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Le colture energetiche
Le colture energetiche sono particolari coltivazioni finalizzate alla produzione di
biocombustibile (solido, liquido e gassoso) ed allo sviluppo di produzioni
vegetali con caratteristiche che le rendano adatte alla trasformazione
energetica e industriale.
Le ricerche agronomiche mirano alla valutazione ed all'ottimizzazione delle
potenzialità energetiche di diverse specie di piante (arboree ed erbacee),
individuando le specie colturali con un favorevole bilancio energetico,
caratterizzate cioè da alta efficienza fotosintetica e limitata necessità di pratiche
agronomiche (lavorazioni del terreno, concimazioni, irrigazioni).
In tale ambito sono state rivalutate alcune colture prima considerate infestanti,
come il cardo, la ginestra, la robinia, in grado di crescere in condizioni
estreme, in terreni aridi ed improduttivi, e colture tipiche della fascia
subtropicale, come il sorgo zuccherino.
L'evoluzione delle tecnologie di meccanica agraria per la raccolta lo stoccaggio
e il trasporto all'industria di trasformazione ha portato alla realizzazione di
sistemi che offrono un prodotto con caratteristiche uniformi e risolvono i
principali problemi delle colture zuccherine e di quelle che producono
biomassa con umidità superiore al 25÷30%.
Da un lato sono state sviluppate tecniche di disidratazione della biomassa nel
campo o in cumuli coperti a seconda del periodo di raccolta, dall'altro sono
state realizzate macchine specifiche, ad esempio per la raccolta della canna
intera del sorgo zuccherino, onde consentirne lo stoccaggio fino a 30 giorni ed
evitarne le perdite di zuccheri.
L’utilizzazione energetica di biomassa agricola e forestale in senso moderno
trova oggi la sua limitazione più grande nel costo di produzione della materia
prima: questa infatti incide sul costo di produzione finale dell’energia in misura
preponderante rispetto ai costi della trasformazione industriale. I processi di
trasformazione, fra l’altro, hanno conosciuto una notevole innovazione
tecnologica che ne ha già ridotto i costi a livelli difficilmente superabili.
Per abbassare i costi di produzione della biomassa agricola e forestale sembra
necessario agire sulla massimizzazione delle produzioni per unità di superficie e
di tempo, considerato che la riduzione dei costi unitari appare alquanto
problematica e comunque poco promettente.
Considerando che al 40° N di latitudine ogni ettaro riceve annualmente circa
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1,47x10 calorie (pari a circa 1700 kWh/m ) di radiazione totale (TER =
Total Energy Radiation), il 43 % della quale fotosinteticamente attiva (PAR =
Photosynthetically Active Radiation), e che il potere calorifico della biomassa
secca è di circa 4000 kcal/kg, la produzione teorica di biomassa dovrebbe
ammontare a circa 250 tonnellate di sostanza secca per ettaro. In realtà questa
produzione non è stata mai raggiunta con nessuna specie nemmeno in prove
sperimentali. Infatti bisogna tenere conto che le colture non utilizzano la
radiazione incidente nello stesso modo lungo tutto l’anno, che la biomassa
raccolta è al netto di quella consumata dalla respirazione, che le foglie si
aduggiano a vicenda, che la disponibilità di acqua nel terreno, l’umidità e la
temperatura atmosferica non sono sempre ottimali. I limiti massimi di
produzione sono quindi valutabili intorno al 30% della produzione teorica. Si
considera infatti che la produzione massima ottenibile in Italia si aggiri intorno
alle 60 t/ha.
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Tale produzione massima è stata raggiunta in prove parcellari di pochi m . La
produzione oggi ottenibile in coltura di pieno campo è di solito quantificabile, al
più, in 15-20 t/ha.
E’ quindi ipotizzabile che la produzione unitaria possa essere facilmente
moltiplicata di un fattore due o tre mediante interventi genetici senza aumentare
proporzionalmente i costi di produzione, con diminuzione dell'uso di fitofarmaci
e dei costi della bioenergia.
SRF : dalla pianta all'energia
Le Short Rotation Forestry SRF sono coltivazioni legnose a turno di taglio breve
(2-5 anni), caratterizzate da crescita molto rapida ed una notevole produzione
di biomassa, tanto maggiore quanto più i cicli di crescita sono rapidi e
l'impianto denso.
Le specie ritenute più adatte per le coltivazioni di SRF in Italia ed attualmente
allo studio sono pioppo, salice, robinia ed eucalipto.
Altre specie vegetali (non arboree come le SRF, ma erbacee) che ben si
prestano alla produzione di energia sono il mischantus, la ginestra e la canna
comune.
La scelta delle piante utilizzate è di fondamentale importanza anche per la
conversione di energia; a seconda della specie, dell'età e della zona di
provenienza cambiano infatti alcuni fattori, quali densità, presenza di resine ed
antiossidanti, umidità, spessore della corteccia, potere calorifico, determinanti
per il buon esito della combustione.
Queste coltivazioni, in sostituzione di colture intensive, hanno un impatto
positivo sulla qualità del territorio, in quanto necessitano di un minor uso di
fertilizzanti e pesticidi; inoltre non richiedono un massiccio utilizzo di macchinari
agricoli.
Prima di dare avvio alla coltivazione di biomassa ed alla costruzione
dell'impianto (per produrre calore, energia elettrica o entrambi), si analizzano
tutte le fasi del processo produttivo: assestamento forestale, taglio del bosco,
produzione del cippato, trasporto, stoccaggio, distribuzione del calore,
smaltimento delle ceneri.
Il sito da destinare alla coltivazione deve essere possibilmente collegato alla
rete stradale e situato vicino ad un impianto di trattamento, per ridurre al
minimo i costi di trasporto.
Si prepara il terreno mediante aratura, dopo di che si passa alla fase di
impianto della coltivazione, la cui densità deve essere di circa 10.000 piante
per ettaro (1 pianta / 1 m²), avendo cura di scegliere in modo appropriato le
specie coltivabili, in funzione del terreno e del clima.
A sviluppo ottimale completato, si procede al taglio ed alla raccolta; il materiale
viene poi sminuzzato in pezzi di uguali dimensioni, per ottenere un combustibile
omogeneo ed assicurarsi una elevata qualità della combustione (una buona
combustione limita la produzione di inquinanti ed aumenta il rendimento).
Il trasporto agli impianti di conversione (in energia) incide sui costi di
produzione; siccome l'impianto utilizza materiale proveniente da diverse
piantagioni, è fondamentale per l'economia totale che esso venga posto in
posizione baricentrica, sia rispetto ai luoghi di produzione del cippato che in
relazione ai centri di consumo dell'energia (termica).
A destinazione il materiale viene stoccato in attesa della trasformazione; lo
stoccaggio è un'operazione necessaria, perché consente di avere biomassa,
cioè combustibile, durante l'intero arco dell'anno.
La conservazione del cippato è possibile solo se il legno ha raggiunto una certa
essiccazione, che limita l'azione dei batteri e dei funghi, responsabili del
deterioramento del prodotto.
Le ceneri prodotte dalla combustione possono poi essere utilizzate come
concime, distribuendole sui terreni in cui si coltivano le SRF, oppure impiegate
nell'industria dei laterizi per la produzione di mattoni.
Per massimizzare il rendimento dell'impianto occorre dimensionarlo
correttamente e farlo funzionare costantemente, rifornendolo con continuità di
una sufficiente quantità di biomasse da trasformare, operando il coordinamento
tra i produttori.
Dopo prodotta l'energia deve essere distribuita agli utilizzatori; se energia
termica (vapore o acqua calda), viene incanalata in una rete di
teleriscaldamento ed avrà una utenza locale, se energia elettrica, può essere
trasportata più facilmente ed utilizzata anche in luoghi lontani.
Si noti che entrambi tali beni comportano costi per la loro distribuzione,
esattamente come avviene per un qualsiasi prodotto dell'industria.
La coltivazione di SRF può introdurre una modifica al territorio: essa deve
essere pianificata in rapporto all'ambiente ed alle funzioni preesistenti; le
colture energetiche devono perciò essere progettate valutando i vantaggi
economici e produttivi, ma ancor di più gli effetti sociali ed ambientali.
I benefici ottenibili inserendo coltivazioni di SRF all'interno del territorio
aumentano notevolmente nel caso in cui queste piantagioni non abbiano come
unico fine la produzione di energia.
Organizzazione della filiera biomassa
Gli impianti a biomasse - siano essi per la produzione di elettricità, calore o
biocombustibili - necessitano che siano contestualmente soddisfatte diverse
condizioni: produzione di materia prima, raccolta, trasferimento, trattamento
eventuale, stoccaggio, impianto di combustione idoneo, possibilità di
connessione alla rete elettrica e/o del calore. In Italia, non sempre è facile
realizzare tutte e contemporaneamente queste condizioni, in particolare quelle
relative alla produzione e raccolta della materia prima.
Si stima che il contenuto energetico dei soli residui agricoli e forestali, residui
agro-industriali, rifiuti organici e reflui zootecnici annualmente prodotti in Italia
sia dell'ordine di 20 - 25 Mtep.
In realtà, pur considerando che l’uso energetico dei residui e dei rifiuti
contribuisce ad attenuare i problemi connessi al loro smaltimento, il potenziale
effettivamente sfruttabile è inferiore. Le biomasse, infatti, sono in buona parte
costituite da materiali dispersi sul territorio ed a bassa densità energetica,
provenienti dal contesto agricolo italiano caratterizzato, come è noto, da
aziende piccole (estese su pochi ettari) e da una proprietà non sufficientemente
motivata ad associarsi per intraprendere forme innovative di impresa quale può
essere l’Energy Farm o la semplice vendita dei residui colturali come
combustibile; a fronte dell'esigenza di disporre di alcune centinaia di ettari per
ogni MW di potenza elettrica alimentata a biomassa. Le competenze, ancora
una volta, sono distribuite tra molti attori.
Tali residui, allo stato attuale, sono smaltiti in gran parte attraverso la
combustione in campo. L’abolizione di tale pratica, tuttora vigente in Italia, ha
reso possibile, in altri paesi europei quali la Danimarca e l’Austria, l’impiego
sistematico dei residui per impianti di cogenerazione o di teleriscaldamento,
con vantaggio per l’ambiente e per tutti gli attori dell’iniziativa.
I problemi che si incontrano quando si intende utilizzare biomasse residuali
agricole sono minori nel caso che le biomasse siano derivate, invece, da
processi di trasformazione agro-industriale (noccioli, sanse esauste, segatura,
ecc.) in quanto queste, per loro natura, si trovano già concentrate in siti
industriali, costituendo un rifiuto da smaltire onerosamente oppure un
combustibile da valorizzare. Questa classe di biomasse, per accessibilità e
consistenza, è candidata ad essere impiegata elettivamente per la produzione
di energia.
Tenuto conto quindi:
- del diverso grado di accessibilità delle varie forme di biomasse già presenti
sul territorio;
- della possibilità di impiegare territori eccedentari e marginali (3 milioni di
ettari) per coltivazioni energetiche ed industriali;
- del potenziale rappresentato dai boschi cedui, per loro natura destinabili
principalmente all’uso energetico, o ai residui della loro conversione in
alto-fusto;
- del contributo derivante dalla captazione e dall’impiego del metano
prodotto dalle discariche;
si può ritenere possibile l’installazione al 2008-2012 di impianti per la
produzione di elettricità per complessivi 2300 MW, realizzati con la
progressione temporale riportata in tabella II.
L’ipotesi di progressione tiene conto, sia dell’impulso iniziale derivante dalla
realizzazione dei già citati progetti inclusi nelle prime sei graduatorie del Cip
6/92, sia del livello di interesse degli operatori - riscontrabile nelle ulteriori
iniziative incluse nelle graduatorie fino alla nona del medesimo provvedimento
Cip 6/92 - sia, infine, dell’attesa efficacia delle politiche di sostegno
comunitarie e nazionali.
considerando che il biogas viene prodotto nella misura teorica di 200 m3/t di
rifiuto e che il processo si compie in 20 anni, velocemente all’inizio e
lentamente alla fine, la potenzialità teorica complessiva lorda di tutte le
discariche italiane sfiorerebbe i 1000 MW. In realtà solo una frazione di
questa, valutabile in circa il 30%, può essere utilizzata per fini energetici sia per
le inevitabili dispersioni di biogas che per la non economicità ad estrarre biogas
per fini energetici nei periodi finali. Poiché gran parte di questa potenzialità è
concentrata in discariche medie e grandi, appare realizzabile un obiettivo di
ulteriori 200-300 MW al 2008-2012.
Al 2002, la produzione di elettricità da biomassa e biogas, grazie soprattutto
alle iniziative incluse nelle prime sei graduatorie del provvedimento Cip 6/92,
dovrebbero consentire di giungere entro il 2002 ad una potenza complessiva
pari a circa 400 MW.