“Management e funzioni di
coordinamento delle professioni sanitarie”
INDICE
INTRODUZIONE…………………………………………………………………………pag.3
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CAP 1 LE PROFESSIONI……………………………………………………………pag.3
1.1 Teoriche sociologiche delle professioni………………………………….pag.3
1.2 La teoria delle professioni di E. Freidson………………………………pag.4
CAP 2 DOMINANZA MEDICA…………………………………………………….pag.5
2.1 Il controllo diretto…………………………………………………………………..pag.5
2.2 Il controllo indiretto e lo sviluppo delle professioni sanitarie.pag.6
CAP 3 DAGLI ANNI SETTANTA A OGGI………………………………….pag.8
3.1 Attacco alla dominanza medica……………………………………………..pag.8
3.2 Attacco alle professioni…………………………………………………………..pag.9
CAP 4 EVOLUZIONE NORMATIVA DELLE PROFESSIONI
SANITARIE…………………………………………………………………………………pag.10
4.1 Nascita del TSRM: dalla scoperta dei raggi X al riconoscimento
della professione………………………………………………………………………….pag.10
4.2 Evoluzione normativa in Italia……………………………………………..pag.12
4.3 Normative sullo sviluppo di carriera…………………………………….pag.13
CAP 5 DISCUSSIONE DI UN CASO REALE……………………………pag.14
CONCLUSIONI…………………………………………………………………………..pag.15
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA………………………………………………pag.17
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INTRODUZIONE
Il settore sanitario ha raggiunto ormai dimensioni e proporzioni
considerevoli e meritevoli di approfondimento, dando nell’ultimo
secolo lavoro a milioni di persone, soprattutto nei paesi più sviluppati,
diventando uno tra i settori più rilevanti. In questo elaborato
verranno affrontati i due motivi principali grazie ai quali la sanità si è
distinta rispetto agli altri settori del mondo del lavoro: l’importanza
progressivamente assunta dalle professioni e la cosiddetta dominanza
medica. La nascita delle professioni sanitarie, la loro storia, le cause,
le normative vigenti saranno approfondite con l’obbiettivo finale di
esporre le varie possibilità di carriera per le professioni sanitarie non
mediche, illustrando un caso reale. Verrà concesso più spazio alla
professione del tecnico di radiologia medica essendo lo studente
proprio un TSRM.
CAP. 1 LE PROFESSIONI
1.1 Teorie sociologiche delle professioni
Con l’avvento e lo sviluppo del sistema capitalistico a fine ‘800 le
occupazioni vengono smantellate e sostituite in piccole e semplici
mansioni: il singolo lavoratore entra a far parte di un’organizzazione
complessa (catena di montaggio). Il settore sanitario invece viaggia
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su binari paralleli con verso opposto: c’è sì la scomparsa delle
mansioni, che vengono però sostituite dalle professioni riconosciute a
livello formale e istituzionalizzate. Le scienze sociali, in particolare la
sociologia, vedendo da esterne questo grande cambiamento si
pongono delle domande e cercano di rispondersi formulando diverse
teorie a riguardo: la prima è la teoria funzionalista (anni Sessanta), e
dichiara che la funzione essenziale delle professioni è di erogare
servizi ad alto contenuto di conoscenze scientifiche in ambiti come la
salute e la giustizia, ai quali la società attribuisce una particolare
importanza. In questi settori il cliente è in una posizione di
svantaggio, situazione che la società provvede a migliorare attraverso
la socializzazione alla professione e l’adozione di codici etici che
garantiscono sia la competenza tecnica, sia l’orientamento al servizio
del professionista. Dagli anni Settanta questa teoria viene molto
criticata, e una prospettiva diversa mostra ai sociologi le professioni
come un fenomeno di potere e di controllo occupazionale, dove è il
professionista stesso (medico o avvocato) che esercita una sorta di
monopolio per quanto riguarda l’esclusività di certi servizi, in quanto
ha il potere decisionale su ogni aspetto riguardante il cliente, dal
definire i bisogni dello stesso, alle modalità di provvedere a tali
bisogni. Il cliente/paziente non può fornire alcun tipo di opinione in
merito, a prescindere dalle competenze in suo possesso. Questa
seconda teoria è comunemente indicata come neo-weberiana.
1.2 La teoria delle professioni di E. Freidson
Il controllo del libero mercato è in capo ai consumatori, che
attraverso le loro scelte e le loro preferenze indirizzano la domanda
verso una certa direzione, ed è “compito” dei produttori offrire un
servizio che possa soddisfarli, in un clima di piena concorrenza, il
tutto controllato da forme complesse burocratico-amministrative. Le
professioni non sono soggette a queste leggi del libero mercato.
Freidson ci aiuta a capire meglio questo concetto, definendole come
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occupazioni che essendo in possesso di conoscenze specialistiche ed
avendo ottenuto una posizione dominante all’interno della società,
tramite la fornitura di servizi particolarmente importanti, possono
esercitare gli stessi in condizione di autonomia senza sottostare ad
alcun tipo di controllo burocratico. Il professionalismo (o logica
professionale) si configura dunque come un iter che partendo
dall’occupazione giunge fino a costituirsi professione attraverso
l’acquisizione di attributi specifici.
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(almeno in una fase iniziale) questo importante settore. A onor del
vero prima di quel periodo l’odontoiatria era esercitata principalmente
da ciarlatani e cavadenti girovaghi, e da poche figure competenti ma
non in possesso di titoli. Verso la figura della levatrice invece viene
attuata una strategia di demarcazione, con l’intento di limitarne i
privilegi, l’autonomia e la professionalizzazione. Inizialmente vengono
affidati solo i parti naturali (o fisiologici), lasciando al medico quelli
anormali (o patologici). Successivamente si crea una spartizione del
mercato che suddivide meglio i ruoli: i ceti più alti della società (per
quanto riguarda sempre il parto), si rivolgono ai medici, mentre le
classi contadine e quelle meno abbienti continuano a essere orientate
verso le levatrici. Con lo sviluppo poi dell’ospedalizzazione e della
medicalizzazione la strategia sarà di nuovo di incorporazione con la
nascita della figura del ginecologo, che toglierà totalmente autonomia
alla levatrice (poi ostetrica) che diventerà solo assistente. Merita un
discorso a parte la figura del farmacista, unica professione che
subisce una strategia di demarcazione pur conservando una
importante autonomia, in quanto l’unica occupazione sanitaria in
grado di creare e somministrare farmaci. In questo caso i medici
esercitano la loro dominanza limitandosi nella prescrizione e nell’uso
del farmaco. Sul nuovo mercato vengono ammesse quindi solo queste
due occupazioni (levatrice e farmacista), e per questo non si può
ancora parlare di un vero e proprio “sistema occupazionale” sanitario,
in quanto le altre figure sanitarie nasceranno dagli anni ’20 in poi,
arrivando a contare oltre 30 occupazioni.
2.2 Il controllo indiretto e lo sviluppo delle professioni
sanitarie
Tra il 1920 e il 1960 la dominanza medica raggiunge il suo periodo
d’oro, il culmine della propria parabola occupazionale. Esistono alla
base cause e concause che favoriscono un ancora più marcato
dominio medico. In tutti i paesi industrializzati si registra una fase di
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espansione del mercato sanitario, causata a sua volta da due fattori:
la crescita economica e lo sviluppo del welfare state. Il boom
economico dopo la 1° e soprattutto la 2° guerra mondiale ha
alimentato l’aumento del reddito medio della popolazione,
permettendo ai medici di ampliare il proprio bacino d’utenza. Il
progresso tecnologico e scientifico d’altra parte hanno migliorato la
qualità delle prestazioni nonché la quantità dei servizi. In un primo
periodo il numero crescente dei medici su scala nazionale e in
rapporto alla popolazione ha permesso agli stessi di gestire
l’incrementarsi delle prestazioni, oltre l’aumento dei servizi.
Successivamente, diventando sempre più difficile il controllo diretto
sul processo produttivo sanitario, oltre che per concentrarsi sui
compiti cruciali del processo di cura e aumentare la propria
produttività, l’ordine dei medici ha optato verso la cessione di alcuni
servizi, delegandone altri a nuove figure professionali nascenti, come
il tecnico di radiologia, l’infermiere, l’ostetrica, l’odontoiatra, il tecnico
di laboratorio, l’audiometrista e molti altri, tutti nati grazie ai motivi
illustrati sopra, in particolare grazie al progresso scientifico (da
aggiungere anche che eventi singolari come i conflitti mondiali hanno
determinato l’aumento della domanda di alcuni tipi di servizi sanitari,
che hanno contribuito sicuramente verso l’ascesa di queste
occupazioni. È il caso di dire “mater artium necessitas”, parafrasando
“la necessità è la madre delle abilità”). Almeno in questa fase
temporale, lo stato non solo non ha intaccato il potere medico, ma lo
ha addirittura favorito, sulla base dei presupposti sociali e giuridici
fissati nella fase precedente (dall’esclusività dell’esercizio della
professione ai soli laureati con la conseguente estromissione di tutti
gli altri che praticavano senza titoli, all’istituzione degli albi e degli
ordini dei medici). È comunque intervenuto nella nascita di alcune
figure, con l’obbiettivo di reinserire i sordomuti all’interno della
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società (il logopedista), e introdurre la prevenzione dentale a scuola
(igienista dentale).
La delega non ha alterato comunque il mantenimento del controllo
che è però divenuto indiretto, spingendo i medici a trovare nuove
strategie di dominanza, alcune già applicate nei decenni passati, altre
utilizzate in questa nuova fase. Ecco qui elencate le principali: la
dominanza funzionale, basata sul monopolio da parte dei medici sul
controllo delle fasi cruciali del processo di cura (la diagnosi e la scelta
della terapia), fattore che porta il paziente stesso a subire tale
dominanza; dominanza gerarchica, fondata sulla divisione verticale
del lavoro nelle grandi organizzazioni sanitarie come gli ospedali,
dove i medici diventano i capi dei reparti; dominanza scientifica,
attraverso il sapere medico che definisce gli ambiti e le competenze
della medicina in quanto scienza; dominanza istituzionale, attraverso
il controllo delle istituzioni-chiave del settore sanitario (ad es. il
settore della formazione, dove i docenti per la maggior parte sono
proprio medici).
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per poi arrivare al 1978 dove viene sancito il passaggio dal sistema
mutualistico all’oggi più conosciuto SSN (Sistema Sanitario
Nazionale). Queste prime importanti metamorfosi portano a un
decentramento del potere decisionale e strutturale-organizzativo
dall’ordine medico alle istituzioni (e ancora più avanti a una gerarchia
complessa manageriale, complicando ancora di più l’autonomia
professionale). Successivamente, con la regionalizzazione e
l’aziendalizzazione la struttura ospedaliera viene investita da un
nuovo trend, quello del libero mercato con le sue connesse logiche di
mercato (aumento della produttività tramite la standardizzazione
delle procedure), con un regime di concorrenzialità con più soggetti
erogatori. L’empowerment infatti prevede la possibilità di scelta del
consumatore/paziente verso i produttori di servizi sanitari,
introducendo una nuova fase in cui i pazienti sono più esigenti, più
informati, più consapevoli di sé stessi e del loro nuovo acquisito
potere decisionale, con un nuovo rapporto medico/paziente non più
basato sulla fiducia (consumerismo). Al medico viene richiesto inoltre
un nuovo onere, nel quale è soggetto a meccanismi di controllo e
valutazione delle prestazioni e dei risultati, con conseguenze positive
(premi) o negative (sanzioni), a seconda che i risultati vengano
ottemperati o disattesi. La definizione iniziale di obiettivi aziendali
costituisce un mezzo per garantire l’accountability, una vera e propria
rendicontazione. I medici hanno cercato di far fronte a questa
situazione attraverso una serie di strategie: la medicina difensiva
contro il consumerismo e l’empowerment del paziente; in opposizione
all’accountability uno spostamento dell’autonomia da un livello
individuale a uno collettivo dell’intero ordine, in quanto tutte le
prescrizioni, le decisioni, le nuove ricerche e scoperte vengono
studiate, approfondite e collettivamente accettate dall’Evidence Based
Medicine (EBM, fondata sulle prove di efficacia), in quanto sono
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sempre dei medici coloro che in ambito scientifico effettuano
valutazioni esperte su cosa promuovere e autorizzare.
3.2 Attacco alle professioni
Per le professioni sanitarie non mediche invece gli ultimi decenni sono
stati agrodolci: se da una parte ci sono state diverse innovazioni
istituzionali, come l’abolizione dei mansionari, il riconoscimento e
l’istituzione dei profili professionali, il cambio di formazione da
ospedaliera a istruzione universitaria (tutti punti che saranno
affrontati nel capitolo successivo), dall’altra nasce una minaccia a
discapito di quell’autonomia decantata da Freidson nella sua teoria
delle professioni: la logica manageriale, che punta a obbiettivi di
efficacia, efficienza e qualità delle prestazioni. Il New Public
Management tipico delle aziende private, proiettato nel contesto di
un’organizzazione sanitaria pubblica, mina quelle che sono
l’autonomia e l’identità professionali, in quanto la strutturazione del
lavoro è regolata su mansioni e compiti che vengono progettati a
tavolino sulla base di quelli che sono gli obiettivi aziendali. L’idea che
segue la logica manageriale è la seguente: con le stesse risorse si
può incrementare la produttività cambiando l’organizzazione
lavorativa in funzione del core business aziendale. In che modo?
Trasformando le organizzazioni sanitarie pubbliche in aziende di
produzione di servizi sanitari che, mantenendo proprietà pubblica, si
comportano come vere e proprie aziende private. In questo modo
viene attaccata proprio la caratteristica peculiare delle professioni:
l’autonomia organizzativa e il controllo del proprio lavoro.
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L’8 novembre 1895 W. Röntgen scopre casualmente i raggi X: non ci
vorranno molti anni prima che ne venga capito il potenziale, tanto che
nel 1914 Marie Curie fonda la prima scuola d’insegnamento tecnico.
Un anno dopo G. Massiot pubblica il Manuel pratique du manipulateur
radiologiste. In Italia nel 1938 il Professor V. Maragliano pubblica “la
Scuola Elettroradiologica Genovese”, un libro ritenuto tra i più validi
per la formazione del tecnico di radiologia.
Il primo vero utilizzo dei raggi X però non è stato in campo sanitario,
ma in quello bellico, durante la seconda guerra mondiale per fini
militari ma soprattutto per soccorrere i feriti.
In Italia almeno fino agli anni ’40 il tecnico di radiologia era perlopiù
un autodidatta: bisogna aspettare qualche anno prima che vengano
istituiti i primi corsi pratici con la collaborazione della Croce Rossa
(con programma prestabilito). Tra il 1950 e il 1960 i corsi vengono
programmati sulla base della richiesta di personale da parte degli
ospedali, ma sempre a livello locale, e solo dopo il 1965 vengono
istituzionalizzati i primi corsi regionali.
Con la legge n.1481/1962 “Indennità ai Tecnici di Radiologia che
accompagnano il Medico Provinciale nelle ispezioni agli impianti
radiologici e di radiumterapia”, per la prima volta il Legislatore
nomina la figura del tecnico di radiologia. Con la legge n.1103/1965
“Regolamentazione giuridica dell’esercizio dell’arte ausiliaria sanitaria
del tecnico di radiologia medica” è regolamentato per la prima volta
l’accesso alle scuole per tecnico di radiologia presso ospedali o
università. L’ammissione veniva garantita a chi era in possesso di un
diploma di istruzione secondaria di primo livello, con età compresa tra
i 17 e i 32 anni, anche se era preferibile un diploma professionale. La
dirigenza scolastica era composta dal direttore dell’istituto radiologico
universitario o dal primario radiologo dell’ospedale presso cui aveva
sede la scuola (dominanza istituzionale). Una volta conclusi gli studi
(che duravano 3 anni) si poteva esercitare la professione non prima
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di essersi iscritti all’albo professionale (inizia la regolamentazione
della professione). La legge n.25/1983 segna un punto di svolta nella
storia del tecnico di radiologia, in quanto sancisce dopo oltre
quarant’anni dalla sua prima, vera comparsa, il passaggio da arte
ausiliaria a professione, riconoscendone il ruolo, le prime vere
responsabilità tecnico-professionali e l’autonomia. Con il D.M. 26
settembre 1994, n. 746 “Regolamento concernente l'individuazione
della figura e del relativo profilo professionale del tecnico sanitario di
radiologia medica” viene ufficializzato il passaggio a formazione
universitaria con annesso rilascio del diploma universitario, con il
riconoscimento di nuove responsabilità sulle apparecchiature
utilizzate (con controlli di qualità intrinseci), e nuovi compiti di
gestione e di formazione. Viene approvato inoltre il diritto a esercitare
la professione in ambito pubblico come dipendente ma anche in
ambito privato in qualità di libero professionista. Con il decreto
finalmente viene riconosciuto un valore aggiunto al tecnico di
radiologia, inquadrandolo come professionista a tutto tondo in
possesso di una formazione specifica in ambito tecnico-scientifico con
responsabilità esclusive, collocandolo non più sotto l’ombra del
medico, ma innalzandolo a collaboratore complementare nelle
indagini di diagnostica. Dopo l’istituzione dei primi corsi di laurea
triennale sono nati Master di primo livello relativi alla professione sul
piano clinico (es. approfondimento di tecniche di radioterapia) su
scala nazionale che non hanno inciso in modo concreto sullo sviluppo
di carriera. L’accesso a ruoli di coordinamento e dirigenziali sono
collegati comunque a degli specifici Master e lauree specialistiche volti
più a una logica manageriale, istituzionalizzati successivamente
(riforma del 2006). Si sono succedute tante altre leggi che non hanno
regolato la qualifica né la carriera professionale, piuttosto hanno
determinato la sicurezza sul lavoro, in quanto una tra le poche
professioni esposte al rischio radiologico.
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4.2 Evoluzione normativa in Italia
Le normative che invece hanno coinvolto tutte le professioni sanitarie
sono da collocare nel tempo successivamente a quelle già indicate.
Con la legge n.42/1999 “Disposizioni in materia di professioni
sanitarie” viene decretata definitivamente la scomparsa della
nomenclatura “professione sanitaria ausiliaria” per tutte le altre
professioni sanitarie, avviando inoltre le attività di innovazione e
revisione dei codici deontologici. L’introduzione dei corsi di laurea
avviene con la legge 10 agosto 2000, n. 251 "Disciplina delle
professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione,
della prevenzione nonchè della professione ostetrica”, che oltre a
regolamentare le suddette professioni in ambito tecnico, della
prevenzione e della salute, ed evidenziarne la rinnovata autonomia e
specificità professionale, le riqualifica con l’introduzione appunto di
corsi di laurea e master post-laurea di impronta manageriale;
successivamente con la legge 1 febbraio 2006, n. 43 "Disposizioni in
materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica,
riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo
per l'istituzione dei relativi ordini professionali”, i vecchi collegi
professionali vengono sostituiti da veri e propri ordini professionali
per ciascuna professione sanitaria menzionata nella stessa, che
svolgono gli stessi ruoli degli ordini dei medici e degli avvocati,
legittimando e associando tali professioni a professioni “intellettuali”.
Non esistono più soltanto ruoli uniformi soggetti alla dominanza
medica, ma esistono varie funzioni e vari livelli gerarchici a seconda
delle competenze acquisite, dei titoli di studio e delle specializzazioni.
4.3 Normative sullo sviluppo di carriera delle professioni
sanitarie
Negli anni a seguire sono state numerose le modifiche da parte del
legislatore sull’assetto formativo e normativo delle professioni
sanitarie, ma creare una lista di tutti i provvedimenti su questi aspetti
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risulterebbe ridondante. Vi è un decreto in particolare che prendendo
atto dalle leggi precedenti e considerando l'esigenza di provvedere al
riordino dei percorsi della formazione universitaria per le professioni
sanitarie, ha portato alla definizione di nuove figure nell’ambito
della dirigenza (e di conseguenza nella carriera) delle stesse. La
normativa in questione è il decreto interministeriale 19 febbraio 2009
“Determinazione delle classi delle lauree delle professioni sanitarie”
nel quale è stato messo per iscritto il percorso formativo tutt’ora in
vigore presso le università italiane. L’articolo 1 definisce, ai sensi
dell'articolo 4, commi 1 e 2, del decreto ministeriale 22 ottobre 2004,
n. 270, le classi dei corsi di laurea per le professioni sanitarie
infermieristiche e ostetriche, della riabilitazione, tecniche e della
prevenzione. In sintesi, il decreto definisce 4 classi dei corsi di laurea
triennale (L/SNT1, L/SNT2, L/SNT3 e L/SNT4 che abilitano
all’esercizio della professione, con l'obiettivo di assicurare allo
studente un'adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici
generali, anche nel caso in cui sia orientato all'acquisizione di
specifiche conoscenze professionali); 4 classi dei corsi di laurea
magistrale (LM/SNT1,2,3,4, in sostituzione delle lauree specialistiche,
con l’obiettivo di equipaggiare lo studente con una formazione di
livello avanzato per l'esercizio di attività di elevata qualificazione in
ambiti specifici). Le università rilasciano anche il diploma di
specializzazione (DS) che ha l'obiettivo di fornire conoscenze e abilità
per funzioni richieste nell'esercizio di particolari attività professionali,
e il dottorato di ricerca (DR), formazione post laurea che assegna
competenze esclusive per esercitare attività di ricerca e di alta
qualificazione.
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comprenderle e passare quindi dalla teoria alla pratica: nello specifico
di un avviso pubblico, per il conferimento di un incarico a tempo unico
e determinato di Dirigente delle Professioni Sanitarie in Staff alla
Direzione Sanitaria per la funzione di “Responsabile delle Professioni
Infermieristiche, Tecniche e della Riabilitazione”. Tale avviso era stato
indetto il 7 marzo 2017 con scadenza 18 aprile 2017, dal Centro
Specialistico Ortopedico Gaetano Pini di Milano, ed è facilmente
rintracciabile sul sito stesso del G. Pini. Oltre alla durata dell’incarico
che è stata fissata a 3 anni con possibilità di rinnovo, oltre ai requisiti
generali come l’età, la cittadinanza italiana e l’idoneità fisica, erano
necessari per inoltrare la domanda dei requisiti specifici, tra i quali:
diploma di Laurea Specialistica o Magistrale (in una delle classi
L/SNT1,2,3); master almeno di primo livello in coordinamento delle
professioni sanitarie; esperienza professionale quinquennale in
funzioni dirigenziali svolta in ambito sanitario. Il resto del bando
comprendeva le modalità con le quali era possibile fare domanda, le
clausole attraverso le quali non si poteva partecipare, le modalità di
valutazione dei candidati e altre ancora non riguardanti il tema che si
sta comunque trattando. Quello che si può ricavare da quanto
riportato sopra nell’interesse di questo elaborato, è la possibilità
concreta di carriera per un professionista sanitario non medico nei
ruoli dirigenziali, tramite l’esperienza ma soprattutto la formazione
specifica acquisita attraverso l’evolversi dell’istruzione sempre più
qualificante, il cambiamento delle normative, il progresso dei
riconoscimenti professionali, che sono insieme il risultato di un
percorso lento ma costante che ha innalzato queste categorie nei
decenni.
CONCLUSIONI
Le professioni sanitarie non mediche hanno avuto un percorso
evolutivo tortuoso e sicuramente non facile fin ora, raggiungendo
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obbiettivi molto importanti da quando sono nate fino ad oggi.
Sicuramente la logica manageriale ha stravolto e cambiato gli
equilibri interni che si erano ormai formati: se da una parte la
possibilità di raggiungere un ruolo dirigenziale viene considerata un
grande traguardo, dall’altra viene spontanea la domanda: fino a che
punto un professionista sanitario (infermiere, tecnico di radiologia,
ostetrica) che assume un ruolo direttivo, si può considerare come
appartenente alla professione? Infatti la logica manageriale crea una
netta distinzione tra professionista sanitario e manager, scindendo
completamente le due parti, con ruoli, compiti e responsabilità
diverse in settori molti differenti. Basti pensare alla figura del capo
sala, ormai inglobata anch’essa in questa logica. La strada che si sta
intraprendendo verte comunque verso un compromesso tra
managerialismo, consumerismo e professionalismo che coinvolge i
diversi soggetti istituzionali implicati, senza però dimenticarsi che
l’obbiettivo principale di una professione sanitaria, ma più
specificatamente di un’azienda sanitaria, è la tutela e l’assistenza al
paziente in un ambiente interno non conflittuale, per meglio
agevolare l’organizzazione lavorativa.
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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
• C. Cipolla, Manuale di sociologia della salute vol.1
• L. Olivetti, Professione TSRM: norme e conoscenze essenziali
• L. Ridolfi, Le professioni sanitarie tra managerialismo e
consumerismo: quali traiettorie per un rinnovamento della logica
professionale?
• www.gpini.it
• www.unitelmasapienza.it
• www.tsrm.org
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