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DIMENSIONE COMPORTAMENTALE: l’impresa è un sistema manageriale che deve indurre comportamenti e

questo si ricollega con la valutazione dei compiti e delle persone

MISURAZIONE PERFORMANCE AZIENDALE E DELLA CREAZIONE DI VALORE ECONOMICO: ci si chiede quali


siano le metodologie e gli strumenti per portare alla luce la capacità dell’azienda di creare valore
economico. Vogliamo indagare quali siano gli indicatori per fare queste misurazioni. Ovviamente ci sono
anche limiti alle misure contabili rispetto la creazione del valore economico. Sono stati sviluppati tanti
indicatori di performance per le imprese. La metrica di misurazione economico varia da impresa a impresa
(es no profit vs for profit).

FINALISMO  STRUMENTI DI MISURAZIONE: questo dualismo è evoluto nel tempo (dalla teoria degli
shareholder, impresa per azionisti, a quella degli stakeholder, un’impresa che esiste per una platea molto
vasta). Bisogna quindi capire il raggiungimento del valore per entrambi i punti di vista.

- Strumenti misurazione prodotto economico (Economic value added)


- Quello che misuriamo orienta l’attenzione degli individui e dei comportamenti: se abbiamo trovato
il giusto indicatore di performance allora possiamo indurre comportamenti lungimiranti e
profittevoli.

BALANCE and SCORE (13.30) unito a EVA formano la performance management system (non monetari)

Il cambiamento di paradigma dallo share allo stakeholder (17): ha determinato da un lato l’evoluzione dei
sistema manageriali all’interno dell’impresa per indirizzare i comportamenti di performance. Dall’altro lato
si è sviluppata la comunicazione tra l’impresa e l’esterno: bisogna comunicare ai mercati esterni la capacità
dell’impresa di creare questo valore, corporate social responsability, la performance non è un fatto interno
all’impresa ma un modo per comunicare. Si è giunti così ai bilanci di sostenibilità e agli SDGs, obiettivi
europei dell’agenda 2030: economia e inclusione sociale.

Oggi, il tema di comunicare all’sterno la comunicazione di valore, si manifesta nella capacità di avere un
impatto positivo sugli SDGs, ossia gli obiettivi europei dell’agenda 2030.
Oggi, anche le aziende stanno sviluppando indicatori per misurare l’impatto su tali indicatori.
Necessità di integrare le 3 P  People, Profit e Planet.
Bisogna tenere insieme queste 3 dimensioni e per farlo bisogna agire sulla Triple Bottom Line, ossia l’ultima
linea del CE, dove l’ultima riga del CE non si riferisce solo al valore economico, ma anche sociale e
ambientale ecc…
L’ultimo tema è quello della sostenibilità ambientale, ossia le misurazioni volte a misurare la sostenibilità
dell’azienda.

Perché nelle aziende pubbliche bisogna fare attenzione allo stato economico? Avere i conti in ordine
consente di seguire le missioni sociali e un azienda pubblica mira al bene comune. Anche le aziende no
profit devono prestare attenzione agli aspetti economici
SISTEMI CONTROLLO DIREZIONALE
Abbiamo una definizione che rappresenta il punto di partenza dei sistemi di controllo direzionale. Risale al
1965, l’autore è Anthony e suddivide i sistemi di controllo in tre categorie:

 Pianificazione strategica (strategic planning)


 Controllo direzionale (management control),
 Controllo operativo (operational control)

All’interno di questa suddivisione, il management control viene definito come il processo attraverso il quale
il management si assicura che le risorse siano ottenute e usate in modo efficiente ed efficace, in linea con
gli obiettivi dell’impresa.

Anthony distingue i sistemi di pianificazione e controllo in modo gerarchico, ovvero una gerarchia legata al
sistema organizzativo con il quale questi sistemi operano

1. Al vertice troviamo la prima categoria, pianificazione


strategica, il cui obiettivo è pianificare le strategie e gli
obiettivi che l’impresa deve perseguire per la sua crescita
e affermazione sul mercato
2. Al secondo posto pone il controllo direzionale, ruolo che
spetta al management
3. Infine troviamo il controllo operativo, a supporto delle
persone che hanno un ruolo di coordinamento ma non
sono manager (es. capireparto).

In questa articolazione Anthony mette in luce due categorie, da un lato il mondo delle decisioni che
riguardava il vertice e il management, poi si aveva un'altra categoria che doveva eseguire le azioni, ovvero
la base operativa. Le decisioni sono prese a monte ed eseguite a valle.

Il prototipo di azienda cui fa riferimento è un’azienda di grande dimensioni, es. public company, in cui le
azioni sono importanti nei mercati finanziari e dove c’è un assemblea degli azionisti molto frammentata
(tanti piccoli azionisti) e che pertanto non si occupa della gestione dell’impresa. In questa circostanza i soci
non sono le medesime figure che ritroviamo nel management, i proprietari non corrispondono a coloro che
la gestiscono.

Solitamente, in Italia, ci sono imprese in cui abbiamo i proprietari che ritroviamo spesso nel CdA e al di
sotto dell’organo di governo si sviluppa una struttura manageriale che vede presenti gli stessi membri della
proprietà, vengono messi a capo di determinate funzioni aziendali. Questo tipo di azienda vede la presenza
di persone proprietarie su più livelli e le decisioni dell’impresa si prendono tra i proprietari.

Il modello di Anthony è diverso, abbiamo un assemblea di soci che hanno provenienze differenti, è molto
frammentata e ciò rende necessario avere un organo che prenda determinate decisioni in ottica di
miglioramento dell’azienda. Questo ci porta a introdurre un elemento “professionale” nel governo della
società.

Questa distinzione (amministrazione/Consiglio di Amministrazione che si distingue dai soci) crea il cd


problema di agenzia (talvolta definito come “costi di agenzia”), abbiamo un principale e un agente.
1. Il primo (principale) è colui che mette a disposizione dell’impresa la ricchezza e che vuole che venga
ottimizzata nella maniera migliore possibile, non essendo sempre presente nelle decisioni si affida e
definisce le linee strategiche.
2. Dall’altra parte il CdA si occupa delle decisioni strategiche, sceglie la struttura manageriale (chi
persegue la strategia di creazione di valore per gli azionisti), attribuisce loro obiettivi strategici
coerenti con la creazione di valore e si occupa di controllare che il management producano valore
per gli azionisti. Il CdA deve interpretare il modo migliore per definire le strategie.
Il CdA rappresenta quindi il vertice strategico dell’azienda, attraverso il quale viene definito un
sistema di pianificazione strategica: il cui ruolo è interpretare la creazione di valore per gli azionisti
attraverso la definizione di obiettivi e strategie che devono essere allineati e sono differenti a
seconda di ogni impresa presa di riferimento.
3. Abbiamo un ulteriore struttura scelta dal CdA, ovvero il controllo direzionale. Abbiamo un sistema
manageriale attraverso il quale vengono definiti obiettivi e strategie. Bisogna che ci sia un organo
che assicuri che le risorse siano ottenute e usate in modo efficace ed efficiente in linea con gli
obiettivi dell’impresa. (definizione del management control di Anthony).

In questa espressione abbiamo un tema economico (le risorse devono essere ottenute e usate) e due
criteri, efficienza ed efficacia, che per essere utilizzati in modo coerente devono essere misurati.

Questi due criteri per poter essere definiti devono essere misurati. Se non si riescono a misurare non si
riesce ad impostare una gestione efficienza, il CdA non avrebbe consapevolezza del lavoro fatto dal
management.

EFFICIENZA: criterio per misurare la performance (input/outup)L’efficienza convenzionalmente si misura


rapportando risorse(ovvero input)/risultati(output), ovvero risorse impiegate e risultati ottenuti.

L’efficienza possiamo considerarla solo su un singolo fattore produttivo, un singolo processo, nell’azienda
nel suo insieme. Quando ragioniamo su un singolo fattore produttivo input-output significa ci focalizziamo
solo su un tipo di risorsa alla volta. Per esempio il fattore lavoro e misuriamo l’efficienza del lavoro (es. ore
di lavoro/pezzi montati, quante ore vengono impiegate per singola prestazione).
Se rapportiamo risorse a risultati, vediamo l’efficienza del lavoro per esempio. Se invece calcoliamo
l’inverso vedremo la produttività (quanti pezzi si producono in 1 ora per es.).
L’intero rapporto possiamo quindi vederlo al contrario per vedere la PRODUTTIVITA’ DELLE RISORSE.
L’efficienza di un singolo fattore dà una visione molto parziale, avremo dei limiti. Se ci serviamo di un
sistema di piano cartesiano dove sulle y abbiamo l’efficienza e sull’asse x i vari reparti. Se vediamo livelli
differenti, non possiamo trarre conclusioni! Se un reparto è meno efficiente il motivo potrebbe essere per
via dei costi maggiori in un quel reparto, la minore esperienza del personale, una probabile cattiva
organizzazione (es. il capo reparto è organizzato male e fa rallentare il team).

Dall’efficienza del singolo fattore bisogna passare all’efficienza dell’intero processo produttivo. Quando
facciamo questa operazione dobbiamo prendere quindi in considerazione altri fattori: ore lavoro, ore
macchina, KWatt di energia ecc… tutto ciò che viene utilizzato per giungere al risultato. Se inserisco tutti i
fattori produttivi posso trarre conclusione. Ovviamente bisogna fare delle sommatorie sensate. Bisogna
fare una sommatoria della quantità dei fattori produttivi*prezzi relativi all’acquisto.

Al numeratore avremo quindi: (ore lavorate*costo orario) e aggiungiamo (ore macchina*costo orario di 1
ora macchina) e tutti gli altri fattori moltiplicati per il loro costo d’acquisto. La somma delle quantità*prezzi
ci fornisce una misura che definiamo COSTO DI PRODUZIONE. Possiamo definirlo “costo di produzione
pieno” quando include sia i costi direttamente impiegati nel reparto assemblaggio per esempio, sia i costi
indiretti di cui si avvale il reparto per fare il proprio lavoro (es quote del reparto manutenzione, quote
reparto impianti, ecc…).

L’efficienza del processo possiamo misurarla attraverso il costo di produzione. A livello di singolo
processo avremo al numeratore il costo pieno unitario. Il management deve sempre rispondere dei costi
pieni di produzione unitari.

Un processo è uno dei tanti ambiti all’interno dell’impresa. Esistono molteplici processi (di logistica,
produzione, supporto, sviluppo tecnologia, ecc). A livello di azienda nel suo insieme, l’input è dato dalla
somma dei costi totali di ciascun processo. L’output a sua volta è dato da un'altra misura che sintetizza
l’attività complessiva dell’impresa, ovvero i ricavi di vendita.

Input: costo dei singoli processi sommati tra di loro

Output: ricavi di vendita

Quindi: COSTO TOTALE dell’azienda/RICAVI DI VENDITA. Questo rapporto possiamo esprimerlo anche come
differenza: RV – CT = risultato economico ed è un indicatore sintetico di efficienza aziendale (perché tiene
in considerazione le risorse impiegate rispetto i risultati ottenuti).

Questo risultato economico è il ruolo più sintetico per valutare la performance di efficienza aziendale. Il
risultato economico è collegato alla variazione del PN dell’impresa, variazione che subisce il PN per effetto
della gestione aziendale (curata dal management). Se il risultato economico ha segno positivo (utile),
avremo un aumento del PN. Il risultato economico quindi determina maggior valore per gli azionisti (soci).

Se il risultato economico è negativo, il PN si riduce e cala la ricchezza per i soci. Il PN possiamo vederlo
come ATTIVO – PASSIVO, quindi se PN si riduce o sono aumentate le passività o ridotte le attività. Questi
sono dei casi di distruzione del valore per gli azionisti.

Ecco perché il risultato economico è collegato alla creazione di valore per gli azionisti.
Come viene calcolato il risultato economico? A seconda di come viene calcolato avremo più visioni, è un
tema ampio.

EFFICACIA. L’efficacia invece si misura rapportando: OUTPUT ATTESO/OUTPUT REALIZZATO

Nella definizione di Anthony, l’efficienza è solo una parte, si ha anche “l’efficacia”, la definizione testuale è
la capacità di raggiungere gli obiettivi. È un concetto che deve essere approfondito. È un rapporto tra
output atteso rispetto all’out realizzato.

Il concetto di output atteso va declinato rispetto a quella che è la strategia dell’impresa, fa riferimento alla
soddisfazione dei bisogni che l’impresa vuole realizzare. Le attese vanno espresse in termini di bisogni da
soddisfare e dipende dai clienti cui ci rivolgiamo. L’output atteso si può esprimere attraverso
un’espressione diversa: OUTCOME. L’outcome è la variazione indotta rispetto ad uno stato di bisogno
iniziale. È una differenza tra lo stato di bisogno al tempo T0 (attesa) e al tempo successivo T1 (come è
cambiato il bisogno che si aveva). Il bisogno varia a seconda della creazione del valore.

Il bene o servizio che il cliente chiede è sempre espressione del bisogno da soddisfare.

Ciò che deve essere definito per avere questa variazione è la strategia competitiva dell’impresa. Lo stato di
bisogno da soddisfare (quali e in quale misura) rappresenta una scelta strategica e una strategia di
posizionamento competitivo.

Nell’analisi sull’output atteso possiamo vedere differenti strategie competitive che possiamo anche
sintetizzarle in tre strategie basilari definite da Porter
1. Differenziazione
2. Leadership di costo
3. Di nicchia
Sono strategie volte a soddisfare certi bisogni.
1. Nella prima l’impresa naviga in “acque blu”, l’impresa si tiene fuori dalla massa, non fa la cd guerra
di prezzi, ma offre all’impresa qualcosa di distintivo che permetta all’impresa di ottener un
premium price.
2. Leadership di costo, offre stessi prodotti a prezzi più convenienti: i clienti danno importanza al
prezzo d’acquisto e l’output atteso è la capacità di offrire un bene o servizio a un prezzo piu basso
rispetto alla concorrenza
3. Di nicchia, l’impresa compete in un segmento ben definito, cercando di differenziarsi o per qualità o
per costi minori, ma solo in quel segmento.
L’output atteso è un indicatore di efficacia competitiva perché legge le attese dei clienti, ciò a cui i clienti
danno più importanza. Ciò a cui loro danno importanza può essere differente nei diversi fattori e identifica i
cd fattori critici di successo: rappresentano l’interpretazione di quelle che sono le attese dei clienti in
termini di soddisfazione del bisogno, ciò che i clienti si aspettano, a cosa danno importanza.
Esempi di fattori critici di successo: prezzo, gamma, qualità, brand, disponibilità, tempestività della
consegna, assistenza, servizi (aspetti legati alla corporate social responsability).

Il concetto di efficacia è proiettato sui bisogni da soddisfare, o meglio output attesi i quali vanno visti come
il soddisfacimento dello stato di bisogno (da un bisogno di tipo 0 a tipo 1). Capacità di riuscire a capire il
cliente cercando di rendere espliciti i suoi bisogni (cfr bisogni latenti).

Tuttavia, ciò che ci aspettiamo da un’impresa è che produca un valore che vada oltre ai bisogni individuali
specifici. Effetto che si ripercuote su tutta la società, si dà importanza ad aspetti sociali (beni comuni).

Quando un’impresa riesce a realizzare prodotti e servizi che si traducono in outcome e impatti ci si aspetta
che l’efficacia competitiva dell’impresa, la sua capacità di soddisfare outcome e impatti, possa tradursi in
una crescita. Non ci devono essere contraddizioni tra efficacia ed efficienza, sono molto collegate e hanno i
loro legami sulla capacità dell’impresa di riversarsi nella crescita dei ricavi (legati alla capacità dell’impresa
di soddisfare i bisogni INDIVIDUALI e COLLETTIVI).

Efficacia: outcome e impatti / output realizzato (ciò che fa l’impresa).

Un’impresa è tanto più competitiva nella misura in cui riesce a realizzare il proprio output in linea con le
attese di outcome e gli impatti.

Come fa l’impresa per perseguire l’efficacia? L’efficacia si articola in strategica e operativa (attribuita
all’interno della struttura organizzativa).
Lezione 17 Febbraio

Efficacia strategica e operativa

Strategica: possiamo vederla come rapporto tra outcome/impatti (numeratore) e l’outup obiettivo
(denominatore)

Operativa: output obiettivo/output realizzato

Se moltiplichiamo i due rapporti avremo outcome impatti/output realizzato.

Questa distinzione dell’efficacia è utile perché permette di evidenziare differenti livelli di responsabilità
interni all’impresa. Nello schema di Anthony, l’efficacia strategica è di appartenenza del vertice, l’efficacia
operativa invece riguarda il livello manageriale

Efficacia strategica – OUTCOME e IMPATTI


Riguarda una decisione di pertinenza del vertice dell’azienda, che va identificato nel CdA e quindi visto
come massimo governo d’impresa. Decisione da parte del vertice per capire di quali decisioni può farsi
carico e quali bisogni soddisfare. Vanno intesi

 sia come bisogni individuali


 sia come collettivi

Quelli individuali sono misurati attraverso l’outcome e rappresentano una variazione prodotta rispetto ad
uno stato di bisogno iniziale. I bisogni individuali sono qualcosa di cui possiamo appropriarci, quelli
collettivi sono quelli che soddisfano gli interessi di più interessi e i singoli non sono in grado di escludere
l’altro individuo (nessuno si può estraniare un altro soggetto dal far parte di questo processo di
soddisfacimento).

Oggi la teoria dell’impresa moderna richiede ai CdA di fare scelte di posizionamento, inteso come scelte di
soddisfacimento per bisogni individuali e collettivi. Parliamo quindi di IMPATTI: conseguenze prodotte
sull’intera collettività indistintamente senza che nessuno possa privare l’altro.

La decisione di un’azienda di produrre un prodotto eliminando es. la plastica e usando materia riciclabile è
una decisione che ha un impatto collettivo, un effetto collettivo (che sarebbe quello di avere un minore
pressione sulle risorse naturali e di conseguenza di produrre un beneficio per l’intera collettività). Un tempo
queste decisioni collettive in termini di impatti e di decisione strategica era completamente estranea alle
logiche dell’impresa. Oggi con la corporate social responsability entrano in gioco non solo outcome ma
anche gli impatti da produrre sull’intera collettività. Quando parliamo di efficacia strategica ci riferiamo alla
decisione in merito a quali bisogni soddisfare e a quale livello.

Un vertice strategico sensibile ai temi ambientali sarà un vertice strategico che nel disegnare le strategie
tiene conto anche degli impatti che produce nella società a livello ambientale.

Un’impresa attenta ad outcome e impatti, in modo implicito, definisce un target di riferimento che va oltre
il singolo cliente, guarda ad un concetto di cittadinanza attiva: il consumatore non è visto come qualcuno
che esiste come entità per acquistare bene e usufruire di servizi, ma come conservatore del bene comune,
opportunità per preservare il bene comune. Questo è il cuore della cd corporate social responsability
dell’impresa.

Efficacia strategica – output obiettivo


L’output obiettivo è quello che riguarda la pianificazione strategica, processo organizzativo che riguarda la
definizione degli obiettivi di fondo della gestione aziendale.

Definizione di J. Scott Armstrong. Prospettiva


di medio lungo periodo, l’orizzonte di
riferimento è di qualche anno (“long range
plan”: in passato si facevano grandi
investimenti, tipicamente materiali, pluriennali
che richiedevano un lungo periodo di tempo
per valutare il ritorno, si facevano dei forecast a lungo termine negli anni ‘60. Successivamente ci fu la crisi
petrolifera che mise in luce la difficoltà di un piano cosi a lungo termine. Oggi a causa di questi contesti
dinamici e veloci per via della tecnologia, si tendono a fare piani più brevi.)

Dagli anni ’70, i periodi si sono ridotti: 5, 3 anni.

Oggi, il contesto si modifica continuamente e il periodo si è ridotto, al punto tale che alcune imprese che
operano in ambienti fortemente dinamici (nuove tecnologie) come 1 o 2 anni. Se il contesto è stabile, il
periodo può essere più lungo.

La pianificazione è un processo organizzativo che dura tutto l’anno: non un qualcosa che viene redatto, ma
coinvolge la vita organizzativa aziendale nel suo complesso e in modo dinamico

La pianificazione strategica è un concetto diverso dalla strategia, quest’ultima infatti corrisponde a una
visione di come configurare i rapporti dell’ambiente esterno, si può esaudire in una concezione individuale
es del CEO. La pianificazione strategica invece ha un respiro più ampio, è un processo formale di
documentazione, integrazione degli obiettivi,…. Le strategie sono spesso la causa della pianificazione
strategica e a sua volte la strategia può nascere a seguito della messa punto della pianificazione (forte
interdipendenza). La strategia rappresenterà il punto di riferimento per le decisioni di allocazione delle
risorse (elemento fondamentale di un disegno fondamentale che cerca di creare coerenza tra priorità e
decisioni “di marcia”). Parliamo di risorse in senso ampio: finanziarie, distribuzione personale, …
Rapporto outcome e impatti/ output obiettivo = 1 quando il vertice decide di realizzare un livello di
outcome che è uguale alle attese individuali e sociali. Se l’impresa è in grado di fare ciò si dice che c’è una
piena consonanza strategica tra posizionamento impresa e attese individuali e sociali.

Può accadere che il rapporto sia maggiore di 1 (I clienti possono avere attese elevate rispetto agli output
obiettivo), sono consapevole che i clienti possono avere una determinata attesa, obiettivo (in termini di
brand, qualità ecc.) e quindi si crea un problema di dissonanza strategica, ci saranno attese che l’impresa
non riuscirà a soddisfare. Come si può risolvere? È accettabile che il vertice sia consapevole di questo e che
il vertice ugualmente la mantiene nel piano strategico? Il vertice deve ridurre il gap strategico riallocando
le risorse, segmentare il mercato rivolgendosi esplicitamente ad alcuni target (selezione strategica). Mi
rivolgo ad un target di mercato che ha bisogni in linea con quelli che posso soddisfare.

Quando il numeratore è minore di 1 significa che le attese sono più basse rispetto agli obiettivi che si pone
l’azienda. Stiamo offrendo prodotti e servizi con qualità superiori rispetto le attese dei consumatori (es
prodotti con prezzi alti, perché hanno delle funzioni in più, che i consumatori non sono disposti a pagare).

Anche in questo caso abbiamo una dissonanza strategica in termini di ridondanza da parte dell’impresa. Si
riduce facendo si che l’impresa tolga alcune funzionalità, si cerca di educare il clienti attraverso leve di
marketing che mostrano le funzionalità disponibili, portare alla luce i bisogni latenti e farne bisogni espliciti.

EFFICACIA OPERATIVA: OUTPUT OBIETTIVO/ OUTPUT REALIZZATO

Questo rapporto è un rapporto di efficacia ma operativa perché una volta che con la pianificazione
strategica abbiamo deciso i bisogni di cui farci carico, tali obiettivi diventano un punto di riferimento per il
management. La pianificazione strategica definisce gli obiettivi, il management è chiamato alla
realizzazione di quel piano, trasformare gli output obiettivi in realizzarti. Qua ci si ricollega alla citazione di
Anthony.

 Capacità operativa: realizzare gli obiettivi che il vertice ha posto come priorità per l’azienda.
 Efficacia: grado di raggiungimento degli obiettivi

ARTICOLAZIONE DI SIMON

Questa articolazione dei sistemi di controllo di Anthony è collegata ad una diversa articolazione delle
decisioni aziendali definite da Simon.

1) Decisione strategiche legate all’imprenditorialità. Sono decisione innovative, non strutturate di


cambiamento
2) Decisioni direzionali legate alla competenza, richiedono professionalismo, tecnica, capacità di
giudizio. Sono decisioni non strutturate nella continuità: sono complesse e professionali.
3) Decisioni operative legate alla precisione, approccio di conformità e precisione rispetto al compito
da svolgere. Sono strutturate, semplici e ripetitive.

Strutturate: regolate attraverso un protocollo, si eseguono applicando una precisa procedura. Il livello di
discrezionalità è pari a zero. Le aziende presentano organi e procedure automatizzati ed esistono algoritmi
altrettanto automatizzati dove per esempio vengono eseguiti gli ordini in modo automatico (richiesta
evasione ordine da parte di un algoritmo). Anche per la produzione possono esserci specifici programmi
mensili o settimanali che definiscono cosa e quanto produrre di un certo prodotto. Si tratta di decisioni
quindi molto strutturate, l’ambiente di riferimento è quello di singoli compiti dove l’approccio è tecnico e
specialistico. Si tratta di un ambiente quasi “fordista”, modello di impresa simile a quello di Henry Ford
dove sono definite decisioni ripetitive e costanti (all’epoca avevamo la nascita della catena di montaggio
dove non si prendono decisioni in modo discrezionale ma ogni singolo gesto è predefinito e ci sono degli
standard).

Non strutturate, nella continuità: vengono prese una tantum. Es. decisione dei prezzi di vendita, decisione
del volume da realizzare, decisioni make or buy, ecc. Richiedono un ragionamento di problem solving:
esistenza del problema  esplicitazione del problema  analisi del problema  capire come risolvere il
problema
Controllo per eccezioni: consiste nell’intervenire solo nei casi in cui si manifesta una deviazione tra gli
obiettivi da conseguire e i risultati. Laddove i risultati deviano, si realizza un controllo da parte dei manager
in modo eccezionale, si concentrano sulle deviazioni!

Riguardano attività funzionali a largo spettro (prese ai vertici di una funzione aziendale), l’approccio è
professionale managerialeRichiedono capacità di giudizio, per cui occorre orientamento al problem
solving. Queste decisioni vengono prese da un capo funzionale (es. direttore delle vendite).

Il rapporto tra il livello operativo e quello direzionale dipende dall’evoluzione della tecnologia. Attività che
richiedevano una certa autonomia di giudizio, oggi sono diventate meccaniche.

Decisioni strategiche di cambiamento non strutturate: si differenziano dalle prime in quanto riguardando
la possibilità di entrare in nuovi mercati geografici, nuovi segmenti di clientela, assetti societari (es fusioni o
scissioni). Sono decisioni che si caratterizzano per essere interfunzionali, tagliano i diversi ambiti specialistici
in cui è organizzata l’impresa. Travalicano i confini organizzativi di un unico responsabile. La decisione di
entrare in un nuovo mercato non è affidata a un direttore specifico (es di marketing) ma deve riguardare
più aspetti dell’impresa (potrebbe richiedere condizioni di vendita diversi, costi di progettazione diversi,
ess). Sono decisioni che sono al vertice dell’azienda, ordine maggiore rispetto alle decisioni precedenti. Ora
l’approccio è imprenditoriale e creativo, siamo nel campo del cambiamento, dell’innovazione.

Ciò che contraddistingue l’imprenditore è rappresentato da due elementi:

- Colui che innova


- Colui che si assume i rischi delle sue decisioni (Sean Peter).
Qua il contesto informativo è molto diverso dalle precedenti, non abbiamo le informazioni per decidere,
l’ambiente è incerto e complesso (ci sono segnali contrastanti per questo è necessario assumersi il rischio).
Sono decisioni poco frequenti nella vita di un’azienda.

Quali sono i limiti di sistemi di controllo in modo gerarchico? Cosa non ha funzionato in passato?

1. Le decisioni sono esplicitate. Sono sistemi documentati, formali. Questo favorisce il coordinamento
e la comunicazione perché vengono esplicitate le decisioni. Strutturare l’organizzazione con sistemi
formali favorisce il coordinamento. Nelle piccole imprese, chi supervisiona, si presenta
quotidianamente in azienda. Ma nelle grandi imprese, ciò non è possibile, per questo sono
necessari sistemi formali che permettono il coordinamento.
2. Permette di valutare le implicazioni economico-finanziarie. Sia il piano strategico che il controllo
direzionale sono sistemi in cui c’è un riferimento agli effetti economico-finanziari. Questo permette
di effettuare un controllo preventivo, valutandone a priori la fattibilità sul piano economico,
ponendole in un test di creazione di valore. Tali sistemi permettono di effettuare un VALUE BASED
PLANNING.
Un sistema formale di controllo consente di avere una maggiore consapevolezza sulle implicazioni
economiche finanziarie sulle scelte che vengono assunte, sono sistemi attraverso i quali c’è una
determinazione delle decisioni aziendali in termini economici, patrimoniali e finanziari. Nel caso del
controllo direzionale gli effetti riferiti all’azienda vengono determinati facendoli corrispondere a
singolo centro di costo/centro di responsabilità comprensione delle dinamiche economiche
finanziarie profonda. Il budget lo si fa per ogni singola strategia questo permette di avere un
controllo sulla situazione e un controllo preventivo valutandone a priori la fattibilità sul piano
economico, ponendole su un test di creazione del valore  value based plan, pianificazione basata
sul valore, non ci si limita a valutazioni qualitative ma quantitative anche.
3. Favorisce il controllo dell’implementazione della strategia: il sistema di controllo direzionale
permette l’implementazione della strategia introducendo i cd centri di responsabilità economica,
suddivide la struttura dell’impresa in centri di responsabilità ai quali sono attribuiti obiettivi
coerenti con gli obiettivi supremi strategici. Sono unità organizzative, a capo delle quali sono poste
delle persone con responsabilità manageriali. Un capo reparto è un responsabile che con le proprie
decisioni influenza certe variabili. Il concetto di centro di responsabilità economica è chiarire quali
siano le leve economiche finanziarie influenzate dai diversi CRE in cui è articolata l’impresa.
Attraverso il sistema di controllo direzionale, gli obiettivi strategici vengono articolati in obiettivi
economico-finanziari che saranno affidati ai diversi CRE in cui è articolata l’azienda.

I centri sono elencati in ordine decrescente di leve economico-finanziarie che influenzano.

Abbiamo:
1. Centri di investimento: unità organizzative che gestiscono differenti levi economiche finanziarie (ne
hanno un numero maggiore rispetto le altre). Centro di responsabilità che si definisce in ROI (RO/CI
 variabile critica di performance), reddittività del capitale investito è il criterio con cui si valuta la
performance. Decide gli investimenti  CF + CCN = CI, capitale investito.
 A sua volta il capitale fisso è costituito da immobilizzazioni immateriali e materiali, ovvero
immobilizzazioni che rappresentano fattori produttivi necessari allo svolgimento dell’attività
d’impresa. Se un impresa ha delle immobilizzazioni in un’impresa controllata nel proprio
patrimonio avrà delle partecipazioni e anche queste rientrano in capitale fisso.
 Il ccn è costituito dall’attivo corrente a cu va sottratto il passivo corrente, entrambi di tipo
operativo (escluse le att. e pass. di natura finanziaria).

Quindi gli investimenti hanno un impatto rilevante e questa etichetta è attribuita al capo di una
specifica business unit, decide gli investimenti ma deve tenere conto anche dei risultati di tali
investimenti. Le quattro variabile controllate sono:

(RV al netto dei costi rettificativi come la scontistica, accantonamenti al fondo rischi su crediti vs
clienti, … – COSTI OPERATIVI ovvero i costi industriali, commerciali, amministrativi generali) / (ATT.
FISSO + CCN ) = RO / CI. Quindi decide cosa produrre (mix), quanto produrre (quanto produrre), il
prezzo che vanno a impattare i RICAVI.

Vengono attribuiti questi centri per ogni famiglia di prodotti, segmenti di clientela ecc, un centro di
investimento è una sorta di impresa dentro l’impresa.
Se ROI=4% significa che quella business unit deve avere per ogni euro 0,04 di ritorno. Il ROI viene
espresso in %, cioè ogni 100 euro di investimento ne tornano 10 come RO.
Centri di profitto: è un centro che controlla solo le leve che determinano il risultato operativo.
L’indicatore cui si fa riferimento è il ROS, RO/Vendite [RO/RV=RV-Costi Op/RV = 1- (Costi Op/RV)].
Si tratta di manager che controlla sia i ricavi di vendita sia i costi operativi che formano il risultato
operativo. Questo manager non controlla le decisioni di investimento, ma prezzi, mix, scontistiche
ecc.
Es responsabile di una business unit che non si occupa delle decisioni di investimento, centro
depotenziato di investimento
2. Centri di ricavo: unità organizzative che controllano i ricavi di vendita = prezzi*volumi*sconti*mix.
sono difficili da identificare concretamente. Un direttore vendite potrebbe essere colui che decide i
ricavi, sconti, ecc ma controlla anche i costi! Quindi si parla di centri di margine commerciale,
perché non si ha un centro in cui vengono controllati sono i ricavi ma chi si occupa di questo tende
a considerare anche i costi. Controllano: (RV – Costi commerciali)/ RV. Al numeratore abbiamo un
margine commerciale, quando margine viene prodotto in termini commerciali per coprire i vari
costi successivi.
3. Centri di costi: vengono controllati solo una parte dei costi operativi (es direttore della produzione
è un centro di costo industriale perché controlla i costi indiretti e diretti di tipo industriale!) Dentro
la produzione, possiamo individuare un caporeparto che si occupa ad esempio di assemblaggio,
anche esso è un centro di costo, ma più limitato in ragione delle leve che gestisce.

A volte si parla anche di CENTRI DI SPESA, simile ai centri di costo ma la differenza la ritroviamo nei costi
che vengono considerati. Quando si tratta di costi PARAMETRICI (detti anche STANDARD) si parla di centro
di costo. Se un centro di costo gestisce costi discrezionali e di capacità viene definito centro di spesa.

Centri di costo

I costi parametrici hanno natura di costi variabili la cui struttura è CV Tot= CVu x Q, dove CVu= Pcu (Prezzo
costo unitario) x Rfu (rendimento fisico unitario dei fattori produttivi).

Y=ax dove Y=CV tot, X=Q e a= CVu.

Il CVu è una costante ed è il coefficiente angolare della retta dei CV tot. Il CV Tot dipende da quanto
produciamo, ossia da dove ci collochiamo sull’asse delle X.

Alcuni centri di costo sono reparti che gestiscono prevalentemente costi variabili  sono i centri di costo
produttivi che impiegano materie prime e lavoro diretto, si occupano della trasformazione fisica che sono i
tipi CV.

Esempio: Il CVu delle materie prime è determinato dal prezzo al kg delle materie prime (Pcu) per il Rfu che
non è altro che l’efficienza del fattore produttivo, ossia il rapporto tra Input/Output.
Input
CVu=Prezzo al kg ( Pcu ) x (Rfu)
Output

Kg Tot
CV Tot =Prezzo kg x x N . prodotti ottenuti(Q)
N . prodotti

CV tot =CVu x Q
I centri di costo in senso stretto (PARAMETRICI) sono unità organizzative che gestiscono variabili connesse
ai prezzi di costo di acquisto delle risorse, le efficienze di impiego e i volumi di produzione.

Centri di spesa

Unità organizzative che impiegano risorse che generano costi discrezionali e costi di capacità. Gestiscono
Costi Fissi che non variano al variare di Q. Sono quelle unità che non lavorano direttamente sul prodotto.
Esempi: ricerca e sviluppo, marketing, anche la mensa è un centro di spesa (la Q non sono i prodotti in
questo caso). Non posso calcolare in questo caso dei centri di spesa i rendimenti fisici unitari.

sono invece unità organizzative che non impiegano costi variabili ma risorse che generano costi
discrezionali e costi di capacità. Questi centri gestiscono costi rappresentati come costi fissi, non variano
direttamente al variare dei volumi prodotti. Sono quelle unità organizzative che non lavorano direttamente
sul prodotto: risorse umane, ricerche e sviluppo, mensa aziendale, ecc. producono performance che non
possono essere misurati come rendimenti unitari perché non sono parametrici, vanno valutati utilizzando
indicatori di performance che hanno a che fare con la qualità e l’efficacia (es innovare i prodotti, i mercati).

In senso stretto i costi standard sono centri di costo il cui perimetro di controllo include: prezzi delle risorse
impiegate, la loro efficienza e la quantità prodotta. Le risorse impiegate sono materie prime e lavoro
diretto.

Si usano indicatori che hanno a che fare con qualità ed efficacia, non efficienza.

CFu

CF

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