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Contro dei sistemi di pianificazione e controllo tradizionali

1° limite) Innanzitutto abbiamo una coincidenza tra strategia e pianificazione strategica, si tende a farli
combaciare ma in modo errato. La pianificazione è un processo organizzativo, una procedura organizzativa
dei tempi di cosa fare e quando fare le varie attività (esiste un ufficio, o meglio il controller, che si occupa di
gestire il processo della pianificazione strategica, ha una visione ampia dell’azienda e deve definire gli input
utili per le decisione, quali attori coinvolgere in questo processo decisionale, definisce “l’agenda” sui temi
della strategia). Chi definisce la strategia però non è chi gestisce il processo! Il controller è colui che fa
consulenza ai manager, li aiuta a far si che possano definire una strategia, responsabilità del top
management.

Si tratta di una relazione che può essere biunivoca, è possibile prima definire la strategia da parte del top
management e successivamente il controller definisce un piano per metterla in pratica.

Sono concetti quindi molto distinti ma abbiamo il rischio che ciò che emerga dalla pianificazione venga
assunto come strategia. La pianificazione può essere mantenuta ferma per i successivi tre anni, per
esempio. Tuttavia la strategia in questo intervallo di tempo potrebbe cambiare  Set informativo del piano
strategico che non si allinea con il dinamismo del contesto strategico.

2°) Secondo problema. La pianificazione finisce per diventare un tubo burocratico, le aziende pensano di
fare la strategia costituendo l’ufficio della pianificazione strategica, il quale però diventa un insieme di
rituale burocratici. Si creano due ambiti paralleli perché la pianificazione rimane confinata nell’ufficio senza
impattare sul lavoro degli altri manager. Rischia di diventare costosa e inutile.
Premessa: la pianificazione la vediamo strutturata nel tempo (ha differenti fasi). La prima fase è lo studio
dell’ambiente di contesto, analisi del settore industriale e dell’ambiente. Ad esempio si effettua un’analisi
PESTEL per l’ambiente. Ci sono altri framework come ad esempio Porter, modello delle 5 forze competitive
per il settore industriale.

Il primo obiettivo del controller è analizzare l’ambiente esterno e lo fa attraverso varie metodologie.

L’analisi competitiva è anche dal punto di vista interno (time consuming): ovvero si fa un’analisi delle
risorse che comprende l’analisi dei propri capitali inteso non solo come capitale finanziario (bilanci, che
rappresentano la manifestazione della condizione di eq. economico, finanziario, patrimoniale) ma come un
concetto più ampio:

- capitale umano (insieme di conoscenze, competenze e abilità delle persone  il controller tende a
fare il cd bilancio delle competenze, ovvero una mappatura delle competenze delle persone. Si
tratta di un bilancio che presenta sempre “dare” e “avere” e si mettono in luce le skills possedute
ma anche ciò che le persone non hanno e che devono avere).
- Poi abbiamo il capitale relazionale: ovvero il ponte tra l’impresa e l’ambiente esterno, riguarda le
relazioni (partnership) tra l’impresa e i propri stakeholders. Quindi riguarda forme di cooperazione,
collaborazione che possono assumere strutture più o meno formali ma che hanno in comune
l’aspetto relazionale. Questo capitale diviene molto importante nelle relazioni di supply chain: in
termini di vantaggio competitivo vince l’impresa che riesce a stipulare accordi di fornitura
strategica, di fiducia.
Il capitale umano e razionale hanno in comune il fatto che siano intangibili: non ne vediamo i
risultati economici, mentre in realtà oltre a vedere il loro costo dovremmo vedere anche il loro
investimento (si investe sulle persone, investimento sul capitale intangibile).
- L’altra forma di capitale importante è quello organizzativo: talvolta si sente parlare di
“managerialità”, leadership dell’azienda, cultura aziendale, capacità di lavorare in gruppo, essere
una comunità di apprendimento. Si usano queste espressione per designare la qualità dell’impresa
di avere una buona leadership. Nel contesto italiano è poco risaltato, ovvero ci sono molte
mancanze nel tessuto imprenditoriale italiano. Questo capitale organizzativo è legato ad una
struttura organizzativa o un organigramma (responsabili ruoli, divisione del lavoro all’interno
dell’azienda) o funzionigramma ( entra nello specifico di ciascun ruolo dettando compiti specifici,
mansioni, attese di quel ruolo organizzativo. Troviamo le declinazioni dei compiti che il soggetto è
chiamato a svolgere) : ci restituiscono il livello di sviluppo organizzativo di un’azienda, poiché
tendono ad esplicitare il sistema di compiti, ruoli, responsabilità di individui all’interno dell’azienda
(chi fa qualcosa e chi ne ha la responsabilità).
Uno dei grandi problemi dell’azienda è quando i dipendenti vanno via, il capitale umano degli
individui non si traduce sempre in capitale organizzativo, proprio e tipico di quell’azienda (il
management deve cercare che invece sia così! Per non perderci una volta che il dipendente
abbandona il posto il lavoro).

Capitale intellettuale è quella forma di capitale che riunisce il capitale umane, relazionale e organizzativo.

La chiarezza dei ruoli e compiti ci permette di verificare i centri di responsabilità economica.

Nel momento in cui si parla di analisi interna ci riferiamo all’analisi delle risorse e delle capacità
dell’impresa. L’insieme delle risorse sono quegli strumenti che servono all’impresa per essere
competitiva.

Quindi si tende a incrociare i risultati della PESTEL e di Porter con le capacità a livello di capitale. Questo
incrocio è il classico obiettivo della SWAT: opportunità e minacce, forze e debolezze

Es. analisi SWAT in relazione al Covid:

OPPORTUNITA' MINACCE

FORZE

DEBOLEZZE

Le riflessioni che emergono da questa analisi portano alla scelta della strategia  L’analisi SWOT porta alla
scelta della strategia.

Le critiche riguardano l’automatismo dei processi di analisi e la scelta della strategia. Le critiche che si fa alle
aziende è che non è detto che con un’attenta analisi derivi una buona strategia. Dal momento che
l’analisi SWOT viene fatta dal controller, c’è il rischio che l’interpretazione sia soggettiva, c’è il rischio di
uno scollamento tra chi pianifica e chi effettivamente la deve mettere in pratica. È importante la capacità
delle persone per disegnare qualcosa di distintivo, cioè la leadership visionaria all’interno delle imprese,
ossia persone che pur avendo gli stessi dati riescono a immaginare un futuro diverso. Soggetti diversi, con
proprio background, pur partendo dalla stessa analisi arriverebbero a conclusioni diverse. È necessario che
ci siano persone che arrivino a immaginare un futuro diverso per via della loro capacità di lungimiranza e di
visione di sviluppo.

Una volta definita la strategia, si traduce in una pianificazione formale che dà origine a diversi livelli di
decisioni, con le quali si va ad impattare sull’attuale modo di essere azienda, andando a definire una nuova
lettura dell’ambiente. L’azienda rivede il proprio posizionamento inducendo un cambiamento dell’ambiente
e settore (A’’ e S’’), con un approccio trasformativo, l’azienda quindi non si limita a subire l’ambiente. 
Una volta definita la strategia questa si traduce in decisioni e queste vanno a impattare sul posizionamento
dell’azienda e apportare determinate modifiche, o meglio rivoluzionare il settore in cui si opera.

A volte viene detto che la strategia è che sia fatta dalla pianificazione strategica, invece non è cosi, è fatta
dai manager!!

È possibile che si crei un processo autoreferenziale rispetto al lavoro del manager: scollamento tra l’ufficio
di pianificazione strategica e il management pensando che sia frutto di un lavoro condiviso quando in realtà
così non è  La pianificazione strategica non è una strategia, servono i manager che intervengano.

3° limite: Continuità dei processi di formulazione e implementazione


4° limite: L’altra critica è che è astratto dividere la formulazione dalla implementazione. Nella vita delle
aziende, si crea un gap tra strategia deliberata e realizzata. Nella logica di Anthony abbiamo una
separazione tra chi formula e chi implementa le strategie, in realtà non è cosi. In molte aziende abbiamo un
gap in cui molte aziende sviluppano strategie senza che siano state formulate da qualcuno, sono frutto di
un processo di botton up, si formano attraverso un processo di learning by doing. La critica che si fa è che:
non è detto che quelle strategie vincenti siano quelle fatte a tavolino, ma possono essere anche quelle che
si sviluppano con la pratica, il tempo e il commettere errori, sperimentare, provarci, ecc i sistemi
tradizionali affermano che la strategia deve essere deliberata quando invece anche le strategie botton up
sono valide. Negli anni ’80, il total quality management ha portato a un ripensamento portando l’attività
decisionale dall’ultimo piano al piano terra  stare vicino ai dipendenti può portare nuove idee, questo è
un approccio bottom up.
Le buone idee infatti possono risiedere ovunque (non solo al top management)  “strategia emergente
con il fare”

5) Abbiamo altri limiti che hanno a che fare con gli strumenti di misurazione delle performance. Quelli
tradizionali sono orientati su ciò che è più facilmente misurabile, ovvero orientati ai risultati di breve
periodo. Abbiamo l’influenza dei bilanci aziendali che sono frutto di applicazioni di leggi che definiscono
come redigere i bilanci per scopi di comparazione con le altre aziende. Questo porta le aziende ad adottare
decisioni sul breve periodo (sbagliando).

6) Sbilanciamento verso l’efficienza a scapito di aspetti quali qualità, innovazione, tempestività, sostenibilità
ecc…

La contabilità direzionale è nata con il nome di contabilità industriale, divenuta poi “analitica” e “per la
direzione” e nasce per misurare e controllare i costi. Perché si sviluppa? Il motivo lo ritroviamo nel fatto che
vuole avere il presidio della dimensione di efficienza con una forte influenza dei bilanci. La formazione del
bilancio destinato a pubblicazione ha influenzato la contabilità industriale. Uno degli aspetti valutativi di
maggiore rilevanza nelle aziende industriali è la valorizzazione del magazzino. Il magazzino, infatti, consente
di far fronte agli ordini anche se dovesse esserci carenza di materie prime. Nel corso del tempo, molte
imprese hanno adottato il just in time. Dal punto di vista contabile, il magazzino richiedeva valutazioni
rilevanti ai fini di valorizzarlo in bilancio. In Italia, i magazzini vengono valorizzati al minore tra il costo di
produzione e valore di realizzo. Il costo di produzione è il costo pieno industriale che si calcola sia con costi
diretti che indiretti, per poterlo calcolare occorre la contabilità industriale, quindi essa si sviluppa
storicamente per valorizzare i magazzini.

La dimensione qualità tuttavia negli strumenti tradizionali non c’era!


7) Altro limite è l’orientamento verticale vs orizzontale: ovvero abbiamo una lettura dell’azienda su aree
funzionali secondo una logica gerarchica. Ci sono per esempio funzioni che rientrano nell’ambito dell’
“amministrazione generale”. Questa lettura verticale la ritroviamo nel CE della contabilità industriale: parte
dai ricavi di vendita, toglie i costi industriali (risultato industriale), commerciali (risultato industriale
commerciale), toglie i costi amministrativi e generali e si ottiene il risultato operativo. Questo CE è frutto di
una visione verticale dell’azienda in base alla quale l’azienda è vista come un’organizzazione divisa per
queste aree.

Tuttavia ci sono dell’interdipendenze! Il costo industriale è legato al costo commerciale e cosi via. Questa
lettura non ci va vedere i processi che per definizione sono trasversali.

In ambito aziendale si abbiamo avuto lo sviluppo di tecnologie di ABC e ABM che hanno introdotto una
logica di processi che tende ad essere trasversale all’azienda. Si è passati quindi dalla verticalità
all’orizzontalità.

8) Netta separazione tra forme di controllo e attori di controllo (piramide di Anthony)

Questo istituto ha rilevato che le tradizionali misure economiche finanziarie sono troppo finanziarie a
scapito della crescente importanza degli asset intangibili nell’equazione del valore dell’impresa (è il caso del
costo del lavoro, che viene dedotto dai RV. In una logica tradizionale di orientamento alla performance
bisognerebbe ridurre i costi tra cui i costi del lavoro, ma se il lavoro lo vediamo come un asset, una risorsa
competitiva, dovremmo investire su questo!).

Alcune misure tradizionali sono irrilevanti rispetto ai processi decisionali. Esempio: un indice misura il ciclo
monetario che dipende dalla rotazione del magazzino. Un’azienda che fa lean production, con la logica del
just in time, non le servono nulla quegli indici e inoltre sono difficili da comprendere e comunicare per chi
non abbia un background aziendale-economico, problema sia dei destinatari delle informazioni e sia per
coloro che devono farlo comprendere.

Sono misure poco chiare riguardo il legame tra le operations e gli obiettivi strategici dell’impresa, le misure
economico finanziarie non parlano il linguaggio dei manager operativi. CFR Balance scored

Non orientati al cliente: hanno un indicatore fondamentale, i ricavi di vendita (prezzo*quantità). Se


aumentano i volumi ci aspettiamo che i clienti sono soddisfatti, se vendiamo a un prezzo alto ci aspettiamo
che i clienti siano disposti a pagare di più. E cosi via. Questo collegamento potrebbe rivelarsi un falso,
ovvero nel breve periodo i ricavi crescono ma i clienti siano insoddisfatti. Dobbiamo leggere la CAUSA, non
l’effetto: quindi catturare i fattori guida come la fidelizzazione del cliente

I ricavi sono un indicatore ritardato, rischiamo di leggere il passato.

Tutti i limiti sopra esposti hanno portato a mettere in discussione il budget. È nato un movimento contro il
budget, nasce da pochi anni (2003). Il problema non è il budget in quanto tale a non funzionare, ma i
comportamenti che esso determina.

Originariamente, il budget deriva dal francese, era un documento di programmazione economico-


finanziario.

Differenze tra budget e pianificazione strategica:

1. Il budget viene dopo la pianificazione strategica (che detta gli obiettivi) mentre il budget alloca le
risorse per raggiungerli. Questa allocazione avviene in termini economico-finanziari.
2. La pianificazione riguarda l’azienda nel suo insieme, mentre il budget riguarda i singoli centri di
responsabilità economica, viene fatto per centri!
3. La pianificazione strategica guarda al lungo periodo (es tre anni), mentre il budget è uno strumento
di programmazione annuale ed è tanto più efficacie quanto più si sviluppa in modo infrannuale
(alcuni oggi sono mensili).

La logica che lega PS e budget è il ROLLING: pianificazione strategica e budget sono collegati in modo
dinamico.

Il primo anno di pianificazione strategica non corrisponde al primo anno di budget, quest’ultimo riguarda
l’arco infrannuale, ha un articolazione e livello di dettaglio molto maggiore.

A gennaio faccio gli scostamenti (obiettivi-risultati) e vado a vedere le cause, che portano un feedback che
va ad impattare sia sui risultati (sulla realizzazione) ma anche sugli obiettivi (significatività degli obiettivi non
sufficiente). Durante tutto l’anno di budget, mensilmente si fa un test degli scostamenti. Questo comporta il
fatto che nel corso dell’anno, grazie ad una profonda conoscenza di ciò che è stato fatto (learing by doing)
si ritorna a fare la pianificazione strategica. Alla luce di ciò, abbiamo avuto la possibilità di introdurre un
nuovo anno alla pianificazione strategica (rolling)
Tra questi due strumenti c’è uno stretto collegamento tale per cui il budget deriva dalla pianificazione ma
il budget porta a rivedere la pianificazione! Se questo non accade si presentano dei limiti:

 il budget rimane ad un livello troppo astratto, di pianificazione strategica. Il budget deve riuscire ad
incidere sui comportamenti all’interno dell’organizzazione per essere efficace.
 Manca il suo scopo se si comporta come un piano strategico senza andare in dettaglio
 Non svolge la sua attività se serve solo per premi e punizioni perdendo di vista la sua natura di
meccanismo di apprendimentoquesto aspetto può causare una distorsione (induce una eccessiva
pressione e si perde il valore del budget come strumento di apprendimento) deve consentire di
valutare la propria performance in modo formativo (es sperimentare).

La complessità, cui facciamo


riferimento, talvolta viene intesa anche
come variabilità e varietà. La variabilità
è un concetto che ritroviamo spesso
nella vita di un’impresa, si pensi al ciclo
di vita di un prodotto, all’ampiezza dei
servizi disponibili grazie all’innovazione
tecnologica, alla flessibilità dei servizi
offerti favorita dalla nascita e dallo
sviluppo della meccatronica. Questo ha
permesso di assorbire una elevata
variabilità e varietà in modo tale da soddisfare quasi ogni singola richiesta dei clienti. Questo ha consentito
di leggere in maniera attenta i bisogni delle persone a costi convenienti grazie alle nuove tecnologie.

I due processi, definizione degli obiettivi e di allocazione delle risorse, nella misura in cui sono rigidi,
procedurali, rischiano di apparire come dei sistemi burocratici alimentando se stessi e non permettendo di
governare l’incertezza dei sistemi aziendali. Abbiamo bisogno che tali processi diventino DINAMICI e atti ad
assorbire l’INCERTEZZA del contesto in cui ci si muove.

Dall’altra parte abbiamo notiamo il fatto che, la formazione della strategia aziendale non si può vedere in
una logica sequenziale, un processo dall’alto verso il basso, ma deve essere visto in un modo dinamico.
Nasce l’esigenza di dare importanza anche alle strategie che si formano “giorno dopo giorno facendo”
pratica, proprio per effetto della complessità dobbiamo imparare learning by doing. È necessario che il
management porti alla luce questi aspetti.
Nel corso degli anni abbiamo assistito
ad una evoluzione del modello di
Anthony, in particolare abbiamo
assistito ad una fusione tra la direzione
strategica, direzionale e operativa.
Rispetto al modello di Anthony, il controllo direzionale esso stesso diventa strategico, non si ha più quella
netta distinzione tra pianificazione strategica, controllo direzionale e operativo. La questione fondamentale
diventa come possiamo incorporare la strategia nel controllo di gestione. Preso atto che questa divisione è
astratta, serve un sistema capace di incorporare la dimensione strategica, ovvero la definizione degli
obiettivi di fondo. In questa ottica abbiamo come supporto l’opera di Mintzberg.

Mintzberg parte dall’assunto che


esistano diverse forme di strategie e di
conseguenza si hanno diverse forme di
controllo. Tutto deve essere visto in
modo integrato: strategie e controllo

1. Abbiamo la strategia deliberata


(scritta in un piano industriale)
che è una parte di strategia
intenzionale, ovvero voluta
intenzionalmente, che trova
espressione e formalizzazione
nella pianificazione strategica.
Ci possono essere strategie
intenzionali che tuttavia non
trovano formulazione nel piano
strategico e finiscono per essere delle strategie non deliberate.

Dal lato opposto, ci sono strategie che verranno realizzate, le quali sicuramente saranno in parte opera di
ciò che è emerso da un piano strategico ma in realtà sono frutto anche di ciò che emerge con il fare, non
solo le strategie deliberate quindi. Si tratta di azioni che emergono con il fare e che permettono di dare
risposta al cliente e di conseguenza possono andare a posizionare l’impresa ulteriormente. Si tratta di un
“flusso di azioni” che in modo coerente e ripetitivo prende forma attraverso la quotidianità aziendale.
Quando abbiamo più azioni coerenti e ripetitivi che puntano verso una precisa direzione prendono il nome
di strategie emergenti.

Alla luce di questi diversi concetti di strategia (che tendono a fondersi nella operatività aziendale, non
devono essere visti distinti!) ci porta a distinguere diverse forme di controllo:

A) CONTROLLO DELLA PERFORMANCE PIANIFICATA : posto alla fine della strategia deliberata, che
assume il significato di controllo della strategia pianificata e con la quale si controllano gli obiettivi
che sono stati definiti dal piano strategico. Si controlla se gli obiettivi strategici deliberati da un
piano siano stati o meno realizzati. Forma più tradizionale di controllo. È una forma di controllo
strategico
B) CONTROLLO DELL’IMPLEMENTAZIONE: posto alla fine dello schema, è una forma di controllo
dell’implementazione. Ha una freccia di ritorno poiché riguarda sia la strategia deliberata che
intenzionale.
C) CONTROLLO DELLA REALIZZAZIONE: forma di controllo posta alla fine delle strategie emergenti. Il
management aziendale deve ideare dei sistemi di controllo capaci di controllare e monitorare, non
solo ciò che è stato deliberato, ma anche ciò che emerge con il learning by doing. Questo controllo
lo dobbiamo intende come dei sensori accesi sull’operatività dell’azienda per portare alla luce
questo flusso e valutarne la performance e l’efficacia. Si tratta di controllare ciò che non era stato
pianificato. Se era stato pianificato qualcosa abbiamo un punto di riferimento, mentre in questo
caso non abbiamo un punto di riferimento con cui confrontarci. L’idea è di “gettare” dei sensori sul
campo, affinché possano dare dei segnali deboli e generare un controllo interattivo, tipico del
controllo di tipo C (in contrapposizione a quello definito DIAGNOSTICO, di tipo A).

Controllo interattivo

• Le incertezze strategiche sono le


minacce o le opportunità emergenti – nel
sistema competitivo e sociale esterno e nelle
risorse interne - in grado di invalidare le
ipotesi su cui si basa l’attuale strategia di
business
• Come fanno le aziende a focalizzare
l’attenzione organizzativa sui segnali deboli?
• Come fanno i manager a venire a conoscenza di incertezze strategiche?
Un sistema di controllo interattivo comprende un sistema informativo di cui un manager si serve
regolarmente per coinvolgersi ed intervenire personalmente nelle decisioni dei subordinati
I sistemi di controllo interattivo sono i sensori attivati dai senior manager, puntati sulle
informazioni cui essi prestano costante attenzione e che discutono continuamente con i
subordinati
Non si tratta di confrontare obiettivi e risultati, analizzare le cause delle varianze e distribuire premi
e punizioni…
Ora lo scopo del controllo è essenzialmente “formativo”, legato alla necessità di apprendere
attraverso il confronto e il coinvolgimento diretto

D) CONTROLLO DELLA PERFORMANCE STRATEGICA: forma di controllo più integrata perché integra sia
il controllo della strategia intenzionale, deliberati, emergenti! Quando parliamo di controllare la
performance in una prospettiva strategica, non ci riferiamo solamente a controllare la realizzazione
degli obiettivi del piano, ma ci preoccupiamo di vedere se ciò che è stato fatto ha prodotto valore,
al di là che sia stato pianificato o meno.

Quindi:

• Strategie deliberate: sono i piani che i manager tentano di implementare in uno specifico mercato
sulla base di un’analisi delle dinamiche competitive e delle capacità correnti

• Controllo dell’implementazione

• Strategie emergenti: sono le strategie che emergono spontaneamente all’interno


dell’organizzazione quando qualcuno reagisce spontaneamente a minacce e opportunità
imprevedibili attraverso la sperimentazione e il processo di prova ed errore

• Controllo della realizzazione

• Strategie realizzate: rappresentano l’esito di ambedue i flussi, ossia ciò che effettivamente avviene;
sono la combinazione delle strategie pianificate che sono state effettivamente implementate e
delle strategie emergenti non pianificate che si sono manifestate spontaneamente
Controllo della performance strategica

La discussione relativa ai sistemi direzionali


ha determinato uno slittamento
terminologico da “controllo direzionale” a
PMS (vedi articolo 1.)

Robert Simons:

Le routine e le procedure formali basate sulle informazioni che i manager utilizzano per mantenere o
modificare le modalità di comportamento dell’organizzazione nello svolgimento delle attività

Simons (1995) ha proposto il framework delle leve di controllo (LOC) come strumento per l'attuazione e il
controllo delle strategie di business. Secondo Simons, quattro concetti chiave sono collegati alle LOC:

• I valori fondamentali,

• I rischi da evitare,

• Le variabili critiche di performance

• Le incertezze strategiche

Ognuno di questi è direttamente controllato da un particolare sistema o, come designato da Simons, una
LOC

Ogni leva di controllo è anche collegata ad un particolare concetto di strategia

Punto di partenza del framework: la ricerca continua ad ignorare l’interdipendenza tra i differenti sistemi di
controllo che si svolgono nella medesima azienda e nello stesso tempo.

Ferreria e Otley preferiscono utilizzare il concetto di PMS per intendere un approccio differente da quello di
Anthony. Si parla di approccio olistico e si fa riferimento alla volontà di fondere i tre sistemi di
pianificazione e controllo.

varIl primo framework che utilizziamo è quello di Simons.

TENSIONS OD ORGANIZATION DESIGN


Simons parla della business strategies e fa riferimento a ciò che consente all’azienda la corretta
implementazione/esecuzione delle strategie. Per farlo è necessario risolvere alcune tipiche tensioni che si
creano nella progettazione organizzativa all’interno dell’impresa. Queste tensioni sono dei “trade off”:
spingono in direzioni contrapposte. Bisogna saperle conciliare per dare la corretta esecuzione delle
strategie. Si tratta di unificare visioni differenti (essenza della complessità) nel disegno organizzativo
aziendale.
1° tensione STRATEGIA E STRUTTURA:
Simon afferma che per assicurare la
corretta esecuzione delle strategie
aziendale è necessario fare in modo che
non sia solo l’organizzazione ad
adeguarsi alle strategie, ma che sia
anche la strategia ad adeguarsi
all’organizzazione.

Il primo ad elaborare uno studio in


relazione al paradigma “strategia-
struttura” è stato Adam Chandler.
Affermava che la struttura organizzativa
dell’impresa deve seguire la strategia. Le
aziende di successo per lui erano quelle
che adattavano la struttura alla strategia.

L’impresa deve essere intesa con un


aspetto dinamico. Quindi da un lato sicuramente l’assetto organizzativo dell’impresa deve seguire la
strategia: un tempo si credeva fosse valido solo questo paradigma.

Le diverse strategie aziendali sono a differenti livelli: a un livello di corporate, a livello di singole business
unit, a livello di funzioni aziendali. Ripartizione a tre livelli delle strategie.

 CORPORATE:
- Internazionalizzazione
- Diversificazione
- Integrazione che sottende l’integrazione VERTICALE e ORIZZONTALE.
 BUSINESS UNIT (cfr Porter)
- Differenziazione
- Leadership di costo
- Di nicchia o focalizzazione
 FUNZIONI AZIENDALI (ambiti di conoscenza specialistica nei quali vengono svolte le attività di
creazione di valore cfr. catena del valore mirato al cliente)
- Ricerca e sviluppo (crea valore diretto per il cliente, l’idea di un prodotto o servizio è quella di
soddisfare le esigenze del cliente)
- Engineering e progettazione di processi, prodotti o servizi
- Produzione intesa come il manufacturing
- Marketing
- Distribuzione
- Assistenza post-vendita

Si tratta di attività che l’impresa mira a realizzare per soddisfare le esigenze attraverso il concept dei servizi,
progettazione dell’idea, creazione del prototipo, considerazione delle leve di marketing e le varie attività a
diretto contatto come la distribuzione e l’assistenza.

Tra i tre livelli che abbiamo visto si ha una “coerenza”.

STRUTTURE ORGANIZZATIVE CHE SECONDO A.CHANDLER SI ADATTANO ALLE STRATEGIE PERSEGUITE.

Le strutture organizzative negli anni si sono adattate con riferimento alle strutture di corporate.
1. Se un’impresa persegue una STRATEGIA DI INTEGRAZIONE verticale o orizzontale, qual è la tipica
struttura o assetto organizzativo dell’impresa?  STRUTTURA ORGANIZZATIVA FUNZIONALE

DEF. integrazione verticale: tenere tutte le attività sotto il controllo dell’impresa. Una strategia che si basa,
non sull’outsourcing, ma sul controllo di tutte le attività che riguardano la catena del valore. La strategia di
esternalizzazione prevede che l’impresa si concentri sul disegno dei processi e dei prodotti, si concentrano
sul concept del prodotto, gestiscono il marketing e presidiano il servizio al cliente. La fase di realizzazione
del prodotto e di distribuzione sono nella maggior parte nei casi esternalizzate.

Un concetto essenziale quando si parla di strategie di integrazione è la SCELTA MAKE OR BUY: riguarda la
produzione del prodotto. La teoria dei costi di transazione si basa sull’idea che il governo delle transazioni
economiche può vedere tre diversi meccanismi all’opera:

- Make
- Buy
- Controllare le attività utilizzando alleanze strategiche, partnership, join venture, consorzi ecc:
accordi

Come effettuo la scelta? Dipende da quanto il mercato sia sviluppato rispetto quel determinato bene o
servizio

- laddove esistano mercati che tendano alla concorrenza perfetta, in cui ci sono tanti fornitori e
acquirenti, prodotti omogenei –> ci si rivolge al mercato, si predilige il “buy” perché è più efficiente
- A volte ci sono situazioni che presentano delle transazioni specifiche (il cliente ha delle richieste
che sono personalizzate), quindi servirebbe un investimento specifico che l’impresa dovrebbe fare
perché non trova sul mercato ciò che cerca.
- A volte è necessario che l’impresa instauri una relazione con il fornitore per via dei prezzi che ha
bisogno siano stabili, risorse scarse, ecc
- Un altro aspetto è l’opportunismo
dell’individuo: nelle relazioni
economiche conta l’affidabilità
dell’individuo.

STRATEGIA di INTEGRAZIONE  prevede una


STRUTTURA funzionale. Questo significa che
crea un struttura in cui al vertice si ha un
CEO, al di sotto abbiamo lo STAFF di diverse
nature e lo sviluppo di diverse funzioni (R&S,
Engineering, ecc). A lato osserviamo una
struttura funzionale: unisce chi sa fare
determinate attività, si basa su una elevata
specializzazione delle conoscenze.

PRO:

- Middle management: ufficiali di collegamento (tra i capi della funzione e la base operativa): da un
lato traduce le indicazioni che vengono dal top management in comandi e controllo per la base
operativa; dall’altro lato sono dei “sensori” sul campo che permettono di captare determinate
attività che provengono dal basso e farli arrivare al top management
- Chiara identificazione dei ruoli, compiti, responsabilità
- La maggiore specializzazione si traduce in bassi costi di produzione sia in termini di costi fissi ( 
determina centralizzazione di alcune funzioni e determina economie di scala, la stessa funzione
svolge la stessa attività e abbiamo un maggiore assorbimento dei costi, diminuisce il costo fisso
unitario aziendale) che in termini di costi variabili ( abbiamo economie di esperienze, la
specializzazione permette alle persone di svolgere un lavoro ripetitivo quindi diventano più
efficienti mettendoci meno tempo, meno costi variabili unitari)

CONTRO:

- Ciascuna funzione potrebbe essere chiusa rispetto le altre,


- Mancanza di orizzontalità
- Bassa motivazione dei dipendenti, restringono l’ambito di competenza del dipendente

2. Se un’impresa persegue una STRATEGIA DI DIVERSIFICAZIONE o INTERNAZIONALIZZAIONE, qual è


la tipica struttura o assetto organizzativo dell’impresa?  STRUTTURA ORGANIZZATIVA
MULTIDIVISIONALE

Serve una struttura differente rispetto quella precedente, serve una struttura multi divisionale. Al di sotto
del CEO e dello STAFF avremo delle divisioni e di nuovo si ripresenta la struttura funzionale. Questo tipo di
struttura organizzativa multi divisionale può esser più o meno spinta: sarà spinta quando le divisioni
nell’impresa hanno molta autonomia e corrispondono ad un centro di responsabilità di investimento che
porta una responsabilità di ROI, questo accade quando sono talmente autonome da decidere sia gli
investimenti che i fattori che determinano il risultato operativo. Si dice anche struttura “impura” poiché
dentro le divisioni non troviamo tutte le stesse funzioni, alcune funzioni (come per esempio il marketing, o
la logistica) possono essere traslate allo STAFF. Questo poiché si tendono a mettere in comune risorse a
tutti i business creando economie di scale e allo stesso tempo coniugando l’orientamento strategico al
mercato dell’impresa (i costi si tengono più bassi perché abbiamo per più prodotti lo stesso ufficio che si
occupa della medesima funzione, es. del marketing).

L’idea che sta dietro a questo concetto è che la struttura segue la strategia. Simon afferma che in realtà
accade anche il contrario: ovvero a seconda della struttura che hai designato crei una precisa strategia.

Trade off importante per comprendere l’evoluzione delle strategie aziendali. Simon afferma che quando
disegniamo la struttura organizzativa funzionale non possiamo limitarci a immaginare che deve
implementare una strategia di integrazione verticale, ma al suo interno dobbiamo creare meccanismi che
permettono di mettere in discussione la strategia per cambiarla a seconda del contesto.

Quindi prima tensione: la struttura deve servire non solo per implementare una strategia ma per sviluppare
nuove idee, elaborare nuove strategie.

Seconda tensione: RESPONSABILIZZAZIONE E ADATTAMENTO


Troviamo il concetto di accountability che è il risultato di rendicontazione in modo trasparente dei risultati
raggiunti (Responsabilizzazione dei risultati. Secondo Simons bisogna conciliare risultati di breve con la
capacità di adattamento e di innovazione dell’impresa. Bisogna prestare attenzione relativamente al
management che non si crei un’eccessiva attenzione ai risultati di breve periodo a discapito
dell’innovazione e adattamento che determinerà i risultati di lungo periodo.

È possibile che un sistema di accountability, ovvero il fatto di misurare la performance con i risultati di
breve periodo, faccia perdere di vista gli obiettivi generali avendo come riferimento appunto solo degli
obiettivi specifici di breve periodo. Quindi bisogna riuscire a tenere insieme i vari orientamenti: di breve e
lungo periodo senza rinunciare alla possibilità di sperimentare e fare innovazione. Bisogna cercare di
catturare i risultati di breve con quelli di lungo periodo.
Nell’ambito delle imprese le balance scored, hanno questo scopo: ovvero catturare la performance di breve
e lungo periodo. L’Economic Value Addued cerca di risolvere i problemi delle misure contabili che per loro
natura sono orientate al breve periodo, non tengono conto del rischio di impresa generale e quindi non
tengono conto dell’adeguata remunerazione che dovrebbe essere garantita agli investitori.

Terza tensione: gerarchia e processi trasversali


Tenere insieme gerarchia e processi trasversali, ovvero la capacità di collaborazione tra le diverse funzioni
aziendali. Il dinamismo di oggi richiede sia specializzazione ma anche meccanismi che permettano la
condivisioni e la collaborazioni altrimenti senza quest’ultime si avranno delle decisioni sub ottimizzanti
(ogni reparto prende le sue decisioni indipendentemente dagli altri reparti, senza preoccuparsi delle
conseguenze che potrebbero esserci su questi). Come creare trasversalità? Questo è lo scopo dei sistemi di
controllo direzionale

Quarta tensione: opportunismo individuale e obiettivi organizzativi


Simons parla della necessità di costruire un sistema bilanciato di incentivi, monetari e non, intrinseci ed
estrinseci. Quando disegniamo l’organizzazione e i sistemi di controllo direzionale, bisogna vedere che
impatti hanno sul comportamento degli individui, i quali per definizione hanno interessi individuali (che
tenderanno a voler soddisfare). Tuttavia gli individui sono chiamati a soddisfare obiettivi ORGANIZZATIVI.
Bisogna conciliare entrambi gli individui (entrambe le attese, dell’individuo e dell’impresa che deve essere
soddisfatto dai dipendenti cui sono chiamati a realizzare).

LEVE DI PROGETTAZIONE ORGANIZZATIVA


Sulla base dello schema sottostante, Simons identifica le leve per progettare una organizzazione capace di
risolvere le tensioni. Per Simon la capacità di una azienda deve essere quella di disegnare unità
organizzative coerenti con la definizione del cliente da seguire. Ci si dovrebbe domandare nel disegnare le
unità quale sia il soggetto più importante (quale sia il cliente, concetto più ampio) sul quale focalizzare
l’attenzione, o meglio il soggetto da cui dipende la capacità di realizzare la strategia. Può essere anche il
personale interno! Al punto tale da
creare una organizzazione incentrata
sul cliente (concetto ampio, può
essere ad es. il personale interno) in
modo tale da favorire il suo impegno
lavorativo e che a cascata avrà effetti
positivi sull’organizzazione in sé.

1. Unit structure  Ampiezza


del controllo (span of
control): è definita dalla
definizione delle unità
organizzative. Maggiore è il
potere decisionale, maggiore
sarà l’ampiezza di controllo
delle risorse.
Da un punto di vista del
controllo direzionale notiamo
come ci possano essere
differenti applicazioni, l’ampiezza di controllo determina la necessità di attribuire a quella unità
organizzativa determinate variabili critiche di performance: per ogni unità organizzativa diviene
necessario definire quali siano gli indicatori di performance in considerazione della sua span of
control. L’identificazione delle variabili critiche di performance ci consente di creare sistemi
diagnostici di controllo. I sistemi di controllo diagnostici permetto di misurare gli obiettivi e i
risultati, o meglio permettono di fare un confronto obiettivi-risultati.
2. Sistemi di controllo diagnostici  Ampiezza della accountability (Span of accountability): il
confronto obiettivi e risultati viene attuato con i sistemi di controllo diagnostico, pertanto tali
sistemi determinano l’ampiezza di accountability
Un sistema di controllo attraverso il quale i manager eseguono la strategia focalizzando
l’attenzione sulle eccezioni tra obiettivi e risultati
Come funziona?
a. Stabilire in anticipo un obiettivo
b. Misurare gli output
c. Valutare o calcolare le varianze della performance
d. Impiegare le varianze come feedback per modificare gli input e/o i processi in modo
da rimettere in linea le performance con gli obiettivi e gli standard prefissati

Presenta dei limiti:

- Misurare le variabili sbagliate


- Sottodimensionare gli obiettivi
- Trasformare il sistema in un gioco d’azzardo
- Comportamenti opportunistici (effetto spalmatura, distorsione informativa)
- Atti illegali
3. Interactive networks  Ampiezza dell’influenza sugli altri dipendenti (span of influence) È
necessaria una creazione di network interattivi per creare propensione verso l’adattamento e
l’innovazione. Simons afferma che se noi ci fermassimo ai sistemi di controllo diagnostico ci
limiteremmo a fare il confronto, fare una diagnosi. Tuttavia se ci limitiamo a questo potremmo
perdere di vista gli obiettivi da conseguire (non sempre sono esplicitati nelle variabili critiche di
performance). Bisogna inserire quindi anche sistemi di controllo interattivi che si basano su
networks, ovvero reti organizzative. Esse determinano l’ampiezza di influenza che i manager
devono gestire per poter convincere gli altri ad aiutarli nel perseguimento dei propri obiettivi. Gli
interactive networks creano una trasversalità: un manager di qualsiasi funzione avrà una sua span
of controls (ciò che sta sotto quella funzione)  questo però comporterebbe che il manager si
preoccupi di abbassare i suoi costi ad ogni costo (es. mettere in competizione i fornitori per avere
meno costi ma questo si traduce in una bassa qualità ecc). si dice che è stato spinto a un risultato
sub ottimalizzante. Bisogna evitare questo!! Bisogna evitare che il manager sia spinto da logiche
verticale! Ma creare meccanismi che permettano al manager di uscire dalla sua funzione—>
attraverso COMITATI DI DIREZIONE, oppure identificare variabili critiche di performance il cui
risultato è il lavoro congiunto, sviluppando negli individui un senso di imprenditorialità (influenzare
gli altri positivamente per raggiungere i propri scopi).
4. Shared responsabilities  ampiezza del supporto (span of support): Nel momento in cui costringi i
manager ad andare oltre la propria funzione, l’impresa deve far sì che qualora il manager influenzi
l’altro, l’altro supporti. Deve essere una COOPERAZIONE, ampiezza del supporto cui puoi contare
all’interno dell’azienda per perseguire i propri obiettivi. La responsabilità deve essere condivisa e
questo determina su chi posso contare
Questo significa creare delle COMUNITA’ DI APPRENDIMENTO: modello organizzativo incentrato
sulla fiducia reciproca tra gli individui. La fiducia reciproca determina una propensione a collaborare
evitando che la competizione interna induca i singoli a interpretare il proprio ruolo come un gioco
win-lose. Le persone devono collaborare, scambiarsi informazioni, interagiscono in modo
personale, ecc che porta gli individui a basarsi sullo stesso sistema valoriale. E quest’ultimo aspetto
è un meccanismo importante; avere una stessa cultura significa dialogare e costruire insieme.

L’ampiezza di controllo, di responsabilità, di influenza e di


supporto determinano l’attenzione del manager sull’impresa
(variabile critica molto importante). Riuscire a dirigere
l’attenzione dei manager significa creare le condizioni per una
corretta realizzazione delle strategie aziendali. Per dirigere
l’attenzione degli individui è necessario disegnare un ampiezza
di controllo, di responsabilità, di influenza e di supporto su cui
poter contare.

Tutto questo può essere osservato metaforicamente come se


sia possibile regolarlo (avere molta ampiezza o poca ampiezza)

L’ampiezza di controllo risponde alla domanda “quali risorse


controllo affinché il mio lavoro sia fatto bene?” (es l’obiettivo
è avere un ROI di tot%) Posso disegnare unità organizzative
in cui ci sia il controllo di molte risorse, o ampliarle.

Lo span of accountability risponde a: Quali misure devono


essere usate per valutare la mia performance?

Se ci spostiamo verso DX introduciamo misure che


permettono molti trade off. Le persone non controllano tutte
le risorse di cui avrebbero bisogno per perseguire i loro
risultati. Invece, verso SX abbiamo misure di performance controllate direttamente dai manager attraverso i
poteri che hanno sulle risorse.

Nel momento in cui responsabilizziamo un direttore commerciale sul risultato industriale, ci stiamo
spostando verso destra. Il perseguimento del risultato non dipende solo da quello che fa lui, bisogna
regolare l’ampiezza di influenza su cui deve agire.

In stretto legame con lo span of control (se si ampia quello


deve essere ampliato anche questo!). Risponde alla domanda
“con chi devo interagire e quale attività devo influenzare per
raggiungere i mie obiettivi?” Nel momento in cui un’azienda
dà responsabilità che vanno oltre il tuo controllo diretto,
ovviamente deve creare meccanismi che ti permettano di
influenzare anche le altre persone che controllano
determinate unità delle quali hai bisogno per raggiungere i
tuoi risultati (es comunità, misure di performance congiunte,
ecc. cfr Total Quality Management)

SX faremo una organizzazione molto funzionale, basata su tante unità indipendenti.

L’altra domanda conseguente, è “quanto supporto posso ricevere quando mi rivolgo agli altri per chiedere
aiuto?” Quanto supporto aspettarci. Cursore tra competizione e cooperazione. Abbiamo la necessità di
disegnare un modello organizzativo che crei un sistema favorevole a supportare gli altri (a seconda di come
vorremo posizionarci).

Fino a che punto posso misurare con certezza i risultati?

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