Sei sulla pagina 1di 6

LA FONDAZIONE DELLA COLONIA ERITREA

La colonia eritrea fu la prima colonia del Regno d'Italia in Africa, e perciò soprannominata Colonia
primogenita. L’Impero coloniale in Africa venne sviluppato sotto i regni di Umberto I e Vittorio Emanuele III,
e darà origine nel 1936 all'Africa Orientale Italiana.

1) LE PRIME BASI COLONIALI


Dopo aver visto cadute le sue ambizioni coloniali sulla Tunisia ad opera della Francia nel 1881 (Schiaffo di
Tunisi), il governo italiano decise di indirizzare le sue mire espansionistiche verso un territorio africano fino
ad allora poco considerato dalle potenze coloniali, il Corno d'Africa, dove già da tempo si stavano
indirizzando gli interessi di alcuni imprenditori italiani.

Come aderente all'Ordine di san Lazzaro mendicante, Giuseppe


Sapeto nel 1837 si stabilì ad Adua e nel novembre del 1869 vi fece
ritorno per acquistare la baia di Assab per conto della compagnia di
navigazione di Raffaele Rubattino, che voleva farne un porto di
servizio alle sue navi. Sempre come Rappresentate della Compagnia
Rubattino coadiuvò le prime fasi logistiche dell'insediamento di
Assab, sotto la guida del Capitano De Amezaga. Tuttavia, il governo
egiziano contestò tale acquisizione e rivendicò il possesso della
baia: da ciò seguì una lunga controversia che si concluse solo nel
1882. Il 10 marzo di quell’anno il governo italiano acquistò il
possedimento di Assab, che il 5 luglio diventò ufficialmente italiano
con la nomina di Gustavo Branchi alla carica di Commissario italiano
di Assab.

Nel febbraio del 1885, 800 bersaglieri al comando del colonnello Tancredi Saletta occupò il porto
di Massaua, allontanandone senza alcuno scontro la locale guarnigione egiziana che all'epoca controllava il
porto della città; l'azione era stata possibile anche grazie al beneplacito del primo
ministro britannico William Ewart Gladstone.

2) L’AVANZATA ITALIANA
Nelle intenzioni del ministro degli esteri italiano Pasquale Stanislao Mancini, la conquista di Massaua
doveva essere la prima fase di una penetrazione italiana nel Sudan, allora un co-dominio anglo-egiziano, ma
preda fin dal 1881 di una violenta rivolta delle popolazioni musulmane; i piani del Mancini furono però
rigettati dagli inglesi che, di fronte all'incalzare della rivolta, avevano deciso di abbandonare il paese. Il

1
fallimento della sua politica e le critiche provenienti dal Parlamento spinsero Mancini alle dimissioni; il suo
posto venne preso dal conte di Robilant che, seppur disapprovando la politica coloniale intrapresa
dall'Italia, decise di continuare le operazioni in Eritrea.

Fallita la prospettiva di spingersi in Sudan, il governo italiano puntò ad ampliare i suoi possedimenti
puntando all'occupazione dell'altopiano occidentale eritreo, allora formalmente parte dell'Impero
d'Etiopia. L'impero etiope era ancora basato su una struttura feudale: i vari sovrani locali (i ras) erano
sottomessi solo formalmente all'imperatore (Negus Neghesti, cioè Re dei Re), dovendo a lui solo un tributo
annuo e l'appoggio dei propri seguaci in caso di guerra, mentre per il resto erano praticamente autonomi.
Inizialmente Robilant avviò contatti diplomatici con il negus, ma in seguito, fallite queste trattative, decise
di intraprendere una soluzione militare alla questione, definendo sprezzantemente le truppe del
negus "quattro predoni".

Tuttavia, al contrario di altre potenze europee, l'Italia intraprese una lentissima opera di penetrazione
nell'entroterra eritreo. Infatti la località di Saati, a 28 km da Massaua, venne occupata da due compagnie
comandate dal maggiore Giovanni Boretti solamente il 14 gennaio 1887. A Saati gli Italiani si trincerarono
su un'altura e su di essa costruirono un forte. Il 24 gennaio circa 20.000 abissini al comando di Ras Alula si
accamparono a 5 km dal forte di Saati e la mattina successiva tentarono un assalto al forte, durato circa
quattro ore. Nonostante al comando del maggiore Boretti non vi fossero che 700 uomini (di cui 300 ascari)
e 2 cannoni, egli riuscì a respingere l’attacco, subendo soli cinque morti e tre feriti. Boretti si rese però
conto che non avrebbe potuto resistere ad un altro attacco, visto che al forte scarseggiavano viveri e
munizioni, e chiese rifornimenti al forte di Moncullo.

Massaua nel XIX secolo

La mattina del 26 gennaio 1887 partirono i rifornimenti (generi alimentari e munizioni) e una colonna di
rinforzo, formata da 548 soldati, comandata dal tenente colonnello Tommaso De Cristoforis. Vicino alla
località di Dogali la colonna cadde però in un’imboscata tesa da 7000 abissini guidati da Ras Alula. Gli
italiani furono annientati, e lo stesso De Cristoforis perì sotto le lance abissine. Una nuova colonna era stata
mandata, ma arrivò a battaglia conclusa. Da parte italiana vi furono ben 430 morti di cui 23 ufficiali, mentre
gli etiopi ebbero qualche migliaio di morti.

La mossa di Ras Alula provocò una frattura nelle relazioni tra re Giovanni IV d'Etiopia e l'Italia: le
competenze per la colonizzazione dell'Eritrea passarono dal ministero degli Esteri a quello della Guerra, e il
governo italiano rafforzò il proprio appoggio al Negus Menelik, sovrano ribelle nei confronti dell’autorità
del Negus Neghesti Giovanni IV. In Italia, nonostante la sconfitta, ai caduti ed ai superstiti vennero tributati
grandi onori: al tenente colonnello De Cristoforis fu assegnata la medaglia d'oro al valor militare, mentre a
tutti gli altri caduti quella d'argento. In diverse città e località italiane furono intitolate strade, piazze e
lapidi ai caduti di Dogali: a Roma il piazzale antistante la stazione Termini venne ribattezzato dei
Cinquecento in onore dei circa 500 caduti italiani e, al centro di esso venne innalzato un obelisco
commemorativo dello scontro.

Il successore di Depretis, Francesco Crispi, seppur anch'egli critico verso questa campagna coloniale, decise
di continuare le operazioni, inviando in Eritrea un corpo di spedizione forte di 20.000 uomini al comando
del generale Alessandro Asinari di San Marzano, successivamente sostituito dal generale Antonio
Baldissera. Baldissera iniziò subito a ristrutturare l'organizzazione militare italiana nella colonia: in
particolare, le truppe indigene reclutate localmente (gli ascari) vennero ampliate e riunite in una struttura a
parte, il Corpo Speciale d'Africa, che poteva mettere in campo quattro battaglioni autonomi
2
di ascari comandati da ufficiali italiani. Con queste nuove truppe, Baldissera ricevette il compito di risalire
l'altopiano eritreo e di occupare la città di Asmara, sfruttando il momento di debolezza in cui si trovavano
gli etiopi: il negus Giovanni, infatti, era stato ucciso il 9 marzo 1889 nella battaglia di Gallabat contro i
mahdisti sudanesi, e il suo successore, Menelik II, era ancora intento a rafforzare la sua posizione.
L'avanzata di Baldissera fu lenta, preferendo il generale agire per vie diplomatiche con i ras locali, tutti
piuttosto ostili al governo centrale etiopico. Il 3 agosto 1889 venne occupata la città di Asmara, ma l'8
agosto gli italiani incapparono in una nuova sconfitta a Saganeiti, quando una piccola colonna di ascari
cadde in un'imboscata di ribelli eritrei, perdendo diversi uomini e tutti gli ufficiali italiani; la sconfitta attirò
pesanti critiche su Baldissera, che tuttavia venne riconfermato dal Governo nel suo ruolo. Nonostante ciò il
nuovo ambasciatore italiano ad Addis Abeba, il conte Pietro Antonelli fece pressione per raggiungere un
accordo generale con Menelik, con il quale intratteneva relazioni sin dal 1883; in particolare, Antonelli
prospettò a Crispi la possibilità di giungere ad un trattato che ponesse l'intera Etiopia
sotto protettorato italiano.

3) IL TRATTATO DI UCCIALLI
Il 2 maggio 1889 venne quindi firmato il trattato di Uccialli nell'accampamento del negus Menelik,
ad Uccialli. Dopo la firma, il 20 agosto 1889 una delegazione etiope guidata dal cugino del negus, ras
Mekonnen, si recò a Roma, dove venne convinta a stipulare un protocollo economico addizionale che
concesse all'Etiopia un prestito di 4 milioni di lire da parte del governo italiano. Nei 20 articoli del “trattato
di amicizia e commercio”, il sovrano etiope riconosceva le recenti acquisizioni territoriali italiane in Eritrea
come colonia italiana. Il punto più controverso riguardava però l'articolo 17 del trattato, che, come da
tradizione, era stato redatto in due versioni nelle lingue dei due contraenti, italiano e amarico. La stesura
dell'articolo 17 tuttavia era differente nelle due versioni.

VERSIONE ITALIANA: « Sua Maestà il Re dei Re d’Etiopia consente di servirsi del Governo di Sua Maestà il Re
d’Italia per tutte le trattazioni di affari che avesse con altre potenze o governi. »

VERSIONE ARAMAICA: « Sua Maestà il Re dei Re d'Etiopia può trattare tutti gli affari che desidera con altre
potenze o governi mediante l'aiuto del Governo di Sua Maestà il Re d’Italia[3] »

Nella versione in italiano, il negus delegava al governo italiano tutte le sue attività di politica estera,
rendendo di fatto l'Etiopia un protettorato dell'Italia; in base alla versione in amarico, invece, la delega era
solo facoltativa, e il negus vi poteva ricorrere solo quando ciò gli fosse convenuto. Francesco Crispi notifica
il trattato e l’articolo 17 l'11 ottobre 1889 alle potenze firmatarie dell'atto di Berlino, cioè a Gran Bretagna,
Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Austria-Ungheria, Russia, Spagna, Portogallo, Danimarca, Svezia,
Norvegia, Turchia e Stati Uniti d'America. Tale notifica venne accolta malissimo dalla delegazione etiopica,
che era ancora presente in Italia (ripartirà il 4 dicembre 1889).

In ogni caso, il 1º gennaio 1890 l'Eritrea fu ufficialmente dichiarata colonia italiana, con Massaua come
capitale (nel 1897 verrà sostituita da Asmara). Suo primo governatore fu il generale Baldassarre Orero,
sostituito pochi mesi più tardi dal generale Antonio Gandolfi, uomo di fiducia di Francesco Crispi.

La discrepanza di interpretazione da dare all'articolo 17 divenne palese nell'agosto del 1890, quando il
negus allacciò relazioni diplomatiche con l'Impero russo e con la Francia in maniera autonoma e senza
darne preavviso all'Italia; alle proteste del governo italiano, Menelik replicò chiedendo una revisione del
trattato prima dei tempi stabiliti (non prima di 5 anni), richiesta respinta dagli italiani. Nel 1893
il Negus etiopico Menelik denunciò il trattato di Uccialli formalmente. Visti i contrasti con Menelik, il
governo italiano decise di riprendere i contatti con il suo principale avversario, il Ras Mangascià, nel
dicembre del 1891; tuttavia il conte Antonelli, ora sottosegretario agli esteri, sconfessò questa linea di
azione, preferendo portare avanti la politica dell'accordo diretto e globale con il negus. Deluso da questo

3
nuovo voltafaccia degli italiani, Mangascià iniziò a fornire appoggio alle tribù eritree che si stavano
ribellando al dominio italiano.

4) L’INVASIONE DEL TIGRÈ


Soffocata la rivolta eritrea, il nuovo maggiore Baratieri ricevette l'ordine di invadere la regione di Tigrè,
feudo di Mangascià; nelle intenzioni del governo italiano, la conquista del Tigrè avrebbe permesso di
trattare da una posizione di forza con Menelik, oltre che ampliare i confini della colonia. Il 12
gennaio 1895 le truppe italiane sconfissero i 12.000 guerrieri di Mangascià nella battaglia di Coatit.
Mangascià tentò un contrattacco avanzando con poche truppe verso Adigrat, ma venne anticipato da
Baratieri che occupò la località tra il 25 e il 26 marzo, estendendo poi l'occupazione italiana alle città
di Macallè e Aksum. Il 13 ottobre venne conquistata la montagna di Amba Alagi per tentare di catturare
Mangascià, il quale riuscì a sottrarsi alla cattura riparando presso Menelik ad Addis Abeba. A questo punto
l'avanzata italiana si arrestò, e, mentre le truppe si trinceravano sulle nuove posizioni occupate, Baratieri si
recò in licenza in Italia, dove invano chiese al governo rinforzi per consolidare le conquiste ottenute.

L'invasione italiana del Tigrè, al di là delle conquiste territoriali, era andata a tutto vantaggio di Menelik:
Mangascià, un tempo suo avversario, era ora divenuto un suo stretto alleato. Questo diede a Menelik il
pretesto per e muovere guerra ai dispersi presidi italiani, dando così avvio alla Guerra d'Abissinia. Menelik
mosse il 13 febbraio 1896 con le sue forze verso le posizioni italiane, salvo poi indietreggiare ed attestarsi in
posizione difensiva nella conca di Adua, a soli pochi chilometri di distanza dalle posizioni italiane di Saurià.
La situazione logistica dei due eserciti andava peggiorando, soprattutto per quello italiano, nelle cui
retrovie erano scoppiate diverse rivolte da parte delle popolazioni precedentemente assoggettate. Il 25
febbraio, dando notizia a Roma di una piccola vittoria ottenuta dal suo esercito quello stesso giorno,
Baratieri si vide ricevere un telegramma di risposta dallo stesso Crispi:

« Codesta è una tisi militare, non una guerra; piccole scaramucce sulle quali ci troviamo sempre inferiori di
numero davanti al nemico; sciupio di eroismo senza successo. Non ho consigli da dare perché non sono sul
luogo; ma constato che la campagna è senza un preconcetto e vorrei fosse stabilito. Siamo pronti a
qualunque sacrificio per salvare l'onore dell'esercito e il prestigio della Monarchia. »

La battaglia di Adua in un dipinto etiope

La sera del 27 febbraio Baratieri chiese consiglio ai suoi generali (il capo di Stato Maggiore colonnello
Valenzano e i generali Arimondi, Matteo Albertone, Vittorio da Bormida e Giuseppe Ellena, comandanti
di brigata) sulla linea da condurre: Baratieri era più favorevole ad una ritirata strategica verso i confini della
colonia, ma tutti i generali si espressero invece per condurre un attacco immediato contro l'esercito del
negus.

La sera del 29 febbraio, le truppe italiane, divise in quattro brigate, si misero in marcia alla volta della conca
di Adua. Il coordinamento e i collegamenti tra le varie unità erano pessimi, aggravati dalla scarsa
conoscenza del terreno e dalla mancanza di mappe affidabili. All'alba del 1º marzo 1896, le brigate italiane
si ritrovarono sparpagliate e scollegate tra di loro, offrendo all'esercito del negus l'opportunità di

4
affrontarle una alla volta e di schiacciarle con il peso dei numeri. Nel pomeriggio la battaglia era terminata:
l'esercito italiano era stato distrutto un pezzo alla volta, con la perdita di 6.000 uomini uccisi, 1.500 feriti e
3.000 presi prigionieri. I resti del corpo di spedizione vennero fatti ripiegare in Eritrea.

5) IL TRATTATO DI ADDIS ABEBA


La disfatta di Adua generò pesanti proteste di piazza in Italia; il governo Crispi venne costretto alle
dimissioni e rimpiazzato dal governo di Rudinì. Baratieri, richiamato in Italia, dovette affrontare un processo
davanti ad una corte marziale, da cui uscì assolto ma con un severo rimprovero che distrusse di fatto la sua
carriera militare. Il suo posto venne preso da Baldissera, che iniziò a concentrare le sue forze e i nuovi
rinforzi giunti dall'Italia ad Asmara; il Tigrè venne abbandonato sia dagli italiani, sia dall’esercito etiope, che,
gravemente a corto di viveri ed indebolito dalle malattie e dalle perdite subite in battaglia, ripiegò verso
Addis Abeba. Nonostante alcuni successivi tentativi di riprendere posizione nel Tigrè da parte di Baldissera,
il governo gli ingiunse di sgombrare il forte e di ripiegare con tutte le sue truppe in Eritrea, mossa portata a
termine tra il 15 e il 22 maggio. Ormai il governo italiano si era convinto a cercare una soluzione
diplomatica alla guerra; nell'ottobre del 1896, dopo lunghi negoziati, si giunse alla firma del trattato di pace
di Addis Abeba: il negus riconobbe la sovranità italiana sull'Eritrea, ma in cambio il governo italiano abrogò
il trattato di Uccialli e rinunciò a qualsiasi ingerenza nella politica dell'Impero etiope.

Primo governatore non militare fu Ferdinando Martini. A costui toccò il compito di ristabilire contatti
pacifici con l'Etiopia, di migliorare i rapporti fra italiani e popolazioni indigene e di creare un corpo di
funzionari che portasse avanti l'amministrazione della colonia. Fu grazie alla sua politica che la colonia ebbe
degli Ordinamenti Organici e dei codici coloniali nel 1905.

6) L'ERITREA DURANTE IL FASCISMO E LA FINE DELLA COLONIA


Nel 1933 l'Eritrea italiana aveva un'estensione di 119.000 km² con una popolazione (dati 1928[2]) di 510.000
abitanti indigeni, di cui circa un terzo cristiani copti, due terzi islamici, 34.700 cattolici. Gli europei presenti
nella regione, quasi tutti italiani, erano 3.650. La capitale Asmara aveva 19.000 abitanti indigeni e circa
3.000 europei.

Durante il fascismo, la colonia fu oggetto di un progetto di modernizzazione, voluto inizialmente dal


Governatore Jacopo Gasparini nel 1924, che cercò di tramutarla in un importante centro per la
commercializzazione dei prodotti e materie prime. Specialmente negli anni trenta, l'Eritrea fu la colonia
maggiormente ammodernata: furono costruiti migliaia di km di strade e ponti, la ferrovia Massaua-
Asmara e Asmara-Biscia (iniziata alla fine dell'Ottocento), il porto di Massaua potenziato, e le città furono
sistemate anche con la creazione di numerosi quartieri italiani (ancora visibili). Il porto di Massaua divenne
il principale e più attrezzato del Mar Rosso, essendo sede del "Comando Navale Africa Orientale Italiana"
della Regia Marina.

A) Littorina FIAT di epoca fascista, in servizio sulla tratta ferroviaria Asmara-Massaua. B) La Stazione di
servizio, in stile futurista, Fiat Tagliero, costruito ad Asmara nel 1938. C) Chiesa della Beata Vergine del
Rosario (Asmara), costruita dagli Italiani nel 1923.

5
Partendo il 3 ottobre 1935 dalle basi dell'Eritrea, l'Abissinia venne conquistata dalle truppe italiane, e il 9
maggio 1936 tutte le colonie italiane del corno d'Africa furono unificate nella cosiddetta Africa Orientale
Italiana (AOI) capitaneggiata dall’Eritrea, come compenso per l'aiuto fornito dagli Ascari eritrei nella
conquista italiana dell'Etiopia

L'esercito inglese sconfisse gli Italiani nella primavera del 1941 dopo la sanguinosa Battaglia di Cheren ed
occupò tutta l'Eritrea italiana, mettendola sotto amministrazione militare fino al 1947. In quell’anno
l'Eritrea fu consegnata ufficialmente all'Etiopia, provocando l'inizio dell'esodo della comunità italiana
dall'Eritrea. Ancora nel 1949 la popolazione di Asmara era di 127.579 abitanti di cui 17.183 italiani, ma il
loro numero si andò assottigliando negli anni cinquanta. Nel 1975, con l'inizio dei conflitti tra l'Eritrea
indipendente e l'Etiopia, il governo italiano istituì un ponte aereo per portare a Roma quasi tutti i membri
della comunità italiana di Asmara. Oggi vivono in Eritrea circa 700 Italiani.

CURIOSITÀ
La lingua di Menelik, o menelicche, è un giocattolo formato da un tubo di carta: quando si soffia nel tubo,
questo si allunga di scatto e assomiglia ad una lingua. Prende il nome proprio da Menelik II. Quando questi
denunciò l’ambiguità del Trattato di Uccialli nel 1893, il Negus etiope venne accusato di avere una lingua in
grado di cambiare completamente forma al discorso. In epoca coloniale viene dato il suo nome a questo
giocattolo che ancora oggi si chiama così.

FONTI:
 it.wikipedia.org
 www.treccani.it
 www.terzaclasse.it
 www.romaapiedi.com
 parliamoitaliano.altervista.org
 www.eritreaeritrea.com
 cronologia.leonardo.it

Potrebbero piacerti anche