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ISSM G.

Verdi
Corso di Storia e storiografia della
musica
Corso Accademico Triennale – I
livello
Anno Accademico 2018-2019

Portfolio di Spano Amerigo

Indice:
G.Binchois: De plus en plus
J.Ockeghem: Missa Prolationum
J.Desprez: Miserere mei, Deus
G.P. da Palestrina: Missa Papae Marcelli
C.G. da Venosa: Beltà poiché t’assenti
C.Monteverdi: Orfeo
C.Monteverdi: Il Combattimento tra Tancredi e Clorinda
J.B. Lully: Armide
P.Metastasio: Olimpiade
H.Purcell: Dido and Aeneas
De plus en plus
di Gilles Binchois
La vita
Gilles Binchois (ca.1400-1460) viene considerato il compositore più rappresentativo
del repertorio profano borgognone e, insieme a G.Dufay, rappresenta la prima
generazione dei maestri fiamminghi. Inizialmente sembrava volesse seguire sia la
ricerca musicale che la carriera militale; più tardi prese gli ordini religiosi e dal 1430
fu al servizio di Filippo il Buono, signore di Borgogna, fino alla sua morte nel 1460.
Binchois scrisse oltre 60 chanson (quasi tutte in forma di rondeau)

Analisi
Il brano, scritto a tre voci, è un esempio di chansonne in forma rondeau cinquain
(ABaAabAB). Il testo è in francese, ed esprime il tema poetico dell'amore spirituale
inappagabile e inappagato tipico dell'amor cortese. Questo è un esempio perfetto di
uno stile dominato dal soprano, poiché nessuna delle altre due parti è predisposta
per l'esecuzione vocale; questo influenza il primo stile sacro delle Messe e dei
mottetti, scritte cioè con una parte solista di soprano liberamente melodica
accompagnata a un tenor e sostenuta da un contratenor.
Missa Prolationum
di Johannes Ockeghem
La vita
Johannes Ockeghem (ca.1410-1497), compositore della seconda generazione dei
maestri fiamminghi, entrò nel 1452 a far parte della cappella di Carlo VII re di
Francia e, nel 1465, ne diventò direttore (maÎtre de chappelle) conservando la carica
fino alla sua morte. Per quanto sappiamo, non fu un compositore particolarmente
prolifico (i suoi lavori a noi noti comprendono circa 14 messe, 10 mottetti e una
ventina di chansons) ma ebbe comunque una grandissima fama, sia come
compositore, sia come maestro di molti dei grandi Olandesi della generazione
sucessiva.

Analisi
La Missa Prolationum (delle prolazioni) è una prova del virtuosismo compositivo di
Ockeghem. Essa, a differenza della maggior parte delle messe cicliche, non è
fondata su una melodia preesistente, ma si serve di un singolare procedimento
compositivo. Costruita quasi totalmente su una successione di doppi canoni
mensurali: vi è un canone tra la coppia di voci superiori ed un altro tra le due voci
inferiori, ovvero due coppie di voci cantano simultaneamente due diversi canoni
(doppio canone) e ciascuna coppia presenta simultaneamente la stessa melodia, ma
con valori differenti di durata (canone mensurale). Da notare inoltre che le quattro
voci sono notate ciascuna in una prolatio (prolazione o misura) diversa: le voci
superiori usano la prolazione “minore”, le altre due la prolazione “maggiore”; in
ciascuna coppia una voce è in tempo “perfetto”, l’altra in quello “imperfetto”. Questa
messa, come detto prima, è un esempio della grande perizia tecnica del
compositore, che però non intacca minimamente la spontaneità artistico espressiva
dell’autore. È molto improbabile che chiunque ascolti la messa riesca ad avvertire la
presenza di una serie di canoni mensurali.
Miserere mei, Deus
di Josquin Des Prez
La vita
Josquin Des Prez (ca.1440-1521) va annoverato tra i più grandi musicisti di ogni
tempo. Pochi musicisti raggiunsero una fama maggiore in vita, o esercitarono
un’influenza più profonda e duratura sui successori. Fu ritenuto dai suoi
contemporanei “il miglior compositore del nostro tempo” e il “Padre dei musicisti”.
Dal 1473 al 1749 fu membro della cappella ducale della famiglia Sforza, dal 1486 al
1494 ci è testimoniatala sua presenza nella Cappella papale a Roma; tra il 1501 e il
1503, a quanto pare, fu in Francia, forse alla corte di Luigi XII. Nel 1503 fu nominato
maestro di cappella a Ferrara, ma l'anno dopo decise di tornare in Francia. Le sue
composizioni complessivamente comprendono circa 18 messe, un centinaio di
mottetti, 70 chansons e altre composizioni vocali profane.

Analisi
Composto dietro esplicita richiesta di Ercole I d'Este, il mottetto è stato paragonato al
“Giudizio Universale” di Michelangelo Buonarroti con le seguenti parole:- Ci troviamo
di fronte a un lavoro musicale di potenza, intensità, visione, grandezza di concezione
e fervore religioso paragonabile, e per certi versi forse superiore, all'opera di
Michelangelo-. Il testo, tratto dal salmo n.50 (Pietà di me, o Dio), è diviso in tre
ampie parti che vengono unificate mediante un ostinato melodico di semplicità
estrema ripetuto 21 volte nel tenor II sulle parole Miserere mei, Deus. Nella prima
parte l'ostinato appare otto volte e attacca ciascuna ripetizione su un grado inferiore
della scala di ottava, per poi salire seguendo il procedimento esattamente opposto
nella seconda parte, e riscendere di una quinta nella terza parte. Su questo cantus
firmus le altre voci intonano un materiale diversificato e accuratamente adattato alle
parole. Il flusso contrappuntistico è a volte interrotto da passi in stile di falsobordone.
Missa Papae Marcelli
di Giovanni Pierluigi da Palestrina
La vita
Nato a Palestrina, cittadina nei pressi di Roma, Giovanni Pierluigi da Palestrina
(ca.1525-1594) svolse la sua carriera artistica esclusivamente a Roma, sotto il
Pontificato di ben dodici Papi. Giovanissimo, fece parte del coro e ricevette la propria
educazione musicale in Santa Maria Maggiore e, nel 1550, diventò maestro della
Cappella Giulia in San Pietro. Nel 1554 pubblicò il suo primo libro di Messe, dedicato
al suo protettore Papa Giulio III (Papa dal 1550 a 1555, in precedenza vescovo di
Palestrina). Nel 1555 prese il posto di maestro del coro della basilica di San
Giovanni in Laterano e, sei anni dopo, passò alla medesima carica in Santa Maria
Maggiore. Dal 1567 al 1571 insegnò presso un Seminario della Società di Gesù, da
poco fondata a Roma. Successivamente fu richiamato a San Pietro, dove rimase
maestro del coro fino alla sua morte.

Analisi
La Messa fu scritta nel 1562/63, periodo nel quale si svolgeva il Concilio di Trento
(1545-1563). Una delle grandi discussioni era la comprensibilità del testo e venne
compilato il Canone sulla musica da utilizzarsi nella Messa, dove veniva chiesto “che
le parole venissero comprese da tutti”. La linea melodica di ogni parte vocale è: di
lungo respiro, un'articolazione duttile in misure ritmiche di diversa lunghezza e con
prevalenza dei movimenti per grado, con poche note ripetute, quasi sempre entro
una estensione di nona, facilmente cantabile, i pochi salti oltre una terza, mai esposti
drammaticamente ma ammorbiditi dal ritorno per moto contrario a una nota
all'interno dell'intervallo prodotto dal salto; in sintesi una curva melodica pacata,
naturale ed elegante. La purezza di linea si sposa alla purezza armonica. È tipica di
Palestrina l'assenza completa di cromatismo, quella risorsa espressiva utilizzata dai
compositori contemporanei, perché le riteneva delle intrusioni profane inammissibili.
Soltanto le alterazioni essenziali richieste dalle norme della musica ficta sono
tollerate. Gli elementi dell'armonia di Palestrina sono identici a quelli di tutti i
compositori del XVI secolo: una combinazione di linee melodiche tale da formare
quelli che oggi chiameremmo triadi e accordi di sesta. È anche tipico del XVI secolo
il frequente movimento del basso per quarta o quinta, che periodicamente dà vita a
cadenze che più o meno chiaramente definiscono alcuni centri tonali. Il carattere
diatonico dell'armonia e soprattutto il trattamento discreto della dissonanza portano
nella musica di Palestrina una costante serenità e limpidezza sconosciute a quella di
altri compositori.
Beltà poiché t'assenti
di Carlo Gesualdo da Venosa
La vita
Carlo Gesualdo(1566-1613), principe di Venosa, è una delle figure più straordinarie
della vita musicale del cinquecento. Egli appartenne all'alta aristocrazia napoletana,
fu di umore malinconico, ebbe un carattere irrequieto e violento. Dopo aver
assassinato nel 1590 la moglie adultera con il suo amante, si trasferì a Ferrara,
sposando Eleonora d'Este e venendo così a contatto con il fertile e stimolante
ambiente culturale ferrarese; qui fece pubblicare i primi quattro dei suoi sei libri di
madrigali. Dopo il 1597 torna a Napoli e mantenne a sue spese, e per suo uso
personale, una cappella musicale. Negli ultimi anni della sua vita fu afflitto da gravi
disturbi psichici e fisici.

Analisi
Il testo, composto da sei versi (settenari e endecasillabi), è suddiviso in sei immagini
verbali, ovvero dei segmenti che vengono individuati mediante la combinazione
sempre diversa di alcuni procedimenti polifonici, riducibili ad alcune opposizioni di
base: trattamento omofonico o imitativo delle voci; condotta dissonante o
consonante delle parti; andamento diatonico o cromatico dei soggetti. A questa serie
di polarità si sovrappone ancora la variabilità metrica e l'irregolarità ritmica: mentre
nel tactus cinquecentesco il rapporto tra le unità per la singola sillaba era
normalmente di 1:2, per Gesualdo l'unità metrica sillabica può passare di colpo
attraverso rapporti di 1:4 o addirittura 1:8. A garantire il rapporto logico tra le varie
immagini è il testo (nel caso si decidesse di ometterlo, come fece Stravinskij
strumentando proprio questo madrigale, verrebbe meno l'unico legame formale, e la
musica di Gesualdo suonerebbe molto moderna.
Il Combattimento di Tancredi e
Clorinda
di Claudio Monteverdi
La vita
Dopo aver studiato a Cremona, sua città natale, Claudio Monteverdi (1567-1643)
rimane al servizio della famiglia Gonzaga prima come musicista e, nel 1601, divenne
maestro di cappella. Nel 1613 si sposta a Venezia dove diventa maestro di cappella
in San Marco e vi rimane fino alla sua morte.

Analisi
Il brano fa parte del libro VIII, Madrigali Guerrieri e Amorosi, pubblicati nel 1638.
Esso è un lavoro di “genere rappresentativo” o stile teatrale ed è la versione
musicale di un brano del canto XII della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso,
che descrive il combattimento tra il crociato Tancredi e l'eroina pagana Clorinda, e si
conclude con la morte di quest'ultima. Gran parte del testo è narrativa, e Monteverdi
l'affida a al tenore solista sotto forma di recitativo; i pochi brevi dialoghi tra i
protagonisti sono cantati da un tenore e un soprano che, durante il canto della
narrazione, devono mimare le azioni descritte. Gli strumenti, otre ad accompagnare
le voci, eseguono interludi in cui vengono imitati o suggeriti vari momenti dell'azione:
il galoppo dei cavalli, il cozzare delle spade, l'eccitazione del combattimento. A tali
fini, Monteverdi inventò un tipo di musica che chiamò stile concitato, ovvero un
rapido ribattere di note con la stessa altezza e valore.
L'Orfeo
di Claudio Monteverdi
Analisi
Composta sul libretto del letterato mantovano Alessandro Striggio, l'Orfeo venne
allestito nel 1607 a Mantova, in una sala del Palazzo Ducale, in occasione della
seduta della locale Accademia degli Invaghiti . La partitura fu poi stampata a
Venezia nel 1609 e ristampata nel 1615. L'opera è suddivisa in cinque atti preceduti
da un Prologo, e osserva la regola del lieto fine, come detto proprio della tradizione
della forma pastorale. L'aura serena e spensierata del mondo pastorale predomina
in tutta “favola in musica” (in particolare nei primi due atti), ma nei momenti di
maggiore tensione drammatica trovano posto certi caratteri propri della tragedia. Un
esempio è il canto a solo strofico (aria) di Orfeo nel terzo atto Possente spirto,
un'accorata preghiera di eccezionale pathos emotivo che il cantore rivolge a Caronte
(il traghettatore infernale) per lasciarlo entrare entrare nel regno dei morti. Il brano è
costruito su un basso strofico (con ripetizioni invariate) accompagnate da diverse
coppie di strumenti obbligati per rendere idealmente il suono della cetra di Orfeo. Da
evidenziare è la funzione moralistica di stampo classicheggiante riservata ai cori
posti alla fine dei primi quattro atti. I brano corali de l'Orfeo sono dei veri e propri
madrigali a cinque voci e basso continuo. Particolare importanza viene data al timbro
orchestrale. Per la prima volta nella storia dell'opera Monteverdi elenca all'inizio della
partitura, assieme ai personaggi, la serie di strumenti da utilizzare. L'organico
richiesto risponde a criteri espressivi e alcuni sono direttamente collegati a dei
personaggi (ad esempio il regale per Caronte e i tromboni per Plutone).
Armide
di Jean-Baptiste Lully
La vita
Fiorentino di nascita, Lully (1632-1687) fu condotto a Parigi all'età di quattordici anni.
Le prime lezioni di musica gli furono impartite probabilmente alla corte di Francia. In
un primo tempo egli si dedicava alla composizione di entrées e intermezzi per opere
italiane (ad esempio il Xerse di Cavalli), oltre alla produzione di ballets de cour. Dal
1673 iniziò a scrivere tragédies lyriques (ne scrisse tredici, di cui undici erano
composte sui testi di Philippe Quinault). Grazie alla protezione e al sostegno di Luigi
XIV (il Re Sole), Lully compì una rapida ascesa negli ambienti di corte fino a
raggiungere, nel 1672, il posto di direttore all'académie royale de musique. Il re
proibì a chiunque di rappresentare un qualsiasi dramma in musica senza il consenso
scritto di Lully.

Analisi
Tragédie lirique tratta dalla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, l'Armide
(1686) è considerata il capolavoro di Lully. Una delle più commoventi scene di
recitativo è la prima parte del monologo di Armide (Atto II, Scena 5 Enfin il est en
moi puissance), in cui la maga, con un coltello in mano, sorveglia il suo prigioniero, il
dormiente Renaud, e l'amore che gli porta la trattiene dall'affondarlo nel suo cuore.
Lully esibisce il conflitto interiore e le relazioni emotive: il pensiero d'odio omicida per
il prigioniero nemico si trasforma in pietà, poi in tenerezza e infine in amore.
L'orchestra introduce la scena con un intenso preludio, ma lascia
l'accompagnamento al clavicembalo. Armide canta in un ritmo metrico irregolare,
dove, cioè, battute di quattro quarti si alternano a battute di tre. Questo fa si che le
due sillabe che di norma contengono gli accenti principali del verso cadano sempre
in battere. Le pause sono usate per fini drammatici, come nel passaggio in cui
Armide esita.
L'Olimpiade
di Pietro Metastasio
La vita
Formatosi a Roma alla scuola di uno dei fondatori dell'Arcadia (prima accademia a
carattere nazionale, venne fondata nel 1690), Gian Vincenzo Gravina, Metastasio
(1698-1782) fu molto attivo a Napoli dal 1719 al 1730. Decisivo fu il suo contatto con
la nuova generazione di musicisti napoletani (soprattutto con Carlo Broschi Farinelli,
cantante evirato caro amico di Metastasio) e strinse amicizia con Maria Bulgarelli
Benti (detta la Romanina) cantante d'opera per la quale scrisse espressamente il
suo prima dramma serio, la Didone abbandonata (1724). Nel 1730 fu chiamato a
Vienna a coprire l'incarico di poeta della corte imperiale, incarico che mantenne fino
alla morte. Egli può essere considerato il poeta italiano più famoso nel periodo che
va dal Tasso al Leopardi (il suo Artaserse venne musicato da almeno 81 compositori
tra il 1730 e il 1795).

Analisi
Composta a Vienna nel 1733, su ordine dell'imperatore Carlo VI per il compleanno
della consorte, L'Olimpiade, che fu uno dei libretti più noti e musicati, contiene i tratti
tipici dei drammi metastasiani, tra i quali predomina l'esaltazione dell'amore, della
fedeltà e dell'amicizia. L'opera è costruita su un gruppo di sette personaggi: tre
anziani e saggi (il re Clistene, il confidente Alcandro, il precettore Aminta) e due
coppie di giovani innamorati, Licidia e Argene, Megacle e Aristea. Il poeta accentua
la differenza fra arie e recitativo: le frasi “dinamiche” della trama sono affidate al
recitativo, mentre alle arie, sganciate dall'azione scenica, spetta di esprimere i
principali stati d'animo in cui viene a trovarsi il personaggio a conclusione di
un'azione o una situazione scenica. Oltre a suggerire una precisa atmosfera
emozionale, i versi delle arie metastasiane contengono parole ricche di spunti
descrittivi atte a sollecitare raffigurazioni musicali illustrative.
Dido and Aeneas
di Henry Purcell
La vita
Henry Purcell (1659-1695) è considerato l'ultimo grande compositore inglese prima
del XX secolo. Dal 1679 fu organista nella cattedrale di Winchester e tenne altre
cariche ufficiali nelle istituzioni musicali londinesi. Egli scrisse la musica di scena di
quarantanove commedie; ila parte più consistente della sua musica per teatro fu
composta negli ultimi cinque anni di vita.

Analisi
l'opera Dido and Aeneas fu scritta per un collegio femminile di Chelsea, sul libretto di
Nahum Tate, che, anche se piuttosto rozzo nei dettagli poetici, drammatizzò la storia
familiare dell'Eneide di Virgilio in modo davvero adatto a una versione musicale. La
partitura di Purcell è un capolavoro di opera in miniatura: La musica mostra l'abilità di
Purcell nell'incorporare nel proprio stile personale sia le conquiste della scuola
inglese del XVII secolo, sia le influenze esercitate su tale scuola da fonti continentali.
L'overture è di tipo francese e i cori omofonici ricordano nei ritmi di danza i cori di
Lully, ma con una migliore qualità melodica. Il ritmo del minuetto nel coro Fear no
danger to ensue (Non temere che ne consegua danno), che inizia con giambi( ∪ —) e
trochei (— ∪) alternati (piedi metrica classica), ricorda i modelli francesi.
OLIMPIADE
Licidia, dopo aver promesso amore alla pastorella Argene, si innamora di Aristea,
figlia del re Clistene. Costei ama ed è riamata da Megacle, il quale è estremamente
devoto a Licida, che un tempo gli salvò la vita. Insiema a l'amico, Licidia si reca ai
giochi olimpici dove il re Clistene annuncia che il vincitore possederà Aristea.
Megacle, molto forte nei giochi agonistici, viene pregato dal suo amico per
gareggiare in vece sua assumendo il suo nome. Combattuto fra l'amore e la fedeltà,
decide di conquistare per l'amico Aristea. Egli vince la gara e Aristea deve andare in
sposa a Licida. Ciò provoca la disperazione di Argene. Aristea riconosce l'amato che
deve rivelarle l'inganno. Megacle prega il re di lasciarlo tornare in patria. Nel terzo
atto Licida crede l'amico morto e in un impeto di disperazione tenta di uccidere il re
Clistene; viene condotto al cospetto di un tribunale per essere condannato a morte.
Quando tutto sembra precipitare, la vicenda si conclude con un lieto fine: Licida è
Filinto, figlio di Clistene e gemello di Aristea, che questi aveva creduto morto.
Megacle sposa Aristea e Licida sposa Argene sotto gli occhi commossi del padre.

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