF. Questo poiché si tendono a mettere in comune risorse a
tutti i business creando economie di scale e allo stesso tempo coniugando l’orientamento strategico al
mercato dell’impresa (i costi si tengono più bassi perché abbiamo per più prodotti lo stesso ufficio che si
occupa della medesima funzione, es. del marketing).
L’idea che sta dietro a questo concetto è che la struttura segue la strategia. Simon afferma che in realtà
accade anche il contrario: ovvero a seconda della struttura che hai designato crei una precisa strategia.
Trade off importante per comprendere l’evoluzione delle strategie aziendali. Simon afferma che quando
disegniamo la struttura organizzativa funzionale non possiamo limitarci a immaginare che deve
implementare una strategia di integrazione verticale, ma al suo interno dobbiamo creare meccanismi che
permettono di mettere in discussione la strategia per cambiarla a seconda del contesto.
Quindi prima tensione: la struttura deve servire non solo per implementare una strategia ma per sviluppare
nuove idee, elaborare nuove strategie.
È possibile che un sistema di accountability, ovvero il fatto di misurare la performance con i risultati di
breve periodo, faccia perdere di vista gli obiettivi generali avendo come riferimento appunto solo degli
obiettivi specifici di breve periodo. Quindi bisogna riuscire a tenere insieme i vari orientamenti: di breve e
lungo periodo senza rinunciare alla possibilità di sperimentare e fare innovazione. Bisogna cercare di
catturare i risultati di breve con quelli di lungo periodo.
Nell’ambito delle imprese le balance scored, hanno questo scopo: ovvero catturare la performance di breve
e lungo periodo. L’Economic Value Addued cerca di risolvere i problemi delle misure contabili che per loro
natura sono orientate al breve periodo, non tengono conto del rischio di impresa generale e quindi non
tengono conto dell’adeguata remunerazione che dovrebbe essere garantita agli investitori.
Nel momento in cui responsabilizziamo un direttore commerciale sul risultato industriale, ci stiamo
spostando verso destra. Il perseguimento del risultato non dipende solo da quello che fa lui, bisogna
regolare l’ampiezza di influenza su cui deve agire.
L’altra domanda conseguente, è “quanto supporto posso ricevere quando mi rivolgo agli altri per chiedere
aiuto?” Quanto supporto aspettarci. Cursore tra competizione e cooperazione. Abbiamo la necessità di
disegnare un modello organizzativo che crei un sistema favorevole a supportare gli altri (a seconda di come
vorremo posizionarci).