Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Quindi, man
mano che si passa dal gas naturale (metano), passando per il petrolio, fino ad arrivare al
carbone: aumenta il rapporto C/H.
Al contrario di quanto accede per il petrolio ed il gas naturale, la composizione del carbone
varia moltissimo. Infatti, esso contiene una certa frazione di composti inorganici, dei
minerali, che sono responsabili della formazione di ceneri dopo la combustione (contenuto:
1-25%).
La composizione mostrata è riferita alla sola Elemento wt%
frazione organica del carbone.
C 60-95
Notiamo che il range in cui varia il carbonio (60-
96) e l’idrogeno (2-6) è molto ampia; questo H 2-6
dipende dal giacimento da cui viene estratto il
carbone. Tuttavia, esso presenta anche N, O e S. N 0.1-2
Minore è la cenere che si produce dalla sua
combustione, maggiore è la quantità di energia che O 2-30
viene fornita.
S 0.3-13
Il carbone contiene anche una certa percentuale di acqua (2-70%) e questo può inficiare
negativamente nella produzione di energia stessa.
Un’altra caratteristica importante è che l’elevato valore del rapporto C/H indica che nel
carbone sono presenti grandi quantità di idrocarburi policiclici aromatici complessi.
- GAS NATURALE
- PETROLIO
Il petrolio è una miscela molto complessa di idrocarburi gassosi, liquidi e solidi, molto più
complessa del gas naturale. Tale composizione può variare anche molto da giacimento a
giacimento, anche nel caso di giacimenti molto vicini. Nonostante ciò, la sua composizione
elementare varia in un range abbastanza ristretto.
Elemento wt%
C 80-87
H 10-14
N 0.2-3
O 0.05-1.5
S 0.05-6
Qual è la composizione del petrolio?
La gran parte del petrolio è costituita da alcani (lineari e ramificati), cicloalcani (detti
nafteni) e composti aromatici.
Un’altra componente da non sottovalutare nella composizione del petrolio è lo Zolfo (S);
infatti gli idrocarburi contenenti zolfo possono esser presenti nel greggio in quantità
notevole.
- AZOTO
Gli idrocarburi contenenti azoto sono presenti nel greggio in quantità minore rispetto a
quelli contenenti zolfo. Nonostante ciò, creano disturbo nei principali processi catalitici
come il cracking catalitico e l’hydrocracking. L’azoto basico, infatti, può reagire con i siti
acidi del catalizzatore di cracking disattivandolo.
Non è un veleno come il Coke, perché con il coke si esegue un processo di rigenerazione in
situ, mentre nel caso dei composti azotati e solfonati, poiché possono disattivare
permanentemente i siti acidi del catalizzatore e quindi inficiare sulla produttività del
processo, allora si prevede un trattamento prima di far arrivare la corrente al processo di
cracking catalitico.
- OSSIGENO
Sebbene il contenuto di ossigeno nel greggio sia piuttosto basso, questo eteroatomo può
essere presente in diversi composti. La distinzione tra questi composti è solitamente fatta
sulla base della loro acidità e basicità.
- METALLI
I metalli sono contenuti nel greggio in concentrazioni molto piccole. Nonostante questo, la
loro presenza è di particolare interesse in quanto anche piccole concentrazioni possono
causare la disattivazione o l’avvelenamento dei catalizzatori utilizzati nei processi di
lavorazione a valle.
Parte dei metalli è presente in una fase acquosa (emulsione), che può essere rimossa con
mezzi fisici, un’altra come composti metallorganici.
La percentuale di metalli è molto variabile e li si ritrova nei residui pesanti della raffineria.
COS’E’ LA BIOMASSA?
In questo contesto si definisce Biomassa qualsiasi sostanza di origine organica che possa
rigenerarsi in tempi compatibili con il suo consumo, destinata alla produzione di bio-
energia, bio-carburanti e bio-materiali. Da un punto di vista semantico, il termine Biomassa
si riferisce a qualsiasi sostanza organica prodotta sulla terra grazie ad un ciclo vitale.
Quindi in questo caso si vuole sottolineare la rinnovabilità della materia prima che viene
utilizzata rispetto ai derivati fossili, che non sono risorse sostenibili.
Infatti, la maggior parte di queste sostanze organiche derivano dalle attività metaboliche
degli organismi fotosintetici.
Le piante usano l’energia solare per combinare CO 2 e acqua per produrre uno zucchero
(CH2O)n e ossigeno (sintesi clorofilliana):
Biomasse lignocellulosiche
La fonte più abbondante di biomassa è quella lignocellulosica.
Essa è costituita da 3 polimeri: Cellulosa (40-80%) Emicellulosa (15-30%) e Ligninina (10-
25%)
Emicellulosa
L’emicellulosa, contrariamente alla cellulosa che è costituita dal solo glucosio, è un
polimero di cinque zuccheri differenti. Questi sono sia zuccheri a cinque atomi di
carbonio (solitamente xilosio e arabinosio) che zuccheri a sei atomi di carbonio
(galattosio, glucosio e mannosio), che possono essere sostituiti con gruppi laterali
acetici.
A causa della presenza di ramificazioni laterali, l’emicellulosa presenta una struttura
amorfa ed è più facilmente idrolizzabile, fino ad arrivare ai suoi monomeri rispetto
alla cellulosa.
Lignina
È un polimero tridimensionale con monomeri aromatici e per tale motivo è idrofoba.
Le unità monometriche che costituiscono la lignina sono alcol cumarilico, alcol
coniferilico e alcol sinapilico.
TRIGLICERIDI
I trigliceridi si trovano sia nel mondo vegetale che animale e sono sostanze insolubili in
acqua, costituite da esteri della glicerina e di miscele di acidi grassi:
Le catene di acidi grassi presenti possono sature o insature, e la loro composizione è
differente in base alla materia prima utilizzata, cioè a seconda del tipo di olio che stiamo
utilizzando e anche dal tipo di grasso.
I trigliceridi costituiscono i principali componenti degli oli vegetali (liquidi a temperatura
ambiente) e dei grassi animali (solidi a temperatura). Gli oli si trovano in quantità
maggiori nei frutti o nei semi, e caratteristiche chimico-fisiche dei diversi oli e dei grassi
dipendono dalla composizione della miscela di acidi grassi, la quale, naturalmente, dipende
dall’origine.
Energia: Vapore
Il vapore è l’utility più importante e diffusa nella maggior parte degli impianti chimici.
Tra le varie applicazioni si ricordano:
riscaldamento
reazione
ausilio per distillazione
Esso è usato:
Saturo: non contiene umidità
Umido: contiene umidità
Surriscaldato: senza umidità a T > T di saturazione
Se la reazione non è completa, i reagenti non reagiti vengono separati dal prodotto e sono
riciclati di nuovo al reattore. Mentre se fosse presente un inerte, potrebbe essere necessario
uno spurgo, per mantenere stazionarie le condizioni di esercizio.
(all’esame non chiede lo schema preciso, ma solo, in linea generale, cosa deve essere
presente in quel processo chimico per ottenere quel determinato prodotto)
1. LABORATORIO
La fase del laboratorio coincide con la fase esplorativa. Lo sviluppo di processo inizia con
la ricerca di prodotto nuovo o una nuova sintesi di un prodotto già esistente.
La Ricerca in questa fase si focalizza su:
- Reazioni chimiche
- Catalisi
- Reattori
2. FASE MINIPILOTA
Una volta superata la fase del laboratorio, arriviamo alla fase minipilota, dove il processo
viene passato al progettista, il quale và a costruire un “impianto mini-pilota”, ovvero un
impianto su piccola scala completo di tutte le apparecchiature, con le correnti di
alimentazioni, riciclo e spurgo, in grado di produrre prodotto in quantità di 100-200 g/h.
La fase di minipilota consente di acquisire importanti informazioni relative alla criticità del
funzionamento in continuo che nella scala di laboratorio non potevano essere messe in
evidenza. Inoltre, gli impianti minipilota sono utilizzati anche per studiare la stabilità a
lungo termine di un catalizzatore nelle condizioni di esercizio dell’impianto.
3. FASE PILOTA
La differenza tra l’impianto mini-pilota e pilota, essenzialmente, è la quantità di prodotto
che si ottiene; perché se nella fase minipilota abbiamo una quantità di prodotto che oscilla
tra i 100-200 g/h, in questo caso, invece, si producono alcuni kg/ora.
L’impiego dell’impianto pilota consente di verificare e completare le informazioni raccolte
fino a quel punto sul processo da sviluppare. Però, ovviamente, la costruzione di un
impianto pilota comporta dei costi molto elevati (10-15% dell’impianto industriale).
Una volta costruito un impianto pilota, esso viene mantenuto in esercizio in parallelo
all’impianto industriale per poter provare delle modifiche o dei miglioramenti, o per poter
risolvere dei problemi sull’impianto.
COME FACCIO A PASSARE DA UNA FASE ALL’ALTRA?
Gran parte dell’attività di sviluppo di processo riguarda lo “scale up” o “passaggio di scala
dalla fase” da laboratorio all’impianto industriale, passando per stadi intermedi di impianto
pilota e minipilota.
Es: per passare dall’impianto minipilota ad uno pilota o addirittura al livello industriale,
devo moltiplicare la velocità di produzione (0.01-1) x 1000 (o 1.000.000). Cioè se ho un
reattore da 1cm3 (nell’impianto minipilota) e voglio passare ad un impianto pilota, devo
moltiplicare 1cm3 dell’impianto x 1000.
Il principio del minimo: lo stadio del processo o l’apparecchiatura che ha il più
basso fattore di scale-up, determina la massima capacità che può avere uno stadio.
Questo perché se passo da un reattore di 50cm 3, ad uno di 100 m3, non è detto che il
processo che funziona per quel piccolo reattore debba funzionare anche per un reattore più
grande.
(I fattori più elevati sono quelli relativi alla fase gassosa, più piccoli per l’estrazione.)
N.B: Se l’impianto da scalare contiene diverse apparecchiature con diversi fattori di scale-
up, conviene utilizzare il fattore più piccolo per rimanere nei limiti di sicurezza.
SCHEMI DI IMPIANTO (Flow-sheet)
Nello studio dei processi industriali riveste una notevole importanza la comprensione della
simbologia, quasi sempre unificata, che viene comunemente utilizzata per la
rappresentazione schematica dei processi e degli impianti chimici.
La progettazione degli impianti, soprattutto negli ultimi anni, si è notevolmente sviluppata
grazie all’introduzione di tecniche di progettazione assistita da calcolatore (CAD, computer
aided design). Gli schemi e i disegni sono divenuti più completi e complessi.
La prima classificazione che possiamo effettuare è la differenza tra:
Un numero progressivo che rappresenta una numerazione interna per ogni classe di
apparecchiature.
Una eventuale ulteriore lettera che indica delle apparecchiature uguali che svolgono
la stessa funzione ma che sono, ad esempio, una titolare ed una di riserva oppure più
copie della stessa apparecchiatura (P102A, P102B)
Dalla tabella osserviamo che la sezione è stata numerata con 1-0-0 (100), quindi sappiamo
che tutte le apparecchiature che iniziano con il numero 1 avranno a che fare con la fase di
ESTERIFICAZIONE. Iniziano sempre con una lettera (R, E, V, ecc..) a cui corrispondono le
varie apparecchiature; dopodichè abbiamo il numero 1 che indica l’ambito in cui sono
utilizzate e poi 01, 02, 03, 04, ecc… i quali numerano i vari componenti presenti
nell’impianto.
Nel caso di E102 A/B, tale sigla sta ad indicare che abbiamo il serbatoio n°2 per il processo
di esterificazione (poiché 1), però ne abbiamo 2, uno titolare (A, cioè quello utilizzato) e
uno di riserva (B).
ES:
(a puro scopo
illustrativo)
LOOP DI REGOLAZIONE E CONTROLLO
Si riferiscono a tutte a quelle operazioni di rilevamento di una variabile in un dato
punto dell’impianto al fine di regolare un’altra variabile in un altro punto che
influenza la prima…
ES: Per controllare la valvola che mi
consente di non far riempire tutto il
tank, il quale ha un volume definito,
utilizzo un misuratore di livello;
ovvero, attraverso la misura del livello
all’interno del tank, può essere
controllata l’apertura o chiusura della
valvola.
1. ATTIVITA’
L’attività di un catalizzatore può essere espressa in termini di:
a. Velocità: moli di prodotto per volume di catalizzatore per tempo.
b. Numero di Turnover: moli di prodotto per mole di catalizzatore o di sito attivo
c. Conversione: mole di reagente trasformato per reagente caricato.
È importante avere un catalizzatore il più attivo possibile, poiché quanto più alta sarà
l’attività:
Maggiore sarà la produttività.
Minore sarà il volume del reattore.
Più miti saranno le condizioni di reazione.
2. SELETTIVITA’
Può essere espressa come mole di prodotto desiderato per mole di reagente convertito; tale
caratteristica incide sul costo totale del processo, perché meno sottoprodotto si forma,
maggiore quantità di prodotto desiderato otteniamo. Dunque, più alta sarà la selettività e
minori saranno i costi di separazione e purificazione dei prodotti.
3. LIFETIME O STABILITA’
Può essere espressa in anni di uso prima dello scarico del catalizzatore oppure in ammontare
di prodotti per ammontare di catalizzatore. Anche questa stabilità gioca un ruolo
fondamentale sull’incisione del costo totale del processo poiché, se il catalizzatore non è
ottimale, dovrò fermare il processo, rigenerare il catalizzatore il più possibile e sostituirlo
con uno adeguato. Dunque, più alta sarà la stabilità, minori saranno i costi down-time
(perdita di produzione dovuta alla sostituzione del catalizzatore).
4. FACILITA’ DI RIGENERAZIONE
Riduce il tempo di recupero del catalizzatore.
5. TOSSICITA’
Il catalizzatore non deve creare problemi di sicurezza per gli operatori che lo manipolano.
6. COSTO
TIPI DI CATALISI
Una prima classificazione nell’ambito dei catalizzatori può essere fatta a seconda delle fasi
coinvolte nel processo: se la fase è unica, abbiamo una catalisi omogenea, se invece sono
due o più fasi, abbiamo una catalisi eterogenea.
CATALISI OMOGENEA
I reagenti, i prodotti e i catalizzatori sono presenti nella stessa fase; inoltre, i catalizzatori
possono essere: acidi solubili, basi, sali e composti organometallici.
CATALISI ETEROGENEA
I reagenti, i prodotti e i catalizzatori sono presenti in fasi differenti; inoltre, i catalizzatori
possono essere: solidi inorganici come ossidi metallici, oppure solidi organici.
L’uso e la scelta anche di acidi liberi nell’ambiente di reazione, incide sul costo di
investimento del processo. Se dovessi utilizzare un acido forte come catalizzatore, allora
dovrò tenere conto anche della scelta dei materiali da utilizzare nella costruzione
dell’impianto industriale, cioè resistenti agli ambienti acidi molto forti.
La disattivazione di un catalizzatore può avvenire anche per via di un surriscaldamento;
cioè nel caso di reazioni fortemente esotermiche, si possono creare degli “HOT-SPOT”,
ovvero dei punti caldi dovuti al fatto che non riesco a controllare la temperatura durante le
reazioni esotermiche, e questo provoca l’avvelenamento del catalizzatore stesso (perde la
sua struttura porosa).
La catalisi eterogenea è una catalisi di superficie, ovvero affinché avvenga il fenomeno
catalitico è necessario che i reagenti diffondano sulla superficie del catalizzatore (nei pori),
dove sono situati i siti attivi e avviene la reazione chimica. Dunque, maggiore è la
superficie specifica del catalizzatore, maggiore sarà l’attività del catalizzatore.
Un altro problema può essere l’elevata resistenza meccanica, deve tenere costante la sua
morfologia.
CLASSIFICAZIONI DI CATALIZZATORI
È possibile classificare i catalizzatori anche sulla base delle proprietà chiave responsabili
dell’azione catalitica (tipo di siti attivo). Infatti, si possono individuare 3 classi principali di
catalizzatori:
A. Catalizzatori Redox
Sono questi i catalizzatori di ossidazione, idrogenazione, deidrogenazione e
alogenazione. La caratteristica peculiare è la presenza di metalli di transizione (nella
fase di sali, complessi o metalli) come componente principale.
B. Catalizzatori Acido-Base
Sono questi i catalizzatori di reazione di alchilazione, oligomerizzazione, cracking,
isomerizzazione. idrogenazione, deidrogenazione e alogenazione. La caratteristica
chiave è la loro acidità e basicità. (Si comportano sia da acidi e basi di lewis che da
acidi e basi di Bronsted)
C. Catalizzatori Polifunzionali
Sono questi i catalizzatori di reforming e oligomerizzazione. Sono una miscela di
catalizzatori acido-base e redox.
2. PROMOTORI
1 Promotori fisici:
Elementi o composti che, aggiunti in piccole quantità, aiutano a stabilizzare
l’area specifica e aumentare la resistenza meccanica. Agiscono a conservare la
struttura porosa del catalizzatore anche lavorando ad elevate temperature.
Sono ossidi metallici.
Esempi: Al2O3, SiO2, MgO, TiO2, ZrO2
2 Promotori chimici
Elementi che modificano l’attività e la selettività delle specie chimiche.
Sono ossidi metallici.
Esempi: metalli alcalini, alcalini terrosi: K2O.
FASE ATTIVA
3. SUPPORTI
SUPPORTO
PREPARAZIONE DI CATALIZZATORI
ETEROGENEI
La preparazione di un catalizzatore eterogeneo, cioè il modo in cui si prepara, può giocare
un ruolo importante nella definizione delle sue proprietà. Alcune delle principali operazioni
riguardanti la preparazione di un catalizzatore eterogeneo sono:
1. Precipitazione: la fase attiva, presente come precursore, viene sciolta in un solvente e si
aggiunge il supporto (sottoforma di polvere sottile). A questo punto viene creata una
sospensione del solido nel liquido, contenente la fase attiva, e perturbando il sistema
attraverso un riscaldamento o variazione del pH, si induce la precipitazione dell’ossido
metallico o della fase attiva sulla superficie del catalizzatore.
2. Impregnazione: In tal caso, il supporto viene sempre messo in contatto con una fase
attiva, contenente il suo precursore, e a seconda della quantità di solvente utilizzato, si potrà
avere un “impregnazione a secco” o “impregnazione a umido”. Se l’impregnazione è a
umido, il solido è lasciato a contatto con la soluzione contenente il precursore della fase
attiva; attraverso delle interazioni, poi, la specie attiva interagisce con la superficie del
nostro supporto e al termine della reazione, si avrà un’eliminazione del solvente in eccesso
con conseguente essiccazione del prodotto ottenuto. Mentre, se l’impregnazione è a secco,
allora si utilizzerà una quantità di solvente minima, e quindi il volume della soluzione
contenente il precursore della fase attiva sarà uguale al volume dei pori, ovvero il volume
necessario per riempire tutti i pori.
3. Miscela Fisica: in questo caso, sia il precursore del metallo che il supporto viengono
macinati insieme per ottenere una miscela fisica.
Alla fine di tutti i vari metodi di sintesi, non si ha il catalizzatore finale, ma si ha ancora il
precursore della fase attiva legato in qualche modo al supporto. Per ottenere la fase attiva è
necessario il trattamento termico, l’essicamento e la calcinazione. La calcinazione viene
operata per stabilizzare il catalizzatore eterogeneo ad un certo intervallo di temperature. In
tal modo si potrà prevedere il suo comportamento ad elevate temperature.
- CATALIZZATORI NON SUPPORTATI: Sono catalizzatori
eterogenei attivi che non richiedono un’area specifica elevata.
Ad esempio, abbiamo il catalizzatore a base di ferro per la
sintesi di NH3.
o FATTORE DI EFFICIENZA
Non sempre la velocità di una reazione chimica è governata da una constante cinetica k, che
nel caso lineare, dipenderà dalla concentrazione dei reagenti (reazione chimica superficiale).
Inoltre, η tiene conto delle limitazioni diffusive riducendo la velocità di reazione rispetto a
quello che si avrebbe in superficie.
V=volume
S=superficie
Le proprietà meccaniche dei catalizzatori sono cruciali ai fini della scelta del tipo di reattore.
Per esempio, per i reattori a letto fluidizzato e a letto trascinato, si richiedono particelle
catalitiche di forma sferica, con dimensioni in un intervallo di 30-150 mm. Il vantaggio
della forma sferica rispetto ad altri tipi di forma risiede nella buona resistenza meccanica
all’attrito. Ciò è importante nei letti fluidizzati, dove le particelle devono essere ricircolate
rapidamente tra il reattore e il rigeneratore.
TIPI DI REATTORI PER LA CATALISI ETEROGENEA
I fattori fondamentali che incidono sulla scelta del tipo di reattori per catalizzatori
eterogenei sono:
A. Numero e tipo di fasi coinvolte: G/S, G/L, G/L/S, L/L/S.
Il reattore può essere a letto fisso o a letto mobile, ma quello a letto fisso è il reattore più
comune nei processi.
È costituito da un cilindro in cui è posto il catalizzatore sotto forma di particelle,
impaccate in modo random.
I vantaggi relativi all’uso di un letto fisso sono:
Semplicità nella costruzione.
Alto carico di catalizzatore per unità di volume del reattore, quindi ho la possibilità di
accelerare molto la mia reazione.
I reattori a letto fisso sono: il semplice reattore a letto fisso, il reattore a flusso radiale e
il reattore monolita:
Reattore Monolita:
I reattori monoliti sono reattori strutturati. Essi sono in
ceramica o blocchi di metallo, e presentano dei canali
paralleli ricoperti da catalizzatore.
Si usano per reazioni in fase gas, con basse perdite di
carico e buono scambio termico.
circolante.
A LETTO-FISSO
A LETTO-MOBILE
SCAMBIO TERMICO
Dall’alto entra
l’alimentazione, essa passa attraverso i tubi e tramite fluidi caldi si sopperisce alla richiesta
di calore per reazioni fortemente endotermiche. Nella fornace, invece, il riscaldamento può
avvenire per irraggiamento.
Disattivazione del catalizzatore
La disattivazione, o perdita di attività nel tempo, del catalizzatore eterogeneo è uno degli
aspetti principali che condizionano la scelta del reattore, perché potremmo avere minore
produttività (perché si deve fermare l’impianto, rigenerarlo se possibile e sostituirlo).
La disattivazione può essere:
6. SPORCAMENTO (è temporaneo)
La causa più comune attraverso cui un catalizzatore può essere disattivato è quella
del verificarsi di reazioni secondarie sulla superficie del catalizzatore
(sporcamento). Tra queste reazioni, la più comune è la formazione di coke (C), per
reazioni di condensazione di aromatici.
Si forma prevalentemente in ambiente riducente, a bassa pressione di H 2 e ad alta
temperatura; inoltre, per limitarlo si alimenta idrogeno o acqua.
Ovviamente, la formazione del coke influenza la scelta del reattore, ma un modo per
rigenerare il catalizzatore è proprio bruciare il Coke stesso che viene a prodursi.
7. AVVELENAMENTO (è permanente)
L’avvelenamento si verifica quando delle impurezze nelle materie prime,
interagiscono con i siti attivi del catalizzatore provocandone la diminuzione di
reattività o addirittura inibendoli. In genere, anche piccole quantità di impurezze
(ppm) possono provocare disattivazione per avvelenamento. Esempi:
8. SINTERIZZAZIONE
Viene persa la struttura porosa del catalizzatore, con una diminuzione dell’area
specifica. Può verificarsi quando la temperatura, anche localmente, subisce bruschi
incrementi (HOT SPOT) a causa di maldistribuzione del flusso o altre anomalie.
Le particelle catalitiche tendono a unirsi, fondendosi e diminuendo l’area specifica.
REATTORI CHIMICI IDEALI E CARATTERISTICHE
Quando il parametro è uguale a 0 significa che la reazione non è avvenuta, perché ho ancora
tutto il reagente iniziale A, mentre se è uguale ad 1, allora vuol dire che la reazione è andata
a completezza, perché tutto il reagente A è stato convertito in prodotto.
Equazione di Progetto
Risolvendo l’integrale si arriva all’EQUAZIONE DI PROGETTO:
La soluzione dell’integrale è:
OSS: Si osservi che il secondo membro è positivo poiché il logaritmo è intrinsecamente
negativo (poiché esso ha argomento intrinsecamente minore di 1).
Questo è un classico esempio di relazione biunivoca tempo vs. conversione:
Se xA=0, t=0;
Al crescere di xA, cresce t;
Per raggiungere xA=1, ci vorrebbe un tempo di reazione infinito poiché al
limite di conversione completa la reazione ha velocità nulla.
Da un punto di vista grafico abbiamo:
Quindi possiamo dire che il reattore Batch STR è un reattore che si usa in genere a livello
preindustriale. Ha indubbi vantaggi, proprio perché è versatile.
Inoltre, può essere usato per provare una reazione, per ottenere dati cinetici (ad es. su scala
da laboratorio), e poi, dopo essere stato svuotato e ripulito, può essere riutilizzato per un
altro processo. Si usa spesso cioè per studiare una reazione prima che essa venga portata su
scala industriale, poiché se fosse applicata direttamente su scala industriale, esso soffrirebbe
di problemi di produttività. Infatti, rispetto ai reattori continui, il reattore STR presenta
tempi morti tra un ciclo ed un altro (legati alle operazioni di scarico, pulizia e ricarico per
ogni ciclo); e questi tempi morti influenzano negativamente la produttività.
Reattore PFR (Plug Flow Reactor)
z
z
Ciò significa che, fissato z, se si vuole osservare un valore diverso di concentrazione (e
quindi di un grado di conversione per la ormai famosa relazione rossa) bisogna focalizzarsi
su valori precedenti o successivi di z.
Gli elementi di fluido che si trovano ad un certo valore di z, in altre parole, non si
miscelano né con gli elementi precedenti né con quelli successivi (assenza di diffusione
assiale). Tale fenomeno è anche chiamato “perfetta segregazione assiale” (gli elementi di
fluido lungo l’asse sono segregati e non interagiscono l’un l’altro).
Per completare, diciamo che avere un “flusso a pistone”, significa in aggiunta che, fissato un
valore di z, gli elementi di fluido lungo la coordinata radiale presenteranno tutti le stesse
proprietà intensive e la stessa velocità.
Nel caso del flusso laminare, invece, si osserva un profilo “parabolico” di velocità.
r
parete
z
z
Notiamo che gli elementi di fluido lungo le 2 pareti sono più lenti.
Andiamo a descrivere il BILANCIO DI MATERIA (PFR):
Consideriamo il reattore
PFR con una certa lunghezza
L, da esso scelgo poi un
volume infinitesimo tra
z+dz, il quale rappresenta la
sezione di passaggio del
fluido (S).
Il volume di controllo, intorno a cui fare il bilancio, non può essere l’intero reattore, in
quanto si perderebbero informazioni lungo l’asse z. Proprio perchè le proprietà variano
lungo la coordinata spaziale z, si scriverà un bilancio nel volumetto infinitesimo dV=Sdz,
dove S è l’area della sezione di passaggio del fluido (area del cerchio per reattore
cilindrico).
Tale tempo di residenza viene anche chiamato “tempo-spazio” e rappresenta il tempo che
ciascun elemento di fluido spende all’interno del reattore.
NB: Quindi, visto nell’ottica dell’elemento di fluido e non dell’osservatore esterno (c.d.
“ottica Lagrangiana” in cui l’osservatore si rende solidale all’elemento di fluido
“impersonificandosi” in esso), τ rappresenta il tempo di reazione.
Osservazione: Dunque, le due equazioni di progetto (per STR e PFR) sono del tutto
equivalenti, e identiche saranno le soluzioni e tutti i commenti sviluppati per STR. L’unica
differenza consiste nel fatto che “ciò che nell’STR accade nel tempo, nell’PFR accade nello
spazio”.
Infatti, nel reattore STR le composizioni sono uniformi nello spazio, e per vederle
cambiare bisogna cambiare tempo. Al contrario, nel reattore PFR le composizioni sono
costanti nel tempo, e per vederle cambiare bisogna cambiare coordinata spaziale z.
Una volta compresa a fondo questa analogia, si capirà che il parametro che si ottiene qui (τ)
non è un “tempo”, ma bensì una misura di “quanto tempo” gli elementi di fluido dovranno
vivere nel reattore. Ciò è, ovviamente, a sua volta funzione della grandezza V (volume del
reattore da progettare, noto il valore di Q). Inoltre, tutte le tutte le considerazioni fatte per t
nel caso di STR (quando è nullo, quando cresce, quando è infinito, da cosa dipende ecc.)
valgono ora per τ.
Dunque, fissato Q avremo:
Se xA=0, t=0; V=0 (il reattore non va costruito se si desidera conversione nulla)
Al crescere di xA, cresce t;
Per raggiungere xA=1, ci vorrebbe un tempo di reazione infinito, poiché al limite
di conversione completa la reazione ha velocità nulla; V=grande
Reattore CSTR (Continuous Stirred Tank Reactor): Reattore a tino continuo a perfetta
miscelazione (PM)
Q*CA,
OUT
r A*
V
Il bilancio di materia si scriverà quindi:
Osservazioni:
L’equazione di progetto per il CSTR è algebrica, e non integrale come STR e PFR.
Nel STR le proprietà variano nel tempo, e quindi si osserveranno infiniti valori di
conversione tra inizio e fine del processo. Idem per il reattore PFR (le proprietà
variano nello spazio). Infatti, si è atterrati su equazioni di progetto contenenti un
integrale, perché avere infiniti valori di xA significa che gli elementi di fluido fanno
esperienza di infiniti valori di rA e quindi per considerarli tutti c’è bisogno di un
integrale.
Nel CSTR, invece, ogni parametro intensivo (ad es., conversione) assume uno e
soltanto un valore: quello in uscita. Quindi gli elementi di fluido faranno esperienza
di uno e soltanto un valore di rA: quello in uscita. L’equazione di progetto sarà
quindi algebrica.
Per la Cinetica Lineare, invece, avremo:
Nel caso di cinetiche “tradizionali” (es., leggi di potenza), le condizioni operative per CSTR
possono ritenersi svantaggiose. Infatti, gli elementi di fluido lavoreranno esclusivamente al
valore finale di grado di conversione, quello cioè per cui la concentrazione di A assume il
valore inferiore possibile (e pertanto la velocità di reazione assume il valore inferiore
possibile).
In un reattore a flusso segregato, invece (PFR), gli elementi di fluido fanno esperienza di
tutti i valori di velocità di reazione (tra ingresso e uscita) e quindi “mediamente” reagiranno
a velocità maggiore rispetto al caso CSTR. Ciò comporterà pertanto, a parità di conversione
desiderata, un minor valore per τ (e cioè reattore più piccolo) nel caso PFR.
Quando può convenire il reattore CSTR?
Sicuramente nei casi in cui il sistema reagente ha bisogno di vigorosa miscelazione.
PROCESSI DI SEPARAZIONE E PURIFICAZIONE
(NON SO SE SI DEVE FARE)
Le operazioni di separazione e purificazione, insieme a quelle di arricchimento,
concentrazione, sono di fondamentale importanza per l’industria chimica.
In ogni processo chimico si ha l’esigenza di produrre:
1. Un solo prodotto.
2. Prodotti con caratteristiche differenti rispetto ai reagenti.
3. Prodotti differenti con un certo grado di purezza.
Un processo di separazione o
purificazione può essere visto come l’operazione o la serie di operazioni, mediante la quale
una miscela di sostanze viene trasformata in due o più prodotti che differiscono tra loro per
la composizione.
I metodi più comunemente utilizzati per separare miscele liquide, gassose o gas-liquido
possono essere classificati in base alla stato fisico della miscela da separare.
9. DEGASSAGGIO
Il degassaggio è un metodo utilizzato per separare un gas da un liquido sfruttando la
diminuzione di solubilità dei gas nei liquidi all’aumentare della temperatura e al
diminuire della pressione. Pertanto, il degassaggio potrà essere effettuato
aumentando la T o abbassando la P.
10. DISTILLAZIONE
La distillazione è un metodo per separare due liquidi che hanno punti di ebollizione
diversi e non formano Azeotropi.
11. CONDENSAZIONE
La condensazione si utilizza per separare da una miscela di vapori un componente
che presenta una temperatura di condensazione più alta.
12. RETTIFICA
Una colonna di rettifica, che presenta un'elevata superficie di scambio termico,
permette di condensare e rievaporare ciclicamente porzioni di vapore aventi
concentrazione sempre maggiore del suo componente maggiormente volatile.
15. ESTRAZIONE
Si utilizza un solvente non miscibile con
la miscela da separare, capace di
sciogliere selettivamente uno dei
componenti.
Esempio: CO2.
18. ADSORBIMENTO
Nell’adsorbimento si utilizzano dei solidi. Considerando una miscela fluida,
costituita da più componenti, la separazione avviene facendo passare tale miscela su
un materiale che riesce a trattenere in modo selettivo un componente senza interagire
con gli altri.
20. GPL
Sono propano, butano e le loro miscele, si ricavano dai gas estratti dal pozzo o nei
processi di raffineria. Inoltre, si utilizzano come carburanti.
21. BENZINE
Sono definite tutte le miscele di idrocarburi con punti di ebollizione < 230°C.
Una caratteristica delle benzine è che sono carburanti destinati a motori a ciclo otto,
che rappresentano il diverso potere detonante di un carburante a detonare, quando
impiegati in un motore.
Vengono utilizzate nell’autotrazione, pertanto devono avere un alto potere
antidetonante. Questo viene misurato con il NUMERO DI OTTANO.
22. GASOLI
Sono prodotti destinati ai motori a Diesel.
Si richiede, per questo tipo di carburanti, una buona facilità di accensione che viene
determinata con il Numero di Cetano.
Per convenzione una miscela di cetano [C16H34] ha Numero di Cetano=100.
Per aumentare tale numero possono essere aggiunti idrocarburi volatili (C5-C7) o
etere etilico.
25. PARAFFINE
Sono miscele di idrocarburi ad alto peso molecolare, solidi a temperatura ordinaria, di
aspetto ceroso.
26. BITUME
Il bitume è il residuo del vacuum (distillazione sottovuoto) del greggio.
È utilizzato prevalentemente nella costruzione dei manti stradali.
Tuttavia, è possibile suddividere i processi di raffineria in:
Nei processi termici è il calore la driving force, dunque è grazie al calore se abbiamo lo
sviluppo della reazione chimica. Mentre, come dice stesso il nome, nei processi catalitici è il
catalizzatore il componente essenziale per eseguire una serie di reazioni.
SCHEMA DI UNA MODERNA RAFFINERIA
Processi fisici
Processi catalitici
Processi termici
Ci
troviamo nella sezione del riquadro blu; dunque, il greggio viene prima disidratato e poi
inviato alla distillazione atmosferica, ricavando: GPL, Gas naturale, Benzina, Nafta,
Distillati medi e Frazioni più pesanti che saranno ulteriormente trattati dalla distillazione
sottovuoto.
g r e g g io
acqua d is s a la t o
d i p ro c e s so
a d d it iv i
g r e g g io
acqua
s a la t a
Dopodichè abbiamo
28. Distillazione a P atmosferica (Topping)
La distillazione consente di separare la miscela complessa del greggio in frazioni con
intervalli di distillazione (ebollizione) più stretti.
Le diverse frazioni vengono separate in base alla loro volatilità.
Il greggio viene preriscaldato in una serie di scambiatori, dove in controcorrente sono
alimentati i prodotti della distillazione per recuperare calore. Successivamente, il
greggio passa nella fornace dove le temperature sono 350-360°C. In questa fase, esso
vaporizza ed entra nella colonna di Topping (alta 4 m, 15-30 piatti), in una zona a
circa 1/5-1/4 dal fondo.
La zona di
alimentazione, in cui il greggio viene fatto entrare nella colonna di Topping, è chiamata
“ZONA FLASH”, dunque, il greggio viene inviato al quarto o quinto livello dal fondo
della colonna di Topping ed una volta al suo interno, il greggio vaporizza a causa
dell’espansione, mentre la temperatura diminuisce dai 350° ai 300°C.
La zona flash divide la colonna di frazionamento in due zone: zona di rettifica e zona di
esaurimento. La zona di rettifica è quella situata al di sopra della zona flash, mentre quella
di esaurimento è quella al di sotto.
Ciò che notiamo, è che in basso si genera una corrente di vapore (steam), la quale viene
inviata dal basso della colonna e provoca l’esaurimento totale degli idrocarburi basso
fondenti.
I prodotti che fuoriescono dalla testa della colonna sono: Gas e Vapori di Benzina (la
benzina è ricavata andando a condensare i vapori, ad esempio con acqua).
Inoltre, lateralmente abbiamo dei canali intermedi collegati alla colonna di Topping, che
consento di ottenere anche altri prodotti. Ovvero, la frazione che si ricava dal Topping viene
inviata in una colonna di Stripper, che consente di allontanare altre componenti volatili (le
quali ritornano alla colonna di topping), utilizzando sempre una corrente di vapore (steam),
e portando all’ottenimento del Kerosene.
Idem per quanto riguarda il processo secondario per ottenere il Gasolio.
La limitazione principale del Topping riguarda la temperatura.
Gli idrocarburi non possono essere riscaldati a T>630K per il verificarsi di reazioni di
decomposizione con formazione del coke. Sara necessaria un’altra colonna di distillazione
che lavorerà sottovuoto (VACUUM); dove il residuo del processo di distillazione a P
atmosferica viene ulteriormente lavorato.
30. Deasfaltazione
La tendenza a formare coke nelle frazioni più pesanti può essere ridotta rimuovendo
materiali asfaltenici, attraverso estrazione con solvente.
Viene utilizzato propano liquido (anche butano e pentano), in cui gli idrocarburi
sono solubili.
La carica pesante, residuo del vacuum, viene alimentata dal basso alla torre di
deasfaltazione ed entra in contatto con propano liquido in controcorrente.
Gli alcani presenti si dissolvono nel propano e vengono inviati nella zona alta della
torre, mentre gli asfalteni (cioè composti aromatici molto grandi) no, i quali si
accumulano sul fondo e vengono poi inviati nella zona bassa della torre. [Gli
asfalteni sono i precursori del coke, tanto più è grande la concentrazione di
asfalteni, tanto più le cariche pesanti del processo di raffineria tendono a formare il
coke.]
Il propano evapora per depressurizzazione ed è condensato di nuovo alla colonna;
mentre il rimanente greggio desfaltato è strippato con vapore per rimuovere
propano.
PROCESSI CHIMICI
I processi chimici sono necessari per:
a) Trasformare prodotti di basso valore economico, come residui pesanti in
prodotti maggiormente richiesti dal mercato come nafta o GPL).
b) Migliorare le caratteristiche di alcuni prodotti. Per esempio, la trasformazione
di benzine con basso numero di ottano in prodotti caratterizzati da un numero
di ottano più elevato.
c) Ridurre le impurezze delle frazioni petrolifere sia per limitare i problemi di
inquinamento che avvelenamento di catalizzatori nei diversi processi
petrolchimici. Per esempio l’Hydrotreating (IDROTRATTAMENTO).
È possibile fare la seguente classificazione nell’ambito dei processi chimici:
1. Processi di scissione delle molecole
Cracking termico
Visbreaking (in rosso: processi termici)
Coking
Cracking catalitico
2. Processi di trasformazione strutturale delle molecole senza variazione del peso
molecolare
Reforming catalatico
Deidrogenazione
Ciclizzazione
Isomerizzazione
3. Processi di trasformazione strutturale delle molecole con variazione del peso
molecolare
Oligomerizzazione
Alchilazione
PROCESSI TERMICI
Gli input per questi processi è il residuo del vacuum, che viene inviato al “Visbreaker” e
al “Delayed coker/Flexicoker”; mentre gli output sono: l’asfalto, carburanti industriali,
gli oli lubrificanti ed il coke.
Il processo di cracking prevede la scissione di molecole di idrocarburo con la diminuzione
del peso molecolare medio. La scissione, in questo caso, è promossa dalla temperatura.
Il cracking termico è un importante processo di conversione di idrocarburi, oggi del
tutto superato da quello catalitico.
Fu sviluppato da Burton nel 1910 sopperire alla richiesta di prodotti petroliferi a
basso peso molecolare ed è un processo radicalico a catena.
OSS: La rottura delle catene di idrocarburo è tanto più favorita quanto più lunghe sono le
catene, sia da un punto di vista termodinamico che cinetico.
Da un punto di vista termodinamico, si può osservare che gli idrocarburi sono più instabili
degli elementi; ovvero, ci fa capire qual è la temperatura alla quale tale conversione di un
idrocarburo (da una catena più lunga ad una più corta) è favorita termodinamicamente.
3. STADIO DI TERMINAZIONE
Nello stadio di terminazione, la miscela di radicali mette in comune il radicale
spaiato per accoppiarsi e formare un'unica catena polimerica con un
determinato PM (somma della catena m + n).
Cos’è il VISBREAKING?
Il visbreaking può essere visto come un processo di cracking termico a condizioni più
blande. Esso consente di ottenere una riduzione del peso molecolare delle molecole a
catena lunga, abbassando in questo modo la viscosità e il punto di congelamento
(pour point) del prodotto da utilizzare come lubrificante.
Si utilizzano i residui del vacuum.
Le temperature sono in un range 710-760K.
Tempo di residenza: 1-8 min.
Il residuo del vacuum viene inviato ad una fornace, operando ad una T=730K e P=20bar;
questo definisce la reazione di cracking ed il prodotto principale (80%) viene inviato prima
alla colonna di frazionamento e poi a quella di frazionamento sottovuoto. Il prodotto
principale è il residuo di cracking, il quale presenta una viscosità più bassa rispetto al
residuo di vacuum. In testa alle colonne di frazionamento si ottengono in quantità ridotta
(10%) benzine e prodotti più leggeri.
Delayed Coking
Il “Delayed Coking” può essere visto come un processo di cracking termico con tempi di
residenza più lunghi, e condizioni più severe rispetto al visbreaking. Pertanto, l’obiettivo di
tale processo è la formazione di residui solidi, come coke di petrolio o semplicemente
coke. Questo verrà utilizzato negli impianti di produzione di energia elettrica.
Al Delaved Coking vengono alimentate i residui della distillazione ricchi in metalli (residuo
del vacuum), i quali non possono essere alimentati al cracking catalitico, per problemi di
disattivazione dei catalizzatori.
Il residuo
del vacuum è introdotto nel Coker (alto 25 m e con diametro 4-9m), ad una temperatura di
entrata di 770K e di uscita 710K. Ogni drum (barile) è flussato per 16-24 ore, durante la
quale si riempie di coke. Quando il primo è pieno (dopo alcune ore) , il residuo del vacuum
viene alimentato al secondo barile, mentre si rimuove coke dal primo con getti di acqua ad
alta pressione (in modo da non bloccare mai il processo).
Flexicoking
Questo processo è stato sviluppato dalla EXXON per minimizzare la produzione di COKE.
Vediamo in figura la funzione:
Il residuo del vacuum è alimentato al reattore e va a contatto con un letto caldo fluidizzato
di coke (dove il comportamento di un solido viene considerato come quello di un fluido, e
quindi lo si fa circolare da una zona all’altra dell’impianto con molto più facilita).
Inizialmente avviene il cracking termico, producendo: gas, liquido ed altro coke.
Le particelle di coke sono trasportate in un riscaldatore, il quale è un letto fluidizzato. Tale
riscaldatore serve a trasferire calore dal gasificatore al reattore di cracking. Pertanto, una
parte del coke è ricircolata al reattore e una parte al gasificatore, nel quale il coke è
gasificato per reazione con vapore acqueo/ O2 (in cui si lavora a 1200-1300K).
Il gas che esce fuori dal gasificatore, fluisce attraverso il riscaldatore e viene raccolto
all’uscita del riscaldatore stesso. Viene mandato attraverso il “ciclone”, il quale prevede a
separare le particelle più grandi per effetto della gravità, e poi passa attraverso lo
“scrubber venturi”, che rimuove il coke fine.
Cosa sono gli Scrubbers Venturi?
Gli scrubbers (o torri a pioggia) sono sistemi di depolverazione ad umido, mirati a trattare
correnti gassose cariche di particelle solide più fini (all’incirca inferiori a 100 μm), poiché le
più grossolane vengono in genere separate a monte da sistemi più semplici (ad es., cicloni).
Lo scrubber venturi è caratterizzato dalla presenza di una strozzatura (gola) nella
sezione di passaggio del gas, dove avviene un intimo contatto tra il liquido ed il gas
contenente il solido (che viene addotto dall’alto). In quella strozzatura vengono
generate le gocce d’acqua e il gas raggiunge velocità molto elevate (sino a circa 100
m s-1). L’elevata turbolenza promuove il contatto tra le particelle solide e le gocce di
liquido; inoltre, consente di separare efficientemente le particelle del solido.
Negli scrubbers, vi è la
generazione di gocce di liquido
(in genere, acqua) di dimensioni
intorno ai 100 μm, e la corrente
gassosa in contatto con tali gocce
di acqua cede loro le particelle
solide, che vengono incorporate
(essendo più fini) e poi catturate
per gravità.
PROCESSI CATALITICI
Dopo circa 70 anni di attività, all’inizio del nuovo millennio, il cracking catalitico mantiene
ancora la sua posizione di principale processo di conversione di frazioni pesanti dell’olio in
prodotti più leggeri, soprattutto benzina. Primo vero processo catalitico dell’industria della
raffinazione, il cracking rimane tuttora uno dei processi catalitici più importanti
dell’industria petrolchimica, sia per dimensioni degli impianti sia per quantità di
catalizzatore.
Il suo avvento ha decisamente contribuito alla comprensione dei meccanismi di catalisi
acida, i quali portano alla formazione dei carbocationi, a partire da molecole idrocarburiche.
La driving force del processo catalitico è proprio il catalizzatore. La funzione del
catalizzatore nel cracking catalitico non è quella di accelerare la velocità di reazione, bensì
quella di rendere cineticamente favoriti meccanismi di reazioni diversi da quelli in assenza
di catalizzatore, per ottenere prodotti differenti.
Si tratta quindi di un catalizzatore selettivo, che consente di ottenere prodotti bollenti nel
campo delle benzine, con un’alta capacità antidetonante (alto N.O.). L’alto N.O. delle
benzine da cracking è dovuta alla presenza di una percentuale maggiore di isoparaffine e
aromatici.
Rispetto al suo precursore (ovvero il processo termico di cracking), il cracking catalitico
presenta numerosi vantaggi:
1. miglior resa in benzina (50% in peso rispetto alla carica)
2. maggiore qualità della benzina ottenuta
3. minor produzione di sottoprodotti gassosi, liquidi e solidi (coke).
Processi a valle del Cracking Catalitico
1. Le
olefine strappano un protone da un sito acido di Bronsted del catalizzatore, formando
uno ione carbonio. (più veloce)
2. Le paraffine sono
protonate dal catalizzatore a formare un carbacatione.
Per quanto riguarda la stabilità di questi carbocationi, possiamo dire che i carbocationi
formati sulla superficie del catalizzatore tendono a isomerizzare verso la forma più stabile
(da carbocatione primario a secondario, a terziario); in quest’ultimo stato, il carbonio
recante la carica è legato ad altri tre atomi di carbonio. La probabilità di esistenza di questi
ioni non è random, in quanto:
i. La loro stabilità differisce di molto.
ii. Essi sono interconvertiti (da primario a secondario).
La stabilità diminuisce nell’ordine: Terziari>secondari>primari>etil>metil
Riferendosi a una catena paraffinica, dopo la formazione dello ione carbonio possono
verificarsi più possibilità:
1 Isomerizzazione (esotermica) verso una forma più stabile;
2 β-scissione (endotermica), con rottura del legame C-C in posizione β rispetto
alla carica, con formazione di una olefina e di un carbocatione paraffinico
instabile, che isomerizza successivamente.
+
CH3 CH
CH
+
(-) CH3 CH CH3
Shift di alchile
(-)
CH3 CH2 C idruro
+
(-)
A seconda del tipo di idrocarburo, il decorso complessivo della reazione di cracking porta a
diversi prodotti:
Le olefine si comportano in modo analogo, con la differenza che il loro cracking è molto
più veloce. Tuttavia, esse possono anche oligomerizzare e ciclizzare, contribuendo
(insieme agli aromatici) alla formazione di coke. Il meccanismo di scissione in β comporta
una rottura preferenziale dei legami interni alla molecola; gas non condensabili, come
metano, etano ed etilene, che si formerebbero per rottura dei legami terminali, sono quindi
presenti solo in piccole quantità.
Le olefine che si formano hanno infatti 3 o 4 atomi di carbonio e costituiscono ottime
alimentazioni per i processi a valle.
Il carbocatione terziario è subito convertito in isoalcano, per shift di un idruro ad una
molecola neutra:
La molecola neutra può ritornare a ione dando luogo ad una reazione a catena.
(L’isomerizzazione di alcani lineari può avvenire allo stesso modo.)
Formazione di Coke: Il temine coke indica il materiale che si deposita sul catalizzatore
(durante il processo) e che viene ossidato nella fase di rigenerazione,
producendo l’energia necessaria alle reazioni di cracking. Esso è
costituito da una serie di componenti ad alto contenuto di carbonio
(90%).
Il meccanismo di formazione
del coke è complesso e implica
reazioni di ciclizzazione e
policondensazione a partire da
precursori quali olefine,
diolefine e aromatici.
Catalizzatori: ARGILLE
I primi catalizzatori di cracking furono degli alluminosilicati naturali. Nel 1924, Houdry
scoprì che trattando ad alta temperatura le frazioni pesanti in presenza di certi tipi di argilla
si ottenevano benzine di qualità.
I catalizzatori naturali sono a base di “montmorillonite”, un alluminosilicato la cui
formula è Si8Al4O20(OH)4 nH2O.
Catalizzatori: ZEOLITI
Tra i catalizzatori sintetici vi sono silice-allumina, zeoliti Y (de-cationate o scambiate con
terre rare). Le zeoliti (o setacci molecolari) sono alluminosilicati cristallini, in quali
presentano un abito cristallino con cavità regolari, capaci a seconda dei casi, di ospitare ioni,
atomi o molecole estranee al cristallo.
Il primo catalizzatore da cracking a base di zeoliti fu messo a punto da Mobil nel
1962.
In ogni caso, si ottiene una rete tridimensionale di canali intercomunicanti contenenti delle
cavità (o gabbie) più larghe al loro interno. Inoltre, il diametro dei pori è determinato anche
dal tipo di catione che bilancia le cariche negative della struttura.
Ciò che dobbiamo osservare è che i catalizzatori di cracking sono acidi di Bronsted, capaci
di cedere protoni (H+) alle molecole dei reagenti adsorbiti su di essi. Infatti, è stato mostrato
che il principale responsabile nella catalisi di cracking per questi solidi sia l’acido HAlSiO4.
Quando le zeoliti sono sintetizzate, le cariche negative sono neutralizzate da ioni sodio, che
vengono poi scambiati con ioni ammonio o con ioni di terre rare (Ce3, La3).
Durante la calcinazione, gli ioni ammonio (NH4+) vengono trasformati in ammoniaca e
protoni, i quali creano l’acidità protonica necessaria. Mentre, le terre rare contribuiscono sia
all’acidità di tipo Brönsted sia a quella di tipo Lewis:
OSS: Lo scambio con terre rare conferisce maggior acidità, con un aumento della
conversione. Tuttavia, diminuisce il numero di ottano delle benzine ottenute (si
preferisce la quantità alla qualità!!!)
Per quanto riguarda la stabilità, l’aumento del
rapporto Si/Al comporta: una maggiore stabilità
termica ed una maggiore resistenza al vapore
acqueo. Queste proprietà sono fondamentali per i
catalizzatori di cracking, dato il largo impiego di
vapor d’acqua (stripping durante i passaggi da
reattore a rigeneratore e viceversa) e di elevate
temperature nella rigenerazione.
PRESSIONE
Si opera a pressione atmosferica ed un aumento della pressione fa aumentare le rese
in benzina, in quanto sono sfavorite le deidrogenazioni e fa aumentare il coke.
TEMPO DI RESIDENZA
Alti tempi di residenza favoriscono la formazione di coke.
Tra gli aspetti termodinamici possiamo dire che le reazioni secondarie di condensazione e
polimerizzazione (del resto non volute, ma subite) e le isomerizzazioni sono
ESOTERMICHE. Mentre le tipiche reazioni del cracking (e cioè rottura dei legami
carbonio-carbonio e deidrogenazioni) sono tutte ENDOTERMICHE. Quindi, globalmente,
il processo di cracking catalitico è endotermico.
Per quanto riguarda gli aspetti cinetici, invece, diciamo che un’analisi del processo
dovrebbe tenere in considerazione sia i fenomeni di diffusione dei reagenti e dei prodotti,
sia la graduale diminuzione dell’attività del catalizzatore e sia i sistemi a numero
elevatissimo di componenti non noti, quali sono le frazioni pesanti di petrolio.
PERTANTO, RISULTA COMPLESSA!!
Un metodo più recente per ottenere una rappresentazione cinetica consiste nel raggruppare
le molecole e nel considerare delle ‘pseudoreazioni’ tra gruppi o blocchi (lump) di
componenti.
BILANCIO ENERGETICO
Le reazioni che avvengono nel processo cracking sono complessivamente
endotermiche (400-500°C), mentre la rigenerazione del catalizzatore viene effettuata
per combustione (700°C).
Dal punto di vista industriale si
cerca di supplire Catalizzator
all’endotermicità delle reazioni e fresco
con il calore sensibile del
catalizzatore.
Rigenerat
Cracker
ore
500°C
700°C
(endo)
(eso)
Catalizzator
e esausto
Appesantito dal coke, il catalizzatore esaurito scende verso il fondo del reattore, dove
viene bonificato con vapore e trasportato nel rigeneratore.
L’andamento del processo di reforming di una data naphtha dipende dalla distribuzione in
essa delle diverse classi di idrocarburi PNA.
Nel passaggio attraverso l’unità di reforming:
I composti aromatici non subiscono quasi nessun cambiamento.
I nafteni (precursori degli aromatici) reagiscono rapidamente ed efficacemente
trasformandosi in composti aromatici.
Le paraffine reagiscono più lentamente e con minore selettività.
In questa fase di reforming, però, non vogliamo che si attivino processi di cracking, poiché,
innanzitutto sottraggono molecole necessarie e utili per produrre idrocarburi ramificati (cioè
trasformano la naphtha in molecole gassose, che non vogliamo), e poi, in condizioni molto
drastiche, avviene inevitabilmente la formazione di coke. Dunque, devo ridurre la sua
formazione, perché anche se non induce l’avvelenamento del catalizzatore, può comunque
sporcare la sua superficie e ridurne l’attività.
Lo schema principale delle reazioni del processo di Platforming è il seguente:
Sempre rifacendoci ai catalizzatori bifunzionali, ho i siti attivi, i quali corrispondono al
metallo, e ho anche un supporto (come funzione strutturale del catalizzatore). In tal caso, ho
il Pt come fase attiva, con dei siti deidrogenanti, e poi ho l’allumina come supporto, il
quale può aggiungere i siti acidi di Bronsted e, pertanto, può catalizzare tutte le reazioni che
necessitano di un catalizzatore con un’acidità di Bronsted.
Nel complesso di reazioni possibili per il reforming catalitico, dovremmo far avvenire
reazioni di deidrogenazione dei nafteni (da cicloesani in aromatici) e anche
isomerizzazioni (n-paraffine in isoparaffine). Le reazioni di isomerizzazioni sono
catalizzate da acidi di Bronsted, mentre quelle di deidrogenazione sono catalizzate da
metalli.
ATTENZIONE: in queste condizioni ed in presenza dei siti acidi di Bronsted, sono sempre
attive o possono essere attivate anche le reazioni di cracking catalitico, che non vogliamo
(quindi dobbiamo evitare di condurci nella parte sinistra della figura).
Le principali reazioni da seguire sono:
L’idrogeno generato da queste reazioni non viene smaltito, ma bensì viene riciclato e
mescolato all’ingresso con la carica. Osservando il ΔH r, possiamo notare che, mentre le
reazioni di isomerizzazione sono esotermiche, le reazioni di ciclizzazione e
aromatizzazione sono endotemiche.
Possono avvenire anche altre reazioni oltre queste, ovvero:
1. Hydrocracking:
paraffina 2 paraffine
2. Idro-desolforazione:
composti solforati idrocarburi + H2S
3. Eliminazione di composti azotati:
composti azotati idrocarburi + NH3
4. Eliminazione di composti ossigenati:
composti ossigenati idrocarburi + H2O
Tutte le curve che osserviamo sono delle curve isobare, cioè dei profili di conversione in
funzione della Temperatura a Pressione costante. Ciò che osserviamo è che, per ciascuna
curva isobara, all’aumentare della T aumenta anche la conversione.
Un’altra caratteristica importante da tenere sotto controllo è il rapporto dell’idrogeno con
l’idrocarburo:
L’idrogeno prodotto è ricircolato per
limitare la formazione del coke.
Tuttavia, l’aggiunta di idrogeno ha un
effetto avverso alla conversione.
L’aumento delle temperature comporta anche una maggiore severità delle condizioni
operative e una disattivazione più rapida del catalizzatore.
Basse pressioni operative danno luogo a condizioni più severe, con la conseguente
più rapida disattivazione del catalizzatore.
VELOCITA’ SPAZIALE
La velocità spaziale è il rapporto tra la portata dell’alimentazione e la quantità di
catalizzatore nel reattore. La velocità spaziale influisce sulla temperatura richiesta per
ottenere una data qualità del prodotto desiderato.
RAPPORTO IDROGENO/IDROCARBURI
Il rapporto idrogeno/ idrocarburi, o rapporto H 2 /HC, è la misura delle moli di
idrogeno immesse nel reattore in rapporto alle moli di naphtha dell’alimentazione.
L’idrogeno di riciclo è immesso nei reattori per mantenere la stabilità del
catalizzatore.
CARATTERISTICHE DELL’ALIMENTAZIONE
La carica può essere caratterizzata dalle proporzioni relative di:
1 Paraffine
2 Nafteni
3 Aromatici.
Le reazioni più rapide sono quelle di deidrogenazione dei nafteni. Una carica ricca in
nafteni consente di raggiungere un determinato numero di ottano del prodotto o una
determinata concentrazione di aromatici in condizioni operative meno severe.
Viceversa, una carica povera in nafteni e parallelamente ricca in paraffine richiede
l’adozione di condizioni operative più severe a parità di qualità del prodotto.
ALCHILAZIONE
In generale, l’alchilazione è la reazione tra un iso-paraffina (es. iso-butano) e un’olefina.
Nel processo di alchilazione avviene la reazione tra isobutano e olefine (C3-C5) per formare
alcani più ramificati (Alchilati). Quindi, l’obiettivo è quello di produrre idrocarburi a
più alto N.O. da alcheni con basso peso molecolare (propeni, buteni...).
Uno dei vantaggi dell’alchilazione è l’eliminazione di molecole in fase gas e la
formazione di un prodotto liquido, che è una benzina a più alto N.O.
Dal punto di vista termodinamico, le reazioni di alchilazione decorrono con ΔH° e ΔS° < 0;
ne deriva che sono termodinamicamente favorite a basse temperature, mediamente minori di
200°C. Inoltre, poiché le reazioni decorrono con diminuzione del numero di moli, saranno
favorite da un aumento di pressione. Tuttavia, si opera a bassa pressione per ridurre le
reazioni secondarie.
Data la discreta esotermicità, le reazioni di alchilazione sono condotte in reattori con sistemi
di raffreddamento.
Alchilazione: Meccanismo
Le reazioni di alchilazione decorrono con un “meccanismo ionico a catena”.
La prima reazione è la protonazione dell’olefina, con formazione del carbocatione.
Dopodichè, il carbocatione reagisce con isobutano, per formare un carbocatione
terziario (ciò spiega perchè la reazione decorra solo con le isoparaffine). Nelle
reazioni di propogazione, il carbocatione terziario reagisce con le olefine per dar
luogo alla formazione del prodotto alchilato:
MECCANISMO:
I catalizzatori più utilizzati per questa reazione sono acidi protici come H2SO4, HF e acidi
di Lewis come AlCl3, BF3, in genere insieme ad un co-catalizzatore che può essere presente
11/04/20
in tracce come H2O, HF, CH3OH, con lo scopo di produrre ioni. Mentre, come solidi acidi
si possono utilizzare zeoliti.
È possibile classificare i processi a seconda della fase del catalizzatore:
Alchilazione
Si usano due tipi di catalizzatori acidi liquidi: H2SO4 e HF.
Isobutano + olefina alchilato
Il processo con H2SO4 èacido
Catalizzatori:
il più vecchio. In questo processo la temperatura deve essere
solforico o acido fluoridrico
mantenuta al di sotto di 293 K, per limitare il consumo eccessivo di acido nella reazione di
T <340 K P=4-20 bar
Meccanimso di reazione:
ossidazione-riduzione
formazione con formazioneperdiprotonazione
del carbocatione catrame edell’olefina
SO 2. Infatti,
reazione di questo con l’isobutano per formare il carbocatione
con l’acido solforico la
e successiva
Lo schema di processo con HF è simile a quelli visti con H2SO4. l’unica differenza è
l’installazione di un rigeneratore di HF.
Un altro vantaggio per l’HF è che la reazione di alchilazione può esser condotta a
temperature superiori, in quanto l’acido fluoridrico non è un acido ossidante,
pertanto il processo è condotto a 310K, senza la necessità di raffreddamenti
criogenici. Tuttavia, per entrambi gli acidi sussistono problemi di inquinamento,
sicurezza e corrosione.
L’acido solforico è più sicuro dei due, perchè è liquido a T ambiente, e quindi
eventuali perdite sono più facili da gestire.
Il successo delle zeoliti nella FCC del 1960 indusse i ricercatori a studiare il potenziale di
questi solidi per il processo di alchilazione. Infatti, furono trovati diverse zeoliti e acidi forti
solidi. In questo studio, fu trovato che tutti i solidi perdevano attività e selettività in seguito
alla formazione di depositi carboniosi (coke) per reazioni di polimerizzazione di alcheni.
Fu trovata una soluzione da un punto di vista ingegneristico.
Abbiamo un sistema di reazione e un sistema di rigenerazione, poiché, come già detto,
anche in questo caso possono formarsi dei depositi carboniosi che possono disattivare il
catalizzatore. L’alchene e l’iso-butano reciclato vengono inviati dal basso, avviene la
reazione all’interno del reattore e il tutto viene separato nella sezione di distillazione, che
porta alla fuoriuscita di diversi prodotti, tra cui l’alchilato.
HYDROPROCESSING
ES:
Possiamo notare che nel caso delle benzine, vi è una maggiore concentrazione di mercaptani
e di solfuri; ma scendendo, diminuisce la concentrazione di mercaptani ed aumenta la
concentrazione di benzotiofeni e solfuri pesanti. Infatti, la reattività dei composti solforati
dipende dalla loro struttura e dalle loro dimensioni; questo perché i gruppi sostituenti
adiacenti agli atomi di zolfo, originano impedimenti sterici che rallentano la reazione di
desolforazione, mentre i gruppi alchilici lontani dallo zolfo, la facilitano.
Il trattamento di frazioni pesanti richiede temperature e
pressioni di idrogeno più elevate. Infatti, le condizioni
di reazione prevedono una temperatura di 625-700K.
Il riscaldamento è essenziale perché, quanto più
aumentano i gruppi sostituenti agli atomi di zolfo,
tanto più diminuisce la reattività per impedimenti
sterici, mentre i gruppi alchilici che si ritrovano legati
allo zolfo possono facilitare la reazione di
idrodesolforazione.
Idrodeazotazione
Nelle reazioni di idrodeazotazione vi è l’eliminazione di azoto, principalmente riguardante
le frazioni più altobollenti (a partire dai gasoli) e i residui. L’importanza di questo processo
è aumentata con la tendenza a trattare cariche pesanti e residui.
• Contrariamente a quanto avviene nei
processi di HDS, l’idrogenazione è lo
stadio determinante, in quanto
occorre ‘ liberare’ l’atomo di
carbonio in posizione a rispetto
all’azoto.
• Gli impedimenti sterici dovuti a
sostituenti alchilici presenti sull’
anello o sugli anelli riducono la
reattività e la facilità di deazotazione.
I Catalizzatori
L’esigenza termodinamica di condurre i processi a bassa temperatura, rende necessario il
ricorso a catalizzatori in grado di aumentare la velocità di reazione.
La scelta del catalizzatore dipende da:
1. specifica applicazione (solo idrogenazione, desolforazione, ecc.), tipo di
alimentazione
2. specifiche richieste per il prodotto.
Le combinazioni più comuni di elementi attivi sono costituite dalle coppie cobalto-
molibdeno (Co/Mo), nichel-molibdeno (Ni/Mo) e nichel-tungsteno (Ni/W),
supportate in genere su g-allumina.
I catalizzatori possono essere classificati come segue, in ordine di attività decrescente:
Idrogenazione: Ni/W> Ni/Mo> Co/Mo;
Idrodesolforazione: Co/Mo> Ni/Mo> Ni/W;
Idrodeazotazione: Ni/Mo= Ni/W Co/Mo.
I catalizzatori industriali sono costituiti da solfuri metallici di Co/Mo, Ni/Mo o Ni/W
supportati su un ossido refrattario, in genere allumina (ma anche silice-allumina, zeoliti),
avente una elevata area superficiale, fino a 300 m2 /g e oltre.
I solfuri puri termodinamicamente stabili nelle
condizioni di reazione (circa 320-380 °C e 0,3-0,6
MPa) sono Co9S8 e MoS2.
Nel catalizzatore è stata però identificata una regione
ternaria Co-Mo-S costituita da strutture simili a
quella del disolfuro di molibdeno MoS2, con gli
atomi del promotore disposti ai bordi. Tale regione,
che contiene siti attivi, può avere diverse strutture
oltre che diverse concentrazioni del cobalto.
Sia l’idrogeno che l’H2S, separati mediante flash, contengono quantità più o meno grandi di
idrocarburi leggeri (formati per cracking o presenti in origine); l’idrogeno, inoltre, può
trascinare parte dell’H2S.
Per ridurre il contenuto di idrocarburi, l’idrogeno può essere “lavato” in controcorrente con
una porzione del prodotto desolforato o purificato con altri sistemi.
Nei processi di desolforazione spinta deve essere installato uno stadio di assorbimento
alcalino (con ammina) sul gas di riciclo: le reazioni di desolforazione sono processi di
equilibrio e quindi vengono sfavorite dalla presenza di H 2S, che inoltre, essendo
chemisorbito di preferenza, inibisce l’azione del catalizzatore.
È necessario avere la massima concentrazione di idrogeno anche nella corrente di reintegro,
inserendo, per esempio, una purificazione mediante Pressure Swing Adsorption (PSA).
Abbiamo due assorbitori alcalini (ad alta e bassa pressione), dunque vengono svolti due
lavaggi alcalini, uno sull’idrogeno e uno sulla carica in uscita. La carica viene ulteriormente
lavata e, in testa, si recupera H 2S, il quale viene inviato al processo Claus per ottenere lo
zolfo.
Che tipo di reattore troviamo in tale processo?
Si usano normalmente reattori a letto fisso e
flusso verticale, con uno o più letti di
catalizzatore, aventi dimensioni variabili da
poche decine a poche centinaia di metri cubici.
La soluzione a due o più letti è richiesta
quando l’alimentazione contiene composti
insaturi e per desolforazioni spinte di
frazioni pesanti.
Un controllo migliore della T può essere
ottenuto tramite quench intermedio con
idrogeno freddo. (ricordiamo che le
reazioni sono globalmente esotermiche),
abbassando contemporaneamente la
pressione parziale dell’H2S prodotto dalla
reazione.
Le biglie di alluminio favoriscono il contatto tra i reagenti.
Talvolta, proprio nel processo di deidrosolforazione, si ha un esempio del reattore
“trickling flow”, ovvero, con alimentazioni più pesanti la vaporizzazione è parziale e nel
reattore si realizza un sistema trifasico solido-liquido-gas (trickling flow).
In questo caso deve essere assicurata una perfetta distribuzione della fase liquida e gassosa,
nonché un completo bagnamento dei granuli di catalizzatore; quindi, assume grande
importanza la relativa velocità dei flussi gassoso e liquido.
Le regioni asciutte potrebbero esibire velocità più alte, comportando un aumento della
conversione e la formazione di coke.
La severità delle condizioni dipende dall’alimentazione.
Inoltre, per compensare la disattivazione del catalizzatore si aumentano le
temperature del reattore.
HYDROCRACKING
L’hydrocracking è un processo di cracking catalitico in presenza di idrogeno, che
consente di trasformare una frazione di greggio in prodotti più leggeri. Ciò lo distingue dal
processo FCC, dove non si alimenta idrogeno, e dal processo di hydrotreating, dove non si
ha la rottura del legame C-C.
Nel processo di hydrocracking, oli pesanti, e derivati dal vacuum sono convertiti in
prodotti leggeri come nafta, kerosene e diesel.
La domanda crescente di carburante per trasporti, specialmente il diesel, ha
contribuito notevolmente al suo sviluppo.
Lo scopo del processo di hydrocracking è la produzione di nafta e di distillati medi,
combustibili per jet (jetfuel) e diesel.
Inoltre, l’hydrocracking è un processo che ammette un’ampia gamma di cariche e fornisce
una grande varietà di prodotti. Esso è un processo “eco-friendly”, poiché elimina dai
combustibili quei composti che altrimenti diffonderebbero nell’atmosfera sotto forma di
ossidi di zolfo e di azoto. Oltre all’hydrocracking dei combustibili, esiste un’altra
applicazione di questa tecnologia, ovvero l’hydrocracking dei residui, per la produzione di
oli combustibili a basso contenuto di zolfo e di cariche per FCC.
Qualità tipiche dei prodotti dell’hydrocracking:
Produzione di combustibili e
di oli lubrificanti di qualità.
Hydrocracking del residuo del VACUUM.
CATALIZZATORI E PROCESSI
Le reazioni di idrogenazione, deidrogenazione e rimozione di eteroatomi (1, 2, 3, 4)
richiedono un catalizzatore di idrogenazione, mentre le reazioni di cracking procedono
attraverso uno ione carbenio, pertanto un catalizzatore acido.
Pertanto, i catalizzatori saranno costituti da un supporto che ha un ruolo di catalizzatore
acido, come per esempio silicoalluminati, e metalli come: platino, cobalto, nichel, ossido di
W, Co e Mo, che hanno un ruolo idrogenante.
PROCESSO IN SERIE
Il prodotto in uscita dal reattore di hydrotreating è
alimentato direttamente al reattore di
hydrocracking, senza la separazione di NH3 e H2S
Pertanto, il catalizzatore nel reattore HT opera in
condizioni ricche in ammoniaca, comportando una
bassa attività.
PETROLCHIMICA DI BASE
L’utilizzo di specie come gas naturali (metano, etano, propano) e di petrolio, consento di
ottenere prodotti ed intermedi importanti, i quali prendono il nome di prodotti
petrolchimici di base, poiché sono utilizzati anche per ottenere altri composti fondamentali
attraverso processi di “Steam Cracking” o “Reforming catalitico” o “Steam reforming”. Ad
esempio, possiamo avere i gas di sintesi, dai quali si ricava l’ammonio, oppure CO, CO2,
H2, dai quali si ricava il Metanolo.
Methane
Ethane
Propane Ethylene
Steam Propylene
Cracking
Butadiene
Naphtha
Per poter avere alte conversioni in idrocarburi gassosi, occorre operare a temperature più
alte di quelle che si hanno nei cracking di produzione di benzine; in queste condizioni è
facile avere una produzione eccessiva di carbone. La scelta delle condizioni operative, in
funzione delle caratteristiche della carica che si vuole usare, e in funzione della resa nelle
varie olefine, consente di limitare la formazione di carbone. Tali condizioni di processo
sono strettamente dipendenti dagli aspetti termodinamici e cinetici della reazione.
STEAM CRACKING
ASPETTI TERMODINAMICI:
I prodotti desiderati sono: etilene, propilene e butadiene.
Lo steam cracking di alcani leggeri risulta nella reazione di deidrogenazione di alcani a
formare alcheni ed idrogeno. Le reazioni di deidrogenazione di etano, propano e butano
sono le seguenti:
Tutte le reazioni sono endotermiche (ΔH>0) e avvengono con l’aumento del numero di
moli. Pertanto, dal punto di vista termodinamico, conversioni di equilibrio più alte sono
ottenute ad alte T e basse pressioni parziali degli idrocarburi.
In realtà, il meccanismo è
molto più complesso di così,
poiché si possono formare
anche idrocarburi pesanti
per reazioni tra due radicali. I
prodotti di cracking primario
possono essere soggetti ad
ulteriori reazioni di cracking,
dando luogo a cracking
secondario, deidrogenazione
e condensazione.
ASPETTI CINETICI
La velocità di reazione di alcani segue una legge cinetica del primo ordine; ciò implica che
la velocità di reazione aumenta con la pressione parziale degli idrocarburi reagenti.
Tuttavia, pressioni parziali alte potrebbero portare a reazioni secondarie con formazione di
coke. Quindi le pressioni parziali sono mantenute basse, con basse conversioni dei reagenti.
Poiché del primo ordine, le constanti
cinetiche aumentano all’aumentare
del peso molecolare dell’idrocarburo
e al diminuire delle ramificazioni.
Significa che l’etano ha reattività più
bassa a parità di T.
Lo steam cracking porta alla produzione di una miscela complessa. Pertanto, sono cruciali le
condizioni operative per avere una distribuzione di prodotti ottimale. (ammontare di etilene
più alto possibile).
La composizione della nafta, espressa come percentuali di alcani, nafteni ed
aromatici presenti, ha un notevole effetto sulla resa di cracking.
PROCESSI INDUSTRIALI
I processi industriali di cracking si differenziano fra loro principalmente per i particolari
costruttivi del forno di pirolisi, per il sistema di recupero e purificazione della miscela di gas
prodotta.
Lo schema principale del processo comporta impianti suddivisi in tre distinte sezioni:
1. Pirolisi (la quale ci dice che già sta avvenendo il processo di steam cracking)
2. Quench (relativo al raffreddamento, poiché dobbiamo disattivare le reazioni
secondarie che rovinano la miscela di prodotti)
3. Rettifica (in cui possiamo separare la miscela complessa di prodotti e
selezionare quelli di interesse)
Lo schema è il seguente:
SEZIONE DI PIROLISI
La sezione di pirolisi,
data l’alta temperatura,
richiede un’accurata
scelta dei materiali, i
quali devono essere
resistenti a condizioni
così drastiche. Inoltre,
dati i brevi tempi di
contatto, si richiede un
buon scambio di calore
attraverso le pareti dei
tubi in cui passa la
carica; dunque, devo evitare la formazione del coke, poiché, se si formasse,
comprometterebbe lo scambio termico e non avrei più la reazione desiderata.
I tubi di cracking sono in unico piano, dove al centro c’è la fornace. Essi possono variare in
diametro (20-200 mm) e lunghezza (10-100 m).
SEZIONE DI QUENCH
I gas di cracking, nella zona radiante, sono a 1070K, pertanto devono essere raffreddati
tempestivamente per prevenire le reazioni secondarie. Il raffreddamento può essere diretto
o indiretto.
Il quench diretto prevede
l’iniezione di uno spry liquido, di
solido acqua oppure olio, con un
raffreddamento molto veloce.
Il quench indiretto prevede uno
scambiatore di calore (Transfer-
line exchanger TLE), che ha il
vantaggio di produrre vapore ad
alta pressione.
SEZIONE DI RETTIFICA
Dopo il quench, la corrente dei prodotti è compressa con una serie di compressori a stadi.
Prima dell’ultimo stadio, vi è la rimozione di gas acidi. Dopo la compressione si elimina
acqua e si va ad essiccare con zeoliti.
I diversi prodotti di cracking sono separati per distillazione criogenica (T<273K) e
distillazione convenzionale.
Gas di Sintesi o Syngas
I gas di sintesi sono miscele gassose di CO+H2 che sono utilizzate in molte sintesi
chimiche, fra le quali: quelle del metanolo, dell’ammoniaca e delle aldeidi per
idroformilazioni. Il Syngas può essere prodotto per:
1. Steam Reforming (con vapore) di idrocarburi gassosi (gas naturale), GPL o
liquidi vaporizzabili (frazioni petrolifere vaporizzabili);
2. Ossidazione Parziale con ossigeno o vapore di idrocarburi saturi gassosi o
liquidi: Processo autotermico;
3. Ossidazione parziale del carbone con vapore (gassificazione).
STEAM REFORMING
Cosa vuol dire “Steam Reforming”?
Il termine Steam Reforming è utilizzato per descrivere la reazione di idrocarburi con vapore,
in presenza di un catalizzatore. Lo Steam Refoming non deve essere confuso con il
Reforming catalitico, il quale serve ad aumentare il Numero di Ottano delle benzine e
produrre aromatici.
• Lo steam reforming è utilizzato anche, spesso in combinazione con diversi processi
di ossidazione parziale con ossigeno o aria, per la produzione dei gas di sintesi per
ammoniaca, metanolo e altri prodotti petrolchimici.
Negli ultimi anni, lo steam reforming è stato proposto come processo per convertire una
carica primaria in un gas idoneo per le celle a combustibile (fuel cell). Nelle applicazioni su
vasta scala, quali la produzione di gas di sintesi per ammoniaca, metanolo, ecc., o per la
sintesi FT, la tecnologia più efficiente non è quella basata esclusivamente sullo steam
reforming, ma bensì sull’ossidazione parziale.
ASPETTI TERMODINAMICI
I processi di Reforming con vapore, per la produzione di gas di sintesi, utilizzano gas
naturale (metano, o miscele etano-propano) o GPL, combustibili liquidi fino alla nafta. Le
principali reazioni sono (considerando il metano):
La reazione che vogliamo essenzialmente favorire è la prima (reforming), poiché produce
una grande quantità di CO e H2, ovvero una grande quantità di gas di sintesi. Mentre, le
reazioni che voglio limitare sono quelle di shift e di Boudouard, le quali sottraggono CO
ottenuto dal processo di reforming del metano.
Osservando il ΔH delle reazioni, notiamo che la prima è una reazione endotermica di
equilibrio, mentre le altre due sono esotermiche. Dunque, devo tener conto di tale
caratteristica se voglio favorire reazioni rispetto ad altre.
[1] produce l’espansione del gas e necessita di condizioni di alta T e bassa P, per
raggiungere alti livelli di conversione all’equilibrio. Per ottenere alte conversioni, ad alte P,
è necessario utilizzare un alto rapporto vapore/metano nella carica.
[2] vi è reforming con CO2, che riduce il rapporto H2/CO nel gas prodotto, che può essere a
volte conveniente, soprattutto quando si ha disponibile una fonte di biossido di carbonio a
basso costo.
[3] conversione del CO a biossido di carbonio, conversione del gas d’acqua, o, reazione di
shift, è generalmente veloce e può essere considerata all’equilibrio nella maggior parte delle
condizioni. (bisogna limitarla)
La reazione (1) avviene con aumento del numero di moli ed è endotermica, pertanto sarà
favorita da alte temperature, basse pressioni ed alti valori di vapore/idrocarburo.
Sarà necessario fornire calore dall’esterno mediante scambio termico. Ma si dovrebbe
operare per T>900-1000°C, pertanto le pareti dovrebbero essere resistenti ai 1100-1300°C.
Quindi, nella pratica industriale, si utilizza un catalizzatore e si opera per T= 700-1100°C.
Dal grafico notiamo che, mentre l’H2 e il CO aumentano durante il corso della reazione, la
CO2, invece, raggiunge un picco e poi scende a zero. Questa caratteristica è dovuta alla
reazione di shift di gas d’acqua, che sottrae CO dalla reazione facendolo reagire con H 2O e
portando alla formazione di altro CO ed altro H2. (reazione 2)
In presenza di catalizzatore diventano importanti le reazioni:
Il carbonio che si forma può depositarsi sul catalizzatore, disattivandolo. Quindi, devo
pormi nelle condizioni che possano evitare tali situazioni svantaggiose dal punto di vista
reattivo. Per evitare la formazione del carbone, si può:
Ridurre la pressione.
Aumentare la temperatura. (la reazione di Boudouard è una reazione
esotermica, quindi se mi metto in condizioni di elevate temperature vado a
sfavorirla)
Aumentare il rapporto vapore/idrocarburo.
Il catalizzatore
Il catalizzatore più usato per il reforming di idrocarburi è costituito da nickel supportato su
allumina, spinello di magnesio-allumina oppure ossido di zirconio.
La perdita di attività dei catalizzatori nei reattori di reforming può avere diverse origini:
1. La sinterizzazione, con la perdita di area superficiale delle specie attive. Essa
consiste nella migrazione e nella coalescenza delle particelle di nichel sulla
superficie del supporto. È favorita dall’ alta temperatura e alta pressione
parziale del vapore.
2. L’avvelenamento da zolfo, che consiste nella conversione di tutti i composti
solforati in H2S, che viene chemisorbito sulla superficie del nichel. Esso si
manifesta come un avvelenamento dell’involucro esterno, dovuto ai limiti
della diffusione nei pori.
Il contenuto di CO ed H2
all’equilibrio, aumenta con la
temperatura, in quanto la
reazione di reforming è
endotermica.
Un reattore di reforming può contenere fino a mille tubi di acciaio ad alta lega, riempiti di
catalizzatore. In genere, il diametro esterno è di 100-180 mm, lo spessore della parete del
tubo è di 8-20 mm, e la lunghezza del tratto riscaldato può essere di 10-14 m. Il gas di
alimentazione è distribuito ai singoli tubi del reattore di reforming dalla testata di ingresso
mediante connettori a spirale (detti pigtail).
La sommità del tubo di reforming è connessa a un raccordo di ingresso a U (o a forcella,
hairpin) disegnato in modo da assorbire l'espansione termica del tubo catalitico e quella
della testata. Grazie alla sua flessibilità, questo raccordo può essere facilmente spostato
lateralmente per consentire il libero accesso ai tubi catalitici durante le operazioni di carico
e scarico del catalizzatore.
Un reattore di reforming a scambio termico è un reattore di steam reforming in cui, il calore
richiesto per la reazione, è fornito in massima parte mediante scambio di calore per
convezione. Il calore può essere ceduto da un gas di combustione o da un gas di processo o
anche, in linea teorica, da qualunque altro gas sufficientemente caldo disponibile.
GASSIFICAZIONE
La gassificazione converte qualsiasi materiale carbonioso in syngas, che può essere
utilizzato come combustibile per generare energia elettrica, oppure come base per un gran
numero di prodotti nell’industria petrolchimica e in raffineria. Inoltre, la gassificazione
valorizza materiali a valore basso, convertendoli in prodotti gassosi con potere calorifico
utilizzabile e/o prodotti commerciabili.
La tecnologia dominante è l’ossidazione parziale, che produce un gas di sintesi costituito
da monossido di carbonio e idrogeno in vari rapporti, la cui somma è generalmente più
dell’85% in volume sul totale, e quantità minori di biossido di carbonio (CO2) e metano
(CH4).
L’ossidazione parziale può essere applicata ad alimentazioni solide, liquide o gassose, come
carbone, residui di raffineria, gas, coke di petrolio, biomasse e altri materiali altrimenti
considerati scarti o rifiuti. L’alimentazione in carica al gassificatore reagisce con ossigeno di
purezza tipicamente tra il 95 e il 99% in volume (o con aria) e/o vapore acqueo, ad alta
temperatura e pressione variabile, in difetto di ossigeno. Il difetto di ossigeno giustifica
l’espressione di ‘ossidazione parziale’.
Le prime due reazioni con carbone sono endotermiche, mentre le altre sono esotermiche.
Quindi per poter essere condotto in modalità autotermica, una parte di C, H 2 e CO (specie
combustibili) viene «sacrificata», bruciando tali specie in presenza di O2 (in difetto).
Perché si lavora in difetto di ossigeno?
PIROLISI
Il carbone è una complessa miscela di composti organici e minerali.
Quando è riscaldato (intorno 1000-2000K), avvengono diverse reazioni di cracking;
dunque, il materiale organico fonde, mentre i gas sono rilasciati. Dopodichè, un
ulteriore riscaldamento trasforma la massa organica in materiale poroso detto “char”.
Questo processo è detto pirolisi.
Quando sono
presenti gas reattivi
come ossigeno,
avviene la
combustione del
carbone. La
miscela dei prodotti
non è complessa,
ma è
essenzialmente
bruciata.
Nella gassificazione del
carbone, si lavora in
difetto di ossigeno, ovvero
in un ambiente riducente.
entalpia.
Tecnologie di gassificazione
Esistono diversi processi di gassificazione e tra i principali processi, troviamo tre differenti
tipi di reattori:
1. Letto mobile
2. Letto fluidizzato
3. Gassificatori a flusso trascinato.
La gassificazione può essere condotta in impianti in pressione (dell’ordine di 10 bar), per
ragioni di successivo utilizzo del syngas. Inoltre, le cinetiche di gassificazione non sono così
rapide come quelle di combustione, quindi il processo viene favorito lavorando a
temperature molto alte (sino anche a circa 1600°C), e con particelle solide particolarmente
fini (ordine 10-100 μm).
Inoltre, le alte temperature in gioco, determinano la parziale fusione del combustibile
(anche detto «slag», con particolare riferimento alle sue ceneri), che ostacolerebbe
condizioni di corretta fluidizzazione. Pertanto, oggi, vengono maggiormente utilizzati
gassificatori a flusso trascinato («entrained flow gasifier», EFG), dove il solido è
trascinato dal gas e le due fasi presentano all’incirca lo stesso tempo di residenza (ordine 10
s).
GASSIFICATORE A FLUSSO
TRASCINATO
Il gassificatore Kopper-Totzek è un sistema plug-glow, in cui le particelle di carbone
reagiscono in equicorrente con vapore ed ossigeno, a P atmosferica. Il tempo di residenza è
di pochi secondi.
Si opera a T elevate per massimizzare la conversione. Inoltre, si formano prevalentemente
CO e H2. Le ceneri sono rimosse come slag.
SINTESI DELL’AMMONIACA
La sintesi dell’ammoniaca (NH3), a partire da azoto ed idrogeno, rappresenta uno dei
processi industriali più importanti e studiati, se si considera che l’NH 3 è una materia prima
di base per la preparazione della maggior parte di fertilizzanti (85%).
Lo sviluppo di nuovi processi si rese impellente intorno al XIX secolo, per soddisfare
la crescente richiesta di composti azotati, per risolvere il problema del fabbisogno
alimentare e agricolo della popolazione mondiale in crescita in quegli anni.
Una via possibile per ottenere i nitrati è costituita dall’ossidazione dell’ammoniaca ad
acido nitrico e successiva reazione con idrossidi o carbonati di metalli alcalini.
L’ammoniaca si otteneva come sottoprodotto della distillazione del carbone. La sua
produzione per questa via era però sicuramente non sufficiente. Dunque, si ebbe un’idea
iniziale: Utilizzare due materie prime a basso costo, l’azoto (componente principale
dell’aria, 78%) e l’idrogeno (ottenuto dalla gassificazione del carbone).
MA COME FARLI REAGIRE?
Oltre a un problema energetico, si devono tenere conto anche delle restrizioni
termodinamiche per ottenere NH3 dalla reazione.
Haber trovò che, a 1290K, la frazione di ammoniaca presente all’equilibrio in una miscela
N2, H2 e NH3 (N2:H2=1:3) era solo 0.01%. Quindi gli esperti, compreso Haber, si convinsero
che la sintesi industriale basata su N 2 non era possibile. Tuttavia, furono due tedeschi, il
chimico fisico Fritz Haber e un tecnologo dell’azienda “BASF” Bosch, a risolvere il
problema. Bosch organizzò al meglio tutte le risorse di ricerca della BASF: si avvalse
dell’aiuto di Mittach, uno dei maggiori esperti di catalisi.
Haber mise a punto un processo catalitico di sintesi dell’ammonica da azoto ed idrogeno che
prevedeva:
Alte temperature (670-870K);
Alta pressione >100bar
Un catalizzatore a base di ferro selettivo
Conversione dei reagenti non completa (introduzione del ricircolo sotto pressione).
Mentre Bosch sviluppò l’apparecchiatura e i metodi di produzione su larga scala.
È una reazione esotermica che decorre con diminuzione del numero di moli.
La reazione risulta favorita, da un punto di vista termodinamico, solo al di sotto di
455K.
A causa dell’elevata stabilità di N 2, è richiesta una energia di attivazione tanto elevata
da non permettere velocità significative a temperature compatibili con l’equilibrio
termodinamico. Dunque, è necessario l’uso di un catalizzatore per aumentare la
velocità di reazione.
Purtroppo, tutti i catalizzatori attivi per queste reazioni operano a 600-700K,
temperature a cui la reazione è
sfavorita, pertanto si opera ad alta
pressione.
Percentuale di ammoniaca
all’equilibrio in funzione di T e P
Le condizioni operative, in cui operano gli impianti di sintesi di ammoniaca, ricadono
all’interno del riquadro grigio, cioè con una T di ingresso nel reattore a 675K, mentre
quella di uscita è a 720-770 K, e con un range di pressione tra 100-250 bar.
alimen
tazion
e
riciclo
reazione
separazione
spurgo
NH3
Nella separazione, alcuni componenti vengono riciclati e inviati di nuovo al reattore, inoltre,
vengono individuati anche gli elementi dello spurgo (metano o argon), i quali potrebbero
accumularsi e dare problemi durante la reazione.
I reattori con il flusso radiale hanno il vantaggio di limitare le perdite di carico (perdite di
carico basse), quindi permettono di utilizzare catalizzatori con particelle di dimensioni
molto piccole e perciò più attivi sia per la maggiore area superficiale, che per la minore
influenza dei fenomeni diffusivi sulla velocità di reazione.
Reattori a raffreddamento indiretto
I reattori Kellog sono simili ai reattori ICI, solo che in tal caso vi sono diversi letti catalitici;
inoltre, anche in questi reattori non ritroviamo gli scambiatori di calore, ma bensì, delle
sezioni dove viene inviato il gas freddo (quench). Nella figura a destra troviamo un reattore
Kellog a flusso radiale.
Reattori TOPSOE (Quench reactor)
Caratteristiche analoghe a quelli visti
precedentemente, inoltre, anche tale
reattore è a flusso radiale.
Tale reazione è fortemente esotermica e molto rapida. Oltre a tali reazioni, possono
avvenire reazioni secondarie che conducono alla formazione di azoto, come ad esempio:
Dunque, anche bruciando ammoniaca con O2, non si ha la formazione di NO, ma bensì di
NO2 e quindi di un prodotto che essenzialmente non serve a nulla. E anche questa reazione
risulta essere molto esotermica, quindi non possiamo utilizzare la temperatura per
prediligere una delle due reazioni.
Da un punto di vista termodinamico, consideriamo la variazione di energia di Gibbs in
funzione di T:
Si vede come la formazione di N2 sia favorita dal punto di vista termodinamico, e rimane
tale anche lavorando ad alta Pressione. Pertanto, se si vuole ottenere NO, bisognerà influire
sulla cinetica del processo, impiegando opportuni catalizzatori selettivi ed operando tempi
di residenza molto bassi (0.0001-0.001s) ad alta temperatura.
Il catalizzatore migliore per l’ossidazione di NH 3 a NO, si basa su platino metallico legato
con rodio. Esso viene impiegato sotto forma di reti costituite da fili sottilissimi, del
diametro di alcuni centesimi di millimetro. L’aggiunta del rodio migliora l’efficienza del
catalizzatore, anche se aggiunto in rilevante percentuale non ha più effetto. La resa in NO
aumenta all’aumentare della velocità lineare dei gas e quindi dei tempi di residenza (o
contatto).
Sono importanti le perdite di carico nell’attraversamento del pacco di reti del catalizzatore.
È stato visto che i fenomeni diffusivi sono limitanti.
La superficie catalitica cambia durante la reazione: all’inizio, l’attività è bassa ed aumenta
durante i primi istanti di reazione, contemporaneamente la superficie catalitica passa da
liscia e lucente, ad opaca e rugosa. Dopo questo periodo di attivazione, che può essere
spiegato in termini di aumento dell’area superficiale specifica, incomincia il declino della
sua attività. Dopo un certo tempo, le reti vengono ripulite e si recupera rodio e platino.
Questo fenomeno è accompagnato anche da perdite di catalizzatore, dovute a fenomeni di
erosione meccanica, data l’elevata velocità dei gas, e alla volatilizzazione del platino.
2. OSSIDAZIONE DI NO A NO2
La reazione di ossidazione dell’NO ad NO2 è una reazione non catalizzata:
(ricordare)
La cinetica di questa reazione riveste particolare importanza perché è un esempio
inconsueto di reazione favorita, anche cineticamente, alle basse temperature. In alte parole,
la velocità diminuisce con la temperatura. Sono state generate due ipotesi:
La reazione procede con urto trimolecolare.
La reazione procede con la formazione di un complesso intermedio, la cui
concentrazione aumenti al diminuire della T.
La bassa temperatura favorisce la reazione sia dal punto di vista termodinamico che
cinetico.
3. ASSORBIMENTO DI NO2
L’ultimo stadio è l’assorbimento dell’NO2 in acqua:
È una reazione piuttosto complessa, dato che possono avvenire diverse reazioni sia in fase
gas che in fase liquida. Una particolarità è che, oltre al prodotto desiderato, HNO 3, si
riforma anche un’aliquota di NO che era un reagente.
Dato che la reazione di assorbimento avviene in fase liquida, mentre l’ossidazione di
NO avviene in fase gas, i fenomeni di trasferimento di materia giocano un ruolo
fondamentale. Inoltre, la reazione di assorbimento avviene ad alte pressioni.
Nel caso del processo a doppia pressione, la principale variazione consiste nell’aggiunta di
un compressore tra il reattore di ossidazione dell’ammoniaca e la colonna di assorbimento.
Un’altra differenza importante è la modalità di abbattimento degli NOx mediante
assorbimento migliorato (“extended absorption”).
Il processo, sviluppato inizialmente in Giappone negli anni ‘70, utilizza temperature di 520-
570K (variabile primaria del processo, da controllare in un range di + o – 30K) e si adopera
un eccesso di ossigeno, il quale favorisce la reazione.
Dato che le prime due reazioni richiedono ossigeno, viene utilizzata l’aria come agente
ossidante. L’ossigeno viene impiegato in leggero eccesso, perché presenta il vantaggio di
effettuare una conversione completa dello zolfo.
Tuttavia, la reazione più studiata, sia da un punto di vista accademico che di ricerca, è quella
di ossidazione catalitica da SO2 a SO3:
Tale reazione è
esotermica, reversibile e con diminuzione del numero di moli. Dal punto di vista
termodinamico, sarà favorita dalle basse temperature e dall’alta pressione. Infatti, di seguito,
in figura notiamo l’influenza della temperatura sulla conversione di equilibrio di SO 2:
Ciò che si osserva è che l’ossidazione è termodinamicamente favorita a bassa temperatura.
Inoltre, ha una conversione quasi completa al di sotto di 700K circa. Pertanto, sarà
necessario un compromesso tra la bassa T e la cinetica.
ASPETTO CINETICO
La conversione di SO2 decorre con diminuzione del numero di moli, per cui un aumento di
pressione sposta l’equilibrio verso SO3. Ciò nonostante, non si opera sotto pressione per le
seguenti ragioni:
Tra i 670-700 k la resa è già praticamente unitaria.
Sono attivi catalizzatori in questo intervallo di temperature.
Si utilizzano catalizzatori a base di V 2O5 promosso con potassio o relativo ossido.
Quest’ultimo nelle condizioni di reazione forma un pirosolfato di K fuso contenete gli ossidi
di vanadio, distribuito nei pori del supporto (SiO2). E’ stata proposta l’esistenza di una
catalisi liquida.
Nel reattore, la SO2 deve essere convertita totalmente (99.7%) non solo per ragioni
impiantistiche, ma anche ambientali. Il reattore è di tipo adiabatico a letto fisso, con strati
catalitici alternati
con raffreddamento.
O2 8.5% mol
N2 80% mol
Processo a doppio assorbimento
L’aria essiccata e lo zolfo fuso (atomizzato, 410-425 K) vengono introdotti ad una estremità
del bruciatore dello zolfo, che consiste in una camera di combustione. Il calore di
combustione è usato per generare vapore ad alta pressione e i gas uscenti dal bruciatore
vengono raffreddati a 690K, prima di essere alimentati al primo strato catalitico. Dopodichè,
i gas uscenti dal terzo strato catalitico, vengono inviati ad una prima torre di assorbimento,
dove l’SO3 prodotta viene assorbita in una corrente circolante di acido solforico. Tale
corrente gassosa uscente dalla prima torre, viene inviata al quarto ed ultimo strato catalitico,
per completare la conversione dell’SO2 residua.
L’uscita del reattore di conversione catalitica viene inviata ad una seconda colonna di
assorbimento, la quale trasforma l’ultima aliquota di SO3 in H2SO4.
Dallo schema si notano molti scambiatori detti “economizer”, in quanto recuperano calore
producendo vapore (1.3 t vapore per t di H2SO4).
BIORAFFINERIE
La biomassa è la più antica fonte di energia e attualmente fornisce circa il 10% del
fabbisogno energetico totale. Inoltre, essa ha una struttura altamente funzionalizzata e
contiene una grande quantità di ossigeno, in netto contrasto con il petrolio greggio. Simile al
petrolio greggio, però, la biomassa può essere ed è lavorata in diversi modi.
BIOBUTANOLO
Vi è un crescente interesse per l'uso del biobutanolo come carburante per i trasporti. Tra le
caratteristiche del butanolo, vi è la tolleranza migliore per la contaminazione dell'acqua,
cioè è meno corrosivo dell'etanolo, ha un contenuto energetico più elevato ed è più adatto
per la distribuzione attraverso le condutture esistenti per la benzina.
Nelle miscele con diesel o benzina, il butanolo si comporta più favorevolmente rispetto alla
formazione di miscele stabili rispetto all'etanolo in caso di contaminazione del carburante
con l'acqua. Miscele di butanolo all'85% con benzina possono essere utilizzate nei motori a
benzina non modificati. Inoltre, la produzione di butanolo differisce dalla produzione di
etanolo principalmente nel processo di fermentazione (microrganismi diversi) e ci sono
piccoli cambiamenti nella sezione di distillazione a valle.
Produzione di etanolo per combustibili da biomasse
Schema 1- Transesterificazione di olio vegetale con metanolo. FAME = esteri metilici degli acidi grassi. R1, R2 e R3
sono idrocarburi a catena lunga.
È comune che oli e grassi contengano piccole quantità di acqua e acidi grassi liberi (FFA) -
acidi grassi che non sono attaccati alla spina dorsale del glicerolo – i quali danno origine a
reazioni collaterali.
Gli acidi grassi liberi (RCOOH) reagiscono con il catalizzatore alcalino e formano il sapone
(reazione di saponificazione), a seguito del quale, parte del catalizzatore, viene neutralizzato
e non è più disponibile per la transesterificazione. Inoltre, la presenza di sapone può
interferire con le successive fasi di lavorazione. Pertanto, il contenuto di FFA dovrebbe
essere inferiore allo 0,5% in peso.
Inoltre, se è presente acqua, essa può idrolizzare i trigliceridi e formare un acido grasso
libero, aumentando così la tendenza alla formazione di sapone.
Dunque, in tal modo viene semplificato il processo, poiché non vi è più la limitazione nella
produzione dei saponi, ma soprattutto si ha la formazione di una glicerina più pura.
Il processo è simile allo steam reforming del metano. La reazione di reforming è altamente
endotermica e richiede temperature comprese tra 870 e 1200 K. Queste alte temperature
possono provocare la formazione di sottoprodotti come CO e CH 4. Inoltre, si può avere la
disattivazione del catalizzatore, mediante formazione di depositi di coke.
Per opportune reazioni, è
possibile ottenere dei
prodotti e degli intermedi
interessanti anche dal
glicerolo:
(solo esempio)
Vi è ora un'ampia accettazione del fatto che le future materie prime per bioraffineria
dovrebbero essere realmente sostenibili. Tali materie prime potrebbero essere colture
energetiche (ad esempio, colture di amido o silvicoltura a rotazione rapida) dedicate ed
integrate con residui di agricoltura, silvicoltura, industria e così via.
Si possono distinguere due tipi principali di bioraffineria:
o Una raffineria a base di fermentazione (o piattaforma di zucchero)
o Una raffineria termochimica, che potrebbe avere come base una piattaforma di
syngas una piattaforma di pirolisi.
La varietà nella composizione delle materie prime da biomassa è sia un vantaggio che uno
svantaggio:
Un vantaggio è che le bioraffinerie possono realizzare più classi di prodotti rispetto
alle raffinerie di petrolio, e possono fare affidamento su una gamma più ampia di
materie prime.