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PRODOTTI E PROCESSI DELLA CHIMICA INDUSTRIALE

MATERIE PRIME FOSSILI


Le principali materie prime per l’industria chimica sono quelle fossili. Esse rappresentano
anche la fonte di energia più importante. Ad esempio, le riserve più abbondanti sono quelle
di carbone; ciò significa che una volta esaurite le riserve di petrolio si tornerà al carbone
stesso, che comunque è utilizzato nella produzione di energia. Nonostante meno abbondanti,
quelle del gas naturale sono maggiori rispetto a quelle di petrolio.
- CARBONE
I tre combustibili fossili (carbone, gas naturale e petrolio) hanno in comune il fatto di essere
costituiti tutti da H e C, con piccole quantità di eteroatomi (O, N, S) e metalli. Essi, però, si
differenziano per il rapporto tra questi elementi:

Quindi, man
mano che si passa dal gas naturale (metano), passando per il petrolio, fino ad arrivare al
carbone: aumenta il rapporto C/H.
Al contrario di quanto accede per il petrolio ed il gas naturale, la composizione del carbone
varia moltissimo. Infatti, esso contiene una certa frazione di composti inorganici, dei
minerali, che sono responsabili della formazione di ceneri dopo la combustione (contenuto:
1-25%).
La composizione mostrata è riferita alla sola Elemento wt%
frazione organica del carbone.
C 60-95
Notiamo che il range in cui varia il carbonio (60-
96) e l’idrogeno (2-6) è molto ampia; questo H 2-6
dipende dal giacimento da cui viene estratto il
carbone. Tuttavia, esso presenta anche N, O e S. N 0.1-2
Minore è la cenere che si produce dalla sua
combustione, maggiore è la quantità di energia che O 2-30
viene fornita.
S 0.3-13
Il carbone contiene anche una certa percentuale di acqua (2-70%) e questo può inficiare
negativamente nella produzione di energia stessa.
Un’altra caratteristica importante è che l’elevato valore del rapporto C/H indica che nel
carbone sono presenti grandi quantità di idrocarburi policiclici aromatici complessi.

- GAS NATURALE

Il gas naturale è una miscela di idrocarburi di cui il metano è il principale componente.


Sono presenti, in piccole quantità, anche etano, propano, butano.
La composizione varia a seconda della provenienza e si può trovare associato al petrolio
(gas naturale associato), cioè da dove si estrae il petrolio, viene estratto anche il gas
naturale, o da solo (non associato). Il gas naturale associato è un co-prodotto del petrolio
greggio e quindi la sua produzione è legata a quella del petrolio.
Il gas naturale può essere classificato come “umido” (tipico dei gas naturali associati) o
“secco” a seconda che contenga o meno una frazione di idrocarburi condensabili a
temperatura ambiente. Il gas associato è umido, ma non è detto che il gas non associato
sia secco. In passato è stato considerato un prodotto di scarto e mandato alla torcia (flare)
della raffineria. Attualmente è considerato una importante risorsa energetica di notevole
potenziale.
Il gas naturale contiene anche quantità più o meno piccole di anidride carbonica, azoto e
acido solfidrico. Il termine “sweet” o “sour” denota l’assenza o presenza di H 2S o CO2.
(Quando viene ritrovata la presenza di H2S o CO2 si definisce sour, metre se sono assenti
sweet).

- PETROLIO

Il petrolio è una miscela molto complessa di idrocarburi gassosi, liquidi e solidi, molto più
complessa del gas naturale. Tale composizione può variare anche molto da giacimento a
giacimento, anche nel caso di giacimenti molto vicini. Nonostante ciò, la sua composizione
elementare varia in un range abbastanza ristretto.

Elemento wt%

C 80-87

H 10-14

N 0.2-3

O 0.05-1.5

S 0.05-6
Qual è la composizione del petrolio?
La gran parte del petrolio è costituita da alcani (lineari e ramificati), cicloalcani (detti
nafteni) e composti aromatici.

 Quanto più il petrolio greggio è “pesante” (cioè la frazione di componenti con PM


molto grande e con elevata T di ebollizione), tanto maggiore sarà la concentrazione
di componenti aromatici. Tuttavia, la presenza di idrocarburi policiclici aromatici
rappresenta un problema, perché essi tendono a dare depositi carboniosi detti “Coke”,
comportando dei problemi nei processi di raffineria.

IPA (idrocarburi policiclici


aromatici)

Il Coke può compromettere la reazione principale andando a “sporcare” il catalizzatore, e


questo richiederà di “lavare la superficie del catalizzatore” mediante opportuni processi di
rigenerazione in situ nel processo di craking catalitico.
- ZOLFO

Un’altra componente da non sottovalutare nella composizione del petrolio è lo Zolfo (S);
infatti gli idrocarburi contenenti zolfo possono esser presenti nel greggio in quantità
notevole.

 Questo crea problemi di:


I. Corrosione (nell’ambito dell’impianto);
II. Disattivazione del catalizzatore nei processi catalitici come il reforming;
III. Ambientale, con formazione di piogge acide.

- AZOTO

Gli idrocarburi contenenti azoto sono presenti nel greggio in quantità minore rispetto a
quelli contenenti zolfo. Nonostante ciò, creano disturbo nei principali processi catalitici
come il cracking catalitico e l’hydrocracking. L’azoto basico, infatti, può reagire con i siti
acidi del catalizzatore di cracking disattivandolo.

Non è un veleno come il Coke, perché con il coke si esegue un processo di rigenerazione in
situ, mentre nel caso dei composti azotati e solfonati, poiché possono disattivare
permanentemente i siti acidi del catalizzatore e quindi inficiare sulla produttività del
processo, allora si prevede un trattamento prima di far arrivare la corrente al processo di
cracking catalitico.
- OSSIGENO

Sebbene il contenuto di ossigeno nel greggio sia piuttosto basso, questo eteroatomo può
essere presente in diversi composti. La distinzione tra questi composti è solitamente fatta
sulla base della loro acidità e basicità.

- METALLI

I metalli sono contenuti nel greggio in concentrazioni molto piccole. Nonostante questo, la
loro presenza è di particolare interesse in quanto anche piccole concentrazioni possono
causare la disattivazione o l’avvelenamento dei catalizzatori utilizzati nei processi di
lavorazione a valle.
Parte dei metalli è presente in una fase acquosa (emulsione), che può essere rimossa con
mezzi fisici, un’altra come composti metallorganici.
La percentuale di metalli è molto variabile e li si ritrova nei residui pesanti della raffineria.

 I più abbondanti sono il ferro, il nickel e il vanadio.


2.9- Contenuto in metalli di vari tipi di greggio
L’albero della chimica da fonti rinnovabili

COS’E’ LA BIOMASSA?
In questo contesto si definisce Biomassa qualsiasi sostanza di origine organica che possa
rigenerarsi in tempi compatibili con il suo consumo, destinata alla produzione di bio-
energia, bio-carburanti e bio-materiali. Da un punto di vista semantico, il termine Biomassa
si riferisce a qualsiasi sostanza organica prodotta sulla terra grazie ad un ciclo vitale.
Quindi in questo caso si vuole sottolineare la rinnovabilità della materia prima che viene
utilizzata rispetto ai derivati fossili, che non sono risorse sostenibili.
Infatti, la maggior parte di queste sostanze organiche derivano dalle attività metaboliche
degli organismi fotosintetici.
Le piante usano l’energia solare per combinare CO 2 e acqua per produrre uno zucchero
(CH2O)n e ossigeno (sintesi clorofilliana):

Lo zucchero è conservato in forma polimerica come cellulosa, amido o emicellulosa. La


maggior parte della biomassa vegetale (circa il 75%) è costituita da polimeri di zuccheri.
Un’altra caratteristica importante è che le biomasse sono la fonte maggiormente distribuite a
livello globale.
BIORAFFINERIA
Per “Bioraffineria” si intende la possibilità, partendo da un substrato che sia rinnovabile in
tempi compatibili con il suo utilizzo, di produrre energia.
Il cuore della bioraffineria è definito da:
 Bioprocessi: trasformazioni compiute da microrganismi viventi o entità
enzimatiche.
 Chimica verde: processi chimici sostenibili.

Abbiamo bioraffinerie di prima generazione:

Questo vuol dire


che vengono utilizzate delle colture che possono essere usate anche come alimenti, e quindi
non sono scarti. Una delle materie prime caratterizzate da un maggior grado di purezza è il
legno, da cui è possibile ricavare (tramite opportuni processi) la lignina (25%),
l’emicellulosa (25%) e la cellulosa (50%). Poi, attraverso idrolisi enzimatica e
fermentazione, otteniamo un biocarburante, ovvero l’etanolo. Bioraffineria di
seconda generazione
Nelle bioraffinerie di II generazione circolari, si utilizzano scarti da altre lavorazioni (residui
erbacei, piante erbacee, scarti industriali, ecc..) per produrre carburanti e prodotti chimici.
Ma qual è la differenza rispetto alle bioraffinerie di I generazione?
 La differenza sta nel fatto che la biomassa, per poter essere utilizzata nell’ambito dei
processi biologici e biochimici, dovrà essere trattata attraverso dei processi up-
stream e down-stream. Questo perché tali biomasse, non essendo totalmente pure,
comporteranno la formazione di soluzioni di prodotti in cui il prodotto desiderato è
presente insieme ad altri sottoprodotti.

Biomasse lignocellulosiche
La fonte più abbondante di biomassa è quella lignocellulosica.
Essa è costituita da 3 polimeri: Cellulosa (40-80%) Emicellulosa (15-30%) e Ligninina (10-
25%)

A questo punto, vediamo in dettaglio le varie componenti:


 Cellulosa
La cellulosa è il polimero più abbondante sulla terra e presenta una struttura
cristallina.
Essa è un polisaccaride lineare con legami β-1,4 glicosidici di unità di glucosio.
I gruppi ossidrilici presenti lungo la catena cellulosica danno luogo a legami
idrogeno intramolecolari e con altre catene formando microfibrille con elevata forza
e cristallinità (domini cristallini). La cellulosa, contrariamente all’amido, ha un
elevata cristallinità (percentuale di cristallinità compresa tra il 50% e il 60%). Nella
sua composizione abbiamo n unità tra 2500-5000.
Per poter andare ad idrolizzare la cellulosa, si dovranno rompere tali unità glucosidiche
(ovvero i legami α o β glicosidici) ed eseguire un’idrolisi per ottenere unità di glucosio che
poi potrà essere utilizzato, ad esempio, per fare bio-etanolo attraverso fermentazione.

 Emicellulosa
L’emicellulosa, contrariamente alla cellulosa che è costituita dal solo glucosio, è un
polimero di cinque zuccheri differenti. Questi sono sia zuccheri a cinque atomi di
carbonio (solitamente xilosio e arabinosio) che zuccheri a sei atomi di carbonio
(galattosio, glucosio e mannosio), che possono essere sostituiti con gruppi laterali
acetici.
A causa della presenza di ramificazioni laterali, l’emicellulosa presenta una struttura
amorfa ed è più facilmente idrolizzabile, fino ad arrivare ai suoi monomeri rispetto
alla cellulosa.

 Lignina
È un polimero tridimensionale con monomeri aromatici e per tale motivo è idrofoba.
Le unità monometriche che costituiscono la lignina sono alcol cumarilico, alcol
coniferilico e alcol sinapilico.
TRIGLICERIDI
I trigliceridi si trovano sia nel mondo vegetale che animale e sono sostanze insolubili in
acqua, costituite da esteri della glicerina e di miscele di acidi grassi:
Le catene di acidi grassi presenti possono sature o insature, e la loro composizione è
differente in base alla materia prima utilizzata, cioè a seconda del tipo di olio che stiamo
utilizzando e anche dal tipo di grasso.
I trigliceridi costituiscono i principali componenti degli oli vegetali (liquidi a temperatura
ambiente) e dei grassi animali (solidi a temperatura). Gli oli si trovano in quantità
maggiori nei frutti o nei semi, e caratteristiche chimico-fisiche dei diversi oli e dei grassi
dipendono dalla composizione della miscela di acidi grassi, la quale, naturalmente, dipende
dall’origine.

Energia: Vapore
Il vapore è l’utility più importante e diffusa nella maggior parte degli impianti chimici.
Tra le varie applicazioni si ricordano:
 riscaldamento
 reazione
 ausilio per distillazione
Esso è usato:
 Saturo: non contiene umidità
 Umido: contiene umidità
 Surriscaldato: senza umidità a T > T di saturazione

Il vapore è generato per mezzo di bollitori tubolari utilizzando il combustibile più


economico. Esso viene in genere utilizzato a tre diversi livelli di pressione, a cui
corrispondono diverse temperature di saturazione.

ELETTRICITA’ (non è importante)


L’elettricità, in un impianto chimico, può essere generata in-situ, attraverso turbine mosse
dal vapore oppure acquistata da compagnie fornitrici locali.
In siti industriali di grandi dimensioni una riduzione notevole dei costi energetici è possibile
se si adotta la generazione in-situ usando poi il vapore, in uscita dalle turbine, come fluido
di riscaldamento per il processo.
Recenti sviluppi hanno portato a degli impianti di co-generazione che producono,
simultaneamente, energia elettrica e vapore portando a notevoli riduzioni dei costi
energetici.
STRUTTURA DI UN PROCESSO CHIMICO INDUSTRIALE
Oltre alla presenza del reattore (core del processo) dove avviene la reazione chimica, si ha
una serie di operazioni “unitarie” (separazione e purificazione). Queste operazioni sono
fisiche.

Se la reazione non è completa, i reagenti non reagiti vengono separati dal prodotto e sono
riciclati di nuovo al reattore. Mentre se fosse presente un inerte, potrebbe essere necessario
uno spurgo, per mantenere stazionarie le condizioni di esercizio.
(all’esame non chiede lo schema preciso, ma solo, in linea generale, cosa deve essere
presente in quel processo chimico per ottenere quel determinato prodotto)

PROGETTAZIONE DI UN IMPIANTO INDUSTRIALE


Per la progettazione dell’impianto dovrà essere noto:
1. la termodinamica della reazione
2. gli aspetti cinetici della reazione
3. la meccanica dei fluidi
4. i fenomeni di trasporto di materia ed energia
5. I costi ed economia del processo
OSS: il reattore cambierà a seconda che si tratti di fasi reagenti omogenee o eterogenee, e
chiaramente anche a seconda del loro stato fisico.
Come si sviluppa un processo chimico?
Lo sviluppo di una nuova tecnologia per la produzione di un chemical di base o di un
intermedio dipende dalla disponibilità delle materie prime di base.
Esempio: la produzione di acetaldeide. I primi processi erano basati sull’utilizzo di carbone.
Quando si rese disponibile il petrolio nel 1960, fu sviluppato un processo molto più
economico e conveniente dall’etilene.
Lo sviluppo di un processo per bulk chemicals ha come obiettivo il miglioramento del
processo, mentre il miglioramento del prodotto è una strategia del consumatore. Inoltre, lo
sviluppo di processo si basa una complessa interazione tra una fase sperimentale, una fase di
progettazione e una di valutazione economica.
 Il punto di partenza è la reazione chimica messa a punto in laboratorio e
termina con l’esercizio di un impianto industriale.
Non sempre è possibile trasferire quella reazione chimica, sviluppata in laboratorio,
all’impianto industriale. Questo perché o i costi sono troppo elevati o perché le condizioni di
esercizio sono tali da non giustificarne lo sviluppo.
Possiamo dire che l’attività di sviluppo di un processo chimico procede attraverso fasi
distinte ognuna delle quali è seguita da una fase di controllo e valutazione che può indurre
a tornare ad una delle fasi precedenti, secondo un procedimento iterativo.
- Parte tutto dal laboratorio: il chimico studia tutte le caratteristiche della reazione,
studia tutti gli aspetti relativi al rapporto di materia, il catalizzatore, ecc; arriva ad
una conclusione per cui gli sembra più conveniente, soprattutto dal punto di vista
della produttività della reazione.
- Dopodichè, si determina quale reattore bisogna utilizzare per sviluppare l’intera
reazione, svolgendo delle prime valutazioni economiche (la domanda che si deve
porre il chimico: è fattibile la reazione dal punto di vista economico e pratico?).
- Se la risposta è sì, allora si va avanti nello schema di sviluppo dell’impianto.
- Si mettono in opera i vari sviluppi di step individuali e dopo un tot di step si
eseguono delle valutazioni: se la risposta è un fallimento, allora si ritorna di nuovo al
concetto primordiale di processo, perché dovranno essere variati tutti gli altri step che
ne conseguono. Se, invece, la risposta è affermativa, quindi è un successo, allora in
questo caso si passa all’impianto pilota, fino ad arrivare all’impianto commerciale.

Lo sviluppo del processo procede in tre fasi:

Laboratorio Minipilota Pilota

1. LABORATORIO
La fase del laboratorio coincide con la fase esplorativa. Lo sviluppo di processo inizia con
la ricerca di prodotto nuovo o una nuova sintesi di un prodotto già esistente.
La Ricerca in questa fase si focalizza su:
- Reazioni chimiche
- Catalisi
- Reattori

In questa fase si raccolgono informazioni su come avviene la reazione, la termodinamica e


la cinetica, la dipendenza della selettività e della conversione dai parametri di processo, il
catalizzatore (per aumentare il volume di produzione del prodotto desiderato: catalizzatori
solidi) e la sua disattivazione. Alla fine di questa fase esiste solo il concetto di processo, che
consentirà di fare le valutazioni economiche.
Ad esempio: nel processo di sintesi dell’ammoniaca nella fase di laboratorio, si sono trovati
di fronte ad un problema, perché nella reazione classica tra azoto molecolare N 2 e idrogeno
molecolare H2, il problema consisteva proprio nella rottura del doppio legame dell’azoto. La
soluzione che è stata trovata è la lavorazione a temperature ottimali, ovvero a temperature
elevate (drastiche), questo perché studiarono tutte le caratteristiche termodinamiche e
chimico-fisiche. Tuttavia, la compatibilità nell’adottare tale strategia, dal punto di vista
industriale, non era possibile. Anche perché la reazione è esotermica, dunque libera calore
nel processo di sintesi del prodotto stesso. Solo quando si arrivò a capire l’utilità del
catalizzatore in tale processo, venne trovata una vera e propria soluzione (dal punto di vista
cinetico), proponendo uno schema a livello industriale.

2. FASE MINIPILOTA
Una volta superata la fase del laboratorio, arriviamo alla fase minipilota, dove il processo
viene passato al progettista, il quale và a costruire un “impianto mini-pilota”, ovvero un
impianto su piccola scala completo di tutte le apparecchiature, con le correnti di
alimentazioni, riciclo e spurgo, in grado di produrre prodotto in quantità di 100-200 g/h.
La fase di minipilota consente di acquisire importanti informazioni relative alla criticità del
funzionamento in continuo che nella scala di laboratorio non potevano essere messe in
evidenza. Inoltre, gli impianti minipilota sono utilizzati anche per studiare la stabilità a
lungo termine di un catalizzatore nelle condizioni di esercizio dell’impianto.
3. FASE PILOTA
La differenza tra l’impianto mini-pilota e pilota, essenzialmente, è la quantità di prodotto
che si ottiene; perché se nella fase minipilota abbiamo una quantità di prodotto che oscilla
tra i 100-200 g/h, in questo caso, invece, si producono alcuni kg/ora.
L’impiego dell’impianto pilota consente di verificare e completare le informazioni raccolte
fino a quel punto sul processo da sviluppare. Però, ovviamente, la costruzione di un
impianto pilota comporta dei costi molto elevati (10-15% dell’impianto industriale).
Una volta costruito un impianto pilota, esso viene mantenuto in esercizio in parallelo
all’impianto industriale per poter provare delle modifiche o dei miglioramenti, o per poter
risolvere dei problemi sull’impianto.
COME FACCIO A PASSARE DA UNA FASE ALL’ALTRA?
Gran parte dell’attività di sviluppo di processo riguarda lo “scale up” o “passaggio di scala
dalla fase” da laboratorio all’impianto industriale, passando per stadi intermedi di impianto
pilota e minipilota.

Fig. Velocità di produzione ed intervallo di tempo associato al progetto e costruzione.


 Il modo più comune per effettuare il passaggio di scala era quello di aumentare le
dimensioni delle singole operazioni che compongono il processo, moltiplicandole
con dei fattori che prendono il nome di fattori scala o fattori di scale-up. I fattori
di scala sono tanto più elevati quanto maggiore è la confidenza nell’estrapolare le
dimensioni verso l’alto.

Es: per passare dall’impianto minipilota ad uno pilota o addirittura al livello industriale,
devo moltiplicare la velocità di produzione (0.01-1) x 1000 (o 1.000.000). Cioè se ho un
reattore da 1cm3 (nell’impianto minipilota) e voglio passare ad un impianto pilota, devo
moltiplicare 1cm3 dell’impianto x 1000.
 Il principio del minimo: lo stadio del processo o l’apparecchiatura che ha il più
basso fattore di scale-up, determina la massima capacità che può avere uno stadio.
Questo perché se passo da un reattore di 50cm 3, ad uno di 100 m3, non è detto che il
processo che funziona per quel piccolo reattore debba funzionare anche per un reattore più
grande.
(I fattori più elevati sono quelli relativi alla fase gassosa, più piccoli per l’estrazione.)
N.B: Se l’impianto da scalare contiene diverse apparecchiature con diversi fattori di scale-
up, conviene utilizzare il fattore più piccolo per rimanere nei limiti di sicurezza.
SCHEMI DI IMPIANTO (Flow-sheet)
Nello studio dei processi industriali riveste una notevole importanza la comprensione della
simbologia, quasi sempre unificata, che viene comunemente utilizzata per la
rappresentazione schematica dei processi e degli impianti chimici.
La progettazione degli impianti, soprattutto negli ultimi anni, si è notevolmente sviluppata
grazie all’introduzione di tecniche di progettazione assistita da calcolatore (CAD, computer
aided design). Gli schemi e i disegni sono divenuti più completi e complessi.
La prima classificazione che possiamo effettuare è la differenza tra:

 Schemi di processo semplificati o PFD


Lo schema di processo semplificato ha come scopo principale quello di far
comprendere con immediatezza le informazioni di base e le caratteristiche salienti di un
processo industriale:
o Le apparecchiature principali (ad es. il reattore).
o Le linee di processo (le quali non comprendono le linee secondarie,
avviamento, sfiato, ecc.).
o La strumentazione di controllo viene rappresentata in modo semplificato.
(Se è necessario per la comprensione del processo possono essere messe in
evidenza o aggiunte altre apparecchiature e strumentazioni di controllo).
o Il bilancio materiale.
o Gli indicatori dello stato fisico, della temperatura e pressione nei punti
principali.

Esempio schema PFD.


Cosa indicano tutti quei numeri e lettere?
R101A/B e R102 che sono due reattori

- TK-101: è un tank in cui vi è il reagente o la soluzione segnata.


- P: con le P si indicano le varie pompe, le quali prelevano le soluzioni e le spingono
in altre compartimenti dell’impianto (a seconda di dove vengono poste).
- E: è definito come ex-change, ovvero un componente all’interno del quale avviene
uno “scambio termico”, cioè un preriscaldamento.
- H: indica che al suo interno avviene una “reazione di combustione”.
- R: indica il reattore.
- T: indica la “torre di assorbimento”.

• Questi schemi sono corredati da una


serie di schede per le correnti che
riportano sia dei dati chimico-fisici che
la composizione.
• Lo schema viene detto anche
“quantificato”.

Per la scelta della sigla delle apparecchiature, si procede assegnando ad ogni


apparecchiatura una sigla composta come segue:
 Una o due lettere che identificano la funzione dell’apparecchiatura nell’ambito del
processo, secondo una apposita tabella (vedi seguito).

 Un numero progressivo che rappresenta una numerazione interna per ogni classe di
apparecchiature.

 Una eventuale ulteriore lettera che indica delle apparecchiature uguali che svolgono
la stessa funzione ma che sono, ad esempio, una titolare ed una di riserva oppure più
copie della stessa apparecchiatura (P102A, P102B)
Dalla tabella osserviamo che la sezione è stata numerata con 1-0-0 (100), quindi sappiamo
che tutte le apparecchiature che iniziano con il numero 1 avranno a che fare con la fase di
ESTERIFICAZIONE. Iniziano sempre con una lettera (R, E, V, ecc..) a cui corrispondono le
varie apparecchiature; dopodichè abbiamo il numero 1 che indica l’ambito in cui sono
utilizzate e poi 01, 02, 03, 04, ecc… i quali numerano i vari componenti presenti
nell’impianto.
Nel caso di E102 A/B, tale sigla sta ad indicare che abbiamo il serbatoio n°2 per il processo
di esterificazione (poiché 1), però ne abbiamo 2, uno titolare (A, cioè quello utilizzato) e
uno di riserva (B).

Tab. 1: Lettere ed apparecchiature associate


Tab. 2: Sigle per apparecchiature
Tab. 3: Simboli
per le correnti
 Schemi di Marcia o P&ID o P&I

Sono diagrammi di maggiore complessità il cui scopo è di rappresentare in maggior


dettaglio la connessione di tutte le apparecchiature installate in un impianto industriale.
 Costituiscono la base per le seguenti attività:
1. Illustrazione delle modalità di avviamento, conduzione e fermata
dell’impianto.
2. Approvvigionamento delle apparecchiature, di valvole, strumentazione,
sistemi di sicurezza e di controllo, tubazioni, ecc.
3. Definizione dei disegni di montaggio dell’impianto con il percorso fisico delle
linee, i collegamenti elettrici o pneumatici della strumentazione da portare al
quadro, ecc.
 Le informazioni che vengono riportate nello schema di marcia sono le seguenti:
1. Sigla, funzione ed elevazione delle apparecchiature.
2. Linee di processo.
3. Linee di avviamento, svuotamento, aggiunta additivi chimici, ecc.
4. Linee di servizio, solo per la parte necessaria ad indicare elementi di controllo,
diametri e classi di materiali. L’insieme delle linee dei servizi è generalmente
riportato in uno schema di marcia a parte ad esse dedicato.
5. La tracciatura e l’isolamento delle linee.
6. La strumentazione, completa di indicatori, registratori, allarmi, controlli, ecc.
7. Le valvole e i dispositivi di sicurezza.
8. Le valvole di regolazione ed i relativi bypass.

ES:
(a puro scopo
illustrativo)
LOOP DI REGOLAZIONE E CONTROLLO
 Si riferiscono a tutte a quelle operazioni di rilevamento di una variabile in un dato
punto dell’impianto al fine di regolare un’altra variabile in un altro punto che
influenza la prima…
ES: Per controllare la valvola che mi
consente di non far riempire tutto il
tank, il quale ha un volume definito,
utilizzo un misuratore di livello;
ovvero, attraverso la misura del livello
all’interno del tank, può essere
controllata l’apertura o chiusura della
valvola.

(QUI FA UN SALTO AL CAPITOLO 6 SULLA CATALISI)

IL CATALIZZATORE E LE SUE PROPRIETA’


Un catalizzatore è una sostanza che aumenta la velocità di una reazione chimica, offrendo
un meccanismo alternativo più veloce, senza influire sulla termodinamica della reazione
poiché esso è solo un fenomeno cinetico. In genere, il catalizzatore fa avvenire la reazione
attraverso una serie di stadi in cui, il più lento, (quello determinante la velocità della
reazione) ha un’energia di attivazione più bassa.

La scelta di un catalizzatore dipende da alcune


proprietà. Le principali sono:
1. ATTIVITA’
2. SELETTIVITA’
3. LIFETIME O STABILITA’
4. FACILITA’DI RIGENERAZIONE
5. TOSSICITA’
6. COSTO

1. ATTIVITA’
L’attività di un catalizzatore può essere espressa in termini di:
a. Velocità: moli di prodotto per volume di catalizzatore per tempo.
b. Numero di Turnover: moli di prodotto per mole di catalizzatore o di sito attivo
c. Conversione: mole di reagente trasformato per reagente caricato.
È importante avere un catalizzatore il più attivo possibile, poiché quanto più alta sarà
l’attività:
 Maggiore sarà la produttività.
 Minore sarà il volume del reattore.
 Più miti saranno le condizioni di reazione.

2. SELETTIVITA’
Può essere espressa come mole di prodotto desiderato per mole di reagente convertito; tale
caratteristica incide sul costo totale del processo, perché meno sottoprodotto si forma,
maggiore quantità di prodotto desiderato otteniamo. Dunque, più alta sarà la selettività e
minori saranno i costi di separazione e purificazione dei prodotti.
3. LIFETIME O STABILITA’
Può essere espressa in anni di uso prima dello scarico del catalizzatore oppure in ammontare
di prodotti per ammontare di catalizzatore. Anche questa stabilità gioca un ruolo
fondamentale sull’incisione del costo totale del processo poiché, se il catalizzatore non è
ottimale, dovrò fermare il processo, rigenerare il catalizzatore il più possibile e sostituirlo
con uno adeguato. Dunque, più alta sarà la stabilità, minori saranno i costi down-time
(perdita di produzione dovuta alla sostituzione del catalizzatore).
4. FACILITA’ DI RIGENERAZIONE
Riduce il tempo di recupero del catalizzatore.
5. TOSSICITA’
Il catalizzatore non deve creare problemi di sicurezza per gli operatori che lo manipolano.
6. COSTO
TIPI DI CATALISI
Una prima classificazione nell’ambito dei catalizzatori può essere fatta a seconda delle fasi
coinvolte nel processo: se la fase è unica, abbiamo una catalisi omogenea, se invece sono
due o più fasi, abbiamo una catalisi eterogenea.
 CATALISI OMOGENEA
I reagenti, i prodotti e i catalizzatori sono presenti nella stessa fase; inoltre, i catalizzatori
possono essere: acidi solubili, basi, sali e composti organometallici.

 CATALISI ETEROGENEA
I reagenti, i prodotti e i catalizzatori sono presenti in fasi differenti; inoltre, i catalizzatori
possono essere: solidi inorganici come ossidi metallici, oppure solidi organici.

L’uso e la scelta anche di acidi liberi nell’ambiente di reazione, incide sul costo di
investimento del processo. Se dovessi utilizzare un acido forte come catalizzatore, allora
dovrò tenere conto anche della scelta dei materiali da utilizzare nella costruzione
dell’impianto industriale, cioè resistenti agli ambienti acidi molto forti.
La disattivazione di un catalizzatore può avvenire anche per via di un surriscaldamento;
cioè nel caso di reazioni fortemente esotermiche, si possono creare degli “HOT-SPOT”,
ovvero dei punti caldi dovuti al fatto che non riesco a controllare la temperatura durante le
reazioni esotermiche, e questo provoca l’avvelenamento del catalizzatore stesso (perde la
sua struttura porosa).
La catalisi eterogenea è una catalisi di superficie, ovvero affinché avvenga il fenomeno
catalitico è necessario che i reagenti diffondano sulla superficie del catalizzatore (nei pori),
dove sono situati i siti attivi e avviene la reazione chimica. Dunque, maggiore è la
superficie specifica del catalizzatore, maggiore sarà l’attività del catalizzatore.
Un altro problema può essere l’elevata resistenza meccanica, deve tenere costante la sua
morfologia.

CLASSIFICAZIONI DI CATALIZZATORI
È possibile classificare i catalizzatori anche sulla base delle proprietà chiave responsabili
dell’azione catalitica (tipo di siti attivo). Infatti, si possono individuare 3 classi principali di
catalizzatori:
A. Catalizzatori Redox
Sono questi i catalizzatori di ossidazione, idrogenazione, deidrogenazione e
alogenazione. La caratteristica peculiare è la presenza di metalli di transizione (nella
fase di sali, complessi o metalli) come componente principale.
B. Catalizzatori Acido-Base
Sono questi i catalizzatori di reazione di alchilazione, oligomerizzazione, cracking,
isomerizzazione. idrogenazione, deidrogenazione e alogenazione. La caratteristica
chiave è la loro acidità e basicità. (Si comportano sia da acidi e basi di lewis che da
acidi e basi di Bronsted)
C. Catalizzatori Polifunzionali
Sono questi i catalizzatori di reforming e oligomerizzazione. Sono una miscela di
catalizzatori acido-base e redox.

CATALISI ETEROGENEA NEI PROCESSI INDUSTRIALI


Nella catalisi industriale, in impianti continui, si preferisce utilizzare la catalisi eterogenea,
per quanto è possibile. I principali vantaggi di questa tipologia di catalisi sono riassumibili
come:
- Facilità di separazione del catalizzatore.
- Flessibilità nella rigenerazione del catalizzatore.
- Costi più contenuti.
I reattori industriali che adottano la catalisi eterogenea devono essere progettati con delle
peculiarità specifiche e devono tener conto anche dei seguenti aspetti: Sicurezza, Impatto
ambientale e Facilità di scale-up.

COSTITUENTI DEI CATALIZZATORI ETEROGENEI


 Un catalizzatore eterogeneo è un materiale caratterizzato da:
a) Quantità relativa di diversi componenti
b) Forma
c) Distribuzione porosimetrica
d) Superficie specifica
 È costituito da:
a) Specie attiva
b) Promotori
c) Supporto

È importante che i reagenti interagiscano


con la superficie dei catalizzatori e che i
prodotti successivamente formati
dissocino da essi, per permettere la
rigenerazione dei siti attivi e dunque svolgere un nuovo ciclo catalitico.
Se le interazioni che si stabiliscono con il catalizzatore, sia per i reagenti che per i
prodotti, sono troppo forti o troppo deboli, allora la catalisi si blocca. Questo
nell’ambito industriale viene spiegato con il principio di Sabatuì(?), ovvero, se le
interazioni sono troppo deboli, i reagenti non hanno tempo nel convertirsi in prodotto,
invece se sono troppo forti, disattivano il catalizzatore (idem per i prodotti).
Quando ci riferiamo alla superficie specifica di un catalizzatore eterogeneo, ci stiamo
riferendo alla sua superficie interna, cioè gran parte dei solidi utilizzati nella catalisi
eterogenea sono dei solidi porosi, caratterizzati da una superficie interna molto più
grande di quella esterna, e al suo interno vi sono situati i siti attivi.
A questo punto, andiamo ad analizzare i vari costituenti di un catalizzatore eterogeneo.
1. FASE ATTIVA

È costituita da uno o più componenti, i quali


contribuiscono ognuno con la propria attività o
interagiscono tra loro, creando degli effetti
sinergici. Questi componenti contribuiscono a
creare i siti attivi, e quando si sintetizza un
catalizzatore eterogeneo, si cerca sempre di
massimizzare tali siti attivi, in modo tale da
aumentarne l’attività stessa. Essi possono essere
metalli o ossidi metallici.
Esempi: metalli nobili (Pt, Pd), metalli base
(Ni), ossidi di metalli di transizione (TiO2, Nb2o5, CuO, MoO2)

2. PROMOTORI

1 Promotori fisici:
 Elementi o composti che, aggiunti in piccole quantità, aiutano a stabilizzare
l’area specifica e aumentare la resistenza meccanica. Agiscono a conservare la
struttura porosa del catalizzatore anche lavorando ad elevate temperature.
 Sono ossidi metallici.
 Esempi: Al2O3, SiO2, MgO, TiO2, ZrO2
2 Promotori chimici
 Elementi che modificano l’attività e la selettività delle specie chimiche.
 Sono ossidi metallici.
 Esempi: metalli alcalini, alcalini terrosi: K2O.
FASE ATTIVA
3. SUPPORTI

Composti presenti in quantità maggiori rispetto agli componenti ed hanno un ruolo


importante quasi quanto la fase attiva. Essi agiscono per:
I. Ridurre l’ammontarePROMOTORI
delle specie attive costose. Queste, infatti, sono disperse
sulla superficie del supporto.
II. Dare luogo ad una superficie specifica e una distribuzione di pori ottimale per la
specie attiva.
III. Aumentare la resistenza meccanica del catalizzatore.
IV. Creare un catalizzatore polifunzionale attraverso l’introduzione di siti nuovi.
V. Migliorare lo scambio termico.
VI. Stabilizzare i componenti metallici nel caso di particelle di piccole dimensioni
(si evitano i problemi di sinterizzazione).
VII. Stabilizzare le specie ossido metalliche in uno stato di valenza o di
coordinazione differente da quello senza supporto.

- Esempi: metallini alcalini terrosi, metalli


di transizione (Al2O3, TiO2, SiO2, ZrO2,
zeoliti o carbone).
PROMOTORI

SUPPORTO

PREPARAZIONE DI CATALIZZATORI
ETEROGENEI
La preparazione di un catalizzatore eterogeneo, cioè il modo in cui si prepara, può giocare
un ruolo importante nella definizione delle sue proprietà. Alcune delle principali operazioni
riguardanti la preparazione di un catalizzatore eterogeneo sono:
1. Precipitazione: la fase attiva, presente come precursore, viene sciolta in un solvente e si
aggiunge il supporto (sottoforma di polvere sottile). A questo punto viene creata una
sospensione del solido nel liquido, contenente la fase attiva, e perturbando il sistema
attraverso un riscaldamento o variazione del pH, si induce la precipitazione dell’ossido
metallico o della fase attiva sulla superficie del catalizzatore.
2. Impregnazione: In tal caso, il supporto viene sempre messo in contatto con una fase
attiva, contenente il suo precursore, e a seconda della quantità di solvente utilizzato, si potrà
avere un “impregnazione a secco” o “impregnazione a umido”. Se l’impregnazione è a
umido, il solido è lasciato a contatto con la soluzione contenente il precursore della fase
attiva; attraverso delle interazioni, poi, la specie attiva interagisce con la superficie del
nostro supporto e al termine della reazione, si avrà un’eliminazione del solvente in eccesso
con conseguente essiccazione del prodotto ottenuto. Mentre, se l’impregnazione è a secco,
allora si utilizzerà una quantità di solvente minima, e quindi il volume della soluzione
contenente il precursore della fase attiva sarà uguale al volume dei pori, ovvero il volume
necessario per riempire tutti i pori.
3. Miscela Fisica: in questo caso, sia il precursore del metallo che il supporto viengono
macinati insieme per ottenere una miscela fisica.

Alla fine di tutti i vari metodi di sintesi, non si ha il catalizzatore finale, ma si ha ancora il
precursore della fase attiva legato in qualche modo al supporto. Per ottenere la fase attiva è
necessario il trattamento termico, l’essicamento e la calcinazione. La calcinazione viene
operata per stabilizzare il catalizzatore eterogeneo ad un certo intervallo di temperature. In
tal modo si potrà prevedere il suo comportamento ad elevate temperature.
- CATALIZZATORI NON SUPPORTATI: Sono catalizzatori
eterogenei attivi che non richiedono un’area specifica elevata.
Ad esempio, abbiamo il catalizzatore a base di ferro per la
sintesi di NH3.

- CATALIZZATORI SUPPORTATI: Sono catalizzatori


eterogenei che richiedono un supporto con un’area specifica
alta per disperdere la fase attiva. Il supporto può fungere sia co-catalizzatore
(catalizzatore bifunzionale) che promotore fisico.

FORMA E DIMENSIONI DEI CATALIZZATORI


La scelta della morfologia del catalizzatore (dimensione, forma, porosità e distribuzione
dei siti attivi) dipende da fattori come:
 La cinetica intrinseca della reazione.
 La velocità di diffusione dei reagenti e dei prodotti.

La dimensione delle particelle catalitiche influenza direttamente la velocità di reazione


“osservata”, perchè: più piccole sono le particelle e minore sarà il tempo richiesto ai
reagenti per raggiungere il sito attivo per diffusione. Tuttavia, nel caso di reazioni veloci e
catalizzatori di grosse dimensioni, il reagente non raggiunge mai l’interno della particella
(pori), perché viene convertito prima e quindi il catalizzatore non è utilizzato del tutto.

o FATTORE DI EFFICIENZA
Non sempre la velocità di una reazione chimica è governata da una constante cinetica k, che
nel caso lineare, dipenderà dalla concentrazione dei reagenti (reazione chimica superficiale).

Questo non è sempre vero perché in presenza di pori,


fase
nel caso di catalizzatori eterogenei, si dovranno gassosa
tenere in conto anche delle limitazioni diffusive che
faranno sì che la concentrazione dei reagenti nel
j molecole
reattive
Fase
poro non sia uguale a quella esterna, ma vari lungo k gassos
il poro con un certo profilo. Cioè si creeranno dei l aFase
gradienti di concentrazione, per cui si avranno dei m liquida/strat
o stagnante
fenomeni diffusivi all’interno del poro. n
o
Tenendo conto delle limitazioni diffusive, si dovrà Por po
considerare una velocità di reazione vera o effettiva o ro
pari a: soli
do p qr

L’utilizzo di un catalizzatore sarà espresso in termini di “Fattore di Efficienza o Utilizzo”


(η):

Inoltre, η tiene conto delle limitazioni diffusive riducendo la velocità di reazione rispetto a
quello che si avrebbe in superficie.

Valore della velocità all’interno del poro a differenti valori di


concentrazione (C) e temperature (T).
Valore della velocità ai valori di superficie di concentrazione
(Cs) e temperature (Ts).
La velocità di reazione intrinseca è riferita alla concentrazione dei reagenti all’esterno del
poro.
La velocità di reazione osservata non è uguale a quella intrinseca e dipende dalla
concentrazione esterna (o all’imbocco del poro), secondo il parametro η.
Quando η=1 allora possiamo avere le due velocità identiche tra di loro; ma da un punto di
vista sperimentale, il fattore di efficienza è sempre <1, quindi la velocità di reazione
osservatà risulterà sempre più bassa di quella intrinseca.
Per calcolare il fattore di efficienza η, bisogna introdurre il Modulo di Thiele (ϕ). Nel caso
di reazioni cinetiche lineari e reazioni del primo ordine abbiamo:

V=volume
S=superficie

Come correlo il Modulo di Thiele con il Fattore di Efficienza?


 Per poter trascurare l’influenza dei fenomeni diffusivi, il fattore di efficienza deve
essere prossimo a 1, in questo caso il catalizzatore è utilizzato completamente.
Per bassi valori del modulo di
thiele (Particella piccola, poro
grande):
ϕ→0 η≈1
Non c’è resistenza alla diffusione.
Per alti valori del modulo di thiele (Particella grande, poro piccolo):
ϕ→1 η<1
C’è resistenza alla diffusione.
Mentre l’attività catalitica può essere aumentata, il trasferimento di materia no, poiché
dipende dalla forma e dalla morfologia del catalizzatore.
 Il rapporto superficie (S) e volume (V) dovrebbe essere più grande possibile.
 Diverse forme di catalizzatori industriali aventi diversi valori del rapporto S/V (fig.)
 Particelle troppo piccole, dall’altro punto di vista, causerebbero perdite di carico
troppo elevate.

Le proprietà meccaniche dei catalizzatori sono cruciali ai fini della scelta del tipo di reattore.
Per esempio, per i reattori a letto fluidizzato e a letto trascinato, si richiedono particelle
catalitiche di forma sferica, con dimensioni in un intervallo di 30-150 mm. Il vantaggio
della forma sferica rispetto ad altri tipi di forma risiede nella buona resistenza meccanica
all’attrito. Ciò è importante nei letti fluidizzati, dove le particelle devono essere ricircolate
rapidamente tra il reattore e il rigeneratore.
TIPI DI REATTORI PER LA CATALISI ETEROGENEA
I fattori fondamentali che incidono sulla scelta del tipo di reattori per catalizzatori
eterogenei sono:
A. Numero e tipo di fasi coinvolte: G/S, G/L, G/L/S, L/L/S.

B. Caratteristiche di trasferimento di energia e di materia.

C. Cinetica delle reazioni principali e secondarie. Questo aspetto determina i profili di


concentrazione e di temperatura.

D. Tonalità termica della reazione. Questo determina le strategie da adottare per lo


scambio termico.

E. Disattivazione del catalizzatore (velocità, possibilità di rigenerazione).

A questo punto osserviamo i tipi di reattori:


4. REATTORI GAS-SOLIDO:

Il reattore può essere a letto fisso o a letto mobile, ma quello a letto fisso è il reattore più
comune nei processi.
È costituito da un cilindro in cui è posto il catalizzatore sotto forma di particelle,
impaccate in modo random.
I vantaggi relativi all’uso di un letto fisso sono:
Semplicità nella costruzione.
Alto carico di catalizzatore per unità di volume del reattore, quindi ho la possibilità di
accelerare molto la mia reazione.
I reattori a letto fisso sono: il semplice reattore a letto fisso, il reattore a flusso radiale e
il reattore monolita:

Se è presente una sola fase fluida, questa può attraversare il letto:


- Dal basso
- Dall’alto (più comune)
- In modo radiale (per ridurre le perdite di carico), il flusso dei reagenti è
perpendicolare all’asse del reattore.

Reattore Monolita:
 I reattori monoliti sono reattori strutturati. Essi sono in
ceramica o blocchi di metallo, e presentano dei canali
paralleli ricoperti da catalizzatore.
 Si usano per reazioni in fase gas, con basse perdite di
carico e buono scambio termico.

Quali sono gli svantaggi di un reattore a letto fisso?


I reattori a letti fissi sono intrinsecamente discontinui rispetto al solido e questo pone la
necessità di fermare periodicamente l’impianto, scaricare il catalizzatore esausto,
reimmettere solido fresco e ripartire.
L’eterogeneità del sistema, in un letto fisso, può porre problemi di scambio di energia tra le
due fasi, con conseguenti profili termici all’interno del letto (ad es., si possono verificare
“hot spots”, ovvero punti più caldi di altri all’interno del reattore).
Ma tutti gli svantaggi ritrovati nel reattore a letto fisso, sono superati dai reattori a letto
mobile.
Nei reattori a letto mobile, il catalizzatore non è fermo o confinato, ma è mobile o

circolante.

 Nei reattori a letto mobile, il catalizzatore si muove


verso il basso per effetto della gravità, mentre la fase
fluida lo attraversa dal basso o in modo assiale.
Una complicazione potrebbe essere la necessità di ricircolare
il catalizzatore, offrendo la possibilità di rigenerarlo.

 Abbiamo poi anche reattori a letto fluidizabile, in cui


il catalizzatore viene mantenuto sospeso
nell’alimentazione e viene trattato proprio come un
“fluido”.
 Le particelle di catalizzatore si muovono in modo
casuale per effetto del flusso di gas o di liquido
alimentati dal basso.
 Si evitano i problemi di discontinuità legati al letto
fisso (ingresso ed uscita continui di solido al letto
fluidizzato).
 Una complicazione potrebbe essere la necessità di ricircolare il catalizzatore,
offrendo la possibilità di rigenerarlo.

Quando le portate di gas in gioco sono così elevate, tali da


rendere la velocità del gas maggiore di quella di trasporto,
l’intero letto di materiale solido diviene trascinato.
Per questo, in cima alla colonna di fluidizzazione (il “riser”) si pone un ciclone per separare
il gas prodotto dal solido, che viene riciricolato alla base del riser, ottenendo così un reattore
a letto fluidizzato circolante.
5. REATTORI GAS-LIQUIDO:

A LETTO-FISSO

 Quando sono presenti più fasi fluide, queste possono essere:


1. Equicorrenti dall’alto (Trickle-flow)
2. Equicorrenti dal basso
3. controcorrenti

A LETTO-MOBILE

SCAMBIO TERMICO

Nel caso di problemi di scambio termico (reazioni fortemente esotermiche o


endotermiche), i reattori a letto fisso risultano essere i meno efficienti.
In questi reattori possono instaurarsi profili assiali e radiali di temperatura (HOT SPOT) che
possono causare problemi.
In molti casi si preferisce lavorare con reattori adiabatici con raffreddamento (o
riscaldamento) intermedio.
H/C: zone intermedie di scambio termico.
L’introduzione dei reagenti nel primo letto catalitico e la conseguente reazione che viene
svolta al suo interno, potrebbe causare una variazione di temperatura, dunque, per ritornare
di nuovo alla temperatura iniziale (sia per reazioni fortemente esotermiche che fortemente
endotermiche) vengono posti questi reattori adiabatici di raffreddamento o riscaldamento
intermedi (H/C).
Nella figura (A DESTRA) osserviamo i reattori utilizzati anche per la sintesi
dell’ammoniaca; ciò che notiamo è che vi sono letti catalitici alternati in un unico reattore
(vettel), con delle zone intermedie di raffreddamento (C). Mentre a fianco abbiamo i
reattori Quench, ovvero dei reattori che svolgono un rapido raffreddamento.
 Nel caso di reazioni fortemente endotermiche, il calore può essere fornito al sistema
reagente attraverso reattori multi-tubolari, dove tubi contenenti il catalizzatore
vengono messi in contatto con il fluido di termostatazione. Se la necessità di calore è
più elevata, il reattore può essere collocato all’interno di un forno.

Dall’alto entra
l’alimentazione, essa passa attraverso i tubi e tramite fluidi caldi si sopperisce alla richiesta
di calore per reazioni fortemente endotermiche. Nella fornace, invece, il riscaldamento può
avvenire per irraggiamento.
Disattivazione del catalizzatore
La disattivazione, o perdita di attività nel tempo, del catalizzatore eterogeneo è uno degli
aspetti principali che condizionano la scelta del reattore, perché potremmo avere minore
produttività (perché si deve fermare l’impianto, rigenerarlo se possibile e sostituirlo).
La disattivazione può essere:

6. SPORCAMENTO (è temporaneo)
La causa più comune attraverso cui un catalizzatore può essere disattivato è quella
del verificarsi di reazioni secondarie sulla superficie del catalizzatore
(sporcamento). Tra queste reazioni, la più comune è la formazione di coke (C), per
reazioni di condensazione di aromatici.
Si forma prevalentemente in ambiente riducente, a bassa pressione di H 2 e ad alta
temperatura; inoltre, per limitarlo si alimenta idrogeno o acqua.

 Ovviamente, la formazione del coke influenza la scelta del reattore, ma un modo per
rigenerare il catalizzatore è proprio bruciare il Coke stesso che viene a prodursi.

7. AVVELENAMENTO (è permanente)
L’avvelenamento si verifica quando delle impurezze nelle materie prime,
interagiscono con i siti attivi del catalizzatore provocandone la diminuzione di
reattività o addirittura inibendoli. In genere, anche piccole quantità di impurezze
(ppm) possono provocare disattivazione per avvelenamento. Esempi:

1) Zolfo per il catalizzatore di reforming catalitico;


2) CO/CO2 per il catalizzatore di ferro per la sintesi di NH3.

Un modo per limitare l’avvelenamento è quello di purificare le correnti di


alimentazione. Dunque, vedremo che un processo per ridurre tali avvelenamenti è
l’utilizzo di idro-trattamenti per rimuovere composti azotati, solfonati, CO, ecc...

8. SINTERIZZAZIONE
Viene persa la struttura porosa del catalizzatore, con una diminuzione dell’area
specifica. Può verificarsi quando la temperatura, anche localmente, subisce bruschi
incrementi (HOT SPOT) a causa di maldistribuzione del flusso o altre anomalie.
Le particelle catalitiche tendono a unirsi, fondendosi e diminuendo l’area specifica.
REATTORI CHIMICI IDEALI E CARATTERISTICHE

Consideriamo le reazioni: A  Prodotti (dove A è la specie chimica limitante)


Le reazioni sono condotte in condizioni:
• Isobare (P costante)
• Isoterma (T costante)
• In fase liquida (non si hanno variazioni significative di densità del sistema con la
reazione).
• Il sistema è Omogeneo
La velocità di tale reazione chimica, riferendoci alla specie limitante A (velocità di
scomparsa), può essere espressa in termini di moli di A reagite x unità di tempo e
Volume.
Equazione di progetto
Trovare un’equazione di progetto per un reattore chimico significa per un progettista (un
chimico), mediante bilanci di materia, trovare un modo per definire il tempo (o il volume)
del reattore una volta fissate le specifiche (condizioni di alimentazione, grado di
conversione richiesto).
Possiamo definire tali reazioni per reattori ideali, dopo l’idealità è riferita al tipo di flusso
dei reagenti e dei prodotti. In tal caso sarà: PM (Perfetta Miscelazione) e PS (Perfetta
Segregazione)
I tre reattori ideali che considereremo sono:
1. STR (Stirred Tank Reactor)
2. PFR (Plug Flow Reactor)
3. CSTR (Continuous Stirred Tank Reactor)
Dove il primo è un reattore discontinuo, cioè dove l’alimentazione dei reagenti e dei
prodotti non avviene in modo continuo ed è quello che avviene nella fase di laboratorio;
mentre gli ultimi due sono continui.
Per andare a definire il BILANCIO DI MATERIA, dovremo sempre partire dalla “legge
generale di bilancio”, e quindi, fissato un volume di controllo e le dimensioni in cui fare il
bilancio stesso, avremo:
IN + GEN = OUT + ACC
(IN: ciò che entra, GEN: ciò che si genera, OUT: ciò che esce, ACC: ciò che si accumula)
“Ciò che entra più ciò che si genera, meno ciò che esce, si accumula.”
OSS: Ovviamente non ha senso scrivere bilanci di energia (sistemi isotermi) nè bilanci di
materia sull’intero sistema (la massa si conserva).
Reattore Batch STR (REATTORE A TINO AGITATO)
Il reattore STR (a tino agitato) è un reattore discontinuo a perfetta
miscelazione. Abbiamo una elica che va a miscelare la soluzione e ciò
implica che, per ogni istante, le proprietà intensive (es. la
concentrazione) sono uniformi nello spazio, ma variabili nel tempo.
Per verificare se la reazione è avvenuta, a tempi diversi, da uno dei colli
laterali preleviamo la soluzione con una pipetta ed analizziamo. Ma in
che punto prelevo? Se il mio reattore è in condizione di perfetta
miscelazione, non mi devo curare di questo aspetto, perché in ogni
punto dello spazio (del reattore) in cui prelevo ho sempre la stessa
concentrazione. Questo vuol dire che non sono presenti gradienti di
concentrazione.
A questo punto scriviamo il Bilancio di Materia. Poiché il reattore è discontinuo, avremo:

Poiché il bilancio è scritto sulla specie


limitante A, più che generazione si deve parlare di scomparsa e più che accumulo si deve
parlare di decumulo. Pertanto, il decumulo (-ACC) di A nel tempo è uguale alla scomparsa
di A (-GEN) per la reazione chimica.
 Il decumulo di A (in quanto ‘’decumulo’’) deve essere sempre positivo, vale:

dove n =sono le moli di A


A

Ovviamente la derivata nA(t) è intrinsecamente negativa, in quanto A scompare poiché è il


reagente.
 La scomparsa di A per la reazione chimica è:

Pertanto, sostituendo i termini ACC e GEN nell’equazione sopra indicata, avremo:

Dividendo per il volume del reattore (V):

ciò che otteniamo è:

Introduciamo ora il “Grado di Conversione”, ovvero il rapporto tra la differenza di nA0 e


nA diviso nA0, dove nA0 è il numero di moli iniziali di A e nA è il numero di moli di A al tempo
t:
Il parametro XA può variare tra 0 e 1:
xA=0 (per nA=nA0)
xA=1 (per nA=0)

Quando il parametro è uguale a 0 significa che la reazione non è avvenuta, perché ho ancora
tutto il reagente iniziale A, mentre se è uguale ad 1, allora vuol dire che la reazione è andata
a completezza, perché tutto il reagente A è stato convertito in prodotto.

Equazione di Progetto
Risolvendo l’integrale si arriva all’EQUAZIONE DI PROGETTO:

Tuttavia, si deve osservare che:


1. Dimensionalmente si ritrova un tempo sia a sx che a dx.
2. L’equazione di progetto è una relazione biunivoca, nel senso che (fissati gli
altri parametri) restituisce il tempo necessario a raggiungere un certo grado di
conversione. Infatti, il membro di dx è funzione esclusiva di XA.
3. L’equazione di progetto si può risolvere soltanto dopo che la velocità di
reazione sia stata espressa in funzione del grado di conversione.
4. La velocità di reazione compare giustamente al denominatore. Più una
reazione è veloce (k elevata), meno tempo ci vuole a raggiungere a un certo
grado di conversione.
5. Comparendo XA all’estremo superiore di integrazione, chiaramente, è
funzione crescente di XA.

La soluzione dell’integrale è:
OSS: Si osservi che il secondo membro è positivo poiché il logaritmo è intrinsecamente
negativo (poiché esso ha argomento intrinsecamente minore di 1).
Questo è un classico esempio di relazione biunivoca tempo vs. conversione:
 Se xA=0, t=0;
 Al crescere di xA, cresce t;
 Per raggiungere xA=1, ci vorrebbe un tempo di reazione infinito poiché al
limite di conversione completa la reazione ha velocità nulla.
Da un punto di vista grafico abbiamo:

Quindi possiamo dire che il reattore Batch STR è un reattore che si usa in genere a livello
preindustriale. Ha indubbi vantaggi, proprio perché è versatile.  
Inoltre, può essere usato per provare una reazione, per ottenere dati cinetici (ad es. su scala
da laboratorio), e poi, dopo essere stato svuotato e ripulito, può essere riutilizzato per un
altro processo. Si usa spesso cioè per studiare una reazione prima che essa venga portata su
scala industriale, poiché se fosse applicata direttamente su scala industriale, esso soffrirebbe
di problemi di produttività. Infatti, rispetto ai reattori continui, il reattore STR presenta
tempi morti tra un ciclo ed un altro (legati alle operazioni di scarico, pulizia e ricarico per
ogni ciclo); e questi tempi morti influenzano negativamente la produttività.  
Reattore PFR (Plug Flow Reactor)

Il reattore PFR, o anche chiamato “reattore tubulare”,


è un reattore continuo e quindi con termini IN e OUT,
e lo si assume anche stazionario, cioè le proprietà di
condensazione o portata molare della corrente di
ingresso e di uscita, sono costanti nel tempo. Pertanto,
non vi sono termini di ACC.

Dunque, consideriamo sempre le reazioni: A  Prodotti (dove A è la specie chimica limitante)


Le reazioni sono sempre condotte in condizioni:
• Isobare (P costante)
• Isoterma (T costante)
• In fase liquida (non si hanno variazioni significative di densità del sistema con la
reazione).
• Il sistema è Omogeneo
Ovviamente, i termini andranno espressi in molA/t, che per un reattore continuo significa
“portata molare di A” (FA). La portata molare si esprime come prodotto tra la portata
volumetrica complessiva del sistema (Q è costante, V/t) e la concentrazione.
Il reattore PFR è anche detto tubulare con flusso a pistone, cioè significa ricreare situazioni
fluidodinamiche (meglio approcciate per reattore lungo e stretto) per cui, lungo la direzione
principale del moto (da sx verso dx nel disegno, asse z), per ogni valore di z si ha un
determinato valore delle proprietà intensive (ad es., concentrazione).

z
z
Ciò significa che, fissato z, se si vuole osservare un valore diverso di concentrazione (e
quindi di un grado di conversione per la ormai famosa relazione rossa) bisogna focalizzarsi
su valori precedenti o successivi di z.
Gli elementi di fluido che si trovano ad un certo valore di z, in altre parole, non si
miscelano né con gli elementi precedenti né con quelli successivi (assenza di diffusione
assiale). Tale fenomeno è anche chiamato “perfetta segregazione assiale” (gli elementi di
fluido lungo l’asse sono segregati e non interagiscono l’un l’altro).

Per completare, diciamo che avere un “flusso a pistone”, significa in aggiunta che, fissato un
valore di z, gli elementi di fluido lungo la coordinata radiale presenteranno tutti le stesse
proprietà intensive e la stessa velocità.

 Nel caso del flusso laminare, invece, si osserva un profilo “parabolico” di velocità.

r
parete

z
z
Notiamo che gli elementi di fluido lungo le 2 pareti sono più lenti.
Andiamo a descrivere il BILANCIO DI MATERIA (PFR):
Consideriamo il reattore
PFR con una certa lunghezza
L, da esso scelgo poi un
volume infinitesimo tra
z+dz, il quale rappresenta la
sezione di passaggio del
fluido (S).
Il volume di controllo, intorno a cui fare il bilancio, non può essere l’intero reattore, in
quanto si perderebbero informazioni lungo l’asse z. Proprio perchè le proprietà variano
lungo la coordinata spaziale z, si scriverà un bilancio nel volumetto infinitesimo dV=Sdz,
dove S è l’area della sezione di passaggio del fluido (area del cerchio per reattore
cilindrico).

Sostituendo il tutto nella relazione:

Ora, andiamo a definire l’EQUAZIONE DI PROGETTO per il reattore PFR:


dove V=SL ed è il volume dell’intero reattore cilindrico.

Ricordiamo ora che, dato un fluido di portata volumetrica Q in un sistema di volume V, in


fluidodinamica si definisce:
V
TEMPO DI RESIDENZA: τ = Q

Tale tempo di residenza viene anche chiamato “tempo-spazio” e rappresenta il tempo che
ciascun elemento di fluido spende all’interno del reattore.
NB: Quindi, visto nell’ottica dell’elemento di fluido e non dell’osservatore esterno (c.d.
“ottica Lagrangiana” in cui l’osservatore si rende solidale all’elemento di fluido
“impersonificandosi” in esso), τ rappresenta il tempo di reazione.

L’equazione di progetto per il reattore PFR diventerà allora:

Osservazione: Dunque, le due equazioni di progetto (per STR e PFR) sono del tutto
equivalenti, e identiche saranno le soluzioni e tutti i commenti sviluppati per STR. L’unica
differenza consiste nel fatto che “ciò che nell’STR accade nel tempo, nell’PFR accade nello
spazio”.
Infatti, nel reattore STR le composizioni sono uniformi nello spazio, e per vederle
cambiare bisogna cambiare tempo. Al contrario, nel reattore PFR le composizioni sono
costanti nel tempo, e per vederle cambiare bisogna cambiare coordinata spaziale z.
Una volta compresa a fondo questa analogia, si capirà che il parametro che si ottiene qui (τ)
non è un “tempo”, ma bensì una misura di “quanto tempo” gli elementi di fluido dovranno
vivere nel reattore. Ciò è, ovviamente, a sua volta funzione della grandezza V (volume del
reattore da progettare, noto il valore di Q). Inoltre, tutte le tutte le considerazioni fatte per t
nel caso di STR (quando è nullo, quando cresce, quando è infinito, da cosa dipende ecc.)
valgono ora per τ.
Dunque, fissato Q avremo:
 Se xA=0, t=0; V=0 (il reattore non va costruito se si desidera conversione nulla)
 Al crescere di xA, cresce t;
 Per raggiungere xA=1, ci vorrebbe un tempo di reazione infinito, poiché al limite
di conversione completa la reazione ha velocità nulla; V=grande

Reattore CSTR (Continuous Stirred Tank Reactor): Reattore a tino continuo a perfetta
miscelazione (PM)

Benché nelle sembianze e nell’acronimo CSTR sembri


simile a STR, in realtà CSTR è un reattore completamente
diverso (mentre STR e PFR rappresentano due facce della
stessa medaglia). CSTR è un reattore continuo, quindi con
termini IN e OUT, e lo si assume anche stazionario.
Pertanto, non vi sono termini di ACC.
Inoltre, il CSTR è “perfettamente miscelato”, nel senso
che le proprietà intensive sono uniformi nello spazio. Ma
essendo CSTR un reattore continuo e stazionario, si può
affermare anche che tali proprietà intensive sono costantemente pari ai valori in uscita (cioè
non variano nel tempo come accadeva per STR). Quindi, in tale reattore perfettamente
miscelato continuo, ogni elemento di fluido appena entra nel reattore si uniforma
istantaneamente alle proprietà degli elementi di fluido in uscita.
Possiamo dunque affermare che nel reattore CSTR, ogni parametro intensivo (ad es.,
conversione) assume uno e soltanto un valore: quello in uscita. Quindi gli elementi di
fluido faranno esperienza di uno e soltanto un valore di rA: quello in uscita.
Andiamo a descrivere il BILANCIO DI MATERIA (CSTR):
 Assumiamo sempre le stesse reazioni e condizioni: Q*CA, 0

Q*CA,
OUT

r A*
V
Il bilancio di materia si scriverà quindi:

IN + GEN = OUT + ACC


IN-OUT = -GEN
Cioè, fissato un volume di controllo, la differenza tra A che entra ed A che esce, è definita
come scomparsa per via della reazione chimica (–GEN). Si può considerare come volume di
controllo l’intero volume V del reattore.
Avendo: IN = QCA,0 , OUT = QCA,out , -GEN = rAV sostituendo otteremo:

andiamo a descrivere l’EQUAZIONE DI PROGETTO:


Avendo precedentemente definito V/Q come il tempo di permanenza (τ), allora l’equazione
di progetto per il reattore CSTR sarà:

Osservazioni:
 L’equazione di progetto per il CSTR è algebrica, e non integrale come STR e PFR.
 Nel STR le proprietà variano nel tempo, e quindi si osserveranno infiniti valori di
conversione tra inizio e fine del processo. Idem per il reattore PFR (le proprietà
variano nello spazio). Infatti, si è atterrati su equazioni di progetto contenenti un
integrale, perché avere infiniti valori di xA significa che gli elementi di fluido fanno
esperienza di infiniti valori di rA e quindi per considerarli tutti c’è bisogno di un
integrale.
 Nel CSTR, invece, ogni parametro intensivo (ad es., conversione) assume uno e
soltanto un valore: quello in uscita. Quindi gli elementi di fluido faranno esperienza
di uno e soltanto un valore di rA: quello in uscita. L’equazione di progetto sarà
quindi algebrica.
Per la Cinetica Lineare, invece, avremo:

Andando a verificare da un punto di vista grafico, avremo:

Nel caso di cinetiche “tradizionali” (es., leggi di potenza), le condizioni operative per CSTR
possono ritenersi svantaggiose. Infatti, gli elementi di fluido lavoreranno esclusivamente al
valore finale di grado di conversione, quello cioè per cui la concentrazione di A assume il
valore inferiore possibile (e pertanto la velocità di reazione assume il valore inferiore
possibile).
In un reattore a flusso segregato, invece (PFR), gli elementi di fluido fanno esperienza di
tutti i valori di velocità di reazione (tra ingresso e uscita) e quindi “mediamente” reagiranno
a velocità maggiore rispetto al caso CSTR. Ciò comporterà pertanto, a parità di conversione
desiderata, un minor valore per τ (e cioè reattore più piccolo) nel caso PFR.
Quando può convenire il reattore CSTR?
Sicuramente nei casi in cui il sistema reagente ha bisogno di vigorosa miscelazione.
PROCESSI DI SEPARAZIONE E PURIFICAZIONE
(NON SO SE SI DEVE FARE)
Le operazioni di separazione e purificazione, insieme a quelle di arricchimento,
concentrazione, sono di fondamentale importanza per l’industria chimica.
 In ogni processo chimico si ha l’esigenza di produrre:
1. Un solo prodotto.
2. Prodotti con caratteristiche differenti rispetto ai reagenti.
3. Prodotti differenti con un certo grado di purezza.

Un processo di separazione o
purificazione può essere visto come l’operazione o la serie di operazioni, mediante la quale
una miscela di sostanze viene trasformata in due o più prodotti che differiscono tra loro per
la composizione.
I metodi più comunemente utilizzati per separare miscele liquide, gassose o gas-liquido
possono essere classificati in base alla stato fisico della miscela da separare.
9. DEGASSAGGIO
Il degassaggio è un metodo utilizzato per separare un gas da un liquido sfruttando la
diminuzione di solubilità dei gas nei liquidi all’aumentare della temperatura e al
diminuire della pressione. Pertanto, il degassaggio potrà essere effettuato
aumentando la T o abbassando la P.

10. DISTILLAZIONE
La distillazione è un metodo per separare due liquidi che hanno punti di ebollizione
diversi e non formano Azeotropi.

Fig.4.3 – Schema di una colonna di distillazione


per separare acetone e acqua.

Il principio di funzionamento di tali colonne


può essere riassunto in tale modo:

Supponiamo di avere una miscela liquida da


distillare, costituita dai componenti A e B
(consideriamo A più volatile di B). La miscela
liquida viene riscaldata viene riscaldata in un
forno esterno alla colonna e poi immessa allo
stato di vapore o anche in parte liquida.
Il vapore risale lungo la colonna e la sua
temperatura diminuisce man mano che procede
verso l’alto, fino a raggiungere un valore di
poco superiore alla temperatura di condensazione del componente più volatile (ad
esempio A) all’altezza dell’ultimo piatto. Procedendo verso l’alto, parte del vapore
condensa raccogliendosi nei piatti.
Quando in un piatto, il livello del liquido raggiunge l’altezza dello sfioratore, il
liquido ricade nel piatto sottostante, e così via.

11. CONDENSAZIONE
La condensazione si utilizza per separare da una miscela di vapori un componente
che presenta una temperatura di condensazione più alta.

Esempio: separazione di NH3 da H2 e N2 dai reattori di sintesi di NH3. Quest’ultima


può essere liquefatta a T superiori a N2 e H2.

12. RETTIFICA
Una colonna di rettifica, che presenta un'elevata superficie di scambio termico,
permette di condensare e rievaporare ciclicamente porzioni di vapore aventi
concentrazione sempre maggiore del suo componente maggiormente volatile.

ESEMPIO: frazionamento del petrolio. In questo caso, una miscela complessa,


contenente diversi componenti, attraverso la rettifica viene suddivisa in correnti o
frazioni ognuna ricca di un componente.

Talvolta risulta vantaggioso operare sottovuoto o a P ridotta, per alcuni motivi:


1. Evitare alterazione dei prodotti.
2. Avere un numero di stadi inferiori.
13. DISTILLAZIONE ESTRATTIVA
La distillazione estrattiva si applica nel caso di azeotropi.
Consiste nell’aggiungere, alla miscela dei due componenti, un terzo componente in
modo tale da influenzare i coefficienti di attività e la forma del diagramma Liquido-
Vapore.

FIG. Schema di una distillazione


estrattiva.
14. DISTILLAZIONE AZEOTROPICA
La distillazione azeotropica si applica anch’essa nel caso di azeotropi. Rispetto alla
distillazione estrattiva, dove l’agente estrattivo è poco volatile e si raccoglie dal
fondo, qui forma una miscela con i due componenti azeotropi più leggeri che escono
dalla testa della colonna.

Fig.4.6 – Schema di distillazione


azeotropica con benzene per
separare etanolo e acqua

15. ESTRAZIONE
Si utilizza un solvente non miscibile con
la miscela da separare, capace di
sciogliere selettivamente uno dei
componenti.

16. ASSORBIMENTO IN SOLVENTI


È simile all’estrazione, solo che si
applica a miscele gassose quando non è
possibile la condensazione. Il liquido
assorbente scioglie il gas da eliminare in
cui il gas è sciolto.

Esempio: CO2.

17. ASSORBIMENTO FRAZIONATO


Si applica quando non esiste un solvente selettivo. Pertanto, si sceglie un solvente che sciolga
in misura maggiore un campione rispetto ad un altro...

Esempio: separazione di due sostanze con punti di ebollizione vicini.

18. ADSORBIMENTO
Nell’adsorbimento si utilizzano dei solidi. Considerando una miscela fluida,
costituita da più componenti, la separazione avviene facendo passare tale miscela su
un materiale che riesce a trattenere in modo selettivo un componente senza interagire
con gli altri.

Esempio: Separazione di nei prodotti di cracking.


(FINO A QUI NON SO SE SI DEVE FARE, IL RESTO SI)
PROCESSI DI RAFFINERIA
Il petrolio è una miscela di idrocarburi liquidi, solidi e gassosi a diverso PM, dunque
possiamo avere dei prodotti petroliferi con diverso punto di ebollizione:

Vediamo alcune caratteristiche dei prodotti petroliferi.


19. GAS NATURALE
È il gas che si ottiene dai giacimenti, associato o no al greggio.
Il gas prima di essere utilizzato deve essere purificato da idrocarburi condensabili,
infatti, CO2 e H2S vengono allontanati con lavaggi alcalini.

20. GPL
Sono propano, butano e le loro miscele, si ricavano dai gas estratti dal pozzo o nei
processi di raffineria. Inoltre, si utilizzano come carburanti.

21. BENZINE
Sono definite tutte le miscele di idrocarburi con punti di ebollizione < 230°C.
Una caratteristica delle benzine è che sono carburanti destinati a motori a ciclo otto,
che rappresentano il diverso potere detonante di un carburante a detonare, quando
impiegati in un motore.
Vengono utilizzate nell’autotrazione, pertanto devono avere un alto potere
antidetonante. Questo viene misurato con il NUMERO DI OTTANO.

NUMERO DI OTTANO: rappresenta l’attitudine di un carburante a detonare


quando viene impiegato in un motore. (più alta è la compressione, più alta è la
detonazione)
Per aumentare il N.O. delle benzine si utilizzano composti ossigenati come il
metilterzialbutiletere (MTBE).
Oltre agli antidetonanti si aggiungono altri additivi come:

1. Antiossidanti: impediscono la formazione di perossidi che provocano la


polimerizzazione di composti insaturi con depositi gommosi nelle condutture
e valvole dei motori.
2. Inibitori di corrosione: per proteggere le linee e i serbatoi dalla corrosione in
presenza di acqua.
3. Agenti contro la formazione di ghiaccio: sono alcoli.
4. Agenti contro la pre-ignizione: Sono esteri e servono a diminuire la reattività
dei composti carboniosi sul cilindro che facilitano la pre-ignizione.

22. GASOLI
Sono prodotti destinati ai motori a Diesel.
Si richiede, per questo tipo di carburanti, una buona facilità di accensione che viene
determinata con il Numero di Cetano.
Per convenzione una miscela di cetano [C16H34] ha Numero di Cetano=100.
Per aumentare tale numero possono essere aggiunti idrocarburi volatili (C5-C7) o
etere etilico.

23. OLI COMBUSTIBILI


Essi sono tutti derivati del petrolio che vengono impiegati nella combustione.
Gli oli combustibili si ottengono dalle frazioni più pesanti del petrolio greggio.

24. OLI LUBRIFICANTI


Un olio lubrificante è un composto che svolge un’azione lubrificante se è capace di
formare un film tra due superfici in movimento, riducendone l’attrito. Pertanto, deve
avere:
o una sufficiente viscosità e mantenerla anche alla temperatura che si ha nei
meccanismi da lubrificare.
o Buona resistenza all’ossidazione (per evitare dei danneggiamenti)
o Bassa azione corrosiva
o Bassa volatilità
o Fluidità alle basse temperature.
o Gli oli lubrificanti si ottengono dalla vacuum (distillazione sottovuoto) del
residuo del Topping

25. PARAFFINE
Sono miscele di idrocarburi ad alto peso molecolare, solidi a temperatura ordinaria, di
aspetto ceroso.

26. BITUME
Il bitume è il residuo del vacuum (distillazione sottovuoto) del greggio.
È utilizzato prevalentemente nella costruzione dei manti stradali.
Tuttavia, è possibile suddividere i processi di raffineria in:

Nei processi termici è il calore la driving force, dunque è grazie al calore se abbiamo lo
sviluppo della reazione chimica. Mentre, come dice stesso il nome, nei processi catalitici è il
catalizzatore il componente essenziale per eseguire una serie di reazioni.
SCHEMA DI UNA MODERNA RAFFINERIA

Processi fisici
Processi catalitici

Processi termici

Analizziamo i vari processi.


PROCESSI FISICI

Ci

troviamo nella sezione del riquadro blu; dunque, il greggio viene prima disidratato e poi
inviato alla distillazione atmosferica, ricavando: GPL, Gas naturale, Benzina, Nafta,
Distillati medi e Frazioni più pesanti che saranno ulteriormente trattati dalla distillazione
sottovuoto.

Il primo processo fisico a cui è sottoposto il greggio è


27. Dissalazione e Disidratazione:
Il greggio all’uscita dal pozzo contiene sali inorganici, solidi sospesi e tracce di
metalli. Questi possono causare corrosione e sporcamento del catalizzatore. Pertanto,
viene sottoposto a:

1. Decantazione per eliminare acque saline e fanghi;


2. Trattamento con tensioattivi, i quali estraggono i contaminanti, e poi
alimentazione in continuo a un dissalatore elettrostatico che rompe
l’emulsione acqua e olio.

g r e g g io
acqua d is s a la t o
d i p ro c e s so

a d d it iv i

g r e g g io

acqua
s a la t a

Fig. 1.4.1-1Impianto di dissalazione

Dopodichè abbiamo
28. Distillazione a P atmosferica (Topping)
La distillazione consente di separare la miscela complessa del greggio in frazioni con
intervalli di distillazione (ebollizione) più stretti.
Le diverse frazioni vengono separate in base alla loro volatilità.
Il greggio viene preriscaldato in una serie di scambiatori, dove in controcorrente sono
alimentati i prodotti della distillazione per recuperare calore. Successivamente, il
greggio passa nella fornace dove le temperature sono 350-360°C. In questa fase, esso
vaporizza ed entra nella colonna di Topping (alta 4 m, 15-30 piatti), in una zona a
circa 1/5-1/4 dal fondo.
La zona di
alimentazione, in cui il greggio viene fatto entrare nella colonna di Topping, è chiamata
“ZONA FLASH”, dunque, il greggio viene inviato al quarto o quinto livello dal fondo
della colonna di Topping ed una volta al suo interno, il greggio vaporizza a causa
dell’espansione, mentre la temperatura diminuisce dai 350° ai 300°C.
La zona flash divide la colonna di frazionamento in due zone: zona di rettifica e zona di
esaurimento. La zona di rettifica è quella situata al di sopra della zona flash, mentre quella
di esaurimento è quella al di sotto.
Ciò che notiamo, è che in basso si genera una corrente di vapore (steam), la quale viene
inviata dal basso della colonna e provoca l’esaurimento totale degli idrocarburi basso
fondenti.
I prodotti che fuoriescono dalla testa della colonna sono: Gas e Vapori di Benzina (la
benzina è ricavata andando a condensare i vapori, ad esempio con acqua).
Inoltre, lateralmente abbiamo dei canali intermedi collegati alla colonna di Topping, che
consento di ottenere anche altri prodotti. Ovvero, la frazione che si ricava dal Topping viene
inviata in una colonna di Stripper, che consente di allontanare altre componenti volatili (le
quali ritornano alla colonna di topping), utilizzando sempre una corrente di vapore (steam),
e portando all’ottenimento del Kerosene.
Idem per quanto riguarda il processo secondario per ottenere il Gasolio.
 La limitazione principale del Topping riguarda la temperatura.
Gli idrocarburi non possono essere riscaldati a T>630K per il verificarsi di reazioni di
decomposizione con formazione del coke. Sara necessaria un’altra colonna di distillazione
che lavorerà sottovuoto (VACUUM); dove il residuo del processo di distillazione a P
atmosferica viene ulteriormente lavorato.

29. Distillazione sottovuoto (Vacuum)


Il residuo della distillazione primaria viene distillato sottovuoto per separare gasoli.
Si opera sottovuoto (VACUUM), in quanto le cariche hanno punti di ebollizione
molto alti (>450°C) e sarebbero soggette a piro-scissione prima di vaporizzare. La
colonna di vacuum è costituita da pochi piatti per produrre cariche per il cracking
(questo perché non è richiesto il frazionamento), sia per oli combustibili che bitumi.
Si invia vapore dal basso per esaurire la carica liquida dei componenti più volatili con
una pressione intorno a 40 mmHg.

30. Deasfaltazione
La tendenza a formare coke nelle frazioni più pesanti può essere ridotta rimuovendo
materiali asfaltenici, attraverso estrazione con solvente.

Viene utilizzato propano liquido (anche butano e pentano), in cui gli idrocarburi
sono solubili.
La carica pesante, residuo del vacuum, viene alimentata dal basso alla torre di
deasfaltazione ed entra in contatto con propano liquido in controcorrente.
Gli alcani presenti si dissolvono nel propano e vengono inviati nella zona alta della
torre, mentre gli asfalteni (cioè composti aromatici molto grandi) no, i quali si
accumulano sul fondo e vengono poi inviati nella zona bassa della torre. [Gli
asfalteni sono i precursori del coke, tanto più è grande la concentrazione di
asfalteni, tanto più le cariche pesanti del processo di raffineria tendono a formare il
coke.]
Il propano evapora per depressurizzazione ed è condensato di nuovo alla colonna;
mentre il rimanente greggio desfaltato è strippato con vapore per rimuovere
propano.

PROCESSI CHIMICI
I processi chimici sono necessari per:
a) Trasformare prodotti di basso valore economico, come residui pesanti in
prodotti maggiormente richiesti dal mercato come nafta o GPL).
b) Migliorare le caratteristiche di alcuni prodotti. Per esempio, la trasformazione
di benzine con basso numero di ottano in prodotti caratterizzati da un numero
di ottano più elevato.
c) Ridurre le impurezze delle frazioni petrolifere sia per limitare i problemi di
inquinamento che avvelenamento di catalizzatori nei diversi processi
petrolchimici. Per esempio l’Hydrotreating (IDROTRATTAMENTO).
È possibile fare la seguente classificazione nell’ambito dei processi chimici:
1. Processi di scissione delle molecole
 Cracking termico
 Visbreaking (in rosso: processi termici)
 Coking
 Cracking catalitico
2. Processi di trasformazione strutturale delle molecole senza variazione del peso
molecolare
 Reforming catalatico
 Deidrogenazione
 Ciclizzazione
 Isomerizzazione
3. Processi di trasformazione strutturale delle molecole con variazione del peso
molecolare
 Oligomerizzazione
 Alchilazione

PROCESSI TERMICI
Gli input per questi processi è il residuo del vacuum, che viene inviato al “Visbreaker” e
al “Delayed coker/Flexicoker”; mentre gli output sono: l’asfalto, carburanti industriali,
gli oli lubrificanti ed il coke.
Il processo di cracking prevede la scissione di molecole di idrocarburo con la diminuzione
del peso molecolare medio. La scissione, in questo caso, è promossa dalla temperatura.
 Il cracking termico è un importante processo di conversione di idrocarburi, oggi del
tutto superato da quello catalitico.
 Fu sviluppato da Burton nel 1910 sopperire alla richiesta di prodotti petroliferi a
basso peso molecolare ed è un processo radicalico a catena.
OSS: La rottura delle catene di idrocarburo è tanto più favorita quanto più lunghe sono le
catene, sia da un punto di vista termodinamico che cinetico.
Da un punto di vista termodinamico, si può osservare che gli idrocarburi sono più instabili
degli elementi; ovvero, ci fa capire qual è la temperatura alla quale tale conversione di un
idrocarburo (da una catena più lunga ad una più corta) è favorita termodinamicamente.

Diagramma di Francis (ΔG vs K)


Nel diagramma di Francis sono
riportate le “energie di formazione
molari” in fase gas di diversi
idrocarburi a partire dagli
elementi diviso il n° di atomi C
che li compongono.

La differenza del valore di questa


grandezza per due specie,
moltiplicata per il n° di atomi C
coinvolti, rappresenta la
variazione di energia libera
(ΔG) per la conversione di un
idrocarburo nell’altro.
Inoltre, se le curve di due idrocarburi non si incontrano mai (ad es. etano e metano), la
reazione sarà favorita in direzione dell’idrocarburo con energia di formazione più bassa.
Per la serie omologa delle n-paraffine, la stabilità termodinamica diminuisce all’aumentare
del peso molecolare.
Abbiamo detto che il cracking catalitico decorre con un meccanismo a radicali liberi a
catena:
1. STADIO DI INIZIO
Lo stadio di inizio corrisponde alla formazione di un alchil-radicale per scissione
omolitica di un legame C-C (rottura termica), che è più debole di un legame di
un legame C-H.
2. STADIO DI PROPAGAZIONE
I radicali generati danno inizio ad una “reazione a catena”. In particolare, possiamo
avere:
 Estrazione di un atomo di idrogeno da un altro idrocarburo:

RċH2 + RCH2CH2CH2R’ RCH2ċHCH2R’ + RCH3


 Decomposizione con rottura del legame β all’elettrone spaiato:

RCH2CH2ċH2 R ċH2 + CH2=CH2


 Isomerizzazione con meccanismo a spirale: L’estrazione di idrogeno è
favorita sugli atomi di carbonio
CH2 CH2 terziari.
/ \ / \
CH2 CH2 CH2 CH2
| | | |
CH2. CH2 CH3 CH.
| |
 Β-scissione R R

3. STADIO DI TERMINAZIONE
Nello stadio di terminazione, la miscela di radicali mette in comune il radicale
spaiato per accoppiarsi e formare un'unica catena polimerica con un
determinato PM (somma della catena m + n).

Cos’è il VISBREAKING?
Il visbreaking può essere visto come un processo di cracking termico a condizioni più
blande. Esso consente di ottenere una riduzione del peso molecolare delle molecole a
catena lunga, abbassando in questo modo la viscosità e il punto di congelamento
(pour point) del prodotto da utilizzare come lubrificante.
 Si utilizzano i residui del vacuum.
 Le temperature sono in un range 710-760K.
 Tempo di residenza: 1-8 min.

Il residuo del vacuum viene inviato ad una fornace, operando ad una T=730K e P=20bar;
questo definisce la reazione di cracking ed il prodotto principale (80%) viene inviato prima
alla colonna di frazionamento e poi a quella di frazionamento sottovuoto. Il prodotto
principale è il residuo di cracking, il quale presenta una viscosità più bassa rispetto al
residuo di vacuum. In testa alle colonne di frazionamento si ottengono in quantità ridotta
(10%) benzine e prodotti più leggeri.

Delayed Coking
Il “Delayed Coking” può essere visto come un processo di cracking termico con tempi di
residenza più lunghi, e condizioni più severe rispetto al visbreaking. Pertanto, l’obiettivo di
tale processo è la formazione di residui solidi, come coke di petrolio o semplicemente
coke. Questo verrà utilizzato negli impianti di produzione di energia elettrica.
Al Delaved Coking vengono alimentate i residui della distillazione ricchi in metalli (residuo
del vacuum), i quali non possono essere alimentati al cracking catalitico, per problemi di
disattivazione dei catalizzatori.
Il residuo
del vacuum è introdotto nel Coker (alto 25 m e con diametro 4-9m), ad una temperatura di
entrata di 770K e di uscita 710K. Ogni drum (barile) è flussato per 16-24 ore, durante la
quale si riempie di coke. Quando il primo è pieno (dopo alcune ore) , il residuo del vacuum
viene alimentato al secondo barile, mentre si rimuove coke dal primo con getti di acqua ad
alta pressione (in modo da non bloccare mai il processo).

Flexicoking
Questo processo è stato sviluppato dalla EXXON per minimizzare la produzione di COKE.
Vediamo in figura la funzione:
Il residuo del vacuum è alimentato al reattore e va a contatto con un letto caldo fluidizzato
di coke (dove il comportamento di un solido viene considerato come quello di un fluido, e
quindi lo si fa circolare da una zona all’altra dell’impianto con molto più facilita).
Inizialmente avviene il cracking termico, producendo: gas, liquido ed altro coke.
Le particelle di coke sono trasportate in un riscaldatore, il quale è un letto fluidizzato. Tale
riscaldatore serve a trasferire calore dal gasificatore al reattore di cracking. Pertanto, una
parte del coke è ricircolata al reattore e una parte al gasificatore, nel quale il coke è
gasificato per reazione con vapore acqueo/ O2 (in cui si lavora a 1200-1300K).

Il gas che esce fuori dal gasificatore, fluisce attraverso il riscaldatore e viene raccolto
all’uscita del riscaldatore stesso. Viene mandato attraverso il “ciclone”, il quale prevede a
separare le particelle più grandi per effetto della gravità, e poi passa attraverso lo
“scrubber venturi”, che rimuove il coke fine.
Cosa sono gli Scrubbers Venturi?
Gli scrubbers (o torri a pioggia) sono sistemi di depolverazione ad umido, mirati a trattare
correnti gassose cariche di particelle solide più fini (all’incirca inferiori a 100 μm), poiché le
più grossolane vengono in genere separate a monte da sistemi più semplici (ad es., cicloni).
 Lo scrubber venturi è caratterizzato dalla presenza di una strozzatura (gola) nella
sezione di passaggio del gas, dove avviene un intimo contatto tra il liquido ed il gas
contenente il solido (che viene addotto dall’alto). In quella strozzatura vengono
generate le gocce d’acqua e il gas raggiunge velocità molto elevate (sino a circa 100
m s-1). L’elevata turbolenza promuove il contatto tra le particelle solide e le gocce di
liquido; inoltre, consente di separare efficientemente le particelle del solido.
Negli scrubbers, vi è la
generazione di gocce di liquido
(in genere, acqua) di dimensioni
intorno ai 100 μm, e la corrente
gassosa in contatto con tali gocce
di acqua cede loro le particelle
solide, che vengono incorporate
(essendo più fini) e poi catturate
per gravità.

PROCESSI CATALITICI
Dopo circa 70 anni di attività, all’inizio del nuovo millennio, il cracking catalitico mantiene
ancora la sua posizione di principale processo di conversione di frazioni pesanti dell’olio in
prodotti più leggeri, soprattutto benzina. Primo vero processo catalitico dell’industria della
raffinazione, il cracking rimane tuttora uno dei processi catalitici più importanti
dell’industria petrolchimica, sia per dimensioni degli impianti sia per quantità di
catalizzatore.
Il suo avvento ha decisamente contribuito alla comprensione dei meccanismi di catalisi
acida, i quali portano alla formazione dei carbocationi, a partire da molecole idrocarburiche.
La driving force del processo catalitico è proprio il catalizzatore. La funzione del
catalizzatore nel cracking catalitico non è quella di accelerare la velocità di reazione, bensì
quella di rendere cineticamente favoriti meccanismi di reazioni diversi da quelli in assenza
di catalizzatore, per ottenere prodotti differenti.
Si tratta quindi di un catalizzatore selettivo, che consente di ottenere prodotti bollenti nel
campo delle benzine, con un’alta capacità antidetonante (alto N.O.). L’alto N.O. delle
benzine da cracking è dovuta alla presenza di una percentuale maggiore di isoparaffine e
aromatici.
Rispetto al suo precursore (ovvero il processo termico di cracking), il cracking catalitico
presenta numerosi vantaggi:
1. miglior resa in benzina (50% in peso rispetto alla carica)
2. maggiore qualità della benzina ottenuta
3. minor produzione di sottoprodotti gassosi, liquidi e solidi (coke).
Processi a valle del Cracking Catalitico

 Le frazioni gassose possono costituire l’alimentazione per processi di alchilazione,


di produzione di metil-terbutiletere o MTBE e per impianti di polipropilene. Le
frazioni liquide pesanti (cycle oil) sono ottime cariche per la produzione di nerofumo.
Tipiche cariche per il cracking catalitico sono i distillati altobollenti ottenuti mediante
distillazione sottovuoto e i residui deasfaltati o idrogenati.
Le temperature relativamente elevate del processo (450 °C) comportano la formazione di
radicali liberi e il verificarsi di reazioni termiche . Tali reazioni sono scarsamente
selettive e producono molecole gassose leggere di tipo metano ed etano, nonché la
formazione di olefine. (Devono essere evitate!!!).
Le reazioni di cracking catalitico sono:
1. Isomerizzazione
2. β-scissione delle paraffine
3. Deidrogenazione
4. Trasferimento di idrogeno
5. Vari tipi di reazioni di condensazione.

MECCANISMO: Formazione del carbocatione


I catalizzatori di tipo “acido” promuovono la formazione di intermedi carbocationici
piuttosto che di radicali liberi, migliorando le rese e la selettività. Pertanto, sarà attivato un
meccanismo ionico con la rottura eterolitica di legami.
I carbocationi possono formarsi a partire da:
1. Olefine in presenza di siti acidi di Brönsted nel catalizzatore.
2. Paraffine o naftene per protonazione.
Il ruolo del catalizzatore è quello di iniziare le reazioni a catena.

1. Le
olefine strappano un protone da un sito acido di Bronsted del catalizzatore, formando
uno ione carbonio. (più veloce)

2. Le paraffine sono
protonate dal catalizzatore a formare un carbacatione.

Per quanto riguarda la stabilità di questi carbocationi, possiamo dire che i carbocationi
formati sulla superficie del catalizzatore tendono a isomerizzare verso la forma più stabile
(da carbocatione primario a secondario, a terziario); in quest’ultimo stato, il carbonio
recante la carica è legato ad altri tre atomi di carbonio. La probabilità di esistenza di questi
ioni non è random, in quanto:
i. La loro stabilità differisce di molto.
ii. Essi sono interconvertiti (da primario a secondario).
La stabilità diminuisce nell’ordine: Terziari>secondari>primari>etil>metil
Riferendosi a una catena paraffinica, dopo la formazione dello ione carbonio possono
verificarsi più possibilità:
1 Isomerizzazione (esotermica) verso una forma più stabile;
2 β-scissione (endotermica), con rottura del legame C-C in posizione β rispetto
alla carica, con formazione di una olefina e di un carbocatione paraffinico
instabile, che isomerizza successivamente.

REAZIONI DEL CARBOCATIONE:


1) Le isomerizzazioni rappresentano le differenze più importanti tra il cracking catalitico e
termico. Inoltre, l’isomerizzazione è la reazione che caratterizza il cracking catalitico e la
loro stabilità dipende dalla differenza di stabilità dei carbocationi:
metile<etile<primario<secondario<terziario.
I meccanismi attraverso cui i carbocationi possono isomerizzare sono di due tipi: Transfer
di idruro e Shift del metile.

+
CH3 CH
CH
+
(-) CH3 CH CH3

Shift di alchile
(-)
CH3 CH2 C idruro
+

(-)

2) La β-scissione genera un carbocatione più piccolo e una molecola di olefina.


Ovviamente, il legame che si rompe è quello in β alla carica del carbocatione.
+ CH3
CH3 CH
CH CH2 H
+
CH2 CH
(-
)
b scissione (-
(propagazione) )

La probabilità di β-scissione aumenta se la configurazione del carbocatione originario è


favorevole (terziario o secondario, piuttosto che primario).
Esistono anche ulteriori possibilità: il carbocatione libera un protone e si trasforma in
olefina, o si satura prendendo un protone dal sito attivo del catalizzatore, oppure reagisce
con una olefina, alchilandola.
Se un carbonio primario è soggetto a rottura del legame C-C, si dovrebbe formare uno
carbocatione primario, molto instabile. Pertanto, tale reazione dovrebbe essere lenta e quindi
si pensa che essa proceda piuttosto attraverso un ciclopropano protonato.

A seconda del tipo di idrocarburo, il decorso complessivo della reazione di cracking porta a
diversi prodotti:
Le olefine si comportano in modo analogo, con la differenza che il loro cracking è molto
più veloce. Tuttavia, esse possono anche oligomerizzare e ciclizzare, contribuendo
(insieme agli aromatici) alla formazione di coke. Il meccanismo di scissione in β comporta
una rottura preferenziale dei legami interni alla molecola; gas non condensabili, come
metano, etano ed etilene, che si formerebbero per rottura dei legami terminali, sono quindi
presenti solo in piccole quantità.
Le olefine che si formano hanno infatti 3 o 4 atomi di carbonio e costituiscono ottime
alimentazioni per i processi a valle.
Il carbocatione terziario è subito convertito in isoalcano, per shift di un idruro ad una
molecola neutra:

La molecola neutra può ritornare a ione dando luogo ad una reazione a catena.
(L’isomerizzazione di alcani lineari può avvenire allo stesso modo.)

Formazione di Coke: Il temine coke indica il materiale che si deposita sul catalizzatore
(durante il processo) e che viene ossidato nella fase di rigenerazione,
producendo l’energia necessaria alle reazioni di cracking. Esso è
costituito da una serie di componenti ad alto contenuto di carbonio
(90%).

Il meccanismo di formazione
del coke è complesso e implica
reazioni di ciclizzazione e
policondensazione a partire da
precursori quali olefine,
diolefine e aromatici.
Catalizzatori: ARGILLE
I primi catalizzatori di cracking furono degli alluminosilicati naturali. Nel 1924, Houdry
scoprì che trattando ad alta temperatura le frazioni pesanti in presenza di certi tipi di argilla
si ottenevano benzine di qualità.
 I catalizzatori naturali sono a base di “montmorillonite”, un alluminosilicato la cui
formula è Si8Al4O20(OH)4 nH2O.

 La struttura di questi minerali è a lamelle.


Ogni lamella è formata da tre strati: quelli
esterni sono costituiti da silice (Si), quello
centrale da allumina.
 Questa struttura può ospitare, nello
spazio interlaminare, altri ossidi.

La silice e l’allumina, se prese separatamente, non hanno caratteristiche acide, ma se


l’allumina è dispersa in una matrice silicea si osserva una forte acidità.
La silice è costituita da tetraedri SiO4-4; la
sostituzione di un atomo di silicio con uno di
alluminio è accompagnata dalla formazione di
una carica negativa che deve essere bilanciata; se
ciò accade a opera di un protone, ne risulta un
materiale fortemente acido.

Catalizzatori: ZEOLITI
Tra i catalizzatori sintetici vi sono silice-allumina, zeoliti Y (de-cationate o scambiate con
terre rare). Le zeoliti (o setacci molecolari) sono alluminosilicati cristallini, in quali
presentano un abito cristallino con cavità regolari, capaci a seconda dei casi, di ospitare ioni,
atomi o molecole estranee al cristallo.
 Il primo catalizzatore da cracking a base di zeoliti fu messo a punto da Mobil nel
1962.

 Le zeoliti da cracking appartengono


al gruppo della sodalite.

 L’elemento strutturale di base è


l’ottaedro tronco, costituito a sua
volta da tetraedri con al centro
atomi di Al o Si e ai vertici atomi di
O. La disposizione di questi
tetraedri è tale che nell’ottaedro
tronco, gli atomi di Al o Si occupano
i vertici e gli atomi O ai lati del
poliedro.

L’unità base della Faujasite è la gabbia sodalitica, costituita da 24 tetraedri di (SiO4) o


(AlO4); dipendentemente da come si uniscono le unità base, si possono avere due diverse
strutture:
1 La zeolite di tipo Linde ‘A’
2 La zeolite di tipo Linde ‘ X’ o ‘Y’

In ogni caso, si ottiene una rete tridimensionale di canali intercomunicanti contenenti delle
cavità (o gabbie) più larghe al loro interno. Inoltre, il diametro dei pori è determinato anche
dal tipo di catione che bilancia le cariche negative della struttura.
Ciò che dobbiamo osservare è che i catalizzatori di cracking sono acidi di Bronsted, capaci
di cedere protoni (H+) alle molecole dei reagenti adsorbiti su di essi. Infatti, è stato mostrato
che il principale responsabile nella catalisi di cracking per questi solidi sia l’acido HAlSiO4.

 Nei silico-alluminati il silicio è


tetracoordinato (configurazione
tetraedrica), mentre l’alluminio può esse
sia tetra- che esa-coordinato. (conf.
Tetraedrica e ottaedrica)
COME SI PREPARANO GLI ZEOLITI?
Per la preparazione delle zeoliti sintetiche si parte da una soluzione acquosa di
alluminosilicato, silicato e idrossido di sodio, che si lascia cristallizzare a temperature
comprese tra 100-200°C.

Quando le zeoliti sono sintetizzate, le cariche negative sono neutralizzate da ioni sodio, che
vengono poi scambiati con ioni ammonio o con ioni di terre rare (Ce3, La3).
Durante la calcinazione, gli ioni ammonio (NH4+) vengono trasformati in ammoniaca e
protoni, i quali creano l’acidità protonica necessaria. Mentre, le terre rare contribuiscono sia
all’acidità di tipo Brönsted sia a quella di tipo Lewis:

OSS: Lo scambio con terre rare conferisce maggior acidità, con un aumento della
conversione. Tuttavia, diminuisce il numero di ottano delle benzine ottenute (si
preferisce la quantità alla qualità!!!)
Per quanto riguarda la stabilità, l’aumento del
rapporto Si/Al comporta: una maggiore stabilità
termica ed una maggiore resistenza al vapore
acqueo. Queste proprietà sono fondamentali per i
catalizzatori di cracking, dato il largo impiego di
vapor d’acqua (stripping durante i passaggi da
reattore a rigeneratore e viceversa) e di elevate
temperature nella rigenerazione.

Disattivazione del catalizzatore


Nel processo di cracking l’avvelenamento del catalizzatore può essere temporaneo o
permanente.
Dunque, le Variabili Operative che influenzano il cracking catalitico sono: Temperatura,
Pressione e Tempo di residenza.
 TEMPERATURA
- Le reazioni di cracking sono endotermiche e non affette da restrizioni di equilibrio.
- Il range di temperatura ottimale è tra 450-550°C.
- Un aumento della temperatura fa aumentare la conversione, fa aumentare i gas e il
loro grado di insaturazione; inoltre, fa diminuire il rapporto iso/normale; a
conversione costante fa diminuire la quantità di benzina.

 PRESSIONE
Si opera a pressione atmosferica ed un aumento della pressione fa aumentare le rese
in benzina, in quanto sono sfavorite le deidrogenazioni e fa aumentare il coke.

 TEMPO DI RESIDENZA
Alti tempi di residenza favoriscono la formazione di coke.

Tra gli aspetti termodinamici possiamo dire che le reazioni secondarie di condensazione e
polimerizzazione (del resto non volute, ma subite) e le isomerizzazioni sono
ESOTERMICHE. Mentre le tipiche reazioni del cracking (e cioè rottura dei legami
carbonio-carbonio e deidrogenazioni) sono tutte ENDOTERMICHE. Quindi, globalmente,
il processo di cracking catalitico è endotermico.
Per quanto riguarda gli aspetti cinetici, invece, diciamo che un’analisi del processo
dovrebbe tenere in considerazione sia i fenomeni di diffusione dei reagenti e dei prodotti,
sia la graduale diminuzione dell’attività del catalizzatore e sia i sistemi a numero
elevatissimo di componenti non noti, quali sono le frazioni pesanti di petrolio.
PERTANTO, RISULTA COMPLESSA!!
Un metodo più recente per ottenere una rappresentazione cinetica consiste nel raggruppare
le molecole e nel considerare delle ‘pseudoreazioni’ tra gruppi o blocchi (lump) di
componenti.
BILANCIO ENERGETICO
 Le reazioni che avvengono nel processo cracking sono complessivamente
endotermiche (400-500°C), mentre la rigenerazione del catalizzatore viene effettuata
per combustione (700°C).
 Dal punto di vista industriale si
cerca di supplire Catalizzator
all’endotermicità delle reazioni e fresco
con il calore sensibile del
catalizzatore.
Rigenerat
Cracker
ore
500°C
700°C
(endo)
(eso)

Catalizzator
e esausto

FCC: Fluid Catalytic Cracking


Gli attuali processi di cracking catalitico
sono tutti a letto fluido (FCC, Fluid
Catalytic Cracking) e impegnano
catalizzatori in polvere (20-50 m). La
rigenerazione viene effettuata in
continuo, inviando parte del catalizzatore
dal reattore al rigeneratore e di nuovo dal
rigeneratore al reattore.
Il catalizzatore viene mantenuto nella
condizione di letto fluido sia dalla fase
idrocarburica vaporizzata (nel reattore)
che dall’ aria (sul rigeneratore).
Il movimento del catalizzatore fra i due
comparti avviene per gravità o per differenza di pressione; tale movimento può essere
controllato variando la densità apparente del catalizzatore mediante immissione di vapor
d’acqua o di aria.
Il vapor d’acqua funge, inoltre, da fluido di bonifica nei passaggi dalla fase ossidante
(rigeneratore) a quella puramente idrocarburica del reattore. La necessità di impiegare
grandi quantità di vapor d’acqua a temperature elevate, spiega gli sforzi continuamente
compiuti per migliorare la stabilità termica e nei confronti dell’acqua dei catalizzatori
zeolitici.

REATTORI E PROCESSO DI CRACKING


Si utilizzano due reattori a
letto fluidizzato, con facile
movimento del catalizzatore
da un reattore all’altro. Dal
cracker viene prelevato il
catalizzatore esausto, e
inviato al rigeneratore.
Dopodichè, nel rigeneratore,
il coke viene bruciato e il
catalizzatore viene
rigenerato, con il caldo che
passa al cracker risolvendo il
problema dell’energia.
(Il catalizzatore si fa
vettore di energia)

 Appesantito dal coke, il catalizzatore esaurito scende verso il fondo del reattore, dove
viene bonificato con vapore e trasportato nel rigeneratore.

 Dal rigeneratore, il catalizzatore rigenerato (più leggero) viene separato per


‘sfioramento’ dall’alto e ricondotto nel reattore, la cui temperatura è regolata tramite
la portata del catalizzatore caldo.
 Il movimento è facilitato mantenendo una leggera differenza di pressione tra reattore
e rigeneratore, e variando l’immissione di aria nella tubazione di ritorno al
rigeneratore (aumentando l’aria diminuisce la densità e quindi la circolazione del
catalizzatore rallenta).
 I cicloni a doppio stadio sul ciclo del rigeneratore e del reattore hanno la funzione di
catturare le particelle di catalizzatore trascinate dai vapori e dai gas effluenti.
Dunque, nel processo di cracking:
- La carica è diluita con vapore, dopodichè incontra la corrente che arriva dal
generatore, ed è alimentata al riser dal basso.
- La reazione di cracking avviene in pochi secondi.
- Il catalizzatore esausto è separato dalla miscela di reazione in un ciclone.
- Si aggiunge vapore dall’alto al fine di strippare idrocarburi pesanti sul catalizzatore,
il quale passa al rigeneratore.

PROCESSO CATALITICO: REFORMING CATALITICO


In generale, un processo di “Reforming catalitico” prevede un riarrangiamento dei composti
trattati. Infatti, non si ha una sostanziale variazione nel peso molecolare, ma solo nella
natura degli idrocarburi (si ha la conversione di idrocarburi lineari in ramificati, ciclici e
aromatici).
La finalità del reforming è quello di produrre benzine ad alto Numero di Ottano (N.O.),
dunque produrre benzine di alta qualità. Il reforming è un processo che si è sviluppato in
seguito alla crescente richiesta di benzina ad alto N.O.
 I primi processi furono termici (1931), ma furono ben presto soppiantati da
quelli catalitici (1939).
Il reforming costituisce anche la principale fonte di idrocarburi aromatici, che possono
essere utilizzati sia come combustibili che per produrre BTX (Benzene-Toluene-Xilene).
La prima unità di reforming catalitico, ovvero il processo Platforming, in cui una frazione
idrocarburica leggera (Naphtha) è trattata per mezzo di un catalizzatore al platino (Pt) allo
scopo di produrre un ‘riformato’ (o prodotto del reforming) e idrogeno, fu progettata nel
1949 dalla UOP (Universal Oil Products). Gli ingegneri della UOP sottoposero, in via
preliminare, l’alimentazione ad un trattamento con idrogeno, per evitare l’avvelenamento
del catalizzatore.

I primi impianti Platforming furono progettati come unità semirigenerative (SR,


SemiRegenerative), a letto fisso, che impiegavano catalizzatori monometallici al platino
(Pt=specie attiva) su un supporto di allumina.
La prima miglioria apportata al processo Platforming dalla UOP fu, dunque, l’introduzione
di catalizzatori bimetallici nelle unità Platforming SR; cioè, accanto al platino si affiancò il
Renio.

SCHEMA BASE (UOP)

L’input è definito dall’alimentazione, mentre la naphtha riformata è l’output (cioè il


prodotto). La carica di naphtha desolforata è mescolata a gas di riciclo ricco di H 2 e quindi
riscaldata con l’effluente dal reattore, tramite scambio termico. La miscela è quindi portata
alla temperatura di reazione nel forno di riscaldamento, prima di essere immessa nella
sezione di reazione, composta in genere da tre o quattro reattori adiabatici a flusso
radiale, disposti in serie.
Le cariche dei processi di Reforming sono nafte di prima distillazione depentanizzate, con
intervallo di ebollizione compreso tra gli 80 e i 200°C.
Il contenuto di aromatici in questi riformati è molto basso (<15%), mentre il contenuto di
paraffine (alcani) può variare tra il 70-25%, dunque definiscono il contenuto principale.
Quasi tutte le paraffine presenti sono lineari.

L’andamento del processo di reforming di una data naphtha dipende dalla distribuzione in
essa delle diverse classi di idrocarburi PNA.
Nel passaggio attraverso l’unità di reforming:
 I composti aromatici non subiscono quasi nessun cambiamento.
 I nafteni (precursori degli aromatici) reagiscono rapidamente ed efficacemente
trasformandosi in composti aromatici.
 Le paraffine reagiscono più lentamente e con minore selettività.
In questa fase di reforming, però, non vogliamo che si attivino processi di cracking, poiché,
innanzitutto sottraggono molecole necessarie e utili per produrre idrocarburi ramificati (cioè
trasformano la naphtha in molecole gassose, che non vogliamo), e poi, in condizioni molto
drastiche, avviene inevitabilmente la formazione di coke. Dunque, devo ridurre la sua
formazione, perché anche se non induce l’avvelenamento del catalizzatore, può comunque
sporcare la sua superficie e ridurne l’attività.
Lo schema principale delle reazioni del processo di Platforming è il seguente:
Sempre rifacendoci ai catalizzatori bifunzionali, ho i siti attivi, i quali corrispondono al
metallo, e ho anche un supporto (come funzione strutturale del catalizzatore). In tal caso, ho
il Pt come fase attiva, con dei siti deidrogenanti, e poi ho l’allumina come supporto, il
quale può aggiungere i siti acidi di Bronsted e, pertanto, può catalizzare tutte le reazioni che
necessitano di un catalizzatore con un’acidità di Bronsted.
Nel complesso di reazioni possibili per il reforming catalitico, dovremmo far avvenire
reazioni di deidrogenazione dei nafteni (da cicloesani in aromatici) e anche
isomerizzazioni (n-paraffine in isoparaffine). Le reazioni di isomerizzazioni sono
catalizzate da acidi di Bronsted, mentre quelle di deidrogenazione sono catalizzate da
metalli.
ATTENZIONE: in queste condizioni ed in presenza dei siti acidi di Bronsted, sono sempre
attive o possono essere attivate anche le reazioni di cracking catalitico, che non vogliamo
(quindi dobbiamo evitare di condurci nella parte sinistra della figura).
Le principali reazioni da seguire sono:

L’idrogeno generato da queste reazioni non viene smaltito, ma bensì viene riciclato e
mescolato all’ingresso con la carica. Osservando il ΔH r, possiamo notare che, mentre le
reazioni di isomerizzazione sono esotermiche, le reazioni di ciclizzazione e
aromatizzazione sono endotemiche.
Possono avvenire anche altre reazioni oltre queste, ovvero:
1. Hydrocracking:
paraffina  2 paraffine
2. Idro-desolforazione:
composti solforati  idrocarburi + H2S
3. Eliminazione di composti azotati:
composti azotati  idrocarburi + NH3
4. Eliminazione di composti ossigenati:
composti ossigenati  idrocarburi + H2O

Quindi, ricapitolando, le reazioni che dobbiamo favorire sono le reazioni di


isomerizzazione, ciclizzazione e aromatizzazione, le quali portano ad un aumento di N.O.;
oppure le deidrogenazioni, che portano alla formazione di aromatici insieme ad una certa
quantità di H.
Invece, quelle che dovrò sfavorire sono le reazioni di hydrocracking, le quali portano alla
formazione di prodotti gassosi che fanno diminuire la resa della benzina. Ma anche alcune
reazioni di isomerizzazioni che definiscono la sottrazione di idrocarburi per
l’aromatizzazione.

Reforming Catalitico: Aspetti Termodinamici


Come abbiamo già visto, eccetto per l’isomerizzazione, tutte le reazioni che avvengono nel
processo di reforming catalitico sono fortemente o moderatamente endotermiche. Dunque,
globalmente, il processo di reforming catalitco può essere considerato endotermico.
(importante-ricordare questa caratteristica)
 Le condizioni di reazione favorevoli dal punto di vista termodinamico sono l’alta
temperatura e la bassa pressione.

A P atmsferica, è ottenibile una conversione del


100% dal punto di vista termodinamico a
T> 620K.
A P più alte, sono richieste T più alte per
raggiungere valori di conversione più alti.

Tutte le curve che osserviamo sono delle curve isobare, cioè dei profili di conversione in
funzione della Temperatura a Pressione costante. Ciò che osserviamo è che, per ciascuna
curva isobara, all’aumentare della T aumenta anche la conversione.
Un’altra caratteristica importante da tenere sotto controllo è il rapporto dell’idrogeno con
l’idrocarburo:
L’idrogeno prodotto è ricircolato per
limitare la formazione del coke.
Tuttavia, l’aggiunta di idrogeno ha un
effetto avverso alla conversione.

Le reazioni convolte sono di tre tipi: a) Deidrogenazione; b) Isomerizzazione; c)


Cracking. Le reazioni di isomerizzazione e cracking procedono attraverso la formazione
del carbocatione, pertanto richiedono un catalizzatore acido. La reazione di deidrogenazione
richiede, invece, un catalizzatore con attività idrogenante-deidrogenante.
Pertanto, i catalizzatori di reforming sono
bifunzionali. Essi sono formati da un supporto con
siti attivi acidi (silice-allumina, allumina e alogeni) e
un componente con attività deidrogenante, come
platino, oppure MoO3, Cr2O3 etc.

Evidenze sperimentali hanno permesso di ipotizzare un meccanismo che prevede la


formazione di una specie insatura su un sito attivo deidrogenante, con successiva reazione
di ulteriore deidrogenazione, e reazioni di isomerizzazione o cracking su siti acidi.
L’attività di isomerizzazione aumenta con quella deidrogenante fino ad un certo valore
limite.

Disattivazione del catalizzatore


Anche durante il processo di reforming si ha la formazione di sostanze carboniose (COKE),
che possono depositarsi sul catalizzatore disattivandolo. Un ostacolo all’adozione dei
catalizzatori di Pt è stata, all’inizio, proprio la necessità della rigenerazione.
Il problema è stato risolto per prima dall’UOP (Universal Oil Products), che nel 1949, mise
a punto il processo di Platforming, il quale impiegava un catalizzatore al platino e reattori
a letto fisso. In questo caso, anziché la rigenerazione nell’impianto, si procedeva con la
sostituzione del catalizzatore e l’invio di quello esausto al recupero di Pt.
Una vita così lunga del catalizzatore era ottenuta operando ad elevate pressioni (35-45 atm)
ed un rapporto idrogeno/idrocarburi tra 4 e 8. In queste condizioni si evita la formazione del
coke, perché si evita la formazione di diolefine e di composti insaturi, che appena si
formano vengono idrogenati. Dunque, la quantità di coke che si deposita sul catalizzatore è
inversamente proporzionale alla pressione parziale di idrogeno, cioè man mano che io
aumento la quantità di H, diminuisce la quantità di coke.
L’avvento dei catalizzatori bimetallici (contenenti, oltre al platino, anche il renio), negli
anni Sessanta, consentì la realizzazione di catalizzatori più stabili, meno soggetti alla
formazione di depositi di coke e in grado di operare in condizioni di maggiore severità
(ovvero lavorando con P molto più basse). Ulteriore miglioramento di tale processo vi fu
con l’introduzione del Platforming CCR (a rigenerazione continua), il quale ha
consentito di operare in condizioni più severe e di ottenere altissime rese in idrogeno e
benzina ad alto numero di ottano.
Oss: Oltre al coke, esistono altri veleni che possono compromettere l’attività del
catalizzatore. Pertanto, prima del reforming catalitico si esegue un idrotrattamento; infatti,
i composti organici solforati e azotati sono convertiti con idrogeno in H 2S e NH3, i quali
sono rimossi dalla corrente di idrocarburi per stripping.
Il reforming di solito è applicato per migliorare la qualità delle benzine, ma è utilizzato
anche per la produzione di aromatici. In questo caso le condizioni sono più severe.

Ciò che cambia


nel reforming CRR, sostanzialmente, è la Pressione ed il rapporto H2/C2, mentre la
temperatura rimane pressochè costante.

Variabili Operative nel reforming catalitico


 TEMPERATURA DEL REATTORE
Il principale controllo del N.O. del prodotto è la regolazione delle temperature del
reattore. Nella maggior parte dei reattori, le temperature all’ingresso sono comprese
tra 490 e 550 °C. Mantenendo invariate le altre condizioni operative, a una
temperatura del reattore più elevata, corrisponde un numero di ottano più alto.

L’aumento delle temperature comporta anche una maggiore severità delle condizioni
operative e una disattivazione più rapida del catalizzatore.

 PRESSIONE DEL REATTORE


La pressione operativa del reattore può variare da 3,5 a 30 bar. Quanto più bassa è
la pressione operativa, tanto più elevate sono le rese in riformato e in H2.

Basse pressioni operative danno luogo a condizioni più severe, con la conseguente
più rapida disattivazione del catalizzatore.

 VELOCITA’ SPAZIALE
La velocità spaziale è il rapporto tra la portata dell’alimentazione e la quantità di
catalizzatore nel reattore. La velocità spaziale influisce sulla temperatura richiesta per
ottenere una data qualità del prodotto desiderato.

Una velocità spaziale più bassa comporta un maggior volume di catalizzatore e, di


conseguenza, la possibilità di ottenere la stessa qualità del prodotto a una temperatura
più bassa.

 RAPPORTO IDROGENO/IDROCARBURI
Il rapporto idrogeno/ idrocarburi, o rapporto H 2 /HC, è la misura delle moli di
idrogeno immesse nel reattore in rapporto alle moli di naphtha dell’alimentazione.
L’idrogeno di riciclo è immesso nei reattori per mantenere la stabilità del
catalizzatore.

La quantità di idrogeno, ovvero il rapporto H2/HC, può essere regolata modificando


la portata del gas di riciclo a una data pressione operativa.

 CARATTERISTICHE DELL’ALIMENTAZIONE
La carica può essere caratterizzata dalle proporzioni relative di:
1 Paraffine
2 Nafteni
3 Aromatici.

Le reazioni più rapide sono quelle di deidrogenazione dei nafteni. Una carica ricca in
nafteni consente di raggiungere un determinato numero di ottano del prodotto o una
determinata concentrazione di aromatici in condizioni operative meno severe.
Viceversa, una carica povera in nafteni e parallelamente ricca in paraffine richiede
l’adozione di condizioni operative più severe a parità di qualità del prodotto.

Principali processi di Reforming


I processi di reforming sviluppati sono una soluzione di compromesso delle seguenti
richieste:
a) Numero di ottano elevato
b) Resa elevata (bassa pressione parziale di idrogeno)
c) Stabilità del catalizzatore
d) Minima formazione di coke (alta pressione parziale di idrogeno).
I principali processi di refoming si differenziano nell’operazione di rigenerazione del
catalizzatore:
e) Semi-Rigenerative Reforming (SRR)
f) Fully-Regenerative Reforming (FRR)
g) Continuous-Regenerative Reforming (CRR)

Andiamo ad analizzare i vari processi.

PROCESSO SEMI-RIGENERATIVO (SRR)


L’unità SRR consiste in tre o quattro reattori a letto fisso adiabatici in serie con
riscaldamento intermedio; inoltre, tali reattori operano ad una pressione di 25-35 bar.

Vediamo che in questo processo, la corrente in ingresso è riscaldata ed inviata al primo


reattore. Nel primo reattore avvengono le reazioni più veloci cineticamente, le quali
corrispondono a reazioni di deidrogenazione di nafteni ad aromatici. Ovviamente, per
mantenere la velocità di reazione alta, i gas in uscita dal primo reattore sono riscaldati in una
fornace (770K) ed inviati al secondo reattore, e così per tutti.
L’effluente dall’ultimo reattore è raffreddato con scambio con la corrente in ingresso fredda.
L’idrogeno è separato dal prodotto liquido e ricircolato nell’impianto.
Il prodotto liquido è alimentato ad uno stabilizzatore, dove gli idrocarburi leggeri sono
separarti dal riformato liquido con un elevato numero di ottano. Tuttavia, in alcuni casi, è
inevitabile la disattivazione del catalizzatore per opera del coke. Dunque, si compensa tale
diminuzione dell’attività del catalizzatore con l’aumento graduale della temperatura. (per
questo i reattori non lavorano tutti alla stessa temperatura).
Nei processi SRR, la rigenerazione avviene solo occasionalmente, fermando l’impianto.

PROCESSO COMPLETAMENTE-RIGENERATIVO (FRR)


Nel processo rigenerativo (FCC), si opera a pressione parziale di idrogeno più bassa,
consentendo di ottenere prodotti con un numero di ottano più alto e resa in prodotti liquidi
più alte.
La rigenerazione è ciclica: è prevista la presenza di più reattori, di cui uno (a turno) è
escluso dal ciclo, per effettuare la rigenerazione senza dover fermare la produzione.

PROCESSO CONTINUO-RIGENERATIVO (CRR)


Come sappiamo, nel processo rigenerativo-continuo, si utilizzano reattori a letto mobile. Nel
processo, il catalizzatore entra al primo reattore dall’alto; dopodiché è prelevato dal fondo e
inviato al rigeneratore. (questo definisce la continuità)

Come vediamo dallo schema, la naphtha desolforata di alimentazione attraversa il forno ed


entra nel primo reattore a flusso radiale (posto uno sopra l’altro e non in serie), dopodiché
fuoriesce, rientra nel forno e continua così, per più volte, il suo processo.
Il catalizzatore passa per gravità da un reattore a quello sottostante, mentre l’alimentazione
fluisce in senso radiale attraverso letti catalitici anulari. Dopo un certo tempo, il coke si
deposita sul catalizzatore (si esaurisce), il quale viene estratto in continuo dal fondo
dell’ultimo reattore e trasferito al rigeneratore CCR.
Il catalizzatore scende per gravità all’interno del rigeneratore, dove i depositi carboniosi
sono bruciati e i livelli di umidità e di cloro sono regolati. Una volta fatto ciò, il
catalizzatore rigenerato viene quindi sollevato con idrogeno fino alla sommità dei reattori.
La sezione di rigenerazione è programmata in modo da rifornire costantemente i reattori di
catalizzatore fresco; ogni stadio di processo è ottimizzato.
- Durante la reazione l’atmosfera è
riducente, mentre nella rigenerazione
è ossidante.

I reattori che vengono utilizzati nel reforming


possono essere a letto fisso o mobile, e il
flusso che viene utilizzato può essere assiale o
radiale. In quello assiale, il flusso attraverso il
letto catalitico in modo parallelo, mentre in
quello radiane in modo perpendicolare.
Il motivo per cui si utilizza un flusso radiale è
definito dalla possibilità di lavorare con un catalizzatore a particelle più piccole (poiché più
piccola è la particella catalitica, più diminuisce la diffusione ed aumenta l’efficienza del
reattore), mentre nel flusso assiale posso incorrere in perdite di carico, problema che viene
risolto, appunto, dal flusso radiale.

ALCHILAZIONE
In generale, l’alchilazione è la reazione tra un iso-paraffina (es. iso-butano) e un’olefina.
Nel processo di alchilazione avviene la reazione tra isobutano e olefine (C3-C5) per formare
alcani più ramificati (Alchilati). Quindi, l’obiettivo è quello di produrre idrocarburi a
più alto N.O. da alcheni con basso peso molecolare (propeni, buteni...).
Uno dei vantaggi dell’alchilazione è l’eliminazione di molecole in fase gas e la
formazione di un prodotto liquido, che è una benzina a più alto N.O.
Dal punto di vista termodinamico, le reazioni di alchilazione decorrono con ΔH° e ΔS° < 0;
ne deriva che sono termodinamicamente favorite a basse temperature, mediamente minori di
200°C. Inoltre, poiché le reazioni decorrono con diminuzione del numero di moli, saranno
favorite da un aumento di pressione. Tuttavia, si opera a bassa pressione per ridurre le
reazioni secondarie.
Data la discreta esotermicità, le reazioni di alchilazione sono condotte in reattori con sistemi
di raffreddamento.

 Alchilazione: Meccanismo
Le reazioni di alchilazione decorrono con un “meccanismo ionico a catena”.
La prima reazione è la protonazione dell’olefina, con formazione del carbocatione.
Dopodichè, il carbocatione reagisce con isobutano, per formare un carbocatione
terziario (ciò spiega perchè la reazione decorra solo con le isoparaffine). Nelle
reazioni di propogazione, il carbocatione terziario reagisce con le olefine per dar
luogo alla formazione del prodotto alchilato:

MECCANISMO:

I catalizzatori più utilizzati per questa reazione sono acidi protici come H2SO4, HF e acidi
di Lewis come AlCl3, BF3, in genere insieme ad un co-catalizzatore che può essere presente
11/04/20

in tracce come H2O, HF, CH3OH, con lo scopo di produrre ioni. Mentre, come solidi acidi
si possono utilizzare zeoliti.
È possibile classificare i processi a seconda della fase del catalizzatore:

o Processi con catalizzatore acido liquido:

Alchilazione
Si usano due tipi di catalizzatori acidi liquidi: H2SO4 e HF.
Isobutano + olefina alchilato
Il processo con H2SO4 èacido
Catalizzatori:
il più vecchio. In questo processo la temperatura deve essere
solforico o acido fluoridrico
mantenuta al di sotto di 293 K, per limitare il consumo eccessivo di acido nella reazione di
T <340 K P=4-20 bar
Meccanimso di reazione:
ossidazione-riduzione
formazione con formazioneperdiprotonazione
del carbocatione catrame edell’olefina
SO 2. Infatti,
reazione di questo con l’isobutano per formare il carbocatione
con l’acido solforico la
e successiva

formazione deldarcarbocatione può passare anche attraverso la riduzione dell’acido solforico a


terziario. Il carbocatione terziario reagisce quiandi con le olefine per
luogo alla formazione del prodotto alchilato.
SO2. Con l’acido solforico la formazione del carbocatione può passare anche attraverso la riduzione
dell’acido solforico ad SO2

RH + 2H2SO4 ® R+HSO4 - + SO2 + 2H2O


Questa reazione provoca la diminuzione della concentrazione dell’acido.

Esistono due tecnologie principali per l’achilazione con acido solforico:


Processo di autorefrigerazione della EXXON Research and Engineering.
Processo di refrigerazione indiretta della Straftord Engineering Corporation.
- Processo di autorefrigerazione (EXXON)
Input: Alchene e Isobutano, Output: Alchilato.
Tale processo prevede una cascata di stadi di reazione combinata in un unico recipiente.
Ogni comparto (batch) è agitato.
L’isobutano e l’acido sono alimentati al primo, l’alchene in tutti gli altri. Verso l’uscita del
processo abbiamo degli scrubber, i quali consentono di neutralizzare con soda caustica
l’acidità solforico, utilizzato per il processo di alchilazione. Dopodichè, abbiamo due
colonne di frazionamento (De-butanizzatori), che consentono recuperare l’isobutano non
reagito e dunque, riciclarlo sempre al reattore.
La pressione è di 2 bar, la temperatura di 278K (circa 5°C). Poiché a queste temperature la
reazione è lenta, sono richiesti tempi di contatto più lunghi (20-30 min). Quindi, per questo
abbiamo un processo di autorefrigerazione, poiché viene inviato alchene freddo.
Vari step:
- Si forma un’emulsione acido ed idrocarburo, la quale è separata nell’ultimo
comparto.
- La fase acida è riciclata.
- La fase idrocarburica è neutralizzata con soda caustica e poi frazionata in due
colonne di distillazione.
- Da queste colonne si recupera isobutano per riciclarlo al reattore, n-butano è rimosso
dal prodotto di fondo.
- Il calore di reazione è rimosso per evaporazione di idrocarburi, in particolare
isobutano e propano.
- I vapori sono compressi e liquefatti.
- Una parte di questi liquidi sono vaporizzati in una sezione flash, per raffreddare la
corrente in ingresso contente gli alcheni.

- Processo di refrigerazione indiretta (STRACTO)


Nel processo di refrigerazione indiretta, si opera a pressione più alta (4 bar) per prevenire la
vaporizzazione di idrocarburi leggeri nel reattore e nel settler (decantatore). La miscela
bifasica fredda di idrocarburi è fatta passare attraverso una serie di serpentine di
raffreddamento contenute nel reattore (sia alchene che isobutano vengono inviati
insieme).
L’idrocarburo e l’acido formano un’emulsione, la quale circola nel reattore. Parte di essa
circola nel settler, dove la fase idrocarburica è separata dall’acido (il quale viene di nuovo
inviato al reattore). Tali idrocarburi sono poi flashati e parzialmente evaporati attraverso una
valvola di controllo di pressione.

- Quali sono gli svantaggi nell’utilizzo di un catalizzatore acido liquido?

 Uno dei maggiori problemi nei processi di alchilazione è il consumo di acido.


Pertanto, da questo punto di vista risulta più vantaggioso il processo con HF.

 Lo schema di processo con HF è simile a quelli visti con H2SO4. l’unica differenza è
l’installazione di un rigeneratore di HF.

 Un altro vantaggio per l’HF è che la reazione di alchilazione può esser condotta a
temperature superiori, in quanto l’acido fluoridrico non è un acido ossidante,
pertanto il processo è condotto a 310K, senza la necessità di raffreddamenti
criogenici. Tuttavia, per entrambi gli acidi sussistono problemi di inquinamento,
sicurezza e corrosione.

 L’acido solforico è più sicuro dei due, perchè è liquido a T ambiente, e quindi
eventuali perdite sono più facili da gestire.

o Processo con catalizzatore acido solido

Il successo delle zeoliti nella FCC del 1960 indusse i ricercatori a studiare il potenziale di
questi solidi per il processo di alchilazione. Infatti, furono trovati diverse zeoliti e acidi forti
solidi. In questo studio, fu trovato che tutti i solidi perdevano attività e selettività in seguito
alla formazione di depositi carboniosi (coke) per reazioni di polimerizzazione di alcheni.
Fu trovata una soluzione da un punto di vista ingegneristico.
Abbiamo un sistema di reazione e un sistema di rigenerazione, poiché, come già detto,
anche in questo caso possono formarsi dei depositi carboniosi che possono disattivare il
catalizzatore. L’alchene e l’iso-butano reciclato vengono inviati dal basso, avviene la
reazione all’interno del reattore e il tutto viene separato nella sezione di distillazione, che
porta alla fuoriuscita di diversi prodotti, tra cui l’alchilato.
HYDROPROCESSING

L’hydroprocessing è quella classe di processi che impiega l’idrogeno, ed è caratterizzata da


hydrotreating e hydrocracking. Come possiamo notare, il precesso di hydrotreating è
situato prima del reforming catalitico. Dunque, diciamo che i processi di idrotrattamento si
trovano sempre prima dei processi di cracking catalitico e reforming catalitico, e si
applicano anche laddove non vi sono processi catalitici.
Il termine “Hydrotreating” si riferisce a reazioni di idrogenazione e idrogenolisi, al fine
di rimuovere eteroatomi (zolfo, azoto, ossigeno), e idrogenare (saturare) doppi legami e
anelli aromatici. Mentre nelle reazioni di saturazione viene semplicemente aumentato il
rapporto idrogeno/carbonio della molecola interessata, nelle reazioni di eliminazione
dell’elemento indesiderato, la specie in questione viene trasformata in un idrocarburo,
subendo modifiche più o meno limitate della propria struttura molecolare.
L’hydrotreating viene riferita qualche volta con il termine Hydropurification.
Esso differisce dalla idroconversione (hydrocracking), che invece agisce sulla struttura
della molecola con delle vere e proprio reazioni di cracking e isomerizzazione,
coinvolgendo l’H.
I processi di hydrotreating servono:
1. a migliorare le caratteristiche dei prodotti finiti (in modo da rispettare le
specifiche commerciali e ambientali).
2. a preparare le cariche per altri processi i cui catalizzatori e le cui condizioni
operative richiedono la minima presenza possibile di zolfo, azoto, metalli o
molecole insature.
I diversi processi prendono nomi diversi a seconda della funzione principale che esplicano:
 Saturazione o idrogenazione (HYD, Hydrogenation),
 Idrodesolforazione (HDS, Hydrodesulphurization),
 Idrodeazotazione (HDN, Hydrodenitrogenation),
 Idrodemetallizzazione (HDM, Hydrodemetallization),
 Riduzione del carbonio Conradson (CCR).

ES:

Diffusione dei processi di hydrotreating


L’aumento della sensibilità e della normativa
ambientale degli ultimi decenni, con
l’introduzione di specifiche via via più
severe per i combustibili e per i carburanti
per autotrazione, ha comportato una
evoluzione e una maggiore diffusione dei
processi di hydrotreating.

Ovviamente, le reazioni di hydrotreating


possono essere suddivise in due classi
principali:
1. Saturazione di idrocarburi insaturi;
2. Eliminazione di eteroatomi (zolfo, azoto, ossigeno,vanadio, nichel) dalle molecole
che li contengono.
Le reazioni della seconda classe vengono spesso realizzate (più o meno completamente) in
un unico processo, il quale prende il nome di “HDS” (Idrodesolforazione).

L’acido solfidrico viene eliminato mediante assorbimento con ammina.


Abbiamo svariati composti eterociclici e aromatici presenti nelle frazioni petrolifere:
(non li devi ricordare tutti ovviamente ahaha, solo scopo illustrativo)
Particolare attenzione è definita sui mercaptani, tiofeni, benzotiofeni e dibenzotiofeni.
Esse sono molecole che, a partire dai mercaptani, tendono a diminuire la loro reattività. Ad
esempio, i benzotiofeni o i dibenzotiofeni, sono molecole molto restie a reagire, oppure
richiedono particolari condizioni drastiche. Inoltre, esse sono anche le molecole che pesano
di più nell’ambito delle molecole dello zolfo.

Hydrotreating: Reazioni e termodinamica


Tutte le reazioni di Hydrotreating sono esotermiche (ΔH<0) e di equilibrio. Sono
generalmente favorite dall’aumento della pressione di idrogeno e, compatibilmente con le
cinetiche, da una diminuzione della temperatura.

Le reazioni di idrogenazione interessano le olefine e le diolefine, che tendono a


polimerizzare nei prodotti, nonché gli aromatici e i poliaromatici. Inoltre, i poliaromatici e
le diolefine sono precursori del coke. Dal punto di vista grafico possiamo osservare che:
• L’idrogenazione catalitica delle
olefine è relativamente facile, anche a
basse pressioni di idrogeno (0,2-0,3
MPa), e comporta una elevata
esotermicità. La reattività diminuisce
all’aumentare della lunghezza della
catena e dei gruppi sostituenti adiacenti
al doppio legame.
• Diversamente dalle olefine,
l’idrogenazione dell’anello aromatico
richiede alte pressioni di idrogeno.
Ponendomi, ad esempio, ad una temperatura costante di 500°C, la reattività aumenta
all’aumentare della pressione.
Idrodesolforazione
Tra le reazioni di hydrotreating, quelle di desolforazione (HDS) sono tradizionalmente le
più importanti. I composti dello zolfo tendono a concentrarsi nelle frazioni più pesanti del
petrolio.

Possiamo notare che nel caso delle benzine, vi è una maggiore concentrazione di mercaptani
e di solfuri; ma scendendo, diminuisce la concentrazione di mercaptani ed aumenta la
concentrazione di benzotiofeni e solfuri pesanti. Infatti, la reattività dei composti solforati
dipende dalla loro struttura e dalle loro dimensioni; questo perché i gruppi sostituenti
adiacenti agli atomi di zolfo, originano impedimenti sterici che rallentano la reazione di
desolforazione, mentre i gruppi alchilici lontani dallo zolfo, la facilitano.
Il trattamento di frazioni pesanti richiede temperature e
pressioni di idrogeno più elevate. Infatti, le condizioni
di reazione prevedono una temperatura di 625-700K.
Il riscaldamento è essenziale perché, quanto più
aumentano i gruppi sostituenti agli atomi di zolfo,
tanto più diminuisce la reattività per impedimenti
sterici, mentre i gruppi alchilici che si ritrovano legati
allo zolfo possono facilitare la reazione di
idrodesolforazione.

Le reazioni di idrodesolforazione sono caratterizzate dalla presenza di vari stadi e sono


spesso cineticamente controllate dalla diffusione all’interno del catalizzatore.
Nel caso di desolforazione dei gasoli e delle
frazioni pesanti (o residui), dove sono presenti
molecole ‘difficili’ come il DMDBT, si deve riconsiderare l’idrogenazione preliminare
dell’anello benzenico, così da dare flessibilità alla molecola e aumentare l’angolo di
accesso, da parte dello zolfo, ad un sito attivo del catalizzatore.

Idrodeazotazione
Nelle reazioni di idrodeazotazione vi è l’eliminazione di azoto, principalmente riguardante
le frazioni più altobollenti (a partire dai gasoli) e i residui. L’importanza di questo processo
è aumentata con la tendenza a trattare cariche pesanti e residui.
• Contrariamente a quanto avviene nei
processi di HDS, l’idrogenazione è lo
stadio determinante, in quanto
occorre ‘ liberare’ l’atomo di
carbonio in posizione a rispetto
all’azoto.
• Gli impedimenti sterici dovuti a
sostituenti alchilici presenti sull’
anello o sugli anelli riducono la
reattività e la facilità di deazotazione.

I Catalizzatori
L’esigenza termodinamica di condurre i processi a bassa temperatura, rende necessario il
ricorso a catalizzatori in grado di aumentare la velocità di reazione.
La scelta del catalizzatore dipende da:
1. specifica applicazione (solo idrogenazione, desolforazione, ecc.), tipo di
alimentazione
2. specifiche richieste per il prodotto.
 Le combinazioni più comuni di elementi attivi sono costituite dalle coppie cobalto-
molibdeno (Co/Mo), nichel-molibdeno (Ni/Mo) e nichel-tungsteno (Ni/W),
supportate in genere su g-allumina.
I catalizzatori possono essere classificati come segue, in ordine di attività decrescente:
Idrogenazione: Ni/W> Ni/Mo> Co/Mo;
Idrodesolforazione: Co/Mo> Ni/Mo> Ni/W;
Idrodeazotazione: Ni/Mo= Ni/W Co/Mo.
I catalizzatori industriali sono costituiti da solfuri metallici di Co/Mo, Ni/Mo o Ni/W
supportati su un ossido refrattario, in genere allumina (ma anche silice-allumina, zeoliti),
avente una elevata area superficiale, fino a 300 m2 /g e oltre.
I solfuri puri termodinamicamente stabili nelle
condizioni di reazione (circa 320-380 °C e 0,3-0,6
MPa) sono Co9S8 e MoS2.
Nel catalizzatore è stata però identificata una regione
ternaria Co-Mo-S costituita da strutture simili a
quella del disolfuro di molibdeno MoS2, con gli
atomi del promotore disposti ai bordi. Tale regione,
che contiene siti attivi, può avere diverse strutture
oltre che diverse concentrazioni del cobalto.

Schema a blocchi di un processo di


idrotrattamento Reattore, catalizzatore e condizioni
operative sono comunque adattati al tipo
di carica da trattare (che può essere
vaporizzata o parzialmente liquida) e
ai risultati finali da raggiungere.
L’idrogeno necessario al processo
proviene dal reforming catalitico o
impianto di produzione di H2 (steam
reforming).
Lavorando con eccesso di idrogeno,
si deve riciclare gran parte del gas al
reattore, previo reintegro di quello
reagito o comunque consumato.
Il gas di riciclo può subire uno o più
trattamenti per separare l’H2S (nei
processi HDS) e gli idrocarburi
leggeri, così da aumentare la
pressione parziale.

Schema a blocchi di un processo


di deidrosolforazione con doppia
separazione
La separazione di H2S e H2 può essere realizzata, dopo raffreddamento dei prodotti di
reazione, in due stadi:
1) Il primo, a pressione alta, per la separazione dell’idrogeno, che viene direttamente
riciclato al reattore previo reintegro di quello consumato dalla reazione.
2) Il secondo, a pressione minore, per la separazione di H2S, che viene inviato all’impianto
per il recupero dello zolfo (processo Claus).

Sia l’idrogeno che l’H2S, separati mediante flash, contengono quantità più o meno grandi di
idrocarburi leggeri (formati per cracking o presenti in origine); l’idrogeno, inoltre, può
trascinare parte dell’H2S.
Per ridurre il contenuto di idrocarburi, l’idrogeno può essere “lavato” in controcorrente con
una porzione del prodotto desolforato o purificato con altri sistemi.
Nei processi di desolforazione spinta deve essere installato uno stadio di assorbimento
alcalino (con ammina) sul gas di riciclo: le reazioni di desolforazione sono processi di
equilibrio e quindi vengono sfavorite dalla presenza di H 2S, che inoltre, essendo
chemisorbito di preferenza, inibisce l’azione del catalizzatore.
È necessario avere la massima concentrazione di idrogeno anche nella corrente di reintegro,
inserendo, per esempio, una purificazione mediante Pressure Swing Adsorption (PSA).
Abbiamo due assorbitori alcalini (ad alta e bassa pressione), dunque vengono svolti due
lavaggi alcalini, uno sull’idrogeno e uno sulla carica in uscita. La carica viene ulteriormente
lavata e, in testa, si recupera H 2S, il quale viene inviato al processo Claus per ottenere lo
zolfo.
Che tipo di reattore troviamo in tale processo?
Si usano normalmente reattori a letto fisso e
flusso verticale, con uno o più letti di
catalizzatore, aventi dimensioni variabili da
poche decine a poche centinaia di metri cubici.
La soluzione a due o più letti è richiesta
quando l’alimentazione contiene composti
insaturi e per desolforazioni spinte di
frazioni pesanti.
Un controllo migliore della T può essere
ottenuto tramite quench intermedio con
idrogeno freddo. (ricordiamo che le
reazioni sono globalmente esotermiche),
abbassando contemporaneamente la
pressione parziale dell’H2S prodotto dalla
reazione.
Le biglie di alluminio favoriscono il contatto tra i reagenti.
Talvolta, proprio nel processo di deidrosolforazione, si ha un esempio del reattore
“trickling flow”, ovvero, con alimentazioni più pesanti la vaporizzazione è parziale e nel
reattore si realizza un sistema trifasico solido-liquido-gas (trickling flow).
In questo caso deve essere assicurata una perfetta distribuzione della fase liquida e gassosa,
nonché un completo bagnamento dei granuli di catalizzatore; quindi, assume grande
importanza la relativa velocità dei flussi gassoso e liquido.

Le regioni asciutte potrebbero esibire velocità più alte, comportando un aumento della
conversione e la formazione di coke.
 La severità delle condizioni dipende dall’alimentazione.
 Inoltre, per compensare la disattivazione del catalizzatore si aumentano le
temperature del reattore.

HYDROCRACKING
L’hydrocracking è un processo di cracking catalitico in presenza di idrogeno, che
consente di trasformare una frazione di greggio in prodotti più leggeri. Ciò lo distingue dal
processo FCC, dove non si alimenta idrogeno, e dal processo di hydrotreating, dove non si
ha la rottura del legame C-C.
 Nel processo di hydrocracking, oli pesanti, e derivati dal vacuum sono convertiti in
prodotti leggeri come nafta, kerosene e diesel.
 La domanda crescente di carburante per trasporti, specialmente il diesel, ha
contribuito notevolmente al suo sviluppo.
Lo scopo del processo di hydrocracking è la produzione di nafta e di distillati medi,
combustibili per jet (jetfuel) e diesel.
Inoltre, l’hydrocracking è un processo che ammette un’ampia gamma di cariche e fornisce
una grande varietà di prodotti. Esso è un processo “eco-friendly”, poiché elimina dai
combustibili quei composti che altrimenti diffonderebbero nell’atmosfera sotto forma di
ossidi di zolfo e di azoto. Oltre all’hydrocracking dei combustibili, esiste un’altra
applicazione di questa tecnologia, ovvero l’hydrocracking dei residui, per la produzione di
oli combustibili a basso contenuto di zolfo e di cariche per FCC.
Qualità tipiche dei prodotti dell’hydrocracking:

Tuttavia, esistono diverse forme di hydrocracking:

Produzione bilanciata di distillati medi e di benzina


da greggi pesanti ad alto contenuto di zolfo.

L’olio leggero di riciclo dell’FCC, detto LCO


(Light Cycle Oil) viene convertito in benzina con
basso contenuto di S mediante l’hydrocracking.

Produzione bilanciata di distillati medi e di benzina


da greggi pesanti ad alto contenuto di zolfo.

In tal caso abbiamo l’hydrocracking dei residui e


l’FCC dei residui.

Produzione di combustibili e
di oli lubrificanti di qualità.
Hydrocracking del residuo del VACUUM.

Le reazioni del processo di hydrocracking sono riconducibili a due grandi classi:


1 La prima comprende le reazioni dell’hydrotreating, nel corso delle quali le
impurità sono rimosse dalla carica.
2 La seconda, invece, è costituita dalle reazioni dell’hydrocracking, durante le
quali i legami carbonio-carbonio sono spezzati con l’ausilio dell’idrogeno,
utilizzando catalizzatori bifunzionali (ovvero con due tipologie di siti attivi).
L’hydrocracking può essere vista come una combinazione con l’idrogenazione e il cracking
catalitico. L’idrogenazione è una reazione esotermica (con un sito attivo deidrogenante),
mentre il cracking è endotermico (con un attivo acido). Poiché il calore richiesto per il
cracking è minore rispetto a quello rilasciato dalle reazioni di idrogenazione, il processo può
essere considerato, in totale, esotermico.

MECCANISMO: (NON LO DEVI STUDIARE)


I meccanismi delle reazioni di hydrocracking sono meccanismi ione carbenio, come
quelli del cracking catalitico, associato a reazioni di idrogenazione e di
isomerizzazione.

a) Adsorbimento su siti del catalizzatore


metallico;
È stato notato che, per ottenere una distribuzione di prodotti più interessante,
b) Deidrogenazione con bisogna fare di n-
formazione
attenzione al rapporto tra i siti idrogenanti e i siti olefine;
acidi. Infatti, si è osservato che con
l’aumento del rapporto H/A del catalizzatore, si ottiene
c) una più ampia estensione
Desorbimento di prodotti
dai siti del catalizzatore
con una resa liquida più alta. metallico e diffusione nei siti acidi;
Con catalizzatori che presentano un alto rapporto H/A, d)gliIsomerizzazione e/o lacracking
stadi che determinano velocità delle
di reazione (scissione β e isomerizzazione) avvengonoolefine
nei siti (scissione
acidi. β) sui siti acidi attraverso
gli intermedi ione carbenio;
e) Desorbimento delle olefine dai siti acidi e
L’ idrogeno in eccesso e la componente
diffusione verso i siti indel catalizzatore
idrogenante eccesso del
metallico;catalizzatore, generano prodotti
f) Idrogenazione di queste olefine (n- e
idrogenati e inibiscono le reazioni iso-)
sui siti del catalizzatore
secondarie metallico; Come, per
indesiderate.
esempio, delle
g) Desorbimento la formazione di coke e un
paraffine risultanti
eccesso di cracking (overcracking)
degli intermedi.

CATALIZZATORI E PROCESSI
Le reazioni di idrogenazione, deidrogenazione e rimozione di eteroatomi (1, 2, 3, 4)
richiedono un catalizzatore di idrogenazione, mentre le reazioni di cracking procedono
attraverso uno ione carbenio, pertanto un catalizzatore acido.
Pertanto, i catalizzatori saranno costituti da un supporto che ha un ruolo di catalizzatore
acido, come per esempio silicoalluminati, e metalli come: platino, cobalto, nichel, ossido di
W, Co e Mo, che hanno un ruolo idrogenante.

Per quanto riguarda i processi, invece, sono stati classificati in:


1. Singolo stadio.
2. Doppio stadi.
3. In serie.
I composti azotati, gran parte basici, giocano un ruolo importante nel processo di
hydrocracking, in quanto adsorbendosi sul catalizzatore acido, possono neutralizzare i siti
attivi necessari per le reazioni di cracking, inibendole.

 PROCESSO A SINGOLO STADIO

Lo schema di processo è molto simile a quello


dell’hydrotreating, eccetto per il catalizzatore e per le
condizioni di reazioni più drastiche. Le reazioni di trattamento
e cracking avvengono in un solo reattore.
La configurazione semplice porta a costi di investimento più
ridotti. Si produce nafta per la produzione di etilene insieme a
distillati medi (MD).
 La conversione del feedstock non è completa, pertanto
c’è ancora materiale non convertito con lo stesso intervallo dei pesi molecolari, ma
questo prodotto non convertito è saturo e libero da contaminanti.
 Il processo è ottimizzato per favorire l’idrogenazione a scapito del cracking.

 PROCESSO A DOPPIO STADIO

La conversione dei composti azotati e solforati e le


reazioni di cracking avvengono in due reattori
separarti, con rimozione intermedia di ammoniaca e
acido solfidrico.
L’effluente dal primo reattore, dopo il
raffreddamento e la rimozione di NH3 e H2S, è
frazionato.
Il prodotto ricavato dal fondo è hydrocraccato nel
secondo reattore.
 L’alimentazione è completamente convertita in prodotti più leggeri, al contrario del
processo a singolo stadio.

 PROCESSO IN SERIE
Il prodotto in uscita dal reattore di hydrotreating è
alimentato direttamente al reattore di
hydrocracking, senza la separazione di NH3 e H2S
Pertanto, il catalizzatore nel reattore HT opera in
condizioni ricche in ammoniaca, comportando una
bassa attività.
PETROLCHIMICA DI BASE
L’utilizzo di specie come gas naturali (metano, etano, propano) e di petrolio, consento di
ottenere prodotti ed intermedi importanti, i quali prendono il nome di prodotti
petrolchimici di base, poiché sono utilizzati anche per ottenere altri composti fondamentali
attraverso processi di “Steam Cracking” o “Reforming catalitico” o “Steam reforming”. Ad
esempio, possiamo avere i gas di sintesi, dai quali si ricava l’ammonio, oppure CO, CO2,
H2, dai quali si ricava il Metanolo.

Raw Materials Processes Primary


and Feedstock Petrochemicals
Steam
Reforming Synthesis Ammonia
gas
Natural gas CO,CO2,H2
Partial Methanol
Oxidation

Methane
Ethane
Propane Ethylene

Steam Propylene
Cracking
Butadiene

Naphtha

Gas oil Benzene


Catalytic
Reforming Toluene

Crude oil Xylenes

La produzione quantitativamente più importante dell’industria petrolchimica è quella delle


olefine leggere, in particolare etilene e propilene. Seguono idrocarburi aromatici.
Impianti di pirolisi (steam cracking) producono:
1. Etilene
2. Propilene
3. Prodotti secondari (frazione C4 ricca di butadiene)
Impianti di reforming catalitico producono: Benzene e aromatici.
 PROCESSO DI STEAM CRACKING:
Nel processo di Steam Cracking un idrocarburo è scisso termicamente (cracking) in
presenza di vapore, per dare luogo a una miscela complessa, in cui i prodotti principali sono
olefine leggere (ad es. etilene e propilene).
Il termine Steam Cracking è un po illogico, in quanto non avviene il cracking del vapore,
ma quest’ultimo ha solo un ruolo diluente degli idrocarburi e di trasportare di calore. Il
termine più adatto per indicare lo steam cracking sarebbe “PIROLISI”, che tradotto dal
greco significa: “rottura di legami per calore”, dunque non si utilizzano catalizzatori.
Per quanto riguarda le condizioni di reazioni, si possono utilizzare come cariche:
1. Idrocarburi leggeri presenti nel gas naturale (C2, C3).
2. Prodotti di raffinazione del petrolio (nafta, gas pesanti).

Per poter avere alte conversioni in idrocarburi gassosi, occorre operare a temperature più
alte di quelle che si hanno nei cracking di produzione di benzine; in queste condizioni è
facile avere una produzione eccessiva di carbone. La scelta delle condizioni operative, in
funzione delle caratteristiche della carica che si vuole usare, e in funzione della resa nelle
varie olefine, consente di limitare la formazione di carbone. Tali condizioni di processo
sono strettamente dipendenti dagli aspetti termodinamici e cinetici della reazione.

STEAM CRACKING
ASPETTI TERMODINAMICI:
I prodotti desiderati sono: etilene, propilene e butadiene.
Lo steam cracking di alcani leggeri risulta nella reazione di deidrogenazione di alcani a
formare alcheni ed idrogeno. Le reazioni di deidrogenazione di etano, propano e butano
sono le seguenti:

Tutte le reazioni sono endotermiche (ΔH>0) e avvengono con l’aumento del numero di
moli. Pertanto, dal punto di vista termodinamico, conversioni di equilibrio più alte sono
ottenute ad alte T e basse pressioni parziali degli idrocarburi.

Inoltre, poiché sarebbe costoso lavorare sotto


pressione, si utilizza vapore come diluente.
Tutte le curve sono isobare, ovvero curve che
riportano la conversione in funzione della
temperatura (a pressione costante).

MECCANISMO DELLO STEAM CRACKING


Lo steam cracking avviene con meccanismo radicalico. Infatti, la reazione inizia con la
rottura del legame C-C dell’etano e alla formazione di due radicali metilici. Dopodichè, si
hanno reazioni di propagazione, in cui un radicale metilico reagisce con etano, conducendo
a metano e un altro radicale etilenico. Questo decompone formando etilene.
Le reazioni di terminazione avvengono tra due radicali con la formazione di una molecola
satura.

In realtà, il meccanismo è
molto più complesso di così,
poiché si possono formare
anche idrocarburi pesanti
per reazioni tra due radicali. I
prodotti di cracking primario
possono essere soggetti ad
ulteriori reazioni di cracking,
dando luogo a cracking
secondario, deidrogenazione
e condensazione.

Tuttavia, nelle cariche più pesanti, si può


avere anche la formazione del coke.
Cosa ci importa del coke se non vi è il
catalizzatore in tali reazioni?
Ci importa perché, lavorare in condizioni
di alta temperatura, non è semplice da un
punto di vista impiantistico e di processo, quindi il coke potrebbe inficiare sulla reazione
stessa.

ASPETTI CINETICI
La velocità di reazione di alcani segue una legge cinetica del primo ordine; ciò implica che
la velocità di reazione aumenta con la pressione parziale degli idrocarburi reagenti.
Tuttavia, pressioni parziali alte potrebbero portare a reazioni secondarie con formazione di
coke. Quindi le pressioni parziali sono mantenute basse, con basse conversioni dei reagenti.
Poiché del primo ordine, le constanti
cinetiche aumentano all’aumentare
del peso molecolare dell’idrocarburo
e al diminuire delle ramificazioni.
Significa che l’etano ha reattività più
bassa a parità di T.

Le velocità di reazione di:


Cracking sono significative a T>700°C
Deidrogenazione T>800°C
Polimerizzazione e condensazione
T>900°C

Pertanto, un processo industriale di steam reforming dovrà tenere conto di:


1. Un considerevole apporto di calore ad elevate valori di temperature.
2. Basse pressioni parziali di idrocarburi.
3. Bassi tempi di contatto.
4. Rapido raffreddamento per preservare la composizione.
Dunque, tra le variabili operative ritroviamo:
 Pressione: Basse pressioni parziali di idrocarburi con diluizione di idrocarburi con
vapore.
 Composizione Carica: Idrocarburi paraffanici sono più adatti a dare rese alte in
olefine. Le n-paraffine sono preferibili alle iso-paraffine perché, quest’ultime,
portano ad una maggiore formazione di metano.
 Tempo di Contatto: Si opera con tempi di contatto di pochi secondi e all’uscita dei
forni di cracking deve essere effettuato un rapido raffreddamento (quench) sino a
circa 200°C, per impedire che si abbiano reazioni secondarie di polimerizzazione e di
condensazione.
 Temperatura: Dipende dal tipo di carica, infatti deve essere aumentata, a parità di
tempo di contatto, man mano che si scende con il peso molecolare medio della
carica.

Lo steam cracking porta alla produzione di una miscela complessa. Pertanto, sono cruciali le
condizioni operative per avere una distribuzione di prodotti ottimale. (ammontare di etilene
più alto possibile).
 La composizione della nafta, espressa come percentuali di alcani, nafteni ed
aromatici presenti, ha un notevole effetto sulla resa di cracking.

Qual è il ruolo del vapore?


È stato visto che è necessario diluire la corrente di alimentazione con vapore. Ciò comporta
una diminuzione delle pressioni parziali di idrocarburi, diminuendo la velocità globale, ma
aumentando la selettività ad olefine leggere.
Altri vantaggi relativi all’aggiunta del vapore si possono ritrovare:
1. Diminuisce la quantità di calore da fornire, per metro di tubo, nella sezione di
reazione.
2. Contributo nella rimozione di coke per reazione.
Uno svantaggio è connesso al suo riscaldamento, con un aumento dei volumi di reazione e
quindi dei costi di investimento.

PROCESSI INDUSTRIALI
I processi industriali di cracking si differenziano fra loro principalmente per i particolari
costruttivi del forno di pirolisi, per il sistema di recupero e purificazione della miscela di gas
prodotta.
Lo schema principale del processo comporta impianti suddivisi in tre distinte sezioni:
1. Pirolisi (la quale ci dice che già sta avvenendo il processo di steam cracking)
2. Quench (relativo al raffreddamento, poiché dobbiamo disattivare le reazioni
secondarie che rovinano la miscela di prodotti)
3. Rettifica (in cui possiamo separare la miscela complessa di prodotti e
selezionare quelli di interesse)

Schema semplificato di un processo


Una miscela di idrocarburi e vapore (input), viene fatta passare attraverso dei tubi posti
all’interno di una fornace, riscaldati dalla combustione di gas naturale, GPL o carburante.
La fornace presenta una sezione di convezione, in cui è riscaldata la carica, e una zona
radiante.
Subito dopo, i prodotti sono quenchati, e il tempo di residenza è < 1s.

Lo schema è il seguente:
SEZIONE DI PIROLISI
La sezione di pirolisi,
data l’alta temperatura,
richiede un’accurata
scelta dei materiali, i
quali devono essere
resistenti a condizioni
così drastiche. Inoltre,
dati i brevi tempi di
contatto, si richiede un
buon scambio di calore
attraverso le pareti dei
tubi in cui passa la
carica; dunque, devo evitare la formazione del coke, poiché, se si formasse,
comprometterebbe lo scambio termico e non avrei più la reazione desiderata.

Una tipica fornace è costituita da due zone:


- Zona dove il riscaldamento è ottenuto per irraggiamento (zona radiante);
- Zona dove il calore è ceduto per convezione (zona convettiva).
o Nella zona radiante vi è una serie di
tubi, orizzontali o verticali, in speciali
acciai legati. Questa zona può essere
alta anche 15 m.

o Nella zona convettiva vi sono tubi


orizzontali per preriscaldare la carica,
surriscaldare il vapore.

Tuttavia, durante le reazioni di pirolisi,


si deposita COKE sulle pareti dei tubi,
provocando una riduzione della
velocità di trasferimento di calore, un
aumento delle perdite di carico e
abbassamento della resa. Per questo si
effettua un decoking inviando una
miscela aria/vapore.

I tubi di cracking sono in unico piano, dove al centro c’è la fornace. Essi possono variare in
diametro (20-200 mm) e lunghezza (10-100 m).

SEZIONE DI QUENCH
I gas di cracking, nella zona radiante, sono a 1070K, pertanto devono essere raffreddati
tempestivamente per prevenire le reazioni secondarie. Il raffreddamento può essere diretto
o indiretto.
 Il quench diretto prevede
l’iniezione di uno spry liquido, di
solido acqua oppure olio, con un
raffreddamento molto veloce.
 Il quench indiretto prevede uno
scambiatore di calore (Transfer-
line exchanger TLE), che ha il
vantaggio di produrre vapore ad
alta pressione.

SEZIONE DI RETTIFICA
Dopo il quench, la corrente dei prodotti è compressa con una serie di compressori a stadi.
Prima dell’ultimo stadio, vi è la rimozione di gas acidi. Dopo la compressione si elimina
acqua e si va ad essiccare con zeoliti.
I diversi prodotti di cracking sono separati per distillazione criogenica (T<273K) e
distillazione convenzionale.
Gas di Sintesi o Syngas
I gas di sintesi sono miscele gassose di CO+H2 che sono utilizzate in molte sintesi
chimiche, fra le quali: quelle del metanolo, dell’ammoniaca e delle aldeidi per
idroformilazioni. Il Syngas può essere prodotto per:
1. Steam Reforming (con vapore) di idrocarburi gassosi (gas naturale), GPL o
liquidi vaporizzabili (frazioni petrolifere vaporizzabili);
2. Ossidazione Parziale con ossigeno o vapore di idrocarburi saturi gassosi o
liquidi: Processo autotermico;
3. Ossidazione parziale del carbone con vapore (gassificazione).

STEAM REFORMING
Cosa vuol dire “Steam Reforming”?
Il termine Steam Reforming è utilizzato per descrivere la reazione di idrocarburi con vapore,
in presenza di un catalizzatore. Lo Steam Refoming non deve essere confuso con il
Reforming catalitico, il quale serve ad aumentare il Numero di Ottano delle benzine e
produrre aromatici.
• Lo steam reforming è utilizzato anche, spesso in combinazione con diversi processi
di ossidazione parziale con ossigeno o aria, per la produzione dei gas di sintesi per
ammoniaca, metanolo e altri prodotti petrolchimici.
Negli ultimi anni, lo steam reforming è stato proposto come processo per convertire una
carica primaria in un gas idoneo per le celle a combustibile (fuel cell). Nelle applicazioni su
vasta scala, quali la produzione di gas di sintesi per ammoniaca, metanolo, ecc., o per la
sintesi FT, la tecnologia più efficiente non è quella basata esclusivamente sullo steam
reforming, ma bensì sull’ossidazione parziale.
ASPETTI TERMODINAMICI
I processi di Reforming con vapore, per la produzione di gas di sintesi, utilizzano gas
naturale (metano, o miscele etano-propano) o GPL, combustibili liquidi fino alla nafta. Le
principali reazioni sono (considerando il metano):
La reazione che vogliamo essenzialmente favorire è la prima (reforming), poiché produce
una grande quantità di CO e H2, ovvero una grande quantità di gas di sintesi. Mentre, le
reazioni che voglio limitare sono quelle di shift e di Boudouard, le quali sottraggono CO
ottenuto dal processo di reforming del metano.
Osservando il ΔH delle reazioni, notiamo che la prima è una reazione endotermica di
equilibrio, mentre le altre due sono esotermiche. Dunque, devo tener conto di tale
caratteristica se voglio favorire reazioni rispetto ad altre.

[1] produce l’espansione del gas e necessita di condizioni di alta T e bassa P, per
raggiungere alti livelli di conversione all’equilibrio. Per ottenere alte conversioni, ad alte P,
è necessario utilizzare un alto rapporto vapore/metano nella carica.
[2] vi è reforming con CO2, che riduce il rapporto H2/CO nel gas prodotto, che può essere a
volte conveniente, soprattutto quando si ha disponibile una fonte di biossido di carbonio a
basso costo.
[3] conversione del CO a biossido di carbonio, conversione del gas d’acqua, o, reazione di
shift, è generalmente veloce e può essere considerata all’equilibrio nella maggior parte delle
condizioni. (bisogna limitarla)

La reazione (1) avviene con aumento del numero di moli ed è endotermica, pertanto sarà
favorita da alte temperature, basse pressioni ed alti valori di vapore/idrocarburo.
Sarà necessario fornire calore dall’esterno mediante scambio termico. Ma si dovrebbe
operare per T>900-1000°C, pertanto le pareti dovrebbero essere resistenti ai 1100-1300°C.
Quindi, nella pratica industriale, si utilizza un catalizzatore e si opera per T= 700-1100°C.

Dal grafico notiamo che, mentre l’H2 e il CO aumentano durante il corso della reazione, la
CO2, invece, raggiunge un picco e poi scende a zero. Questa caratteristica è dovuta alla
reazione di shift di gas d’acqua, che sottrae CO dalla reazione facendolo reagire con H 2O e
portando alla formazione di altro CO ed altro H2. (reazione 2)
In presenza di catalizzatore diventano importanti le reazioni:

Il carbonio che si forma può depositarsi sul catalizzatore, disattivandolo. Quindi, devo
pormi nelle condizioni che possano evitare tali situazioni svantaggiose dal punto di vista
reattivo. Per evitare la formazione del carbone, si può:
 Ridurre la pressione.
 Aumentare la temperatura. (la reazione di Boudouard è una reazione
esotermica, quindi se mi metto in condizioni di elevate temperature vado a
sfavorirla)
 Aumentare il rapporto vapore/idrocarburo.

Il catalizzatore
Il catalizzatore più usato per il reforming di idrocarburi è costituito da nickel supportato su
allumina, spinello di magnesio-allumina oppure ossido di zirconio.
La perdita di attività dei catalizzatori nei reattori di reforming può avere diverse origini:
1. La sinterizzazione, con la perdita di area superficiale delle specie attive. Essa
consiste nella migrazione e nella coalescenza delle particelle di nichel sulla
superficie del supporto. È favorita dall’ alta temperatura e alta pressione
parziale del vapore.
2. L’avvelenamento da zolfo, che consiste nella conversione di tutti i composti
solforati in H2S, che viene chemisorbito sulla superficie del nichel. Esso si
manifesta come un avvelenamento dell’involucro esterno, dovuto ai limiti
della diffusione nei pori.

Le condizioni operative dipendono dalla natura della carica e dall’impiego.

 Il contenuto di CO ed H2
all’equilibrio, aumenta con la
temperatura, in quanto la
reazione di reforming è
endotermica.

 CO2 ha un massimo: si forma


nelle reazioni esotermiche e
reagisce in quelle
endotermiche. Quindi si
forma a basse T, e si consuma
ad alte T.

Processo di Steam Reforming


Il catalizzatore è contenuto in tubi, posti all’interno di una fornace, riscaldati per
combustione.
Lo steam reformer consiste in due sezioni:
1. Zona convettiva, dove il calore dei gas effluenti è impiegato per preriscaldare
il gas in alimentazione e il vapore, e per la generazione di vapore super-
riscaldato.
2. Zona radiante, dove avviene la reazione di steam reforming.
Dopo la rimozione
di composti solforati, il gas naturale è miscelato con vapore e preriscaldato a 780K prima di
entrare nei tubi di refoming. Il calore per le rezioni di reforming endotermiche è data dalla
combustione nella fornace (processo allotermico).

Di seguito, sono riportati alcuni reattori di reforming tubolare a fiamma diretta:

Un reattore di reforming può contenere fino a mille tubi di acciaio ad alta lega, riempiti di
catalizzatore. In genere, il diametro esterno è di 100-180 mm, lo spessore della parete del
tubo è di 8-20 mm, e la lunghezza del tratto riscaldato può essere di 10-14 m. Il gas di
alimentazione è distribuito ai singoli tubi del reattore di reforming dalla testata di ingresso
mediante connettori a spirale (detti pigtail).
La sommità del tubo di reforming è connessa a un raccordo di ingresso a U (o a forcella,
hairpin) disegnato in modo da assorbire l'espansione termica del tubo catalitico e quella
della testata. Grazie alla sua flessibilità, questo raccordo può essere facilmente spostato
lateralmente per consentire il libero accesso ai tubi catalitici durante le operazioni di carico
e scarico del catalizzatore.
Un reattore di reforming a scambio termico è un reattore di steam reforming in cui, il calore
richiesto per la reazione, è fornito in massima parte mediante scambio di calore per
convezione. Il calore può essere ceduto da un gas di combustione o da un gas di processo o
anche, in linea teorica, da qualunque altro gas sufficientemente caldo disponibile.

Qual è il ruolo del vapore in tal caso?


La formazione del carbonio deve essere limitata per due motivi:
1. Disattivazione del catalizzatore.
2. Sviluppo di hot-spot nei tubi, per depositi grossi nei tubi di reforming.
La formazione del carbonio può essere soppressa aggiungendo un eccesso di vapore.
 Si opera nel reformer, a valori di rapporto vapore/carbone di 2.5-4.5 mol H 2O per
mol di C. I valori più alti sono utilizzati per la nafta, che presenta una maggiore
tendenza a formare depositi carboniosi.
 Ad alte temperature (>920K) potrebbe avvenire lo steam cracking di alcheni a
carbonio.

Aggiungendo vapore si ha un ulteriore vantaggio, ovvero quello di abbassare la pressione


parziale degli idrocarburi.
In molte applicazioni (metanolo o ammoniaca), si richiede syngas ad alte pressioni. Gli
attuali reformer operano a pressioni maggiori di quella atmosferica, anche se
termodinamicamente sfavorevoli.
Il vantaggio di lavorare ad alte P risiede in:
1. Costi di compressione più contenuti.
2. Dimensioni del reformer più contenuti.
Lo svantaggio consiste in: Temperature più alte e Maggiore eccesso di vapore.
Nonostante la tecnologia utilizzata per lo steam reforming sia ben consolidata, essa è
oggetto di studi continui per diminuire i costi di processo.
I miglioramenti riguardano:
1. Materiale per i tubi;
2. Miglior controllo nel deposito di carbone;
3. Stabilità del catalizzatore ai composti solforati;
4. Flessibilità a seconda della carica.
- Esempio: Pre-reformer. Se il gas naturale è ricco di idrocarburi o si utilizza nafta
come carica, si utilizza un pre-reformer prima della fornace per convertire questi
composti.

REFORMING OSSIDATIVO ADIABATICO


Nel reforming ossidativo adiabatico non vi è scambio termico con l’esterno, ma il calore è
fornito dalla combustione interna. La reazione totale è adiabatica e consente di ottenere
idrogeno puro.
Il principale svantaggio del reforming ossidativo adiabatico, soprattutto quando si usa O2
come ossidante, è che esso richiede la disponibilità di una fonte di ossigeno. Gli impianti di
ossigeno sono costosi e gli investimenti necessari per la loro realizzazione costituiscono una
parte importante del totale delle spese di costruzione di un’unità di produzione di gas di
sintesi.
Si possono distinguere tre categorie sulla base del tipo di reazioni chimiche che si verificano
nel reattore: reazioni omogenee, reazioni eterogenee e una loro combinazione. I processi
di reforming ossidativo adiabatico possono essere classificati anche sulla base del tipo di
carica utilizzato:
1 Reattore di gassificazione o di ossidazione parziale, se la carica proviene
direttamente da un’unità di desolforazione o da una di pre-reforming, e le
reazioni sono omogenee.
2 Ossidazione catalitica parziale (Catalytic Partial Oxidation, CPO), se le
reazioni si svolgono in modo eterogeneo su uno o più letti catalitici.
3 Reforming autotermico (AutoThermal Reformer, ATR), se il processo ha
inizio con reazioni omogenee, per esempio in un bruciatore, ed è completato da
reazioni catalitiche eterogenee.
4 Reforming secondario, se la carica è stata già parzialmente convertita in un
reattore di reforming tubolare a fiamma.
Vediamo nello specifico tali processi di reforming:
Reforming autotermico (ATR)
Il processo ATR è stato utilizzato per decenni per produrre gas di sintesi, ricco in monossido
di carbonio e idrogeno. Dagli anni ‘50 fino alla fine degli anni ‘70, i reattori di reforming
autotermico erano utilizzati per produrre gas di sintesi per ammoniaca e metanolo.
Il reforming autotermico è un processo combinato di combustione e di reazione catalitica
(reforming), effettuato in un unico reattore adiabatico.
Una miscela di gas naturale e di vapore
viene parzialmente convertita per
combustione pressurizzata in condizioni di
eccesso di combustibile, dopodiché, la
conversione degli idrocarburi in gas di
sintesi bilanciato è portata a termine in un
reattore catalitico a letto fisso.
Un reattore ATR può essere suddiviso in tre
zone: zona di combustione, zona termica e
zona catalitica.
Il gas naturale viene bruciato con l’ossigeno,
definendo la formazione di CO ed H 2O, ma
soprattutto si ha la formazione del calore
necessario per far avvenire la reazione di
reforming.
La zona di combustione è costituita da una
fiamma a diffusione turbolenta, dove le molecole
di idrocarburi e l’ossigeno si mescolano e
reagiscono gradualmente. Avviene la
combustione di idrocarburi in un gran numero di
reazioni radicali omogenee.
Nella zona termica, soprastante il letto catalitico,
si produce un’ulteriore conversione attraverso
reazioni (steam reforming di CH4 metano e shift)
in fase gassosa omogenea. Queste sono reazioni
più lente.
Nella zona catalitica si effettua la conversione finale degli idrocarburi, attraverso una serie
di reazioni catalitiche eterogenee, tra cui la reazione di steam reforming del metano e ancora
quella di gas shift d’acqua.

Ossidazione Catalitica Parziale (CPO)


La carica idrocarburica e l’ossidante sono
mescolati in una zona di immissione, a monte
del letto catalitico.
Nella sezione catalitica, hanno luogo delle
reazioni catalitiche eterogenee (reazioni di
combustione parziale e totale, accompagnate
da quelle di steam reforming del metano e di
shift).
È stato affermato che il metano reagisce per
ossidazione parziale secondo:

Inoltre, i prodotti della reazione vengono ulteriormente ossidati.


Per cosa si differenzia l’ossidazione catalitica parziale (CPO) rispetto a quella ATR?
 La tecnologia CPO si distingue da quella ATR principalmente per l’assenza di
bruciatori. Tutte le reazioni chimiche si verificano, infatti, nella zona catalitica.

La reazione di ossidazione parziale, considerando il metano come l’idrocarburo di impiego,


è la seguente:
L’andamento della T lungo l’asse del reattore, presenta un brusco aumento dopo l’entrata
dei reagenti (picco T), a seguito di una diminuzione. Successivamente, la T si mantiene
constante.
Questo avviene perché:
In un primo momento, tutto l’ossigeno reagisce
con una parte del metano. Reazione
esotermica:

A seguito dell’elevata T, il CH4


comincia a crackizzare, con formazione
di Carbone. Reazione endotermica:

Successivamente avvengono le reazioni (endotermiche):

Le reazioni endotermiche attenuano il picco termico. Il processo, a meno di dispersioni


termiche, avviene adiabaticamente: il calore necessario per le reazioni endotermiche è
fornito dalla reazione esotermica.
Il processo è pertanto definito AUTOTERMICO, per distinguerlo dal reforming,
endotermico, nel quale il calore necessario è fornito dall’esterno.

GASSIFICAZIONE
La gassificazione converte qualsiasi materiale carbonioso in syngas, che può essere
utilizzato come combustibile per generare energia elettrica, oppure come base per un gran
numero di prodotti nell’industria petrolchimica e in raffineria. Inoltre, la gassificazione
valorizza materiali a valore basso, convertendoli in prodotti gassosi con potere calorifico
utilizzabile e/o prodotti commerciabili.
La tecnologia dominante è l’ossidazione parziale, che produce un gas di sintesi costituito
da monossido di carbonio e idrogeno in vari rapporti, la cui somma è generalmente più
dell’85% in volume sul totale, e quantità minori di biossido di carbonio (CO2) e metano
(CH4).
L’ossidazione parziale può essere applicata ad alimentazioni solide, liquide o gassose, come
carbone, residui di raffineria, gas, coke di petrolio, biomasse e altri materiali altrimenti
considerati scarti o rifiuti. L’alimentazione in carica al gassificatore reagisce con ossigeno di
purezza tipicamente tra il 95 e il 99% in volume (o con aria) e/o vapore acqueo, ad alta
temperatura e pressione variabile, in difetto di ossigeno. Il difetto di ossigeno giustifica
l’espressione di ‘ossidazione parziale’.

Gassificazione del carbone


Partendo dalla carica in ingresso
(residui di raffineria, coke di
petrolio, ecc), essa viene alimentata
al gassificatore.
Il gas prodotto dalla gassificazione
viene successivamente ‘pulito’, in
modo che elementi presenti in
tracce o altre impurezze siano
riciclati, recuperati o scaricati. Lo
zolfo è prevalentemente recuperato
in forma elementare, mentre il gas
depurato può essere inviato a
produzioni chimiche e/o destinato
alla produzione di energia elettrica.
La chimica della gassificazione è piuttosto complessa:

Le prime due reazioni con carbone sono endotermiche, mentre le altre sono esotermiche.
Quindi per poter essere condotto in modalità autotermica, una parte di C, H 2 e CO (specie
combustibili) viene «sacrificata», bruciando tali specie in presenza di O2 (in difetto).
Perché si lavora in difetto di ossigeno?
 PIROLISI
Il carbone è una complessa miscela di composti organici e minerali.
Quando è riscaldato (intorno 1000-2000K), avvengono diverse reazioni di cracking;
dunque, il materiale organico fonde, mentre i gas sono rilasciati. Dopodichè, un
ulteriore riscaldamento trasforma la massa organica in materiale poroso detto “char”.
Questo processo è detto pirolisi.
Quando sono
presenti gas reattivi
come ossigeno,
avviene la
combustione del
carbone. La
miscela dei prodotti
non è complessa,
ma è
essenzialmente
bruciata.
Nella gassificazione del
carbone, si lavora in
difetto di ossigeno, ovvero
in un ambiente riducente.

ASPETTI TERMODINAMICI DELLA GASSIFICAZIONE


È chiaro che, sia la struttura del carbone che la distribuzione dei prodotti, è abbastanza
complessa. Se si assume carbone composto da carbonio, i prodotti di gassificazione sono:
H2O, CO, CO2, H2 e CH4.
La reazione tra C e acqua da luogo alla reazione di gassificazione umida, endotermica e
spostata a destra nelle condizioni operative impiegate.

La produzione di CO, in presenza di vapore, promuove la reazione di spostamento del gas


d’acqua (water-gas shift), esotermica.
Tale reazione produce CO2, che poi interagisce con C in accordo alla reazione di
gassificazione secca (reazione di Bouduard).

La variazione del numero di moli ci fornisce informazioni sulla pressione da adottare.


Inoltre, il calore necessario per la reazione viene fornito dall’aggiunta di ossigeno
(gassificazione autotermica), e tale aggiunta di ossigeno modifica anche la distribuzione
dei prodotti.
Tuttavia, la variazione di entalpia riflette la variazione delle entalpie di tutte le reazioni in
gioco. Ad esempio, a basse temperature, le reazioni esotermiche giocano un ruolo
importante, mentre al contrario, per le endotermiche, comportando una notevole variazione
di

entalpia.
Tecnologie di gassificazione
Esistono diversi processi di gassificazione e tra i principali processi, troviamo tre differenti
tipi di reattori:
1. Letto mobile
2. Letto fluidizzato
3. Gassificatori a flusso trascinato.
La gassificazione può essere condotta in impianti in pressione (dell’ordine di 10 bar), per
ragioni di successivo utilizzo del syngas. Inoltre, le cinetiche di gassificazione non sono così
rapide come quelle di combustione, quindi il processo viene favorito lavorando a
temperature molto alte (sino anche a circa 1600°C), e con particelle solide particolarmente
fini (ordine 10-100 μm).
Inoltre, le alte temperature in gioco, determinano la parziale fusione del combustibile
(anche detto «slag», con particolare riferimento alle sue ceneri), che ostacolerebbe
condizioni di corretta fluidizzazione. Pertanto, oggi, vengono maggiormente utilizzati
gassificatori a flusso trascinato («entrained flow gasifier», EFG), dove il solido è
trascinato dal gas e le due fasi presentano all’incirca lo stesso tempo di residenza (ordine 10
s).

 GASSIFICATORE A LETTO MOBILE

Nel gassificatore a letto mobile, il carbone si muove


lentamente verso il basso per gravità, a mano a mano
che la gassificazione procede. Il carbone và in
contatto controcorrente con ossigeno e vapore
(poiché sono alimentati dal basso), che vengono
distribuiti attraverso una griglia rotante.
Con questa configurazione si ha un profilo di
temperatura lungo il letto, con quattro consecutive
zone di reazione: essiccamento, volatilizzazione,
gassificazione e combustione.
La temperatura di uscita del gas di sintesi è
generalmente bassa (circa 600° C), anche se nel
cuore del letto si può raggiungere la temperatura di
fusione delle ceneri (2.000° C). La pressione
operativa è intorno a 25-30 bar.
L’alimentazione dei gassificatori a letto mobile è costituita da carbone a pezzi (fino a 50
mm) con poca polvere che, se il carbone ha tendenza ad agglomerarsi, potrebbe bloccare il
passaggio verso l’alto del gas.
Esistono due versioni di questo gassificatore, che differiscono per il modo in cui vengono
estratte le ceneri; la versione più diffusa è quella cosiddetta dry ash, dove le ceneri
vengono scaricate in forma solida a circa 1.100 ° C.

 GASSIFICATORE A LETTO FLUIDIZZATO

Il gassificatore WINKLER, opera a


pressione atmosferica e temperature medie.
La fluidizzazione contribuisce ad un
efficiente scambio di calore e materia.
Come risultato della retro-
miscelazione, una parte del carbone
non convertito è rimosso con i gas
prodotti, abbassando le conversioni.
Tale caratteristica diviene
svantaggiosa in presenza di carbone
non reattivo, o ceneri, con
temperature di fusione più bassa.

 GASSIFICATORE A FLUSSO
TRASCINATO
Il gassificatore Kopper-Totzek è un sistema plug-glow, in cui le particelle di carbone
reagiscono in equicorrente con vapore ed ossigeno, a P atmosferica. Il tempo di residenza è
di pochi secondi.
Si opera a T elevate per massimizzare la conversione. Inoltre, si formano prevalentemente
CO e H2. Le ceneri sono rimosse come slag.

SINTESI DELL’AMMONIACA
La sintesi dell’ammoniaca (NH3), a partire da azoto ed idrogeno, rappresenta uno dei
processi industriali più importanti e studiati, se si considera che l’NH 3 è una materia prima
di base per la preparazione della maggior parte di fertilizzanti (85%).
 Lo sviluppo di nuovi processi si rese impellente intorno al XIX secolo, per soddisfare
la crescente richiesta di composti azotati, per risolvere il problema del fabbisogno
alimentare e agricolo della popolazione mondiale in crescita in quegli anni.
Una via possibile per ottenere i nitrati è costituita dall’ossidazione dell’ammoniaca ad
acido nitrico e successiva reazione con idrossidi o carbonati di metalli alcalini.
L’ammoniaca si otteneva come sottoprodotto della distillazione del carbone. La sua
produzione per questa via era però sicuramente non sufficiente. Dunque, si ebbe un’idea
iniziale: Utilizzare due materie prime a basso costo, l’azoto (componente principale
dell’aria, 78%) e l’idrogeno (ottenuto dalla gassificazione del carbone).
MA COME FARLI REAGIRE?
Oltre a un problema energetico, si devono tenere conto anche delle restrizioni
termodinamiche per ottenere NH3 dalla reazione.
Haber trovò che, a 1290K, la frazione di ammoniaca presente all’equilibrio in una miscela
N2, H2 e NH3 (N2:H2=1:3) era solo 0.01%. Quindi gli esperti, compreso Haber, si convinsero
che la sintesi industriale basata su N 2 non era possibile. Tuttavia, furono due tedeschi, il
chimico fisico Fritz Haber e un tecnologo dell’azienda “BASF” Bosch, a risolvere il
problema. Bosch organizzò al meglio tutte le risorse di ricerca della BASF: si avvalse
dell’aiuto di Mittach, uno dei maggiori esperti di catalisi.
Haber mise a punto un processo catalitico di sintesi dell’ammonica da azoto ed idrogeno che
prevedeva:
Alte temperature (670-870K);
Alta pressione >100bar
Un catalizzatore a base di ferro selettivo
Conversione dei reagenti non completa (introduzione del ricircolo sotto pressione).
Mentre Bosch sviluppò l’apparecchiatura e i metodi di produzione su larga scala.

Principali applicazioni di NH3


La produzione di NH3 richiede H2 e N2 in rapporto 3:1. L’azoto deriva dall’aria, mentre l’H2
deriva da vari combustibili fossili (per steam reforming da gas naturale). L’ammoniaca
costituisce il ‘building block’ di base dell’industria dell’azoto.
Il consumo di fertilizzanti azotati rappresenta circa l’80% del mercato mondiale
dell’ammoniaca e con l’attuale crescita della popolazione mondiale, associata al fatto che
non ci sono nuovi terreni coltivabili, si prevede un ulteriore crescita di volumi produttivi.
L’incremento della produzione dei fertilizzanti azotati, e in particolare dell’urea,
rappresenta una possibilità di soddisfare la crescente necessità di cibo.
La reazione di sintesi dell’ammoniaca, a partire dagli elementi:

 È una reazione esotermica che decorre con diminuzione del numero di moli.
 La reazione risulta favorita, da un punto di vista termodinamico, solo al di sotto di
455K.
 A causa dell’elevata stabilità di N 2, è richiesta una energia di attivazione tanto elevata
da non permettere velocità significative a temperature compatibili con l’equilibrio
termodinamico. Dunque, è necessario l’uso di un catalizzatore per aumentare la
velocità di reazione.
 Purtroppo, tutti i catalizzatori attivi per queste reazioni operano a 600-700K,
temperature a cui la reazione è
sfavorita, pertanto si opera ad alta
pressione.
Percentuale di ammoniaca
all’equilibrio in funzione di T e P
Le condizioni operative, in cui operano gli impianti di sintesi di ammoniaca, ricadono
all’interno del riquadro grigio, cioè con una T di ingresso nel reattore a 675K, mentre
quella di uscita è a 720-770 K, e con un range di pressione tra 100-250 bar.

ASPETTI CINETICI PER LA NECESSITA’ DELL’USO DI UN CATALIZZATORE


A causa dell’elevata energia del triplo legame nella molecola di azoto, che
necessariamente dovrà rompersi nel corso della reazione, è richiesta un’energia di
attivazione tanto elevata da non permetter velocità significative a T compatibili con
l’equilibrio termodinamico. Da ciò, la necessità di utilizzare un catalizzatore. Esso dovrà
favorire la dissociazione dell’azoto, dunque, questo dovrà “adsorbirsi dissociativamente”
(cioè adsorbirsi sulla superfice del catalizzatore, poi doveva dissociarsi, portando alla
formazione di nitruri, ed infine, tali intermedi, dovevano reagire portando alla formazione
dell’ammoniaca).
Il catalizzatore, oltre a favorire la dissociazione dell’azoto, deve anche favorire la successiva
reazione con l’idrogeno. Pertanto, N2 deve adsorsbirsi dissociativamente sul catalizzatore (in
genere un metallo), ma deve formare anche composti azotati labili, in modo da permettere le
reazioni successive.
Catalizzatori
I primi catalizzatori erano a base di ferro, con la presenza di promotori. Il catalizzatore di
ferro è ottenuto per riduzione della magnetite, con l’aggiunta di precursori dei promotori.
Possiamo avere anche ossidi di potassio e calcio, i quali sono usati come promotori
attivatori, in quanto aumentano l’attività per unità di superficie del catalizzatore.
Ossidi di alluminio e magnesio sono promotori fisici, i quali proteggono il catalizzatore dai
problemi di avvelenamento e sinterizzazione.
La riduzione del catalizzatore avviene direttamente nel reattore di sintesi di NH 3 (in situ).
Inoltre, i catalizzatori di oggi non differiscono sostanzialmente da quelli di ferro, oggi viene
commercializzato ed usato un catalizzatore a base di rutenio dalla Kellogg.
Un altro problema che incorre per tali catalizzatori (oltre la disattivazione) è
l’avvelenamento, il quale può dipendere da molte sostanze, come:
• Idrocarburi. Possono provenire sia dal lubrificante dei compressori alternativi che
dai gas di sintesi. Gli idrocarburi insaturi possono dare reazioni di idrogenazioni
esotermiche, portando a surriscaldamenti locali con sinterizzazione del catalizzatore.
Possono anche crackizzare dando depositi carboniosi.
• Composti ossigenati. Possono essere, oltre all’ossigeno, CO, CO2 e H2O. Questi
svolgono un’azione ossigenante. (veleni temporanei).
• Composti solforati. Derivano dal gas di sintesi non depurato. Essi sono trasformati in
H2S. Questo potrebbe adsorbirsi come zolfo sulla superficie, rendendo difficile
l’adsorbimento dell’azoto.
• Composti del fosforo.
• Composti alogenati.

Processi e Condizioni di processo


Le variabili operative alla base di un processo di sintesi di NH3 con alte rese sono:
Temperatura. La reazione è esotermica ed è condotta più prossima all’equilibrio. La
temperatura viene scelta per seguire i massimi della velocità di reazione.
Pressione. Elevate pressioni favoriscono il processo sia dal punto di vista
termodinamico, sia da un punto di vista pratico di condensazione di NH 3 prodotta (P=250
bar).
Inerti. Possono essere argon o metano. Si accumulano nel sistema e devono, per tale
motivo, essere spurgati, perchè potrebbero abbassare la velocità di reazione, abbassando la
pressione parziale dei reagenti.
H2/N2. valore ottimale 2,5.
Dimensione dei granuli del catalizzatore. Dimensioni elevate comportano una riduzione
della superficie specifica, mentre dimensioni molte piccole provocano alte perdite di carico.

Gli impianti industriali sono costituiti dalle seguenti parti:


1. Preparazione e purificazione del gas di sintesi.
2. Sintesi e recupero dell’ammoniaca (compressione, reazione, separazione).

alimen
tazion
e

Produzione del gas di


sintesi
compressione

riciclo
reazione

separazione
spurgo

NH3

Nella separazione, alcuni componenti vengono riciclati e inviati di nuovo al reattore, inoltre,
vengono individuati anche gli elementi dello spurgo (metano o argon), i quali potrebbero
accumularsi e dare problemi durante la reazione.

Reattori nella sintesi dell’ammoniaca


Come sappiamo, il reattore si può considerare il cuore dell’impianto. Il controllo della
temperatura è cruciale nella sintesi di NH3, questo per poter mantenere massima la velocità
di reazione: la reazione è esotermica e il calore prodotto deve essere rimosso.
Pertanto, possono essere adottati due metodi per raffreddare:
1. Raffreddamento Diretto. In un reattore “quench”, un gas freddo viene
alimentato a differenti altezze nel reattore.
2. Raffreddamento Indiretto. Il calore prodotto viene rimosso tra due letti (strati)
catalitici attraverso scambiatori di calore. Quindi, il calore viene recuperato alla
T più alta possibile.
Oltre che per il sistema di scambio adottato, i reattori si possono differenziare anche per il
percorso seguito dai reagenti:
 Flusso assiale. Il percorso dei gas, dentro i letti catalitici, è parallelo all’asse del
reattore.
 Flusso radiale. Il percorso è perpendicolare all’asse del reattore.

I reattori con il flusso radiale hanno il vantaggio di limitare le perdite di carico (perdite di
carico basse), quindi permettono di utilizzare catalizzatori con particelle di dimensioni
molto piccole e perciò più attivi sia per la maggiore area superficiale, che per la minore
influenza dei fenomeni diffusivi sulla velocità di reazione.
Reattori a raffreddamento indiretto

Come possiamo notare, il reattore è costituito da 3 letti catalitici, alternati da zone di


raffreddamento. I dispositivi c (rappresentati in figura) definiscono i device di
raffreddamento indiretto, ovvero gli scambiatori di calore. L’alimentazione entra in “e”,
viene preriscaldata e poi attraversa il mantello (in tutto ciò, dal grafico altezza/T notiamo
come vi è un rapido aumento di temperatura man mano che percorre tutto il mantello), fino
ad arrivare ad una temperatura prossima ai 700K. Dopodiché, attraversa il primo letto
catalitico, avviene la reazione e, poiché è esotermica, si ha un brusco aumento della
temperatura (verso gli 800K). Però la velocità di reazione deve essere massima, pertanto
dobbiamo rimuovere il calore generato, dunque, i reagenti, insieme alla prima quantità di
ammoniaca prodotta, passa attraverso una prima sezione di raffreddamento e la temperatura
si abbassa intorno ai 720-730K, poi passa attraverso un secondo letto catalitico, aumenta di
nuovo la temperatura, ed un’altra sezione di raffreddamento. Fino ad arrivare all’ultimo
letto catalitico ed infine ai tubi di uscita, dove il gas in entrata viene riscaldato da quello in
uscita (che scende a 400K).
Ovviamente, realizzare un profilo lineare (linea tratteggiata nel grafico a destra) per
l’ottenimento di ammoniaca è impossibile da un punto di vista industriale. Dunque, si
realizza un profilo a zig-zag, in modo tale da avvicinarsi il più possibile ai massimi della
velocità di reazione, per spingere il contenuto di ammoniaca ottenuto.

Reattore ICI (Quench reactor)


Nel reattore ICI, non ci sono degli scambiatori di calore alternati a zone di raffreddamento,
ma si ha un unico letto catalitico indicato con: Bed1, Bed2, Bed3.
Ovvero, i letti catalitici sono individuati da “bocchettoni”, da cui esce il gas di
raffreddamento. Il raffreddamento quench viene effettuato attraverso l’invio di gas
reagente freddo, a diverse altezze nel letto. Dunque, l’alimentazione arriva dall’alto,
attraversa il mantello esterno (riscaldandosi), poi attraversa il canale interno ed arriva ad
attraversare il letto catalitico, dove si alterna tra i vari Bed e i vari bocchettoni di
raffreddamento.

Riportando in grafico la T in funzione del contenuto di NH 3, osserviamo di nuovo un profilo


di temperatura per cui la velocità di reazione risulta essere massima (zig-zag). Quindi, il
motivo principale degli strati catalitici è di seguire il massimo di velocità di reazione.
Reattori Kellog (Quench reactor)

I reattori Kellog sono simili ai reattori ICI, solo che in tal caso vi sono diversi letti catalitici;
inoltre, anche in questi reattori non ritroviamo gli scambiatori di calore, ma bensì, delle
sezioni dove viene inviato il gas freddo (quench). Nella figura a destra troviamo un reattore
Kellog a flusso radiale.
Reattori TOPSOE (Quench reactor)
Caratteristiche analoghe a quelli visti
precedentemente, inoltre, anche tale
reattore è a flusso radiale.

Compressione e separazione dei gas


Gli stadi di compressione e
separazione sono strettamente
collegati. Infatti, date le elevate
pressioni, a cui viene condotta la sintesi
di NH3, la compressione risulta essere
uno stadio importante. La produzione di
gas di sintesi, a discrete pressioni,
permette di ridurre i volumi degli
impianti e di ridurre i rapporti di
compressione. Questo viene eseguito
utilizzando compressori centrifughi a
più corpi.
Dato che la conversione del gas per passaggio non è completa (20-30%), si ha la necessità di
separare l’NH3 prodotta all’uscita del reattore dai reagenti non convertiti e inerti. Tale
separazione avviene condensando NH3 per raffreddamento.
Questo processo di compressione/separazione ha permesso di generare diversi LOOP di
sintesi di ammoniaca:

a) Gas di alimentazione puro e secco (non c’è il separatore).


b) Recupero di ammoniaca dopo compressione e riciclo (il reattore è posto dopo il
compressore ed il dispositivo di separazione).
c) Recupero di ammoniaca prima di compressione e riciclo.
d) Recupero del prodotto con due stadi di condensazione.

Impianto di Ammoniaca Integrato


Per leggere tale schema, individuiamo le correnti di ingresso, che sono: gas naturali, il
vapore e l’aria, e anche la corrente di uscita, che è, appunto, l’ammoniaca.
Dunque, nella prima sezione, l’alimentazione passa attraverso un primo reattore (1), il
quale rimuove l’azoto, ed arriva ad un reattore di reforming primario (2), quindi viene
prodotto il gas di sintesi e, successivamente, poiché in uscita dal reforming primario avrò
una quantità di metano non convertito, si passerà attraverso un reforming secondario (3),
per far reagire il metano, appunto. In uscita dal reforming secondario, si ha la possibilità di
rimuovere sia CO che CO2, i quali rappresentano un veleno per il catalizzatore di sintesi
dell’ammoniaca. Quindi, per rimuovere prima il CO, si introducono due sezioni parallele
per far avvenire il gas shift dell’acqua (4) e poi, una volta convertito il CO in CO2, essa
fuoriesce attraverso il condotto (5) ed arriva nella zona di adsorbimento, dove viene
completamente rimossa dal processo.
A questo punto, dopo la metanazione (6), si arriva nella zona di sintesi dell’ammoniaca.
Infatti, troviamo il reattore (a destra nell’angolo) con i vari letti catalitici, alternati dalle
varie zone di raffreddamento. Il tutto, è collegato rispettivamente a zone di compressione e
separazione (7). Infine, abbiamo lo spurgo (8) delle varie sostanze di scarto, con recupero
di ammoniaca (9) ed ottenimento del prodotto desiderato.

ACIDO NITRICO: PROPRIETA’ ED USI


L’acido Nitrico (HNO3) rappresenta uno dei composti azotati più importanti, dopo
l’ammoniaca. Gli impieghi principali riguardano il settore dei fertilizzanti come sale, e
quello degli esplosivi, come nitrati organici e inorganici. Comunque, i fertilizzanti
assorbono circa i ¾ della produzione mondiale di acido nitrico. Il prodotto principale, al
quale si deve il maggior consumo di acido nitrico, è il nitrato di ammonio, usato come
fertilizzante ed esplosivo.
L’acido nitrico è un acido con ottime proprietà ossidanti. Le soluzioni acquose formano un
azeotropo di massimo che bolle ad 1atm a 121.9°C, e contiene circa il 68.7% di HNO 3. Tale
azeotropo impedisce di ottenere acido nitrico ad elevate concentrazioni. HNO 3 non è stabile
al di spora del suo punto di fusione, tende a decomporsi dando luogo ad ossidi di azoto.
Andiamo ad analizzare in dettaglio i vari step:
1. OSSIDAZIONE DELL’NH3 AD NO
La reazione principale tra NH3 ed O2 è la seguente:

Tale reazione è fortemente esotermica e molto rapida. Oltre a tali reazioni, possono
avvenire reazioni secondarie che conducono alla formazione di azoto, come ad esempio:

Dunque, anche bruciando ammoniaca con O2, non si ha la formazione di NO, ma bensì di
NO2 e quindi di un prodotto che essenzialmente non serve a nulla. E anche questa reazione
risulta essere molto esotermica, quindi non possiamo utilizzare la temperatura per
prediligere una delle due reazioni.
Da un punto di vista termodinamico, consideriamo la variazione di energia di Gibbs in
funzione di T:

Energia libera di Gibbs per


l’ossidazione dell’ammoniaca
a 1 bar

Si vede come la formazione di N2 sia favorita dal punto di vista termodinamico, e rimane
tale anche lavorando ad alta Pressione. Pertanto, se si vuole ottenere NO, bisognerà influire
sulla cinetica del processo, impiegando opportuni catalizzatori selettivi ed operando tempi
di residenza molto bassi (0.0001-0.001s) ad alta temperatura.
Il catalizzatore migliore per l’ossidazione di NH 3 a NO, si basa su platino metallico legato
con rodio. Esso viene impiegato sotto forma di reti costituite da fili sottilissimi, del
diametro di alcuni centesimi di millimetro. L’aggiunta del rodio migliora l’efficienza del
catalizzatore, anche se aggiunto in rilevante percentuale non ha più effetto. La resa in NO
aumenta all’aumentare della velocità lineare dei gas e quindi dei tempi di residenza (o
contatto).
Sono importanti le perdite di carico nell’attraversamento del pacco di reti del catalizzatore.
È stato visto che i fenomeni diffusivi sono limitanti.
La superficie catalitica cambia durante la reazione: all’inizio, l’attività è bassa ed aumenta
durante i primi istanti di reazione, contemporaneamente la superficie catalitica passa da
liscia e lucente, ad opaca e rugosa. Dopo questo periodo di attivazione, che può essere
spiegato in termini di aumento dell’area superficiale specifica, incomincia il declino della
sua attività. Dopo un certo tempo, le reti vengono ripulite e si recupera rodio e platino.
Questo fenomeno è accompagnato anche da perdite di catalizzatore, dovute a fenomeni di
erosione meccanica, data l’elevata velocità dei gas, e alla volatilizzazione del platino.

Per quanto riguarda le condizioni operative sull’ossidazione dell’ammoniaca a NO,


abbiamo che:
L’ossidazione dell’ammonica a viene condotta industrialmente in bruciatori ad alte
temperature (1100-1200K), bassa pressione. I reattori sono apposite apparecchiature
rivestite da materiale refrattario, contenenti il catalizzatore, sotto forma di un pacco di reti
circolari posto ortogonalmente al flusso dei gas.
Tuttavia, è importante la miscelazione dei reagenti, insieme ad una buona distribuzione dei
gas. Una cattiva distribuzione è evidenziata dalla colorazione della rete: più luminosa indica
la, formazione di punti caldi (hot spots), mentre scura dove non procede la reazione. Nei
punti caldi volatilizza il Pt. Una parte del platino persa per attrito ed evaporazione, viene
recuperato con opportuni filtri a valle dell’ossidatore. La vita del catalizzatore è di circa due
anni.

2. OSSIDAZIONE DI NO A NO2
La reazione di ossidazione dell’NO ad NO2 è una reazione non catalizzata:

Da un punto di vista termodinamico, la


conversione di NO è favorita dalla bassa
temperatura e dall’alta pressione.
Per quanto riguarda la cinetica, possiamo dire che essa è una reazione del terzo ordine:

(ricordare)
La cinetica di questa reazione riveste particolare importanza perché è un esempio
inconsueto di reazione favorita, anche cineticamente, alle basse temperature. In alte parole,
la velocità diminuisce con la temperatura. Sono state generate due ipotesi:
La reazione procede con urto trimolecolare.
La reazione procede con la formazione di un complesso intermedio, la cui
concentrazione aumenti al diminuire della T.
La bassa temperatura favorisce la reazione sia dal punto di vista termodinamico che
cinetico.

3. ASSORBIMENTO DI NO2
L’ultimo stadio è l’assorbimento dell’NO2 in acqua:

È una reazione piuttosto complessa, dato che possono avvenire diverse reazioni sia in fase
gas che in fase liquida. Una particolarità è che, oltre al prodotto desiderato, HNO 3, si
riforma anche un’aliquota di NO che era un reagente.
Dato che la reazione di assorbimento avviene in fase liquida, mentre l’ossidazione di
NO avviene in fase gas, i fenomeni di trasferimento di materia giocano un ruolo
fondamentale. Inoltre, la reazione di assorbimento avviene ad alte pressioni.

Impianto di acido nitrico a singola pressione


L’aria e l’ammoniaca vengono premiscelate e compresse in leggero eccesso d’aria (10% di
NH3 nella miscela). La miscela viene alimentata al reattore di ossidazione e la reazione che
si produce è fortemente esotermica. I gas uscenti vengono rapidamente raffreddati con
generazione di vapore. Nel raffreddamento, l’NO viene ulteriormente ossidato a NO 2 che è
in equilibrio con il suo dimero N2O4.
La corrente di fondo del separatore è costituita da acido nitrico diluito, che viene inviato a
circa metà della colonna di assorbimento, mentre la corrente gassosa viene alimentata sul
fondo della colonna. L’acido nitrico uscente dal fondo della colonna viene strippato con aria
per rimuovere le tracce di NOx.
Tuttavia, i gas uscenti dalla testa della colonna di assorbimento contengono ossidi d’azoto
residui, i quali vengono rimossi attraverso trattamenti specifici di SCR (selective catalytic
reduction).

Impianto di acido nitrico a doppia pressione

Nel caso del processo a doppia pressione, la principale variazione consiste nell’aggiunta di
un compressore tra il reattore di ossidazione dell’ammoniaca e la colonna di assorbimento.
Un’altra differenza importante è la modalità di abbattimento degli NOx mediante
assorbimento migliorato (“extended absorption”).

Abbattimento degli NOx


I regolamenti legislativi ambientali obbligano ad effettuare la rimozione degli NOx dalle
correnti gassose che vengono inviate in atmosfera. La concentrazione di ossidi d’azoto nella
corrente uscente da un assorbitore tradizionale è di 2000-3000 ppmv, mentre la legge
prevede un massimo di 200-230 ppmv.
Le possibilità di ridurre il contenuto di NOx sono sostanzialmente di tre tipologie:
1. Abbattimento catalitico selettivo (SCR)
2. Abbattimento catalitico non-selettivo (NSCR)
3. Assorbimento “esteso”
1. Abbattimento catalitico selettivo (SCR)
Con la tecnologia SCR, gli NOx sono convertiti in N 2 mediante reazione con ammoniaca
(reazioni catalizzate).

Il processo, sviluppato inizialmente in Giappone negli anni ‘70, utilizza temperature di 520-
570K (variabile primaria del processo, da controllare in un range di + o – 30K) e si adopera
un eccesso di ossigeno, il quale favorisce la reazione.

Il catalizzatore, nei primi tempi, era


in forma di sfere o pellets, ma
attualmente sono molto usati i
monoliti (honeycomb). Lo
svantaggio è rappresentato dal costo
elevato del catalizzatore (a base di
vanadio o di zeoliti).
2. Abbattimento catalitico selettivo (SCR)
In questo tipo di tecnologia, i gas di coda uscenti dalla torre di assorbimento vengono
scaldati alla temperatura di ignizione (mediante il calore prodotto dall’ossidatore
dell’Ammoniaca) e si aggiunge un combustibile (gas naturale). Questa miscela gassosa
passa in un letto catalitico e si forma azoto elementare, acqua e biossido di carbonio.
Il processo viene detto “non selettivo” dato che il combustibile consuma tutto l’ossigeno
presente nei gas di coda, rimuovendo gli NOx. Nonostante il costo del combustibile il
processo risulta conveniente anche perché il calore derivante dalla combustione catalitica
non selettiva viene recuperato producendo vapore. Con questa tecnica si riesce a
raggiungere un’efficienza nel controllo degli NOx di circa il 95-99%.

3. Abbattimento NOx mediante Assorbimento Esteso


La tecnologia dell’assorbimento esteso consiste nell’ampliare la torre di assorbimento, che è
dedicata ad abbattere gli NOx; oppure, addirittura, a mettere due colonne di assorbimento in
serie.
L’aumento di volume della torre, o del numero degli stadi, consente un maggiore recupero
degli NOx come acido nitrico. Tale tecnologia è particolarmente adatta per impianti dotati
di assorbimento ad alta pressione, nei quali si riesce a raggiungere una concentrazione di
200 ppmv con una sola torre. Negli impianti a media pressione si impiegano 2 colonne e si
raggiunge una concentrazione di 500 ppmv. L’assorbimento esteso è usato anche in
applicazioni di riconversione di impianti vecchi (retrofit) aggiungendo una seconda torre in
serie a quella esistente. L’efficienza di rimozione per questa tecnologia è compresa tra 93.5
e 97%.

ACIDO SOLFORICO: PROPRIETA’ ED USI


L’acido Solforico (H2SO4) è di gran lunga il prodotto chimico con la produzione più elevata
nel mondo (>130 milioni di t/anno) ed è usato in una vasta gamma di altri prodotti chimici
di cui i più importanti sono i fertilizzanti.
Altri usi: processi di alchilazione, lisciviazione del rame, industria della carta.
Le principali fonti di zolfo per il processo sono: piriti (solfuri di ferro), zolfo
elementare, acido solfidrico.
L’H2SO4 viene prodotto a varie concentrazioni, da 33% a 114% circa (conc. superiori al
100% rappresentano gli “oleum”).
Il cuore del processo per la produzione di acido solforico è la conversione catalitica di SO2
in SO3. Il processo di sintesi attuale prende il nome di “Processo a contatto” (Gay-Lussac).
Inizialmente il processo a “contatto” era basato su catalizzatori a base di platino, mentre
oggi viene impiegato vanadio (V) supportato. Inoltre, nel 1960, è stato introdotto un altro
importante miglioramento della tecnologia, il “doppio assorbimento”, in cui parte dell’SO3
viene rimossa tra due stadi di conversione catalitica.
Le reazioni coinvolte nel processo di sintesi di H2SO4, a partire da zolfo elementare, sono:
1. Ossidazione dello zolfo elementare

2. Ossidazione catalitica da SO2 a SO3

3. Assorbimento dell’SO3 in acqua per formare l’acido

Dato che le prime due reazioni richiedono ossigeno, viene utilizzata l’aria come agente
ossidante. L’ossigeno viene impiegato in leggero eccesso, perché presenta il vantaggio di
effettuare una conversione completa dello zolfo.
Tuttavia, la reazione più studiata, sia da un punto di vista accademico che di ricerca, è quella
di ossidazione catalitica da SO2 a SO3:

Tale reazione è
esotermica, reversibile e con diminuzione del numero di moli. Dal punto di vista
termodinamico, sarà favorita dalle basse temperature e dall’alta pressione. Infatti, di seguito,
in figura notiamo l’influenza della temperatura sulla conversione di equilibrio di SO 2:
Ciò che si osserva è che l’ossidazione è termodinamicamente favorita a bassa temperatura.
Inoltre, ha una conversione quasi completa al di sotto di 700K circa. Pertanto, sarà
necessario un compromesso tra la bassa T e la cinetica.
ASPETTO CINETICO
La conversione di SO2 decorre con diminuzione del numero di moli, per cui un aumento di
pressione sposta l’equilibrio verso SO3. Ciò nonostante, non si opera sotto pressione per le
seguenti ragioni:
 Tra i 670-700 k la resa è già praticamente unitaria.
 Sono attivi catalizzatori in questo intervallo di temperature.
Si utilizzano catalizzatori a base di V 2O5 promosso con potassio o relativo ossido.
Quest’ultimo nelle condizioni di reazione forma un pirosolfato di K fuso contenete gli ossidi
di vanadio, distribuito nei pori del supporto (SiO2). E’ stata proposta l’esistenza di una
catalisi liquida.
Nel reattore, la SO2 deve essere convertita totalmente (99.7%) non solo per ragioni
impiantistiche, ma anche ambientali. Il reattore è di tipo adiabatico a letto fisso, con strati
catalitici alternati
con raffreddamento.

In figura abbiamo un reattore a


letto fisso
La con 4 stratiparte
maggior catalitici
e raffreddamento intermedio.
della conversione si
realizza nel
La composizione primo è:
in ingresso
strato catalitico.
SO2 8% mol
Normalmente si
otterrebbero
O2 12% mol
conversioni del 98-
99%, ma questi
N2 80% mol
valori non sono
sufficienti per
rispettare i vincoli di emissioni nell’ambiente. La tecnica del doppio assorbimento
consente di arrivare ben oltre il 99% (99.7% in figura):

Effetto dell’assorbimento tra


il 3 e 4 (ultimo) stadio
catalitico.
La composizione iniziale è:
SO2 11.5% mol

O2 8.5% mol

N2 80% mol
Processo a doppio assorbimento

L’aria essiccata e lo zolfo fuso (atomizzato, 410-425 K) vengono introdotti ad una estremità
del bruciatore dello zolfo, che consiste in una camera di combustione. Il calore di
combustione è usato per generare vapore ad alta pressione e i gas uscenti dal bruciatore
vengono raffreddati a 690K, prima di essere alimentati al primo strato catalitico. Dopodichè,
i gas uscenti dal terzo strato catalitico, vengono inviati ad una prima torre di assorbimento,
dove l’SO3 prodotta viene assorbita in una corrente circolante di acido solforico. Tale
corrente gassosa uscente dalla prima torre, viene inviata al quarto ed ultimo strato catalitico,
per completare la conversione dell’SO2 residua.
L’uscita del reattore di conversione catalitica viene inviata ad una seconda colonna di
assorbimento, la quale trasforma l’ultima aliquota di SO3 in H2SO4.
Dallo schema si notano molti scambiatori detti “economizer”, in quanto recuperano calore
producendo vapore (1.3 t vapore per t di H2SO4).
BIORAFFINERIE

La biomassa è la più antica fonte di energia e attualmente fornisce circa il 10% del
fabbisogno energetico totale. Inoltre, essa ha una struttura altamente funzionalizzata e
contiene una grande quantità di ossigeno, in netto contrasto con il petrolio greggio. Simile al
petrolio greggio, però, la biomassa può essere ed è lavorata in diversi modi.

Nell’ambito delle bioraffinerie, i biocarburanti stanno crescendo enormemente in volume.


I principali biocarburanti sono il bioetanolo e il biodiesel. Il bioetanolo ha la maggiore
importanza globale, ma il biodiesel è il biocarburante più comune nell'Unione europea (UE).
Il bioetanolo è prodotto principalmente da colture alimentari, con circa il 75% prodotto da
colture da zucchero, tra cui canna da zucchero, barbabietola da zucchero e melassa. Esso è
prodotto dalla fermentazione degli zuccheri utilizzando microrganismi come i lieviti. Questo
processo può essere applicato a una varietà di materie prime, a condizione che la struttura
sia resa accessibile alla fermentazione.
 Per le colture amid acee questo viene fatto mediante idrolisi enzimatica per
produrre principalmente glucosio.

 Per la biomassa lignocellosica la tecnologia è più complessa. Serve un costoso


pretrattamento della biomassa per liberare la cellulosa e l'emicellulosa, inoltre, vi è
anche il fatto che l'emicellulosa è costituita da zuccheri pentosi, non facilmente
fermentabili. Tuttavia, negli ultimi anni sono stati fatti molti progressi nello
sviluppo di microrganismi adatti alla fermentazione di questi zuccheri pentosi.
Produzione di etanolo da biomassa lignocellulosica.

Durante il pretrattamento, la materia prima è sottoposta a condizioni che interrompono la


struttura della matrice fibrosa della lignocellulosa, determinando la separazione delle
emicellulose dalle catene di cellulosa polimerica e dalla lignina intrecciata, che le lega
insieme. Sono state sviluppate numerose strategie di pretrattamento per aumentare la
reattività della cellulosa e aumentare la resa di zuccheri fermentescibili.
L'idrolisi rilascia i singoli monomeri di zucchero (glucosio) dalla cellulosa.
Gli zuccheri della cellulosa e dell'emicellulosa possono essere fermentati in etanolo da
lieviti che sono stati modificati per fermentare sia gli zuccheri esosi che quelli pentosi e
sono stati adattati per trattare i materiali inibitori che vengono prodotti durante il
pretrattamento della biomassa.
La distillazione e la disidratazione della soluzione acquosa di etanolo produce etanolo
anidro con una purezza del 99,9% in peso, accettabile per la miscelazione con la benzina.
Attualmente, è in corso una discussione sull'idoneità dell'etanolo al 96% in peso (l'azeotropo
di etanolo e acqua) per la miscelazione con la benzina. Può anche essere prodotta una
gamma di prodotti coprodotti, come vari prodotti chimici, lignina e calore o elettricità.

BIOBUTANOLO
Vi è un crescente interesse per l'uso del biobutanolo come carburante per i trasporti. Tra le
caratteristiche del butanolo, vi è la tolleranza migliore per la contaminazione dell'acqua,
cioè è meno corrosivo dell'etanolo, ha un contenuto energetico più elevato ed è più adatto
per la distribuzione attraverso le condutture esistenti per la benzina.
Nelle miscele con diesel o benzina, il butanolo si comporta più favorevolmente rispetto alla
formazione di miscele stabili rispetto all'etanolo in caso di contaminazione del carburante
con l'acqua. Miscele di butanolo all'85% con benzina possono essere utilizzate nei motori a
benzina non modificati. Inoltre, la produzione di butanolo differisce dalla produzione di
etanolo principalmente nel processo di fermentazione (microrganismi diversi) e ci sono
piccoli cambiamenti nella sezione di distillazione a valle.
Produzione di etanolo per combustibili da biomasse

Il lievito è stato preventivamente coltivato in fermentatori aerati. Il lievito viene aggiunto a


una miscela di melassa di canna e acqua, in grandi fermentatori anaerobici. Si aggiunge
poi acido cloridrico o solforico per ottenere un mezzo acido. Il calore viene rimosso da
scambiatori di calore esterni. Nella lavorazione a valle, il lievito viene separato per
filtrazione in un filtro sottovuoto a tamburo rotante e riciclato.
Il prodotto del reattore viene dapprima alimentato ad un flash drum e, quindi, distillato in
una serie di quattro colonne di distillazione. Inoltre, la separazione completa di etanolo e
acqua, necessaria per l'etanolo per combustibili, non può essere ottenuta mediante la
normale distillazione. Etanolo e acqua formano un azeotropo di ebollizione minimo
omogeneo a una temperatura di 351 K, dove la miscela contiene il 96% in peso di etanolo.
Pertanto, è necessario ricorrere alla distillazione azeotropica, che viene utilizzata in molti
primi impianti di etanolo per combustibili, oa metodi di separazione più avanzati, ad
esempio, basati sulla tecnologia a membrana o sulla tecnologia di adsorbimento a setaccio
molecolare.
BIODIESEL
Il biodiesel è una miscela di esteri metilici o etilici di acidi grassi (FAME e FAEE).
Il gruppo estere aumenta il contenuto di ossigeno delle miscele diesel-biodiesel,
migliorando l'efficienza di combustione del diesel convenzionale a base di combustibili
fossili. Il biodiesel è prodotto dalla transesterificazione catalitica di oli vegetali, con alcoli a
basso peso molecolare, come il metanolo o l'etanolo.

Schema 1- Transesterificazione di olio vegetale con metanolo. FAME = esteri metilici degli acidi grassi. R1, R2 e R3
sono idrocarburi a catena lunga.

Facendo reagire una molecola di trigliceride con 3 molecole di metanolo, si ottengono 3


molecole di metil-esteri ed una molecola di glicerina. La glicerina può poi essere utilizzata
in altri processi. La reazione di transesterificazione è reversibile e il metanolo in eccesso
viene utilizzato per spostare l'equilibrio verso la formazione di esteri (metilici). Inoltre,
troviamo l’utilizzo di:
- Oli: gli oli vegetali più utilizzati in Europa sono gli oli di colza, semi di soia e
girasole (in Europa), l'olio di palma (nei paesi tropicali).
- Catalizzatori omogenei: idrossido di sodio (NaOH) e metossido di sodio
(NaOCH3).

È comune che oli e grassi contengano piccole quantità di acqua e acidi grassi liberi (FFA) -
acidi grassi che non sono attaccati alla spina dorsale del glicerolo – i quali danno origine a
reazioni collaterali.
Gli acidi grassi liberi (RCOOH) reagiscono con il catalizzatore alcalino e formano il sapone
(reazione di saponificazione), a seguito del quale, parte del catalizzatore, viene neutralizzato
e non è più disponibile per la transesterificazione. Inoltre, la presenza di sapone può
interferire con le successive fasi di lavorazione. Pertanto, il contenuto di FFA dovrebbe
essere inferiore allo 0,5% in peso.
Inoltre, se è presente acqua, essa può idrolizzare i trigliceridi e formare un acido grasso
libero, aumentando così la tendenza alla formazione di sapone.

Produzione del Biodisel

I trigliceridi vengono prima pretrattati mediante "sgommatura", per la rimozione dei


fosfolipidi, l'essiccazione e, se necessario, la rimozione degli acidi grassi liberi.
 Come sappiamo, i fosfolipidi sono trigliceridi con due catene di acidi grassi e una
catena laterale formata da un estere fosfato. Dunque, se i trigliceridi contengono
troppi acidi grassi liberi, questi vengono convertiti nei corrispondenti esteri metilici
in presenza di un catalizzatore acido. In alternativa, gli acidi grassi liberi vengono
separati dall'alimentazione per lo smaltimento o il trattamento separato in un'unità di
esterificazione acida.

Dopo il pretrattamento, i trigliceridi vengono sottoposti a transesterificazione con metanolo,


in presenza di un catalizzatore alcalino (NaOH). Dopodichè, gli esteri metilici vengono
successivamente separati dalla fase più pesante del glicerolo, mediante separazione di fase.
Il catalizzatore viene quindi neutralizzato aggiungendo un acido (ad esempio HCl). Infine, il
lavaggio per rimuovere piccole quantità di sottoprodotti e l'essiccazione, produce un
biodiesel pronto per l'uso.
Il metanolo in eccesso viene riciclato. Il glicerolo grezzo risultante (circa 80-85 vol.%) può
essere utilizzato come tale o essere ulteriormente purificato mediante trattamento chimico,
evaporazione, distillazione e sbiancamento per ottenere glicerolo di qualità farmaceutica (>
99,5 vol.%).
Tuttavia, sebbene la transesterificazione chimica, utilizzando un processo che coinvolge un
catalizzatore alcalino, si traduca in elevate conversioni di trigliceridi nei loro corrispondenti
esteri metilici in tempi di reazione brevi, la reazione presenta diversi inconvenienti. Questo
perché il processo è ad alta intensità energetica, il recupero del sottoprodotto della
glicerina è difficile e la neutralizzazione del catalizzatore produce una grande quantità di
sali di scarto. Quindi, sono stati proposti nuovi processi, come un processo senza
catalizzatore basato su metanolo supercritico, catalizzatore solido e un processo a base di
enzimi.

Processo di transesterificazione catalizzato da acido solido


Non è possibile eseguire un processo di transesterificazione, catalizzata da alcali, per oli con
un alto contenuto di FFA. Per tali oli, si raccomanda l'uso di catalizzatori acidi solidi,
poiché questi catalizzatori possono catalizzare simultaneamente la transesterificazione dei
trigliceridi e l'esterificazione degli acidi grassi liberi in esteri metilici.

Dunque, in tal modo viene semplificato il processo, poiché non vi è più la limitazione nella
produzione dei saponi, ma soprattutto si ha la formazione di una glicerina più pura.

Production of Bio-based Chemicals


Proprio come l'industria petrolchimica si basa su un numero relativamente piccolo (circa 20)
di cosiddette “sostanze chimiche di base”, derivate da componenti petroliferi, un'industria a
base biologica potrebbe essere immaginata basata su un piccolo numero di elementi
costitutivi, le cosiddette molecole piattaforma, derivati da componenti di biomassa.
Sono state identificate molte di queste molecole. Queste molecole hanno più gruppi
funzionali e possiedono il potenziale per essere trasformate in numerose sostanze chimiche,
ad elevati valori commerciali aggiunti. Le sostanze chimiche prodotte da queste molecole
piattaforma possono essere le stesse di quelle prodotte da sostanze chimiche derivate dal
petrolio (ecc..) ma con la stessa funzione, oppure possono anche essere completamente
nuove.
- Alcuni es:

Tali molecole presentano, innanzitutto, un elevata quantità di atomi di ossigeno, ma anche


una varietà di gruppi funzionali.
Ad esempio, anche l’etanolo può essere definita come “molecola piattaforma”, poiché il
reforming a vapore dell'etanolo, utilizzando un catalizzatore a base di metallo, può servire
come fonte rinnovabile di idrogeno (gas di sintesi):

Il processo è simile allo steam reforming del metano. La reazione di reforming è altamente
endotermica e richiede temperature comprese tra 870 e 1200 K. Queste alte temperature
possono provocare la formazione di sottoprodotti come CO e CH 4. Inoltre, si può avere la
disattivazione del catalizzatore, mediante formazione di depositi di coke.
Per opportune reazioni, è
possibile ottenere dei
prodotti e degli intermedi
interessanti anche dal
glicerolo:

(solo esempio)

Questo vale anche per


l’acido succinico:

(impara questo, solo


alcune molecole, non
tutto)
Circa il 70% dei costi totali del processo di lavorazione dell’acido succinico, sono dovuti ai
processi di down steam, cioè di separazione. Una volta ottenuto l’acido succinico, esso
deve essere separato dalla miscela (contenente anche sottoprodotti), deve essere purificato e
poi deve essere cristallizzato (in ambiente acido e a 4°C). Questi cristalli possono essere
utilizzati per produrre diversi altri prodotti.
Ultime parole sulla bioraffineria
Il termine bioraffinerie si riferisce ad una struttura (o gruppo di strutture) che combina la
produzione di combustibili e prodotti chimici per il trasporto con la produzione di energia.
Producendo diversi prodotti, una bioraffineria sfrutta i vari componenti della biomassa e dei
loro intermedi, massimizzando così il valore derivato dalla materia prima della biomassa.

L'obiettivo di una bioraffineria è quello di sostituire i combustibili fossili convenzionali


(petrolio greggio, carbone e gas naturale) e i prodotti a base di combustibili fossili
(principalmente benzina, diesel e gas di sintesi) con biocarburanti prodotti
dall'aggiornamento della biomassa. I prodotti energetici più importanti che possono essere
prodotti nelle bioraffinerie sono:
- biocarburanti gassosi (biogas, syngas, idrogeno, biometano),
- biocarburanti liquidi per il trasporto (bioetanolo, biodiesel, combustibili Fischer –
Tropsch, bioolio),
- biocarburanti solidi (pellet, lignina, carbone).

Vi è ora un'ampia accettazione del fatto che le future materie prime per bioraffineria
dovrebbero essere realmente sostenibili. Tali materie prime potrebbero essere colture
energetiche (ad esempio, colture di amido o silvicoltura a rotazione rapida) dedicate ed
integrate con residui di agricoltura, silvicoltura, industria e così via.
Si possono distinguere due tipi principali di bioraffineria:
o Una raffineria a base di fermentazione (o piattaforma di zucchero)
o Una raffineria termochimica, che potrebbe avere come base una piattaforma di
syngas una piattaforma di pirolisi.
La varietà nella composizione delle materie prime da biomassa è sia un vantaggio che uno
svantaggio:
 Un vantaggio è che le bioraffinerie possono realizzare più classi di prodotti rispetto
alle raffinerie di petrolio, e possono fare affidamento su una gamma più ampia di
materie prime.

 Uno svantaggio è che è necessaria una gamma relativamente ampia di tecnologie di


elaborazione, e la maggior parte di queste tecnologie è ancora in una fase pre-
commerciale.

Per la produzione di biocarburanti, l'elevato contenuto di ossigeno della biomassa è


chiaramente uno svantaggio, perché riduce il contenuto di calore delle molecole e di solito
conferisce loro un'elevata polarità, la quale impedisce la miscelazione con i combustibili
convenzionali. Pertanto, è necessaria una costosa deossigenazione.
Al contrario, per la produzione di sostanze chimiche a base biologica, la presenza di
ossigeno può essere considerata un vantaggio, poiché l'ossigeno fornisce preziose proprietà
fisiche e chimiche. Inoltre, le reazioni di ossidazione, che sono spesso difficili e dannose
per l'ambiente, possono essere evitate. Invece, potrebbe esserci uno spostamento verso
reazioni di riduzione "più verdi".

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