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estratto
Edizioni Quasar
ISBN 978-88-7140-430-1
Nei contesti funebri dell’Italia protostorica e arcaica noi possiamo cogliere solo la parte conclusiva delle ceri-
monie funebri.
Il rituale funerario è compiuto dai vivi e attorno ai corpi dei defunti. La spiegazione della scelta e dello svolgi-
mento dei riti va cercata nel mondo dei vivi.
L’utilizzazione dei dati provenienti dalle necropoli è da tempo comunque considerata fonte primaria per la rico-
struzione sociologica delle comunità antiche: ed è preferenza motivata dalla molteplice concentrazione e campionatura
di materiali rinvenuta in complessi chiusi, quali le tombe. Anzi, nell’ultimo trentennio vi è stata quasi un’esaltazione dei
dati funerari come fonte archeologica, che ha provocato una speciale branca definita come “Archeologia della morte”.
Va pure tenuto presente però che le sepolture e i relativi corredi, che rappresentano solo una delle fonti archeolo-
giche d’informazione su una società, è quella forse più condizionata a livello ideologico. Le tombe mostrano infatti solo
quei caratteri (relativi al vestiario, all’armamento, al servizio da mensa) che la comunità riteneva opportuno valesse la pena
di mettere in rilievo, nell’ambito del rituale funerario, per indicare lo stato sociale dell’individuo deposto. Nelle necropoli
possiamo cogliere il riflesso di comportamenti sociali ritualizzati simbolicamente: quindi il nesso tra la realtà sociale e la sua
traduzione, più o meno simbolica, nei corredi funerari va cercata, se è possibile, nel confronto con altre fonti archeologiche,
quali ad esempio la documentazione degli abitati; è infatti attraverso il riscontro con altri dati archeologici disponibili che si
dovrebbero poter ricavare i criteri secondo cui avveniva la selezione degli oggetti da deporre nel contesto funerario.
Se la mancanza, spesso lamentata, di comparazioni con altre evidenze può costituire un limite d’informazione,
bisogna però considerare gli stretti rapporti che nella mentalità arcaica dovevano intercorrere tra sfera rituale e sfera
sociale. Per le comunità protostoriche, per le quali manca spesso del tutto il supporto di altra documentazione, l’indagi-
ne sui caratteri delle sepolture può costituire il mezzo principale a nostra disposizione per tentare di ricostruire la loro
struttura socio-economica (Cuozzo 2003, p. 17 sgg.).
Il complesso campo dell’interpretazione delle necropoli è da considerare ancora un contesto privilegiato di ricerca
in ambito archeologico sia perché spesso l’evidenza funeraria costituisce l’unica documentazione disponibile, sia perché
essa implica uno dei più alti gradi di intenzionalità della collettività corrispondente e dunque, se attentamente decodificata,
costituisce una fonte di informazione preziosa sulle ideologie e sulla produzione dell’immaginario sociale.
Per le comunità protostoriche, per le quali manca spesso del tutto il supporto di altra documentazione, l’in-
dagine sui caratteri delle sepolture può costituire il mezzo principale a nostra disposizione per tentare di ricostruire
la loro struttura socio-economica. Bisogna infatti considerare il rituale funerario, espressione molteplice e polivalente
del mondo dei vivi, come l’immagine che ogni gruppo sociale sceglie di dare di se stesso. Le onoranze funebri possono
rappresentare l’occasione nella quale la comunità sottolinea, nel modo più completo e significativo, la somma delle
identità sociali che costituiscono la posizione di ciascuno dei suoi membri. Nei contesti funerari cioè sono rappresentati
simbolicamente i ruoli raggiunti nella vita dai diversi individui, resi mediante attributi, che vengono riconosciuti degni
di essere rappresentati dopo la morte (Cuozzo 2003, p. 24 sgg.). Perciò la tomba va considerata un punto di contatto
tra mondo dei vivi e dei morti dalle molteplici valenze e dagli ambigui significati sia nel rapporto tra il defunto e il suo
* La prima parte del testo, a firma di G. Bartoloni, è una rielaborazione veliterno nel quadro del Lazio antico, Conoscenza, valorizzazione, fruizio-
dell’intervento presentato all’Incontro di Studi “L’Artemisio e il territorio ne”, tenuto a Velletri il 29 febbraio 2002.
290 G. Bartoloni, M. Taloni
spazio, inteso come assetto della necropoli e come struttura della tomba stessa, sia nel rapporto tra defunto e cultura
materiale.
Negli ultimi studi il clima di convergenze tra diversi filoni europei appare evidente nelle scelte teoriche e nell’af-
fermazione di un approccio problematico e interpretativo della ricerca archeologica.
Al neo-positivismo della New Archeology è stata contrapposta una apertura teorica alle scienze sociali.
«L’evidenza materiale non è il resto muto di una società del passato, ma consiste di resti frammentari di mondi una
volta abitati da esseri umani che comunicavano e agivano, che usavano queste condizioni materiali per strutturare e difendere
certe tradizioni discorsive» (Barrett 1991, p. 6).
L’identità di una persona non può essere letta dal modo in cui è stata seppellita, ma la tomba può gettare luce
sugli aspetti del defunto che coloro che lo hanno seppellito pensavano fosse necessario sottolineare con un dato corredo
o con altri aspetti del rituale funerario.
Attualmente gli archeologi che si accingono allo studio delle necropoli hanno accesso a informazioni relative
ai contesti ambientali e alla paleopatologia dei resti scheletrici. Metodi di datazione sempre più sofisticati forniscono
mezzi indipendenti per la verifica delle diverse cronologie degli oggetti.
È necessario un modo di guardare alla società che sia capace di tenere conto sia delle scelte individuali che delle
aspettative e delle restrizioni sociali.
La cultura materiale assume un ruolo attivo e viene considerata la componente prioritaria per la costruzione so-
ciale. Gli archeologi possono leggere i dati della cultura materiale come testi storici (Hodder 1992). Ambedue, oggetti
e testi, durano e sopravvivono alla loro produzione. È evidente l’utilizzazione prioritaria della cultura materiale sia nel
valore semantico che su quello strumentale nell’analisi dei contesti antichi.
Alle metodologie concordate dell’archeologia processuale viene contrapposto lo studio dei rapporti tra norma e
individuo, processo e struttura, materiale e ideale, oggetto e soggetto. La definizione Post Processual Archeology include
una serie di indirizzi diversificati, uniti da comuni prospettive teoriche e metodologiche.
L’Archeologia post-processuale si propone come obiettivo la rilettura e la rielaborazione teorica di tutti i campi
della ricerca archeologica e l’avvio di una riflessione critica su se stessa.
Gli argomenti affrontati sono: le modalità di azione delle ideologie, le forme di potere e di legittimazione, le
strategie di resistenza e di negoziazione sociale, cioè i linguaggi simbolici e i codici di simbolizzazione; il ruolo attivo
delle varie forme di cultura materiale nella costruzione sociale; il rapporto tra struttura e ideologie, cioè tra struttura,
pratica sociale e individuo come agente sociale attivo; l’identificazione di più ideologie all’interno dello stesso contesto
e le dinamiche di resistenza; le costruzioni di identità e le componenti etniche; la tematica del genere, cioè lo studio
delle complesse dinamiche maschile-femminile-infantile; l’immaginario collettivo e le forme di comunicazione sociale;
lo studio della mentalità; la centralità del contesto storico e sociale (Cuozzo 1996).
Il vantaggio dell’archeologia che lavora su un ampio spazio di tempo potrebbe essere quello di poter ricostruire
le evoluzioni e gli sviluppi di un’area attraverso il tempo e il modo in cui questi sviluppi abbiano contribuito alla riprodu-
zione di un sistema sociale o a cambiamenti all’interno di esso (Barrett 1989). Bisogna ricordare che i rituali funerari
non sono statici.
Linee di indagine privilegiate risultano la messa a fuoco di tutti gli aspetti connessi alla presenza di più ideologie
nello stesso contesto.
L’analisi dei rituali funerari è considerata un articolato momento di comunicazione sociale con attenzione peculiare
al ruolo del simbolismo e delle ideologie. «L’approccio post-processuale sottolinea la polivalenza del rituale funerario la cui perfor-
mance coinvolge molteplici rapporti tra il defunto, il suo gruppo, la comunità e il mondo soprannaturale» (Cuozzo 1996, p. 22).
Tra le varie forme di identità sociale indagate nell’archeologia post-processuale molta attenzione ha ricevuto
negli ultimi anni quella di genere, cioè l’indagine sui complessi meccanismi maschili/femminili/infantili, sui rispettivi
ruoli e sui reciproci rapporti. L’archeologia di genere interpreta «la società come formata da individui che agiscono come
agenti sociali attivi, da individui le cui attività e negoziazioni quotidiane formano una parte essenziale della dinamica stori-
ca» (Diaz-Andreu 2000, p. 363). La cultura materiale gioca un ruolo essenziale nella strutturazione dell’ideologia
di genere, poiché rappresenta il contesto fisico in cui gli individui, come membri di categorie di genere, interagiscono
e si relazionano gli uni agli altri per negoziare la propria posizione sociale e pertanto si utilizza non solo per costruire e
mantenere le relazioni di genere ma anche per opporsi ad esse e trasformarle (Diaz-Andreu 2000 p. 373). Nonostante
Ruoli femminili nell’orientalizzante laziale 291
la ricca bibliografia sugli studi di genere e soprattutto sul ruolo della donna in Italia R. Whitehouse (Whitehouse 1998,
p. 2) definisce le ricerche italiane troppo legate a problemi tipologici o cronologici ignorando gran parte dei lavori sul
tema nei campi dell’archeologia, antropologia e storia antica.
Il confronto con necropoli di scavo più recente e soprattutto con le analisi effettuate per i vari contesti laziali,
permette di precisare forse meglio il ruolo femminile in alcune comunità, le cui necropoli sono state scavate o recuperate
non nella prima metà del Novecento. Si propongono in questa sede due esempi di necropoli dei Colli Albani, la prima, la
necropoli di Lariano-Velletri, oggetto di recuperi poco documentati, l’altra, la necropoli di Riserva del Truglio-Marino,
la cui presentazione in Notizie degli Scavi di Antichità appare abbastanza documentata per l’epoca, per cui si è affrontato
lo studio interpretativo del sepolcreto inteso come contesto simbolicamente strutturato.
Fig. 4 – Carta del Lazio antico (da Colonna 1988, tav. VI).
1 Le seguenti note, che traggono origine dagli stimoli concettuali de- testo, la dott.ssa M.A. Fugazzola Delpino per il permesso concessomi
gli indirizzi teorici e interpretativi dell’archeologia post-processuale, di studiare il materiale, tutto il personale del Museo Nazionale Preisto-
si propongono di essere un ulteriore esempio di studio interpretati- rico Etnografico “L. Pigorini”, in particolare la dott.ssa E. Mangani per
vo di un sepolcreto inteso come contesto simbolicamente strutturato la disponibilità, la cortesia e i consigli dati in corso d’opera.
(Cuozzo 2000, p. 336; Cuozzo 2003, p. 18). In tale prospettiva, quin- I disegni delle figg. 5, nn. 2 e 4, 6, nn. 2-4, 7, nn. 2-3, 8-9 sono dell’autri-
di, si procederà ad un’analisi comparata, laddove possibile, delle sepol- ce. È in corso di preparazione per il BPI un articolo di sintesi del lavoro
ture femminili e maschili della necropoli di Riserva del Truglio a par- di tesi (Taloni 2006).
tire dalla composizione/posizione dei corredi e da alcuni aspetti della 2 Dalla primavera del 1923 fino ad ottobre è Ugo Antonielli a dirigere i
cultura materiale, per arrivare a delineare, infine, un quadro indicativo lavori, mentre le ultime cinque tombe vengono scavate da Enrico Stefani;
delle dinamiche e delle forme di organizzazione sociale della comuni- naturalmente non si conoscono i limiti esatti della necropoli, né, proba-
tà di riferimento della necropoli, anche attraverso alcune osservazioni bilmente, il numero di tombe esplorate corrisponde alla totalità delle evi-
sulla planimetria del sepolcreto. Il lavoro è parte delle conclusioni della denze (lo dimostra anche la grande quantità di materiale fuori contesto
tesi di laurea “La necropoli di Riserva del Truglio (Marino)” discussa il presente). Lo scavo, prima pubblicato dagli scavatori nel 1924 su Notizie
4 aprile 2006 presso l’Università di studi di Roma “La Sapienza”, relato- degli Scavi, viene poi inserito dal ricercatore svedese P. G. Gierow nel suo
re prof.ssa G. Bartoloni, correlatore dott.ssa E. Mangani, in cui sono af- monumentale lavoro del 1964 e 1966 The Iron Age Culture of Latium I- II,
frontate una revisione dei materiali, sia delle tombe che fuori contesto, con le foto di tutti i materiali e i disegni di alcuni pezzi; infine, le tombe
e l’analisi dell’ideologia funeraria; a tal proposito desidero ringraziare 8, 10, 19, 26, 29 e 30 e i disegni delle ultime due, vengono ripubblicate
la prof.ssa G. Bartoloni e la dott.ssa L. Drago per aver letto e corretto il da M. Cataldi Dini nel catalogo della mostra Civiltà del Lazio Primitivo,
Ruoli femminili nell’orientalizzante laziale 295
Tuttavia non sono state fatte analisi antropologiche e ora quel che rimane dei resti ossei rinvenuti è del tutto
mescolato e non più riconducibile ad una tomba piuttosto che ad un’altra.
Dalle poche note dell’Antonielli, dall’analisi dei corredi e della lunghezza delle fosse3 non risultano esserci tom-
be infantili4, continuando evidentemente l’uso di seppellire i bambini al di sotto di una certa età, non ancora membri
effettivi della comunità, in abitato intorno alle capanne, come nelle altre necropoli laziali (Bietti Sestieri, De Santis
2000, p. 9; Bartoloni 2003, pp. 102-105; Modica 2007; De Santis, Fenelli, Salvadei 2009); aspetto questo che
le distingue nettamente dalla Fossakultur meridionale e le apparenta piuttosto al mondo non latino oltre il Tevere (Bar-
toloni, Cataldi Dini, Zevi 1982, pp. 260-261).
La determinazione del genere del defunto, perciò, è stata affidata solamente all’analisi dei corredi, dove è stato
possibile riscontrare elementi utili per una distinzione (tab. 1 e graf. 1).
Dalla tabella è evidente una distribuzione concentrata nella fase IVA2 con 19 sepolture totali (64%) di cui 7
femminili, 5 maschili e 7 indeterminate, mentre le poche tombe (7 totali = 23%) riferibili alla fase IVA1 sono 4 maschili
e 3 femminili.
Infine per la fase IVB, rappresentata da 4 sepolture, è riconoscibile solo una sepoltura maschile, mentre le altre
rimangono indeterminate.
Non è possibile individuare classi d’età o tendenze a livello demografico che non siano puramente quantitative (la
maggioranza di sepolture nella fase IVA2), mentre la parità tra il numero di sepolture maschili e quelle femminili non smen-
tisce né conferma la tendenza, riscontrata a Veio e a Pontecagnano durante il villanoviano evoluto, e, nel Lazio, a Castel di
Decima durante l’orientalizzante e a Caracupa nell’VIII secolo, ad una maggioranza di deposizioni femminili rispetto a
quelle maschili (Bartoloni 2003, pp. 101-102). Questo fenomeno è stato attribuito dalla Bartoloni a cause rituali o sociali
oppure ancora alla morte bellica in territorio straniero degli individui maschili (Bartoloni 2003, p. 102)5.
Tali dati riducono il campione disponibile per un’analisi dei ruoli sociali ed economici all’interno della necropo-
li, basata sulla composizione e distribuzione dei corredi, a 20 tombe totali, tra le quali si distinguerà tra corredi apparte-
nenti alle diverse fasi, ferma restando l’impossibilità di distinguere, a livello tipo-cronologico, all’interno della fase IVA
due sottofasi ben caratterizzate6.
che segna, nella storia degli studi, la risposta alle suggestioni dei nuovi differente per gli uomini adulti: cfr. Bietti Sestieri, De Santis 2000,
indirizzi di studio e al rinnovato interesse per la cultura laziale. pp. 10, 77.
3 La media della lunghezza delle tombe della fase IVA1 è di 234 cm, 6 Ciò risulta dall’elaborazione di una tabella tipo-cronologica con il pro-
208 cm in quelle della fase IVA2, anche se non è mai minore di cm 180, gramma Seriate di Winbasp (riguardo cfr. Peroni 1998, pp. 16-19; da
e cm 220 per la fase IVB. ultimo Piana Agostinetti, Sommacal 2005, pp. 29-70 e Piana Ago-
4 Diversamente in Fulminante 2003, p. 218, grafico 1, che riconosce stinetti, Costa, Ferrante 2005, pp. 265-286): per le fasi IVA1 e 2 ci
4 sepolture riferibili a bambini al di sotto degli 11 anni per la fase IVA2, sono infatti molti tipi comuni per poter osservare una cesura, quale invece
di cui 3 femminili ed una non determinabile, rappresentanti il 18% del- si riscontra per il successivo periodo IVB, comunque poco rappresenta-
le tombe di questa fase e il 13% del totale. to nella necropoli (cfr. sopra), con l’apparire di tipi esclusivi in ceramica
5 Anche la Bietti Sestieri considera la possibilità di un rituale funerario etrusco-corinzia (aryballoi e alabastra) e bucchero.
296 G. Bartoloni, M. Taloni
7 Purtroppo la frammentarietà di alcuni corredi rende tutti questi datati alla metà del VII sec. a.C. e attribuiti ad una produzione, Satricum
dati, anche quelli relativi ai corredi maschili, solo indicativi di una II, che trova il suo epicentro proprio a Satricum); l’autore distingue tra i
tendenza che potrebbe non essere rappresentativa dell’effettiva realtà frammenti fuori contesto due vasi invece dell’unico esemplare menzio-
della comunità di riferimento della necropoli; inoltre la tomba 30, nato dal Gierow (1964, II, p. 223, fig. 130, n. 25).
anche se molto ricca di bronzi, è stata trovata sconvolta dai lavori 9 Inv. 87518. Antonielli 1924, p. 455, 1, fig. 14; Gierow 1964, p.
agricoli e del corredo ceramico è stato possibile recuperare solo l’olla 167, fig. 97, 1; Gierow 1966, p. 293, tipo IA1, F. 88, 1.
e lo scodellone. 10 Inv. 87668. Antonielli 1924, p. 476, 7; Gierow 1964, p. 203, fig.
8 Un’altra patera baccellata, di diverso tipo, è stata rinvenuta tra i ma- 120, 7; Gierow 1966, p. 312, tipo IIa; Sciacca 2005, pp. 190, 362, fig.
teriali fuori contesto (n. inv. 87766) e pubblicata da Sciacca 2005, p. 286, Mr3, tipo A, sottotipo c.
190, fig. 284, 285, Mr1-2 (tipi C1, sottotipo b1 e tipo c, sottotipo b, 11 Sciacca 2005, p. 190, fig. 286, Mr 3, tipo A; p. 362.
Ruoli femminili nell’orientalizzante laziale 297
12 Il corredo della tomba 16 è stato attribuito ad una donna in via del 15 Anche ad Osteria dell’Osa il vasellame di bronzo è documentato
tutto ipotetica, solo in base alle associazioni del corredo ceramico, per lo più nella fase iniziale del IV periodo laziale (Bietti Sestieri, De
non essendo stati rinvenuti indicatori di genere né ornamenti perso- Santis 2000, p. 65); la tendenza comunque sembra essere generale nel
nali; infatti, sconvolta dai lavori agricoli, fu esplorata solo all’altezza Lazio: cfr. Bartoloni, Cataldi Dini 1980, p. 132.
della testata SO: probabilmente il corredo originario era più cospi- 16 Inv. 87576; Antonielli 1924, p. 464, 5, fig. 18; Gierow 1964, p.
cuo. 181, fig. 105, 8; Gierow 1966, p. 296, F. 88, 7; per gli altri esemplari
13 Per le quali è probabile ipotizzare una produzione locale, visto che non è da escludere una produzione locale, vista anche la fattura non
non si trovano confronti al di fuori della necropoli di Riserva del Tru- molto ben riuscita di quello della tomba 22.
glio. 17 Tomba 3, inv. 87431; Antonielli 1924, p. 455, 5, fig. 8; Gierow
14 Queste ultime provengono dalle tombe 4 e 24 dal genere non de- 1964, p. 151, fig. 88,9; Gierow 1966, p. 299, tipo IA; tomba 5, inv.
terminabile, ma comunque databili, proprio in base alle oinochoai, al 87468; Antonielli 1924, p. 448, 1; Gierow 1964, p. 154, fig. 90, 2;
IVA2. Gierow 1966, p. 302, tipo IA1, F. 89, 5.
298 G. Bartoloni, M. Taloni
Tazze-attingitoio
Tazze biansate
Ollette italo-
geometriche
(kantharoi)
Scodelloni
(kyathoi)
Scodelle
Skyphoi
Ciotole
Tombe
Anfore
Pissidi
Calici
Piatti
Olle
5 1 1
7 2 1 1 1 1
16 1 (a spirali) 1 1 1
18 1 1 1 1 1
2 (di cui 1
21 2 1 1 1
stamnoide)
26 1 1 1 1 1
2
29 1 2 1 1 2 1
(di cui 1 a spirali)
Tab. 4 – Distribuzione del corredo ceramico nelle tombe femminili di fase IVA2.
Tazze-attingitoio
Tazze biansate
Ollette italo-
geometriche
(kantharoi)
Scodelloni
(kyathoi)
Skyphoi
Tombe
Anfore
Pissidi
Calici
Piatti
Olle
3 3 1 2 1 1 1
10 2 1 1 1
2 1
19 1 2 2
(di cui 1a spirali) (stamnoide)
20 1 1 2 1 1
22 1 1 1 1 1
Tab. 5 – Distribuzione del corredo ceramico nelle tombe maschili di fase IVA2.
Invece i due skyphoi, appartenenti a due tipi differenti di una stessa classe, uno a vasca profonda e alta, imbocca-
tura stretta e fondo profilato (tomba 3), l’altro con vasca più arcuata, imboccatura larga e stretto piede a disco (tomba 5),
trovano i confronti migliori in alcuni esemplari di Castel di Decima, provenienti dalle tombe 6 (inedita, datata al primo
quarto del VII sec. a.C.18), 68 bis e 7 (datate alla metà e al secondo quarto del VII sec. a.C.19), tanto da poterne collocare
in questo centro la bottega di produzione (Bartoloni, Cataldi Dini 1980, p. 132), come sembra plausibile anche per
le oinochoai della necropoli.
Inoltre si fanno più accentuate le differenze di ricchezza tra i pochi corredi con maggiore varietà di forme e quan-
tità di materiale (tombe 29, 21, 3 e 19) e la maggior parte delle tombe, il cui corredo si pone ad un livello di complessità
medio-bassa.
18 Nizzo 2000, pp. 72-74. IA1), l’altro, frammentario, con decorazione a squame (inv. 87475a.
19 Bartoloni 1975, p. 350, fig. 141, n. 4, tomba 68bis, p. 326, figg. Antonielli 1924, p. 448; Gierow 1964, p. 156, fig. 91, 7; Gierow
111-112, n. 9, tomba 7 (= CLP 1976, p. 276, cat. 86, n. 2). 1966, p. 301, tipo IA2), sono provenienti dalla tomba 6 e sono associati
20 Sembra comunque minore la quantità di impasto bruno presente, ad altri due aryballoi, uno di maggiori dimensioni, con il corpo ovoide
sempre considerando l’esiguità dei dati a disposizione. e decorazione lineare dipinta costituita da zig-zag e petali sulla spalla e
21 Inv. 87494. Antonielli 1924, p. 452, 2; Gierow 1964, p. 161, fig. da linee orizzontali sul collo e sul corpo dove racchiudono una fascia
93, 2; Gierow 1966, tipo IIA1, F. 86, 8. con motivi a chevrons e fasce dipinte (inv. 87472. Antonielli 1924, p.
22 Inv. 87471. Antonielli 1924, p. 449, 3; Gierow 1964, p. 156, fig. 449, 4, fig. 10; Gierow 1964, p. 156, fig. 91, 4; Gierow 1966, p. 301,
91, 3; Gierow 1966, p. 288, tipo IB1. tipo IA1, F. 89, 3), l’altro dello stesso tipo del n. 3, ma con il corpo più
23 Uno con decorazione lineare (inv. 87473. Antonielli 1924, p. 449, compresso (inv. 87474. Antonielli 1924, p. 449, 6; Gierow 1964, p.
5; Gierow 1964, p. 156, fig. 91, 5; Gierow 1966, pp. 293, 301, tipo 156, fig. 91, 6; Gierow 1966, p. 301, tipo IIA1).
Ruoli femminili nell’orientalizzante laziale 299
Tazze biansate
Ollette italo-
geometriche
(kantharoi)
attingitoio
Alabastra
(kyathoi)
Aryballoi
Oinokoai
Skyphoi
Tombe
Anfore
Tazze-
Calici
Olle
6 4 1 2 1
1
8 1 1 1
(mancante)
9 1 1 1 1 1
25 (maschile) 1 (mancante) 1 1 2 1 1
24 Inv. 87498. Antonielli 1924, p. 453, 2; Gierow 1964, p. 162, mente proveniente da Anzio), quindi è più probabile che si tratti di
fig. 94, 1; Gierow 1966, p. 304, tipo IIA1, F. 89, 4. Questo esem- un’importazione dall’Etruria o da un centro laziale maggiore.
plare, proveniente dalla tomba 9 dove è associato ad un aryballos 25 Sono state prese come campione tutte le tombe scavate senza di-
piriforme con decorazione lineare del tutto simile agli esemplari stinzione di genere, non notandosi delle differenze rilevanti nella posi-
provenienti dalla tomba 6, è del tipo a punta, tipicamente etrusco, zione del corredo tra tombe maschili e femminili.
con l’imboccatura distinta da un collarino a rilievo ed è l’unico 26 Una tazzina con ansa sopraelevata semplice (inv. 87571) nella tom-
esemplare rinvenuto in corredo, mentre un solo altro frammento ba 19 e una pisside frammentaria di piccole dimensioni forse su piede
proviene dai materiali sporadici (inv. 102253; inedito, ma probabil- nella tomba 29 (inv. 87697).
300 G. Bartoloni, M. Taloni
27 Anche qui il fenomeno dei “vasi da rituale” interessa solo una parte medio come le sepolture di Riserva del Truglio menzionate al riguar-
delle tombe, la maggior parte delle quali appartiene all’orientalizzante do.
Ruoli femminili nell’orientalizzante laziale 301
deposta poco prima dell’apertura del loculo, forse presso la mano del morto nella tomba 19; una pisside frammentaria
con decorazione plastica sulla carena presso il lato lungo orientale nella tomba 29.
Ciò potrebbe corrispondere a quanto accade ad Osteria dell’Osa dove, nelle tombe con corredo separato, un
vaso è posato presso le gambe o la testa del defunto, di solito una scodella, una coppa dipinta, una patera o, a partire
dall’orientalizzante recente, un’olla stamnoide spesso in associazione agli ornamenti personali o alle armi (Bietti Se-
stieri 1992a, p. 215).
Non si può però stabilire se questa differenza sia dovuta ad una posizione di prestigio del defunto nella comunità
o ad un differente ruolo sociale o ancora, come sembra più plausibile, ad entrambe le motivazioni.
Al contrario le tombe femminili sono sempre ricche di ornamenti, presenti anche in più di un’unità per catego-
ria; la parure base del costume femminile sembra essere costituita da fibule, anelli (sia fusi che da sospensione in tutte le
tombe28), elementi di collana in altro materiale a cui si aggiunge il bracciale a volte e i cinturoni nel caso della tomba 30,
che ha quasi solo materiale in bronzo e la combinazione maggiore di ornamenti.
Analizzando la tipologia di questi materiali si può affermare che i corredi si inseriscono del tutto nella temperie
culturale dell’orientalizzante laziale: anelli da sospensione a sezione romboidale o a nastro largo e piatto, pendenti a bul-
la semicircolare e tubolari, fibule a navicella con decorazione a cerchietti impressi. Solo la ricca tomba 30 presenta anche
elementi allotri come il bracciale a capi accostati profilati a doppio rocchetto, con la parte concava tra le due fascette
verticali dentellate, decorato sul lato esterno da fitte scanalature longitudinali, limitate alle estremità da una profonda
scanalatura verticale e sezione biconvessa29 (fig. 7, 1). Questo bracciale trova confronti puntuali solo ad Atina, località
San Marciano, dove ne sono stati rinvenuti ben trenta esemplari probabilmente appartenenti ad una sepoltura femmini-
le di elevato livello sociale, databile all’orientalizzante antico (Mangani 2004, p. 45, fig. 10, b-c, p. 40; Cifarelli 1997,
p. 83, nn. 20-21, pp. 81 e 83).
Altri tre bracciali simili sono stati trovati in Abruzzo, nella piana del Fucino, a Scurcola Marsicana, nella tomba
19 dei Piani Palentini, ma presentano i capi sovrapposti (Mangani 2004, p. 40; Cifarelli 1998, p. 23, fig. 3a).
28 Alla tomba 28 è molto probabilmente da aggiungere l’anello da nell’archivio storico del Museo L. Pigorini.
sospensione n. inv. 87817, trovato tra i materiali fuori contesto e attri- 29 Inv. 87732. Antonielli 1924, p. 484, r, fig. 34; Gierow 1964, p.
buito in base ad un’indicazione trovata su un foglietto di carta allegato 216, fig. 126, 39; Gierow 1966, p. 334, tipo If1; CLP 1976, p. 90, tav.
all’oggetto e al disegno della pianta redatta dallo Stefani, conservata IX, 30.
302 G. Bartoloni, M. Taloni
30 Inv. 87813. Gierow 1964, p. 228, fig. 132, 75. 484, g; Gierow 1964, p. 218, fig. 127, 49; CLP 1976, p. 88, tav. IX, 3.
31 Inv. 87741. Antonielli 1924, p. 484, g, fig. 36; Gierow 1964, p. 32 Inv. 87682. Antonielli 1924, p. 479, g; Gierow 1964, p. 210, fig. 123,
218, fig. 127, 50; CLP 1976, p. 88, 4; inv. 87742; Antonielli 1924, p. 19; Gierow 1966, p. 325, tipo XVIIa1; CLP 1976, p. 96, tav. XII, 21.
Ruoli femminili nell’orientalizzante laziale 303
Il gruppo XII Blinkenberg occupa anche un ampio arco cronologico che va dalla metà dell’VIII agli inizi del VI
sec. a.C.; tuttavia il sottotipo di Gordion, che più si avvicina all’esemplare della tomba 29, è databile tra la fine dell’VIII
e l’inizio del VII sec. a.C.
L’Antonielli ipotizzava per tali importazioni una mediazione greco-orientale, focese in particolare (Antonielli
1931, pp. 199-200), e così Colonna (Colonna 1974, p. 314). Tuttavia si preferisce pensare ad un tramite di commer-
cianti fenici, stanziatisi in Sicilia, in Sardegna e nell’emporio euboico di Pithecusa almeno nella seconda metà dell’VIII
sec. a.C., tramite confermato anche dalla presenza nel Lazio di altri materiali fenici, quali tripod-bowls e soprattutto anfo-
re, oppure a commercianti greci euboici di Cuma o ancora di Pithecusa (Bartoloni, Cataldi Dini 1980, pp. 140-141;
Bartoloni 1986, p. 106).
Gli scarabei33 (fig. 7, 6), invece, sono stati interpretati come imitazioni di esemplari siriaci (Antonielli 1924,
p. 479, nota 1) o fenici (Cataldi Dini 1976, p. 95); molto probabilmente non ci si rendeva conto del senso celato nelle
composizioni imitate, riprodotte solo per quello che erano apparentemente, cioè immagini divine e segni bene auguran-
ti e protettori (Matthiae Scandone 1975, p. 16), oggetti curiosi usati come sigilli, posseduti per la loro esoticità e bru-
ciati con il defunto come resto dei suoi oggetti personali (Hall 1913, p. VIII). Tuttavia costituiscono una testimonianza
significativa dei commerci transmarini che toccano il Lazio, anche nelle sue zone più interne, grazie alla mediazione di
commercianti greci e orientali e dei centri più grandi che sfruttano sia i percorsi interni, attraverso le valli del Sacco e del
Liri, sia quelli via mare (Colonna 2005a, p. 676; Bartoloni 1994, p. 200).
Nella fase IVB mancano del tutto gli ornamenti personali nei corredi tombali: la non integrità degli stessi e la scarsità
di documentazione non permettono di verificare l’ipotesi che tale assenza possa essere messa in relazione con la promulgazio-
ne di leggi suntuarie o provvedimenti analoghi, sul tipo di quelli diffusi in ambiente ellenico, indizio dell’esistenza di un potere
centrale forte (Roma) e conferma dell’avvenuto compimento del processo di formazione della città (Colonna 1977; Ampo-
lo 1984; Bartoloni 1984, pp. 13-22; Bietti Sestieri, De Santis 2000, pp. 28-29; Bartoloni, Nizzo, Taloni c.s.).
33 Inv. 87676-7. Antonielli 1924, p. 478, a-b; Gierow 1964, p. 210, 6; Gierow 1966, p. 354, tipo Ia3-4. Documentati nel Lazio (Roma,
fig. 123, 12-13; Gierow 1966, p. 366, tipo Ia1-2, fig. 101, 18-19; CLP Castel di Decima) sia in bronzo che in ferro, in contesti di VIII secolo
1976, p. 96, tav. XII, 10-11. (Bedini, Cordano 1980, p. 103, tav. 22, tipo 61); cfr. Bietti Sestieri
34 Tomba 1, mancanti. Antonielli 1924, 442 c; Tomba 27, inv. 1992a, p. 406, tav. 42, tipo 71a Osteria dell’Osa (III periodo), per il
87653a-b. Antonielli 1924, p. 473, a; Gierow 1964, p. 202, fig. 119, Latium vetus; Dohan 1942, p. 70, pl. XXXVII, n. 26, Narce, tomba 7F
304 G. Bartoloni, M. Taloni
Ferro Tombe
Fuseruole Coltelli
Tombe IVA1
Spade Daghe Punte di lancia
IVA1 13F 2
30F 1
1 1 (dischi decorativi balteo)
11M 1
11 1 1 1 Tombe
12 1 IVA2
18F 1
27 1 (dischi decorativi balteo) 1
19M 1
Tombe 21F 2
IVA2
29F 1
3 1
10 1 Tab. 10 – Distribuzione degli utensili nelle tombe maschili e
femminili.
19 1
20 1
22 1
Tombe
IVB
25 1 Tab. 9 – Distribuzione delle armi nelle tombe maschili.
Inoltre la frammentarietà dei pezzi e il cattivo stato di conservazione non hanno permesso una classificazione
tipologica precisa, soprattutto della spada e della daga, entrambe provenienti dalla tomba 1135 (fig. 8, 1-2), mentre le
punte di lancia sembrano essere tutte a cannone conico distinto, largo alla base, lama foliata piena con espansione nella
metà inferiore e forse costolatura centrale36 (fig. 9, 1).
Fig. 9 – 1. Punta di lancia in ferro del tipo a cannone, tomba 20; 2. Fram-
menti di coltello/i in ferro del tipo a codolo, tomba 11; 3a. Fuseruola
Fig. 8 – 1. Spada in ferro, tomba 11; 2- daga (?) in ferro, tomba 11; 3-4. sfaccettata, tomba 21; 3b. Fuseruola liscia, tomba 21; 4. Frammenti di
Dischi decorativi in ferro del balteo di una spada, tomba 27. verga di ferro, tomba 13; 5. Frammenti di verga di ferro, tomba 5.
(orientalizzante antico), per l’area falisco-capenate; T. Sabbatini, in corredi maschili più importanti della necropoli, ma non sembrano
Matelica 2008, pp. 60-61, cat. 9, tomba 77, loc. Brecce, Matelica (primo essere effettivamente indossate (Bietti Sestieri 1992a, p. 399); per
quarto VIII sec. a.C.) con ulteriori confronti. la spada un confronto, anche se non puntuale, è in Dohan 1942, p.
35 Tomba 11, inv. 87509a, b, f. Antonielli 1924, p. 455, a; Gie- 65, pl. XXXIV, n. 17, Narce, tomba 2F, invece non ne ho trovati per
row 1966, p. 165, fig. 96, 3; Gierow 1966, p. 357, tipo IVA1; inv. l’ipotetica daga.
87511a, 87513a, b; Gierow 1964, p. 165, fig. 96, 4. Ad Osteria 36 Tomba 20, inv. 87582. Antonielli 1924, p. 465, a; Gierow 1964,
dell’Osa sono associate sempre a punte di lancia, sono presenti nei p. 184, fig. 107, 7; Gierow 1966, p. 355, tipo Ia. Il tipo sembra esclusi-
Ruoli femminili nell’orientalizzante laziale 305
Gli utensili sono esclusivamente relativi al costume femminile e limitati alle fuseruole; solo i frammenti, proba-
bilmente riconducibili ad uno o due coltelli di piccole dimensioni in cattivo stato di conservazione, sono presenti in un
corredo maschile (tomba 11).
Le fuseruole sono tutte di forma bitroncoconica più o meno simmetrica, per lo più sfaccettate (fig. 9, 3a), oppure
del tipo liscio37 (fig. 9, 3b); i frammenti di coltelli, invece, sono riconducibili al tipo con codolo a sezione rettangolare
per l’inserimento del manico in materiale deperibile e lama a profilo continuo con andamento leggermente sinuoso38
(fig. 9, 2).
Dubbio rimane il caso della tomba 19 che, oltre alla fuseruola, presenta anche una cuspide di lancia, in cui la
fuseruola è forse interpretabile come oggetto personale, appartenente ad una donna della famiglia, offerto al momento
della deposizione (Bietti Sestieri, De Santis, La Regina 1989-1990, pp. 65-88).
È interessante il fatto che non siano stati rinvenuti spiedi, ipotizzabili forse solo nel caso di alcuni frammenti di
verga provenienti dalle tombe femminili 13 e 539 (fig. 9, 4-5).
Graf. 3 – Posizione degli ornamenti personali nelle tombe. Graf. 4 – Posizione delle armi nelle tombe.
vo dell’orientalizzante, in particolare della fase laziale IVA2 (Bietti Se- IB1. Con il III periodo e l’orientalizzante gli esemplari sono tutti di ferro
stieri 1992a, p. 408); vedi anche Bartoloni 1975, p. 319, figg. 103 e di dimensioni normali (non miniaturizzati) il che fa pensare ad un uso
b-c e 105, nn. 34-36, Castel di Decima, tomba 152; per Pontecagnano comune non cultuale; questo tipo a profilo continuo sembra il più diffuso
vedi d’Agostino 1968, p. 84, fig. 7, C, tipi 596, 575, 601. (Bietti Sestieri 1992a, p. 398; cfr. anche Bartoloni 1975, p. 319, figg.
37 Tomba 21, inv. 87605 e 87595. Antonielli 1924, p. 467, l-a; 103d e 105, n. 39, Castel di Decima, tomba 152; Bedini 1988-1989, p.
Gierow 1964, pp. 186, 188, fig. 108, 10 e 3; Gierow 1966, p. 307, 228, fig. 9, n. 1, Tor de’ Cenci, Roma, tomba 5, passaggio III-IV periodo;
tipo Ic1, Ia6. Le fuseruole sono presenti in un grandissimo numero di d’Agostino 1968, p. 85, fig. 7, H, Pontecagnano), rispetto al tipo a lama
complessi italiani sia di necropoli che di abitato, nella versione liscia e leggermente arcuata, con stretto e breve codolo fissato all’immanicatura
sfaccettata, senza che si possano distinguere sostanziali differenze cro- da un chiodino: interpretato sia come arma, sia come utensile per uso
nologiche. La loro presenza, come quella dei rocchetti, dovrebbe indi- domestico perché rinvenuto anche in una tomba infantile.
care un corredo femminile, anche se non tutti gli autori sono d’accordo 39 Tomba 5, inv. 87466f. Gierow 1964, p. 154, fig. 90, 13; tomba 13,
(Bosio, Pugnetti 1986, p. 97, nota 81). inv. 87536c; Gierow 1964, p. 170, fig. 99, 21. In Fulminante 2003,
38 Tomba 11, inv. 87509d, 87511b, 87513c. Antonielli 1924, p. 450, p. 216, si afferma che lo spiedo è presente solo nella tomba 22, ma i due
c; Gierow 1964, p. 165, figg. 96, 6-7; Gierow 1966, p. 357, tipi IIIA1-2, frammenti a forma di uncino, ora mancanti (Gierow 1964, p. 190, fig.
306 G. Bartoloni, M. Taloni
110, 7), sembrano pertinenti al gancio di un cinturone di cuoio piutto- vasi specificamente potori. Tale versatilità sembra motivata oltre che da
sto che a degli spiedi. ragioni ergonomiche (la presa singola infatti consente tutte e tre le azio-
40 Non sempre è stato possibile desumerne l’esatta posizione dal reso- ni) anche probabilmente da motivi legati all’origine della forma stessa
conto dello scavo redatto da Antonielli e Stefani. come vaso dalle molteplici funzioni, che risalirebbe all’età del Bronzo
41 A tale proposito è utile ricordare quanto suggerito da M. Gras finale. In questo senso, la tazza-kyathos conserverebbe all’interno dei
(Gras 1984, pp. 325-339) circa tale forma, che sarebbe destinata a corredi funerari di età orientalizzante una sorta di ruolo legato non solo
«muoversi in uno spazio orizzontale», proprio all’interno dei convivi, all’utilità e genericità della forma, ma forse anche alla sua tradizione.
mentre in uno spazio verticale, finalizzato all’offerta rituale, si muove- Inoltre è da rimarcare la presenza di varie classi dimensionali anche
rebbe il calice a vasca carenata di impasto, identificato con il vocabolo all’interno dello stesso corredo che sottolineano il ruolo di misuratore
thapna fin dal VII secolo, metonimia del campo semantico dell’offerta. di capacità della tazzina-kyathos; infatti il termine graco kyathos indica
42 La tazza-kyathos, nelle adatte varianti dimensionali, può essere utiliz- tanto la forma vascolare in questione, quanto una specifica unità di mi-
zata per attingere liquidi dai vasi della mescola e a sua volta per versarli in sura (B. Belelli Marchesini, in di Gennaro et alii 2006, p. 227).
Ruoli femminili nell’orientalizzante laziale 307
ad una differenza di ceto sociale e ad un ruolo ben distinto all’interno dell’organizzazione politico-militare della
comunità.
Tuttavia l’eccezionalità nell’ambito di una necropoli in cui non si verifica mai l’associazione spada, daga, coltello,
lancia induce ad attribuire, almeno al defunto della tomba 11, un ruolo sociale particolare e di prestigio, con compiti
militari e/o comunitari differenti rispetto ai soli possessori di lancia (Zevi 1977, p. 258).
In questo caso non sarebbe attestata solo la funzione di guerriero, secondo il fenomeno documentato a partire
dalla seconda metà dell’VIII secolo contemporaneamente nel Lazio, nell’agro falisco e soprattutto in Etruria, dove as-
sume una dimensione quantitativamente più rilevante e costante all’interno di una stessa necropoli, ma anche quella di
possessore di coltello, cioè di controllo e organizzazione delle risorse alimentari del gruppo o della famiglia (Bartolo-
ni 2003, p. 126).
Infatti il coltello veniva utilizzato nell’uso quotidiano e nel banchetto funebre per la spartizione delle porzioni
di carne ed è prerogativa di personaggi eminenti, probabilmente detentori anche dell’autorità religiosa (Bartoloni
2003, p. 124).
Il fatto che il coltello si trovi in un corredo maschile contrasta con la tendenza verificata nel Lazio dove appare
peculiare per lo più del mondo muliebre (ad Osteria dell’Osa, nelle tombe di VIII sec. a.C., dove le donne detentrici di
coltello sono state interpretate come sacerdotesse; a Castel di Decima, nella tomba 132; a Caracupa, nelle tombe II e IV;
a Lariano, località Vallone, nella tomba femminile), al contrario di quanto accade in ambiente villanoviano sin dall’VIII
sec. a.C. (Bartoloni 2003, p. 125; cfr. sopra il contributo di G. Bartoloni).
Inoltre va aggiunto che rispetto ai coltelli documentati a Castel di Decima, a Caracupa e in località Vallone le
dimensioni sono decisamente minori e totalmente diversa è la tipologia (lama a profio continuo e manico a codolo an-
ziché lama a fiamma e manico a robusta maniglia quadrangolare) e il materiale usato (ferro anziché bronzo).
Se l’utilizzo del ferro farebbe propendere per un possibile utilizzo delle armi, tuttavia, la posizione sia delle spade
(sul torace), sia delle lance (presso la testa o ai piedi del defunto) sembrerebbe avvalorare l’ipotesi che siano collegate
solo allo status del defunto come simbolo di condizione sociale (Bartoloni 2003, pp. 168-170).
Questo aspetto, insieme alla sobrietà del costume maschile, accomuna la necropoli di Riserva del Truglio a quel-
la di Castel di Decima e di Osteria dell’Osa (Zevi 1977, p. 259; Bartoloni, Cataldi Dini, Zevi 1982, pp. 261-262;
Bietti Sestieri 1992a, p. 405): piccole comunità non pacifiche, ma in continuo stato di guerra tra loro, dedite anche ad
attività predatorie nei confronti dei villaggi vicini e di controllo della vie di comunicazione.
Invece nel caso della presenza della sola lancia, come sembra la regola nel momento più avanzato del periodo
IVA, questa potrebbe non essere più interpretata solo come segno distintivo dell’individuo atto alle armi, guerriero,
ma potrebbe probabilmente adombrare un’altra condizione, maggiormente diffusa e comunque distinta nella struttura
sociale: quella del pater familias (Scarani 1996, pp. 322-323, 330).
Infatti l’hasta, connessa a Marte e Quirino, era presso i Latini anche il segno della regalità più arcaica, del rex,
inteso come signore dell’embrionale organizzazione politica di villaggio e poi di tipo proto-urbano (Scarani 1996, pp.
329-330).
Ciò sarebbe evidente nel III periodo ad Osteria dell’Osa e connesso al formarsi di un’ideologia di tipo gentilizio
e al consolidarsi della struttura patriarcale e familiare, così definita e formalizzata anche nel rito funerario (Scarani
1996, p. 331).
Sembra perciò plausibile che, nella comunità più modesta di Riserva del Truglio, il rafforzarsi di strutture e vin-
coli familiari, come diretti precedenti allo sviluppo dell’organizzazione gentilizia, si ponga nel momento avanzato del
periodo IVA, in ritardo rispetto ad altre realtà più evolute dal punto di vista socio-politico e magari proprio su influsso
di quelle comunità con cui si intrattenevano scambi e contatti.
Differente è il quadro offerto dal costume femminile ricco di ornamenti in bronzo e altro materiale, anche qui
con alcuni corredi emergenti, soprattutto nel momento iniziale della fase IVA (tombe 13, 30, 28) caratterizzati da fibule,
anelli (sia fusi che da sospensione in tutte le tombe), elementi di collana in altro materiale a cui si aggiunge a volte il brac-
ciale e i cinturoni nel caso della tomba 30, che ha solo materiale in bronzo e la combinazione maggiore di ornamenti.
Anche nel caso dei corredi femminili si nota, nel corso del VII secolo, una diminuzione della ricchezza, dal punto
di vista qualitativo più che quantitativo, rimanendo i corredi femminili sempre abbastanza ricchi di ornamenti rispetto
a quelli maschili.
308 G. Bartoloni, M. Taloni
Tuttavia nello standard comune si notano maggiormente le differenze con i corredi emergenti: il bracciale si
trova solo nella tomba 29, che presenta anche un gancio di cinturone e due scarabei d’imitazione siriana; gli elementi
di collana in ambra e pasta vitrea ricorrono solo nelle tombe 21 e 26, mentre la parure base è composta da fibule, anelli
(fusi per lo più, mentre quelli da sospensione ricorrono solo nelle tombe 5 e 7) e pendenti.
Oltre agli oggetti d’ornamento le donne sono caratterizzate unicamente da una fuseruola (solo in due casi da
due: tombe 13 e 21), mentre mancano del tutto rocchetti, fusi e/o conocchie.
La fuseruola, simbolo del fuso con asta lignea, connota le donne della necropoli essenzialmente come filatrici,
anche quelle con corredo emergente (Bartoloni 2003, pp. 120-121).
Questo fatto, insieme alla mancanza del coltello con tutto ciò che a livello di ruolo sociale ne consegue, come
sopra evidenziato, è il probabile segno dello scarso ruolo sociale avuto dalle donne all’interno di questa comunità a base
patriarcale.
Infatti la loro sfera sembra essere limitata all’ambito domestico e al ruolo di bene di prestigio in sé, keimelion da
esibire e da scambiare nei matrimoni a livello delle famiglie aristocratiche (Bartoloni 2003, p. 130).
Anche la scrittura appare in questa comunità prerogativa maschile; infatti un calice d’impasto con la lettera A
graffita sotto il piede proviene dalla tomba 20, maschile, caratterizzata da corredo ceramico e punta di lancia in ferro,
databile all’orientalizzante medio.
Invece, altrove, la donna sembra avere un ruolo importante nella sua diffusione: ad Osteria dell’Osa la più antica
iscrizione alfabetica in Italia è stata trovata su un vaso proveniente da una tomba femminile databile al IIB; una defunta,
che il rito dell’incinerazione definisce tra le più importanti della necropoli e mette in connessione con l’Italia meri-
dionale (Bietti Sestieri, De Santis 2000, p. 53); anche nella necropoli di Veio, Quattro Fontanili i più antichi segni
alfabetici sono su strumenti femminili (Bartoloni 1989, pp. 117-128).
Tuttavia l’importanza del rapporto di coppia è forse adombrato dalla sepoltura bisoma delle tombe 27-28, con
corredi separati ma considerati contemporanei ed entrambi caratterizzati da elementi di prestigio (la spada in quello
maschile e la patera baccellata in quello femminile, oltre agli elementi di collana e alle fibule di grandi dimensioni)43;
comunque non si può affermare fino a che punto possa essere la testimonianza dell’integrazione della donna in un ceto
socialmente eminente, se in virtù di uno specifico ruolo sociale o solo in quanto “bene da esibire, ornamento perso-
nale”, né che si possa in questo caso parlare di sacrificio umano come proposto in casi simili da Peroni (Peroni 1981,
p. 300).
Il diminuire della ricchezza sia nei corredi maschili, che, in parte, in quelli femminili durante il VII secolo, con
la totale assenza di ornamenti nel periodo IVB, come riscontrato anche a Castel di Decima (Bartoloni, Cataldi
Dini, Zevi 1982, p. 269), a Osteria dell’Osa (Bietti Sestieri, De Santis 2000, p. 29) e a Veio (Bartoloni 1984, pp.
13-28), potrebbe attribuirsi, oltre alla mancanza di documentazione e ad un effettivo calo demografico alla presenza di
leggi suntuarie o provvedimenti analoghi, sul tipo di quelli diffusi in ambiente ellenico, indizio dell’esistenza di un po-
tere centrale forte (Roma) e conferma dell’ormai avvenuto compimento del processo di formazione della città (Bietti
Sestieri, De Santis 2000, pp. 28-29).
Dal punto di vista della struttura tombale, invece, sembra esserci una tendenza non solo a maggiori dimensioni
delle tombe maschili rispetto a quelle femminili, anche ad una diminuzione delle dimensioni delle fosse in generale
dalla fase iniziale del IVA a quella avanzata, fermo restando il valore ipotetico di tali considerazioni dato il campione
minimo di dati disponibili.
L’orientamento, laddove è possibile rintracciarlo, è abbastanza variabile, pur notandosi una leggera preferenza
per la direzione SE-NO o EO e SN.
L’unica costante è che la testa del defunto è sempre posta in un angolo che varia da NE a S, ma non è mai posta
ad O; solo in due casi (tombe 11 e 20) si è certi che la testa era volta ad oriente.
Altrove, come a Castel di Decima per esempio, l’orientamento è più costante: NE-SO con testa verso NE, di-
sposizione certo portatrice di un valore rituale preciso, evidenziato dal contrasto con alcune fosse che non seguono tale
disposizione (Bartoloni, Cataldi Dini, Zevi 1982, p. 258).
43 In Fulminante 2003, p. 216, si afferma che la tomba 27, quella che peraltro si riscontra, data l’acidità del terreno, in molti altri casi, né
maschile della sepoltura bisoma, sia ad incinerazione, ma non credo ci sembrano esserci indicazioni al riguardo da parte dello scavatore Stefa-
siano elementi per poterlo affermare, se non la mancanza di resti ossei, ni, neppure nei dati d’archivio.
Ruoli femminili nell’orientalizzante laziale 309
La sensazione è che ci si trovi di fronte ad una comunità non ancora proto-urbana, cioè basata su una struttura
gentilizio-clientelare che fa del gruppo familiare il nucleo della società, anche se non più ad assetto territoriale o tribale
(Peroni 1996, pp. 24-43; cfr. Peroni 1981, pp. 267-282), dove è la comunità nel suo insieme a controllare le risorse e a
possedere la terra, ma poco differenziata, al cui interno si nota una qualche forma di stratificazione sociale individuabile
nella differenziazione di alcuni corredi eminenti rispetto agli altri e quindi l’emergere di una piccola aristocrazia locale
che magari gestisce soprattutto i commerci e in parte la terra. Comunque è evidente un diverso modo delle classi emer-
genti di rappresentarsi a livello ideologico che presuppone un’autocoscienza, una consapevolezza di sé e della propria
ricchezza e potere, oltre alla volontà di esibirli e ostentarli.
Inoltre la notizia di una sepoltura “principesca” orientalizzante nel territorio di Marino, in località Selve, ci è
data anche dal Lanciani44: la tomba era in ciottoli di peperino irregolari, con piano fondo circa 1.50 m, e conteneva due
fibule di metallo con ornati elegantissimi, tre grandi fibule d’ambra, una delle quali fasciata d’oro, 17 fibule d’ambra o di
metallo, una o più collane d’ambra, una collana di globuli di pasta vitrea, un coltello di bronzo, un vaso di bronzo a forma
di tripode, in frammenti, vasi di bucchero graffiti e vasi d’impasto.
Il processo di formazione della città, che trova le sue fondamenta nelle società gentilizio-clientelari, tuttavia, non
arriverà mai a conclusione in alcuni settori della regione dei Colli Albani, già da tempo comunque in ristagno e regresso,
a causa dell’affermarsi della supremazia romana.
I motivi dell’inizio di una fase espansionistica nella storia di Roma sono prima di tutto economici: «la funzione
di rispettabile centro commerciale, di tramite tra Veio e il mondo latino, di intermediario tra gli stimoli provenienti dal mare e
le zone interne della media valle tiberina, che caratterizza già dall’VIII secolo l’aggregato romano, richiede necessariamente un
certo controllo della via d’acqua e degli itinerari terrestri oltre ad una condizione generale favorevole di accordo e di collabora-
zione con le comunità vicine. Di qui la necessità di tentare di rimuovere ostacoli ove essi si presentino sia in direzione della piana
costiera sia per così dire alle spalle, in direzione del dominante massiccio albano» (Pallottino 1993, p. 182)45.
La tradizione pone infatti nel VII secolo, sotto il regno di Tullo Ostilio, la distruzione di Alba e l’espansione verso
il mare attribuita ad Anco Marcio con la conquista di Medullia, Politorium46, Tellenae e Ficana47, in parte ricordati negli
elenchi pliniani dei populi48 del Lazio scomparsi senza lasciare traccia: «obiettivo finale era la libertà di navigazione sul
Tevere fino alla sua foce (…), con la creazione di un porto, cioè praticamente del primo impianto di Ostia»49 (Pallottino
1993, p. 185).
Tuttavia molta parte del Latium Vetus, nel VII secolo, doveva essere estranea alla sfera d’azione diretta di Roma:
Gabii, Tivoli, Palestrina, Ardea, Anzio, Satricum, infatti, conoscono un momento di ricchezza e sviluppo culturale senza
precedenti.
Riguardo, infine, la questione della formazione della città nel Lazio50, probabilmente va rivista l’idea di un suo
ritardo51, nel senso che «una realtà politica c’è già da molto tempo, anche se diversa da quella che sarà rappresentata dalla
città-stato»52. La si intravede dall’inizio dell’VIII secolo53, nelle differenze riscontrabili a livello funerario che presup-
pongono lo strutturarsi di un’organizzazione gentilizio-clientelare, base del processo di formazione della società urbana
antica, anche se, a differenza dell’Etruria, non si ha quella concentrazione degli insediamenti nell’ambito di pianori che
poi ospiteranno le future città storiche54, ma un’occupazione capillare del territorio diviso in piccoli potentati e forse
per questo più facilmente preda della nascente realtà romana, la quale sola porterà a compimento, nel Lazio, il processo
44 Lanciani 1884, p. 108; Fulminante 2003, p. 217, dove si afferma Peroni 2000, pp. 29-30.
che è bisoma. 51 Al riguardo cfr. Carandini 2000, pp. 481-482.
45 Cfr. anche Pallottino 1960. 52 Colonna 1983, p. 433.
46 Per la possibile identificazione con Castel di Decima cfr. Colonna 53 A.M. Bietti Sestieri nell’analisi della necropoli di Osteria dell’Osa
1974, p. 277; F. Zevi in Bartoloni et alii 1975, p. 243; diversamente data al 770 a.C. (passaggio dalla fase laziale IIB alla III, ovvero dalla
Bedini 1990, p. 52, dove si ipotizza una, seppur preliminare, identifi- fase I alla II dell’Etruria) la fine della famiglia allargata di carattere
cazione con il sito di Acqua Acetosa Laurentina, con la quale non con- egualitario e la divisione della società fra gentes e clientes (d’Agostino
corda Colonna: cfr. Colonna 2005b, p. 693. 2005, p. 25), Il «corrispettivo di questa nuova organizzazione sociale si
47 Su Ficana si vedano i volumi di Fischer-Hansen 1990 e Brandt vede nella divisione spaziale delle necropoli in gruppi separati di tombe, che
1996; sul rapporto con Roma e il Tevere Zevi 2000, p. 234. durano un lasso di tempo di diversi decenni» (Bietti Sestieri 1992b,
48 Riguardo i dati letterari e archeologici cfr. Carandini 2000, pp. pp. 241-242).
233-238; Carandini 2006, p. 404 e Carafa 2000, pp. 610-617. 54 Sulla formazione delle città in Etruria da ultimo cfr. Dinamiche di
49 Riguardo la questione di Ostia arcaica cfr. Zevi 1996, pp. 82-89; sviluppo delle città nell’Etruria meridionale: Veio, Caere, Tarquinia, Vul-
Zevi 2000, pp. 233-237. ci, Atti del XXIII Convegno di studi etrusco-italici, Roma-Veio-Cerveteri/
50 Sulle varie interpretazioni del fenomeno proto-urbano in Etruria e Pyrgi, Tarquinia, Tuscania, Vulci, Viterbo, 1-6 Ottobre 2001, voll. I-II,
nel Lazio una sintesi si trova in Carafa 2000, pp. 457-487; cfr. anche Pisa-Roma 2005.
Ruoli femminili nell’orientalizzante laziale 311
di formazione urbana fino alla costituzione di uno stato di potenza e confini inauditi. Esso infatti si esplicita nella netta
distinzione tra pubblico e privato, nella presenza di un forte potere centrale che regoli, tramite leggi, il vivere della comu-
nità che in esso si rispecchia e dal quale la comunità stessa viene rappresentata anche all’esterno, «in forme di organizza-
zione sociale che consentano una concentrazione di surplus controllata da vere e proprie gerarchie amministrative»55.
Tutto ciò esiste già nella Roma dei primi re e delle curie56, a loro volta conseguenza dell’emergere di una classe
aristocratica nella III fase laziale e del processo di appropriazione dei mezzi di produzione57, secondo una progettua-
lità di tipo protourbano, autonoma, non influenzata da quella delle colonie greche58, che pure larga parte hanno avuto
nell’evoluzione di tale processo.
Maria Taloni
55 Guidi 1982, p. 280. 57 Guidi 1982, p. 288, nota 62.
56 Colonna 1983, p. 433. 58 Peroni 1983, p. 437; Peroni 2000, p. 26.
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