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Elenchos 2019; 40(2): 265–296

Federico Casella*
Escatologia e conoscenza salvifica in
Empedocle: una rilettura della metempsicosi
alla luce delle teorie fisiologiche sulla mente
https://doi.org/10.1515/elen-2019-0014

Abstract: The presence of a theory of the transmigration of the soul or, according to
Empedocles’ words, of the δαίμων is a controversial issue among scholars. A major
difficulty arises when one tries to read the fragments of the Purifications – where
this theme is particularly recurrent – in conjunction with those usually attributed to
the poem On nature. The aim of this paper is to suggest a ‘method’ to analyse the
extant fragments, and to offer a possible interpretation of the nature of the so–
called cycle of the δαίμων. On the one hand, I shall try to show that the two poems,
if read together, can provide a ‘salvific’ message. As a matter of fact, the description
of the cosmic order that emerges from the poem On nature might convey the same
prescription as stated in the Purifications for following the universal laws, which
would ultimately allow human beings to be happy even in an age of universal evil.
On the other hand, I shall propose to identify the δαίμων with the roots, which can
escape from the cycle – i.e. become happy – when they are shaped as human
minds, thanks to the way in which the processes of knowledge work.

Keywords: Empedocles, soul, metempsychosis, mind, ancient physics

1 Alcuni dettagli del ciclo cosmico: l’esilio


di Φιλία, la superiorità dello sfero, l’influenza
fisica e morale di Amicizia e Contesa
Come è noto, il sistema di Empedocle prevede l’esistenza di quattro “radici”
(ῥιζώματα) divine, ossia fuoco, aria, acqua, terra1: esse sono i quattro “elementi”

1 L’edizione dei frammenti di Empedocle utilizzata per questo studio è la raccolta di H. Diels,
W. Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, Berlin 1951: nel caso in cui si utilizzino altre
ricostruzioni del testo greco, sarà ogni volta espressamente indicato. Si riporterà sempre il
numero del frammento e, dove non specificato, si intenderanno in questo modo quelli

*Corresponding author: Federico Casella, Università di Salerno, Salerno, Italy,


E-mail: f.casella02@gmail.com
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(στοιχεῖα) della tradizione dossografica, a partire dai quali, separandosi o


aggregandosi, si generano o si distruggono tutti gli “enti mortali” (θνητά). Le
sole cose a esistere, come viene spesso detto, sono i ῥιζώματα2: ciò che comu-
nemente viene definito nascita e morte – termini impropri, che ammettono il
passaggio all’esistenza dalla non esistenza – è il risultato delle loro continue
interazioni, che formano o scompongono l’aggregato contingente, ossia uno
degli θνητά – piante, animali, uomini. Viene, inoltre, respinta la possibilità di
ammettere il vuoto e, dunque, l’assenza delle radici in qualche zona del cosmo.3
Sono presenti due ulteriori ‘principi’, ‘forze’, “Amicizia” (Φιλία) e “Contesa”
(Νεῖκος), divine, eterne e responsabili, rispettivamente, del processo di unione
e di dissociazione dei ῥιζώματα. Amicizia e Contesa esercitano un’influenza di
cui è visibile l’effetto ma non l’agente, dato che non possono essere riconosciute
con i sensi, bensì con il νοῦς: sono dunque invisibili, intangibili, etc.4
Questo è il nucleo della speculazione fisica di Empedocle, sulla cui ricostruzione
la maggior parte degli studiosi è concorde: particolari problemi di interpretazione
sorgono in merito al contenuto di altri frammenti, che sembrano incardinare questo
eterno processo di aggregazione e disgregazione in ‘fasi’ o ‘cicli’ cosmici. Empedocle
avrebbe ammesso l’esistenza di due momenti in cui la formazione e la dissoluzione
degli θνητά è interrotta: in un caso, le quattro radici sono unite in modo tale da
escludere la differenziazione in enti contingenti, così da dare origine solamente a un
agglomerato indefinito, lo “sfero” (σφαῖρος)5; nell’altro, sono totalmente separate le
une dalle altre, ciascuna isolata in sé stessa in uno stato, si potrebbe dire, puro e
assoluto, chiamato “i molti” (πλέονοι).6 Queste due fasi costituiscono il punto di
arrivo di un processo di progressiva influenza da parte delle forze, l’una a scapito
dell’altra, che porta, nel caso di crescente predominio di Amicizia, alla totale
compenetrazione o, nel caso del sopravvento di Contesa, alla completa separazione
delle radici: nel primo e nel secondo si hanno, rispettivamente, lo sfero e lo stadio dei
molti.7 Questi ultimi sono, pertanto, due estremi che racchiudono due ulteriori
momenti, in cui Contesa e Amicizia agiscono di concerto introducendo la necessaria
differenziazione per determinare gli enti e la fondamentale stretta unificante che

appartenenti alla sezione 31B della raccolta. Tutte le traduzioni dal greco sono segnalate dalle
virgolette doppie (“”) e sono mie.
2 Esistono solo le radici per il fatto che non sono composte da niente altro se non da se stesse,
laddove ogni altra cosa è originata a partire dai quattro ῥιζώματα: per questo si rinvia alle
analisi di O’Brien (2016) 5–19.
3 Questa ricostruzione si basa, in ordine, sui frr. 6; 17.18; 12; 8; 9; 21.9–14; 13.
4 Cfr. fr. 17.21–26.
5 Cfr. frr. 27–29.
6 Cfr. frr. 17.8; 26.6.
7 Cfr. frr. 17.6–8; 20; 21.7–8; 26.
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impedisce la separazione totale delle parti che li compongono: Empedocle li defini-


sce i processi che portano “dai molti all’uno”, ossia allo sfero (ἕν ἐκ πλεόνων),
e “dall’uno ai molti” (πλέον’ ἐξ ἑνός).8 Si possono, così, isolare quattro fasi: due in
cui la vita degli enti contingenti è possibile – ossia nel passaggio da un estremo
all’altro – e due in cui essa è impossibile – nei punti di arrivo dei due processi.9 Per lo
scopo di questa ricerca, vi sono alcuni punti su cui è necessario soffermare l’atten-
zione: Empedocle sembra offrire ulteriori precisazioni sia riguardo alle fasi del cosmo
appena descritte sia riguardo alla natura di Amicizia e di Contesa.10
In alcuni versi, Empedocle illustra il momento in cui ha origine il ciclo di
progressivo predominio di Amicizia:

[…] mentre <le radici> si mescolavano, fuoriuscivano innumerevoli stirpi di mortali; / ma


molte radici in alternanza con quelle mescolatesi rimasero non mischiate, / quante ancora
ne tratteneva in alto Contesa; infatti, non perfettamente / si ritrasse del tutto agli estremi
confini del cosmo / ma in alcune parti rimaneva da altre era uscita. (fr. 35.7–11)11

Il frammento dovrebbe probabilmente indicare i momenti che pongono fine al


ciclo di totale egemonia di Contesa: essa, inizialmente, occupa una posizione
centrale nel cosmo scisso nelle quattro masse assolute delle radici. A un certo
punto, Amicizia sopravanza, scalzando gradatamente Contesa dalla sua sede (ἐπεὶ
Νεῖκος μὲν ἐνέρτατον ἵκετο βένθος / δίνης, ἐν δὲ μέσῃ Φιλότης στροφάλιγγι
γένηται, / ἐν τῇ δὴ τάδε πάντα συνέρχεται ἓν μόνον εἶναι – fr. 35.3–5): in questo
modo, dato che entrambe le forze agiscono sulle radici, si generano innumerevoli
θνητά, grazie sia alla distinzione concessa da Contesa sia al legame appena
introdotto da Amicizia. Alcune parti dei ῥιζώματα, tuttavia, resistono al richiamo
di Φιλία e seguono Νεῖκος nella sua graduale ritirata verso i confini più estremi
del cosmo (ἐπ’ ἔσχατα τέρματα κύκλου), rimanendo non mescolate. Durante la
fase che porta dai molti all’uno, dunque, Empedocle ritiene che Contesa perda

8 Cfr. frr. 8; 9; 17.1–2,16–17; 21.9–14; 26.8–9.


9 Opinioni contrarie al ciclo diviso in quattro fasi sono state avanzate, ad esempio, da Solmsen
(1965) 109–148 e da Hölscher (1965) 7–33, i quali ammettono soltanto un’azione iniziale di Contesa
che frammenta lo sfero e una successiva di Amicizia (entro la medesima e unica fase cosmica), la
quale permette l’origine degli θνητά e porta poi alla riparazione dello sfero: tutti gli enti contingenti
esistono, dunque, sotto il solo ciclo di crescente Amicizia. Per una dettagliata ricostruzione e analisi
degli elementi che confermerebbero, invece, l’esistenza di più periodi del cosmo si rinvia a
Trépanier (2003) 1–57; per la loro durata e natura si rimanda a Primavesi (2017) 229–316.
10 Utilizzo il termine cosmo non soltanto nell’accezione odierna di ‘universo’, ma soprattutto di
ordine sotteso a ogni cosa, di cui l’universo è una parte. Per la particolare valenza della parola
si rinvia allo studio di Kahn (1960) 219–230.
11 Il testo greco afferma: τῶν δέ τε μισγομένων χεῖτ’ ἔνθεα μυρία θνητῶν· / πολλὰ δ’ ἄμεικτ’
ἔστηκε κεραιομένοισιν ἐναλλάξ, / ὅσσ’ ἔτι Νεῖκος ἔρυκε μετάρσιον· οὐ γὰρ ἀμεμφέως / τῶν πᾶν
ἐξέστηκεν ἐπ’ ἔσχατα τέρματα κύκλου, / ἀλλὰ τὰ μέν τ’ ἐνέμιμνε μελέων τὰ δέ τ’ ἐξεβεβήκει.
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terreno in favore di Amicizia, per essere ‘esiliata’ in una regione lontana dal luogo
in cui Φιλία esercita il suo crescente potere attrattivo: in questo modo, la presenza
di Νεῖκος viene man mano esclusa dai composti dei quattro ῥιζώματα (ὅσσον δ’
αἰὲν ὑπεκπροθέοι, τόσον αἰὲν ἐπῄει / ἠπιόφρων Φιλότητος ἀμεμφέος ἄμβροτος
ὁρμή – fr. 35.12–13), ponendo, così, le basi per la loro futura e completa riunifi-
cazione nello sfero. Una conferma di questa ricostruzione è offerta da un altro
frammento, in cui si dice che Contesa, mentre lo sfero inizia a sorgere, si ritira
completamente agli estremi confini, avvolgendo, di conseguenza, l’agglomerato
senza potervi entrare (τῶν δὲ συνερχομένων ἐξ ἔσχατον ἵστατο Νεῖκος – fr. 36):
Contesa occuperebbe a turno, dunque, uno spazio ben preciso.
Questo dettaglio, nei frammenti rimasti, viene illustrato a proposito di
Νεῖκος, ma non di Amicizia: è possibile, comunque, ritenere che fosse stata
ammessa una situazione simile anche nel suo caso. Le vicende a cui è sottoposto
il cosmo restituiscono, infatti, un sistema ‘analogico’ e ‘speculare’, focalizzato
sulla dualità: due sono le forze che agiscono, in modo contrario, sulle radici,
due i momenti in cui esistono θνητά, sebbene sottoposti al crescente dominio o
di Amicizia o di Contesa, due gli stati in cui non si generano enti contingenti,
l’uno per totale compenetrazione e l’altro per completa separazione dei
ῥιζώματα. Sulla base di questa osservazione, è possibile ricostruire nel modo
seguente l’inizio della fase di predominio di Contesa: Νεῖκος, una volta iniziata
la sua discesa al centro dello sfero, sottrae terreno ad Amicizia, per relegarla
sempre di più in una zona del cosmo liminare e reclamare parti delle radici
all’unità indistinta, facendo sorgere una nuova generazione di θνητά.12
Analogamente a quanto osservato riguardo a Contesa, anche in questo momento
alcune particelle di ῥιζώματα dovrebbero seguire la forza esiliata, Φιλία, verso
gli estremi del cosmo, restando commiste e unite tra loro.13
Un altro dettaglio significativo, a proposito delle fasi cosmiche, è il fatto che
Empedocle sembra descrivere in termini non ‘neutrali’ lo sfero: esso è lo stadio
in cui ogni radice è compenetrata l’una nell’altra, dove

non si distinguono le membra veloci del sole / né la villosa potenza della terra né il mare: /
così è tenuto nel compatto rifugio di Armonia / lo sfero rotondo che gioisce nella quiete
avvolgente (fr. 27),

12 La fine dello sfero a opera di Contesa è descritta nei frr. 30–31. Ad aver individuato, per primi,
un simmetrico esilio di Amicizia sotto il ciclo di crescente Contesa furono, ad esempio, Cornford
(1912) 239; Bignone (1916) 223, 576, 585; Burnet (19304) 234, 236, 242.
13 Sulla possibilità di intendere le radici come composte da parti più piccole tra loro identiche
qualitativamente cfr. frr. 85; 89; 96; 98; 101. Per tutto quanto detto si rinvia alle analisi di
Longrigg (1976) 420–438.
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concezione ribadita anche altrove, per cui

da ogni parte è uguale a se stesso e dappertutto senza delimitazioni / lo sfero rotondo che
gioisce nella quiete avvolgente (fr. 28),

e per cui, infine,

dal suo dorso non escono due rami <braccia?> / né piedi, né rapide ginocchia, né organi
riproduttivi che generano: / ma era sfero e ovunque identico a se stesso. (fr. 29)14

È possibile intendere lo sfero come un momento in cui ogni caratteristica delle radici
è annullata: Empedocle dice che il sole, la terra e il mare – altri nomi per le radici –
non possono essere identificati separatamente in questo stadio cosmico. L’esistenza
stessa del fuoco, dell’aria, dell’acqua e della terra in qualità di ῥιζώματα implica,
infatti, l’introduzione di una differenza – dunque la presenza dell’azione separatrice
di Contesa – che sarebbe incompatibile entro il dominio assoluto di Amicizia.15 È per
questo che Empedocle afferma che le radici, quando sono racchiuse e compenetrate
l’una nell’altra, non danno origine a membra ma a un unico e uniforme agglomerato
sferico: è la sola forma a non ammettere differenze entro di sé. Le caratteristiche di
totale fusione, uniformità (πάντοθεν ἶσος ἑαυτῷ), “quiete” (μονίη) consentono a
Empedocle di ribadire con maggiore forza l’assoluta alterità dello σφαῖρος rispetto a
ogni altra conformazione che possono assumere le radici: tale differenza è marcata,
anche, dal fatto che lo σφαῖρος è pervaso da gioia (γαίων), una condizione che
raramente può essere riscontrata tra gli θνητά.16 È opportuno sottolineare che lo
sfero non è un altro ‘principio’ in aggiunta alle quattro radici, ad Amicizia e a
Contesa, bensì uno dei composti originati dai ῥιζώματα con l’influenza della sola
Amicizia: nello σφαῖρος, le particelle delle radici sono, semplicemente, impossibili

14 Fr. 27: ἔνθ’ οὔτ’ ἠελίοιο διείδεται ὠκέα γυῖα / οὐδὲ μὲν οὐδ’ αἴης λάσιον μένος οὐδὲ θάλασσα· /
οὕτως Ἁρμονίης πυκινῷ κρύφῳ ἐστήρικται / Σφαῖρος κυκλοτερὴς μονίῃ περιηγέι γαίων. Fr. 28:
ἀλλ’ ὅ γε πάντοθεν ἶσως ἑοῖ καὶ πάμπαν ἀπείρων / Σφαῖρος κυκλοτερὴς μονίῃ περιεγέι γαίων. Fr.
29: οὐ γὰρ ἀπὸ νώτοιο δύο κλάδοι ἀΐσσονται, / οὐ πόδες, οὐ θοᾶ γοῦνα, οὐ μήδεα γεννήεντα, /
ἀλλὰ σφαῖρος ἔην καὶ πάντοθεν ἶσος ἑαυτῷ.
15 Per queste osservazioni e per una rassegna delle interpretazioni a loro favore poste dalla
dossografia si rinvia a Wright (19953) 34–36.
16 La vita quale ente mortale – pianta, animale, uomo – è descritta come causa di infelicità in
alcuni frammenti solitamente ascritti alle Purificazioni: cfr. frr. 113; 115.7–8; 119; 124. La parti-
colare enfasi sulla negatività della vita presente potrebbe addirittura significare che essa
coincide con la vita nell’Ade, ossia, in un certo senso, con la morte, come suggerito da
Trépanier (2017) 147–156, 165–167. Sul problema posto dal termine μονίη, se da tradurre con
“quiete” (dunque derivato da μένω) oppure con “solitudine” (quindi da μόνος), numerose sono
state le proposte di traduzione: per una rassegna delle principali e per le ragioni in favore della
traduzione di μονίη con “quiete” si rinvia a Slings (1991) 413–415.
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da distinguere. Pertanto, sono i quattro ῥιζώματα a godere di questa condizione di


felicità: Empedocle sembra ammettere, per loro, la possibilità di ‘conoscere’ e di
subire affezioni, anche se in maniera ‘primitiva’.17 Per questo motivo Empedocle
parla dello σφαῖρος separatamente, trattandolo come un’entità singola: esso è la
forma assunta da quelle che noi conosciamo, tramite le informazioni fornite nel
poema Sulla natura, come le quattro radici. A godere della felicità che permea questa
condizione è ciò che ha acquisito le sembianze di sfero, ossia le sole cose a esistere, il
protagonista – come sarà mostrato più nel dettaglio in seguito – delle fasi cosmiche
e dei cicli di ricombinazioni, i ῥιζώματα appunto. Nel momento in cui Empedocle
afferma che lo σφαῖρος “gioisce nella quiete avvolgente” bisognerebbe intendere che
sono le radici – o, meglio, le particelle delle radici – a essere, in ultimo, felici per il
raggiungimento di una particolare conformazione che le ‘trasfigura’. Per le caratte-
ristiche e per la condizione a cui è soggetto – l’unità e la felicità – lo sfero
rappresenta il tipo di esistenza perfetto e migliore per i ῥιζώματα.18
Un ulteriore punto su cui è opportuno soffermare l’attenzione riguarda il
fatto che Empedocle connota in termini non ‘neutrali’ non solo lo sfero, ma
anche Amicizia e Contesa. Le due forze sono, infatti, spesso accompagnate da
epiteti che sottolineano, rispettivamente, la positività e la negatività delle loro
influenze: Φιλία è a volte identificata con la dea Afrodite – detta anche Cipride –
per la cui ascendenza, definita “buono e immortale slancio” (ἀμεμφέος
ἄμβροτος ὁρμή), si generano gli enti particolari, oppure è chiamata “Amore”
(Φιλότης), “Gioia” (Γηθοσύνη), “Armonia” (Ἀρμονίη)19; Νεῖκος, al contrario,
separa “con maligni contrasti” (κακῇσι Ἐρίδεσσι) le radici, rende tutto “difforme
e in contrasto” (διάμορφα καὶ ἄνδιχα πάντα) o “assai addolorato” (μάλα λυγρά)
con un’influenza che è detta “ostilità” (Νείκεος ἔχθει), oppure è chiamata “Odio”
(Κότος), “terribile” (αἱματόεσσα), “funesta” (λυγρός), “folle” (μαινόμενος).20 Per
quanto detto in precedenza a proposito dello sfero, esso è il culmine dell’azione
unificatrice di Amicizia e rappresenta la massima condizione che le quattro
radici possono raggiungere: ciò a cui, in ultimo, dà origine Φιλία è, di conse-
guenza, l’unico momento del ciclo cosmico a essere considerato da Empedocle
perfetto e felice. Νεῖκος, invece, è ciò che consente l’individuazione delle quattro

17 Ossia la possibilità di percepire le parti di radici simili in altri composti: cfr. frr. 103; 107; 109;
110.10. Per questa osservazione cfr. Wright (19953) 233–235 e quanto detto infra, parag. 3.
18 Per la positività dello sfero si rinvia a quanto osservato, anche, da Picot (2017/2018) 385–
389.
19 Cfr. frr. 17.20, 24; 19; 20.2; 21.8; 22.5; 26.5; 27.3; 35.4, 13; 71.4; 86; 87; 95; 96.4; 98.3; 122.2;
128.4; 151. Nel fr. 17 Empedocle menziona le due forze, ma dedica più versi a descrivere, con
toni celebrativi, Φιλία a scapito di Νεῖκος (otto versi contro due).
20 Cfr. frr. 17.8, 19; 20.4; 21.7; 22.8; 26.6; 109.3; 115.14; 122.2.
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radici e la scomposizione dello sfero, aprendo il ciclo degli θνητά, ossia quelle
fasi di continue ricombinazioni che sono, per i ῥιζώματα, causa di infelicità: è
soprattutto per questo motivo, dunque, che Empedocle dipinge Amicizia e
Contesa nel modo di cui si è appena detto.21 A ciò si potrebbe aggiungere,
tuttavia, un’ulteriore ragione.
Φιλία e Νεῖκος sembrano, infatti, influire anche sulla condotta degli enti
contingenti. Grazie ad Amicizia – si dice in un frammento che si è soliti ricondurre
al poema Sulla natura – gli uomini “hanno pensieri amorevoli e compiono azioni
amichevoli” (τῇ τε φίλα φρονέουσι καὶ ἄρθμια ἔργα τελοῦσι – fr. 17.23): sia le
intenzioni che le azioni umane vengono plasmate da Amicizia tali da esserle, in
un certo senso, affini, ossia tali da spingere a promuovere la concordia quale
unico movente. Questa concezione ha un’eco in un frammento delle Purificazioni,
in cui Empedocle descrive la vita sotto il ciclo di crescente influenza di Φιλία: in
questo periodo, ogni θνητόν convive assieme agli altri in pace, senza che si
registrino violenze. Infatti, “erano tutti docili e buoni con gli uomini, / sia le
belve sia gli uccelli rapaci, e ardeva l’amore” (fr. 130). Perfino i predatori – θῆρές
τ’ οἰονοί – sono alieni dagli istinti più aggressivi quando Amicizia ha il soprav-
vento: Empedocle sottolinea la potenza di Φιλία, che agisce allora non soltanto a
livello fisico – unendo le parti delle radici e contribuendo a concedere differenti
modalità di esistenza (θνητά, σφαῖρος) – ma anche morale – determinando i
comportamenti degli θνητά che sorgono sotto il suo ciclo. Perfino la religione
degli uomini si declina in maniera differente, dato che vengono venerati non
“Ares né Cidemo / né Zeus era il re né Crono né Poseidone, / ma Cipride era
regina”.22 Il modo in cui gli dèi della tradizione sono rappresentati pare essere una
conseguenza dei pensieri che ispirano Amicizia o Contesa: le divinità menzionate
possono rinviare alla sfera della violenza – Ares, dio della guerra, Cidemo, entità
connessa con le battaglie, Poseidone, responsabile delle tempeste e spesso in
contrasto col fratello Zeus – o dell’imposizione con forza della propria autorità –
Zeus, che divenne re lottando contro i Titani, contro Tifone e contro Crono, il suo,
appunto, dispotico padre – e, dunque, essere stati concepiti in questo modo su

21 La separazione fisica sembra, pertanto, essere direttamente collegata all’infelicità e, di


conseguenza, l’unione alla felicità. Condivido le osservazioni di Rowett (2016) 80–110, in part.
83–88, secondo cui le radici non vanno considerate come qualcosa di inerte e inanimato, bensì
di attivo, quali divinità – agli occhi di Empedocle – in possesso di facoltà e di desideri: se
questa lettura è corretta, esse avrebbero, pertanto, anche la possibilità di sperimentare la
felicità o l’infelicità, come si è suggerito.
22 Porfirio, nel commento ai versi citati, dice che Empedocle sta descrivendo il ciclo in cui
Amicizia era predominante.
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influsso di Νεῖκος.23 A tale forma di culto si sostituisce, nella sua fase cosmica,
quello di Φιλία: proprio perché essa predomina, gli uomini le tributano onori in
modo ‘pacifico’, senza immolare, cioè, vittime sacrificali, in quanto l’omicidio è
evitato da tutti come la peggiore delle azioni (ἀλλὰ μύσος τοῦτ’ ἔσκεν ἐν
ἀνθρώποισι μέγιστον, / θυμόν ἀπορραίσαντας ἐνέδμεναι ἠέα γυῖα – fr. 128.9–10).
È possibile affermare, dunque, che l’influenza di Amicizia avesse ripercussioni
anche sulla condotta degli θνητά: la loro vita sotto questo ciclo, sebbene costitui-
sca una condizione infelice per le quattro radici, perché ancora scisse e separate,
apre alla riunificazione nello sfero, che rappresenta il culmine della felicità, di cui
si gode, di conseguenza, ‘per gradi’.24 Il tempo passato usato nei frammenti indica
chiaramente che l’età descritta è una fase cosmica differente rispetto a quella a cui
appartiene Empedocle, in cui, quindi, dovrebbe predominare Contesa25: si è
soggetti, a causa di quest’ultima, a un intensificarsi della separazione fisica, ma
anche della sofferenza e della violenza. In un frammento, si allude al fatto che
Νεῖκος sia responsabile di determinate azioni: in esso si parla dell’incatenamento
in un ciclo di trasformazioni di chi ha ucciso, ed Empedocle annovera sé stesso in

23 La divisione di Empedocle separa Ares e Cidemo da Zeus, Crono e Poseidone, dato che
questi ultimi tre erano correlati al potere supremo (Poseidone ha il pieno controllo dei mari
dopo la spartizione del potere con i fratelli Zeus e Ade e ritiene di essere pari in potenza con
Zeus – cfr. Il. 15.187–195).
24 Secondo Picot (2012) 339–356, le divinità menzionate nel fr. 128, a esclusione di Cipride,
rappresenterebbero, ciascuna, le cinque età degli uomini, il cui racconto è presentato da Esiodo
ne Le opere e i giorni – nello specifico: Crono–oro, Poseidone–argento, Ares–bronzo, Cidemo–
eroi, Zeus–ferro, menzionati da Empedocle in un ordine non ‘cronologico’ per rispettare la
metrica. Gli uomini che vissero nella fase di predominio di Amicizia dovrebbero, inoltre,
appartenere a un’età totalmente ‘aliena’ rispetto alle altre, ossia a una del tutto priva di mali:
di conseguenza, questo momento di esistenza non può essere considerato come una sofferenza,
ossia come parte di una pena prevista per un δαίμων macchiatosi, in precedenza, di una colpa –
sul ciclo del δαίμων si dirà più nel dettaglio infra, nel testo. Al di là del problema di identificare
la natura delle varie divinità menzionate nel fr. 128, è opportuno sottolineare che, come si è
cercato di mostrare, la condizione perfettamente felice sarebbe, per le radici, l’esistenza in uno
stato privo di qualunque differenziazione, rappresentato, al massimo grado, dallo sfero: la vita
sotto il ciclo di Amicizia è certamente migliore rispetto a quella – che si descriverà tra poco –
sotto Contesa, ma non è, comunque, lo stadio perfetto per le radici, perché sono ancora scisse e
separate, ‘individuate’ in enti contingenti – le radici non sarebbero dunque finalmente felici,
bensì meno sofferenti rispetto alla precedente fase cosmica di crescente Contesa.
25 È curioso notare come l’esistenza sotto l’influenza di Amicizia costituisca, dal punto di vista
degli uomini che vivono ora sotto Contesa, non solo il passato, ma anche il futuro, per via della
ciclicità del cosmo: Empedocle avrebbe parlato, nei frammenti analizzati, della fase di crescente
Amicizia come di un’età trascorsa per sottolineare con maggiore enfasi la presente condizione
di sofferenza universale – se l’avesse presentata nei termini di futuro prossimo, avrebbe reso
più ‘sopportabile’ la vita attuale, che, al contrario, va intesa come male a cui cercare di
scampare fin da subito, come si chiarirà.
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questo gruppo “per avere confidato nella folle Contesa” (fr. 115.14) – sembra,
dunque, essere istituito un collegamento tra un’azione violenta e una spinta
causata da Νεῖκος. Del resto, secondo il principio di analogia e specularità di
cui si è detto, anche Contesa dovrebbe, come Φιλία, influire sui pensieri e sulle
azioni degli enti mortali, rendendoli però malvagi.
Quanto messo in luce fino a questo punto può avere un’ulteriore valenza
considerando l’eventuale correlazione con altre istanze della speculazione di
Empedocle, in particolar modo con la cosiddetta teoria dell’anima e delle
reincarnazioni, e con alcuni frammenti in cui sarebbero delineati gli esiti di
una condotta preferibile.

2 La teoria dell’anima, il δαίμων e la dossografia


Alla luce di quanto osservato, sarebbe opportuno riconsiderare la teoria della
trasmigrazione delle anime che, spesso, si è attribuita a Empedocle: protagoni-
ste di un processo simile sarebbero, soltanto, le radici, come si cercherà di
dimostrare.
È stata la dossografia ad averla ricondotta a Empedocle: i commentatori
antichi, tuttavia, restituiscono ricostruzioni difformi e, a volte, soltanto somma-
rie. Aristotele ritiene che Empedocle avesse concepito l’anima come λόγος τῆς
μίξεως, ossia come una precisa combinazione delle varie parti che compongono
l’ente mortale, un equilibrio delle radici. Essa potrebbe essere, di conseguenza,
assimilata a una ‘forza vitale’, che lega insieme il composto in una forma stabile,
attraverso una ratio tra la separazione, l’unità e la quantità dei ῥιζώματα:
l’anima così intesa sarebbe una causa formale ‘degradata’ erroneamente da
Empedocle allo status di semplice rapporto tra le radici, ossia tra le cause
materiali di ogni ente. Aristotele non aggiunge altro a proposito del destino a
cui andrebbe incontro la ψυχή dopo la morte del composto alla cui esistenza
contribuiva.26 Aezio, invece, afferma che Empedocle aveva assimilato l’anima
alla mente umana: il suo compito sarebbe quello di garantire le facoltà cono-
scitive. Anche Aezio non dice nulla sulla eventuale sopravvivenza alla morte
dell’ente contingente.27 Altri autori, quelli che tramandano i frammenti solita-
mente ascritti al poema Purificazioni, contestualizzano i versi riconducendoli

26 Cfr. De an. I 4.408a13 sgg. = DK31A78.


27 Cfr. DK31A96–98.
274 Federico Casella

alla teoria della trasmigrazione dell’anima – un’entità immortale – per una


colpa commessa.28
I tentativi di interpretare la natura dell’anima e dei cicli di incarnazioni sono
stati numerosi, e hanno spesso cercato una conciliazione con i frammenti di
argomento fisico.29 È possibile provare ad accettare tutto quanto afferma la
dossografia, e ipotizzare il fatto che gli interpreti antichi avessero posto la loro
attenzione soltanto su una particolare sezione dei poemi, di cui probabilmente
non disponevano o l’originale o un contesto più ampio, e che avessero com-
mentato o riassunto alcuni versi alla luce della loro formazione filosofica,
individuando come anima entità, per Empedocle, diverse e da lui connotate,
appunto, con termini differenti.
La testimonianza di Aristotele può essersi originata a partire da alcuni versi
in cui compariva il termine ψυχή: nei frammenti rimasti, esso viene utilizzato
soltanto in un caso, in cui assume chiaramente la valenza di ‘vita’, ‘forza vitale’
(fr. 138 – χαλκῷ ἀπὸ ψυχὴν ἀρύσας – nel caso il frammento sia autentico). La
ricostruzione di Aristotele di cui si è detto può essere degna di fede: semplice-
mente, egli potrebbe aver focalizzato l’attenzione su quelle parti dei poemi in cui
compariva la parola ψυχή, la quale veniva usata, nell’originale, in una partico-
lare accezione. Con questo termine, Empedocle potrebbe aver voluto veicolare
l’idea della necessità, per le radici, di fondersi in una precisa composizione, di
sottostare a un determinato rapporto di mescolanza, di separazione e di unione
affinché il composto a cui davano origine potesse essere considerato uno degli
θνητά, un ente vivo, semovente: ψυχή, anima agli occhi di Aristotele, poteva
essere, per Empedocle, assimilabile al soffio vitale di ascendenza omerica, da
intendere, ovviamente, alla luce delle dottrine fisiche quale ‘prerequisito’ fon-
damentale per discriminare un ente particolare adatto alla vita da uno inadatto,
garante quindi di una funzione fisiologica primaria e di base, ossia il manteni-
mento di una conformazione adeguata.30

28 Tale lettura si è originata a partire dai frr. 115; 117–120; 124–127; 137.1, di cui si fornirà, per
alcuni, il testo greco infra, n. 32. Per la dossografia cfr. DK31A31–32; Hippol. Ref. 7.29; Plut. De
exil. 17.607c; Plot. Enn. 4.8.1; Clem. Strom. 4.12; Porph. Antr. 8.61.19; Porph. ap. Stob. 1.49.60;
Ael. NH 12.7; Orig. Cels. 5.49.
29 A tale concezione è anche connessa la problematica del rapporto di Empedocle con le
tradizioni orfiche e pitagoriche, da cui potrebbe averla derivata. Non è questa la sede per
indagare a fondo la questione: si può affermare che, qualora Empedocle avesse accolto alcune
istanze dalle tradizioni orfiche e/o pitagoriche, in particolar modo quelle di carattere morale ed
‘escatologico’, ne avrebbe offerto una rilettura personale, in modo che potessero essere coerenti
con le sue dottrine fisiche – tutto questo sarà chiarito infra, nel testo.
30 La mancata proporzione nella mescolanza delle radici doveva, infatti, escludere la vita più
complessa dai composti da loro originati: cfr. frr. 57; 62.7–8. Per un’analisi più dettagliata delle
Escatologia e conoscenza salvifica in Empedocle 275

Diverso è, invece, il caso in cui la dossografia ha ammesso la teoria della


trasmigrazione delle anime: essa compare, soprattutto, nei versi in cui
Empedocle utilizza il termine δαίμων e in testimonianze di autori vicini alle
dottrine platoniche. In queste, δαίμων viene, solitamente, interpretato come
sinonimo di anima, quale ente immortale unito a un composto mortale, il
corpo, rispetto a cui è qualitativamente differente ed entro cui può esercitare
le sue funzioni, prima di separarsene alla morte di quest’ultimo. In Empedocle
tutto questo sarebbe, però, assolutamente incompatibile con la teoria delle
quattro radici e dei cicli cosmici, in quanto i ῥιζώματα compongono ogni cosa
e, quindi, anche la presunta anima immortale, la quale sarebbe destinata a
scindersi ogni volta che viene meno il corpo in cui risiederebbe. La teoria della
trasmigrazione che, a una prima lettura, emerge dai frammenti può essere intesa
in questo modo: sembra essere prevista, accanto al ciclo fisico della distruzione
dello sfero, della crescente separazione delle radici e della loro riunificazione
graduale, un ciclo del δαίμων, per cui da un’appartenenza alla comunità dei
beati si ha un’espulsione a causa di una colpa – uccidere – una serie di
incarnazioni e un eventuale ritorno alla precedente comunione.
La natura di questo ciclo e le ragioni della sua esistenza sono descritte nel
fr. 115.1–7:

è un oracolo di Necessità, un antico decreto degli dèi, / valevole per sempre, sigillato da
ampi giuramenti: / ogniqualvolta qualcuno <degli dèi> macchi per sua colpa, durante la
fuga, di sangue le sue membra / […] / in qualità di δαίμονες che hanno ottenuto una vita
durevole / erri lontano dai beati per tre volte diecimila stagioni / crescendo nel tempo in
ogni possibile forma mortale.31

critiche aristoteliche si rinvia a Giannantoni (1998) 361–412. La concezione dell’‘anima’, ψυχή,


quale funzione fisiologica del corpo e quale risultato di un’aggregazione degli elementi che
formano il cosmo, alla stregua di ogni altra cosa, sarebbe presente anche in Eraclito, secondo
cui la ψυχή si origina a partire dall’umido, è al pieno delle funzioni quando è in un giusto
rapporto con il calore e viene ‘riassorbita’ nel ciclo che coinvolgerebbe tutti gli elementi: per
una analisi approfondita di quest’ultima concezione si rinvia a Fronterotta (2013) 231–276 e alla
bibliografia ivi citata.
31 Il testo greco afferma: ἔστιν Ἀνάγκης χρῆμα, θεῶν ψήφισμα παλαιόν, / ἀίδιον, πλατέεσσι
κατεσφρηγισμένον ὅρκοις· / εὖτε τις ἀμπλακίῃσι φόβῳ φίλα γυῖα μιήνῃ, / […] / δαίμονες οἵτε
μακραίωνος λελάχασι βίοιο, / τρίς μιν μυρίας ὧρας ἀπὸ μακάρων ἀλάλησθαι, / φυόμενον παντοῖα
διὰ χρόνου εἴδεα θνητῶν. Ho deliberatamente omesso di riportare il v. 4 in quanto una parte del
testo è incerta, e alcuni studiosi hanno addirittura ipotizzato si tratti di un’interpolazione: per
una rassegna delle opinioni, tra cui quelle contrarie all’autenticità, e per una proposta di
ricostruzione si rinvia a Rashed (2008) 10–18, 32, da cui mutuo l’edizione del testo greco per i
soli versi citati. Per una recente difesa dell’autenticità del v. 4 cfr. Meulder (2016) 33–67.
276 Federico Casella

Il τις di cui parla Empedocle, il quale si è macchiato di una colpa grave,


potrebbe essere uno degli θεοί che ha siglato – e, in questo caso, violato – il
decreto che impone di astenersi da omicidi e da violenze: a causa di ciò, tale
entità viene, allora, ‘degradata’ a δαίμων, ossia allontanata dalla felicità di cui
godeva – si è, ora, “lontano dai beati” (ἀπὸ μακάρων) – perché costretta ad
assumere, nel corso del tempo, la forma di vari enti mortali (εἴδεα θνητῶν). Il
termine δαίμων non sarebbe usato come sinonimo di ψυχή, ma per connotare un
ordine di entità superiore agli θνητά, in cui è vincolato, e inferiore agli θεοί,
proprio perché ‘inserito’ all’interno dei primi: come si è già accennato, gli dèi
sono soprattutto le quattro radici, le quali – o, meglio, le cui particelle – si
trovano, mentre Empedocle ‘parla’, a essere scacciate dalla condizione, felice, di
unità nello sfero. Δαίμονες potrebbe, allora, alludere ai ῥιζώματα: si dovrebbe
rileggere, alla luce di tutto questo, la teoria della trasmigrazione attribuita a
Empedocle con il continuo combinarsi delle particelle delle radici in enti mor-
tali, quali protagoniste di quello che, posteriormente, è stato considerato il ciclo
delle reincarnazioni delle anime. I δαίμονες di cui si legge nel fr. 115 sarebbero le
particelle delle radici costrette a mutare forma – quella di piante, animali,
uomini – analogamente a quanto affermato in altri frammenti che si è soliti
ricondurre al poema Purificazioni: in essi, Empedocle descriverebbe, conside-
randoli come un’analisi differente sul medesimo soggetto, le ricombinazioni
fisiche dei ῥιζώματα, i quali vengono convogliati in una precisa conformazione
tutte le volte in cui viene meno l’integrità dell’ente mortale da loro precedente-
mente originato, come nei frr. 126, 127, 137 e, infine, nel fr. 117, dove Empedocle
stesso starebbe rievocando i precedenti aspetti che le sue radici avevano
assunto.32
Le radici danno origine agli enti mortali perché lo sfero è stato disintegrato a
opera di Contesa: l’unità che le caratterizzava è stata, cioè, sostituita dalla
progressiva differenziazione che introduce, costantemente, Νεῖκος, la quale
influisce sui δαίμονες – sui ῥιζώματα – strappandoli dall’originario legame di
indifferenziazione e separandoli così da dare luogo, in congiunzione con la
stretta, man mano più debole, che ancora esercita Amicizia, a enti particolari

32 Nel fr. 126 si dice che i δαίμονες–radici si rivestono – assumono la forma – di carne, che per
loro è non familiare (σαρκῶν ἀλλογνῶτι περιστέλλουσα χιτῶνι); nel fr. 127, leoni e piante di
alloro sono annoverati quali aspetti che un uomo può vestire dopo la morte, ossia, per la lettura
adottata, che le radici che lo formano possono prendere; nel fr. 137.1 si evoca il quadro di un
sacrificio, dove l’officiante immola la vittima ignaro che, un tempo, quella era suo figlio – o,
meglio, erano le particelle di radici che componevano suo figlio – che ha – che hanno –
semplicemente mutato forma (μορφὴν δ’ ἀλλάξαντα πατὴρ φίλον υἱὸν ἀείρας); nel fr. 117,
Empedocle dichiara che, in precedenza, fu un fanciullo, una fanciulla, un arbusto, un uccello,
un pesce.
Escatologia e conoscenza salvifica in Empedocle 277

e molteplici. Contesa introdurrà nel cosmo sempre più disunione, fino a che le
radici formeranno, solamente, le quattro masse assolute descritte in precedenza,
la fase dei πλέονοι: lungo tale processo, non è corretto affermare che le parti-
celle di radici sono distrutte, si dovrebbe intendere, piuttosto, che formano
combinazioni temporanee. Nel ciclo inverso, che apre al ritorno dello sfero,
Amicizia interviene sulle radici totalmente scisse, limitando su di loro, gradata-
mente, l’influsso di Contesa. Anche in questo caso le particelle dei ῥιζώματα
non vengono mai meno e originano enti mortali prima che venga restaurato lo
sfero – per questo motivo si dice che i δαίμονες hanno ottenuto una vita
durevole (μακραίωνος λελάχασι βίοιο), perché permangono nello stato di molti-
plicazione e di vincolo in enti mortali per tre delle quattro fasi cosmiche. Dal
momento in cui lo σφαῖρος è stato distrutto, quindi, le radici, i δαίμονες un
tempo θεοί, sono in balia delle due forze, che le costringono ad assumere,
costantemente, forme diverse, ossia a vivere infelicemente.33
Empedocle avrebbe, allora, descritto da un punto di vista antropologico,
nelle Purificazioni, le alternanze di stati che aveva illustrato, nel poema Sulla
natura, da un punto di vista fisico, derivando, da tutto ciò, prescrizioni di
carattere morale. Ogni ente nasconde infatti δαίμονες, ossia le radici divine
non più felici: pertanto, esiste una virtuale parentela tra ogni θνητά, la quale
impone di astenersi da omicidi e da violenze, comportamenti che incatenereb-
bero i ῥιζώματα, così come avvenne agli inizi del ciclo, ulteriormente nei
processi di cui si è detto.34

33 Empedocle sottolinea, nel fr. 115, che Contesa gioca un ruolo primario nell’incatenamento
dei δαίμονες nel ciclo di trasformazioni (al v. 14, egli dice che non è più beato per aver confidato
in Contesa – νείκεϊ μαινομένῳ πίσυνος), poiché, si può intendere, essa è la forza che distrugge
lo sfero e che dà inizio alle fasi cosmiche. Se vale il principio di specularità di cui si è detto,
Amicizia consente, allora, alle radici di uscirne: in effetti, la sua fase segna il ritorno, graduale,
dello sfero, ma la sua influenza potrebbe permettere, ad alcuni δαίμονες, di svincolarsi ‘pre-
maturamente’ dalle ricombinazioni che avvengono nel periodo di predominio di Contesa, come
si cercherà di dimostrare.
34 L’ipotesi per cui il ciclo di reincarnazioni dei δαίμονες andrebbe inteso come quello di
ricombinazioni fisiche di cui sono protagoniste solamente le radici, vincolate in esso per la
violazione dell’integrità di altri enti – tra cui quella, originaria, dello sfero – è stata suggerita da
Primavesi (2008) 259–268. A conferma di ciò, si può considerare che il termine δαίμων compare
anche nel fr. 59.1, generalmente attribuito al poema Sulla natura, dove sembra rinviare proprio
alle radici (αὐτὰρ ἐπεὶ κατὰ μεῖζον ἐμίσγετο δαίμονι δαίμων), come sottolineato da Primavesi
(2008) 260–261. L’esistenza di un duplice livello, fisico e antropologico, del ciclo descritto da
Empedocle è stata sostenuta da Primavesi (2007) 49–89 – riprendendo e sviluppando alcune
considerazioni avanzate da Martin–Primavesi (1999) 90–97, a commento del Papiro di
Strasburgo – le cui osservazioni si integrano infra, nel testo, con il riferimento anche a
278 Federico Casella

Quando Amicizia o Contesa iniziano a prevalere, dunque quando influi-


scono fisicamente e moralmente sugli θνητά, per Empedocle è esattamente
come se le radici ‘scegliessero’ di sottostare a ciò che una delle due forze
impone. La colpa di cui si dice nel fr. 115, pertanto, sarebbe da leggere, in
ultimo, dal punto di vista dei ῥιζώματα divini, i quali hanno lasciato che Contesa
li penetrasse, permettendo la violazione e l’‘uccisione’ dell’unità dello sfero e
dando avvio alla primitiva separazione, che li allontana inesorabilmente dalla
felicità che un tempo li caratterizzava (ἀπὸ μακάρων): questo sarebbe il loro
‘peccato originale’, che li getterebbe nel ciclo di ricombinazioni, laddove ciò che
li incatena ulteriormente è l’uccisione, da parte della forma mortale che hanno
assunto, di altri enti contingenti, azione che sarebbe una sorta di riproposizione,
in piccolo, dell’abbattimento dello sfero. L’espressione “macchiarsi di sangue”
del fr. 115.3 dovrebbe indicare allora, semplicemente, la distruzione di qualcosa
e assumere, così, una valenza paradigmatica a livello sia macrocosmico sia
microcosmico: Empedocle illustra, nello stesso tempo, la ragione per cui esi-
stono i cicli di ricombinazioni e quella per cui non è possibile uscirne.
Il fr. 115 starebbe descrivendo, prima di tutto, la morte dello sfero: per
questo motivo si parla di “macchiarsi le membra”, perché la dissoluzione dello
σφαῖρος coincide immediatamente con la nascita di enti particolari, e dunque
non si può non parlare che nei termini di molteplicità, da qui i γυῖα imbrattati di
sangue – la nascita delle membra dallo sfero coincide con il suo omicidio – e il
plurale ἀπὸ μακάρων – le radici, ora in possesso delle loro singole identità, poco
prima di essere gettate nel ciclo. Ciò è avvenuto “durante la fuga” (φόβῳ), ossia,
si può intendere, durante la separazione delle radici l’una dall’altra.35 Questa
descrizione è anche, contemporaneamente, il pretesto per mostrare l’esistenza di
una legge che si estende eternamente nel tempo (παλαιόν, ἀίδιον), che si
applica, pertanto, non solo nell’istante in cui lo σφαῖρος è annientato, ma
anche lungo tutte le fasi cosmiche: replicare tale azione distruttiva tra enti
contingenti – ossia, tra divinità relegate in enti contingenti (resta valevole, per
questo, il soggetto τις θεῶν) – vincola ulteriormente nel ciclo.36

Esiodo per la valenza del termine δαίμων, in aggiunta ai poemi omerici come suggerisce
Primavesi.
35 Per l’adozione, nel fr. 115.3, della lezione φόβῳ in luogo di φόνῳ e per il significato di ‘fuga
davanti al pericolo’ si rinvia a Picot (2007) 41–56, espressione che ho interpretato come
un’allusione all’allontanamento e alla separazione delle radici l’una dall’altra di fronte all’in-
combere di Contesa, ossia nel momento della distruzione dello sfero.
36 Integro con le osservazioni riportate supra, nel testo, la lettura di Primavesi (2008) 261–263,
per cui il fr. 115 starebbe descrivendo, sebbene con una terminologia diversa rispetto al poema
fisico, soprattutto la dissoluzione dello sfero e la dispersione delle radici, prima localizzate in
esso, nei vari enti mortali. Alla luce di quanto detto, accolgo anche le osservazioni avanzate da
Escatologia e conoscenza salvifica in Empedocle 279

La particolare accezione del termine δαίμων potrebbe essere stata derivata


non solo dai poemi omerici, in cui il termine spesso designa una divinità la cui
natura non è meglio riconoscibile, ma anche da Esiodo: ne Le opere e i giorni,
egli descrive un preciso ordine di entità, che sono immortali, parte attiva del
regno di Zeus, superiori agli uomini – sulla cui vita hanno un ascendente – ma
inferiori agli dèi per condizione, dato che sono al loro servizio quali strumenti
della giustizia retributiva divina – sono costretti, pur essendo ἀθάνατοι, a non
vivere in compagnia di Zeus presso l’Olimpo, bensì sulla terra (ἐπιχθόνιοι), tra
gli uomini.37 Per questo motivo, allora, Empedocle avrebbe optato per il termine
δαίμων: esso poteva connotare, puntualmente, le particelle di radici gettate nel
ciclo di ricombinazioni, dato che, in questo stato, non cessano di esistere del
tutto, resistono al venir meno della forma contingente che hanno assunto, ma
non possono essere più considerate pienamente divine – non godono, infatti,
della beatitudine che le permeava nel momento in cui erano compenetrate nello
sfero, essendo costrette, quali enti che, appunto, sopravvivono alla dissoluzione
del mortale in cui erano relegati, a dare origine a un altro degli θνητά.38

Osborne (1987) 24–50, secondo cui espressioni che rinviano alla ‘libertà’ di scelta non andreb-
bero intese metaforicamente, ma alla lettera: l’inevitabile influenza di Contesa e la sua neces-
saria e ricorrente distruzione dello sfero sono una colpa di cui le radici si sono macchiate, e che
devono, pertanto, scontare.
37 Cfr. Hes. Op. 121–126, 247–255. Per il rapporto tra Esiodo ed Empedocle su varie tematiche
cfr., ad esempio, Hershbell (1970) 145–161. È opportuno sottolineare che ciò che contraddistin-
gue la sfera divina non è soltanto la quantità – da un punto di vista temporale – della vita, ma
anche la sua qualità: essere dèi significa godere, primariamente, di una condizione superiore.
Per questo motivo, divini sono i ῥιζώματα, Amicizia – di cui si dice anche che esistono
eternamente – accanto allo sfero e agli dèi “dalla lunga vita” di cui si parla in alcuni frammenti
e di cui si dirà in seguito – temporalmente circoscritti, ma nondimeno divini – come osservato
da Rangos (2012) 315–338, in part. 316–326, 332–334.
38 Come sottolinea Primavesi (2007) 65–67, le radici sono chiamate dèi – con i nomi di quelli
tradizionali, olimpici – soprattutto nel momento in cui sarebbero scisse nelle quattro masse
‘assolute’ (alluderebbe a questo il fr. 6): del resto, in questa fase non sono costrette a dare
origine ai vari θνητά. La loro vita nel momento dello sfero è, però, migliore e perfetta, come si è
visto: in questo stato, possono, comunque, essere considerate divine, ma non possono essere
chiamate, ciascuna, con lo stesso nome degli dèi tradizionali per il semplice fatto che non
sussistono indipendentemente l’una dall’altra, poiché fuse e private delle loro caratteristiche
distintive, dell’‘identità’. Trépanier (2013) 172–210, tesi ripresa con ulteriori dettagli in Trépanier
(2017) 139–147, associa il δαίμων del fr. 59 alle “membra” (γυῖα), quale parte ‘essenziale’ di ogni
ente mortale, e il δαίμων delle reincarnazioni a un’entità superiore alle membra – in quanto la
mescolanza delle radici le permette di rimanere, in qualche modo, inalterata nel corso delle
ricombinazioni – ma comunque troppo contaminata da Contesa per uscire del tutto dal ciclo in
cui è gettata. Pur sostituendo l’identificazione del δαίμων da lui proposta con quella fornita
supra, nel testo, ritengo suggestive le sue osservazioni, in particolar modo quella per cui la
φρήν è, tra le membra, la più vicina allo sfero per caratteristiche, la quale, di conseguenza,
280 Federico Casella

I dossografi di ‘formazione’ platonica, dunque, avrebbero interpretato alla


luce delle loro concezioni alcuni passi, estrapolati dal più ampio contesto del
poema, che si prestavano a essere ricondotti alla teoria della trasmigrazione
dell’anima, per loro ormai consolidata e ben definita, non avendo maggior
elementi per comprendere l’accezione con cui il termine δαίμων veniva impie-
gato da Empedocle.
Il cosiddetto ciclo del δαίμων non era una semplice lettura ‘metaforica’ di
quello fisico, ma, piuttosto, un altro punto di vista, un’altra angolatura, di
carattere morale, dell’analisi sulle stesse vicende del cosmo, di cui erano prota-
goniste solamente le radici – come si è già detto più volte, le sole cose a esistere.
I lati fisico e morale, pertanto, dovrebbero essere compenetrati e correlati:
l’elemento di unione potrebbe essere ravvisato nel ruolo della conoscenza e
nella necessità di ottenere la felicità. La descrizione dell’ordine del cosmo che
emerge dai frammenti solitamente ascritti al poema Sulla natura ammanterebbe
la prescrizione di sottostare a certi comportamenti, illustrati poi estesamente nei
versi ricondotti al poema Purificazioni: dire che le radici si uniscono e si sepa-
rano per azione di due forze, di cui una positiva, Amicizia, l’altra negativa,
Contesa, equivarrebbe ad ammettere che si deve favorire Amicizia, quindi per-
seguire ciò che a essa si conforma e che, in ultimo, apre alla felicità – la natura
di Amicizia è, allora, ‘normativa’. Per la morale greca, la εὐδαιμωνία doveva
essere il principale movente per le azioni, il fine a cui tutti tendevano: ciò che
variava era, piuttosto, la sua nozione, come la buona fama presso gli uomini, il
possesso di ricchezze, il potere sugli altri, seguire la giustizia, fare filosofia,
etc.39 Agli occhi di un greco, dire che lo stato di unione indistinta rappresenta il
massimo benessere equivarrebbe ad ammettere che è necessario ottenere questa
condizione, quale scopo principale della vita di ogni uomo: essere parte di
Amicizia e, in ultimo, dello sfero – o assumere la forma, nel periodo di predo-
minio di Contesa, di una mente sacra, come si vedrà meglio in seguito – è,
pertanto, il fine dei δαίμονες, non la loro caratteristica nelle fasi cosmiche.40
Ciascuno dei livelli con cui Empedocle presenta l’ordine del cosmo – le leggi
fisiche di ricombinazione delle radici, il destino del δαίμων in connessione con

potrebbe resistere al ciclo di incarnazioni/ricombinazioni: sviluppo e integro tutto questo con


l’identificazione δαίμων–radici e con il ruolo della conoscenza di cui si dirà nel parag. 3.
39 Come sottolineato, ad esempio, da Vegetti (20102) 13–35.
40 Per questo motivo, si respinge l’ipotesi avanzata, ad esempio, da Cornford (1912) 328–336, e
da Kahn (1971) 3–38, secondo cui il termine δαίμων si riferisce non alla condizione, attualmente
inferiore, delle radici un tempo pienamente divine, bensì a un’entità che è esclusivamente parte
di Φιλία, e la tesi per cui il δαίμων che Empedocle descrive sarebbe una ‘contrazione’ della mente
divina negli uomini – di cui si parlerà infra, parag. 3 – proposta da Darcus (1977) 175–190.
Escatologia e conoscenza salvifica in Empedocle 281

le azioni della forma mortale in cui è vincolato – può essere, certamente, letto
separatamente, in quanto, per come sono strutturati, i due livelli possono
sussistere indipendentemente, senza che, per comprendere le Purificazioni, sia
assolutamente necessario avere presente il contenuto del poema Sulla natura, o
viceversa: tuttavia, se letti congiuntamente, i due poemi restituirebbero, con
maggiore forza, il messaggio che Empedocle potrebbe aver voluto veicolare nelle
Purificazioni, ossia porre un freno alle violenze e sperare, non vanamente, nella
felicità. Tale messaggio sarebbe stato recepito, in tutta la sua forza e la sua
verità, dagli uomini saggi in grado di padroneggiare le stesse conoscenze di cui
è entrato in possesso Empedocle, rivelate nei poemi. I frammenti attribuiti alle
Purificazioni dovevano illustrare le modalità con cui era possibile essere felici,
stato che, per chi avesse letto lo scritto Sulla natura, si identificava con il
recupero di un tipo di esistenza simile a quella nello sfero: agli occhi di quei,
pochi, individui che erano in grado di comprendere il contenuto di entrambi i
poemi, risultava chiaro che dietro al termine δαίμονες si celava il rimando allo
stato delle radici attuale, da superare per tramite – come si preciserà – di
Amicizia. Chi, invece, non avesse letto anche il poema Sulla natura, avrebbe
compreso, dalla lettura o dall’ascolto solo di alcuni passi delle Purificazioni, che
ogni cosa nasconde un δαίμων, a cui deve essere garantito il recupero della
condizione divina rifuggendo dalla violenza: l’esortazione di Empedocle –
ricomporre i rapporti tra enti mortali – non sarebbe stata, così, in alcun modo
alterata dal tipo di pubblico che fruiva del secondo poema.41
Le radici sarebbero, di conseguenza, le protagoniste del medesimo ciclo
descritto da due punti di vista, attraverso cui, se considerati insieme, si illustra
la necessità di recuperare la condizione perfetta: i δαίμονες non sarebbero un
altro genere di entità, bensì le radici, infuse poi, ulteriormente, da Amicizia o da
Contesa, a seconda dei comportamenti e delle conoscenze che segue l’ente

41 In un’osservazione di Gemelli Marciano (2001) 205–235, si respinge la possibilità di leggere


congiuntamente i frammenti fisici – tra cui il fr. 59 di cui si è detto supra, n. 34 – con quelli di
carattere demonologico delle Purificazioni, sollevando, giustamente, il pericolo di sottostare “a
un metodo di comparazione meccanica di contesti diversi, di ricerca di parallelismi ad ogni
costo e di razionalizzazione forzata di un testo che per sua natura è ambiguo, vario, flessibile e
non sistematico”, rinviando alla necessità di stabilire, piuttosto, un criterio per affrontare il
testo, in certi punti particolarmente oscuro, di Empedocle: si è dunque proposto, per legittimare
la lettura congiunta dei due livelli, il nesso descrizione–prescrizione di cui si è detto. Empedocle
non avrebbe obbligato a considerare insieme i due poemi per comprendere le tesi sostenute in
ciascuno: averli presenti entrambi consentirebbe, però, di disporre di una conoscenza supe-
riore, in grado di rendere conto interamente dell’ordine del cosmo e, quindi, di ‘salvare’ con
maggior facilità – in quanto la preferibilità di seguire Amicizia sarebbe, così, lampante – quegli
uomini che possono padroneggiarla.
282 Federico Casella

mortale a cui danno forma.42 È la conoscenza che sembra rivestire un ruolo


centrale per questo scopo.43

3 La mente umana e il ruolo salvifico della


conoscenza
Le facoltà conoscitive di cui dispongono i viventi, secondo Empedocle, funzio-
nano per mezzo delle radici stesse: ciascun ῥίζωμα possiederebbe una forma
‘primitiva’ di conoscenza, ossia la possibilità di riconoscere il proprio simile
disperso nel cosmo, verso cui tenderebbe, ‘preferirebbe’ dirigersi per incon-
trarlo.44 Tutti gli enti hanno la possibilità di comprendere e di conoscere ciò
che li circonda, proprio perché sono i ῥιζώματα che li compongono a essere
dotati di questa facoltà: tutte le forme mortali possiedono, così, “conoscenza e
pensiero” (πάντα γὰρ ἴσθι φρόνησιν ἔχειν καὶ νώματος αἶσαν).45 La formula “il
simile conosce il simile” può evidenziare il principio su cui si basa tale conce-
zione46: come afferma Empedocle,

con la terra vediamo la terra, e l’acqua con l’acqua, / con l’aria l’aria divina, e con il fuoco / il
fuoco distruttore, con l’amore l’amore / e contesa con la contesa funesta. (fr. 109)

Stando a quanto detto, sembra che anche l’individuazione di Φιλία e di Νεῖκος si


basi sullo stesso procedimento: si dovrebbe ipotizzare che le due forze siano
‘divisibili’ in parti esattamente come le radici, alcune delle quali presenti

42 Questa lettura va contro l’ipotesi suggerita, ad esempio, da Ruocco (1987) 187–221, per cui i
δαίμονες sono ulteriori entità a parte, formate da una mescolanza delle radici, di Amicizia e di
Contesa.
43 Nelle analisi precedenti non sono entrato nella più ampia questione di stabilire quali e
quante opere Empedocle avesse composto: ho mantenuto l’ipotesi più tradizionale, per cui le
sue opere principali sarebbero state due, conosciute nell’antichità come Sulla natura e
Purificazioni, così da seguire meglio la collocazione dei frammenti nella raccolta Diels–Kranz.
La questione, a mio avviso, non è fondamentale per comprendere appieno il pensiero di
Empedocle: esso sarebbe fortemente unitario sia nel caso in cui avesse composto un solo
poema, sia due distinti.
44 Cfr. fr. 62.6: “il fuoco […] volendo raggiungere il simile” (πῦρ […] θέλον πρὸς ὁμοῖον ἱκέσθαι).
Cfr., anche, fr. 90. Per la primitiva conoscenza di cui dispongono le radici nel loro stato
semplice cfr., ad esempio, Wright (19953) 233–234.
45 Cfr. fr. 110.10. Cfr., anche, frr. 103; 107. Per tutto questo si rinvia a Wright (19953) 260–261.
46 L’espressione è stata coniata da Aristotele (De an. I 2.404b16: γινώσκεσθαι γὰρ τῷ ὁμοίῳ τὸ
ὅμοιον).
Escatologia e conoscenza salvifica in Empedocle 283

all’interno dei mortali e grazie a cui ogni ente può percepire Amicizia o Contesa
all’esterno.
A una prima lettura, dunque, parrebbe non esserci una sostanziale diffe-
renza nel tipo di conoscenza di cui sono in possesso i vari enti, immortali e
contingenti: i primi, le radici, percepiscono i loro corrispettivi separati e dispersi
nel cosmo, meccanismo che sarebbe alla base delle facoltà conoscitive di cui
dispongono i secondi. Mancano frammenti più ampi grazie a cui ricomporre, con
maggiori dettagli, le osservazioni di Empedocle in proposito: le informazioni
provengono, soprattutto, dalle testimonianze della dossografia. Fu, in partico-
lare, Teofrasto ad averne riassunto, e criticato, gli assunti: stando a quanto
riportato, Empedocle avrebbe ammesso l’esistenza di numerosi pori sparsi per
tutto il corpo, e in misura maggiore negli organi di senso, per mezzo dei quali è
possibile il contatto tra le parti delle radici che li compongono e tra quelle che
provengono da un oggetto esterno, permettendo, una volta assimilate al loro
interno, di ricostruire le qualità di quest’ultimo – non solo la presenza delle
radici dunque, ma la forma che hanno assunto (colore, divisione in membra,
etc.). Ciò si basa sul fatto che da tutti gli θνητά si emanano, costantemente,
“effluvi” (ἀπορροαί) dei ῥιζώματα – suddivisi in innumerevoli particelle. Non vi
è un’‘uniformità’ tra le percezioni così originate: esse differiscono, da ente a
ente, perché le radici non si mescolano, in ogni θνητά, con le medesime
proporzioni. Di conseguenza, se in un organo di senso prevale, ad esempio, il
fuoco, a essere percepiti saranno, in misura maggiore, effluvi di fuoco a scapito
di quelli di acqua, aria o terra, restituendo una rappresentazione ‘distorta’: per
questo motivo la mescolanza in parti uguali di tutti i ῥιζώματα consente una
percezione più accurata.47 La lettura di Teofrasto potrebbe essere accolta, seb-
bene con dovute cautele, in quanto presenta punti di contatto con alcuni
frammenti: potrebbe, di conseguenza, essere intesa come una ricostruzione
quantomeno plausibile delle teorie di Empedocle.48
La conoscenza tramite i sensi consentirebbe, allora, di percepire alcuni
elementi in più rispetto a quella primitiva in possesso delle radici nel loro
stato semplice o assoluto: attraverso gli occhi, il naso, le orecchie, è possibile
riconoscere le caratteristiche di un altro ente, a seconda di quanto siano

47 Cfr. DK31A86 = De Sensu 1–24. Per ulteriori dettagli forniti dalla dossografia cfr. DK31A87;
90–94. I meccanismi con cui funziona la conoscenza sono stati illustrati, ad esempio, da Long
(1966) 256–276 e da O’Brien (1970) 140–179, il quale ritiene che le particelle lasciano costante-
mente gli organi e fanno, così, posto a quelle che provengono dagli altri enti in modo da
garantirne la percezione.
48 Per il valore della testimonianza di Teofrasto, per le dovute cautele e per i punti più
plausibili si rinvia alle analisi di Sedley (1992) 20–31.
284 Federico Casella

sviluppati gli organi – cioè, a seconda delle proporzioni tra le particelle di radici
che li compongono. Gli θνητά dispongono, pertanto, di una conoscenza più
profonda, sebbene non sia da ritenere la migliore: è la mescolanza in parti
uguali dei ῥιζώματα che può garantirla, come si è accennato prima. Questa
circostanza si verifica solamente quando le radici danno origine a un preciso
organo, specifico degli uomini: la mente, identificata con “il sangue che circola
attorno al cuore” (αἷμα περικάρδιον).
Secondo Empedocle,

la terra si unì con questi in parti quasi del tutto uguali: / con Efesto e con pioggia e con
aria lucente / dopo avere attraccato nei porti perfetti di Cipride, / sia di più sia di meno, / e
da questi si generarono il sangue e le forme di carni differenti. (fr. 98)49

Il sangue ha, cioè, origine da una mescolanza delle radici il più possibile vicina
a un rapporto 1:1. La dossografia pone questa combinazione come quella in
grado di assicurare una conoscenza superiore: tuttavia, come emerge dal fram-
mento appena citato, Empedocle non ritiene che la proporzione sia garantita
ogni volta che il sangue si forma, dato che i rapporti possono, a volte, risultare
sbilanciati (εἴτ’ ὀλίγον μείζων εἴτε πλεόνεσσιν ἐλάσσων). Ciò ha un’eco con
quanto descritto in alcune fonti indirette: per Empedocle, stando a quanto
dicono, il fatto che vi sia una differente capacità di giudizio tra gli uomini è
da motivare sulla base di una non equilibrata mistura nelle radici che formano
la mente o altre parti del corpo preposte alla conoscenza.50 La facoltà connessa
al sangue è il “pensiero” (νοῦς, νόημα), che dovrebbe essere, pertanto, una
forma di sapere riscontrabile principalmente negli uomini:

è nutrito nei getti di sangue che gli sgorga incontro / e sopratutto in esso si trova ciò che
dagli uomini è detto pensiero: / infatti, il sangue che circola attorno al cuore è, per gli
uomini, il pensiero. (fr. 105)51

Esclusiva degli uomini non è tanto la conoscenza, quanto la possibilità di


scorgere, proprio grazie al sangue del cuore, l’ordine più profondo del cosmo.
Nei frammenti, si dice che la sensazione garantisce la consapevolezza dell’esi-
stenza degli θνητά, delle loro caratteristiche e, se opportunamente indirizzata,

49 Il testo greco afferma: ἡ δὲ χθὼν τούτοισιν ἴση συνέκυρσε μάλιστα, / Ἡφαίστῳ τ’ ὄμβρῳ τε
καὶ αἰθέρι παμφανόωντι, / Κύπριδος ὁρμισθεῖσα τελείοις ἐν λιμένεσσιν, / εἴτ’ ὀλίγον μείζων εἴτε
πλεόνεσσιν ἐλάσσων· / ἐκ τῶν αἷμα τε γέντο καὶ ἄλλης εἴδεα σαρκός.
50 Cfr. DK31A90–94.
51 In greco: αἵματος ἐν πελάγεσσι τεθραμμένη ἀντιθορόντος, / τῇ τε νόημα μάλιστα κικλήσκεται
ἀνθρώποισιν· / αἷμα γὰρ ἀνθρώποις περικάρδιόν ἐστι νόημα.
Escatologia e conoscenza salvifica in Empedocle 285

anche della presenza delle radici52: tuttavia, non è possibile cogliere Amicizia e
la sua azione riunificatrice basandosi solamente sulla vista, né percepire col
tatto o con gli occhi la dimensione divina in quanto, per tutto questo, è
necessario il νοῦς.53 La sede del pensiero viene anche chiamata “mente”
(φρήν), recuperando e sviluppando, così, la concezione per cui le facoltà –
con una terminologia non empedoclea – ‘cognitive’ sono localizzabili nel petto
(φρήν, appunto).54 La superiorità della conoscenza di cui possono disporre gli
uomini va ravvisata nel fatto che, essendo presenti all’interno del sangue tutti
gli elementi in misura proporzionata, si ottiene una più ampia ‘copertura’, che
permette di percepire non solo ogni altro ente, ma anche le forze che agiscono
su di esso e in aggiunta, come si preciserà meglio, determinate prescrizioni che
derivano dalla descrizione di queste forze del cosmo.
È possibile isolare un’ulteriore caratteristica del processo che porta allo
sviluppo di conoscenze: esso può essere inteso come, letteralmente, un “accu-
mulo” (αὔξις) di nozioni, ossia una stratificazione delle particelle delle radici
accolte all’interno dell’organo di senso, o della mente, provenienti da un ente
esterno, oggetto di conoscenza e fonte degli effluvi. Esse sarebbero, così, imma-
gazzinate all’interno dei vari θνητά: in questo modo, nel caso del sangue
umano, la proporzione 1:1 delle radici può essere gradatamente – ossia, conti-
nuando ad apprendere – raggiunta, dato che la mescolanza non rispetta sempre,
in partenza, la perfetta combinazione dei vari ῥιζώματα.55
Ciò che gli uomini possono acquisire ha, poi, risvolti ‘pratici’:

quanti sono i rimedi per i malanni e un aiuto contro la vecchiaia / imparerai, poiché per te
solo io compierò tutto questo. / Placherai la forza dei venti infaticabili che per la terra /
soffiando distruggono i campi con le loro folate; / e ancora, se lo vorrai, provocherai soffi
benefici; / porterai siccità dopo la pioggia nera / agli uomini, porterai anche dopo l’estate
secca / rovesci che nutrono gli alberi, † […] † / e condurrai dall’Ade la forza di un uomo
morto. (fr. 111)

Empedocle dice che Pausania, il destinatario principale del discorso Sulla


natura, non sarà soltanto, una volta compresi i contenuti del poema fisico, in

52 Cfr. frr. 2; 3 (seguo la ricostruzione del frammento offerta da Wright 19953, 95, 160–163); 20.1;
21.1.
53 Cfr. fr. 17.21; 133.
54 Per l’impiego del termine φρήν, e di altri nomi che rinviano a parti del petto, col valore di
mente cfr. frr. 4.3; 5; 15.1; 110.1; 129.2, 4; 132.1; 133.3. Sull’origine, incerta, della parola e sulle
oscillazioni di significato cfr., ad esempio, Darcus (1988) 21–36.
55 Cfr. fr. 110. Cfr., anche, fr. 17.14. L’idea che le nozioni si facciano largo, spazialmente, nel
corpo emerge anche dal fr. 133.2–3. Per l’osservazione sul termine αὔξειν e l’interpretazione
appena fornita si rinvia alle analisi più dettagliate offerte da Darcus (1985) 119–136.
286 Federico Casella

grado di offrire guarigioni ai malati, ma anche di influire direttamente sugli


eventi naturali, modificando l’intensità dei venti o delle piogge o, addirittura,
compiendo atti di negromanzia: egli potrà, pertanto, giovare agli uomini. Tali
conoscenze sono alcune delle attività che possono essere ascritte a uomini di cui
Empedocle parla in un altro frammento, ricondotto al poema Purificazioni,
considerabili i più autorevoli e i migliori, ossia “veggenti e poeti e medici / e
capi per gli uomini che dimorano presso la terra” (fr. 146). Costoro possono,
potenzialmente, ascendere a un più alto rango, poiché si dice che da essi
“germogliano dèi” (ἀναβλαστοῦσι θεοί): gli ammaestramenti dei poemi Sulla
natura e Purificazioni sembrano allora essere funzionali a rendere Pausania, e
chiunque voglia accoglierli, non soltanto un individuo eccezionale, ma addirit-
tura un dio. La conoscenza che gli uomini possono raggiungere permetterebbe
loro, cioè, di ‘trasfigurarsi’.56
Gli uomini non sono solamente in grado di comprendere il lato fisico del
cosmo, ma anche prescrizioni di carattere morale. Nei frammenti solitamente
ascritti al poema Purificazioni, Empedocle ribadisce a più riprese la necessità di
non uccidere, di non cibarsi di carne o di immolare vittime in sacrificio: l’omi-
cidio, in tutte le sue forme, è frutto dell’ignoranza – come si è detto in prece-
denza, inoltre, è un’azione a cui spinge Contesa, laddove Amicizia ispira
benevolenza e rispetto.57
Infine, Empedocle dichiara che chi possiede la conoscenza della sfera divina
potrà godere della felicità (sarà ὄλβιος): al contrario, chi permane nell’ignoranza
è destinato a rimanere “meschino” (δειλός). Come si afferma nel fr. 132,

beato chi ha ottenuto abbondanza di diaframmi divini / meschino chi coltiva un’opinione
oscura sugli dèi.58

56 Secondo Kingsley (1995) 217–232, quanto descritto nel fr. 111 sono attività spesso attribuite
agli dèi o a uomini in profondo contatto con la dimensione divina (sfuggire alla vecchiaia,
alterare le condizioni atmosferiche a proprio piacimento, riportare in vita chi è dato per morto,
etc.): in questo modo, Empedocle sottolinea che il destinatario del poema sarebbe, una volta
letta l’opera, in grado di acquisire capacità divine – potrebbe, appunto, già considerarsi un dio,
esattamente come Empedocle rivendica nei frr. 112, 113 attribuiti alle Purificazioni. Questo può
essere, allora, letto in consonanza con il fatto che dai più sapienti degli uomini si originano dèi,
come si dirà.
57 Nel fr. 136, Empedocle esorta a non uccidere in questi termini: “non cesserete dalla strage
terribile? Non vedete / che vi state divorando l’un l’altro per via del pensiero indolente?” (οὐ
παύσεσθε φόνοιο δυσηχέος; οὐκ ἐσορᾶτε / ἀλλήλους δάπτοντες ἀκηδείῃσι νόοιο;). Nel fr. 137.2,
chiama “grande stolto” (μέγα νήπιος) chi si accinge a sacrificare un animale.
58 In greco: ὄλβιος, ὃς θείων πραπίδων ἐκτήσατο πλοῦτον, / δειλὸς δ’, ᾧ σκοτόεσσα θεῶν πέρι
δόξα μέμηλεν.
Escatologia e conoscenza salvifica in Empedocle 287

L’importanza di questo tipo di sapere è dovuta al fatto che esso rivela sia la
condizione attuale degli dèi decaduti – delle radici – sia la positività della dea
Amicizia sia le caratteristiche della φρὴν ἱερή divina, di cui si dirà. Comprendere
ciò pone di fronte, immediatamente, la necessità di conformarsi ai dettami di
Amicizia, l’obbligo di rispettare gli altri enti contingenti che celano, al loro
interno, divinità, e la possibilità di ascendere a una più alta condizione, la
quale apre alla felicità: conoscere la vera natura divina rinvia, cioè, all’accetta-
zione della parentela tra enti contingenti e a tutti i suoi corollari. Per appren-
derla appieno, bisogna entrare in possesso delle informazioni rivelate sia nel
poema fisico, dove si descrive la natura delle radici, di Amicizia, dello sfero, sia
nelle Purificazioni, dove si illustrano i risvolti etici di questi assunti: accanto a
ciò, sono offerte anche tutte quelle nozioni che concedono vantaggi ‘pratici’, di
cui si è detto a proposito del fr. 111. Gli uomini che ricevono e padroneggiano
questi ultimi contenuti, come si è visto, diventano veggenti, poeti, medici, capi, i
quali vanno, di conseguenza, considerati come dotati anche della perfetta
conoscenza sugli dèi: solo costoro, pertanto, dispongono di tutti quei mezzi
che permettono di trasfigurarsi in divinità.59 Empedocle sembra connettere la
conoscenza alla felicità e a una garanzia di diventare divini: sarebbe, pertanto,
la mente umana e la sua facoltà, il pensiero, a garantire il raggiungimento di
questa condizione superiore.
È possibile, a questo punto, trarre una serie di osservazioni da quanto detto.
Le radici concedono un livello di comprensione maggiore della struttura del
cosmo nel momento in cui danno luogo al sangue che circola attorno al cuore
degli uomini. L’azione che vincola i δαίμονες – ossia, per chi ha letto anche il
poema Sulla natura, le particelle delle radici – a una permanenza nella serie di
ricombinazioni è quella di uccidere, presentata come conforme ai dettami di
Νεῖκος (fr. 115.14), oltre che come il frutto della mancata conoscenza dell’ordine,
fisico e morale, del cosmo. È il νοῦς la facoltà che può mostrare agli uomini la
necessità di rifuggire da questo comportamento: esso è in grado di rivelare la
legge che è meglio seguire, quella ispirata da Φιλία, la quale impone, una volta
che si sia, appunto, appreso l’ordine del cosmo, di considerare tutti gli altri
θνητά inviolabili.60 Secondo i meccanismi con cui funzionano i processi

59 Come rileva Balaudé (2010) 105–121, gli argomenti di stampo fisico, più che il ciclo del
δαίμων, sono essenziali per fondare e per comprendere “la parenté du vivant” – e, con essa, la
prescrizione di non uccidere – illustrata nelle Purificazioni. Le rappresentazioni tradizionali del
divino – come emergono dai poemi omerici e da Esiodo – coinciderebbero con l’opinione oscura
sugli dèi di cui si dice nel fr. 132: da qui la preferibilità del solo discorso di Empedocle sulla
natura divina, come rileva Bollack (2003) 93.
60 In quanto ogni ente non è altro che il risultato delle combinazioni delle radici, divinità che
stanno scontando una ‘colpa’. Per la legge cfr. fr. 135: “ma la legge che regola tutti attraverso
288 Federico Casella

conoscitivi, comprendere la natura di Amicizia – comportarsi in maniera con-


forme a essa è l’esito di tale conoscenza – significherebbe accogliere all’interno
dell’unico organo in grado di scorgerla parti di questa forza, le quali si accu-
mulerebbero tra le particelle di radici della φρήν: la mente umana, di conse-
guenza, sarebbe pervasa dall’azione riunificatrice di Φιλία, che renderebbe le
radici di cui è composta saldamente unite tra di loro.61 Conformarsi ad Amicizia
equivarrebbe a rifuggire da quei comportamenti che si piegano alle spinte di
Νεῖκος, dunque a escludere la sua presenza dentro il mortale e a sottrarsi alla
sua azione disgregatrice – seguire Contesa equivale a essere ignoranti, perché
solo chi non conosce la vera natura del cosmo persevera in azioni violente, non
essendo in grado, cioè, di comprendere la preferibilità della condotta ispirata a
Φιλία.
Il sangue si origina da una mescolanza di ῥιζώματα vicina a un perfetto
equilibrio: se a ciò si aggiunge la presenza di Amicizia si avrebbe una ripropo-
sizione, in ‘piccolo’, di una condizione molto simile a quella di cui le radici
godevano nello sfero, ossia una perdita di differenziazione – non vi è un ῥίζωμα
che prevale sugli altri – e la totale compenetrazione l’una nell’altra per via del
dominio della sola Φιλία. Lo sfero è inteso, da Empedocle, come lo stato in cui
queste ultime godono della piena felicità, contrapposto alla sofferenza che
segna la loro separazione e la loro ricombinazione in molteplici enti mortali:
la felicità è, cioè, connessa a un momento in cui le radici sono divine, laddove
l’infelicità è collegata alla loro vita da divinità in forma mortale.62 La beatitudine
è, anche, presentata come l’esito della perfetta conoscenza, quella di cui godono
i più sapienti tra gli uomini, i quali ascendono al rango di dèi. Si può, pertanto,
avanzare l’ipotesi che a raggiungere questa perfetta condizione, partendo da
una vita da θνητά, siano le radici che formano la mente umana, il sangue che
circola attorno al cuore di quanti seguono, costantemente, i dettami di Amicizia:
costoro sono consapevoli dell’ordine del cosmo e della preferibilità di determi-
nate scelte, quelle che hanno, come conseguenza, l’assimilazione di Φιλία entro
la φρήν. La chiave di accesso alla felicità, di recupero della condizione divina, è,

l’etere / dall’ampio dominio si estende e attraverso la luce senza fine” (ἀλλὰ τὸ μὲν πάντων
νόμιμον διά τ᾽ εὐρυμέδοντος / αἰθέρος ἠνεκέως τέταται διά τ᾽ ἀπλέτου αὐγῆς).
61 Che il principio del simile e, pertanto, anche il meccanismo dell’accumulo (αὔξις) si applichi a
quanto prescritto da Amicizia e Contesa si può inferire dal fr. 109.3: “con l’amore <vediamo>
l’amore, con contesa la contesa funesta” (στοργὴν δὲ στοργῇ, νεῖκος δέ τε νείκεϊ λυγρῷ).
62 Come detto supra, nn. 16, 21. Per i tratti positivi con cui Amicizia e l’unità sono introdotte –
contrapposte alla negatività di Contesa e della molteplicità – di cui si è detto, si respinge la
possibilità di ravvisare in Νεῖκος la forza in grado di concedere la felicità o di aprire allo stadio
dei molti quale condizione preferibile, come suggerito, ad esempio, da Kingsley (2003) 368–370,
407–408 e da Gemelli Marciano (2009) 338–340, 356–361.
Escatologia e conoscenza salvifica in Empedocle 289

pertanto, riposta nei pochi uomini eccellenti: sarebbero le particelle di radici


della loro φρήν, da δαίμονες, a poter diventare – a poter ritornare – θεοί.63
In effetti, Empedocle sembra introdurre un differente ordine di divinità, in
aggiunta, cioè, ad Amicizia e alle quattro radici: dèi privi di qualunque caratte-
ristica, se non quella di essere menti sacre. In un frammento, si dice che quanti
diventano θεοί “condividono dimora e tavola con altri immortali, / esentati dalle
sofferenze umane, indistruttibili (fr. 147)”.64 Si è tradotto con ‘indistruttibile’ il
termine ἀτειρής, che dovrebbe veicolare, in questo caso, non tanto il senso
figurato di ‘infaticabile’ o ‘possente’, quanto quello letterale di ‘inscindibile’,
‘ben saldo’: in questo modo, Empedocle indicherebbe che la natura divina è
caratterizzata non soltanto da un superiore tipo di esistenza, ossia dalla perfetta
felicità (ἀθανάτοις ἄλλοισιν ὁμέσιοι, αὐτοτράπεζοι / ἐόντες, ἀνδρείων ἀχέων
ἀπόκληροι), ma anche, a livello fisico, dall’impossibilità di essere scissi e,
quindi, di essere gettati nel ciclo di ricombinazioni – entrambi i livelli poi,
come si è visto, sono interconnessi, per cui la separazione fisica è fonte di
infelicità, l’unione, invece, di felicità.65 La natura divina è concepita, in un
altro frammento, come un’entità che

63 L’importanza di una giusta conoscenza sulla natura divina e dell’essere pervasi da Amicizia,
quali chiavi di accesso per la condizione divina, è stata suggerita da Rangos (2012) 330–331: si è
cercato di integrare la sua osservazione con i meccanismi con cui operano le facoltà conoscitive
e con il tentativo di individuare il vero protagonista del ciclo dei δαίμονες. Palmer (2016) 30–54
avanza la possibilità di intendere le quattro radici come mortali, destinate a venire meno una
volta che, a partire da esse, si formano piante, animali o uomini, e a ritornare nuovamente
fuoco, aria, acqua, terra alla dissoluzione degli enti a cui avevano dato origine, per comporne,
poi, altri ciclicamente. Indipendentemente dalla natura eterna o contingente dei ῥιζώματα, essi
costituiscono il protagonista delle vicende descritte da Empedocle, in quanto è a partire da loro
che sorge ogni cosa, come nota lo stesso Palmer (2016) 51–52: sarebbe lecito, pertanto, leggere i
processi di unione e di disgregazione e, quindi, anche le cosiddette incarnazioni dei δαίμονες,
in ultimo, dal loro punto di vista. A sostegno di ciò vale, anche, la presenza di verbi alla prima
persona plurale – attestati grazie, in particolare, al Papiro di Strasburgo – i quali presuppon-
gono come soggetto proprio le radici, rafforzando così, inoltre, l’idea della virtuale parentela tra
gli enti contingenti. Per tutto questo si rinvia a Primavesi (2008) 266–267, Primavesi (2013) 718–
721.
64 Il testo greco riporta: ἀθανάτοις ἄλλοισιν ὁμέσιοι, αὐτοτράπεζοι / ἐόντες, ἀνδρείων ἀχέων
ἀπόκληροι, / ἀτειρεῖς.
65 Il termine ἀτειρής veicola l’idea di robustezza, rigidità, anche metaforica: “unversehrt, hart”
(Frisk 1960, 177); “inusable, dur, solide, inflexible” (Chantraine 19992, 132); “indestructible,
stubborn, hard” (Beekes–Beek 2010, 161). Nei poemi omerici, una delle fonti principali per il
lessico impiegato da Empedocle, ricorre, ad esempio, per indicare i metalli (e.g. Il. 5.292; 7.247).
Empedocle potrebbe avere utilizzato questa parola nella sua accezione letterale proprio per
indicare che la natura divina gode della condizione perfetta per eccellenza, quella dello sfero
290 Federico Casella

non sovrasta per testa d’uomo sulle membra / non piedi, non rapide ginocchia, non organi
riproduttivi villosi / ma solo una mente sacra di cui non si può dire / che con rapidi
pensieri attraversa il cosmo. (fr. 134)66

Gli dèi sono privi di caratterizzazioni, sono in grado di comprendere con rapidità
ogni aspetto del cosmo e sono, soltanto, “una mente” (φρήν), “sacra” (ἱερή) in
quanto godono di una vita qualitativamente superiore. Tutto questo – l’essere
saldi, felici, privi di caratteristiche – sono tratti sovrapponibili proprio alla
natura dello sfero, anch’esso omogeneo, saldamente unito e felice.
Empedocle vive e scrive nella fase cosmica di crescente predominio di
Contesa: se in essa qualcuno può diventare un dio indistruttibile, privo delle
sofferenze che caratterizzano gli altri mortali, allora egli avrebbe ammesso la
possibilità di recuperare la condizione migliore e preferibile per le radici. Il
sapere di cui possono disporre gli uomini sarebbe il mezzo in grado di consen-
tire ai loro ῥιζώματα di non essere più coinvolti dall’azione disgregante di
Contesa.67 Per tale motivo, allora, gli dèi sarebbero presentati come menti: è

“compatto” (fr. 27). La maggior parte degli editori preferisce tradurre con “infaticabili”: seguo,
con “indistruttibili”, ad esempio Bollack (2003) 111–113.
66 In greco: οὐδὲ γὰρ ἀνδρομέῃ κεφαλῇ κατὰ γυῖα κέκασται, / οὐ μὲν ἀπαὶ νώτοιο δύο κλάδοι
ἀΐσσονται, / οὐ πόδες, οὐ θοὰ γοῦνα, οὐ μήδεα λαχνήεντα, / ἀλλὰ φρὴν ἱερὴ καὶ ἀθέσφατος
ἔπλετο μοῦνον, / φροντίσι κόσμον ἅπαντα καταΐσσουσα θοῇσιν.
67 Picot–Berg (2015) 380–409 ritengono che quello che si è definito come l’apice degli uomini –
ossia i personaggi descritti nel fr. 146 – apparterrebbe a un punto del poema in cui Empedocle
parla del ciclo di Contesa, dato che indovini e capi – probabilmente di guerra – sono necessa-
riamente connessi ad azioni violente – sacrifici, battaglie, etc. Osservano anche che il ciclo del
δαίμων dura trentamila stagioni (fr. 115), e che questo è il periodo, fisso e ineluttabile,
necessario a tale entità per purificarsi. Potrebbe darsi, tuttavia, che i poeti, gli indovini, i capi
del fr. 146 siano i ‘nuovi’ sapienti tra gli uomini, quelli che hanno accolto gli insegnamenti di
Empedocle e che dovrebbero sostituire gli ‘attuali’, compromessi con le spinte di Contesa:
Empedocle starebbe descrivendo una sorta di conseguenza necessaria a cui porterebbero il
rispetto e l’accettazione delle conoscenze rivelate nei suoi lavori. I pochi individui che com-
prendono a fondo l’ordine del cosmo primeggerebbero, in vario modo, sugli altri uomini: questi
ultimi non possono che rivolgersi ai primi per ottenere consigli, vaticini, responsi medici, così
come gli Agrigentini fanno con Empedocle. Per quanto riguarda l’esistenza di un tempo ‘fisso’
di purificazione, è opportuno ribadire che Empedocle si considera ora un dio, dunque ritiene di
poter essere felice pur appartenendo alla fase di crescente Contesa: se non avesse ritenuto
possibile ottenere una retribuzione per i giusti comportamenti in un più breve periodo, il
messaggio di ricomposizione sociale che i poemi ammantavano e l’aura di autorevolezza che
la sua figura suggeriva non avrebbero avuto la medesima forza – Empedocle non avrebbe
colpito in nessun modo un pubblico greco che ascoltava o leggeva, per la prima volta, la
descrizione radicalmente nuova dell’ordine del cosmo, qualora egli avesse inteso che, a partire
dal momento in cui parlava, sarebbe diventato un dio dopo diecimila anni (l’equivalente, circa,
di trentamila stagioni). Uscire prematuramente dal ciclo, dunque, doveva essere possibile, ma
Escatologia e conoscenza salvifica in Empedocle 291

infatti il sangue degli uomini a conoscere Amicizia, ad accumularla dentro di sé


e a essere pervaso dalla sua influenza riunificatrice. Le divinità di cui parla
Empedocle potrebbero essere gli uomini che, come lui, hanno raggiunto una
profonda comprensione dell’ordine, fisico e morale, che regola il cosmo o,
meglio, sarebbero le particelle di radici che, vincolate inizialmente nel sangue
che circola attorno al cuore, sono sfuggite al destino di permanere nel ciclo di
ricombinazioni grazie alla conoscenza e alla condotta che quella forma mortale
ha seguito.68 Tutte le altre parti di radici che formano, invece, enti ignari di
questo ordine e colpevoli di uccidere sarebbero contaminate da Contesa: non
potrebbero, dunque, in alcun modo essere divine, perché infuse dalla forza
opposta a quella che concede l’esistenza perfetta, restando, pertanto, incatenate
nel ciclo.69 È opportuno sottolineare che questi dèi non si identificano

molto difficile: solo pochi avrebbero potuto farlo, a condizione di mutare credenze e comporta-
menti per uniformarli a quanto suggerito.
68 La teoria della trasmigrazione dell’anima, quale ente che resiste alla morte del corpo e che
si incarna in un altro, è stata dettagliatamente proposta e difesa, ad esempio, da Long (1948) e
da Kirk–Raven (1957) 349–355. Riletture più recenti, che declinano diversamente questo mede-
simo assunto, sono offerte ad esempio da Santaniello (2009) 329–361, il quale, separando il
ciclo del δαίμων da quello degli elementi, afferma che i protagonisti del primo, che trasmigrano
da mortale a mortale, sono dèi decaduti, che possono recuperare la condizione divina unifor-
mandosi ai dettami di Amicizia; da Therme (2010) 1–29, la quale considera il δαίμων una
‘traccia’ di Amicizia entro il composto mortale, che deve superare la serie di incarnazioni
attraverso il ricordo delle sue precedenti combinazioni, per riconoscere, in ultimo, la sua vera
e intima natura; da Rodríguez (2011) 269–282, il quale ritiene il δαίμων un’entità personale che
si trasferisce da un corpo a un altro alla morte del precedente, lungo una scala ascendente di
purificazione fino alla dimensione divina, a patto di seguire precisi comportamenti; da
Trépanier (2017) 134–147, 168–178, che identifica il δαίμων con le membra e ammette la
possibilità di uscire gradatamente dal ciclo cosmico raggiungendo diverse sedi – l’ultima
coincide con la parte più alta del cielo, e diventare dèi significa trasfigurarsi in astri. A queste
tesi si contrappone la lettura illustrata finora nel testo, per cui i δαίμονες protagonisti del ciclo
di incarnazioni/ricombinazioni non sono anime immortali o entità a parte, bensì le particelle
di radici: a permanere nel ciclo – a incarnarsi/trasmigrare, cioè a originare piante, animali,
uomini – sono le radici che formano enti particolari dediti, solamente, ad azioni violente.
Concordo con molti degli studiosi menzionati sul fatto che vivere pacificamente purifica i
δαίμονες: ho tentato di precisare, tuttavia, in che modo possa effettivamente realizzarsi la
salvezza, ossia attraverso i meccanismi fisiologici dei processi conoscitivi, che accumulano
parti di Amicizia nella mente degli uomini saggi – le radici della loro φρήν, quindi, scampano
al ciclo perché impossibilitate da Φιλία a scindersi nuovamente e a formare altri enti contin-
genti, come si è più volte sottolineato.
69 Per Santaniello (2012) 301–313, i frr. 131–134 apparterrebbero a un’altra opera di Empedocle,
al perduto Inno ad Apollo, e dunque presenterebbero istanze teologiche non del tutto correlate a
quelle che emergono dai due poemi più noti. Secondo quanto detto fino a questo punto, i
frammenti riprenderebbero, comunque, concezioni presenti anche nei poemi fisico e morale, e
292 Federico Casella

interamente con lo sfero, in quanto possiedono, comunque, un certo grado di


‘identità’, oltre a essere al ‘plurale’, dunque molteplici: la loro condizione è la
migliore che le radici possono ottenere durante il ciclo di crescente Contesa, non
la perfetta, in assoluto, nelle fasi del cosmo – quest’ultima caratteristica spetta
solamente allo sfero.
Sorgerebbe, alla luce di quanto detto, il problema di ‘localizzare’ lo spazio
in cui andrebbero le radici, divenute inscindibili, una volta venuto meno l’ente
di cui esse facevano parte. I ῥιζώματα della mente–sangue resisterebbero alla
morte dell’uomo, cioè alla separazione delle radici che formano le altre parti del
corpo, e sarebbero invisibili, in quanto totalmente pervase da Amicizia, prive di
ulteriori caratterizzazioni. Poiché il simile è attratto dal simile, queste menti –
queste particelle di radici che formano le menti – raggiungerebbero Φιλία,
situata, nella fase di crescente Νεῖκος, agli estremi confini del cosmo.70 Questa
zona, occupata dalla forza che, durante uno dei momenti del ciclo, è esiliata
perché il predominio è assunto dalla sua controparte, potrebbe essere identifi-
cata come quel luogo in cui gli dèi banchetterebbero insieme, all’insegna della
felicità (fr. 147): gioirebbero, cioè, distanti dal centro del cosmo, dove avvengono
le ricombinazioni delle radici ancora deprivate della loro originaria condizione.71
Non è possibile stabilire quale sia il destino a cui le menti sacre andrebbero
incontro una volta terminata la fase di progressivo predominio di Contesa,
quando Amicizia recupera il sopravvento. Nel caso in cui fossero, nuovamente,
gettate nel ciclo di ricombinazioni, prenderebbero parte all’ultima fase cosmica,
in cui la vita da θνητά è tollerabile perché sottomessa alla spinta riunificatrice –
a livello fisico e morale – di Φιλία, che culmina nella ricostituzione dello sfero,
in cui tutte le radici, infine, si riuniscono: il ritorno in forma mortale, cioè, non
sarebbe totalmente infelice. Oppure, più plausibilmente, potrebbe darsi che,

restituirebbero la descrizione del fine a cui gli uomini possono tendere. Vítek (2010) 21–49, in
part. 42–44, ritiene che σφαῖρος e φρὴν ἱερή sono due aspetti della medesima entità divina: al
venire meno dello sfero, la mente sacra rappresenterebbe, nel cosmo, il ‘residuo’ – accanto ad
Amicizia, a Contesa e alle quattro radici – dell’originaria entità, e attraverserebbe ogni corpo
come se fosse un’‘anima’. L’ipotesi che si è preferito adottare è che la mente sacra rappresenti
un ‘gradino’ superiore tra le forme che le radici possono assumere nelle fasi che seguono la
dissoluzione dello sfero – la φρὴν ἱερή non sarebbe tanto un frammento del dio primigenio,
quanto la condizione migliore che le radici possono ottenere quando vivono separate e distinte,
come si è detto a più riprese.
70 Come si è osservato supra, parag. 1.
71 Alla luce di quanto detto, condivido le osservazioni di Trépanier (2017) 168–178 per cui i
δαίμονες purificatisi, ossia diventati dèi, raggiungono una sede precisa, lontana dalla terra che
coincide, nella fase cosmica a cui appartiene Empedocle, con una regione di male generaliz-
zato. Ad aver ipotizzato la presenza di una sede dei beati, caratterizzata dall’esclusione dai mali
in una zona liminare del cosmo, è stata, anche, Wright (19953) 207.
Escatologia e conoscenza salvifica in Empedocle 293

essendo quasi tutt’uno con Amicizia, non costituiscano più ‘materiale’ con cui
plasmare gli enti mortali in quanto, ormai, private di qualunque caratterizza-
zione e, in aggiunta, intoccabili da Contesa, se non quando quest’ultima riavrà il
dominio che le spetta, scindendo nuovamente lo sfero: per tale motivo gli dèi di
cui Empedocle parla in alcuni frammenti ricondotti al poema Sulla natura – enti,
accanto a piante, animali, uomini, a cui le radici possono dare luogo – avreb-
bero l’epiteto “dalla lunga vita” (δολιχαίων – frr. 21.12; 23.8), perché godrebbero
della riunificazione per un tempo maggiore rispetto alle altre radici, prima che
tutte quante siano protagoniste, nuovamente, del medesimo alternarsi delle fasi
cosmiche.72
Nel suo poema, Empedocle starebbe dunque suggerendo un modo per scam-
pare al ciclo di ricombinazione dei ῥιζώματα e, in particolare, a quello sottoposto
alla crescente influenza di Contesa, una fase che aggrava ulteriormente la condi-
zione delle radici, dato che in essa predomina la violenza. Di fronte a questa forza
necessitante, che trascina tutti gli θνητά verso la completa separazione fisica e la
totale scissione a livello delle relazioni interpersonali, e di fronte all’ignoranza
diffusa tra gli uomini, che incatena le radici nella condizione fisica–morale
promossa da Contesa – dunque in una sofferenza continua – è concessa la
possibilità di conoscere pienamente l’ordine del cosmo, azione che permetterebbe
di liberare le radici, gli dèi caduti, dal loro destino infelice grazie alla rivelazione
di un’opzione: sottomettersi all’altra forza necessitante, quella di Amicizia, e
ripristinare l’unica condizione preferibile per le radici, pienamente felice, ossia
l’unità priva di distinzioni che era lo sfero, prima ancora del compiersi del ciclo
cosmico e del ritorno dello σφαῖρος stesso.

72 Nei poemi, i termini ‘nascita’ e ‘morte’ sono utilizzati in accordo con il linguaggio ordinario, il
quale connota, in questo modo, quello che Empedocle intende, invece, come ‘mescolanza’ e
‘separazione’ delle radici (cfr. frr. 8; 9; 11; 12): di conseguenza, per un ente mortale ‘essere in vita’
significherebbe ‘essere unito nelle radici’. L’espressione “dalla lunga vita” dovrebbe essere
interpretata, allora, come ‘dalla durevole unione delle radici’: queste ultime compongono ogni
ente, anche gli dèi δολιχαίωνες – che si apprende essere le menti sacre nelle Purificazioni – i quali
sarebbero, quindi, una loro forma momentanea, sebbene più durevole delle altre. Nel fr. 2,
Empedocle separa se stesso e il destinatario del poema, Pausania, dal resto degli uomini, i
quali sono incapaci di scorgere l’ordine del cosmo rivelato nel suo discorso: questa mancanza
sembra essere connessa con la loro breve esistenza ([…] παῦρον δ’ ἐν ζωῇσι βίου μέρος
ἀθρήσαντες / ὠκύμοροι καπνοῖο δίκην ἀρθέντες ἀπέπταν / αὐτὸ μόνον πεισθέντες, ὅτῳ
προσέκυρσεν ἕκαστος / πάντοσ’ ἐλαυνόμενοι, τὸ δ’ ὅλον πᾶς εὔχεται εὑρεῖν·), ossia correlata,
in accordo con quanto detto, a una breve unione delle radici che li compongono, sostituita da una
rapida separazione di queste ultime. Ciò potrebbe essere dovuto proprio all’insufficiente cono-
scenza dell’ordine del cosmo e a tutte le conseguenze, di cui si è detto, che tale mancanza
comporta.
294 Federico Casella

Acknowledgments: Ringrazio il Prof. F. Ferrari e il Prof. M. Abbate (Università di


Salerno) per i preziosi consigli nelle fasi iniziali di gestazione dell’articolo, il
Prof. F. Fronterotta (Sapienza Università di Roma) per il gentile confronto sul
concetto di anima in Eraclito, la Prof.ssa S. Gastaldi e la Dott.ssa C. Blengini
(Università di Pavia), oltre ai due anonimi revisori, per gli importanti suggeri-
menti: la responsabilità delle tesi e di eventuali errori presenti è, naturalmente,
soltanto mia.

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