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ABSTRACT (letterale)

In questo articolo, ci riferiamo ad un elaborato opinionistico originale scritto dal Prof.


Frank Beach nel 1950 (“Lo Snark era un Boojum”). Nel suo manoscritto, Beach
criticava apertamente la branca della psicologia comparativa in merito alla disparità
tra l’originale interpretazione di “comparatività” e la sua implementazione pratica,
eccessivamente specializzata. La specializzazione includeva sia le specie sperimentali
(i ratti contavano per il 70% di tutti i soggetti), che i paradigmi dei test (sovrastati da
esperimenti su apprendimento e condizionamento). Qui, tentiamo di valutare in che
misura queste considerazioni siano applicabili alle odierne neuroscienze
comportamentali. Tale valutazione è particolarmente rilevante nel contesto della
“ricerca traslazionale”, la quale ha recentemente acquisito crescente attenzione. Come
comunità, noi crediamo che i risultati pre-clinici siano perseguiti con l’intento di
informare la pratica clinica a riguardo di terapie e vari avanzamenti conoscitivi.
Tuttavia, la limitata riproducibilità dei risultati sperimentali e i fallimenti nella
traduzione della ricerca pre-clinica in trial clinici, indicano che queste aspettative non
sono completamente soddisfatte. Considerazioni teoriche suggeriscono che, prima di
concludere in favore della rilevanza di un dato fenomeno per la nostra specie, esso
dovrebbe essere osservato in più di un singolo riferimento sperimentale (sia esso una
razza o una specie animale) e testato in più di una singola batteria di test
standardizzati. Nondimeno, gli approcci odierni appaiono limitati in termini di
variabilità e sovraspecializzati in termini di procedure operative. Specificamente,
come nel 1950, i roditori (topi anzi che ratti) costituiscono ancora la vasta
maggioranza delle specie animali studiate. In più, la comunità scientifica mira a
omogeneizzare le strategie dei test sperimentali, limitando, perciò, non solo la
generalizzabilità dei risultati, ma sfavorendo anche eventuali design innovativi.
Infine, discuteremo l’importanza di considerazioni di carattere evoluzionistico-
adattivo in ambito della ricerca in laboratorio. Nello specifico, basandoci su evidenze
empiriche indicanti che individui in via di sviluppo aggiustino, sul lungo periodo, il
loro fenotipo in funzione di richieste ambientali precoci, pensiamo che gli odierni
standard di svezzamento e alloggio non preparino adeguatamente i soggetti
sperimentali agli ambienti effettivi nella loro età adulta. In particolare, mentre la vita
adulta di un animale da laboratorio è caratterizzata da frequenti stimolazioni e sfide,
la vita neonatale è caratterizzata da quiete e stabilità. Noi asseriamo che tale
appaiamento sia disfunzionale e possa influenzare considerevolmente la
riproducibilità e l’affidabilità dei risultati sperimentali.

INTRODUZIONE (letterale)

“Lo Snark era un Boojum” è il titolo di un discorso presidenziale provocatorio che il


professor Frank Beach tenne di fronte alla divisione di psicologia sperimentale
dell'associazione psicologica americana nel 1949. Il titolo viene dalla citazione di una
poesia di Lewis Carroll, "La caccia allo Snark". Sebbene tale preda sia generalmente
innocua e amichevole, essa rimane considerevolmente pericolosa, in quanto potrebbe
essere confusa con il suo temibile doppio, "boojum". Mentre colui che incontra uno
Snark torna a casa sano e salvo, colui che incontra un boojum sparisce seduta stante.
Frank Beach paragonò la caccia allo Snark alla direzione presa dalla psicologia
comparativa nel 1950 e criticò apertamente l'approccio restrittivo che stava
caratterizzando tale campo di ricerca ai tempi. Egli revisionò sistematicamente un
insieme di studi (tutti articoli pubblicati tra il 1911 e il 1948 sul Giornale di
psicologia comparativa e fisiologica) e sostenne che il termine "comparativa" fosse
vicino a perdere il suo senso originale, ovvero "ciò che coinvolge la comparazione tra
due o più branche della scienza o oggetti di studio". Le sue critiche, principalmente,
gravitavano attorno a due aspetti: 1) la scarsezza di specie sperimentali usate nella
ricerca; 2) il numero limitato di paradigmi sperimentali e ambiti di ricerca. Riguardo
al primo aspetto, Beach osservò che, nonostante l'ammirevole intenzione di arrivare a
teorie fondamentali che si basassero su una comparazione tra diverse specie, la
maggior parte degli studi sperimentali era condotta su i soli ratti albini. Nella sua
analisi, beach osservò che, nonostante la totalità degli articoli pubblicati crebbe
linearmente tra il 1911 e il 1948, il numero di specie studiate, approssimativamente,
si dimezzò durante quello stesso periodo di tempo. Ancora più allarmante fu la
dimostrazione che, verso la fine degli anni 40, approssimativamente il 70% di tutti gli
articoli pubblicati riguardava il ratto norvegese. In merito al tipo di studi condotti,
Frank Beach noto che la natura dei paradigmi sperimentali adottati per arrivare a
conclusioni generalizzate era scevro. In particolare, egli riportò che, in uno stesso
insieme di studi, quelli riguardanti l'apprendimento e il condizionamento, i riflessi e
le reazioni semplici e capacità sensoriali, erano approssimativamente pari all'80% di
tutti gli studi (dove apprendimento e condizionamento rappresentavano la porzione
più ingente). Altri ambiti estremamente rilevanti (come ad esempio comportamenti
riproduttivi, sociali ed emotivi) andavano a formare una porzione irrilevante di tutti
gli studi.

Basandosi su queste considerazioni, Beach paragonò la psicologia comparativa agli


improbabili protagonisti della storia e i ratti albini al cosiddetto "Snark" che, alla fine,
si scopriva essere il "boojum". Così, partendo dal presupposto che i ratti costituissero
una specie di elezione della psicologia comparativa, gli sperimentatori li impiegarono
con lo scopo di scoprire i processi fondamentali che governassero il comportamento
di un ampio spettro di taxa (unità tassonomiche). Sotto questa prospettiva, i ratti
rappresentavano lo "Snark", plausibilmente capace di fornire agli studiosi
informazioni fondamentali sul comportamento umano. Tuttavia, tale presupposto si
rivelò fondamentalmente errato, in quanto le conclusioni derivanti da una singola
specie sperimentale non potevano essere generalizzate in un contesto più ampio. Anzi
che costituire l'obiettivo desiderato, i ratti da laboratorio si rivelarono un mezzo solo
limitatamente informativo il quale, anzi che risultare conveniente per gli scienziati,
ebbe la capacità di svergognare gli psicologi comparativi. Negli anni 50, piuttosto che
lo "Snark", i ratti da laboratorio incarnarono tutt'al più il pericoloso "boojum".
In questo articolo, asseriamo che, ad oggi, stiamo affrontando una simile difficoltà
nell'ambito della ricerca applicata. In particolar modo, come neuroscienziati pre-
clinici, stiamo dando la caccia ad alcuni "boojums" sperimentali (per la maggior parte
topi), mentre siamo, allo stesso tempo, persuasi che questi costituiscano lo "Snark",
avente il potere di dipanare il mistero della ricerca traslazionale.

REVIEW (non letterale -riassunti per paragrafi-)

Da non-comparativo a non-traslazionale

Le parole di Beach possono essere utilizzate in un contesto odierno, nel campo della
"ricerca traslazionale". Nelle scienze biomediche, “traslazionale” indica il processo di
raccolta di informazioni attraverso metodologie differenti e di trasformazione delle
stesse in conoscenza direttamente spendibile in favore del paziente (ciò viene definito
anche "passare dalla scrivania –del ricercatore- al letto -del paziente-"). Un ulteriore
significato del termine, di segno opposto, è quello di tradurre i risultati derivanti dalla
clinica in ricerca pre-clinica. Nel complesso, poi, l'idea di base della ricerca
traslazionale è sempre stata molto guidata dai concetti di validità esterna e di validità
predittiva.

Sì è consapevoli del fatto che i passi da compiere per tradurre i dati sperimentali in
dati pratici utili per il paziente sono ardui e numerosi; molto ingente è, infatti, il rateo
di insuccessi, specialmente nell'area dell'oncologia o della salute femminile. Ciò è
dato, spesso, dalla presenza di dati sperimentali inadeguati o distorti, da
studi metodologicamente imperfetti, e da una rilevante mancanza di validità esterna.
Molte condizioni, infatti, devono essere soddisfatte per poter asserire che dati
derivanti da studi su animali possano essere ugualmente pertinenti agli umani. È,
quindi, necessario utilizzare disegni sperimentali non unidimensionali ma che
facciano convergere approcci metodologici diversi.

Variabilità nel regno animale

In natura, gli organismi viventi variano sia a livello intra-specifico che a livello Inter-
specifico. Ciò dipende dai geni, dall'ambiente e dalla loro interazione; ovvero
dall'epigenetica. Evidenze sperimentali confermano, infatti, che le influenze
ambientali precoci modulano il fenotipo individuale nell’età adulta
("Programmazione fenotipica"). Un esempio di ciò è riscontrabile nella Dafnea,
ovvero un crostaceo che può presentare, o meno, un "elmetto" protettivo, a seconda
della presenza, in fase di sviluppo, dell'odore di un qualsiasi predatore. Nel caso in
cui, poi, il crostaceo riscontri, in vita adulta, un ambiente che corrisponda alle
condizioni del suo sviluppo precoce (con la presenza, o meno, di predatori), esso
acquisirà anche la possibilità di una sopravvivenza a lungo termine e, quindi, di
riprodursi. Un simile processo è stato osservato anche nei porcellini d'India e
nell'uomo, rilevando dati dalle condizioni sia intrauterine che neonatali.

I topi da laboratorio sono adatti alle condizioni sperimentali e alle loro


condizioni di vita?

Dunque, particolari condizioni ambientali, nei primi stadi dello sviluppo, calibrano
adattivamente il fenotipo individuale nella vita adulta. Se, viceversa, le condizioni
neonatali si discostano eccessivamente dalle condizioni della vita adulta, si può
incorrere in una vulnerabilità patologica. Per quel che riguarda i ratti da laboratorio,
la domanda è: può esserci la possibilità che essi siano cresciuti in maniera disadattiva,
con il senno dei compiti pertinenti alla loro vita adulta (inficiando, in tal caso, la loro
utilità predittiva)? Le evidenze, in condizioni controllate, sembrano affermare che la
vita neonatale dei ratti da laboratorio sia troppo tranquilla rispetto alla loro vita
adulta, e che la somministrazione precoce di stressor può ristabilire l'ambiguità
fenotipica.

Variabilità negli studi sperimentali

I neuroscienziati comportamentali danno poca importanza alla variabilità. Ciò si


riscontra in approcci metodologici altamente omogeneizzati, che limitano la
variabilità dei soggetti sperimentali all'interno di uno studio, al fine di aumentare la
sensibilità dei test. Si cerca, quindi, di omogeneizzare il più possibile le variabili
genetiche e ambientali, sempre con l’intento di garantire la riproducibilità degli
esperimenti. Nel fare ciò, però, si tralasciano spesso molti fattori ritenuti non cruciali
nell'influenzare la variabilità sperimentale, come, per esempio, il rumore ambientale,
in che misura siano presenti interventi sperimentali precoci o la carenza/abbondanza
di attenzioni materne. I quesiti da porsi sono, quindi: 1) In un simile scenario, è
possibile/fattibile proporre un'omogeneizzazione di tutte queste variabili? 2) E se
anche fosse possibile, in che misura ciò garantirebbe la riproducibilità dei risultati
sperimentali? Infine, 3) se anche i dati sperimentali
risultassero pienamente riproducibili, ciò garantirebbe forse automaticamente un
aumento del loro valore traslazionale?

-Il parere dei ricercatori è:

1) No, non è fattibile in quanto alcuni dei fattori che modulano il fenotipo non
possono essere standardizzati tra differenti laboratori. Tali fattori possono essere, per
esempio, la posizione di una gabbia rispetto alle altre, l'umidità, l'illuminazione, le
specifiche individuali del personale di laboratorio, le particolari condizioni di viaggio
per arrivare fino al laboratorio.

2) In maniera iniqua. Ciò è asseribile in funzione di evidenze empiriche derivanti dal


fallimento della standardizzazione tra laboratori nel rendere riproducibili alcuni
particolari tratti comportamentali. Ne è un esempio un esperimento di Crabbe e
colleghi, i quali riscontrarono che, nonostante la standardizzazione di numerose
variabili in tre laboratori differenti, alcuni comportamenti riscontravano comunque
differenze di base, individuali e intra-specifiche, non riproducibili.
3) La risposta è di nuovo negativa. Una perfetta riduzione della variabilità intra-
specifica risulterebbe in una completa somiglianza dei singoli soggetti sperimentali,
che porterebbe a una dimensione del campione rispondente a N=1. Ciò porterebbe a
risultati certamente significativi ma concettualmente insensati.
Perciò, riassumendo, tentare di massimizzare la standardizzazione delle condizioni
sperimentali per ottenere risultati riproducibili sembra essere non-funzionale e, in
ultima analisi, inutile. Al contrario, dovremmo puntare a creare esperimenti in cui la
variabilità costituisca la norma e in cui il disegno sperimentale punti a poter essere
testato in condizioni il più diversificate possibile. In breve, il parere complessivo è
che si debba agire in base a due fondamentali principi:
1) L'uso di più di una specie sperimentale per uno stesso studio.
2) L'uso di più di un approccio sperimentale per uno stesso studio.

Specie sperimentali: i dati sull’adozione di animali in Europa indicano che il


topo è il nostro odierno “Boojum”

La fonte presa in considerazione dall'articolo è il "Report della commissione per il


consiglio e il parlamento europeo: settimo report sulle statistiche riguardo al numero
di animali usati per scopi sperimentali o scientifici negli stati membri dell'Unione
Europea". Tale analisi non include gli invertebrati e riguarda solo dati raccolti in
Europa nel 2011 ed è, pertanto, non completamente estensiva. Un dato chiaro,
tuttavia, è che una ristretta minoranza degli animali presi in considerazione (i topi)
costituisce la stragrande maggioranza degli animali utilizzati. Ciò si traduce in un
inadeguato valore traslazionale della ricerca pre-clinica.

Approccio sperimentale: in cosa sbaglia “What’s wrong with my mouse?”(titolo


di un libro)

Ad oggi, nonostante la presenza dei numerosi approcci a disposizione, gli scienziati si


sforzano di omogeneizzare e limitare il più possibile le procedure validate da
utilizzare negli studi sperimentali, con l'intento di rendere più scorrevole il processo
di validazione esterna e riproducibilità. Il parere dell'articolo è che si debba lavorare
per contrastare questa tendenza, cercando di analizzare sempre un dato fenomeno
attraverso diverse prospettive convergenti. Un esempio di approccio restrittivo è lo
SHIRPA, una gamma di procedure atte a guidare i biologi comportamentali nella
valutazione delle aberrazioni biologiche nei topi mutanti e delle loro variazioni
fenotipiche. Lo scopo di questa iniziativa è rendere più agevole la comparazione e
condivisione di dati tra laboratori differenti, nei quali si utilizzerebbe, altrimenti, una
miriade di protocolli indipendenti e diversificati che minerebbero la comunicazione
di informazioni. Una ulteriore esemplificazione di questo atteggiamento è il libro
"What's wrong with my mouse?", che viene proposto come riferimento per ogni
genetista molecolare devoto alla scoperta scientifica ed elegge a linea guida
fondamentale, nella sperimentazione, i principi sopracitati. La diversificazione,
tuttavia, è naturale e non dovrebbe essere ridotta o annullata a scopo di
semplificazione.

Un altro problema legato al limitato utilizzo di approcci sperimentali, inoltre, è che


uno stesso paradigma è spesso utilizzato, senza troppo riguardo, tra diverse specie o
razze, senza un'attenta considerazione del suo intrinseco valore etologico. Ogni
specie e individuo ha, infatti, predisposizioni naturali, bisogni specifici e
caratteristiche invalicabili, che non possono essere lasciate da parte in quanto ne
diversificano la gamma di compiti plausibili in ambito sperimentale.

CONCLUSIONI (letterale)

Non siamo certamente i primi a rivalutare le fondamentali considerazioni


proposte dal professor Frank beach nel 1950. Condividiamo, assieme ad altri
colleghi, il punto di vista secondo cui l'approccio odierno nella ricerca pre-
clinica animale è troppo restrittivo, sia in termini di specie sperimentali
studiate, sia a livello dei paradigmi dei test sperimentali adottati per ricercare
ambiti specifici. Oggi, però, in rapporto con la situazione di 65 anni fa noi
siamo completamente consapevoli del fatto che diverse metodologie esistono
e che la sovra-specializzazione e la standardizzazione non porteranno ad
una facile traduzione (nella clinica) delle scoperte pre-cliniche. Per migliorare
tale situazione, sono state proposte alcune principali strategie di
"eterogeneizzazione". In questi studi (riferimento bibliografico), le differenze
razziali, presenti in diversi ambiti comportamentali, sono state investigate
sulla base di esperimenti su popolazioni sperimentali eterogenee. In breve,
per attestare se esperimenti altamente standardizzati, ad esempio quelli
"omogeneizzati", producessero risultati più consistenti rispetto agli
esperimenti "eterogeneizzati", abbiamo comparato dati ottenuti da una
popolazione di individui cresciuti in una data condizione standardizzata con
dati ottenuti da una popolazione di individui cresciuti in condizioni ambientali
differenti. I risultati hanno dimostrato che gli esperimenti “eterogeneizzati”
producevano risultati sperimentali più stabili ed erano caratterizzati da un
numero ridotto di falsi positivi rispetto a esperimenti omogeneizzati. Questi
risultati supportano il parere secondo cui strategie sperimentali alternative
potrebbero, infatti, aumentare la riproducibilità e la possibilità di traduzione
della ricerca animale pre-clinica (nella clinica). Tuttavia, anche se queste
ricerche erano limitate alle condizioni di alloggio dei soggetti e alle modalità
dei test, noi crediamo che questo approccio possa anche essere applicato
all'”eterogeneizzazione” sia di specie sperimentali che dei paradigmi dei test.
Di conseguenza, la letteratura disponibile indica che riprodurre la varianza
naturale nella ricerca traslazionale favorirebbe la raccolta di dati che
potrebbero potenzialmente fornirci una conoscenza innovativa rispetto agli
esseri umani e nuovi approcci terapeutici. Sebbene una descrizione completa
di un paradigma sperimentale innovativo sia aldilà degli scopi di questo testo,
descriveremo a grandi linee alcuni fattori da considerare per far si che un
approccio “eterogeneizzato” sia implementato all'interno della pratica:

1) aumentare il numero di specie analizzate: come descritto sopra (tabella),


vengono utilizzate tre specie per circa il 91% di tutti gli studi di ricerca
fondamentali condotti sui vertebrati. Incorporare ulteriori specie sperimentali
sembra costituire un obiettivo fondamentale.

Una potenziale limitazione a questo approccio dipende dalle difficoltà di


stabilire tutte le strutture necessarie a produrre esperimenti su animali non
comuni. Tuttavia, i dati riportati in figura 1 indicano che, perlomeno nell’UE, i
laboratori e le strutture di ricerca hanno accesso a più di 20 differenti specie
sperimentali. Quindi, piuttosto che puntare ad estendere il numero di specie
sperimentali disponibili, gli sforzi futuri dovrebbero puntare a trarre
vantaggio dalle risorse esistenti ed a bilanciare l'uso di specie differenti. Per
quel che riguarda le controargomentazioni di stampo economico, crediamo
che ideare grossi progetti, nei quali un dato fenomeno sia affrontato
direttamente, attraverso un approccio comparativo, sia fattibile e non richieda
grossi investimenti per stabilire nuove infrastrutture.

Sebbene il peso economico di questa transizione potrebbe essere


sormontato con costi ridotti, le potenziali implicazioni etiche potrebbero
richiedere una considerazione di tipo sistematico. I problemi etici potrebbero
riguardare sia il numero di soggetti di utilizzo (istanza 1) sia il livello di
affezione emotiva verso le specie studiate (istanza 2). In merito alla prima
istanza, notiamo che l'inclusione di una variazione sistematica non estende
necessariamente il numero di soggetti da utilizzare in un singolo studio.
Combinata con disegni sperimentali mirati (ad esempio gruppi appaiati,
disegni split-plot, disegni fattoriali, o blocchi randomizzati) e con una tecnica
analitica adeguata (ad esempio matching, blocking o stratificazione), una tale
eterogeneizzazione sperimentale potrebbe essere implementata in maniera
sistematica e controllata, senza il bisogno di campioni di misura più ampia. In
particolare, l'uso dei blocchi randomizzati è stato proposto come
particolarmente promettente in questo contesto. Derivanti originariamente
della ricerca in ambito agricolo, i disegni a blocchi randomizzati sono usati
per dividere un esperimento in un certo numero di "mini-esperimenti", in
accordo con la naturale struttura del materiale sperimentale. Nell'ambito della
sperimentazione animale, ciò potrebbe portare a un raggruppamento
("blocking") di soggetti sperimentali, sulla base di certe caratteristiche (ad
esempio età, esperienze prenatali o post natali, condizioni dell'alloggio), di
modo che gli animali siano il più possibile omogenei all'interno di uno stesso
gruppo, ma differenti tra i diversi gruppi. Poiché la varianza tra i gruppi può
essere, poi, eliminata comparando solo i trattamenti all'interno di uno stesso
gruppo, il potere statistico e la precisione sono molto più alti che in un
disegno comparato senza gruppi. In merito alla seconda istanza, siamo
consapevoli del fatto che la proposta di una batteria di specie sperimentali più
ampia possa portare all'adozione di animali verso i quali la maggioranza delle
persone prova una elevata affezione emotiva (ad esempio gli animali da
compagnia). Tuttavia, considerazioni teoretiche e un giudizio di valore morale
concorrono a determinare i limiti entro i quali una certa specie animale
dovrebbe essere utilizzata negli studi sperimentali oppure no. Secondo una
prospettiva teoretica, la direttiva europea 2010/63/EU promuove
esplicitamente "l'utilizzo di specie con la più bassa capacità di provare dolore,
sofferenza, frustrazione o effetti dannosi a lungo termine, che siano ottimali
per l'estrapolazione (di dati) in favore di altre determinate specie". Di
conseguenza, è improbabile, perlomeno in Europa, che in futuro si incorra in
studi che adottino animali sperimentali aventi un sistema nervoso centrale più
complesso di quello di ratti o topi. Nonostante questo aspetto (morale)
richiami ad un controllo rigido, perciò, esperimenti eterogeneizzati potrebbero
avere alcuni vantaggi etici. In aggiunta, oltre a valutare quali individui
dovrebbero essere usati in ogni singolo esperimento, una valutazione etica
appropriata dovrebbe comprendere un'analisi sistematica dei costi e dei
benefici. Nella direttiva sopracitata, ciò costituisce un parametro principale,
da tenere in considerazione prima di promulgare alcuna autorizzazione
all'uso di un animale per scopi scientifici. In quest'ottica, è possibile
intravedere una vasta gamma di scenari differenti: studi sui roditori vietati a
causa di una limitata utilità (estrapolativa) e studi su animali da compagnia
consentiti per eccezionali aspettative in merito ad effetti benefici, o viceversa.

Un ulteriore ostacolo da superare, nel tentativo di ideare esperimenti


eterogeneizzati, è costituito dal disegno sperimentale e dalle statistiche da
utilizzare nell'analisi di dati raccolti in condizioni di eterogeneità. Siamo
completamente consapevoli del fatto che un disegno sperimentale di questo
tipo si discosterebbe da un approccio di tipo tradizionale. Allo stesso modo,
numerose varianti del disegno sperimentale tradizionale sono già disponibili,
e prendono in considerazione la varianza in maniera sistematica, senza
aumentare la dimensione del campione. Per quel che riguarda la statistica,
l'analisi delle componenti principali e l’analisi dei gruppi, tanto come i modelli
misti, potrebbero essere promettenti nell'analisi di una più alta varianza
all'interno di uno studio.

2) Aumentare il numero dei paradigmi dei test: incorporare ulteriori approcci


sperimentali ai paradigmi tradizionali aumenterebbe di gran lunga la rilevanza della
ricerca traslazionale. Negli ultimi decenni l’apparato metodologico è stato ridotto per
ragioni di efficienza e a causa di tradizioni di lunga durata. Tuttavia, una nuova
tecnologia e nuovi, sofisticati metodi di analisi (ad esempio sistemi di rilevazione in
home cage o il touch screen) sono ora disponibili e potrebbero promuovere, in
maniera concreta ed agevole, l'implementazione di nuovi ed innovativi paradigmi
sperimentali.

Mentre la possibilità di introdurre sistematicamente l'eterogeneità negli studi


sperimentali è ancora agli albori, gli scienziati sono, già adesso, bisognosi di
infrastrutture e riferimenti teorici. Infine, vorremmo citare le parole di Frank Beach, il
quale ha inspirato questo articolo nella sua totalità, dall’inizio alla fine: "Tutto ciò
significherà, a volte, dover sacrificare alcune delle comodità della ricerca di
laboratorio, al fine di trattare con gli esseri umani in condizioni meno artificiali. Potrà
anche significare dover espandere il numero delle specie non umane studiate, tanto
come la varietà dei pattern comportamentali osservati”.

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