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Letteratura spagnola II
Los Siglos de Oro

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5 MARZO
El Siglo de oro o, come lo definiscono altri, Los siglos de oro, poiché riguarda il secolo XVI e il
secolo XVII, è il grande momento umano, politico, culturale, letterario e religioso della Spagna
Moderna. L’età moderna comincia con il Rinascimento che si sviluppò in Italia nel XV secolo, in
Spagna più tardi. El Siglo de oro corrisponde all’alta età moderna, cioè al XVI e XVII secolo.
Possiamo dire, in maniera arbitraria, che El Siglo de oro comincia nel 1492, anno che segna il
decollo della Spagna a livello internazionale e globale perché è l’anno in cui Colombo scopre
l’America, arrivato grazie ad un progetto finanziato dai Re cattolici. Quest’anno è importante anche
perché la Spagna per 8 secoli fu campo di battaglia tra Islamici spagnoli (spagnoli perché
comunque vivevano ormai in Spagna) e i cristiani spagnoli, che si scontrarono durante il corso del
Medioevo, dal 711 (conquista islamica dela penisola iberica) fino al 1492, guerra che termina per
regioni territoriali. Il 1 gennaio 1492 i Re cattolici entrano a Granada e la conquistano, che era fino
a quel momento capitale del regno Nazarí, piccolo regno con solo tre province: Malaga, Granada e
Almería. Quando cade il regno Nazarí, i Re cattolici diventano padroni di tutta la penisola iberica,
tranne del Portogallo e Navarra, imponendo l’uniformità religiosa, possibile in quanto gli islamici
non avevano più un proprio spazio, e volendo conformarsi sempre più all’Europa cristiana.
Concedono inizialmente alcuni privilegi ai Mori rimasti a Granada, ma rapidamente dimenticano
questi riconoscimenti e nello stesso anno si verifica l’espulsione di altri gruppi religiosi minoritari
che avevano molto potere sociale ed economico, cioè gli ebrei spagnoli (detti hebreos “sefarditas”
o “sefardies”, chiamati cosi perché loro chiamavano la Spagna “Sefarà”). Nonostante ciò alcuni
gruppi di ebrei conservarono la loro lingua anche dopo essere stati espulsi come una cosa
intima/personale (la usavano per ricordare il paese che avevano dovuto abbandonare). Il 1492 dal
punto di vista linguistico fu un anno rivoluzionario, in quanto si segna la nascita della prima
grammatica spagnola scritta da Antonio de Nebrija. Nebrija, un umanista che si formò a Bologna:
soggiornò nel Collegio di Spagna, in spagnolo “Residencia Universitaria”, collegio universitario che
i re cattolici fecero costruire durante il XIV secolo nei pressi dell’università di Bologna per gli
studenti spagnoli. Nebrija si formò sulle fonti dell’umanesimo italiano e quando tornò in Spagna
potè proporre una lettura filologica della lingua spagnola.
In questo momento vi è in Spagna una realtà straordinaria, un orizzonte più ampio. I re cattolici
appoggeranno questa classe di letterari, pensatori, teorici e in particolare sostengono Nebrija, che
scrisse la prima grammatica di una lingua romanza, “Gramática sobre la lengua castellana”,
dedicata alla regina cattolica Isabella di Castiglia che con il matrimonio con Ferdinando di Aragona
unisce le due corone ma che non diventerà Corona di Spagna fino al secolo XVIII; i re cattolici di
quest’epoca, non solo Isabella e Ferdinando ma anche i successivi, sono Re di Castiglia, di
Aragona, di Sevilla, di Gerusalemme; governano su territori suddivisi.
Nebrija descrive scientificamente la lingua castigliana con gli stessi criteri con cui si scriveva la
grammatica latina o greca, eleva quindi lo spagnolo alle lingue classiche. La grande novità fu
quindi che Nebrija fu il primo che scrisse la prima grammatica di una lingua volgare in Europa
romanica. Inoltre Nebrija compose un grande vocabolario latino-spagnolo. (in generale gli spagnoli
chiamavano lo spagnolo “castigliano”, il nome “spagnolo” è un nome che riceve la lingua
dall’esterno, perché gli stranieri non distinguevano molto ed essendo la lingua predominante la
chiamarono spagnolo, ma in realtà esistono anche altre lingue come catalano, gallego-
portoghese…); la grammatica di Nebrija infatti si chiama castellana o española. Egli intenta vuole
regolamentare la lingua e per dare spiegazioni su verbi e parole utilizza come modelli poeti elevati,
colti e soprattutto latinizzanti come Juan de Mena. C’è uno sforzo per fare una re-latinizzazione
della Spagna, quando già stava terminando la Riconquista e riconquistando Granada, dove gli
intellettuali cercano di avvicinarsi all’Europa in tanti modi, attraverso la lingua, la poesia… Anche il
vocabolario si preoccupa di trovare equivalenze tra parole castigliane e le corrispondenti in latino,
cioè si privilegia l’interpretazione dello spagnolo come una lingua neo-latina cercando di eliminare
tutta la “sporcizia” precedente di altre lingue che lo hanno colpito, cioè quei termini di origine
araba. Per Nebrija la grammatica è anche importante per le conquiste, in quanto determina
un’apertura verso il mondo e la possibilità di diffondere la lingua e la cultura spagnola nel mondo,
cosa che inquieta buona parte di Europa, prima per motivi pratici, essendo stata la Spagna in
continua lotta per 8 secoli ed essendo quindi una società militarista con tecniche e armi di guerra
avanzate, che utilizzeranno in Italia quando nel 1503 guidati da Gonzalo Fernandez de Córdoba,
conquisteranno il Regno di Napoli. Inoltre più della metà dell’Italia (centro-sud) aveva gli stessi Re
degli spagnoli, non è che erano regni spagnoli ma hanno gli stessi Re, fanno parte di una corona
multinazionale. È importante perché una parte della letteratura del secolo XVI spagnola si scrive a
Napoli, in spagnolo. La letteratura spagnola del Siglo de oro è quella che più ha influito sulle altre,
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anche se ebbe influssi italiani. Per quanto riguarda l’Umanesimo, la Spagna è la prima alunna
dell’Italia, la prima che attinge alle sue fonti e che dà ottimi risultati nel primo periodo
dell’umanesimo italiano. C’è l’influsso di Petrarca e anche una traduzione della Divina Commedia
in castigliano che si pubblica nel 1515 en Burgos ad opera di Pedro Fernández de Villegas.
I Re cattolici che occupano l’ultima parte del XV secolo muoiono al principio del XVI, la regina
Isabella muore nel 1504 mentre Re Ferdinando nel 1510; la figlia maggiore Giovanna la pazza
(doña Juana la loca) succede al trono, fu poi imprigionata in un palazzo. Suo figlio Carlo I passa al
trono, che sarà nominato poi Imperatore Carlo V nel 1516. Carlo governerà Spagna e tutta Europa
tutta la prima metà del 500, governerà fino al 1556 quando poi si ritirerà in monastero in
Extremadura e cederà il suo posto al figlio Filippo II, che governerà come Re quasi tutti i territori di
Carlo (Italia, India, Fiandre, Olanda) e regna fino al 1598. In questo periodo abbiamo solo 3 Re: I
Re cattolici, Carlo e Filippo II.
La diffusione della lingua spagnola in questo periodo sarà enorme, l’egemonia politica di Carlo e
poi quella di Filippo II in Europa, e di suo cugino de Austria, Ferdinando, nonostante siano divisi c’è
sempre questa unione essendo parenti. Questa egemonia, che protesse l’Italia dai turchi, si
esercitò non solo in Europa ma anche nella Nuove Terre che si stanno via via scoprendo e
conquistando, che successivamente verranno identificate come America e che in Spagna si
chiamano Las Indias, perché il progetto di Colombo era di arrivare all’ India girando per l’altra parte
del mondo. La colonizzazione e la conquista de Las Indias si fece con una mentalità umanista e
guerriera.
L’umanesimo italiano: recupero e lettura dei testi classici, dei testi greco-romani antichi. Recupero
della civiltà greco-romana come modello, dove vi era l’uomo al centro e dove il sistema degli Dei
era un sistema umano, Venere, Zeus sono molto umani.
Il modello che Spagna applica nella conquista e colonizzazione dell’ America è il modello di guerra
romano, applicato però secoli più tardi (teorizzato da umanisti spagnoli che vivevano a Roma).
Vi è una grande espansione politica e militare della Spagna nel secolo XVI, anche se vi è crisi
economica e bancarotta, non c’è crisi politica e culturale. C’è una fioritura continua di stili, generi
letterari, invenzioni.
C’è una coscienza nuova nei territori della penisola iberica che dipende dai sovrani spagnoli, che
sono separati ma si uniscono alla corona nel 1580 e restano uniti fino al 1640. Ciò che importa di
questi territori è che alla fine del secolo 16 includono anche il Portogallo e i loro territori africani ma
anche questa nuova coscienza di se stessi, una illusione e capacità creativa enorme. La Spagna in
questo momento ha un sistema aristocratico e a questo sistema si aggiunge un progresso delle
città (città borghesi in opposizione al sistema aristocratico), che sono più piccole e povere di quelle
italiane ma più vive. Valencia è l’unica gran città spagnola al principio del secolo XVI e avrà un
gran peso per la letteratura.
Insieme a queste mondo aristocratico e urbano, c’è un predominio di Castiglia: è una società che
cresce economicamente e dal punto di visto della popolazione, cresce impetuosamente, mentre al
contrario quella di Aragona (questo ha conseguenze politiche). Anche Castiglia ha il peso
principale delle imposte e delle imprese della monarchia fuori di Spagna, è quella che soffrirà di
più, infatti alla fine del secolo XVII sarà completamente distrutta, senza popolazione e impoverita.
Questo predominio di Castiglia consente la crescita della lingua castigliana ma anche una fioritura
di stato, di regni e principati: Regno di Castiglia, di Aragona, Valencia, Maiorca, Granada, la contea
di Barcellona. I territori americani entrano a far parte della corona di Castiglia, e si dividono in due
grandi regni: Reino de Nueva España (Messico e America centrale) e Regno del Perù (America del
Sud). Poi ci sono anche i regni italiani: Il regno di Sicilia, che fa parte del regno di Aragona dal
secolo XIV, e il regno di Napoli, che si conquista nel 1503, dove Gonzalo Fernandez de Córdoba si
stabilisce a Castelnuovo; fino al 1707 Napoli fa parte della corona di Spagna. Quindi c’è questa
vitalità demografica e culturale di Castiglia che impone il castigliano, le altre lingue si perdono, ad
esempio il catalano si impoverisce, non vengono pubblicate opere in catalano dal secolo XVI, in
Vasco non si è mai pubblicato nulla, è una lingua familiare, lo stesso è il gallego-portoghese. Il
castigliano quindi si identifica, come indicano gli stranieri, come lo Spagnolo. La Spagna è una
corona multinazionale: territori che sono disseminati per tutta Europa, America, e a partire dal 1580
quando si incorpora Portogallo ci sono anche territori in Africa, territori in India e in Estremo
Oriente vicino la Cina. Gli spagnoli continueranno nelle conquiste arrivando fino nelle Filippine
(chiamata così per Re Filippo II). È importante per i cattolici, che sono il sistema fondamentale
dell’impero, che si possono celebrare messe in tutto il loro regno; questa è la prima
globalizzazione del mondo in nome della chiesa cattolica che ha sede in Roma. In un certo senso
l’Impero Spagnolo è un impero Hispano-italiano. Questo sistema politico così complesso si
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governa con un sistema aristocratico, ha un certo potere nel momento della guerra ma non hanno
potere nell’organizzazione dell’amministrazione, ma ce l’hanno i Letterati, che hanno studiato
legge, latino. I Letterati governeranno questo impero che si forma a partire dai Re Cattolici: c’è
rapporto di collaborazione ma anche di conflitto tra Armi e Letterati, l’aristocrazia è la vecchia
depositaria delle Armi, hanno un esercito, cavalieri. I Letterati collaborerà anche nella formazione
dei testi spagnoli, così come anche l’aristocrazia perché sovvenziona gli artisti, che paga l’arte e la
letteratura, i Letterati invece scrivono. Il regno di Napoli, durante questi 2 secoli sotto la corona
spagnola era guidato da un vice-re aristocratico.
Le università che formano questi letterati del siglo de oro sono: Salamanca, la più antica, dove
insegnerà Nebrija e Fray Luis de León e si formeranno grandi scrittori del secolo XVI e XVII, Alcalà
de Henares (solo qui si studia l’ebraico), nuova creata da Ferdinando il cattolico, dove si studia
lingua classiche, come latino, greco, e poi l’università di Valladolid. La grande università del Sud
sarà Granada. Altro problema che riguarda la Spagna è l’inquisizione, una grande istituzione
giuridica, una delle più rigide e rigorose. L’inquisizione è un tribunale per la rettitudine per la fede
cattolica, è un tribunale ecclesiastico che esisteva in Roma. In Spagna i Re cattolici, che erano
molto potenti alla fine del secolo XV e che riuscirono a porre Papa spagnoli a Roma, ottennero il
permesso dal Papa per poter creare un’inquisizione speciale che dipendeva non della società
ecclesiastica ma dai Re, l’obiettivo però era lo stesso: perseguitare gli eretici. In Spagna l’eresia
era diversa da quella Italiana, perché vi erano quelle protestanti, ma anche di altre comunità come
quella ebrea, coloro che si convertirono al cattolicesimo per evitare l’esilio, lo stesso per la
comunità dei Mori. Gli ebrei che si convertirono al cattolicesimo per restare in Spagna si
chiamavano Cristianos Nuevos, i Mori invece si chiamavano Moriscos. Questa distinzione verteva
anche dal punto di vista lavorativo-sociale, i mori erano agricoltori, muratori, falegnami, abili nel
lavoro manuale, mentre i Cristianos Nuevos. erano di alto livello sociale, banchieri, commercianti,
non lavoravano con le mani, era un gruppo intellettualmente alto, vanno all’università, Cervantes,
Santa Teresa de Ávila San Juan de la Cruz, ci sono tanti autori che furono Cristianos Nuevos. I
problemi principali del tribunale dell’inquisizione era che la denuncia era anonima, poi quando un
cittadino cadeva nel potere del tribunale gli confiscavano i beni, vi era quindi un interesse
economico nel denunciare, altri furono bruciati per erano protestanti. Dopo l’espulsione dei Mori
del 1492 il problema persiste perché molti di essi restano in Spagna convertendosi, e si sposarono
con famiglie aristocratiche cattoliche; l’aristocrazia spagnola ha quindi sangue moro e ebreo. Vi
erano anche i Crisitanos Viejos, chiamati così in opposizione ai Cristianos Nuevos, sono
discendenti cristiani che non hanno né sangue ebreo né moro, si definiscono i vecchi spagnoli,
appartenenti alla spagna precedente all’invasione islamica. Sono agrari, appartenenti alla classe
sociale basse, avrà una forte ascensione sociale durante il secolo XVII, si vede soprattutto nella
letteratura teatrale e anche nel Quijote. Nella letteratura spagnola si riflettono molte questioni
sociali. Altro tema è la questione dell’Erasmismo. Erasmo è un umanista olandese, l’umanesimo
italiano aveva quindi un contraltare, questo fuoco dei Paesi Bassi, un umanesimo meno filologico,
cui rappresentante è Erasmo, uno dei maestri dell’imperatore, i suoi scritti furono diffusi in tutta
Europa. L’Eramismo è un umanesimo anti italiano e anti papale è un tentativo di salvaguardare il
cristianesimo e rinnovarlo a partire da una base diversa dal cattolicesimo papista, in modo che
l’Eramismo ha confluenze con il luteranesimo, protestantesimo, è un movimento a parte e
precedente, avrà momenti di rottura. Questo intento di rinnovare il cristianesimo sarà vivo nella
spagna di Carlo V e ha molto a che vedere con il rinnovamento letterario, molti intellettuali
seguiranno le idee di Erasmo, a partire dagli anni 40 ci sarà una caduta dell’influsso di Erasmo e
una persecuzione per mano dell’inquisizione perché gli erasmisti cominciano ad essere dei
cristiani pericolosi, rispetto all’idea cristiana ortodossa dell’inquisizione. Si proibisce la lettura della
Bibbia, è pericoloso leggerla, si consiglia di leggere libro de votos. La letteratura mistica è uno dei
grandi capitoli della letteratura del siglo de oro. Altro capitolo importante sono il teatro e la poesia.

8 marzo
La Spagna, durante il Rinascimento, produce la serie letteraria più solida ed importante di tutta
Europa. Durante il XIV secolo invece è l’Italia al centro della letteratura dell’occidente con autori
medievali come Petrarca, Dante e Boccaccio. La Spagna è più lenta in questa grande fioritura ma
nel XVI secolo sottrae la centralità all’Italia e non lascerà il suo primato fino alla fine del XVII
secolo. Si distinguerà in tutti gli ambiti della letteratura con creazioni che cambieranno ogni genere.
Per quanto riguarda la poesia deve molto all’Italia. Invece per la prosa è molto più originale
nonostante la presenza/influenza di Boccaccio. Nel XVI secolo in Spagna ci sono due grandi filoni
per quanto riguarda la poesia: il filone tradizionale o tradizionalista e il filone innovatista o
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italianista. Il filone tradizionalista si caratterizza attorno a quei generi poetici derivanti dal secolo XV
e si distingue per la metrica corta/breve, ovvero composizioni in versi di arte minore quindi versi
fino ad 8 sillabe (anche 9 ma questi sono rarissimi). A partire dai versi con 10 sillabe si parla invece
di arte maggiore, come avviene per l’endecasillabo (verso del sonetto, cioè formato da 11 sillabe e
per eccellenza il verso della tradizione italiana). La differenza tra questi due filoni è quindi nella
metrica perché il filone italianista utilizzava appunto i versi di arte maggiore.
La vera rivoluzione in questo periodo in Spagna sta nella vocazione che gli spagnoli hanno verso
la poesia: tutti si considerano capaci di comporre e leggere poesia. La poesia si converte in
qualcosa di popolare. Ci sono quindi molti poeti sconosciuti di cui però abbiamo testimonianza di
manoscritti e stampe (impresos). Gli impresos sono importanti da considerare perché
generalmente il manoscritto si trovava in ambiti più piccoli come quello familiare o cortigiano. Le
stampe invece circolavano molto più velocemente, si vende ad un pubblico più ampio. La stampa,
inventata in Germania, si diffonde in tutta Europa a partire dalla seconda metà del secolo XV e in
Spagna soprattutto dai primi anni del secolo XVI. È questa poesia dei primi anni che
maggiormente si diffonde: chiunque può comprare un libro di poesia.
In Spagna diventa di moda ciò che si chiama “Pliegos sueltos”. Sono dei “fascicoli sciolti” (se
prendo un foglio e lo piego a metà due volte ho un libricino di otto pagine). Di questo genere si
calcola siano stati stampati circa un milione di esemplari nel secolo XVI. Si stamparono anche
pliegos di 16, 24 e 32 pagine. Ovviamente è un tipo di poesia che si perde come fosse un giornale
che viene letto e quasi mai conservato. Ne sono stati conservati circa 1000. La maggior parte di
quelli che si conservano sono conservati in biblioteche straniere perché durante il secolo XVIII
furono comprati da turisti e diffusi così nel resto d’Europa. Attraverso pliegos sueltos, impresos e
manoscritti (si copiarono molto soprattutto in Italia, Francia e Spagna) si vanno formando i
Cancioneros. Molta letteratura poetica però, poiché era considerata intima, non sempre era
pubblicata. Ad esempio, le opere di Garcilaso sono state pubblicate soltanto dopo la sua morte.
Questa circolazione manoscritta è molto importanza ed era pubblicata spesso seguendo
semplicemente l’operazione commerciale dell’ “editore” e senza il controllo dell’autore, per questo
ci sono molte edizioni incorrette.
Il primo canzoniere è un canzoniere personale, di un poeta che è Juan del Encina. Visse parte
della sua vita in Italia, a Roma. Alla fine del secolo XV e all’inizio del XVI pubblica un canzoniere a
Salamanca nel 1496. Salamanca è importantissima per la letteratura e come sede universitaria ha
diverse stamperie (imprentas). Aveva un pubblico più vasto, ovvero gli studenti. È un canzoniere
“incunable”, ovvero quelle edizioni definite “en la cuna” e cioè di riferimento agli inizi del nuovo
metodo di stampa di tipo mobile tra la metà del XV secolo e il 1500 incluso. Il canzoniere di Juan
del Encina è un canzoniere personale mentre i canzonieri del secolo XVI sono canzonieri collettivi,
sono antologie poetiche. Quello di Juan del Encina è inoltre un canzoniere colto. È colui che
pubblica “Arte de poesía castellana” che è una raccolta di norme e teorie poetiche, l’arte della
poesia. È quindi un poeta colto, riflessivo, che fa metapoesia poiché teorizza. Ha un concetto di se
stesso alto, molto moderno di poeta che lo porta ad offrire la sua opera come dedica.
I canzonieri che sono invece antologici, raccolte poetiche, sono repertori per le persone. Si
chiamano canzonieri perché le poesie si cantavano nelle corti principalmente. La poesia raccolta
nei canzonieri era popolare ma diventa di moda negli ambienti nobiliari. Juan del Encina
costituisce quindi un modello quasi come Nebrija lo è stato per la lingua.
Il primo canzoniere importantissimo in Spagna è del 1511 pubblicato a Valencia da un editore
tedesco chiamato Kofman. Questo canzoniere è chiamato Cancionero General ed è stato
compilato e raccolto da Hernando del Castillo, un tesoro unico d’Europa che sarà imitato nel 1516
dai portoghesi. È composto da circa 500 pagine ed è un in-folio ovvero un intero foglio piegato solo
a metà per ottenere quattro facciate. Hernando del Castillo era castigliano ed era al servizio di un
conte valenziano, il Conte de Oliva. Creò un modello di letteratura che si perpetuava raccogliendo
opere di diversi autori come ad esempio anche autori del secolo precedente come Juan de Mena,
Jorge Manrique o El Marqués de Santillana ed anche autori anonimi e sconosciuti. Encina, per
esempio, ha scritto molta poesia religiosa ma non è incluso nel canzoniere per questo genere ma
per un romance scritto. C’è anche un’opera di Juan Manuel. La maggior parte di testi sono
canciones che si aprono generalmente con una strofa di 4 o 5 ottosillabi che costituiscono la
canzone a cui seguono 8 o 9 versi ottosillabi che costituiscono la “glosa” (nota) e spiegano la
canzone. Si tratta sempre di una poesia mentale ed interessante perché è il rinnovamento della
poesia lirica. Si concentra attorno a yo (poeta) e tú (soggetto amato). È un discorso lirico la cui
base era stata posta da Petrarca.
Canción pag. 41: Partiendo su amiga → I primi cinque versi sono parte della canción, il resto è la
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glosa che estende ciò che dicono i versi prima. Inoltre, l’ultimo verso è uguale per entrambi (dolor
que nunca sentí).
La presenza del yo e del tú è importantissima e arriva fino alla lirica del secolo XX. Ad esempio,
del secolo XX, è Pedro Salinas, capo della generazione del 27 → Para vivir no quiero.. (pag.41).
Recupera il concetto yo/tú e scrive utilizzando il verso corto, ovvero il verso più frequente di tutta la
lirica spagnola (ottosillabe). È il più autentico, tipico (castizo=de buena casta).
Un altro tipo di composizione che ritroviamo nel cancionero sono le “brevitas”. A partire da un
“lema” (pensiero breve) si costruisce il poema, la canzone. Ad esempio, El Duque Valentinoy
scrive:
He dex(J)ado de ser vuestro → otto sillabe
por ser vos, → tre sillabe
que lex(J)os era ser dos. → il que indica un “porque” → ero così lontano da te da essere due
persone.
È sempre una canzone ma composta da un “lema” o “cifra”, ovvero qualcosa di nascosto, di non
chiaro, che solo la persona a cui è destinata può capire. Solitamente si ponevano nelle casacche o
nelle cinte che si regalavano alle amanti. È una letteratura nobiliare e criptata. Questo lema non ha
glosa.
Un’altra tipica è “Yo sin vos, sin mí, sin Dios”. Jorge Manrique recupera questo verso e lo elabora
maggiormente → pag. 43. Il concetto di adorazione non di Dio ma dell’amata è rinascimentale. È
un transfer tipico ed inquietante dell’epoca che ritroviamo anche nella Celestina: è un’opera
umanistica, una tragicommedia in cui si rappresenta l’amore sfortunato di due giovani che culmina
con la morte casuale di lui e il suicidio di lei. Calisto adora Melibea, “dimenticando” Dio. Lo stesso
transfer di Manrique anticipa quello della Celestina.
I canzonieri nascono alla fine del secolo XV con Juan Del Encina e saranno di moda nei primi anni
del XVI con l’edizione Kofman e poi vi saranno tantissime edizioni per tutto il XVI secolo. Nasce
anche un altro tipo di cancionero più specifico ovvero il Romancero. È un canzoniere di romances.
Mentre i canzonieri avevano diversi tipi di composizioni, i romanceros hanno solo romances,
ovvero composizioni poetiche più popolari di tutta la letteratura spagnola che si continueranno a
comporre fino ad esempio al Romancero Gitano di Lorca. In America ancora si compongono e
molte canzoni sono romances. Sono solitamente in ottosillabi e rimano nei versi pari lasciando
senza rima quelli dispari. Non sempre così, questa è la norma generale. I romances non hanno un
numero definito di versi. Sono composizioni con un numero indefinito di versi. Normalmente sono
poesie narrative, non liriche, anche se alcuni tipi lirici esistono. Hanno solitamente un tema che
sviluppano e si usano tanti versi quanti necessari per raccontare una storia che resta poi senza
conclusione. La storia resta aperta, si sospende. I romances possono essere di attualità, storici o
anche della tradizione mitologica. C’è una grande varietà. Tra quelli storici troviamo i romances
medievali (della reconquista, il Cid, epica), della storia greca, della storia romana o anche i
cosiddetti “romances fronterizos” ovvero quelli che raccontano una storia di guerra o di amore di
frontiera interna di Spagna, cioè la frontiera con gli islamici. Ad esempio molti sono romances di
frontiera in riferimento alla guerra di Granada fatta dai re cattolici alla fine del secolo XV prima che
Granada fosse conquistata. Si raccontano soprattutto i gesti di amore e amicizia tra i due fronti.
Ovviamente non ci riferiamo agli ARABI. In Spagna di arabi ve ne furono pochi: solo quelli che
durante il secolo VIII conquistarono la penisola venivano dall’Arabia o dalla Siria; la massa invece
di mori in Spagna era del nord Africa quindi si parla di islamici o mori. Alcune volte i versi dei
romances possono essere anche di soli 4 versi (la maggior parte sono sempre di 8 e poi alcuni
versi aiutano il ritmo essendo di 4). Un esempio di romance è un romance storico che in realtà è
molto letterario, artistico, aristocratico. Si chiama “Llanto de Pilades por la muerte de Oreste”. È
organizzato in “quintillas”: composizione di cinque versi sempre ottosillabi. Mentre i canzonieri
sono poesie destinate al canto e ad un pubblico specifico, i romanceros sono di corti popolari e di
moda nella seconda metà del secolo XVI e tutto il XVII. Si stampano in Spagna ma anche fuori
perché dobbiamo ricordare che la letteratura spagnola diventa europea, a partire da Carlo V si
parla spagnolo nelle corti. Diventa la lingua diplomatica. Carlo V era in continuo movimento e con
lui la lingua.
Abbiamo anche un romancero incluso nell’edizione del canzoniere di Hernando Del Castillo. È una
sezione specifica ed è nell’edizione del canzoniere del 1524-26.
Nel 1547-48 esce ad Amberes (Anversa) il primo romancero. Si pubblica lì perché Anversa era
territorio della corona di Spagna. Come Napoli, lo erano anche i Paesi Bassi. Era di Martín Nuncio,
editore e pubblicatore. Fa una compilazione di soli romances e si chiama Cancionero de
romances, sono romances da cantare. Era destinato ai soldati che erano nei paesi Bassi per la
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questione protestante, inviati da Carlo V. Compravano questo libro per distrarsi. Era destinato a
quel pubblico ed aveva quindi un intendo consolatorio, di conforto. È un pubblico che si muove
molto e che ha problema di nostalgia della propria patria. Sono 156 romances: 75 vengono dai
pliegos sueltos, 36 vengono dal cancionero general e 20 da manoscritti non identificati. Altri 10
provengono dalla tradizione orale. Questo cancionero de romances avrà un successo clamoroso e
sarà editato in Spagna negli anni successivi. Sono edizioni a cui si aggiungono altri romances, non
sono identici a quelli dell’edizione del 47-48. C’è ad esempio l’edizione di Medina del Campo del
1550. Medina del Campo era una piccola città vicino Valladolid importante per la letteratura perché
l’opera più bella di Lope de Vega era ambientata lì. Nuncio pubblica di nuovo l’edizione del
cancionero de romances ed è un’espansione come qualsiasi antologia. C’è un ciclo di temi sulla
perdita di Spagna, poemi epici, una serie di poemi dedicati all’invasione musulmana e ai motivi per
i quali si perse. C’è il ciclo di Bernardo del Carpio (poema epico su una guerra nei Pirenei). Il ciclo
di Fernán González o Cid (dedicato alla reconquista), ciclo della perdita de Granada (i mori che
hanno perso Granada e piangono la sua perdita). C’è il ciclo mitologico e il ciclo dedicato alla
tristezza di Menelao, il ciclo sull’incendio di Roma e sulla crudeltà di Nerone. I romances sono
quindi storie di qualsiasi tipo o genere rielaborate. Si organizzano in redondillas (strofe di 4 versi
ABBA) oppure in quintillas (strofe di 5 versi ABBAB).

9 marzo
Garcilaso de la Vega nasce a Toledo ed è contemporaneo dell’imperatore Don Carlos. Carlo V
nasce infatti nei Paesi Baschi nel 1500 e Garcilaso nel 1501. Nello stesso anno dell’imperatore
nasce anche Solimano e sarà il grande sultano turco nemico di Carlo V. Garcilaso parteciperà
attivamente in alcune delle campagne di Carlo V contro Solimano. Sarà un soldato poeta.
Garcilaso parteneva ad una famiglia nobile, non molto elevata ma comunque una famiglia distinta
che sarà in contatto con l’imperatore. Garcilaso sarà Guardia de Corps dell’imperatore dal 1520, a
soli 19 anni. La famiglia avrà un problema che intaccherà anche Garcilaso: con la rivolta delle
comunità, il fratello di Garcilaso prenderà parte alla guerra (essenzialmente contro Carlo V) e sarà
poi per questo esiliato e morirà successivamente. La famiglia è quindi divisa tra chi affiancava
Carlo V e chi affiancava le comunità. C’è anche da ricordare che Toledo sarà proprio il centro di
queste rivolte. Come Guardia de Corps, accompagna Carlo continuamente nei suoi viaggi. La
capitale di Spagna era Toledo che era stata capitale già dai tempi dei visigoti (quando dopo la
Reconquista passa in mano cristiana viene comunque nominata nuovamente capitale) anche se la
corte non era fissa. Sarà poi Filippo II, figlio di Carlo V, a nominare Madrid capitale. A Toledo,
Garcilaso riceverà la sorella dell’imperatore e proprio con la sua dama si sposerà. La dama si
chiamava *è scritto sul libro, non l’ho capito* e avranno quattro figli. Ha avuto molti amori differenti:
il più conosciuto è quello con la dama portoghese di Isabella di Portogallo. La dama era Isabel
Freyre che morirà nel 1533 circa, morirà di parto. Garcilaso la idealizza nelle sue poesie (sarà
Elisa nelle sue eglogas). Avrà un altro amore di cui fino ad ora non si era affatto raccontato e di cui
parlerà l’editore dell’opera completa di Garcilaso che è un professore dell’università di Barcellona,
Bienvenido Morros. Racconta che questo amore era con una dama vicina di casa con cui ebbe
anche un figlio. Nel 1529 l’imperatore deve essere incoronato a Bologna, posto neutrale a
differenza di Roma che non lo era più in seguito al problema del Sacco di Roma (i lanzichenecchi,
soldati mercenari dell’esercito di Carlo V, saccheggiano Roma nel 1527). Nel 1530 è incoronato e
Garcilaso lo accompagna in quello che sarà il suo primo viaggio in Italia. Ha un problema con
l’imperatore: il figlio del fratello rivoluzionario Pedro si sposa con una donna che l’imperatore aveva
destinato ad un altro e Garcilaso assiste anche al matrimonio quindi l’imperatore lo esilia ad
un’isola del Danubio. Qui avrà molto tempo per scrivere e tutto ciò che prova da raccontare.
Intanto Don Pedro chiede all’imperatore di perdonare Garcilaso e di condurlo alla sua corte a
Napoli. L’imperatore lo consente e così il poeta arriva a Napoli nel 1532. Continuerà la sua vita di
soldato e nel 1535 viene ferito durante una battaglia a Túnez. Torna a Napoli e guarisce ma l’anno
dopo durante la guerra contro la Francia (Francesco I) e un attacco alla fortezza di Le Muy viene
ucciso. Sarà sepolto a Nizza e solo due anni dopo, 1538, i suoi resti arrivano a Toledo.
Nel sedicesimo secolo la poesia non si pubblicava ma circolava tra gli amici dei poeti. La stampa
era lontana dalla maggior parte dei poeti. Garcilaso de la Vega condivideva le sue poesie con
l’amico Juan Boscán, poeta di Barcellona. Garcilaso prova a scrivere in endecasillabi, prova quindi
la metrica del sonetto. Boscán organizzerà un canzoniere doppio che unisce le sue opere a quelle
di Garcilaso che uscirà postuma alla morte di entrambi. Sarà la vedova di Boscán a pubblicarla nel
1543. Parliamo dell’ “edición príncipe” (prima edizione di un testo). L’opera si chiama “Las obras de
Boscán y algunas de Garcilaso de la Vega”. Il titolo fa già comprendere che le opere non erano
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tutte e nelle edizioni successive saranno aggiunte poesie. Il libro avrà molto successo e sarà
sempre ripubblicato. Quando si capisce che la grandezza del libro sta nelle opere di Garcilaso,
queste iniziano ad essere pubblicate sole. La prima edizione delle sue sole opere è
importantissima in quanto edizione critica e si pubblica a Salamanca nel 1569. È un’edizione di cui
si interessa un professore di retorica dell’università di Salamanca (città centrale della letteratura). È
un’edizione filologica, quindi, commentata. Si cercano le radici e le fonti di Garcilaso. Il professore
che ricerca e che ne scrive era Francisco Sánchez de las Brozas, meglio conosciuto come “el
Brocense”. Sarà editata a Lisbona e anche a Napoli. Nel 1604 avremo infatti un’edizione
napoletana dell’edizione salmantina di de las Brozas. Un’altra edizione importante sarà fatta nel
1580 a Sevilla da Fernando de Herrera ed è conosciuta come “Anotaciones”. L’edizione critica
avrà però molto più successo nonostante quella di Herrera abbia un impatto maggiore però forse
troppo pesante.
L’opera di Garcilaso può essere divisa in tre parti:
- canciones y sonetos: le canzoni sono cinque e i sonetti sono quaranta;
- due elegie e un’epistole;
- tre egloghe.
NB: sono componimenti conosciuti fino ad ora, non si può escludere che possano esisterne altri
ancora da scoprire, soprattutto a Napoli dove ebbe un rapporto amabile con la popolazione e
potrebbe averne lasciati a qualcuno.
C’è un quarto gruppo a cui quasi mai si fa riferimento e sono “las coplas castellanas”. Tutti e tre gli
altri gruppi sono “italianizzati” e scritti in endecasillabi. Las coplas sono invece di influenza
spagnola e scritti quindi in ottosillabi. Un quinto gruppo è quello scritto in latino di influenza
umanistica napoletana.
Le influenze sono tantissime tanto da poter parlare di “intertextualidad” sistematica delle sue
opere, ovvero una composizione mista e dinamica di tutto ciò che era stato fatto prima. È
un’imitazione composta tipica della Spagna. Gli autori spagnoli mai si limitavano ad un unico poeta
di riferimento, a differenza degli italiani che ricordavano bene l’ars poetica di Orazio. In Italia ci
sono poesie molto “corrette” dal punto di vista della metrica e delle regole da seguire.
Garcilaso inizia le sue opere con il modello del canzoniere e con l’influenza di un poeta del secolo
quindicesimo che scrive in catalano ed è valenciano, ovvero Ausías March (si legge Mark). Tra le
altre fonti ci sono anche i classici letti a Toledo e portati alla corte dai re cattolici durante la
reconquista, in Italia li approfondirà. Un’altra fonte fu data dal contatto con Juan de Valdés,
religioso. A Napoli farà una rilettura critica di Petrarca e un approfondimento prodigioso della
cultura latina e umanista, ovvero Orazio (equilibrio della composizione), Ovidio (metamorfosi) e
Virgilio (pastorale). Assimilerà tutto questo e va a riproporlo in maniera geniale.
SONETTO XIII → A DAFNE
A Dafne ya los brazos le crecían,
y en luengos ramos vueltos se mostraba;
en verdes hojas vi que se tornaban
los cabellos que el oro escurecían.

De áspera corteza se cubrían


los tiernos miembros, que aún bullendo estaban:
los blancos pies en tierra se hincaban,
y en torcidas raíces se volvían.

Aquel que fue la causa de tal daño,


a fuerza de llorar, crecer hacía
este árbol que con lágrimas regaba.

¡Oh miserable estado! ¡oh mal tamaño!


¡Que con llorarla crezca cada día
la causa y la razón porque lloraba!
È un sonetto, ovvero un componimento breve di 14 versi endecasillabi con due quartine
(cuartetos) e due terzine (terzetos). In questo sonetto la rima è consonante, ovvero rima vocale e
consonante. Si parla di rima assonante invece quando rimano solo le vocali. La rima consonante è
più difficile, quindi. La rima della prima quartina è ABBA. Marques de Santillana provò a creare
l’endecasillabo ma non ci riuscì perché non era tipico spagnolo. Boscán e Garcilaso ci riusciranno.
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Il sonetto inizia in medias res con la metamorfosi già in atto: Dafne si sta trasformando in albero (è
il momento in cui Apollo si sta avvicinando a lei e Dafne chiede ai genitori di trasformarla per
proteggerla). Si perde l’armonia della bellezza femminile perché le braccia “ya” le stanno
crescendo. “Luengo” si utilizzava in spagnolo antico ed oggi è conservato solo in alcuni territori
dell’America Latina. Il verbo nella quartina è sempre alla fine del verso. I capelli dorati si stavano
trasformando in foglie verdi. Nel terzo verso c’è però un verbo centrale che è in prima persona: “yo
vi”, il poeta è testimone della metamorfosi ed irrompe nel poema. C’è un doppio livello, una sorta di
“mise en abyme” che crea più piani della trasformazione: la trasformazione di Dafne e il punto di
vista del poeta testimone. Anche nella seconda quartina il verbo è alla fine del verso. Gli organi
interni della donna erano però ancora vivi, nonostante si coprissero di corteccia. “Bullendo” indica
qualcosa che si muove molto. I piedi affondavano nella terra e si trasformavano in radici. L’albero
era alimentato dalle lacrime dell’amante e non dall’acqua. L’ultima terzina si riferisce ad Apollo che
è la causa e la ragione per cui Dafne si è trasformata in un albero.
Bienvenido Morros spiega che Garcilaso potrebbe aver visto a Napoli una rappresentazione di
questa scena e che potrebbe così trattarsi di una “ekphrasis”, ovvero la descrizione verbale di
un'opera d'arte visiva, come ad esempio un quadro, una scultura o un'opera architettonica. Ci sono
molti esempi di questa tecnica nella poesia rinascimentale. È una poesia molto visuale. Elias
Rivers, studioso americano, sostiene che il tema del sonetto sia la circolarità del dolore amoroso,
un circolo vizioso. Inoltre sappiamo che l’alloro è la pianta della gloria e quindi Rivers vi vedeva
anche l’idea che l’amore desse la gloria allo scrittore, al poeta. C’è quindi un’identità tra soggetto
amoroso e scrittura poetica come aveva scritto Petrarca riferendosi a Laura (sua musa ispiratrice e
di ispirazione del nome da “alloro”).
CANCIóN III → solo il primo gruppo di versi
Con un manso rüido
d’agua corriente y clara
cerca el Danubio una isla que pudiera
ser lugar escogido
para que descansara
quien, como estó yo agora, no estuviera:
do siempre primavera
parece en la verdura
sembrada de las flores;
hacen los ruiseñores
renovar el placer o la tristura
con sus blandas querellas,
que nunca, dia ni noche, cesan dellas.
Ci sono versi brevi e versi lunghi, è un misto. I primi due versi sono di sette sillabe mentre già il
terzo è un endecasillabo. L’immagine che sceglie il poeta è quella del fiume Danubio e proviene da
un salmo, quindi probabilmente un’ispirazione biblica. Ricordiamo anche che viveva a Toledo dove
c’era un “tajo” ovvero una sorta di scarpata creata proprio da un fiume. Garcilaso descrive un
rumore dolce fatto dal fiume. Spiega che potrebbe essere un “locus amoenus” bellissimo da
raccontare se non fosse nella sua condizione di esiliato. Questa stessa divisione di versi di “arte
minore” e “arte maggiore” si ritrova nella canzone V, scritta per Violante Sanseverino, una donna
che viveva a Napoli nella zona di Piazzetta Nilo (google maps può soltanto accompagnare).
Questa dama ha un pretendente, Mario Galeota, che è amico di Garcilaso. Lei lo rifiuta e Garcilaso
scrive una poesia per essere intermediario tra i due. È la canzone più armonica tra quelle scritte da
Garcilaso.
CANCIóN V → A flor de Gnido
Si de mi baja lira → (la parola “lira” ha dato il nome a questa composizione mista)
tanto pudiese el son, que en un momento
aplacase la ira
del animoso viento
y la furia del mar y el movimiento;

y en ásperas montañas
con el suave canto enterneciese
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las fieras alimañas,


los árboles moviese,
y al son confusamente los traxese;

no pienses que cantado


sería de mí, hermosa flor de Gnido,
el fiero Marte airado,
a muerte convertido,
de polvo y sangre, y de sudor teñido;

ni aquellos capitanes
en las sublimes ruedas colocados,
por quien los alemanes
el fiero cuello atados,
y los franceses van domesticados.

Mas solamente aquella


fuerza de tu beldad sería cantada,
y alguna vez con ella
también sería notada
el aspereza de que estás armada;

y cómo por ti sola,


y por tu gran valor y fermosura,
convertido en viola,
llora su desventura
el miserable amante en tu figura.

Hablo de aquel cautivo,


de quien tener se debe más cuidado,
que está muriendo vivo,
al remo condenado,
en la concha de Venus amarrado.

Por ti, como solía,


del áspero caballo no corrige
la furia y gallardía
ni con freno le rige,
ni con vivas espuelas ya le aflige.

Por ti, con diestra mano,


no revuelve la espada presurosa,
y en el dudoso llano
huye la polvorosa
palestra como sierpe ponzoñosa.
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Por ti, su blanda musa,


en lugar de la cítara sonante,
tristes querellas usa,
que con llanto abundante
hacen bañar el rostro del amante.

Por ti, el mayor amigo


le es importuno, grave y enojoso;
yo puedo ser testigo
que ya del peligroso
naufragio fui su puerto y su reposo.

Y agora en tal manera


vence el dolor a la razón perdida,
que ponzoñosa fiera
nunca fue aborrecida
tanto como yo dél, ni tan temida.

No fuiste tú engendrada
ni producida de la dura tierra;
no debe ser notada
que ingratamente yerra
quien todo el otro error de sí destierra.

Hágate temerosa
el caso de Anaxárate, y cobarde,
que de ser desdeñosa
se arrepintió muy tarde;
y así, su alma con su mármol arde.

Estábase alegrando
del mal ajeno el pecho empedernido,
cuando abaxo mirando
el cuerpo muerto vido
del miserable amante, allí tendido.

Y al cuello el lazo atado


con que desenlazó de la cadena
el corazón cuitado,
que con su breve pena
compró la plena punición ajena.

Sintió allí convertirse


en piedad amorosa el aspereza.
¡Oh tardo arrepentirse!
¡Oh última terneza!
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¿Cómo te sucedió mayor dureza?

Los ojos se enclavaron


en el tendido cuerpo que allí vieron;
los huesos se tornaron
más duros y crecieron,
y en sí toda la carne convirtieron;

las entrañas heladas


tornaron poco a poco en piedra dura;
por las venas cuitadas
la sangre su figura
iba desconociendo y su natura;

hasta que finalmente


en duro mármol vuelta y transformada,
hizo de sí la gente
no tan maravillada
cuanto de aquella ingratitud vengada.

No quieras tú, señora,


de Némesis airada las saetas
probar, por Dios, agora;
baste que tus perfetas
obras y fermosura a los poetas

den inmortal materia,


sin que también en verso lamentable
celebren la miseria
de algún caso notable
que por ti pase triste y miserable.

Si mostra come intermediario del suo amico e spiega alla donna la condizione dell’amico che
prima era un cavaliere e dominava cavalli, ora non fa più nulla, non vuole vedere i suoi amici per il
dolore che prova. Dopo aver spiegato la situazione drammatica dell’amico, inizia a spiegare a lei
come dovrebbe mostrarsi, non così dura come è stata. Usa un linguaggio lirico, amoroso e anche
bellico. Ci sono allusioni mitologiche, letterarie e geografiche. Parla dell’inumanità quasi di
Violante. Alla fine parla di nemesi, ovvero il castigo che la trasforma in pietra perché si accorge
dell’amore dell’uomo solo nel momento in cui questo sta morendo di dolore.
Garcilaso continua ad influenzare la poesia spagnola ancora oggi.

Un ambito tipico della prosa in Spagna è la prosa di cavalleria (novela de caballeria). C’è da fare
differenza tra “novella” italiana e “novela” in castigliano. La prima è un testo in prosa breve
esemplare. La seconda è un testo in prosa lungo. Quello che in italiano è definito “novella” in
spagnolo è “novela breve/ejemplar”. Quindi romanzo italiano è novela spagnola. Mentre il
“romance” è una composizione poetica narrativa in ottosillabi che rima normalmente nei versi pari
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in rima assonante.
Las novelas de caballeria diventano le letture preferite degli spagnoli dall’inizio del secolo XVI.
Hanno origine medievale dalla Francia. Narra una storia che potrebbe sembrare vera ma non lo è.
È finzionale, contesto storico con contenuto fantastico. Ci sono persone che le vedono come vere,
sarà il caso di Don Quijote che sarà convinto che le storie di cavalleria narrano fatti veri, reali. Il
problema tra realtà e finzione è quindi antico e continua ancora oggi con internet. Tutti leggevano
opere di cavalleria in Spagna, sia nobili che religiosi (imperatori e Juan de Valdés). Sono
generalmente romanzi di formazione.

12 marzo
Con la prosa passiamo dalla prima alla seconda metà del XVI secolo, quindi dall’epoca di Carlo V
a quella di Filippo II.
Carlo V è in realtà Carlo I di Spagna, il V si riferisce al fatto che sia imperatore del Sacro Romano
Impero.
Nella prima metà del secolo abbiamo la questione poetica che abbiamo visto, cancioneros,
romanceros, italianizzanti e tradizionali. Abbiamo il teatro e la prosa. I romanzi di cavalleria sono
per esempio della prima metà del secolo e ripropongono materiali medievali che provengono dalla
Francia. È un genere nuovo ma con materiale tradizionale che viene dal Medioevo.
Nella seconda metà del secolo sorgono nuovi generi, un genere NUOVO in Spagna e in tutto il
mondo, è il romanzo picaresco. Avrà enorme diffusione in tutta Europa e l’opera che fonda questo
genere è Lazarillo de Tormes. Quest’opera quindi non appartiene al genere picaresco ma lo fonda.
Appartengono invece a questo genere le opere successive che lo imitano come Guzmán Alfarache
de Mateo Alemán e Buscón de Quevedo di Francisco de Quevedo.
Il Lazarillo è una narrazione in prosa le cui caratteristiche fondamentali sono la sua brevità e il fatto
che sia organizzato in forma di lettera. È scritto quindi in prima persona, parla Lazaro de Tormes e
scrive una lettera in risposta ad un’altra lettera che non conosciamo, scritta da una persona di
rispetto di cui non sappiamo il nome. Lazaro si riferisce a questa persona con il titolo di “Vuestra
Merced”. L’Inquisizione inizia a rafforzare il controllo sociale, è possibile che questa Vuestra
Merced stia facendo un’investigazione su un “caso” che scandalizza certi ambienti di Toledo.
Questo caso riguarda un parroco della chiesa di Santo Tomé ha un’amante, era una cosa
frequente nel clero medievale e la chiesa inizia a controllare fortemente questa situazione con la
riforma cattolica. L’amante del parroco è la moglie di Lazaro e nella lettera si racconta l’itinerario di
Lazaro fino a sposarsi con questa ragazza che è domestica a casa del parroco e sua amante. È
quindi un itinerario personale di Lazaro, una specie di autobiografia, e racconta di come ha
intenzione di accettare il tutto, è quindi un itinerario di DISONORE, al contrario dell’epica che
esaltava l’onore. La picaresca quindi cambia completamente orientamento, la picaresca inglese
imiterà maggiormente quella spagnola.
Nell’opera ci sono vari ritmi, è lenta, poi veloce e alla fine rallenta nuovamente. Il primo paradosso
è che dovrebbe essere scritta da una persona analfabeta ma è scritta molto bene, imita i classici.
È un paradosso quindi che un uomo caratterizzato da disonore voglia imitare i classici anche già
nel genere, l’epistola, genere rinascimentale. È un’opera anonima, sono state fatte ipotesi ma
nessuna solida. Non si sono conservati manoscritti antichi dell’opera, abbiamo solo i testi stampati,
la cosa curiosa è che tutte le prime edizioni dell’opera sono dello stesso anno: 1554, di questo
anno ci sono 4 edizioni. Questo vuol dire che già all’epoca era molto di moda. La letteratura del
Lazarillo e dei romanzi cavallereschi è letteratura di intrattenimento, non morale, e non deve
sorprenderci il fatto che le prime edizioni siano state perdute. I libri di intrattenimento si vendevano
a prezzo basso e quindi erano deboli, si rompevano.
Le edizioni del 1554 sono state pubblicate a Burgos, Alcalá de Henares (sede universitaria) e
Amberes, città nei Paesi Bassi. La quarta edizione è stata pubblicata a Medina de Campo, città
commerciale, bancaria, delle fiere commerciali. Quest’ultima è stata scoperta recentemente in
Extremadura, un muratore ha buttato giù il muro di una casa ed è stato trovato un armadio pieno di
libri proibiti dall’Inquisizione, tra questi libri proibiti c’era il Lazarillo.
In Spagna l’indice dei libri proibiti includeva libri che potessero essere pericolosi o scandalosi per
la fede. La prima lista che abbiamo è la lista di un inquisitore che si chiamava Valdés, del 1559, ed
è presente il Lazarillo perché accusa il clero. Per quanto riguarda le opere che trattano di eros,
erano ignorate dall’Inquisizione. A partire dal 1559 quindi il Lazarillo non si pubblica, ricomincia ad
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essere pubblicato nel 1573 ma censurato. Sarà uno dei libri più letti in Spagna in quella seconda
metà del secolo e si traduce rapidamente in tutte le lingue moderne d’Europa.
Lazaro inizia a raccontare a partire dalla sua nascita.
«Y pues V.M. escribe se le escriba y relate el caso por muy extenso, parecióme no tomalle por el
medio, sino por el principio, porque se tenga entera noticia de mi persona, y también porque
consideren los que heredaron nobles estados cuán poco se les debe, pues Fortuna fue con ellos
parcial, y cuánto más hicieron los que, siéndoles contraria, con fuerza y maña remando, salieron a
buen puerto.»
Nell’ultima parte del prologo tratta il tema della fortuna, parla del fatto che i nobili non hanno
dovuto fare niente, sono già nati nobili. Lui si compara con questa nobiltà e si pone nel gruppo al
quale la fortuna è stata contraria e che hanno dovuto “con fuerza y maña remando, entre
dificultades y contrariedades, para llegar a buen puerto”, il “buen puerto” è questa situazione di
scandalo.
«Pues sepa vuestra merced ante todas cosas que a mí llaman Lázaro de Tormes, hijo de Tome
González y de Antonia Pérez, naturales de Tejares, aldea de Salamanca. Mi nacimiento fue dentro
del río Tormes, por la cual causa tome el sobrenombre, y fue desta manera. Mi padre, que Dios
perdone, tenia cargo de proveer una molienda de una acena, que esta ribera de aquel río, en la
cual fue molinero mas de quince anos; y estando mi madre una noche en la acena, preñada de
mí, tomole el parto y pariome allí: de manera que con verdad puedo decir nacido en el río. Pues
siendo yo niño de ocho años, achacaron a mi padre ciertas sangrías mal hechas en los costales
de los que allí a moler venían, por lo que fue preso, y confeso y no negó y padeció persecución
por justicia. Espero en Dios que esta en la Gloria, pues el Evangelio los llama bienaventurados.
En este tiempo se hizo cierta armada contra moros, entre los cuales fue mi padre, que a la sazón
estaba desterrado por el desastre ya dicho, con cargo de acemilero de un caballero que allá fue, y
con su señor, como leal criado, feneció su vida.»
Nella prima parte si presenta, il nome sembra importante, sembra cavalleresco, presenta anche i
suoi genitori e il luogo di origine. Sta imitando i romanzi cavallereschi ma la sua famiglia è di umili
origini, il padre era mugnaio e i mugnai avevano fama di essere ladri, erano poveri e non avevano
una casa, questo era parte del folklore tradizionale. Ironizza i romanzi cavallereschi. Dopo la
nascita passa all’infanzia “niño de ocho años”. Abbiamo un altro paradosso, il padre è un ladro
però è benedetto perché ha subito una persecuzione per la giustizia. C’è un ribaltamento tra i
concetti nobili e il modo in cui li utilizza Lazaro. Lazaro diventa orfano perché il padre muore in
un’impresa guerriera.
«Mi viuda madre, como sin marido y sin abrigo se viese, determino arrimarse a los buenos por ser
uno dellos, y vinose a vivir a la ciudad, y alquilo una casilla, y metiose a guisar de comer a ciertos
estudiantes, y lavaba la ropa a ciertos mozos de caballos del Comendador de la Magdalena, de
manera que fue frecuentando las caballerizas. Ella y un hombre moreno de aquellos que las
bestias curaban, vinieron en conocimiento. Este algunas veces se venia a nuestra casa, y se iba a
la mañana; otras veces de día llegaba a la puerta, en achaque de comprar huevos, y entrabase en
casa. Yo al principio de su entrada, pesabame con el y habiale miedo, viendo el color y mal gesto
que tenia; mas de que vi que con su venida mejoraba el comer, fuile queriendo bien, porque
siempre traía pan, pedazos de carne, y en el invierno leños, a que nos calentábamos. De manera
que, continuando con la posada y conversación, mi madre vino a darme un negrito muy bonito, el
cual yo brincaba y ayudaba a calentar. Y acuerdome que, estando el negro de mi padre
trebejando con el mozuelo, como el niño veía a mi madre y a mí blancos, y a él no, huía del con
miedo para mi madre, y señalando con el dedo decía: "¡Madre, coco!". Respondió él riendo:
"¡Hideputa!" Yo, aunque bien muchacho, note aquella palabra de mi hermanico, y dije entre mí:
"¡Cuantos debe de haber en el mundo que huyen de otros porque no se ven a sí mesmos!"»
Notiamo ancora una volta il livello di vita infimo della madre. Comincia una relazione con un nero,
probabilmente uno schiavo ed ebbero un figlio. In un primo momento abbiamo un livello di
sussistenza precaria e la madre deve accettare cibo dall’amante. Lazaro all’inizio aveva paura di
lui ma quando vede il cibo si affeziona. Il bambino non si rendeva conto che era anche lui nero.
Continua la narrazione di questa famiglia mista, siamo in una Spagna imperiale in cui esiste la
schiavitù. Alla fine l’uomo finisce nelle mani dell’Inquisizione e si distrugge la famiglia. La madre va
a lavorare in una locanda di Salamanca e visto che non può mantenere entrambi i figli, consegna
Lazaro ad un cieco e diventa il suo “facchino”. È importantissimo perché la coppia formata da un
cieco e un ragazzo era una coppia tradizionale, soprattutto della Francia. Questi ciechi erano
mendicanti che cantavano per martiri, santi, donne incinte. Lazaro si riferisce al cieco per tutta la
sua vita, sarà il suo maestro. L’itinerario di disonore quindi inizia a partire dalla famiglia, gli esempi
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che ha ricevuto e dal maestro che ha avuto. Il cieco è egoista, taccagno e lo forma, gli dà esempi
per la vita. Lazaro ci racconta una serie di episodi che riguardano questa sorta di educazione al
contrario ricevuta dal cieco, un’educazione alla furbizia, inganno, violenza. Il cieco picchia Lazaro.
«Salimos de Salamanca, y llegando a la puente, esta a la entrada della un animal de piedra, que
casi tiene forma de toro, y el ciego mandome que llegase cerca del animal, y allí puesto, me dijo:
"Lázaro, llega el oído a este toro, y oirás gran ruido dentro del."Yo simplemente llegue, creyendo
ser ansí; y como sintió que tenia la cabeza par de la piedra, afirmo recio la mano y diome una
gran calabazada en el diablo del toro, que más de tres días me duró el dolor de la cornada, y
dijome: "Necio, aprende que el mozo del ciego un punto ha de saber mas que el diablo", y rió
mucho la burla.»
Lui e il cieco vanno via da Salamanca. “La puente”, prima era femminile, si tratta di un importante
ponte romano sul fiume Tormes. Questo è il primo episodio esemplare del cieco, è un episodio
violento sia perché c’è il colpo che dà Lazaro con la testa, sia perché c’è la parola “necio”,
ignorante, cretino. Abbiamo quindi una serie di scherzi, a volte violenti. Per esempio il cieco
compra cibo ma non ne dà a sufficienza a Lazaro, una volta compra del vino e Lazaro ottiene una
cannuccia e comincia a bere il vino, il cieco se ne accorge allora Lazaro fa un foro sul fondo della
bottiglia e beve quello che cade ma anche in questo caso il cieco se ne accorge e gli rompe la
brocca sul viso rompendogli i denti. Abbiamo poi una vendetta e un abbandono del cieco. Abbiamo
una simmetria tra l’inizio e la fine della loro relazione, all’inizio c’è il colpo di Lazaro al toro e alla
fine Lazaro dà un’indicazione sbagliata al cieco per farlo sbattere contro un pilastro e cadere.
Il secondo padrone di Lazzaro è un prete e si rivela ancora più taccagno del primo. Ha il pane e il
formaggio chiusi a chiave in un baule e Lazaro racconta come riesce ad ottenere la chiave per
aprire il baule e mangiare. Lo lascia presto e va a Toledo dove entra al servizio di un terzo
padrone. Si tratta di uno scudiero così povero da dover lasciare la sua città e trasferirsi a Toledo
(imperial ciudad) per cercare fortuna. È così povero che non ha niente, ha una casa in affitto
completamente vuota. Lui all’inizio tratta bene Lazaro e quando Lazaro si rende conto che lo
scudiero è poverissimo diventa mendicante e porta a casa il cibo per il suo padrone. Questa è una
relazione di pietà e alla fine è lo scudiero che abbandona Lazaro perché la giustizia lo trova perché
non pagava l’affitto. Ancora una volta vediamo quindi un ribaltamento della situazione normale.
Lazaro ha poi altri 3/4 padroni che hanno a che fare con la chiesa, alcuni dettagli fanno pensare
che si tratti di omosessuali e poi un imbroglione che vendeva indulgenze false.
Dopo Lazaro va a Toledo e trova la soluzione ai suoi problemi. Incontra questo sacerdote che gli
dà un asino per farlo andare alla fonte a prendere acqua e vederla per la città, questo è il suo
primo lavoro per il sacerdote. Quest’ultimo propone poi a Lazaro il matrimonio con la sua
domestica, Lazaro accetta perché così avrà una casa e una sposa. Lui è informato di tutta la
situazione e quindi dice a vuestra merced che non gli importa e accetta il tutto. Inoltre il parroco gli
ha dato anche un posto fisso come banditore di corte presso il re, si tratta del lavoro più infimo e
disonorevole a corte, si tratta del boia dei re condannati a morte.
«Y pensando en que modo de vivir haría mi asiento por tener descanso y ganar algo para la vejez,
quiso Dios alumbrarme y ponerme en camino y manera provechosa; y con favor que tuve de
amigos y señores, todos mis trabajos y fatigas hasta entonces pasados fueron pagados con
alcanzar lo que procuré, que fue un oficio real, viendo que no hay nadie que medre sino los que le
tienen; en el cual el día de hoy vivo y resido a servicio de Dios y de vuestra merced. Y es que
tengo cargo de pregonar los vinos que en esta ciudad se venden, y en almonedas y cosas
perdidas, acompañar los que padecen persecuciones por justicia y declarar a voces sus delitos:
pregonero, hablando en buen romance.»
Parla di voler conservare qualcosa per la vecchiaia, caratteristica tipica della borghesia. Con
“acompañar los que padecen persecuciones por justicia” si riferisce ai re condannati a morte.
«Hame sucedido tan bien, yo le he usado tan fácilmente, que casi todas las cosas al oficio
tocantes pasan por mi mano: tanto que en toda la ciudad el que ha de echar vino a vender o algo,
si Lázaro de Tormes no entiende en ello, hacen cuenta de no sacar provecho.»
In qualche modo monopolizza la vendita del vino grazie al fatto che deve elogiare i vini.
«En este tiempo, viendo mi habilidad y buen vivir, teniendo noticia de mi persona el señor
arcipreste de Sant Salvador, mi señor, y servidor y amigo de vuestra merced, porque le pregonaba
sus vinos, procuró casarme con una criada suya; y visto por mí que de tal persona no podía venir
sino bien y favor, acordé de lo hacer. Y así me casé con ella, y hasta agora no estoy arrepentido;
porque, allende de ser buena hija y diligente, servicial, tengo en mi señor arcipreste todo favor y
ayuda. Y siempre en el año le da en veces al pie de una carga de trigo, por las Pascuas su carne,
y cuando el par de los bodigos, las calzas viejas que deja; e hízonos alquilar una casilla par de la
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suya. Los domingos y fiestas casi todas las comíamos en su casa. Mas malas lenguas, que nunca
faltaron ni faltaran, no nos dejan vivir, diciendo no sé qué, y sí sé qué, de que veen a mi mujer irle
a hacer la cama y guisalle de comer. Y mejor les ayude Dios que ellos dicen la verdad porque,
allende de no ser ella mujer que se pague destas burlas, mi señor me ha prometido lo que pienso
cumplirá. Que él me habló un día muy largo delante della, y me dijo: “Lázaro de Tormes, quien ha
de mirar a dichos de malas lenguas, nunca medrará. Digo esto porque no me maravillaría alguno,
viendo entrar en mi casa a tu mujer y salir della. Ella entra muy a tu honra y suya, y esto te lo
prometo. Por tanto, no mires a lo que pueden decir, sino a lo que te toca, digo a tu provecho”.
“Señor -le dije-, yo determiné de arrimarme a los buenos. Verdad es que algunos de mis amigos
me han dicho algo deso, y aun, por más de tres veces me han certificado que, antes que comigo
casase, había parido tres veces, hablando con reverencia de V.M., porque esta ella delante.”
Entonces mi mujer echó juramentos sobre sí, que yo pensé la casa se hundiera con nosotros, y
después tomóse a llorar y a echar maldiciones sobre quien comigo la había casado, en tal manera
que quisiera ser muerto antes que se me hobiera soltado aquella palabra de la boca. Mas yo de
un cabo y mi señor de otro, tanto le dijimos y otorgamos que cesó su llanto, con juramento que le
hice de nunca más en mi vida mentalle nada de aquello, y que yo holgaba y había por bien de que
ella entrase y saliese, de noche y de día, pues estaba bien seguro de su bondad. Y así quedamos
todos tres bien conformes. Hasta el día de hoy, nunca nadie nos oyó sobre el caso; antes, cuando
alguno siento que quiere decir algo della, le atajo y le digo: “Mira: si sois amigo, no me digáis cosa
con que me pese, que no tengo por mi amigo al que me hace pesar; mayormente si me quieren
meter mal con mi mujer, que es la cosa del mundo que yo mas quiero, y la amo más que a mí. Y
me hace Dios con ella mil mercedes y más bien que yo merezco; que yo juraré sobre la hostia
consagrada que es tan buena mujer como vive dentro de las puertas de Toledo. Quien otra cosa
me dijere, yo me mataré con él.” Desta manera no me dicen nada, y yo tengo paz en mi casa.
Esto fue el mesmo año que nuestro victorioso Emperador en esta insigne ciudad de Toledo entró y
tuvo en ella cortes, y se hicieron grandes regocijos, como vuestra merced habrá oído. Pues en
este tiempo estaba en mi prosperidad y en la cumbre de toda buena fortuna.»
“Las cortes” erano una specie di parlamento convocato dal re per ottenere assunzioni, ecc, era
una forma di democrazia. Las cortes di Carlo V sono del 1525 quindi questa è una storia
relativamente presente, ambientata in una ventina di anni prima. Alcuni episodi della lettera erano
tradizionali. Il Lazarillo è un’opera rivoluzionaria nella forma, nel contenuto, inventa l’antieroe.
L’Inghilterra è la più originale nel copiare la letteratura spagnola, quella che ha assimilato più di
tutte la lezione del Lazarillo e del Quijote, anche la Francia mentre l’Italia meno. La letteratura
italiana è più alta anche se questa si leggeva comunque. In Italia si diffonde il teatro spagnolo.
Questa novità dell’antieroe non nasce da zero, ci sono alcuni precedenti nel folklore europeo e in
un romanzo latino: L’asino d’oro di Apuleio che ha un influsso nel Lazarillo, anche in quest’opera
abbiamo una descrizione del passaggio a vari padroni. Abbiamo poi l’influsso di un romanzo in
latino maccheronico: Baldus di Teofilo Folengo che pure recupera la tradizione del passaggio a
vari padroni. C’è anche qualche influsso boccaccesco nel finale della relazione a tre. È invece
totalmente originale il porre questi episodi nel genere epistolare, tipicamente umanistico, inserire
quindi una storia così “bassa” in uno schema così “alto”. Abbiamo poi la questione dell’onore,
fondamentale in questo periodo. C’è nel periodo un dibattito sull’onore che deriva dalla famiglia e
l’onore personale. Lazaro rappresenta quindi una rivoluzione in una Spagna ossessionata
dall’onore. La lettera termina con la formazione di un compromesso al fine di assicurarsi una
comodità vitale.
Abbiamo quindi nominato due grandi ambiti della prosa del XVI secolo: romanzi cavallereschi e
romanzi picareschi. Il terzo ambito è il romanzo pastorale che tratta storie d’amore. Quest’ambito è
importante per creare una nuova coscienza nella divulgazione dell’interiorità, così come lo è la
poesia lirica. Questi pastori sono ricchi e si preoccupano dei loro amori. Nella libreria di Don
Quijote vedremo tante opere di cavallerie ma anche pastorali.
Un altro ambito interessante è il romanzo morisco che si sviluppa in Spagna. Si tratta di storie
d’amore che riguardano i mori. Ci sono due grandi esempi di questo genere: una storia breve
anonima che si chiama El Abencerraje (che racconta la storia d’amore tra un ragazzo e una
ragazza mori e i loro contatti con i cristiani) e un’opera più estesa La Guerra Civil de Granada (che
racconta storie d’amore durante questa Guerra Civile).
Tutti questi generi che fioriscono nel XVI secolo saranno presenti nel Quijote, Cervantes li
riutilizza. Questa massa letteraria in prosa quindi parteciperà alla formazione del primo romanzo
moderno, il Quijote.
Il teatro è molto importante e sarà il genere che definirà meglio la Spagna del siglo de oro. Genere
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che attraversa i due siglos de oro, che evolve e ha una grande varietà, diventa popolarissimo e si
diffonde in tutta Europa a partire dal XVII secolo e avrà un’infinità di capolavori.

15 marzo
Il teatro è il genere più ricco della letteratura e della società spagnola dei secoli d’oro. Nella
Spagna del Siglo de Oro abbiamo una società molto attenta alla letteratura. Fino ad ora abbiamo
visto una letteratura che si riferisce ai nobili, i poeti di una certa classe letteraria, ma abbiamo
anche visto come ci siano state forme letterarie popolarissime e abbiamo visto come la stampa
aiuta questo utilizzo della letteratura da parte della classe media. La stampa aiuta anche
l’alfabetizzazione. C’è un processo di alfabetizzazione molto forte grazie alla diffusione della
stampa. Le persone hanno ora l’occasione di leggere, imparare a leggere, a differenza del
Medioevo in cui solo la classe alta, il clero, aveva accesso alla lettura. Nel secolo d’oro abbiamo
un processo di diffusione della scrittura grazie alla stampa e conseguentemente il processo di
diffusione della lettura. A questo processo di alfabetizzazione collaborano molto attivamente i
pliegos sueltos o pliegos de cordel (romances conservati in forma di fascicoli sciolti); i libri di
cavalleria che erano molto popolari e stampati continuamente in numerose edizioni; e la pastorale,
anche molto popolare. Il teatro è, invece, un tipo di genere che si diffonde oralmente e solo in un
secondo momento avrà più edizioni. Il teatro ha una fruizione acustica che non passa per il testo
scritto in un primo momento. Il teatro comprende molti testi che furono scritti più o meno come
commedie, solo con uno schema minimo che gli attori rappresentavano improvvisando. Molti testi
sono andati perduti. Abbiamo, quindi, una carenza di testi teatrali spagnoli della fine del XV secolo
e dell’inizio del XVI. Sicuramente si rappresentavano commedie e testi di tipo religioso che
derivavano dalle rappresentazioni liturgiche del Medioevo. Moltissimi di questi testi venivano
rappresentati nelle piazze, nei mercati, nel sagrato delle chiese (il sagrato è lo spazio che si trova
davanti la chiesa) e a volte anche dentro le chiese. Ci sono molte opere di questo tipo che sono
andate perdute ma sono rimasti alcuni elementi del teatro liturgico che veniva rappresentato nelle
chiese o nel sagrato in determinate feste significative, soprattutto durante la Settimana Santa e
ancora oggi questi drammi teatrali di tipo religioso sono rappresentati durante la Settimana Santa.
Ci sono anche molte opere teatrali che si trasmettono oralmente. Dobbiamo tener conto del fatto
che questa dimensione teatrale non lasci traccia scritta e quindi va perduta.
Abbiamo poi un altro tipo di teatro, un teatro più aristocratico del quale sono state conservate
testimonianze. Questo teatro ha a che vedere con l’Italia, non in modo molto chiaro però.
Abbiamo visto che la poesia spagnola è profondamente legata a quella italiana (arte mayor).
L’Italia è presente anche nel teatro rinascimentale spagnolo. Era una forma di teatro nobiliare che
si rappresentava nelle corti e i due autori più importanti del teatro rinascimentale spagnolo
andranno a vivere in Italia e scriveranno per le corti. Abbiamo quindi un processo di diffusione del
castellano e un processo di creazione letteraria in castellano in Italia. Vedremo per esempio Juan
de Valdés a Napoli. Juan de Valdés scrive il “Dialogo de la Lengua”, un testo molto importante
riflessione sulla lingua spagnola. I due autori principali di questa forma teatrale vengono da una
zona della Spagna nella quale c’era un forte interesse per il teatro, perché vicino l’università di
Salamanca c’era una casa nobiliare molto importante dove c’era un enorme influsso della nascita
del teatro, la casa di Alba de Tormes (di questa casa era il re di Toledo, Don Pedro. La casa di
Alba: importante famiglia aristocratica. Don Pedro era figlio del secondo duca d’Alba). Questa casa
attrae una serie di poeti che scrivono poesia drammatica. Dobbiamo tener conto del fatto che le
opere teatrali scritte del Siglo de Oro erano poesia. Il teatro spagnolo non è scritto in prosa ma in
forma poetica. Per questo motivo la maggior parte dei drammaturghi sono poeti. Lope de Vega e
Calderón de la Barca, per esempio, sono poeti drammatici.
Il gruppo che si formò a Salamanca e che successivamente servirà la casa di Alba è formato da tre
poeti drammatici: Juan del Encina, Lucas Fernández, compositore poeitco, y Torres Naharro. È
molto importante anche Gil Vicente, un portoghese che scrisse in castellano.
Nel Siglo de Oro si parla di attrazione, il castellano attrae poeti la cui lingua madre non è il
castellano. Anche Jorge de Montemayor è portoghese e scrive in castellano. Egli scrive il primo
romanzo pastorale, il più importante “La Diana” in castellano. Tutte le sue opere sono scritte in
castigliano.
Di questo gruppo di drammaturghi che hanno studiato a Salamanca vengono in Italia Juan del
Encina e Batolomé Torres Naharro (erano clerici). Si stabilirono a Roma nei primi decenni del XVI
secolo e vennero a contatto con l’ambiente dell’alto clero. Juan del Encina compone opere teatrali
che si rappresentavano in casa dei cardinali o in ambienti religiosi di Roma. Anche Bartolomé
Torres Naharro scrisse un “Auto del Nacimiento” che doveva essere rappresentato in ambienti
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ecclesiastici romani (per quanto riguarda gli “Autos”, sono una tradizione medievale del teatro
religioso che continua nel Siglo de Oro e continua anche nel XVII secolo con Calderón de la Barca,
Lope de Vega). Tre serie esistono: Autos de Navidad, Autos de la Pasión e Autos Sacramentales.
Lucas Fernández (mai venuto in Italia) scrive invece un “Auto del Nacimiento”, “El Auto de la
Pasión”, che riguarda il ciclo della Settimana Santa, “Auto del Nacimiento de Señor Jesuchristo”.
Questi autori che vengono in Italia, Encina y Torres Naharro, si distinguono anche per un teatro più
profano. Scrivono teatro religioso e teatro profano. Nel teatro profano possiamo notare la presenza
della pastorale. Quest’ultima è una materia letteraria molto importante che incontriamo nel
romanzo (il romanzo pastorale), nella poesia e nel teatro con le egloghe. Nel teatro abbiamo
rappresentazioni d’amore di tipo pastorale. Encina scrive la egloga del “Triunfo del Amor”. La cosa
curiosa e originale è che i pastori sono rustici, il loro linguaggio è basso e il loro registro è
vivace/osceno. Molto interessante in questa forma teatrale è l’introduzione dell’introspezione
amorosa, la relazione tra amante e amato, gli effetti dell’amore sull’anima dell’innamorato. C’è
quindi questa volontà di narrazione che è fondamentale nel teatro perché non c’è teatro senza
conflitto. Nel caso della rappresentazione di tipo pastorale, il conflitto è amoroso ed è in parte
interiore (questa forma teatrale rimanda a Boccaccio e in un certo modo alla Celestina).
Più importante è Torres Naharro perché è il vero fondatore del teatro. I migliore drammaturghi del
secolo XVII dipenderanno da lui. La prima e la seconda edizione della sua opera sono state
pubblicate a Napoli. Nasce nel 1489 a Torre de Miguel Sesmero in Extremadura ma non si sa con
sicurezza quando morì, si propone il 1520.
Ci furono vari papi spagnoli alla fine del XV secolo (Per la diffusione della Spagna in Italia fu
fondamentale l’ispanizzazione della corte papale), il più importante fu papa Alessandro Borgia (era
iberico), padre di Lucrezia e Cesare Borgia. C’è quindi un fermento poetico drammatico intorno a
queste famiglie papali alla fine del XV secolo. Nel XVI secolo i papi saranno italiani ma il partito
spagnolo sarà potentissimo, quindi quello che ci interessa saranno i cardinali perché questi poeti
saranno al servizio dei cardinali spagnoli della corte papale.
Torres Naharro sarà al servizio del cardinale Carvajal, il quale era potentissimo. Due delle
commedie di Torres Naharro sono ambientate in ambienti romani e una proprio nel palazzo di
Carvajal, la commedia è chiamata “Tinelaria” (titolo con rievocazione latina). Il tema è la
rappresentazione degli ambienti cardinalizi bassi, racconta dei personaggi bassi, infimi del palazzo
di Carvajal (i soldati, la servitù). C’è quindi un uso del registro basso e colloquiale. È una
rappresentazione comica delle azioni, dei sentimenti, dei pensieri di questi personaggi bassi.
Comica ma anche critica, ironica perché quello che si sottolinea è la corruzione della casa di
Carvajal (uno dei temi è la “sisa” cioè la cresta sulla spesa . C’è un espressionismo linguistico
molto forte e novità temi.
L’altra commedia di ambiente spagnolo a Roma e Napoli si chiama “Soldadesca” e rappresenta la
corruzione che non si riferisce all’ambiente papale ma all’esercito spagnolo che combatte in
ambiente italiano. Mostra la visione critica della società italiana del XVI secolo attraverso un
gruppo di soldati oziosi e litigiosi. I critici ambientano queste due commedie a Roma.
C’è un’altra commedia ambientata a Roma, si chiama “Trophea” (molto semplice/ teatro celebrante
senza conflitti) ed esalta le scoperte e conquiste realizzate dai soldati, ambasciatori portoghesi
sotto gli auspici del re portoghese davanti al papa. Questa varietà tematica sembra indicare che
Torres Naharro abbia avuto un lavoro occasionale, che passava da una corte all’altra, da un
signore all’altro, era un intellettuale molto libero.
Torres Naharro è anche l’autore di una serie di commedie che rappresentano conflitti amorosi. Di
questa serie ricordiamo: Seraphina, Aquilana, Jacinta y Himenea. Himenea è stata scritta a Napoli.
Torres Naharro si era trasferito da Roma a Napoli ed era al servizio di un gran signore napoletano,
Fabrizio Colonna. Lo sappiamo perché lo dice nella dedica della prima edizione delle sue
commedie.
Seraphina, Himenea, Aquilana (che rappresentano storie d’amore) insieme a Soldadesca, Tinelaria
e Trophea sono raccolte in un volume collettivo che Torres Naharro intitolò “Propalladia” e pubblicò
a Napoli nel 1517. La Propalladia è stata pubblicata da un editore chiamato Ioan Pasqueto de
Sallo che aveva la sua stampa nella Chiesa dell’Annunziata. Questo libro è molto importante
perché rappresenta la prima collezione del teatro spagnolo del Siglo de Oro. Praticamente tutta
l’opera di Torres Naharro è stata scritta in Italia. Lo spagnolo si considera veicolo artistico,
drammatico, nell’Italia dell’inizio del XVI secolo ed è una lingua che serve per divertire, intrattenere
una classe ecclesiastica ma anche militar ispano-italiana. Nella “Propalladia” Torres Naharro
introdusse un prologo. Questo prologo è il primo manifesto teorico del teatro spagnolo.
L’altro testo lo scrive Lope de Vega, 80-90 anni più tardi. Tra questi due testi c’è solo un prologo di
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Cervantes alle sue opere teatrali del 1613-15, e’ il prologo di “Ocho comedias y ocho entremeses
nunca reprsentados”. Ci sono quindi tre manifesti teorici del teatro spagnolo. Attraverso questi
prologhi si nota l'orgoglio degli autori e la loro volontà di affermazione autoriale. E’ un continuo di
teatro classico ma per tutti non per pochi. divise le sue commedie in due tipi: di notizie e di fantasia
(Comedias a noticias y a fantasias). Le commedie di notizie sono quelle che elaborano una
situazione reale che si propone con spirito critico. Dobbiamo includere in questa tipologia: la
“Soldadesca”, la “Tinelaria” e la “Trophea”. Le commedie di fantasia (hanno più influenza)
presentano invece casi amorosi, costruiti secondo l’immaginazione dell’autore. Le commedie di
fantasia prefigurano il teatro del Siglo de Oro maturo, e il teatro che farà Lope de Vega, la
cosiddetta “Comedia Nueva”. Lo schema è quello della “Himenea”, scritta a Napoli, che presenta
già alcuni aspetti che si troveranno nella Comedia Nueva: presenta una doppia azione amorosa,
perché presenta un conflitto amoroso in una coppia nobile, della società alta e a questo conflitto, a
questa azione teatrale si aggiunge un altro conflitto amoroso tra la servitù e i signori. C’è quindi
un’azione comica (rappresentata dalla servitù) parallela a quella drammatica. In questo tipo di
teatro incontriamo anche numerosi “travestimenti”. Per esempio nella Aquilana un principe
chiamato “Aquilino” si maschera perché è innamorato della principessa Felicina. Abbiamo un
principe che si maschera da scudiero ma un altro tema fondamentale nella letteratura spagnola e’
la donna che si traveste da uomo come nel don Quijote e la vide es sueno. In “Himenea” ci sono
due coppie: Aquilino e Felisina e Himeneo e Phebea. Aquilino e’ il primo principe “disfrasado” cioè
mascherato del teatro primitivo castigliano. Per quanto riguarda la storia di Himeneo e Phebea
nell’ultimo atto lui e’ sorpreso dal marchese (fratello di lei) sulla porta di casa durante la notte.
Avviene una scena di scontro che e’ definita in teatro “escena de capa y espada” che sarà usata
anche da Lope de Vega. C’è proprio una serie di commedie di Lope chiamate “teatro de capa y
espada”. Queste commedie di Torres hanno anche un prologo. La commedia è divisa in cinque
atti, successivamente Lope de Vega la ridurrà a tre atti. In questa commedia in cinque atti ci sono
varie interruzioni e ci sono da cinque a sette personaggi. C’è anche un prologo recitato da un
personaggio che non fa parte della commedia. Questo personaggio è un pastore rurale che parla
in una lingua quasi incomprensibile. Vediamo quindi che Torres Naharro ha recuperato il teatro
pastorale spagnolo di Encina. Lo ha recuperato, il prologo lo incornicia in un testo che apre la
commedia, che presenta la commedia, que aiuta a concentrare l’attenzione sullo scenario. Tra i
personaggi vediamo il padre nobile, il servo (servus callidus) della commedia latina, non abbiamo
la alcahueta, cioè l’intermediaria che era presente nella Celestina (come intermediari ci sono solo i
servi dei due). Torres Naharro nella “Propalladia” scrive anche una dedica a Ferrante D'Avalos,
erede di una famiglia importantissima ispano-napoletana, gli Avalos (una famiglia che si stanzia a
Napoli nella seconda metà del XV secolo quando il re d’Aragona, Alfonso, conquistò il regno di
Napoli). Questa famiglia possedeva l’isola di Ischia e il castello di Ischia è degli Avalos, è la
residenza officiale degli Avalos. È una famiglia militare e ha a suo carico la difesa del regno perchè
Ischia era un’isola strategica, essendo l’isola che controlla il golfo. Le armate francesi che
volevano conquistare il regno di Napoli, dopo l’arrivo del re Alfonso venivano dal nord e dovevano
passare per Ischia per entrare nel golfo. Ischia ha quindi una funzione strategica. Ferrante
D’Avalos (e’ il capo dell’esercito) si sposa con un personaggio importantissimo: Victoria Colonna.
Victoria Colonna è la figlia di Fabrizio Colonna, condottiero al cui servizio sta Naharro. Torres
Naharro dirige la dedica della “Propalladia” (genere dedicato a questa élite militare ispano-
napoletana) al genero di Fabrizio Colonna (Ferrante d’Avalos). Ferrante D’Avalos condusse anche
le truppe germano-spagnole dell’imperatore Carlo V (con la vittoria di queste ultime) contro
l’esercito francese al comando del re Francesco I nella battaglia di Pavia del 1524. Il 6 maggio del
1527 ebbe luogo il saccheggio di Roma. Nel 1530 in Bologna ci fu l’incoronazione di Carlo V come
imperatore, per mano del papa Clemente VII. Nella seconda metà del XVI secolo in Spagna
vennero rappresentate molte opere teatrali, molte commedie italiane. Abbiamo anche tragedie.
Un gruppo di poeti drammatici scrisse tragedie a Sevilla. In questo periodo Sevilla è la città più
importante di Spagna perché ha il monopolio del commercio con l’America. Durante la seconda
metà del XVI secolo a Sevilla ci fu un gran fermento artistico, letterario, pittorico. A Sevilla c’è
anche la casa de Contratacion che è l’organismo che controlla il commercio tra la penisola Iberica
e le Indie. Sevilla è molto importante anche per un altro tipo di rappresentazione, le
rappresentazioni de autos perché Sevilla nella seconda metà del XVI secolo è uno dei grandi
templi della Controriforma, della Riforma Cattolica. Poiché ci sono molti commercianti tedeschi che
portano la riforma protestante e c’è quindi bisogno di maggiore controllo. Vi era molto scontro tra
protestanti e cattolici anche riguardo il Corpus Domini: i primi credevano fosse una presenza
simbolica, i secondi che fosse una presenza reale. Con gli autos se ne vuole affermare la
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“supremazia”: si rappresentavano davanti al Santissimo (anche a Toledo, Madrid e Valladolid).

16 marzo
Il romanzo non esige uno spazio specifico, a differenza della poesia, che in parte può essere
cantata, come era nel caso dell’epica e dei cantares de ciegos che venivano cantati in piazza,
nelle chiese e nelle sale dei palazzi nobiliari; il teatro invece necessita uno spazio scenico più
complesso, che deve avere certe connotazioni per portare in scena una rappresentazione. Il teatro
del primo Siglo de Oro era un teatro nobiliare, scritto per l’élite ecclesiastica e la nobiltà ispano-
napoletana. La rappresentazione avveniva nelle sale, nel patio, nei giardini dei nobili. La grande
rivoluzione del teatro della seconda metà del secolo sarà l’ampiezza del pubblico: il teatro esce da
questi luoghi nobili e si rappresenta nuovamente nelle piazze, nelle chiese e in alcuni luoghi
specifici che si creano in Spagna nella seconda metà del XVI secolo, che si chiamano “corrales”.
C’è una diffusione popolare della drammaturgica, classi distinte possono accedere al teatro e ciò
comporta anche un cambio di genere e della forma teatrale da parte dell’autore. La chiesa durante
secoli ha assicurato una diffusione estetica interclassistica, sia le opere d’arte presenti negli edifici
ecclesiastici, la musica cantata in questi edifici ed il teatro liturgico è arte per tutto il mondo, è
un’arte creata per tutta la comunità ecclesiastica e per questo è definita Arte Democratica, in
contrasto con l’Arte Aristocratica, dei piccoli nobili. L’arte della chiesa è una forma per far arrivare
al popolo, a tutto il mondo, forme artistiche nuove. C’è una presenza della chiesa che influisce
nell’evoluzione del teatro nella Spagna del Siglo de Oro, una Spagna imperiale che è una società
di massa. Uno di questi ambiti teatrali che per primo si definisce è Autos Sacramentales: si
rappresentano nelle piazze, sopra carri, scenari mobili, che portano gli attori da una città all’altra,
abituano alla gente ad una funzione teatrale che poi si amplierà nel genere della commedia. Questi
nuovi generi nascono come generi commerciali. Questi nuovi testi necessitano nuovi spazi per
essere rappresentati, nasce così il corral (recinto). La parola Corral sarà utilizzata per questo
nuovo spazio scenico che si afferma nella seconda metà del secolo 16 e durante il 17. Tutto il
teatro profano si rappresenta in corrales, autos sacramentales no (più famosi corral de la cruz,
corral de almargo). I Corral dimostrano che c’è una forte richiesta di spettacoli e il teatro diventa
fonte di reddito non solo per chi organizza lo spettacolo ma anche per l’autore del testo, possono
vivere attraverso questo mestiere. In Spagna e anche nella Napoli spagnola gli spettacoli sono
organizzati dagli ospedali, che hanno una delegazione del Re, ed il raccolto finanzierà l’ospedale.
Diventa una questione di beneficenza e sarà una funzione che riscatterà il teatro. Il teatro ha una
funzione sociale ed economica molto importante, (non solo i malati, anche poveri e pellegrini) che
lo converte in teatro morale. In Italia non ha questa funzione economica di beneficenza. Gli autori
devono cambiare le commedie una volta alla settimana, per seguire le intenzioni e gusti del
pubblico, questo comporta una scrittura veloce, deve continuamente presentare novità. Chi non ha
questa velocità non riesce a stare al passo. L’autore che ha questa capacità è Lope De Vega,
mentre Cervantes resta indietro. È un paradosso: un autore come Cervantes che scrisse il su
teatro l’ultimo decennio del secolo XVI, prima di Lope, però lo pubblica nel secolo XVII, quando
Lope già è popolarissimo ed ha creato una specie di monopolio. Ha avuto esito alla fine dell’800,
Cervantes intanto si dedica ad altri tipi di testi, al romanzo, inventerà il romanzo moderno, nel
1615, quando già ha pubblicato il Don Quijote, pubblica questo teatro che aveva scritto nel XVI e
conservato. Questo gli dà modernità perché è un’opera di teatro che non è da rappresentare, da
vedere ma da leggere, è letteratura. Raccoglie e pubblica le sue opere teatrali in 8 commedie e 8
entremeses mai rappresentate. Le opere di Lope si pubblicheranno come commedie nelle
SUELTAS. Attraverso le sueltas si diffonde il teatro di Lope. L’unica tragedia di Cervantes è “La
Numancia” è non è inclusa nelle 8 commedie, perché la tragedia è un altro genere, si conserva
solo in una suelta.
Le commedie di Naharro avevano 5 atti e per intrattenere il pubblico inventarono testi brevi come
gli ENTRAMESES, da rappresentare tra un atto e l’altro, non c’erano momenti morti.
ENTREMES: composizione teatrale breve quasi sempre comica, popolare, con dialoghi brevi e
vivi, con linguaggio medio-basso. Nel caso di Cervantes sono i miglior pezzi recitati, superiori alla
commedia, come invenzione e come linguaggio. Si rappresentava anche la LOA, specie di
recitazione, testo breve che si rappresentava in uno degli intervalli degli atti, nell’ultimo degli
intervalli si rappresentava un ballo, per non far annoiare il pubblico. Questo fa capire la
complessità della rappresentazione che non si limita solo alla commedia. C’è una forte passione
nel Siglo de Oro per la musica e il ballo, e in Spagna, come l’impero globale, si assorbe molta
musica esotica, africana (in contatto attraverso l’incorporazione con il Portogallo 1580) e balli
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americani, risultato di incontri tra la creatività indiana e spagnola (importata attraverso Cadice e
Seviglia). Questa passione la Spagna la comunicherà all’Europa attraverso testi musicali, esporta
sia teatro che musica. Cervantes in alcuni Entremeses include balli esotici.
Lope comincia a scrivere teatro alla fine del secolo XVI. Nacque a Madrid, era un bambino
prodigio, a 5 anni già leggeva in castigliano e latino. Uomo di cultura estesa, studiò a Salamanca,
e di una facilità creativa straordinaria. Dal punto di vista poetico questo lo perderà, non sarà
ammirato come altri autori. Lope scrive molto e alcune opere non con molta attenzione, questo
sarà negativo per lui. L’unico genere che non scriverà è il romanzo. A differenza di Cervantes,
Lope sarà più critico (negativamente) nei confronti di Cervantes. Come succede tra tutti gli autori ci
sono dispute tra di loro. Cervantes definirà Lope, Mostro de Naturaleza, per la sua facilità nello
scrivere, lo chiama così nel prologo delle 8 commedie e 8 entremeses. Nel prologo inoltre difende
il suo teatro e fa un’analisi sul perché il suo teatro è fallito: Lope ha occupato la scena, che scrive
così velocemente, quasi una commedia al giorno. Nel 1607 Lope decide (o gli chiedono) di
pubblicare un testo che tratti del suo teatro “Arte nuevo de hacer comedia”. Testo breve che
probabilmente Lope lesse in un’accademia letteraria di cui faceva parte. Spiega la sua idea della
commedia, la sua formula teatrale. La formula de Lope de Vega sarà la rappresentazione di una
storia d’amore che ha una coppia principale, dama e galán, e un'altra coppia, servo del galán e
serva della dama. Invenzione di Lope: Gracioso, nome del servo del galán. Il Gracioso del teatro di
Lope è un servo che dice cose che fanno divertire e che allo stesso tempo è confidente e amico
del suo signore. Questa è la grande invenzione, l’idea delle due coppie già esisteva, la novità che
apporta è che spesso separa le coppie, (due donne e due uomini → abbiamo due dame amiche o
parenti e due cavalieri amici o parenti con i servi di ognuno. Quindi, due coppie principali e due
secondarie e ciò creerà equivoci che faranno ridere). Questo teatro è la commedia. La parola
commedia in spagnolo nel secolo XVII ha un’estensione lessicale più ampia. Commedia significa
rappresentazione teatrale de Corral, anche se è un dramma o tragedia è sempre commedia. Lo
schema delle due coppie si applica anche al dramma e alle tragedie, come nell’opera di Lope “El
Caballero de Olmedo”. Cervantes non si adattò mai a questo sistema e considera Gracioso un
personaggio che banalizza la rappresentazione. Lope riduce gli atti da cinque a tre, è più
compatto. Questo teatro è in versi, per questo i drammaturgi si chiamano poeti drammatici. Questo
lo rende un teatro difficile da comprendere, sono poesie recitate. Lo schema dama-galán e
Gracioso lo applica Lope anche al teatro di materia storica, dove spesso recupera cronaca
medievale e romances, componendo la commedia a partire da tematiche affrontate nell’epica o nei
romances. Drammatizza episodi storici attuali. Per esempio ci sono varie commedie che trattano
della guerra spagnola nelle Fiandre, territori spagnoli dove i fiamminghi vogliono essere protestanti
e i re spagnoli non vogliono. C’è un enorme varietà tematica, scrive anche autos sacramentales.
Tra i miglior testi di Lope, ci sono anche alcune tragedie che si riferiscono a rivoluzioni popolari
spagnole, lì ci sono varie opere maestre, perché nel secolo XVII c’è una forte conflitto (sordo) tra
nobili e pueblo llano (quelli che pagavano le imposte), e c’è un’ingiustizia che il popolo non
sopporta, ci sono piccole rivolte. Lope trasforma questa realtà in dramma. (Peribáñez y el
Comendador de Ocaña- popolo si rivolta per gli abusi sulle donne; Fuente Ovejuna – popolo che si
rivolta contro il governatore). Ci sono tanti teatri nazionali in Spagna dove si rappresenta teatro
classico, tra cui Federico García Lorca, direttore di un gruppo teatrale.

EL CABALLERO DE OLMEDO
L’opera massima di Lope, seppur ne ha scritto circa 3.000 delle quali se ne conservano circa 400,
è El Caballero de Olmedo, è basato su un cantar che circolava in Castiglia che diceva “Que de
noche le mataron, al Caballero, la gala de Medina, la flor de Olmedo.” Una strofa che si trasformò
in una canzone più grande. Medina era una città commerciale. In Castiglia la letteratura pastorale
era importante perché aveva una società pastorale, dove principalmente si allevavano animali. Il
principale protagonista di quest’ opera è un cavaliere di Olmedo, paesino vicino Medina, più
tradizionale, più cavalleresca. Nel primo verso già è riassunta la tragedia: il cavaliere ucciso di
notte. La storia racconta di un cavaliere, Don Alonso, che va a Medina per partecipare come
rejoneo (il torero), cavaliere al cavallo che con un pugnale deve affrontare il toro e ucciderlo. A
Medina incontra una ragazza, Ines, e si innamorano. Ci sono due tipi di innamoramento nel Siglo
de oro: per la vista e per l’udito (don Quijote). Il loro è un amore scaturito dalla vista. Ines ha però
un pretendente di Medina, il cavaliere Rodrigo che frequenta la sua casa approfittando
dell’amicizia che ha con il fidanzato di Leonor, la sorella di Ines. (due dame e tre cavalieri). A Ines
non piace Rodrigo e quindi dice al padre che vuole farsi suora (solo per liberarsi di lui). Comincia
ad avere incontri notturni con Alonso. Rodrigo lo scopre, ma scopre anche come Alonso sia
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superiore a lui in tutto. Perché nella festa dei tori Rodrigo venne ferito da un toro, era al punto di
morire ma Alonso lo salva uccidendo il toro. Gli deve la vita; accumula rancore nei suoi riguardi
perché lo ha umiliato nella sua città davanti al Re e lo umilia anche a livello sentimentale.
Vi è la presenza di una intermediaria tra gli amanti, Fabia, una donna anziana (celestina), che
entra in casa di Ines con la scusa di doverle insegnare una serie di dottrine per entrare in
convento, inganna così il padre di Ines, per portare messaggi e altro tra i due amanti. Non solo,
Fabia è una strega (sempre presente la magia in Lope; Cervantes invece si prenderà sempre
gioco della magia), ha relazioni con il diavolo. Ci sono due finali: c’è una conclusione notturna,
Alonso viene ucciso in un agguato preparato da Rodrigo e fidanzato di Leonor. I due cavalieri di
Medina sono codardi, perché affrontano don Alonso di notte e con una trappola. Questo viaggio
notturno di Alonso si giustifica perché vuole andare a casa per vedere i suoi genitori che sono
preoccupati, a Olmedo, senza il suo servo. Il quale è rimasto a casa di Ines, inseritosi come
aiutante di Fabia. Mentre viaggia ascolta un lavoratore che va al campo e in piena notte canta. Gli
chiede chi gli ha insegnato questa canzone e lui gli dice Fabia. È l’annuncio, un avviso della sua
morte. C’è una sovrapposizione temporale inquietante perché lui è ancora vivo ma già si annuncia
la sua morte. Poco dopo c’è l’incontro con i due cavalieri e i loro due servi. Sarà il servo, sotto
ordine di don Rodrigo, con l’archibugio ad ucciderlo. Il secondo finale: il servo di Alonso, Tello, che
lo seguì e lo portò a casa. Tello torna il giorno dopo a Menina dove si va a celebrare un atto di
esaltazione nazionale, qui il padre di Ines capisce che la figlia non vuole Rodrigo ma Alonso, ed è
disposto a concedergli la mano, prepara questa festa. Tello dà la notizia della morte, e il re
condanna a morte Rodrigo e l’altro cavaliere, Ines e Leonor ora possono solo farsi suore. Questa
doppia struttura dama-cavaliere e gracioso-serva crea una doppia struttura linguistica, c’è un
doppio registro, medio-colto per dama e cavaliere, gli altri che parlano un buon castigliano ma
anche espressioni colloquiali. Non c’è un linguaggio rozzo come nelle egloghe di Juan del Encina,
o nei prologhi di Naharro. La comicità dipende dalla figura del gracioso e non da quello che fa ma
da quello che dice. (donaires: battute e refrán: proverbi). (Hablar discreto: dama e cavaliere.
Hablar necio: i servi, anche se non hanno un linguaggio tonto, ci sono giochi di parole. Figura del
donaire: gracioso).
Quasi sempre questo teatro è polimetrico, ci sono versi di Arte mayor (versi endecasillabo) e Arte
menor (ottosillabi o più brevi); i tipi di versi cambiano in base alla situazione.

Alonso racconta a Fabia come ha conosciuto Ines: (esempio di un romance)


Por la tarde salió Inés Las valonas esquinadas
Alonso sente la
a la feria de Medina, en manos de nieve viva;
voce che canta:
tan hermosa que la gente que muñecas de papel LA VOZ:
pensaba que amanecía; se han de poner en esquinas. Sombras le
rizado el cabello en lazos, Con la caja de la boca avisaron
que quiso encubrir la liga, allegaba infantería, que no saliese,
porque mal caerán las almas porque sin ser capitán, y le aconsejaron
si ven las redes tendidas. hizo gente por la villa. que no se fuese
Los ojos, a lo valiente, Los corales y las perlas el caballero,
iban perdonando vidas, dejó Inés, porque sabía la gala de
aunque dicen los que deja que las llevaban mejores Medina,
que es dichoso a quien la quita. los dientes y las mejillas. la flor de
Las manos haciendo tretas, Sobre un manteo francés Olmedo.
que como juego de esgrima una verdemar basquiña,
tiene tanta gracia en ellas, porque tenga en otra lengua Alonso riflette
que señala las heridas. de su secreto la cifra. dentro sé, ha un
momento di
dubbio, ha paura
del
sovrannaturale.
Pensa che era meglio tornare indietro.
¡Qué de sombras finge el miedo!
¡Qué de engaños imagina!
Oye, escucha. ¿Dónde fue,
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que apenas sus pasos siento?


¡Ah, labrador! Oye, aguarda...
«Aguarda», responde el eco.
¡Muerto yo! Pero es canción
que por algún hombre hicieron
de Olmedo, y los de Medina
en este camino han muerto.
A la mitad dél estoy:
¿qué han de decir si me vuelvo?
Gente viene... No me pesa;
si allá van, iré con ellos.

Ultime parole di Alonso, un pensiero verso i suoi genitori.


Tello, Tello, ya no es tiempo
más que de tratar del alma.
Ponme en tu caballo presto
y llévame a ver mis padres.

È una tragedia contemporanea, anche se la leggenda (il cantar) è del principio del secolo XVI,
però Lope la situa tra il XVI e il XVII. Testo che rappresenta una storia d’amore contemporanea
(XVII) che si trasforma in tragedia. Questo concetti di tragedia contemporanea non esisteva prima,
doveva essere ambientata in tempi antichi. Rinnovazione del genere con una precipitazione verso
il presente. Mentre le tragedie di Cerventes della fine del XVI sono ambientate nella Spagna
romana, prima di Cristo. Questa novità la incontreremo poi in Tirso de Molina nella tragedia El
burlador de Sevilla. (che non si può chiamare tragedia perché è il castigo di un perverso, ma è in
effetti un dramma. (Tirso era prete e non poteva scrivere genere profano, quindi non firma il
Burlador e scriverà poco) mentre Calderón scriverà di più rispetto a Tirso, inizialmente era un
soldato e successivamente diventa prete. Scriveranno anche teatro profano. Tirso non firmò El
burlador, ma altri testi che sono più esemplari, i critici hanno dedotto che è lui l’autore. Calderón
firmerà tutto, scriverà moltissimo durante il XVII, occupa tutto il secolo. Alla sua morte muore
anche il teatro spagnolo. Los Siglos de Oro si chiudono con la morte di Calderón (1680). L’Impero
spagnolo entra in crisi politica verso il 1640 dopo la rivolta dei portoghesi contro gli spagnoli. Si
può parlare di crisi solo politica da questo momento non prima; si avrà una crisi letteraria solo dopo
la morte di Calderón.

19 marzo
La seconda metà del XVI sec è caratterizzata da un movimento poetico straordinario ossia la
letteratura spirituale, la poesia mistica. La letteratura spirituale è anche letteratura in prosa, però
dal punto di vista artistico al vertice c’è comunque la poesia. La prosa è di grande valore e molto
varia (ci sono molti generi di prosa religiosa nella seconda metà del XVI sec).
Prendendo in considerazione questo angolo luminosissimo del XVI sec, affrontiamo il XVII sec. Già
abbiamo parlato del teatro della commedia nuova che appartiene fondamentalmente al XVII sec
però, durante questi periodo non c’è solo il teatro. È un grande secolo letterario, il culmine di un
processo creativo che nasce con la Propalladia e termina con la morte di Calderón nel 1680. Due
secoli che sono definiti Siglo o siglos de oro. Un primo siglo de oro è il XVI sec, il secolo del
Rinascimento con una seconda parte che è il rinascimento maturo, o manierismo o classicismo, e
un secondo siglo de oro che è il XVII sec. Questo secolo dal punto di vista letterario è più maturo
del XVI sec e più grande, più geniale. Le grandi opere del siglo de oro appartengono per la
maggior parte al XVII sec (Quijote 1605-1015- le opere della comedia nueva – il poeta barocco
Góngora – lo scrittore politico Francisco de Quevedo che ha vissuto a Napoli e che ha composto
uno dei romanzi picareschi “El Buscón” – Tirso de Molina e il suo teatro – Calderón de la Barca
che nasce nel 1600). Questo trionfo letterario non coincide con il trionfo politico in quanto, il XVII è
caratterizzato da un principio di crisi al suo inizio, una crisi a metà del secolo e una catastrofe
economica alla fine del secolo. Non è per questo solo un secolo di decadenza come spesso viene
definito da critici precipitosi, è un secolo di grandi trionfi dal punto di vista intellettuale, immateriale,
trionfi che ritroviamo non solo nell’ambito letterario, ma anche nella pittura, e nell’espansionismo
verso l’America. Solo a partire dal 1640 quando la Spagna perde per la prima volta una battaglia in
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Europa, si può parlare di decadenza, e soprattutto negli ultimi decenni quando governerà Carlos II,
un re malato che ha problemi psicologici e fisici molto forti. Carlos II governa fino al 1700 però non
ha figli e quindi la dinastia degli Asburgo scompare. Sale al trono suo nipote (di zio), figlio del re di
Francia che è un Borbone. Abbiamo un cambio di dinastia e nel XVIII sec ci saranno i Borbone.
Ciò accade quando Napoli si libera dalla relazione con la corona spagnola e diventa indipendente
e avviene relativamente tardi con Carlos III, figlio del re di Spagna Felipe V. Napoli continuerà ad
essere sotto l’orbita spagnola ma con un re proprio. Abbiamo questa curva di grande splendore dal
punto di vista letterario nei primi 60 anni e che dopo inizia a decrescere quando Calderón inizia ad
invecchiare, continuando a scrivere opere bellissime, però nella seconda metà del secolo si nota
un esaurimento, la cultura si sta chiudendo e il XVIII sec inizia con altri progetti, altri punti di vista
(l’influsso della Francia e un rinnovamento della cultura che è una cultura accademica, più
scientifica), la grande creatività del siglo de oro declina e riappare solo nel XX sec. La letteratura
spagnola del XVII sec è la più importante di questo secolo, quella che è da modello per tutta
l’Europa (con Cervantes e non solo). Questo dislivello tra politica e letteratura, tra politica e cultura
possiamo anche datarlo. Il momento più importante dal punto di vista politico per la Spagna è
quando il Portogallo entra a far parte della corona spagnola, li la Spagna diventa uno stato globale
perché il portogallo aveva sia territori in Africa che Asia (la Spagna era arrivata in Asia tramite le
filippine, ma non aveva territori nell’Asia continentale). Quindi 1580 apogeo politico con Felipe II
quando diventa re del Portogallo, perché il re del Portogallo è scomparso in una battaglia nel nord
dell’Africa. Momento importantissimo della letteratura spagnola fino al 1630, cioè 50 anni dopo.
Cevantes muore nel 1616 però erano ancora attivi Lope, Calderón, Tirso de Molina, e soprattutto
c’è una ispanizzazione dell’Europa: i modelli spagnoli vengono accettati in Europa, si diffonde per
esempio Góngora e lo diffonde un vice re quando viene a Napoli. Egli prima di venire a Napoli
paga un’edizione di Góngora che si propone come modello in tutta Europa. In Spagna non ci sono
rotture forti nella cultura, il carattere spagnolo in generale tende a conservare parte del passato. La
cultura che c’è in Italia con l’umanesimo, non esiste in spagna, dove invece si conserva, si
incorporano cose che vengono dal periodo precedente e si propongono cose nuove. C’è quindi
una tendenza a rispettare e ammirare e sfruttare la tradizione che è molto importante, e affianco
ad essa l’innovazione (il Romacero viene dell’epica, dal sistema militaristico, il sistema
cavalleresco, è tradizione però tutto ciò si rivoluziona dal punto di vista del genere, della creazione
personale dell’autore; c’è un’innovazione però senza rompere con la tradizione).
Bisogna sempre tener conto delle condizioni sociali del paese di cui si studia la letteratura. La
prima cosa da tener in conto è che per due secoli abbiamo una sola dinastia, quella degli Asburgo
da Carlos I (Carlos V) sale al trono nel 1516 quando muore suo nonno Fernando, fino a Carlos II il
suo tris nipote chiamato el hechizado (stregato). Il XVII in generale è un siglo di espansione sotto
tutti i punti di vista: territoriale, economica (la Spagna dall’America importa oro, pietre preziose e le
diffonde in Europa trasformandola, il capitalismo europeo dipende dalla Spagna la quale non si
approfitta delle materie che importa). In Spagna c’è una mentalità tradizionalista che impedisce
che ci sia una adeguatezza alle nuove circostanze storiche e politiche del paese. Le strutture
sociali sono tradizionali e non c’è la creazione di una classe borghese importante. Ovviamente ci
sono borghesi però non come in Italia, Francia, Paesi Bassi e ciò impedisce che lo sviluppo
economico vada di pari passo con lo sviluppo militare o culturale. C’è una mentalità cavalleresca,
come vediamo nel Quijote, che persiste quando le condizioni sociali esigerebbero altro. Abbiamo
un paradosso che dà luogo a un disequilibrio sociale, a un conservatorismo che non favorisce il
progresso sociale. La monarchia è molto potente nel XVI secolo e si approfitta del sistema creato
dai re cattolici, per dar vita ad una classe di letterati che dirige l’amministrazione. I letterati sono
una classe di persone formatasi nelle università, che può essere di qualsiasi estrazione sociale ed
è questa classe che dirige l’amministrazione e il re è al vertice e si occupa di politica (Fernando,
Carlos V, Felipe II). La monarchia spagnola ha un sistema molto moderno, un sistema di Consigli
(la parola Consiglio nasce in Spagna nel XVI secolo), sono Consigli che appoggiano il re e si
occupano di ambiti distinti (consiglio di stato, consiglio delle Indie, consiglio d’Italia). E c’è un
ricambio sociale perché sono funzionari. L’aristocrazia ha un ruolo importante dal punto di vista
della rappresentazione sociale, però non ha nel XVI secolo un grande ruolo politico, perché i re si
appoggiano sulla classe dei letterati che è interclassista. Al contrario questo sistema nel XVII
secolo si sgretola quando diminuisce l’autorità reale, e non diminuisce perché non si hanno re
capaci (Felipe III e IV sono molto colti), ma perché le condizioni generali stanno cambiando e il re
non può o non vuole occuparsi del governo generale. Delega al privado che è un favorito, che è
come un primo ministro però eletto dal re. E’ una situazione ambigua perché per governare il
privado si appoggia ad una fazione nobiliare, la sua, quella della sua famiglia, ci sono fazioni che
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in qualche modo sono una sorta di partiti, ma nobiliari. Con Felipe III abbiamo un privado molto
colto che si chiama duca di Lerma, e suo nipote diventerà uno dei grandi re di Napoli don Pedro
Fernandez de Castro. Sono amici, familiari coloro che occupano i posti privilegiati e che
comandano. Bisogna tenere in conto anche che i letterati tendono a nobilitarsi, a sposarsi con
famiglie nobiliari, c’è un’attrazione verso la nobiltà molto forte, tutti vogliono essere nobili nel XVII
secolo (lo vediamo anche nel Quijote che è un idalgo e vuole diventare cavaliere). Questo ideale
aristocratico ovviamente influisce sulla società perché non c’è nessuno che vuole fare lavori
manuali, tutti vogliono passar dall’altro lato, non pagare le tasse. Questo schema sociale in cui la
nobiltà ha una rappresentatività molto grande nel XVII sec sia dal punto di vista politico che del
denaro, della possessione territoriale, influenza la letteratura. Non solo influenza nel mecenatismo,
tutti i grandi poeti dipendono dai nobili come in Italia Tasso, Sannazzaro, Marino che hanno vissuto
nelle corti, lo stesso avviene in Spagna. Ci sono mecenati che sovvenzionano i grandi scrittori i
quali dipendono da essi; ci sono poi altri poeti che sono indipendenti perché possono
permetterselo come i mistici che sono indipendenti perché sono monaci e possono fare ciò che
vogliono del proprio tempo; altri che sono relativamente ricchi come Góngora che è un poeta che
mai sarà al servizio dei signori, dedica le sue opere ai signori e riceve dei regali ma non sarà mai
al loro servizio( egli è canonico della cattedrale di Cordoba e in seguito sarà sacerdote). Abbiamo
una società che poco a poco perde dinamismo. Abbiamo già visto lo scudiere famelico del Lazarillo
(1554) che vive a spese del suo servitore. Questa figura la incontriamo spesso anche nel teatro.
Abbiamo anche una certa borghesia, però essere borghese non è molto di moda in spagna perché
c’è il problema del sangue puro ( i nuovi cristiani, i figli e nipoti degli ebrei che sono rimasti in
spagna, hanno secondo i castigliani il sangue sporco, macchiato, il sangue puro consiste nel non
avere parenti che siano stati nuovi cristiani). Questa questione sarà uno dei temi che appare con
più frequenza nel teatro dove gli agricoltori ricchi sostengono di essere di sangue puro, che questa
classe non si è mescolata, e che hanno diritto a un riconoscimento sociale maggiore. Questo tema
è presente anche nel Quijote. Un libro molto importante che fu pubblicato negli anni 70 dello
storico José Antonio Maravall che si chiama “La España del Barroco” considera che la spagna fu il
paese con la prima cultura di massa in tutto il mondo, un paese con una cultura di massa a
differenza dell’Italia o Germania in cui c’è molto verticalismo nella cultura. La spagna crea un
movimento culturale che è di massa e per le masse, nel quale partecipa la massa. Bisogna tener
in conto tutto ciò perché la spagna durante il XVII sec ha una politica culturale molto intensa, di cui
il teatro ne è la massima rappresentazione. Il pubblico dei corrales è interclassista, i nobili sono
nella parte alta e o nei palchi dei corrales e il popolo è invece sotto perché si rappresenta in unno
scenario relativamente piccolo e aperto da tutte le parti, non c’è lo scenario de boca (tutti gli
spettatori da un lato) del teatro italiano, questo ci sarà in Spagna ma per imitazione del teatro
italiano. Però il teatro di cui ci stiamo occupando si rappresenta in una specie di impalcatura a due
metri da terra da cui la rappresentazione si vede dai quattro lati, in maniera che al intorno a questo
scenario ci sono gli spettatori. Il teatro de boca italiano sarà importato alla corte degli Austria, al
palazzo reale, al palazzo del Retiro dove ci furono 4 teatri perché Felipe IV era molto affezionato al
teatro. Ci furono specialisti italiani in questo teatro che è cortigiano e non ha nulla a che vedere
con la comedia nueva che è un teatro per tutti. C’è anche un progetto culturale forte attraverso le
accademie, come in Italia, ma in spagna è più forte, e lì c’era un intercambio tra poesie, scienza,
arte, c’è una curiosità inter arte, c’è un’imitazione ma con un segno molto originale delle
accademie italiane che producono cultura soprattutto nel XVII sec.
Di Lope de Vega sottolineiamo alcune opere importanti. È un po’ più giovane di Cervantes (nato
nel 1547 ad Alcalà de Henares), nasce a Madrid nel 1562 e sarà un bambino precoce. Studia
all’università di Alcalá, sarà al servizio dei vescovi di Ávila come segretario, sarà anche soldato. È
uno studente brillante ed è il tipico spagnolo valoroso che partecipa alla conquista delle Azzorre
(isole tra Europa e America, all’altezza di Cuba) che fanno parte del regno portoghese e in seguito
a Madrid conosce un’attrice Elena Osorio che sarà per lui la femme fatal. Lope si innamora di lei,
avranno una relazione però lei è sposata e ha un altro amante, un nobile importante. Il teatro
spagnolo è un teatro anche di attrici, è moderno perché in altri teatri europei i ruoli femminili erano
svolti da uomini. Al contrario in Spagna le attrici saranno muse per i poeti e in concreto Elena sarà
la musa di Lope de Vega. Ci sono alcuni testi che vengano scritta affinché l’attrice si esibisca al
teatro, testi pensati già per un’attrice, come farà in seguito Federico García Lorca. Questa è una
cosa che sarà di moda in Europa nel XIX sec, al contrario in Spagna si diffonde con Lope. Egli
sicuramente è geloso di Elena che però ha varie relazioni. Nel 1587 Lope a 25 anni scrive un
libello ingiurioso contro Helena che lo porterà in tribunale. La famiglia di Helena infatti lo denuncia
ed è obbligato ad 8 anni di esilio da Madrid e 2 da Castiglia. Nel frattempo, sarà imprigionato.
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Quando esce di prigione deve andare in esilio, sposa Isabel de Urbino e la porta con sé. A Lisbona
si arruola come soldato nell’armata invincibile, in seguito si stabilisce a Valencia e lì apprende
molto sul teatro. A Valencia muore Isabel e Lope ritorna a Madrid, però prima si stabilisce a Toledo
servendo un nobile della famiglia Alba per cinque anni Pubblica l’Arcadia su imitazione di
Sannazzaro e la Dragontea. Si sposa nuovamente però ha altre relazioni amorose che
influenzano le sue opere. Dedica la sue opere a queste donne cambiando però il loro nome. Dopo
la morte della seconda moglie diviene sacerdote e pubblica Las Rimas Sacras. Nel 1616 (anno
della morte di Cervantes) conosce una ragazza che si chiama Marta de Nevares e ha una
relazione con lei da sacerdote. Questa ragazza sarà chiamata nella sue opere Amarilis e
soprattutto Marcia Leonarda nella sue novelle (novelas cortas), in quanto scrive 4 novelle per
intrattenerla. Questo sarà il suo ultimo amore e lui la lascia quando lei diventa cieca e impazzisce
(Marta muore nel 1630). Morta Marta pubblica la sua opera più importante La Dorotea che è un
romanzo dialogato, il quale precede il romanzo dialogato inglese del XVIII sec. La Dorotea è Elena
Osorio, il suo primo amore. Qui rielabora la storia della sua relazione con Elena, rappresenta
Elena, suo marito, l’altro amante, se stesso, la sua disperazione, i consigli dell’amico. È un libro
influenzato anche dalla Celestina perchè appare una donna che consiglia a Dorotea cosa fare, è
un’amica di sua madre la quale porta sulla cattiva strada sua figlia, in quanto vuole un amante
ricco per lei e non un poeta squattrinato. Tutto ciò è rappresentato con una grande eleganza
spirituale, è già un romanzo di introspezione. A caratteristica principale di Lope è che avendo avuto
una vita così intensa, ha molta esperienza e c’è sempre una relazione tra ciò che ha vissuto e ciò
che narra, che siano poesie o romanzi dove appaiono spesso le sue amanti di turno che appaiono
nei testi con nomi diversi. Quindi abbiamo un autobiografismo molto intenso e umano, c’è una
capacità comunicativa molto grande da parte di Lope, sono testi facilmente comprensibili, con un
linguaggio chiaro opposto a quello di Góngora pieno di metafore. Lope non è un poeta metaforico,
è spontaneo. Affianco alla presenza dell’elemento femminile che egli sta a cuore, c’è anche una
presenza personale che si traduce con una serie di pseudonimi con i quali firma alcune delle sue
opere (Belardo nelle composizioni pastorali; Tomé de Burguillos quando scrive opere di attualità,
cortigiane; Zaide nome morisco), c’è quindi un gioco di maschere, di specchi nei quali però
vediamo sempre l’autore. Scrive anche egloghe, poemi mitologici, epopee epiche, prose,
un’epopea burlesca la Gatomaquia, poesie religiose, amatoriali, prova e scrive soprattutto teatro.
Era un poeta colto, aveva studiato ad Alcalà dove la specialità erano le lingue, c’è una formazione
solida, ma la sensazione che danno le sue opere è la naturalezza, la spontaneità, è una
naturalezza raggiunta per effetto della sua formazione, ma è una cifra stilistica, non spontanea.
C’è una grande abbondanza di linguaggio che produce piacere nel lettore, produce identificazione
perché dà la sensazione di naturalezza. Cervantes nel 1614 aveva scritto il Viaje del Parnaso,
che era un viaggio allegorico dei poeti spagnoli al Parnaso per visitare Apollo e nel viaggio
passavano anche per Napoli. A imitazione di questo viaggio erudito, Lope scrive el Laurel de
Apolo che è un’antologia poetica critica, con tutti i poeti del tempo a cui dà un giudizio, tutto
questo in versi. È composto in Silvas (composizioni in cui si alternano endecasillabi ed settenari,
con una composizione molto libera per questo si chiamano silvas, come gli alberi delle foreste che
crescono in maniera spontanea). Abbiamo quindi una specie di manuale bibliografico della poesia
in questo momento, sia in Cervantes che in Lope, che si sviluppa intono al tema mitologico, ossia
la visita ad Apollo, una cornice di finzione mitologica. Lope è anche un grande scrittore di
romances, sono chiamati romances nuevos e sono firmati: i romances del passato erano
anonimi, ora invece tutti i grandi poeti del XVII sec li firmano, per questo sono romances
artisticos, che hanno un autore. I romances di Lope devono essere inclusi ne “Las rimas” che
sono una sorta di antologia poetica, al cui interno ci sono composizioni distinte (romanzi, sonetti
ecc..), ci sono numerosi romanzi. Le prime rime appaiono nel 1602, al contrario durante la crisi
quando diviene sacerdote, scrive rime sacre (1612-14), compone anche molte canzoni (nelle corti
si cantava molto spesso e i poeti componevano i testi delle canzoni, sono poesie colte o
romances, e sono quasi sempre ottonari). Dal punto di vista della prosa Lope scrive oltre alla
Dorotea, anche novelle. Se la Dorotea è un romanzo dialogato, influenzato dalla Celestina, nelle
novelle Lope imita las novelas ejemplares di Cervantes pubblicate nel 1613 (Cervantes è il primo
che ha scritto novelle di tipo boccaccesco in lingua spagnola e le dedica al re di Napoli, Fernando
de Castro). Lope è un gran nemico di Cervantes, lo critica molto, Cervantes non risponde mai in
maniera violenta al contrario riconosce le capacità di Lope. Queste 4 novelle sono un’opera
maestra dedicata a Marcia Leonarda (Lope dà una cornice alle sue novelle al contrario di Calderón
o Cervantes) la sua amante. Si rivolge a lei nelle novelle, le quali a volte si interrompono per
spiegare ciò che dice nell’opera, queste interruzioni sono pillole di teorie letterarie, di critica
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letteraria destinate ad una ragazza che non era andata all’università. Non sono pubblicate insieme,
la prima nel 1621 intitolata la Filomena, l’altra la include in un altro libro del 1624, non c’è una
collezione come le novelle di Cervantes. Essendo un personaggio pubblico, quando morì Madrid
gli dedicò 11 giorni di lutto perché era una specie di poeta nazionale. Col passare del tempo però
Lope non resiste alla comparazione con Cervantes.

22 marzo

Il teatro è sicuramente il genere più interclassista di tutto il secolo d’oro. E’ un genere apprezzato
da tutti gli spagnoli, ricchi, medi e poveri. E’ un genere che è come un frullatore che mischia
generi, temi, motivi appartenenti ad altri ambiti della letteratura: poesia; questo è un teatro in versi,
quello del teatro è un genere molto politico, anche se era chiaramente più semplice rispetto alla
poesia lirica che era molto difficile.
Genere che include tutto quello che si produce in ambito simbolico, non solo poesia, non solo
tematiche che provenivano dal genere storico, che vengono dall’epica, dal romancero, ma che
provengono anche da ambiti molto diversi come per esempio arti quali la pittura, per esempio El
pintor de su deshonra è una delle opere più importanti di Lope de Vega (tragedia). Arti come
l’architettura per esempio l’auto sacramentale di Calderón de la Barca El nuevo palacio del retiro,
che si riferiva al palazzo del ritiro che aveva costruito il “privato” del re, il conte e duca di Olivares
affinché Filippo IV si divertisse, si curasse dalla sua melancolia. Queste arti entrano anche nel
teatro e in una parte del teatro sacramentale, com’è el nuevo palacio del retiro che si conclude con
un’esaltazione del santissimo sacramento. E’ un macchinario molto misto quello del teatro
spagnolo, che assorbe tutto: Assorbe anche i miti, le preoccupazioni morali degli spagnoli
contemporanei, e questo lo vedremo negli eredi di Lope de Vega, che sono principalmente due:
Tirso de Molina, che produce testi quando Lope è ancora in vita, quindi è un alunno che coincide
in parte con il maestro per quanto riguarda la produzione teatrale. Il secondo erede invece scrive
quando Lope è ormai già scomparso ovvero Calderon de la Barca.
I quali in alcune grandi opere superano il maestro; abbiamo un opera di Tirso de Molina che ha
dato origine al mito de Don Juan, del donjuanismo e di Calderon de la Barca abbiamo La vida es
sueno che è universalmente conosciuta come un’opera maestra che ancora ispira poeti. E’ un
dramma superiore a quelli di Lope dal punto di vista della recezione.
La prima cosa da dire su Tirso è che è anche lui un uomo di chiesa, nasce a Madrid come Lope,
da notare l’importanza che ha in questo momento la capitale della corona Spagnola, la capitale
dell’impero è Madrid e questi autori sono tutti di Madrid.
Sono di Madrid: Lope, Tirso e Calderon de la Barca.
Nasce a Madrid nel 1579, 32 anni più giovane di Cervantes, nel 1600 entra nell’ordine della
Mercede (orden de la Merced), quello dei mercedari è un ordine che fu fondato in Spagna per la
redenzione dei prigionieri, questa era la funzione principale, però in seguito si dedicherà anche a
missioni in America. I prigionieri si riscattavano pagando.
E’ presente un frate della Mercede nel Lazarillo de Tormes, che al contrario non è esemplare, uno
dei padroni di Lazaro è un frate che sembrerebbe che paga favori inconfessabili a Lazaro, si
capisce da certe metafore che Lazaro intrattiene una relazione intima con questo frate. Tirso
invece è un frate molto colto, onesto, non ci furono scandali nella sua vita, eccetto il fatto che
scriveva teatro, che per un frate era scandaloso, perché la vita religiosa esigeva che la scrittura
fosse d’accordo con l’atto di concedersi a Dio (appoggiasse i principi religiosi). Questa
contraddizione; egli era un frate che scriveva teatro profano; questo vuol dire che era molto vicino
alle compagnie teatrali, che frequenta gente della “farandula”, cioè gente del teatro e tutto il mondo
che vive intorno al teatro. Frequenta queste persone. Conduce una vita, come la maggior parte
degli spagnoli del 17esimo secolo, molto movimentata. Nonostante fosse un frate, si muove
moltissimo. C’era un vortice nella storia del 16 e 17esimo secolo, dove tutta la gente si sposa,
perché si sono molti posti in cui andare; in Italia a studiare e a fare carriera, in America a
conquistare, in Africa… ci sono moltissime destinazioni (ci sono molte biografie che sembrano
inventate, perché c’era un movimento straordinario, che non sembra possibile).
Ci si muoveva a grande velocità, nonostante non ci fossero le auto. Quella Italiana era una
situazione più stabile rispetto a questa. A questo vortice d’esperienze corrisponde anche la vita di
Tirso, e a cui corrisponderà anche la vita del suo personaggio principale.
Incontriamo Tirso a Sevilla dove s’imbarca per Santo Domingo, questo ordine aveva missioni, dove
si tratterrà dal 1616 al 1618. Torna a Madrid e ci rimarrà dal 1620 al 1625. Nel 1620 già era stato
scritto El burlador de Sevilla, non sappiamo esattamente in che momento, però già ci sono notizie
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circa quest’opera nel 1620. Quando Tirso torna a Madrid già lo aveva scritto, oppure lo scrive
subito dopo essersi, stabilito a Madrid. Questi autori scrivevano in un modo molto veloce, sia Lope
che Tirso, anche se di Tirso ci restano opere molto più ridotte, ci sono pervenute 86 opere del
teatro di Tirso de Molina: 80 commedie e 6 auto sacramentali. Quando si parla di commedie,
bisogna tener conto del senso molto ampio di questa parola, commedia è rappresentazione in tre
atti, può riferirsi anche alla tragedia o al dramma.
Di Lope sono state conservate più di 400 opere, mentre di Calderon 180. Il meno fruttifero è Tirso.
La posizione di Tirso all’interno di questo ampio itinerario è che egli ammira il suo maestro, lo
supera con El burlador de Sevilla e apre il cammino a Calderon.
Tirso ha una coscienza estetica molto raffinata, più squisita e aperta all’universo interiore rispetto a
quella di Lope, cioè Lope è più superficiale, Tirso indaga di più i motivi psicologici (Calderón
ancora di più). Tirso non scrive soltanto testi teatrali ma scrisse anche miscellanee in prosa che
contengono anche poesia dentro. Libri di miscellanee che contengono anche narrazioni tipo
novelescas o novelle (novelas cortas), la più improtante è Los cigarrales de Toledo. A Toledo si
chiamavano “cigarrales” le ville sui monti vicino ai fiumi, probabilmente perché si sentivano le
cicale (cigarras). Sono ville, quello che a Granada si chiama “carmenes”, cioè case ricreative
(casas de recreo). Los cigarrales de Toledo fu scritto nel 1624, però c’è anche un’altra miscellanea
più tardiva che si chiama Deleitar aprovechando del 1635.
Durante la sua vita religiosa continua a scrivere in profano, anche se cerca di sporcare (macchiare/
infanghare) questi testi in prosa di un senso morale che contiene anche el burlador.
All’interno di questa serie di testi teatrali che abbiamo chiamato in una maniera più generica
“commedie” ci sono anche tragedie e all’interno delle tragediae c’è da mettere in evidenza
un’opera che si chiama La venganza de Tamar che è un dramma biblico. Mette in scena il dramma
della passione incestuosa (scena incestuosa) de Amón che è il figlio di David che si innamora della
sua sorellastra Tamar. Su questo tema Calderon in seguito farà un rimaneggiamento, rimaneggerà
questo tema in una sua opera che si chiama Los cabellos de Absalon, anche questo un dramma di
tipo biblico che s’ispira a questo testo di Tirso.
Tirso riserverà sempre all’amore uno spazio molto grande. En la venganza de Tamar l’amore
occupa uno spazio molto ampio che riduce lo spazio della tragedia, che riduce la tragicità del
dramma. Questo spazio dell’amore che in qualche modo compensa la violenza del tema tragico
che presenta. Al tema tragico si dedica la metà del secondo atto e del terzo, cioè la metà di quello
che è la tragedia intera, tutto il resto è occupato dall’amore.
Si tende a una riconciliazione di aspetti incompatibili quali sono, l’amore e la violenza dell’incesto,
si tende a una riconciliazione (accordo), a una penitenza. Questo accordo che alla fine si mostra
incompatibile e equivale alla ricerca del perdono e al raggiungimento di questo da una parte, e
dall’altra alla possibilità del castigo. C’è il perdono e c’è il castigo del colpevole. E’ sempre un
dramma profondamente cristiano e religioso, chi è colpevole deve pagare però allo stesso tempo
si pone l’accento sulla possibilità del perdono.
Tirso tende a raggiunge un equilibrio tra questi opposti, cosa che non fa Calderon che è più
intransigente.
Uno dei testi più importanti di Tirso è ambientato a Napoli; el condenado por desconfiado che
racconta la storia di un eremita che vive ai Camaldoli nella zona alta di Napoli, zona montana che
si adatta molto bene alla vita di un eremita. Ambienta a Napoli questa storia di questo eremita che
si condanna perché non riesce ad accettare il fatto che Dio è così potente da essere capace di
perdonare qualsiasi peccato per quanto grave esso sia. Non accetta la misericordia di Dio, non
riesce a uscire da se stesso, vedere la sua traiettoria personale di violenza, da assassino e quindi
non riesce a inscrivere questa traiettoria personale all’interno di un progetto ampissimo com’è
quello della misericordia divina. Non ci riesce e quindi si condanna perché non ha fiducia.
Il caso di Don Juan Tenorio, protagonista del Burlador de Sevilla è diverso perché egli ha fiducia e
rinvia il suo pentimento. Questo è il problema che abbiamo nel Burlador de Sevilla. Ci sono molti
problemi filosofici e scientifici molto interessanti che ancora non si è riusciti a studiare a fondo.
La storia del burlador de Sevilla: un nobile della nobiltà alta/elevata, non della nobilità bassa come
per esempio don Quijote, arriva a Napoli per motivi relazionati con un caso di giustizia che non
sappiamo quale è, ha problemi a Sevilla la città di appartenenza e viene a Napoli dove suo zio ha
un incarico molto importante, è una specie di ministro della giustizia con il re di Napoli, questo re di
Napoli che non si capisce chi sia è sicuramente uno dei re aragonesi → questo è l’antefatto, ma
questo antefatto non si presenta nel brano, lo si capisce durante la lettura del testo.
Il dramma comincia in medias res, abbiamo una scena oscura e un uomo e una donna. Quello che
abbiamo in Tirso è esattamente un uomo e una donna; questo lo dice Don Juan nel primo
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parlamento (prima volta che parlano) con Doña Isabela. La scena è oscura, questa coppia (uomo-
donna) si sta salutando inseguito a un incontro amoroso, quelle che si dicono sono parole d’amore
e prima di salutarsi il cavaliere chiede la mano alla dama, questa “mano” sarà un’icona
importantissima durante tutta l’opera; ci sono molte mani, molte richieste di matrimonio (muchas
pedidas de mano).
Nell’opera la dama vuole accedere una luce ma lui non vuole, però quando lei l’accenderà lo
stesso e scoprirà che lui non è la persona con cui pensava di stare, si tratta di un don Giovanni
che l’ha ingannata. Però a udire le urla di lei compare la guardia reale del palazzo reale di Napoli,
stavano nel Castel Nuovo (Maschio Angioino), è il castel nuovo perché è il castello che costruirono
gli aragonesi.
Gli spagnoli lo chiamavano sempre Castel Nuovo, la definizione di Maschio Angioino è recente.
L’azione si svolge nel Castel Nuovo e per questo c’è la guardia reale che detiene questo giovane,
non sappiamo di chi si tratti, sappiamo solo che si è spacciato per un'altra persona e la duchessa
Isabella, dama della regina, ha scoperto che non si trattava del suo fidanzato Don Octavio ma di
un'altra persona. Questa è il primo cambio di personalità di Don Juan. Il gioco di Don Juan sarà lo
scambio d’identità, quello che all’epoca si chiamava burla, da cui deriva il titolo di “burlador”.
L’opera si chiama “el burlador de Sevilla”, non Don Juan Tenorio che è il nome del protagonista, il
quale ripeterà in maniera ossessiva questa sostituzione, quello che lo diverte è essere un’atra
persona, sostituire gli amanti di una serie di persone. Si sostituisce agli amanti delle dame nobili, si
presenta con il suo nome alle donne del popolo. Le donne del popolo che si porta a letto sanno chi
è mentre le dame nobili non lo sanno. Quindi il gioco, la burla si effettua con le donne nobili,
appartenenti alla nobiltà. Lo scherzo con le donne del popolo consiste nell’ingannarle, facendogli
credere di essere innamorato di loro, mantenere una relazione fedelissima per poi abbandonarle.
Lo schema del dramma è per questo molto geometrico, perché in scena verranno rappresentate 4
burle/imbrogli alternate; una nobile e una del popolo, una nobile e una del popolo (villana). Il
dramma comincia a Napoli e finisce a Sevilla. Le due grandi capitali dell’impero; Napoli la più
orientale e Sevilla la più occidentale. Sono gli scenari fondamentali del dramma.
Una nobile è di Napoli e l’altra è di Sevilla, mentre una delle donne del popolo (pleberias) è una
pescatrice di Tarragona, e l’altra è di un popolo vicino a Sevilla, di famiglia ricca però del popolo
medio (villana).
La storia di Isabella insieme a quella di dona Ana hanno maggiori conseguenze perché i nobili
avevano l’onore mentre le persone appartenenti al popolo medio no anche se l’agricoltore, il padre
dell’ultima amante, rivendica l’onore della figlia e della sua famiglia. Quelle che hanno
conseguenze morali sono le due burle fatte alle due donne appartenenti alla nobiltà, hanno anche
conseguenze giuridiche perché al grido di Isabela arriva la guardia che detiene il personaggio e
dopo il re incarica il ministro della giustizia di indagare sul caso.
Dopo aver indagato, scopriamo che il ministro della giustizia appartiene alla famiglia di Don Juan
Tenorio, è uno zio che è ministro a Napoli al fianco del re e quindi questo ministro lo lascia
scappare da una finestra del palazzo e Don Juan scappa con il suo servitore con una barca verso
la Spagna.
La scena seguente lo presenta già a Tarragona, questa sostituzione di personalità lascia due ferite
nell’onore dei personaggi della nobiltà; una in Dona Isabela e l’altra in Don Octavio, il fidanzato,
colui con cui credeva di giacere. La sostituzione che fa Don Juan di Don Octavio ottiene
conseguenze in due personaggi, Isabel e Octavio, questi due personaggi si recheranno dal re a
chiedere giustizia, a questa macchia nell’onore può porre rimedio solo il re. Questo Burlador è
scappato verso la Spagna, quindi non risponde alla giustizia di Napoli e quindi bisogna cercarlo e
chiedere giustizia al re di Spagna. Dietro Don Juan si mettono in marcia altri personaggi che
incontriamo a Sevilla, quindi Don Juan porta con se le conseguenze del disastro che ha causato a
Napoli, perché l’onore macchiato di Isabela non si può riparare con un matrimonio con Octavio,
perché lui non la vuole più. Dunque chiedono giustizia al re di Spagna, il quale stabilirà che Don
Juan deve sposare Isabela per porre rimedio al disordine generatosi, per riparare l’onore. Questo è
una soluzione che va ad adottare il re di Spagna in un primo momento, ma siccome Don Juan
continua con le sue, incontra altre donne, che dicono di doversi sposare con loro. Il Burlador in
ogni scherzo che fa c’è una vittima di cui dopo deve tenere in conto.
In quest’azione che si ripete sempre con caratteristiche molto diverse, ed è qui che s’installa la
bravura di Tirso, che sa modulare molto bene le parole da dire a queste ragazze secondo il loro
rango sociale/ la loro categoria sociale. In queste scene il burlador è sempre accompagnato da
uno servitore (criado) che è un buffone (gracioso), modello che aveva inventato Lope de Vega (el
criado gracioso) cioè divertente, però a differenza del servitore di Lope che ha sempre una storia
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parallela con la servitrice della dama della quale è innamorato il cavaliere, questo servo del
burlador non instaura nessuna relazione amorosa con nessuna servitrice, è un servo solo,
solitario. E’ un servo che segue il suo signore e che assume una funzione quasi da consigliere, ha
una funzione religiosa, avverte il pericolo che Don Juan sta per correre, lo avverte, lo avvisa, è una
coscienza morale, risponde alle norme morali vigenti, si appella a quest’ultime e le ricorda al
burlador. Dunque è la coscienza, coscienza della quale Don Juan non terrà conto, per questo è un
“confiado” (diverso dal “desconfiado” di Napoli) Don Juan perché ogni volta che il suo servo
Catalinon lo avvisa che sta commettendo un errore e gli ricorda di tener presente che Dio gli farà
pagare le conseguenze, lui gli risponde con un proverbio: “Tan largo me lo fiais“ ovvero c’è molto
tempo, ho tempo, è una fiducia nel tempo. Questa funzione di avvisatore del servo non la gestisce
solo Catalinon, ma ci sono altri personaggi che avvertono Don Juan; il primo è suo zio, il ministro
della giustizia di Napoli. Don Juan si trasferisce da Sevilla a Napoli perché aveva già problemi con
la giustizia, quindi suo zio lo avvisa che sta perdendo la retta via, sta seguendo la strada sbagliata.
Il re e il padre, al quale Don Juan risponderà sempre con la stessa frase. Dunque abbiamo un
tema che entra nel tema, un tema secondo che è la relazione di Don Juan con il tempo, questa
relazione è la cosa più importante del dramma. La burla è un gioco tipico del fanciullo, ripete la
burla in maniera ossessiva, infantile.
Relazione con il tempo: lui vive il momento, l’istante, per questo è tanto moderno. Don Juan non
ha orizzonti, non guarda al futuro. Qualsiasi futuro, anche sia domani, per lui è tanto lungo. Questa
relazione il tempo dell’istante è una relazione che si deve studiare dal punto di vista filosofico e
scientifico.
La rivoluzione scientifica che si ebbe in questo momento fu la rivoluzione di Galileo, questo cambia
la percezione del tempo, 1610 quando pubblica la prima opera fino al 1620 già si sa
dell’invenzione del cannocchiale, e del eliocentrismo di Galileo, questo cambia la percezione del
tempo e la presenza dell’uomo nell’universo. Tirso elabora questa nuova teoria, questa nuova
relazione dell’uomo con l’universo a livello poetico e questa relazione trasforma la vita dell’uomo in
un istante, quello che conta è l’istante. Allora Don Juan non si preoccupa della punizione che
arriverà nel futuro, né della colpa, perché il passato già non gli riguarda.
Il castigo appartiene al futuro e dunque non gli riguarda. Quello che importa è l’azione. Mente sta
preparando lo scherzo sta preparando anche la fuga. Nel caso della pescatrice Tisbea questo è
molto evidente. Don Juan cerca di farla innamorare dicendole parole dolci (vergine).
Probabilmente cade tra le braccia di Don Juan che è nobile. Don Juan arriva mezzo morto dal
mare e lo aiuta. Prima di giacere con la donna Don Juan dice a Catalinon di preparare i cavalli per
fuggire, è dunque una relazione istantanea dove interviene il fuoco perché si incendia
materialmente la capanna dove vive Tisbea. Quindi abbiamo anche gli elementi naturali dell’acqua
del mare (dove quasi muore affogato Don Juan) e del fuoco della capanna de Tisbea e il vento dei
cavalli. Questo fuoco è annunciatore dell’ultimo fuoco che va a consumare Don Juan. La tappa
seguente è Sevilla, la patria, dove recupera i suoi amici che lo informano circa gli scherzi che
facevano alle prostitute anziane di Sevilla, il marchese della Mota gli racconta di ciò che è
successo in questo tempo che lui ha trascorso a Napoli. Il primo scherzo che preparano Don Juan
e il marchese quella sera è rivolto a delle prostitute.
C’è uno scherzo dentro dello scherzo, Don Juan chiede al marchese il suo mantello per fare lo
scherzo, e in realtà lo scherzo lo farà alla fidanzata del marchese non alla prostituta. Il primo
scherzo alla fidanzata del marchese, gli chiede il mantello al marchese e con questo riesce ad
arrivare a Dona Ana che ha una relazione segreta con il marchese ed entrerà in casa di Dona Ana.
Questa è l’azione principale, insieme ha questa c’è n’è un’alta ce è l’azione dei signori, dei
personaggi vecchi, di questi personaggi vecchi a Sevilla ne incontriamo due molto importanti che
corrispondono ai due che abbiamo incontrato a Napoli; il re che esce dalla sua stanza quando
Isabela grida e il ministro della giustizia, zio di Don Juan che lo libera. A Sevilla incontriamo il re, e
l’ambasciatore del re e della corte del Portogallo. Questo ambasciatore è il padre di Dona Ana.
Questo ambasciatore è proprio perché è il padre di Dona Ana, che si chiama Gonzalo de Ulloa.
Gonzalo è andato come ambasciatore a Lisboa, tornato a Sevilla racconta al re della bellezza di
Lisboa. L’esaltazione di Lisboa serve per presentare un personaggio nobile, colto, importante
presso la corte del re, un personaggio onorabile, di grande rilevanza sociale. Allora il re, che
combinava i matrimoni importanti, stabilisce il matrimonio della figlia di Gonzago con il suo
cortigiano più importante che è il padre di Don Juan. Allora il re combina il matrimonio tra Don Juan
e Dona Ana, donna in segreto del Marchese. Questo piano del re fracasserà nel momento in cui si
reca da lui Isabela chiedendo giustizia da Napoli, quindi ci sarà una riorganizzazione delle coppie
perché Don Juan non può più sposarsi con Dona Ana, deve invece sposare Dona Isabela per
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riparare, porre rimedio al disordine generatosi. Però nel momento in cui Don Juan chiede il
mantello al suo amico, stranamente Don Juan fa uno scherzo a una dama che è già stata
promessa in sposa dal re, e lui questo lo sa, o almeno non allude a questo, però il suo obiettivo è
quello di prendersi gioco del suo amico, gli da appuntamento nel quartiere delle prostitute però
prima vuole ingannare a Dona Ana.
Ancora una volta ritorna la questione del tempo, la velocità del tempo che vive Don Juan, tempo
velocissimo, è il tempo che vive la Spagna, è il tempo della rapidità, della velocità.
Quando Don Juan riesce ad entrare in casa di Dona Ana grazie al mantello che indossava,
incontra un ostacolo ovvero che Dona Ana si rende conto che non si tratta del marchese, non è
chiaro se lo percepisce prima o dopo essere stata con lui. Sembrerebbe che prima, non c’è
consumazione nel caso di questa coppia, lei grida e corre in soccorso suo padre, ci sarà una
scena di “capa y espada”, e Don Juan uccide il padre di Ana e per questo è costretto a scappare.
Il re lo esilia però lo esilia in un paese vicino Sevilla. E’ questa superficialità dei re che ritroveremo
anche in Tirso e in Calderon, non saper dare un esempio, il loro essere così permissivi trasforma i
giovani in delinquenti ed è un tema molto attuale.
Mentre è esiliato nei pressi di Sevilla, Don Juan commette il quarto scherzo, l’ultima, che è con una
campagnola/contadina ricca, arriva il momento nel quale si deve sposare con Patricio e
logicamente siccome Don Juan è un nobile, è invitato e collocato nel tavolo nuziale in quanto
personaggio importante e allora Don Juan fa innamorare la fidanzata e fa si che il matrimonio
venga annullato, anche Patricio chiederà giustizia al re. Quando Don Juan torna a Sevilla dopo
l’esilio va a vedere la statua di Don Gonzal o nella chiesa e lo invita a cena, invita a cena la statua.
Torna al suo palazzo e prepara una cena, ci sono musicisti e vino, e la statua del commentatore
(comentador) si presenterà alla cena. Questo è l’epilogo del burlador de Sevilla. La statua gli
chiede la mano e nel momento in cui Don Juan gliela dà, la mano di pietra brucia e lo porta con sé
all’inferno.
Lui gli chiede di confessarsi però ormai è tardi, quindi abbiamo un caso opposto a quello del
eremita di Napoli, perché l’eremita non si fida abbastanza (è sfiduciato), invece Don Juan è troppo
fiducioso e alla fine non gli resterà tempo, non gli verrà concesso il tempo. Una volta che muore
colui che aveva creato tutta questa confusione sociale, il re può far sposare coloro che sono
rimasti, perché queste quattro donne sono vedove di Don Juan, quindi possono ricomporsi le
coppie : Isabela si sposa con Don Octavio, Ana con il Marchese e gli altri anche si sposano, la
pescatrice accetterà la mano di un pretendente, un pastore. Torna a regnare, ristabilirsi l’ordine
sociale che era stato interrotto dalla presenza inquietante del giovane Don Juan.
C’è un commento che ha fatto l’autore di questo capitolo dedicato al teatro, che è francese,
commento fatto sul burlador. L’autore di questa parte dedicata al burlador de Sevilla è un ispanista
francese che si chiama Marie Vitse, critico del secolo d’oro.
Don Juan Tenorio è erede degli eroi della riconquista, non ha paura, è valoroso però gli manca un
orizzonte eroico, si trova in una Spagna che non offre occasioni di eroismo autentico ai suoi figli
giovani, una Spagna codarda che non vuole continuare a lottare per quello che ha difeso fino a
quel momento e quindi non offre un orizzonte di onore alle nuovi generazioni. Dunque c’è una
deviazione, le nuove generazioni cercano un oggetto nuovo, questo oggetto è l’eros. Cioè c’è una
perdita di scenari eroici dove esercitare il vero valore virtuoso che in questo caso è un valor
logicamente dell’eroe. La compensazione è questa moltiplicazione di conquiste amorose. C’è
dunque una violenza destinata a rovinare l’onore degli altri, Don Juan si prende gioco dell’onore
altrui, lo distrugge con il suo comportamento. Questa ossessione per l’eros è carente di qualsiasi
dimensione etica, è totalmente amorale, però offrono all’eros occasioni di riscatto e le avvertenze
vanno in questa direzione. Lui rifiuterà tutte queste occasioni di riscatto. La geografia dell’eroe è
molto significativa da questo punto di vista perché Don Juan è di Sevilla però l’orizzonte della sua
azione non va verso l’ovest, l’orizzonte epico è l’America, invece si dirige verso l’est che è il
Mediterraneo, dove già è finito il momento epico, dove già è finito il periodo epico. Quindi è questo
piccolo orizzonte che lo priva di una vera dimensione eroica. E’ per questo che si lascia molto
spazio a Lisboa nell’opera, l’esaltazione di Lisbona, delle barche che vanno e che vengono da
Lisboa, delle mercanzie che vengono da Lisbona, perché Lisbona è l’orizzonte atlantico, oceanico,
dove si sarebbe dovuto dirigere Don Juan se avesse voluto essere un vero eroe. E’ un eroe
feudale ritardato (in ritardo), mantiene il culto al valore della nobiltà, è molto sicuro di se stesso
perché sa di appartenere a una casta che lo protegge, infatti lo zio lo protegge, è un privilegiato al
quale non si applicano i termini della giustizia come con tutti gli altri. Allora questa è una
spiegazione dell’autore interessante però fondamentalmente sociologica, c’è di più.
E’ una specie di cometa, la traiettoria personale dell’eroe è velocissima, è una cometa, ha una
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dimensione ontologica moderna non soltanto sociologica. Una dimensione che è cosmica, che
implica una cosmologia nuova che è questa del tempo, una fisica nuova, un’astrofisica nuova.
Logicamente tutto questo si elabora intorno al tema dell’onore, il gran tema del teatro, però non è
solo questo. Quello che farà del burlador un’opera maestra è che nel testo non avanza nulla, non
c’è una sola parola inutile in questo testo, è molto conciso e c’è un’equivalenza perfetta tra azione
e parola. C’è un’equivalenza perfetta tra verbo e azione.
Quando leggiamo la traiettoria vitale di Calderon rispetto a quella tanto completa di Lope e di Tirso,
Calderon diversamente dagli altri ha vissuto sempre tra Toledo e Madrid. Trascorrerà tutta la sua
vita presso la corte di Madrid, che non è una città ma è un villaggio, che ha il titolo di villa e corte,
non è una città cortigiana come Toledo o Valladolid o Granda, non ha il titolo di città ma di villa,
villaggio, paese. Trascorrerà tutta la sua vita presso villa e corte, con due parentesi studio presso
Alcalà e Salamanca, vive l’esperienza di entrambe le due grandi università che vengono una dal
Medioevo, la più antica (la salmantina) e l’atra dal rinascimento (Alcalà). E’ doppiamente
universitario, per questo un grande fermento culturale. Partecipa alla guerra di Cataluna come
soldato 1640 all’età di 40 anni e assiste alla corte principesca dei duca di Alba, presso Alba de
Tormes, come mecenate della letteratura spagnola, da Garcilaso e ancora sono molto importanti
gli Alba. Vive a Toledo, s’incarica sacerdote e capellano della cappella dei re di Toledo. E’ in
conflitto con il padre, questo è un dato importante perché in qualche modo lo trasferisce nell’opera
La vida es sueño, è un conflitto tra un padre e un figlio. Un conflitto con suo padre, disaccordo con
la sua matrigna, è coinvolto in un caso di omicidio con i suoi due fratelli nel 1621, entrano con la
forza in un convento di monache di clausura in uno spazio privato dove non si può entrare senza il
permesso del proprietario (ayanamiento), perché è un delitto, è coinvolto in un caso di
ayanamiento di un convento per perseguitare a un attore che si era nascosto nel convento che
aveva ferito uno dei suoi fratelli e ha anche un figlio bastardo nel 1647, figlio frutto di amori
illegittimi segreti, perché non si era sposato con la madre di suo figlio. Si fa sacerdote e all’inizio
dovrebbe smettere di scrivere per il teatro però non lo fa, è un caso simile a quello di Tirso, anche
se i sacerdoti avevano più libertà rispetto ai frati che avevano delle regole più serrate.
C’è un primo Calderon e un seconod Calderon; inizia a scrivere poesia drammatica nel 1623
quando era molto giovane e questo primo Calderon, di questa prima epoca termina con la chiusura
dei teatri nel 1644, si chiudevano i teatri per lutto, quando c’era qualche lutto presso la famiglia
reale i teatri venivano chiusi e questa chiusura poteva durare più o meno tempo, gli ospedali
sollecitavano sempre il re affinché li riaprisse perché con il denaro guadagnato nei teatri si
finanziavano gli ospedali. Senza il teatro gli ospedali non sapevano come fare. Questa prima
epoca arriva fino alla chiusura dei teatri. Il secondo Calderon è da dopo la riapertura dei teatri nel
’49 fino all’’80 che è quando muore. Quello che lui apporterà a questo teatro ereditato da Lope è
l’universalità, le opere di Calderon hanno ottenuto trascendenza in tutta Europa, in tutto il mondo. Il
teatro di Calderon sarà rivendicato soprattutto dai tedeschi e dagli inglesis. Ci sono tre ambiti di cui
si occupa: l’ambito sacramentale, è l’autore più importante di auto sacramentali, l’ambito tragico e
ha scritto anche commedie molto allegre e raffinate, dunque scrive anche in ambito comico.
Sacramentale, tragico e comico.
Nel campo tragico la prima epoca (dal ‘21 al ‘44) è la più importante, Calderon scrive tragedie
soprattutto in questa epoca. Le tragedie sono drammi, poiché la distinzione tra tragedia e dramma
non sempre è chiara. Per esempio el burlador de Sevilla può essere considerato una tragedia se
l’opera si chiudesse con la morte del bulador, poiché se si togliesse la scena finale che lo
trasforma in una commedia ovvero la scena finale dei matrimoni che è il tipico finale della
commedia dove tutti si sposano e sono felici, si trasformerebbe l’opera in una tragedia ma in realtà
diventa una commedia drammatica. E’ molto lieve la differenza tra i generi, questa capacità di
trasformazione, questo trasformismo tra i generi è una caratteristica del teatro spagnolo. L’universo
tragico in Calderon è sfumato dai finali edificanti; abbiamo un’opera molto bella del 1629 El
principe constante, un principe portoghese prigioniero nel Nord di Africa dove era andato a fare la
guerra contro i musulmani, durante la quale era stato catturato. Allora il re di Fez propone uno
scambio tra il principe e la città di Ceuta che è portoghese e cristiana, doveva passare dal principe
al re e in cambio il re avrebbe liberato il principe Don Fernando. Questo cambio il principe non
l’accetta (per questo si chiama il principe costante) perché se Ceuta cadesse nelle mani dei
musulmani da cristiana passerebbe ad essere mussulmana e lui non può ottenere la libertà in
cambio di questa metamorfosi, disonore per i cristiani, quindi non accetta il cambio e soffrirà da
martire. Si conclude con il martirio del principe costante.
La vida es sueño è del 1635 ed è anche questa un’opera che si svolge in ambienti principeschi,
cortigiani, anche l’opera di Tirso era di ambiente cortigiane, quindi vediamo la commedia cortigiana
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trasformata in qualche modo in tragedia, una commistione di generi. Genero tanto


spugnoso/soffice (esponjoso) del teatro spagnolo del secolo d’oro. La vida es sueno dev’essere
considerata in primis come una commedia dove ci sono due coppie, dove si formano due coppie,
una del principe e una dama di corte che è di origine principesco, il principe è Segismundo,
principe erede di Polonia e l’altra formata da un cugino del principe di origine russa e una dama
con la quale il principe aveva già avuto una relazione durante l’adolescenza. Dunque possiamo
considerare la vida es sueño la tipica “comedia de enredo” (=commedia di intrigo) dove ci sono
due coppie che all’inizio sono separate e che alla fine si incontrano e si sposano. Commedia
d’intrigo dove c’è appunto un enredo (=intrigo) ufficiale che in seguito si risolve. Enredo (=
imbroglio, confusione). Però c’è un altro livello più ampio che predomina e che trasforma questa
commedia in dramma; la storia comincia con la nascita di Segismundo principe erede, il cui padre,
il re Basilio, è un re astrologo, che guarda ossessivamente le stelle e cerca di leggere nelle stelle il
destino degli uomini, questa è l’astrologia. Basilio è un re astrologo, vuole leggere nelle stelle il
destino degli umani. Quello che vuole dimostrare Calderon nella sua opera è che le stelle possono
sbagliare, possono dire qualcosa però non dicono tutto e quindi possono creare confusione,
creano infatti confusione. Le stelle annunciano a Basilio che Segismundo, il figlio che nascerà gli
sottrarrà il trono. Allora quado nasce il figlio e muore la madre (muore di parto) il figlio è
condannato dal re per evitare che si realizzi quanto annunciato dalle stelle, è condannato alla
prigione perpetua e crescerà in una torre, nascosto dal mondo in contatto solo con un delegato del
re che è Clotaldo, un ministro del re. Questo figlio separato dal genere umano, che ha un solo
contatto umano, il carceriere sarà il suo unico maestro, questo bambino è un misto di uomo bestia,
perché vive separato dal regno, è uomo e bestia. Nessuno lo ha mai visto e lui non ha mai visto
nessuno, fino a quando lo scopre una ragazza che arriva in Polonia in cerca di giustizia per il suo
onore, Rosaura, che cerca la corte e inaspettatamente arriva alla torre dov’è prigioniero il principe.
Il principe che non aveva mai visto una ragazza, quando la vede si innamora di lei ed è la prima
amozione amorosa del principe. Al re Basileo sorgono dei dubbi, e si domande se quello che sta
facendo a suo figlio sia giusto, allora decide portarlo (sotto effetto di un sonnifero, una droga) alla
corte per 24h e vedere come si comporta, se si comporta male riportarlo alla torre. Allora lo
portano addormentato alla corte, si sveglia e crede che si tratti di un sogno, si comporta male,
come una bestia, quando scopre di essere un principe pretende che tutti gli obbediscano, si
comporta male e il padre decide di riportarlo alla torre facendogli credere che si fosse trattato di un
sogno. Per questo “la vida es sueno”, cos’è la vita? La vita delle 24h trascorse presso la corte
oppure il tempo eterno nella prigione della torre, Sigismundo mediterà su questo. Intanto il popolo
in queste 24h ha saputo che il regno ha un principe legittimo, che Basilio ha un figlio, quindi il
regno appartiene a questo figlio e il popolo si ribellerà e libererà il principe dalla torre. Si avvera
l’annuncio delle stelle. Il figlio vince il padre, però il figlio perdona il padre e quindi si ristabilisce
l’ordine giusto, il figlio eredita dal padre. Il principe non può sposare Rosaura perché Rosaura
cercava il suo onore perso che le era stato rubato dal cugino di Sigismundo che aspirava al torno,
colui che Basilio aveva nominato erede al posto dell’erede legittimo, suo figlio. Astolfo si sposa con
Rosaura la quale aveva rubato l’onore e Segismundo si sposa con Estrella che è una sua cugina e
si formano le due coppie.

26 marzo
Pedro Calderón de la Barca era definito “poeta viejo” perché vivere fino ad 80 anni nel
diciassettesimo secolo era impossibile, già a 45 anni si era considerati vecchi. Scrisse per quasi
tutto il secolo XVII.
Il nonno, Pedro Calderón, viveva a Toledo dove si sposò con Isabel Ruiz, donna ricca ed ereditiera
e si trasferirono a Madrid. Lì raggiunse un lavoro manuale (non erano ben visti), Secretario del
Consejo y Contaduría Mayor de Hacienda, a cui poi gli succederà suo figlio Diego, padre de
Calderón. Diego si sposa con una donna di buona famiglia, Ana Maria de Henao. Trasferitisi a
Madrid, avranno tre figli e tre figlie: Diego (1595), Dorotea che entrerà nell’ordine delle clarisse,
Pedro che nasce nel giorno di Sant’Antonio e lo battezzano nella parrocchia di San Martín, José
che sarà militare, Antonia che morirà da bambina. La moglie di Diego morirà durante l’ultimo parto
come la bambina che stava dando alla luce. Diego si sposerà di nuovo con Juana Freyle ma
morirà poi nel 1615 e sarà lo zio ad occuparsi dei nipoti. Inizierà a lottare con la vedova per i beni
della famiglia. Nelle opere di Calderón appare la lotta tra padre e figlio e l’odio nei confronti della
matrigna. Calderón inizia a studiare nell’università di Valladolid ma poi entrerà nel Collegio
Imperiale dei Gesuiti (il loro livello educativo era molto alto) dove sarà tra il 1608 e il 1613 per poi
passare nel 1614 all’università di Alcalá de Henares. Dal 1615 è all’università di Salamanca fino al
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1619 (bachillerato in Derecho canonìco y civil). La sua carriera letteraria inizia con la
partecipazione a diversi certami letterari tra cui quello di Madrid del 1619 per i festeggiamenti della
beatificazione di San Isidro Labrador e quelli per la canonizzazione dello stesso santo del 1622
dove Pedro vincerà il terzo premio. Nel 1623 seguendo le premesse di Lope con l’opera Arte
nuevo de hacer comedias, rappresenterà Amor, honor y poder che sarà bene accolta quando
messa in scena a motivo della visita del Principe di Galles (Carlo I di Inghilterra). Intanto il Conte-
Duca di Olivar, che governava al posto del re, promuove il Salone di commedie nel palazzo e
Calderón scrive per lui. Tra il 1620 e il 1629 scriverà moltissime opere di cui ricordiamo tra il 1627
e 1629 la prima edizione de La vida es sueño. Un’altra opera importante è La devoción de la cruz.
Intanto Calderón e suo fratello si ritrovano implicati nell’omicidio di Nicolás Velasco, servitore del
“condestable” di Castilla, e dovettero pagare per una querela, così caddero in peggiore situazione
economica. Scriverà versi comici nell’opera El Principe Constante perché entrerà assieme al
fratello in un convento di donne ed il Frate Hortensio Felix de Paravicino si arrabbierà.
Tra il 1630 e il 1640 produsse altre opere tra le quali: El Tulzaní de Alpujarra, Los cabellos de
Albasalón, El médico de su horna, El pintor de su deshonra, El alcalde de Zalamea (seconda
versione, stesso tema storico) e alcune opere sacramentali come El gran teatro del mundo. In
questa epoca è già considerato il drammaturgo più importante della corte: prima lo era Lope de
Vega. Questa prima parte di commedie fu riunita e raccolta dal fratello che era uomo di arma
(militare) e di lettere (editore). Nel 1636 chiese “el hábito de la Orden de Santiago” (dovrebbe
essere la richiesta per partecipare al cammino di Santiago) ma a causa del lavoro di scrivano di
suo padre e suo nonno la richiesta dovette raggiungere il papa Urbano VIII per essere accettata.
Nel 1638 prese parte a una campagna in Francia e fu ferito ad una mano. Tornato a Madrid,
partecipa come autore di opere sacramentali e riceve una rendita per il servizio prestato da sé
stesso e dal fratello José che morirà durante una campagna. Successivamente passerà al servizio
del sesto duca di Alba, Fernando III Alvarez di Toledo, stabilendosi nel castello-palazzo di Alba di
Tormes, Salamanca. Il fratelllo Diego muore nel 1647. In questo anno circa nasce un figlio
illeggittimo di Pedro. Nel 1648 ha una crisi e si rinchiude a casa sua: i suoi pensieri diventano più
filosofici, si circonda di opere d’arte e si dedica alla lettura. Diventa sacerdote nell’Ordine di San
Francesco nel 1650, fu cappellano della cappella di San José, nella chiesa di San Salvador a
Madrid.
Il suo dedicarsi al teatro non fu ben visto dal patriarca delle Indie, Alonso Pérez de Guzmán che
criticava costantemente le opera di Calderon, così gli scrisse una lettera in cui diceva:
«O esto es malo, o es bueno: si es bueno, no me obste; y si es malo, no se me mande»
Collaborerà poi col marchese di Ecliche che lavorava per le rappresentazioni della corte.
Scrive nel 1661 Eco y Narciso per celebrare la nascita della principessa Margarita. Nel 1663 fu
nominato cappellano d’onore di sua maestà, fissando la sua residenza a Madrid. Poco dopo si
convertirà in cappellano maggiore della congregazione di presbiteri naturali di Madrid. Nel 1664
sarà pubblicata la terza parte della sua raccolta di opere organizzata dall’amico Sebastian Ventura.
Con la morte di Felipe IV si chiudono i teatri. Successivamente mette in scena Fieras afemina
amor. Nel 1672 esce la quarta parte della raccolta e nel 1677 la quinta. Finalmente riconoscerà
sue 110 opere in una lista e la invierà al duca di Veragua con le quali si giungerà a pubblicare una
nona parte.
Muore nel 1681 mentre lavorava a La divina Filotea e sepolto nella cappella di San José. Lascia i
suoi beni alla congregazione di sacerdoti di Madrid.

La vida es sueño
È un’opera filosofica in cui si assiste alla lotta tra libertà e ragione di stato.
Un giovane principe, Sigismondo, vive come un selvaggio in una torre con l’unica compagnia di un
saggio, Clotaldo, che gli insegna ciò che è la Natura ma non ciò che è la Società. Suo padre, il re
Basilio, lo aveva rinchiuso lì dando fede ad un oroscopo secondo il quale il figlio sarebbe stato un
futuro flagello (una piaga) per il regno. Un giorno Sigismondo trova nella torre una donna,
Rosaura, che era però travestita da uomo e aveva una spada. Lei non sa che lui è il figlio del re
ma neanche Sigismondo lo sa. Sigismondo si sente attratto dalla ragazza, era qualcosa che non
aveva mai provato perché non sapeva cosa significasse. La ragazza era alla ricerca dell’onore
perduto dopo aver avuto un rapporto sessuale con Astolfo, principe di Mosca. Era vestita da uomo
perché sarebbe stato più facile camminare da sola. Il re Basilio, intanto, decide di fare una prova
col figlio e vuole portarlo al palazzo narcotizzato per vedere poi come reagisce: se si comporta
bene entrerà e resterà nella corte. Ovviamente Sigismondo è un selvaggio e si comporta
malissimo lanciando anche un servo dalla finestra. Viene così di nuovo incarcerato. Nel terzo atto,
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il popolo si ribella perché vuole l’erede legittimo e fa liberare Sigismondo che vince così suo padre.
L’oroscopo aveva anche predetto questa lotta. In realtà però la provvidenza di Dio si serve del
figlio per castigare il padre che si affidava completamente alla scienza. Sigismondo si pente e si
inginocchia a suo padre punendo i ribelli. Alla fine si sposerà con Estrella per la sua categoria
sociale.
Due sono i problemi all’interno dell’opera dati dal contrasto tra libertà e ragione di stato.
Sigismondo era schiavo delle sue passioni ma una volta istruito dall’esperienza e dalla riflessione
riguardo ciò che ha visto e sofferto, userà il libero arbitrio umilmente.
L’opera ha diversi precedenti: Le mille e una notte, Barlaàn y Josafat e La leyenda del borracho
dormido.
Sigismondo è simbolo di un uomo che avanza poco a poco, che cresce in quanto essere umano
dalle barbarie alla civilizzazione. Sigismondo si chiede costantemente chi è e da dove viene
perché non sa nulla di sé. Più che un uomo in carne ed ossa, rappresenta il mito umano che si
interroga sui temi più universali. È convinto che se lui non ha libertà in quanto essere umano,
nessun uomo ce l’ha. Molti monologhi di Sigismondo sono interessanti perché si chiede che male
possa mai aver fatto, si definisce “misero” e ricerca il significato di libertà. Rosaura entra in scena
proprio durante uno di questi monologhi ed inizialmente Sigismondo vuole ucciderla perché ha
sentito le sue “debolezze”. Però improvvisamente si risveglia la sua passione sessuale e se ne
sente attratto. Si comporta come un selvggio, un bruto che non sa cosa sia la civiltà. Quando è
ricondotto alla torre non riesce a capire se ha vissuto un sogno o la realtà. Per questo dice che la
vita è un attimo, un illusione, che tutta la vita è un sogno e che i sogni sogni sono. Alla fine si
incorpora al sistema: perdona il padre e sposa Estrella.
Basilio si comporta come un dio ingiusto. Mette alla prova Sigismondo per dimostrare la veridicità
dell’oroscopo. È un uomo dominato dalla passione per lo studio. Soffre del complesso di Urano
(paura di perdere il potere e capacità di distruggere gli stessi figli). Non ha il coraggio di dire a
Sigismondo che è il padre ma lo lascia fare ad un servo.
Rosaura è il personaggio femminile principale dell’opera. Figlia di Clotaldo ma nessuno dei due lo
sa, lo capiranno da alcuni dettagli. Arriva in Polonia per recuperare due onori: quello perso con
Astolfo e conoscere il padre (parallelismo con Sigismondo che non sa di chi è figlio). Clotaldo
capisce che è la figlia perché ha una spada che aveva lasciato lui anni prima alla madre. La libera
dalla morte. Doveva essere uccisa perché Clotaldo avrebbe dovuto dire al re che Rosaura era a
conoscenza della segregazione di Sigismondo ma cambiano tutti i piani (rinascita di Rosaursa, due
volte padre è quindi Clotaldo). Discende quindi da una buona famiglia e non ci sono inconvenienti
per Astolfo nello sposarla e farle recuperare doppiamente l’onore.
Castaldo è fedele al re, è disposto anche ad uccidere la figlia per mostrare la sua lealtà. Rinuncia
anche a Violante (mamma di Rosaura) per la felicità del re e occuparsi di Sigismondo. È quasi un
uomo limitato perché non sa ribellarsi al volere del re e le sue leggi ingiuste, anche a costo di
sottomettere la sua felicità.
Estrella e Astolfo sono due personaggi secondari. Estrella alla fine si sposa con Sigismondo
perché lui accetta la normativa della corte: sposarsi con una donna di una determinata classe
sociale. Astolfo cospira contro Sigismondo perché sa che se questo è messo fuori gioco, lui sposa
Estrella (cugina di Sigismondo) che diventa erede della corona del re Basilio e quindi lui a sua
volta può diventare re. Astolfo però alla fine si mostrerò innamorato di Rosaura e sopperirà anche
al “male” fatto alla ragazza.
Alla fine quindi vince la ragione di stato perché Sigismondo si incorpora completamente alla
società, al modo di vivere, alla normativa della corte.

6 aprile

“La vida es sueño” è considerato un dramma filosofico, ma questa definizione non è completa. È
un dramma sia filosofico, di tipo aristotelico, sia esistenziale che mette in scena l’eterno conflitto
padre-figlio (complesso di Edipo che ha una rappresentazione drammatica sin dai tempi dell’antica
Grecia). C’è un incrocio di questioni differenti ma il problema fondamentale è il conflitto
generazionale, situazione che si complica anche perché si lega ai problemi politici e alla questione
dell’eredità (essendo il figlio ereditiere di un trono, il problema diventa anche del popolo). È una
questione di sangue, fino a che punto il figlio ha il diritto naturale di ereditare il trono o il padre ha
diritto a ritirarsi. È anche un problema universale perché il problema si può estendere a qualsiasi
famiglia, al diritto di famiglia, di eredità, del sangue; sono archetipi di personalità che possiamo
incontrare come modelli universali. A questa questione si aggiunge quella della vera scienza, la
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cosmologia, che descrive il mondo così com’è. Il dramma è scritto infatti dopo alcune opere
importanti di Galileo (eliocentrismo), il problema della nuova scienza e dell’eliocentrismo è in
contrapposizione con l’idea della centralità della Terra, è molto presente in tutta Europa e in
Spagna, per motivi legati alla questione dell’Impero (il dominio universale che ricercava), sarà data
molta importanza alla scienza del cosmo e alle teorie di Galileo che saranno utilizzate anche
durante i viaggi per l’America e l’Asia, per calcolare meglio le posizioni delle navi. Galileo propose
una teoria per calcolare la longitudine. Però nelle università spagnole si studiava il sistema
copernicano che non fu proibito, insieme ad altre teorie come quello aristotelico e eliocentrico. Il
problema di interpretazione del cosmo è presente anche in questa opera. Ciò che mette in dubbio
Calderón è che il re Basilio, che appare in un primo momento come “scientifico” poiché passa tutto
il tempo a guardare le stelle, è un astrologo, non è un vero scientifico perché non si attiene alla
teoria scientifica. Calderón fa differenza tra astronomo e astrologo. Basilio vuole interpretare le
stelle e applicarne i fatti alle vite umane (astrologia/oroscopo). Calderón vuole sottolineare il
carattere falso dell’oroscopo che non può essere preso come verità assoluta, sono solo linee
generali e le persone non sono condannate a quel destino: questo è un altro problema che emerge
nel dramma, perché l’essere umano, dice Calderón, gode di LIBERO ARBITRIO che permette a
chiunque di decidere e cambiare il proprio destino e correggerlo. Basilio è invece il fanatico che
crede nelle stelle e che crede queste dicano la verità assoluta, che la verità sia immutabile.
Calderón mette in scena la soluzione che Basilio trova quando nasce il figlio perché vede nella
congiunzione delle stelle che quando crescerà si ribellerà al padre e dividerà il regno: per evitare
questo lo rinchiude in una torre incatenato per tutta la vita. All’inizio dell’opera (che inizia in medias
res) vediamo un giovane infatti cresciuto nella torre. In una scena (seconda o terza) si svelerà
questo mistero, cioè l’arrivo casuale alla torre di una ragazza travestita da uomo che scopre chi vi
è nascosto all’interno. Il ragazzo per la prima volta vede un’altra persona che non sia il suo
guardiano. Quindi inizialmente vediamo due essere ambigui, due uomini misti: un principe,
Segismundo, che non è visto come uomo di corte ma ha le sembianze di un selvaggio, metà uomo
e metà animale, che non ha mai visto il mondo esterno però molto vicino al mondo naturale,
avendo vissuto tutto il tempo nella torre che è circondata da un paesaggio montuoso, è stato
quindi a contatto con vari animali. Il guardiano inoltre gli ha insegnato la scienza, conosce il mondo
naturale e minerale, non è un ignorante ma queste notizie non sono unite ad un’educazione
umana che si può raggiungere solo con il contatto con altri. L’altro è Rosaura, di origine nobile, che
è una donna travestita da uomo. Il dramma comincia presentando quindi un mondo ambiguo, con
entità miste. (mondo misto – dimensione modernista). Il suo “ser misto” e la sua “soledad”
mostrano il suo star fuggendo da qualcosa e lo star cercando altro. Ha un doppio problema: non sa
chi sia perché non conosce il padre, la madre l’ha avuta da una relazione libertina, non era
sposata (prima perdita di onore: falta de honor por falta de identidad) e la perdita di onore da parte
di un uomo con cui ha avuto una relazione che le aveva promesso il matrimonio. È una donna in
disonore, quindi, caduta nello stesso problema che aveva avuto la madre (relazione “libertina”).
Per risolvere questi problemi dal ducato di Mosca (Russia) arriva in Polonia, cercando colui che le
ha tolto l’onore. Notiamo quindi come le sia caduta nello stesso peccato della madre: amor libre. E
vuole risolverlo. Impressiona la maestria psicologica dello scrittore che presenta Segismundo
pietosamente e allo stesso tempo con tutti i suoi difetti e la sua vera umanità. Lo scenario in cui si
sviluppa l’azione va dalla montagna (spazio naturale da dove viene Rosaura) alla torre (spazio
costruito dove è posto Segismundo). In seguito ci si sposta alla corte della Polonia in un momento
in cui questa aveva anche accesso al Mar del Nord. Calderón indica quindi un momento storico
importante per la Polonia per avere questo accesso. Il dramma ha una struttura di “commedia”
(inizialmente “herrero (incontro) amoroso de una pareja”) che in Spagna può essere divertente, di
capa y espada, ma anche una tragedia (come El Burlador de Sevilla). Rappresenta l’incontro tra
due coppie, è una doppia commedia, con un unico “gracioso” (avrebbe dovuto essere uno per
coppia): Clarín, l’unico domestico che passa dal servizio di una coppia all’altra, è un codardo, è un
tipo spiritoso, usa il linguaggio con grande competenza, alla fine a causa di questa mobilità sociale
che mostra l’infedeltà e l’insensibilità sarà l’unico morto dell’opera. Abbandona lo spazio del
servitore e occupa quello del disonore, quasi simile al “pícaro” che va dove gli conviene. È dal
punto di vista di scalata sociale un personaggio molto moderno. Un altro personaggio importante è
il soldato ribelle che organizza la rivoluzione per portare Segismundo al trono. Anche lui muore,
come se Calderón volesse castigare chi si ribella.
È un dramma scritto in versi. Calderón era un grande poeta che raggiunge una maestria
versificatoria straordinaria, sembra quasi una poesia dove non ci sono “sprechi”. Il metro varia,
cambia (come anche nel Burlador) e crea dinamicità. C’è quindi polimetria: cambio di strofa, verso,
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ritmo secondo le situazioni e i temi. Cominciamo con la “silvas”, strofa con versi endecasillabi e
settenari. → [La silva è una strofa della metrica castigliana che consiste in una estensione
indeterminata di versi settenari, vale a dire di sette sillabe, ed endecasílabi (di undici) che rimano
in consonante liberamente, con la possibilità di usare versi sciolti senza rima alcuna.]
(Salen en lo alto de un monte ROSAURA, en hábito de hombre, de camino, y en representado los
primeros versos va bajando)
Rosaura ha un abito da uomo e di cammino, appare nella scena a cavallo e recita.

ROSAURA: Hipogrifo violento


que corriste parejas con el viento,
¿dónde, ray o sin llama,
pájaro sin matiz, pez sin escama,
y bruto sin instinto
natural, al confuso laberinto
de esas desnudas peñas
te desbocas, te arrastras y despeñas
Quédate en este monte,
donde tengan los brutos su Faetonte;
que yo, sin más camino
que el que me dan las leyes del destino,
ciega y desesperada
bajaré la cabeza enmarañada
de este monte eminente,
que arruga al sol el ceño de su frente.
Mal, Polonia, recibes
a un extranjero, pues con sangre escribes
su entrada en tus arenas,
y apenas llega, cuando llega a penas
bien mi suerte lo dice;
mas ¿dónde halló piedad un infelice?

(Sale CLARÍN, gracioso).

CLARÍN: Di dos, y no me dejes


en la posada a mí cuando te quejes;
que si dos hemos sido
los que de nuestra patria hemos salido
a probar aventuras,
dos los que entre desdichas y locuras
aquí habemos llegado,
y dos los que del monte hemos rodado,
¿no es razón que yo sienta
meterme en el pesar, y no en la cuenta?

Il cavallo è caduto per la montagna. Rosaura decide di procedere da sola a piedi per la Polonia. La
metafora dell’“ippogrifo” appare fin dall’inizio. È un animale mitologico, un cavallo con ali, è la
parola chiave che ci mostra l’essere misto dei personaggi del dramma. L’ippogrifo è violento
perché ha fatto cadere la sua padrona a terra. È la metafora dell’ambiguità del ragazzo nella torre
che non conosce educazione e sarà violento ugualmente. Già nei primi versi vi è il violento
dramma che si svilupperà nella storia. Un altro dettaglio dato da Rosaura riguarda l’ambientazione
e mostra sempre l’ambiguità ovvero il fatto che la scena si svolga al crepuscolo (né giorno, né
notte).

ROSAURA […]
Mas si la vista no padece engaños
que hace la fantasía,
a la medrosa luz que aun tiene el día,
me parece que veo
un edificio.
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Rosaura vede un edificio, la torre, e ne fa una descrizione prima di entrarci.

ROSAURA: Rústico nace entre desnudas


peñas
un palacio tan breve (piccolo)
que el sol apenas a mirar se atreve;
con tan rudo artificio
la arquitectura está de su edificio,
que parece, a las plantas
de tantas rocas y de peñas tantas
que al sol tocan la lumbre,
peñasco que ha rodado de la cumbre.
Ci sono due parallelismi, compara la torre ad una rupe (peñasco que ha rodado de la cumbre) e
uno metaforico e metonimico tra Rosaura che “ha rodado” dall’ippogrifo come una pietra e il
palazzo che “ha rodado de la cumbre”. C’è una vicinanza ambigua di esseri di diverse categorie,
filosofica e naturale, è tipico di tutto il dramma. Vediamo che c’è una comunicazione tra diversi
ordini della natura: esseri che appartengono al regno animale o vegetale/minerale. È un miscuglio
violento, non ordinato. Continua la descrizione di Rosaura: la porta è aperta ma è comparata ad
una “funesta boca”, e dal centro della bocca nasce la notte, non c’è luce all’interno e si aggiungono
elementi sonori come il rumore delle catene (mentre successivamente nella corte ci saranno suoni
dolci).
Nella seconda scena si sente il lamento del principe.
Le prime parole dette da Segismundo sono “misero” ed “infelice” (¡Ay, mísero de mí, y ay infelice!)
riferite a se stesso. Rosaura e Clarín provano a fuggire ma non ci riescono perché Sigismundo si
accorge che c’è qualcuno. Rosaura descrive il palazzo anche all’interno.
Descrizione di Segismundo:
(Descúbrese SEGISMUNDO con una cadena y la luz vestido de pieles).
Vestito come una bestia, c’è anche qui l’importanza del vestito.
Nella prima scena tra Rosaura e Clarìn, Calderón usa la Silva, per il dialogo di Segismundo utilizza
Decima, versi brevi organizzati in gruppi di dieci. Sono endecasillabi.

SEGISMUNDO: ¡Ay mísero de mí, y ay infelice!


Apurar, cielos, pretendo,
y a que me tratáis así,
qué delito cometí
contra vosotros naciendo.
Aunque si nací, y a entiendo
qué delito he cometido;
bastante causa ha tenido
vuestra justicia y rigor,
pues el delito may or
del hombre es haber nacido

Sólo quisiera saber Nace el pez, que no respira,


para apurar mis desvelos aborto de ovas y lamas,
(dejando a una parte, cielos, y apenas bajel de escamas
el delito del nacer), sobre las ondas se mira,
¿qué más os pude ofender, cuando a todas partes gira,
para castigarme más? midiendo la inmensidad
¿No nacieron los demás? de tanta capacidad
Pues si los demás nacieron, como le da el centro frío;
¿qué privilegios tuvieron ¿y y o, con más albedrío,
que no y o gocé jamás? tengo menos libertad?
Nace el ave, y con las galas Nace el arroy o, culebra
que le dan belleza suma, que entre flores se desata,
apenas es flor de pluma, y apenas sierpe de plata,
o ramillete con alas, entre las flores se quiebra,
cuando las etéreas salas, cuando músico celebra
corta con velocidad, de las flores la piedad
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negándose a la piedad que le dan la majestad


del nido que dejan en calma; del campo abierto a su huída;
¿y teniendo y o más alma, ¿y teniendo y o más vida,
tengo menos libertad? tengo menos libertad?
Nace el bruto, y con la piel En llegando a esta pasión,
que dibujan manchas bellas, un volcán, un Etna hecho,
apenas signo es de estrellas quisiera sacar del pecho
(gracias al docto pincel), pedazos del corazón.
cuando, atrevido y cruel, ¿Qué ley, justicia o razón
la humana necesidad negar a los hombres sabe
le enseña a tener crueldad, privilegios tan süave
monstruo de su laberinto; excepción tan principal,
¿y y o, con mejor instinto, que Dios le ha dado a un cristal
tengo menos libertad? a un pez, a un bruto y a un ave?

Monologo di Segismundo che amareggiato pensa alla libertà di cui godono gli altri esseri come
uccelli e altri animali, poi passa al regno minerale, l’acqua di un ruscello, a differenza di altri
elementi naturali che appartengono al mondo vegetale che sono fissi, è libera, e si compara ad
essi. Scopre alla fine l’ingiustizia che gli hanno fatto privandogli della libertà. Rosaura parla con
Clarín e Segismundo la ascolta e poi la condanna a morte (nessuno poteva vederlo in quello stato
di prostrazione, di umiliazione, quindi deve morire). È il primo momento di carattere rigoroso di
Segismundo. In seguito, lei perderà la grazia e Segismundo si sente attratto da Rosaura. Calderón
affronta quindi un contrasto tra il ripudiarla (morte) e attrazione (amore). È equilibrato quindi anche
l’aspetto psicologico. La scena termina con l’arrivo del padre infedele di Rosaura (lei non lo sa),
Clotaldo, che non è nient’altro che il guardiano di Segismundo. Lo scopriamo poiché Rosaura
viene catturata da Clotaldo che ha l’ordine di non far avvicinare nessuno a Segismundo. Se
qualcuno lo vede deve morire perché non deve scoprire il segreto di Segismundo. Lei lo ha visto,
ha scoperto il segreto e per questo è destinata alla morte (c’è una relazione con il passato, la
storia del Minotauro). Clotaldo vede che Rosaura ha una spada, questa è particolare perché le era
stata data dalla madre, come segnale, che a sua volta l’aveva ricevuta dall’uomo con cui aveva
avuto una relazione. Clotaldo capisce quindi che è la figlia. C’è il primo conflitto, parallelo al Re,
perché Il Re ha condannato un innocente (Segismundo) per la paura che si ribelli contro di lui e
Clotaldo condannerà un’innocente per la paura di non compiere il suo compito. C’è uno
sdoppiamento conflittuale che riproduce lo sdoppiamento delle due coppie. Sdoppiamento
mostruoso: da una parte Segismundo dall’altra Rosaura. C’è una proliferazione di conflitto.
Queste prime quattro scene sono rappresentate in uno spazio selvatico e poi in quello militare
della torre. Nella quinta scena si raggiunge la corte (lavora come Shakespeare su questo doppio
scenario). C’è un’altra coppia nel palazzo: Astolfo e Estrella, i nipoti del re (zio). Ennesimo
conflitto: Astolfo è il figlio maschio della sorella minore, Estrella è la figlia femmina della sorella
maggiore. Chi deve governare? Risolve il problema facendoli sposare. Sono quindi promessi
sposi.
Il nome Estrella è cosmico, mentre Rosaura rimanda al mondo vegetale.
Astolfo e Segismundo sono nomi orientali/gotici.
Basilio → Basilio è un Re al quadrato perché anche il suo nome indica la sua condizione (nome
greco (Basileios), latinizzato in Basilius, che vuol dire "regio", "regale”).
La prima entrata in scena di Basilio è un lungo monologo dove dichiara alla corte ciò che ha fatto
quando nacque suo figlio. Ora se ne pente e vuole dare una possibilità al ragazzo: dargli una
droga (composta da “opio, adormidera y beleño”) per addormentarlo, portarlo alla corte e vedere
come si comporta. Se si comporta bene lo dichiarerà ereditiero altrimenti lo rinchiuderà
nuovamente. Entrano tutti a corte: Clotaldo dà un lavoro a Rosaura come dama di Estrella (per
non condannarla dato che il Re stesso ha svelato il mistero del figlio) e Segismundo è portato al
palazzo per la prova. Termina la prima giornata. L’opera ha tre giornate: la seconda è quella della
manifestazione del principe e la terza comincia con la didascalia “Salen músicos cantando, y
criados dando de vestir a SEGISMUNDO, que sale como asombrado” . Per farlo apparire in
pubblico i servi lo preparano e lo vestono anche se lui è ancora confuso. La scena è
accompagnata dalla musica (è scritto nella didascalia a pag 55). Segismundo sempre si rivolge al
cielo.
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SEGISMUNDO: ¡Válgame el cielo! ¿Qué


veo?
¡Válgame el cielo! ¿Qué miro?
Con poco espanto lo admiro,
con mucha duda lo creo.
¿Yo en palacios suntuosos?
¿Yo entre telas y brocados?
¿Yo cercado de criados
tan lucidos y briosos?
¿Yo despertar de dormir
en lecho tan excelente?
¿Yo en medio de tanta gente
que me sirva de vestir?
¡Decir que es sueño es engaño!
Bien sé que despierto estoy.
¿Yo Segismundo no soy?
Dadme, cielos, desengaño.
Già qui c’è il tema della vita come sogno, dove il sogno è un inganno. C’è un problema di identità
(yo Segismundo no soy?)
Poi si adatta come essere umano. Non conviene capire basta andare avanti, cogliere il momento.

Pero sea lo que fuere,


¿Quién me mete en discurrir?
Dejarme quiero servir,
y venga lo que viniere.

CRIADO 2: ¡Qué melancólico está!


CRIADO 1: Pues ¿a quién le sucediera esto, que no lo estuviera?
Due servi parlando del principe.

Clotaldo è l'unica persona che conosce ed è incaricato dal Re di spiegargli la situazione.


CLOTALDO: […]
porque has, señor, de saber
que eres príncipe heredero
de Polonia. Si has estado
retirado y escondido,
por obedecer ha sido
a la inclemencia del hado*,
que mil tragedias consiente
a este imperio, cuando en él
el soberano laurel
corone tu augusta frente.
Mas, fiando a tu atención
que vencerás las estrellas,
porque es posible vencellasa
un magnánimo varón
a palacio te han traído
de la torre en que vivías,
mientras al sueño tenías
el espíritu rendido.
Tu padre, el rey mi señor,
vendrá a verte, y de él sabrás,
Segismundo, lo demás
*Il fato è il colpevole.

SEGISMUNDO: Pues, vil, infame, traidor*,


¿qué tengo más que saber,
después de saber quien soy,
para mostrar desde hoy
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mi soberbia y mi poder?
*come i verbi anche gli aggettivi appaiono a gruppi di tre.
Reazione di Segismundo dopo aver scoperto la sua identità. Adesso identifica questa identità del
principe come superbia e potere.

¿Cómo a tu patria le has hecho


tal traición, que me ocultaste
a mí pues que me negaste,
contra razón y derecho,
este estado?
Segismundo riconosce Clotaldo come polacco. Infatti gli dice come hai fatto a fare questo alla tua
patria, ma noi sappiamo che non è di origine polacca ma un nobile moscovita che sta a servizio
della Polonia.

SEGISMUNDO: Traidor fuiste con la ley,


lisonjero con el rey,
y cruel conmigo fuiste
(notare la triplicità dell’accusa)
Y así el rey, la ley y y o,
entre desdichas tan fieras,
te condenan a que mueras
a mis manos

Interviene un servo: CRIADO 2: ¡Señor!…


SEGISMUNDO: No
me estorbe nadie, que es vana
diligencia. ¡Y vive Dios!
Si os ponéis delante vos,
que os eche por la ventana
Principe violento che vuole farsi giustizia e uccidere Clotaldo che sapeva tutto e chi si fosse
intromesso lo avrebbe buttato dalla finestra.

CLOTALDO: ¡Ay de ti,


que soberbia vas mostrando
sin saber que están soñando
Questa dimostrazione di superbia condannerà il principe. Clotaldo gli spiega però che è un sogno,
cioè hanno deciso già in precedenza che se si fosse comportato bene sarebbe stata realtà
altrimenti sarebbe stato definito un sogno e ricondotto alla torre.

Poi vediamo Segismundo con un servo che cerca di farlo ragionare.


SEGISMUNDO: En lo que no es justa ley
no ha de obedecer al rey ;
y su príncipe era yo.
Segismundo non cambia idea ribadendo che non è giusto quello che Clotaldo ha fatto, che doveva
difenderlo in quanto era il suo principe, anche se non è così perché non è polacco.
La caratteristica in questa nuova situazione è che in rapporto ai monologhi lunghi del prima atto
ora le scene sono molto corte, ci sono cambi di scena continui per marcare la situazione violenta e
instabile del principe.

Astolfo, dinanzi al principe naturale che ha diritto al trono fa finta di niente da buon cortigiano.
Astolfo è cattivo ma civilizzato. Segismundo non è civilizzato e quindi non conosce le regole di
corte, come ad esempio il dover trattare ognuno secondo le sue qualità. Astolfo è principe e deve
essere trattato come tale, mentre Segismundo lo tratta apertamente male. C’è un comportamento
del Segismundo che si ribella alle regole di corte. Calderón dirà che l’essere umano è un essere
sociale, Aristotelico è l’essere sociale dell’uomo, che deve vivere in società perché da solo si
converte in un animale. Segismundo nella scena seguente, quando un cortigiano insiste lo butterà
dal balcone e cade in mare. è responsabile di un omicidio diretto.
Scena sesta - secondo atto: incontro tra il re ed il figlio.
BASILIO: ¿Qué ha sido esto?
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SEGISMUNDO: Nada ha sido.


A un hombre que me ha cansado,
de ese balcón he arrojado.
CLARÍN: Que es el rey está advertido.
BASILIO: ¿Tan presto? ¿Una vida cuesta
tu venida el primer día?

Il re al primo incontro lo rimprovera. Un padre senza pietà, autoritario. E il suo monologo lo


afferma.
BASILIO: Pésame mucho que cuando,
príncipe, a verte he venido,
pensado hallarte advertido,(advertito: con coscienza, prudenza)
de hados y estrellas triunfando,
con tanto rigor te vea,
y que la primera acción
que has hecho en esta ocasión,
un grave homicidio sea. (lo condanna già come omicida)
¿Con qué amor llegar podré
a darte agora mis brazos,
si de sus soberbios lazos,
que están enseñados sé
a dar muertes? ¿Quién llegó
a ver desnudo el puñal
que dio una herida mortal,
que no temiese? ¿Quién vio
sangriento el lugar, adonde
a otro hombre dieron muerte,
que no sienta? Que el más fuerte
a su natural responde.
Yo así, que en tus brazos miro
de esta muerte el instrumento,
y miro el lugar sangriento,
de tus brazos me retiro;
y aunque en amorosos lazos
ceñir tu cuello pensé,
sin ellos me volveré,
que tengo miedo a tus brazos

SEGISMUNDO: Sin ellos me podré estar


como me he estado hasta aquí;
(Fino ad adesso non mi hai abbracciato)

que un padre que contra mí


tanto rigor sabe usar,
que con condición ingrata
de su lado me desvía,
como a una fiera me cría,
y como a un monstruo me trata
y mi muerte solicita,
de poca importancia fue
que los brazos no me dé,
cuando el ser de hombre me quita
c’è una rivendicazione della sua solitudine e un’accusa al padre, una denuncia per avergli rubato
la sua umanità che lo ha fatto diventare un animale.

BASILIO: Al cielo y a Dios pluguiera


que a dártele no llegara;
pues ni tu voz escuchara,
ni tu atrevimiento viera.
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SEGISMUNDO: Si no me le hubieras dado,


no me quejara de ti;
pero una vez dado, sí,
por habérmele quitado;
una volta che mi hai dato il “ser” non me lo puoi togliere. È un’azione ignobile, una bassezza dargli
l’essere e per poi toglierlo per farlo diventare una bestia. Problema ontologico che c’è nel dramma.
Basilio risponde con una scusa esile:
BASILIO: ¡Bien me agradeces el verte
de un humilde y pobre preso,
príncipe ya

SEGISMUNDO: Pues en eso,


¿qué tengo que agradecerte?
Tirano de mi albedrío,
si viejo y caduco estás,
¿muriéndote, qué me das?
¿Dasme más de lo que es mío?
Mi padre eres y mi rey ;
luego toda esta grandeza
me da la naturaleza
por derechos de su ley.
È la legge della natura, del sangue che mi dà il diritto.
Luego, aunque esté en este estado,
obligado no te quedo,
y pedirte cuentas puedo
del tiempo que me has quitado
libertad, vida y honor; (di nuovo tre)
y así, agradéceme a mí
que yo no cobre de ti,
pues eres tú mi deudor.
Basilio dà la sentenza:
BASILIO: Bárbaro eres y atrevido;
cumplió su palabra el cielo;
y así, para el mismo apelo,
soberbio desvanecido.
Y aunque sepas ya quién eres,
y desengañado estés,
y aunque en un lugar te ves
donde a todos te prefieres,
mira bien lo que te advierto:
que seas humilde y blando,
porque quizá estás soñando,
aunque ves que estás despierto.
È un’avvertenza ma anche minaccia. (c’è anche nel Burlador de Sevilla, però è una minaccia del
cielo non come qui che è umana). Trasforma questa giornata passata nel palazzo come un sogno.
Adesso resta Segismundo solo, con un monologo che riguarda anche la sua identità.
SEGISMUNDO: ¿Qué quizá soñando estoy,
aunque despierto me veo?
No sueño, pues toco y creo
lo que he sido y lo que soy.
(toco: sente materialmente)
Y aunque agora te arrepientas,
poco remedio tendrás;
sé quién soy, y no podrás
aunque suspires y sientas,
quitarme el haber nacido
de esta corona heredero;
y si me viste primero
a las prisiones rendido,
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fue porque ignoré quién era;


pero ya informado estoy
de quién soy y sé que soy
un compuesto de hombre y fiera

In questo monologo Segismundo afferma la sua vera identità, ossia un misto tra uomo e animale.
È cosciente di questo e vuole correggersi e migliorare. Il libero arbitrio va maturando in lui quando
va nella torre. Clotaldo riceve l’ordine di riportarlo nella torre. Quando Segismundo esce dalla
scena del palazzo la scena non è ancora completa perché c’è la seconda azione, cioè il problema
di Rosaura, convertita in dama, scopre chi è che gli ha rubato l’onore, il principe Astolfo, per questo
si nasconde da Astolfo, però questa prudenza di Rosaura si interrompe per un ordine di Estrella, è
gelosa di un ritratto (di Rosaura, anche se inizialmente non la riconosce) in un medaglione che ha
sempre Astolfo e lo vuole. Astolfo prima non vuole poi cede, ma poi Estrella non trova giusto
portare questo medaglione che è di un’altra donna e lo dà a Rosaura. Quando Astolfo la vede
scopre che è Rosaura e c’è una discussione tra loro. Alla fine il medaglione cade quando arriva
Estrella e lei vede bene il ritratto. Il conflitto si ingigantisce. Segismundo torna alla torre, ma la
situazione non è la stessa dell’inizio, perché adesso tutti sanno che c’è un principe naturale,
adesso la torre è centro di attrazione. Arrivano alla torre prima il Re mascherato, è inquieto, poi
arriva il popolo capitanato da un soldato ribelle che reclama il principe naturale come vero erede e
che lo liberino dalla torre. C’è la realizzazione di ciò che avevano annunciato le stelle, perché
effettivamente c’è una rivoluzione, c’è un’ironia politica. Però questa ribellione, suscitata non da
Sigismundo ma dal popolo, trionferà e Sigismundo verrà dichiarato erede di suo padre, il quale si
inginocchierà a lui (come dicevano le stelle: l’umiliazione del padre verso il figlio) e il principe lo
perdonerà. Con l’esperienza il principe è diventato umano, prudente e pietoso verso suo padre.
Giustizia poetica che porta al condannato ad occupare la sua vera posizione. Cambia il tono del
dramma a finale abbiamo una commedia, avremmo due matrimoni, Segismundo con Estrella ed
Astolfo con Rosaura, matrimonio riparatore. Alla fine Rosaura e Segismundo dell’inizio recuperano
il proprio onore, il proprio posto.

10 maggio

Nella prima metà del secolo XVI abbiamo visto la nascita del teatro, la recezione della poesia
petrarchesca con Garcilaso, la nascita del romanzo pastorale.
La grande novità della seconda metà del secolo è la poesia mistica. La seconda metà del secolo è
molto diversa dalla prima, Filippo II è molto diverso da suo padre, Carlo V deve unire la Spagna,
l’Italia e l'impero del suo tempo con i Paesi Bassi del suo tempo. Filippo II non deve affrontare
questi problemi perché Carlo divide i possedimenti tra il figlio e il fratello. Lascerà al fratello
Fernando l’impero e al figlio Filippo lascia la Spagna e i vari possedimenti americani. Filippo
appoggerà sempre lo zio e i suoi eredi ma sarà solo re di Spagna, non si preoccuperà più dell'Italia
non essendo Imperatore ma gli assicurerà la pace e la difesa dai pirati. Si sovvenziona anche
buona parte della battaglia di Lepanto con denaro e uomini spagnoli. Durante il regno di Filippo II
si riunisce e celebra anche il Concilio di Trento (1545-1563) che è importantissimo perché
finalmente abbiamo una riforma cattolica. Il Concilio di Trento è la riforma cattolica, è la risposta
alla riforma protestante. Carlo aveva chiesto molte volte al papa di riunire un Concilio e aveva
cercato, con Juan de Valdés, di unire le teorie dei protestanti con quelle dei cattolici (a Napoli) per
evitare la separazione. Questo non si riesce a fare e quindi si convoca il Concilio, alla fine del
Concilio si propone una riforma per Roma e tutti i cristiani. Questo Concilio normalizza tutto quello
che era poco chiaro, termina l’eccessiva libertà e ha come conseguenza una fioritura di ordini in
campo cattolico come gesuiti, domenicani, benedettini, carmelitani. Alcuni hanno una vocazione
radicale e applicano le norme del Concilio come per esempio la rinnovazione degli ordini religiosi.
I carmelitani erano un ordine molto antico e, come il loro nome indica, vivevano sul monte Carmelo
(Terra santa). Qui si erano concentrati molti eremiti. Nel momento in cui l’islam occupa la Terra
santa, questi monaci eremiti del Carmelo se ne sono andati in Europa a partire dal XII secolo. In
Europa diventano quindi un ordine conventuale. Mentre i benedettini sono stati fondati da san
Benedetto da Norcia, i domenicani da san Domenico di Guzmán e i francescani da san Francesco
d’Assisi, i carmelitani non hanno un fondatore, erano appunto eremiti e, una volta arrivati a Roma,
alcuni gruppi decidono di unirsi in conventi. Nel secolo XVI i carmelitani sentono la necessità di
riformarsi. In Spagna si occupa della riforma del lato femminile Santa Teresa mentre del lato
maschile Juan De La Cruz. C'è però una divisione: carmelitas calzados e carmelitas descalzos
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(questi ultimi sono i riformati che adottano norme di povertà, i primi continuano invece con le
norme dell'antichità). Oggi continua questa divisione anche se hanno fatto cose insieme come il
dizionario della mistica e le investigazioni a riguardo. Durante la rivoluzione ci sono però state
repressioni e violenze contro i riformatori, questa è l’epoca in cui vivono Teresa e Juan.
Entrambi ereditano dalla prima metà del secolo una forma di mistica, di avvicinamento a Dio. Uno
di questi “fermenti” è chiamato alumbrados: è un movimento che crede nell’illuminazione
dell’anima direttamente da Dio. Sembra ci siano stati influssi della mistica islamica (mistica sufi)
che esisteva in Spagna e ci sono studi ispanisti poco accettati da altri ispanisti secondo cui questa
mistica sufi abbia influenzato poi alcuni cristiani (si riferiscono soprattutto a San Juan de la Cruz).
Santa Teresa era figlia di un converso molto ricco di Toledo spostatosi ad Avila (di dove era la
madre di Santa Teresa) per non farsi riconoscere, a Toledo era infatti costretto al sanbenito, che
era utilizzato per segnalare queste persone e allontanarle dalla società. Il padre comprò terre e
visse come un hidalgo rivendicando origini nobili. Era una famiglia però con inquietudini religiose
dovute a questo passato da “nascondere”. Questa inquietudine è riflessa in Santa Teresa che già
da bambina cerca il martirio, vuole essere martirizzata per la santità. Era figlia del secondo
matrimonio del padre. Sua madre morirà quando lei aveva 12 anni. Teresa si sente abbandonata a
se stessa. Aveva imparato a leggere con la madre affezionandosi alla letteratura profana (confessa
di aver letto molti libri di cavalleria). Vive la sua infanzia come bambina di una distinta famiglia ma
non troppo ricca (il padre si dedicherà solo alle terre dimenticando il commercio perché era
identificato come lavoro di cristianos nuevos e voleva evitarlo; il commercio passa nelle mani degli
stranieri). Arriva un momento dell'adolescenza in cui inizia a “esibirsi” secondo il padre in un modo
che non gli piace davanti ai ragazzi e così la fa educare in un convento di Avila (in un primo
momento solo come alunna). Non si adatta bene e soffre molto, torna quindi a casa. Inizia a
maturare la possibilità di entrare in un altro convento a forza anche se non sente vocazione, vuole
provare quest'altra esperienza. Il padre non vuole che sia monaca, non vuole perdere la sua figlia
preferita. Santa Teresa scappa di casa accompagnata da suo fratello e nel 1535 entra nel
convento del Carmelo de la Encarnación. È meglio il purgatorio del convento che l'inferno che
avrebbe vissuto nel mondo seguendo le sue tentazioni. Siamo prima della riforma. Qui inizia a
maturare l'idea che l'ordine abbia bisogno di una riforma perché avevano troppa libertà e potevano
amministrare le proprie finanze, vivevano una vita troppo mondana e nel lusso. Si ammala nel
convento anche se ancora oggi ci si chiede quale fosse la sua malattia: molti credono fosse
psichica (isteria). Non l'ha mai vista come una prova mandata da Dio ma è molto moderna (accetta
la malattia scientificamente). Il padre la fa visitare da medici che non l'aiutano però, la mette tra le
mani di una guaritrice (curandera) e sarà fuori dal convento quasi per tre anni. In questo periodo
leggerà molta letteratura spirituale. Influirà molto il Tercer abecedario espiritual scritto da Francisco
de Osuna. Lui spiega la tecnica per il momento di “raccolta” in se stessi. È la tecnica della
chiamata mistica in cui la persona si isola completamente dal mondo chiudendo udito e vista e
chiudendo contatti con qualsiasi senso. Egli sostiene che “No pensar nada es pensarlo todo” - todo
è Dio. C'è una base comune con i mistici islamisti ma anche con gli odierni buddisti. Nel 1543
muore il padre di Teresa che lo accudisce fino alla morte (esce di nuovo dal convento). Il
confessore domenicano del padre le consiglia di ritornare alla tecnica appresa nell'abecedario (che
intanto aveva abbandonato). Avrà molti confessori e sempre si fida di ciò che le dice il confessore
del momento (gesto di umiltà sistematica). Il principale libro che ha scritto, El Libro de la vida
(Autobiografia), lo scrive per ordine del suo confessore. Legge anche un altro mistico: Hernardino
de Laredo che scrive “Subida del Monte Sion”. Juan de la Cruz scriverà “Subida del Monte
Carmelo”. Tra le opere che la influenzeranno principalmente abbiamo le “Confessioni” di
Sant’Agostino. Avrà diversi confessori gesuiti come San Francisco de Borja. Grazie ad essi inizia a
considerare Cristo nella sua umanità, come uomo. Ancora oggi questo è il centro
dell'insegnamento gesuita. Questo si riflette nella sua mistica perché vedrà sempre Cristo come
uomo. Nel convento scopre una statua di Cristo alla colonna, ovvero Cristo giustiziato, e questa
immagine la turba completamente. In questi anni inizia ad avere visioni (attorno al 1550). Nel 1559
esce il primo libro dell'indice proibito che proibisce la lettura della Bibbia in Castigliano. Si possono
leggere libri di preghiere ma la Bibbia deve essere letta solo dai ministri in Chiesa. (Si aveva paura
delle riforme protestanti e di coloro che analizzavano la Bibbia autonomamente). È l'indice che
include il Lazarillo, la Celestina e anche Erasmo. Nel 1559 è quindi senza Bibbia e racconta di una
visione in cui Cristo le dice che avrà un libro vivo: non ha bisogno della Bibbia, il Signore la
alimenterà con le esperienze in terra. Nei primi anni 60 è nell'epoca delle missioni e delle
mercedes (regali che riceve da Dio). Tra questi regali ci sono le visioni e le elevazioni (momenti in
cui si alza dal suolo) in cui le altre monache devono trattenerla. Il regalo più grande è la
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Transverberación. Si inizia a dire che lei abbia accordi col demonio, non è contenta di ciò che
avviene nel convento e vuole formarne uno nuovo. Necessita soldi e li ottiene da ricchi che sono
disposti a darli, soprattutto donne e uno dei fratelli che era andato in America, fonda così il
convento di San José di Avila. È la prima fondazione di Santa Teresa in cui visse con alcune
monache che vollero accompagnarla. È il primo convento di monjas descalzas. Esige povertà,
clausura e preghiere continue. Lei non rispetterà mai la clausura e coloro che non erano passate a
quel convento la chiamano “la monja andariega”, la suora andante/camminante. Vuole convincere
le persone a darle soldi per fondare nuovi conventi e trasmettere il suo messaggio, per questo è
sempre in movimento. Un'altra donna che le dà soldi e l’aiuta è Luisa de la Selda: è incantata da
Santa Teresa ed è una nobile di Toledo. Teresa sarà per un periodo a casa sua. Per esempio sarà
a Toledo quando i carmelitani mandano nel carcere carmelitano Juan de la Cruz. Teresa riesce a
farlo evadere nascondendolo prima in casa di Luisa e poi facendolo fuggire da Toledo. In questo
momento di clausura san Juan scrive la poesia mistica. Quello che scrive dopo saranno commenti/
note a ciò che ha scritto in quel periodo. Nel momento in cui fonda San José, nel 1562, santa
Teresa inizia a scrivere. Prima di questa data abbiamo solo lettere. Una delle opere più importanti
è El Libro de su vida terminato nel 1565, destinato a Juan de Avila (il suo confessore ascetico). Lui
la legge e ne dà l'approvazione nel 1568, praticamente lei lo scrive sotto suo ordine, il confessore
glielo “censura” e poi le dà il permesso di pubblicarlo. Una principessa importante di Spagna,
probabilmente amante di Felipe II (principessa di Eboli), denuncia Teresa all'Inquisizione perché
voleva che lei fondasse un convento in Pastrana (dove lei viveva). Teresa lo fonda ma non vanno
d’accordo e la denuncia all’Inquisizione. Teresa avrà problemi ma non sarà in carcere a differenza
di Fray Luis de León. L'Inquisizione ritira tutte le copie del libro di Santa Teresa. Alcune vengono
distrutte. Se ne salva una, quella che ha l'Inquisizione (salvata per essere letta e analizzata).
Questa copia la richiederà successivamente Felipe II quando fonda la sua biblioteca. “Cuentas de
consciencia” è il suo secondo libro che chiarisce alcuni aspetti del Libro de su vida. Pubblica anche
“Libro de las Fundaciones” si tratta sempre di un’autobiografia che riguarda però le peripezie che
ha dovuto affrontare per fondare i conventi de descalzas.
Abbiamo poi “Camino de Perfección”, altro libro mistico. Dalla parola “camino” notiamo sempre un
itinerario da fare (movimento continuo, tipico anche di tutti gli spagnoli in questo periodo). La prima
versione è scritta nel 1562, abbiamo poi quella ampliata nel 1576. L’opera è stata pubblicata per la
prima volta in Portogallo nel 1583, questo perché Felipe II era re di Portogallo. Felipe II sarà il
primo a dominare parte d'Europa, America e Filippine, Portogallo, Brasile, porti e terre d'Africa
(essendo terre di Portogallo). Lo chiamavano l'impero su cui non tramontava mai il sole. Una cosa
molto importante è che si dice messa nelle 24 ore nel mondo. In questa sacralizzazione del mondo
dobbiamo collocare Teresa.
Il libro più importante sarà “Las Moradas” o “El Castillo en Tierra”. Il castello è simbolo di libri di
cavalleria, ma in questo caso indica il castello interiore. Secondo Santa Teresa ad ognuno è diviso
in diverse sale che corrispondono a fasi di vita.
Si conservano poi 459 lettere. La novità letteraria è il linguaggio colloquiale di una ragazza del XVI
secolo. Non è andata all’università e scrive come parla, dà immediatezza al testo. È un carattere
nuovo ed insolito nella letteratura. È molto spontanea e non ha tempo di correggere. Aggiunge
quindi rapidità. Dichiara proprio che non rilegge mai ciò che ha scritto, ci sono quindi errori
ortografici, volgarismi, frasi sospese. È un indifferente alla logica grammaticale, è un testo
espressionista, Teresa scrive nella lingua parlata in Castilla con i suoi volgarismi. Questo è anche
sintomo di umiltà, abbiamo naturalità e semplicità.

CAPITOLO 29 paragrafo 13-14 de Libro de su vida:


“Quiso el Señor que viese aquí […] tan mal responde a tan grandes beneficios."
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“veía un ángel cabe mí hacia el lado izquierdo, en forma corporal, lo que no suelo ver sino
por maravilla; aunque muchas veces se me representan ángeles, es sin verlos, sino como
la visión pasada que dije primero” solitamente le sue visioni erano spirituali, questa volta è
corporale, vede l’angelo nella sua fisicità. È sempre comunque spirituale ma è come se
anche il suo corpo partecipasse perché lo vede.
“Esto tenía algunas veces, cuando quiso el Señor me viniesen estos arrobamientos tan
grandes, que aun estando entre gentes no los podía resistir” quando aveva questi “dolori
spirituali” non poteva resistere neanche se si trovava tra la gente.
Questi “dolori spirituali” di cui parla rappresentano la Transverberación.
Nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria (Roma) abbiamo una scultura di Bernini che
rappresenta la Transverberazione. Abbiamo un angelo che trapassa con una freccia il
cuore di Santa Teresa. Bernini ha posto l’angelo in alto destra ma in realtà la santa aveva
detto che si trovava a sinistra. L’angelo ricorda cupido, abbiamo quindi una
sovrapposizione con un motivo mitologico, profano.

Nel 1622 è proclamata Santa. La Transverberación ha radici bibliche ed è chiamata ferita mistica,
rappresenta il momento di massima unione con Dio. Nel “Cantico dei cantici” appaiono ferite
mistiche, nei cantici 2 e 4. Abbiamo quindi una tradizione biblica molto importante con il “Cantico
dei cantici” e la reinterpreteranno sia Santa Teresa che San Juan de la Cruz con “Cantico
spirituale”. Santa Teresa si riferisce a questo episodio di transverberazione che abbiamo letto
anche in “Cuentas de consciencia”. Le visioni dei mistici a volte hanno bisogno di un appoggio
fisico: guardando opere artistiche (come quadri, sculture), hanno poi una visione personale. In
questa narrazione però lei non sta guardando nulla, nessuna immagine. Sta orando senza alcuna
immagine. Il testo letto è caratterizzato dalla forza della visione, soprattutto il paragrafo 13.
Abbiamo tre volte il verbo vedere nella prima parte. Vede come un angelo scolpito a tutto tondo,
abbiamo una descrizione perfetta di lui. Cerca anche di classificarlo, dice che dovrebbe essere un
cherubino, cerca di ricordare una teoria su questi. Non è però sicura che si tratti di un cherubino,
infatti descrive un serafino. Lo sappiamo perché i serafini sono quelli più vicini a Dio e che si
bruciano (così appaiono nelle rappresentazioni medievali).

11 maggio
San Juan de la Cruz, uno degli autori più attuali del siglo de oro. Juan de la Cruz capitanò la
riforma carmelitana maschile. La sua vita si intreccia con quella di Santa Teresa de Ávila. È più
giovane di lei di 20 anni ma fu confessore e il direttore spirituale di Teresa. Ha avuto una vita molto
distinta rispetto a quella di Teresa, che apparteneva alla classe degli idalghi anche se aveva
sangue di Cristianos Nuevos, il caso di Teresa fu diverso, perse i suoi beni a causa di questa
questione del “sangue” e non avere problemi con l’inquisizione. Il padre di Juan, che proveniva da
una famiglia modesta, si sposa con una donna molto povera e la famiglia di lui lo discrimina. Juan
e suo fratello Francisco crescono con la madre (l’altro fratello Luis muore piccolo), il padre muore
presto e inoltre era un tessitore, lavoro molto umile e inoltre la famiglia lo aveva diseredato. La
madre, rimasta sola, comincia a lavorare come lavandaia (lavoro molto umile, anche la mamma di
Lazarillo sarà lavandaia per gli studenti di Salamanca, di un nobile Salmantino molte umile).
Cercando lavoro, la mamma Catalina Álvarez si trasferisce da Fontiveros, un paesino, prima a
Arévalo, città un po’ più grande, e poi a Medina de Campo. Migliorerà la loro situazione (p164 del
libro), un ricco idalgo Alonso Álvarez de Toledo (stesso cognome del Re di Napoli Pedro Álvarez
de Toledo con cui Garcilaso è andato a Napoli), riconosce in Juan un bambino intelligente. Lui
frequentava la scuola dei poveri ed è qui si scopre la sua grande intelligenza ed entra in contratto
con Alonso che decide di proteggerlo. Quando Alonso si ritira in un ospizio/ospedale lì gli trova un
lavoro, si occuperà dei sifilitici, malati più gravi. Nel periodo in cui lavora in ospedale studia con i
Gesuiti, a Medina c’era un collegio di Gesuiti. Álvarez de Toledo pensava di farlo diventare
sacerdote. Gli Gesuiti stessi lo mandano a studiare al collegio di San Andrés, studium generale a
Salamanca. Quindi Juan è un universitario, avrà grandi maestri a Salamanca, sarà un uomo
formato, culto a differenza di Teresa. Studia Artes, dove si studia filosofia, lingua, matematica,
logica dal 1564 a 1567). Diventa sacerdote, cosi come voleva il suo protettore. Già da sacerdote si
specializza in teologia, a Salamanca c’era un’ottima scuola. Durante l’esperienza con i Gesuiti,
Juan entra in contatto con il “carmelitano riformato” (Antonio de Heredia), la riforma già c’era a
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Medina, non è proprio contento con le condizioni che segue questo carmelitano, vuole più rispetto,
pensa che non è sufficiente la povertà, vuole di più. Nel 1567 conosce a Teresa a Medina, che sta
cercando vocazioni maschili dopo aver formato già quella femminile, non si limita a fondare
convento di suore scalze, ma anche anima la riforma maschile. Entra in contatto con Juan de
Yepes (questo è il suo vero nome, poi cambiò il suo nome quando entrò nei Gesuiti in Juan de
Santo Matía infine lo cambierà in Juan de la Cruz quando fonda a Duruelo il primo ordine dei
Carmelitani Scalzi), come frate avrà due nomi. Finisce lo studio di teologia e con Teresa organizza
la sua prima fondazione piccolissima e poverissima in Duruelo, paese povero, non contento dei
riformati di Medina. Qui ci sono i primi semi della sua fondazione. (Lei ha 52 lui 25 anni.) Juan
resta a Duruelo nel 1568. Non è disposto a vivere la vita dei frati di clausura, ma predica, fa
funzioni che non sono dei frati di clausura ma dei predicanti, come i domenicani. Sarà la sua
esperienza ad indicargli la strada, non c’è una rigidità nell’applicazioni delle norme che lui stesso
da, solo la povertà. Sono vegetariani, sia Teresa che Juan, lui di più, mangiano solo frutta e
verdura e solo nei giorni di festa formaggio e uova. Nel 1569 cresce la fama di Juan, lo chiamano
come rettore del collegio di San Cirilo ad Alcalà de Henares (rivale di Salamanca per l’università).
Cirilo è un santo antico. I carmelitani sono rinnovatori del cristianesimo antico. Questa è un'altra
forma di umanismo. L’umanismo è la rinnovazione della sensibilità e della letteratura antica.
In questi capitoli cristiani dell’antichità ci sono anche gli eremiti. L’umanismo cristiano ha il suo
centro in Spagna. Nebrija è un umanista cristiano, propone edizioni di autori cristiani tardo-romani;
Teresa non è universitaria, è libera. Juan è un uomo erudito, un teologo importante, lui avvia tutte
le riforme a partire da un linguaggio umanista, appreso in università, e a da una visione del mondo
che è culta. Questo suppone che torna alla norma dei carmelitani scalzi(?). Nel 1572 fu inviato alla
Encarnación de Ávila, convento dove stava inizialmente Teresa, dal quale è uscita per fondare il
suo ordine.
Nel 1577 è sequestrato dai carmelitani scalzi e portato a Toledo. Preso il 4 di settembre 1577 e
resterà in carcere fino ad agosto dell’anno successivo. In questo anno scrive quasi tutta la sua
poesia. La notte del 4 settembre 1578, evade dal carcere con un piano organizzato da Santa
Teresa. Corrompe a chi lo aveva sequestrato, rompe la serratura, prepara la fuga e lo porta in
Andalucía, luogo più sicuro. Era una provincia carmelitana, le prime province spagnole sono quelle
degli ordini religiosi, questo sistema venne adottato successivamente dallo stato. La provincia di
Castiglia lo sequestrerà. Passera in Andalucía i suoi migliori anni. Prima passa il suo tempo nel
convento femminile di Beas de Segura, (Segura è un paesino in provincia di Jaen), qui recupera le
sue forze, era molto debole, lui fisicamente era magro e piccolino. Poi va a Baeza ed a Úbeda
dove fonda un convento, queste sono citta rinascimentali importanti, universitarie. Vivrà anche a
Granada, sede universitaria più vecchia dell’Andalucía, fondata dai Re Cattolici nel 1492. In
Andalucía orientale San Juan avrà un periodo fruttifero, completa le sue opere letterarie. Juan
come Teresa non sono scrittori tout court, hanno altri impieghi, la scrittura è fatta di fretta, a
differenza di Teresa la scrittura di Juan è più colta. Per la riforma di Andalucía, Juan perde il
controllo dei monasteri che lui stesso aveva fondato, perché c’è un personaggio importante della
riforma, un genovese di nome Nicolas Doria che controlla la riforma carmelitana, perseguita a
Juan, prima lo include in un comitato della riforma poi alla fine lo cacciano, resta come un umile
frate senza avere più il controllo dei suoi conventi. I suoi protettori lo vogliono mandare in America,
Doria si oppone, e alla fine Juan finisce nell’ombra. Tanti manoscritti di Juan si sono persi altri sono
stati distrutti per evitare l’Inquisizione. Molti si conservano ma sono copie di copie, ci sono molte
interpolazioni. Ci sono solo due manoscritti che sono stati controllati da lui, non sono autografi.
Uno dei due, il più antico sta nel convento delle carmelitane di Sanlúcar de Barrameda ed ha la sa
firma, è scritto da un altro, essendo una copia, ma rivisitato e firmato da Juan. L’altro non ha la
firma ma ci sono una serie di indizi che affermano che è passato tra le mani di Juan, ed è
conservato nel convento delle carmelitane di Jaén. Quello di Sanlúcar ha avuto una peripezia
strana, arrivarono degli inglesi che dicevano di essere studiosi, gli prestarono il manoscritto per
consultarlo, quando lo riportarono gli inglesi le suore non lo controllarono. Risulta che gli inglesi
abbiano tagliato la firma di San Juan. Ci fu un’investigazione della polizia. Poi la firma è stata
restaurata e recuperata. Questi due manoscritti dispongono l’opera di forma distinta, non hanno lo
stesso ordine, né le opere né le strofe ciò provocò una disquisizione tra i filosofi, qual è il migliore,
la versione più accertata. Stanno nelle mani delle suore perché la poesia di san Juan è stata
cantata e ancora oggi è cantata nei conventi carmelitani. I carmelitani usano questa poesia come
orazione e come canto. Ci sono per questo motivo tantissime copie, opere successive non
controllate dall’autore che sono conservati in altri monasteri e biblioteche pubbliche. Ci sono
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tantissime opere di San Juan e questo sarà un problema al momento per l’editoria. Opere poetiche
principali: (p190) ciò che impressiona della sua opera è che non ha un ordine razionale, la poesia
non ha uno sviluppo e un pensiero razionale. Questo aspetto di irrazionalità connota la poesia
come moderna, possiamo parlare quasi di poesia surrealista. Questa irrazionalità si deve
relazionare con il suo carattere mistico, perché il cammino mistico è un cammino intuitivo e non
razionale, il cammino verso Dio non può essere razionale. Il carattere colto di San Juan lo
possiamo predicare in questa poesia e la si può studiare dal punto di vista letterario: se non
conosciamo nulla di mistico si può leggere la sua poesia, ci sono due aspetti, quello mistico e
quello letterario. Dal punto di vista letterario bisogna vederlo come la poesia più alta del
rinascimento maturo, quello dell’epoca di Filippo II, il rinascimento della seconda metà del secolo
XVI. I dati filosofici, teologici e stilistici letterari usati da San Juan sono propri di questa seconda
metà del secolo che è caratterizzata dalla controriforma cattolica: il pensiero di san Juan entra in
queste coordinate, solo in un certo modo. Cattolicesimo post-tridentino e Esegesi biblica (critica
biblica è lo studio e l'indagine scientifica dei testi biblici) che aveva appreso in Salamanca a partire
dal cattolicesimo tridentino(?). Per lo stile letterario San Juan parte da Garcilaso e da Fray Luis de
León. Grazie a Fray Luis legge Garcilaso. (Garcilaso fu editato per la prima volta a Salamanca e la
sua prima edizione commentata viene pubblicata in Salamanca nel 156, è un momento di
coincidenza perfetta con il momento di Juan de la Cruz) quindi Juan ha letto Garcilaso
commentato da Elbrocense. Ha letto al Garcilaso già convertito e venerato come un classico. Ci
sono tre poemi detti “Poemas mayores”: Noche oscura, Cántico espiritual (più lungo e famoso) e
Llama de amor viva.
La Noche oscura:
Canciones del alma que se goza de haber llegado al alto estado de la perfección, que es la unión
con Dios, por el camino de la negación espiritual.
1. En una noche oscura y todos mis sentidos suspendía.
con ansias, en amores inflamada, 8. Quedeme, y olvideme,
¡oh dichosa ventura! el rostro recliné sobre el Amado,
salí sin ser notada, cesó todo, y dejeme,
estando ya mi casa sosegada. dejando mi cuidado
2. A oscuras, y segura, entre las azucenas olvidado.
por la secreta escala disfrazada,
¡Oh dichosa ventura!
a oscuras, y en celada,
estando ya mi casa sosegada.
3. En la noche dichosa
en secreto, que nadie me veía,
ni yo miraba cosa,
sin otra luz y guía,
sino la que en el corazón ardía.
4. Aquesta me guiaba
más cierto que la luz del mediodía,
adonde me esperaba
quien yo bien me sabía,
en parte donde nadie parecía.
5. ¡Oh noche que guiaste!
¡Oh noche amable más que la alborada:
oh noche que juntaste
Amado con Amada.
Amada en el Amado transformada!
6. En mi pecho florido,
que entero para él solo se guardaba,
allí quedó dormido,
y yo le regalaba,
y el ventalle de cedros aire daba.
7. El aire de la almena,
cuando yo sus cabellos esparcía,
con su mano serena
en mi cuello hería,
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Poema breve, 8 liras (strofa Garcilaciana) con versi endecasillabi e settenari. Parla
l’anima come sposa, si parla del matrimonio spirituale, mistico tra l’anima e dio.
1 strofa: si narra l’uscita della casa, l’ambiente oscuro, un’oscurità totale, il tema
dell’oscurità è importantissimo nella poesia mistica San Juanistica, primo verso “una
noche oscura”. il secondo verso si dedica già al dell’amore, ansias: una passione
forte. Si illustra poi la felicità, è un vocativo, si appella alla felicità “oh dichosa
ventura”, dichosa: massimo della felicità. L’anima esce e scappa senza essere vista,
senza che nessuno se ne accorga. La casa sta sosegada: non è negativo come in
italiano, significa serenità, pace. (sosiego: calma)
2 strofa: si insiste sul tema dell’oscurità e la sicurezza che questa oscurità dà, si
allude alla segreta escala: scala mistiche che portano a dio, dove salgono gli angeli.
L’immagine della scala fa riferimento a concetti mistici che esistevano già nel
medioevo. Questo disfraz (maschera) allude anche al segreto. Di nuovo dichosa
ventura. En celada: coperta.
3 strofa: si insiste nella copertura, nel segreto. Si nota una rottura assoluta con tutto
ciò che sia “visione”. Con Teresa vediamo l’insistenza e la visione, dice per tre volte
“veía”. La luce è interiore, viene da dentro. È la luce del cuore che guida.
4: si insiste con la luce. Aquesta “luz”me guiaba. La luce pura, forte di mezzogiorno
la guidava dove mi sta aspettato qualcuno che solo io conosco. Yo bien me sabía:
forma riflessiva per dire qualcosa di intima, solo io lo so, gli altri no (solo yo me lo
sé). Questo mi aspetta in un posto dove non ci sta nessun altro.
5: “Oh noche que guiaste!”: esclamazioni, è un richiamo all’oscurità della notte che è
messa in rapporto con l’alba. Ci sono molte canzoni dedicata alla alborada
(amanecer): alba. (Canciones de los Mayos, sono canti alla luce di maggio che è
molto forte). Luce che unisce l’anima con l’amato. Amada:alma. Trasformazione degli
amanti: l’amada si trasforma nell’amado, smette di essere amada per essere amado.
C’è una metamorfosi dell’amada.
6: ritorno al petto dell’amada, dell’anima. L’anima conserva il suo petto solo per lui,
non lo da a nessuno altro. Scena di perfetta pace dopo l’unione. L’amado riposa
appoggiato sul petto dell’amada. Cedro: (legno di un albero – cedro de Líbano,
albero più bello e ricco dell’antichità). La scena si circonda di cedros, che danno aria,
freschezza, dove loro riposano.
7: si insite sull’aria, prima era il ventaglio di cedro che dava aria adesso è l’aria de la
almena: merli (Si tratta di ciascuno dei rialzi in muratura eretti a intervalli regolari che
coronano le mura perimetrali di castelli, torri difensive, palazzi, ecc.). Non si sa di chi
sono i capelli, se dell’amado o amada, e chi sta parlando se lui o lei. Sembra che sta
parlando l’amado che viene ferito dai capelli di lei, che sono probabilmente più lunghi
dei suoi.
8: lira della “dejación”, poteva dare problemi con l’inquisizione, il tema
dell'abbandono a Dio era visto come un’eresia, era proibito. C’era una setta di
abbandonati. Prima l’amado appoggia il volto verso di lei poi il contrario. Dejeme: mi
abbandonai. Azucenas: gigli.
Questa tradizione erotica della poesia mistica arriva da lontano, anche il “Cantar de
los cantares” si considera mistico ed erotico. È un canto nuziale e per questo è
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sempre erotico. Qui si celebra il matrimonio mistico. Il canale linguistico e


concettuale che si usa è della lirica amorosa. Non c’è altro modo di esprimerlo. San
Juan è abbastanza controllato rispetto ad altri carmelitani a Napoli negli anni
successivi.
Insieme a questi tre testi maggiori, ci sono altre opere minori, cioè Poemas menores:
sono 10 romances, “a lo divino”, è una variante usata molto nel convento. Si
prendevano romances famosi e già conosciuti e si traducevano al divino. Era un
gioco poetico che serviva per inserire la letteratura profana nel convento. Questa è
molto frequenta nella seconda metà del XVI. Ci sono molti testi lunghi e poesia
passati a lo divino, come ad esempio romanzi pastorali a lo divino. Questi romances
sono dedicati alla santissima trinità. Insieme ai romances ci sono due cantares e
alcune glosas di poesia profana, glosada a lo divino. La poesia di San Juan è breve
ed è legata al momento del carcere e al periodo che stava nel convento Beas de
Segura. Successivamente diventeranno famosi e cominceranno ad avere problemi
con l’inquisizione; le stesse suore che leggono e cantano i suoi poemi chiederanno a
San Juan di spiegarli e lo farà con un’opera molto lunga in prosa. Prosa che doveva
essere spiegazione della poesia ma non lo sarà perché questa poesia non si può
spiegare. Questa parte di prosa, che è la parte più consistente del mondo letterario di
San Juan, sono trattati di mistica e trattati teologici, però partono sempre dalla
poesia. Tra questi trattati ci sono alcuni dedicati al Cántico, uno alla Llama e uno
dedicato alla Noche oscura; in realtà alla Noche oscura ne dedica due: uno che è la
“noche oscura” ed è in presa e un altro che è la Subida al Monte Carmelo, il suo
testo in prosa più famoso. (ci fu Bernardino de Laredo, che scrisse la Subida al
Monte Sion). Vi è una rielaborazione di San Juan molto originale per questa Subida
al Monte carmelo.
Cantico espiritual: il suo testo poetico più famoso. È un testo dialogato, è il più lungo,
ispirato a Salomón per il “Cantar de los cantares” lo chiama Cantico, è più colto
come termine. Aggiunge l’aggettivo “espiritual” per non confonderlo con los cantares.
È un dialogo, canti tra sposa e sposo. Situazione simile a quella della Noche oscura
ma sono definiti meglio i due interlocutori. Si sa bene quando parla lo sposo e
quando la sposa.
Lettura:
• Eras ido: forma arcarica “que había sido”. Presura: fretta. Balbuciendo: Balbettando.
• Esposo: (scena simile a quella de la Noche oscura)
▪ Entrado se ha la esposa, en el ameno huerto deseado, y a su sabor
reposa, el cuello reclinado sobres los dulces brazos del amado.
• Sottolinea: allí te di al mano
• Esposa: (lo sposo allontana tutte le creature affinché la sposa possa dormire) Oh
ninfas de Judea, en tanto que en las flores y rosales el ámbar perfumea, morá en los
arrabales, y no queráis tocar nuestros umbrales.
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• (c’è un’incorporazione, la sposa vuole che lo sposo guardi anche alle altre)
Escóndete, carillo, y mira con tu haz a las montañas, y no quieras decillo; mas mira
las compañas de la que va por ínsulas extrañas.

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