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LA DUCHESSA DI BAYSWATER

La storia che sto per raccontarvi si svolge nella meravigliosa Parigi degli
anni Venti, crogiuolo di razze, lingue e culture, in cui si aggiravano artisti,
truffatori, profughi e magnati.

(Risuonano le note di My melancholy baby eseguita da Jimmy Noone.


Improvvisamente il trillo di un telefono interrompe la musica)

Nel bel salotto ovattato di un grande albergo parigino, Dafne, duchessa di


Bayswater, prese il ricevitore del telefono e rispose con voce stanca: (la
duchessa parla con accento marcatamente snob) «Hello! Siete voi,
Mortimer? No, questa sera non cenerò chez Maxim. Sono così triste...
Questa sera vorrei uno svago più nuovo, non so... Bye bye, Mortimer, a
domani. Forse...»
Con indolenza la duchessa depose il ricevitore sul tavolino, mentre la sua
cameriera particolare entrava portando un vestito da sera e un paio di
scarpette d'argento. Con l'impudicizia altezzosa di un'aristocratica che
ignora il servidorame degli alberghi, Dafne si cambiò il reggiseno e si vestì
davanti al cameriere dell'albergo. «Dite al mio chauffeur che non ho
bisogno della macchina, questa sera... Voglio invece un buon taxi per le
otto». Il cameriere uscì, la cameriera portò i guanti, la borsetta di perline, del
denaro, un occhialetto di platino e una minuscola guida: Paris by night,
Parigi di notte.
«La signora duchessa rientrerà tardi?», chiese rispettosamente la cameriera.
«Forse non rientrerò affatto - rispose Dafne sorridendo. - Questa sera andrò
a caccia d'imprevisto. Se non tornerò entro le dieci di domani mattina
telefonate alla Prefettura di Polizia.» E uscì.
Nell'ascensore la duchessa fu gelidamente insensibile all'omaggio che due
gentiluomini in smoking offrivano alla sua bellezza, e si diresse rapidamente
verso il portiere, che si affrettò a far girare la bussola.
«Ecco un buon taxi. La signora duchessa vuol farsi condurre a teatro?»
«No. Dite allo chauffeur di andare au Jardin des Plantes.»
E salì nel taxi.

(Tornano per qualche istante le note di My melancholy baby)


Mentre lo chauffeur manovrava in mezzo alle altre macchine, sui grandi
boulevards parigini, ella lo osservava dal suo cantuccio. Nuca ben rasata,
spalle larghe, berretto pulito... Si chinò per osservare meglio: bel profilo,
labbra lisce... All'angolo del Boulevard Sebastopol Dafne picchiò nel vetro
che divideva l'abitacolo e ordinò di fermare. Abbassò il vetro e disse allo
chauffeur:
«Ho cambiato idea: non voglio più andare al Jardin des Plantes.»
«Va bene, signora.» (l'autista parla con accento marcatamente plebeo)
«Conoscete qualche piccola trattoria dei boulevards esterni, dove si possa
fare una buona cenetta?»
«Veramente non c'è nulla di chic da quelle parti...»
«Appunto! Desidero un luogo che non sia affato chic.»
«Be', c'è lo Zio Leopoldo... si mangia bene per pochi franchi.»
«E allora andiamoci! Cenerete con me dallo Zio Leopoldo...»
Lo chauffeur si voltò bruscamente.
«Qualcosa non va? Vi ho detto che cenerete con me. Su, andiamo!»
Il taxi riprese la corsa e si fermò poco dopo davanti all'ingresso di un'oscura
trattoria, su cui si leggeva, male illuminata, la scritta: Dallo Zio Leopoldo.
Lo chauffeur uscì dalla vettura, aprì la porta alla duchessa, che scese e gli
fece un cenno.
«Su, offritemi il braccio...»
«Davvero, signora, voi...»
«Ma sì, ve l'ho detto: vi invito a cenare con me. Vi comprometto, forse?»
Lo chauffeur si inchinò e porse il braccio alla duchessa.

(Tornano per qualche istante le note di My melancholy baby)

Dafne e il suo invitato cenavano ad un tavolino. A destra un impiegato


terminava di mangiare; a sinistra due ballerinette di music-hall pagavano il
conto e si accingevano a tornare ai loro camerini. I due commensali si
osservavano furtivamente. Lo chauffeur pensava chi potesse essere quella
bella inglese, vestita con perfetta eleganza, che si degnava di ammettere alla
sua tavola un proletario del volante. Dal canto suo, Dafne scrutava il suo
ospite. Quello chauffeur dal viso simpatico, dagli occhi d'acciaio, dalle
labbra sottili, che sapeva mangiare abbastanza correttamente, le piaceva.
C'era nel suo sguardo qualcosa di crudele, che rendeva piccante, per lei,
quell'avventura imprevista. Quale poteva essere il passato di quel bel
giovanotto? Era egli forse un trafficante di carne umana, nascosto a Parigi?
O, più semplicemente, un pregiudicato che per riabilitarsi si guadagnava
onestamente la vita? Certo era che la reticenza, e insieme la discrezione, del
suo invitato le andavano a genio. Egli non chiedeva nulla e nulla diceva di
sé, eludendo le domande troppo dirette. Si capiva che la sua vita era un libro
chiuso, che egli non lasciava leggere volentieri. "Tanto meglio", pensò
Dafne. "Mi piace l'idea di cenare con un plebeo dalla coscienza sporca e dal
pasato tenebroso. Non poteva andarmi meglio! Il dio dell'aventura ha voluto
esaudire i miei voti."
E mentre assaporavano, chiacchierando, un intingolo molto democratico,
sembrò a Dafne di sentire che il ginocchio dello chauffeur sfiorava il suo, e
che quel ginocchio, a poco a poco, si faceva ardito e premeva sempre più...

(Tornano per qualche istante le note di My melancholy baby)

Un brivido delizioso le corse sotto la pelle vellutata... Essere corteggiata da


uno chauffeur di taxi in una bettola del circondario di Parigi! Quanto
avrebbero pagato alcune sue amiche per gustare un'emozione simile!
Mentre servivano loro del formaggio, un poco rancido, ella trasalì sentendo
che la mano dello chauffeur le si posava sul braccio nudo. Quella mano di
lavoratore, quella mano d'uomo dal losco passato, la scottava! Si voltò di
scatto e, con gli occhi ruotanti, in una ebbrezza indicibile, mormorò:
«Sapete, mio caro, che braccio toccate in questo momento?»
«No.»
«Quello della duchessa di Bayswater.»
E così dicendo cercò nello sguardo del proletario l'effetto delle sue parole.
Ma lo chauffeur ebbe un sorrisetto e replicò:
«Una confidenza ne merita un'altra, signora. Sapete che mano è quella che
vi tocca? E' la mano (repentinamente la voce si trasforma e assume la tipica
inflessione russa) del principe Wladimiro, della famiglia imperiale di
Russia, profugo a Parigi. Se ne dubitate eccovi la mia patente di guida e la
mia carta d'identità.»
Ma la duchessa di Bayswater non guardava le carte posate sulla tavola. Si
era alzata, rossa in viso e sconcertata. Furibonda, gettò cento franchi alla
cameriera della trattoria e sibilò al principe:
«Non potevate fare a meno di presentarvi? Un principe! Avete rovinato tutta
la poesia della mia serata! Maledetto!» E, rapidamente, uscì.
La camerieretta della trattoria si avvicinò per levare dalla tavola gli avanzi
del formaggio e guardò lo chauffeur con affettuosa commiserazione.
«E' molto stizzosa, mi pare, la vostra amica!»
Allora il principe chauffeur ebbe un gesto che sintetizzò in quel momento
tutto il fatalismo asiatico e concluse (fa spallucce): «E' una donna!»

(Tornano le note di My melancholy baby, che lentamente svaniscono)

(Da: Maurice Dekobra, La duchessa di Bayswater, in Il gesto di Frine.


Amori esotici, 1930. Riduzione e adattamento di Loris Pellegrini)

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