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1: Per poter fare il punto sul processo di integrazione europea è necessaria qualche riflessione
sugli obiettivi strategici dello stesso e sul ruolo degli stati nazionali. La lungimiranza dei padri
fondatori consentiva di intravedere il progressivo depauperamento dei poteri degli stati nazionali in
un mondo che si dirigeva verso l’universalizzazione. Renan nel 1882 affermò che “le nazioni non
sono eterne e che avranno prima o poi una fine; probabilmente saranno rimpiazzate dalla
confederazione europea.” L’aggregazione ad una comunità nazionale di regola avviene su base
ascrittiva e non elettiva in quanto si nasce in uno stato e difficilmente si è in grado di sceglierlo
liberamente. Tuttavia negli ultimi decenni, a seguito degli enormi flussi migratori, in Europa in
particolare, è avvenuto il radicamento di milioni di persone che hanno acquisito la cittadinanza del
paese dove hanno collocato stabilmente la residenza. Si è quindi modificata la natura delle
popolazioni statali e ridimensionata la coscienza nazionale. Anche la struttura del potere ha subito
radicali trasformazioni. La globalizzazione ha modificato il concetto di Stato assoluto, gli stati
nazionali e la loro sovranità vengono condizionati da attori transnazionali. La globalizzazione del
potere ha limitato la capacità dei governi ad avere un controllo effettivo solo sui loro paesi, in
quanto le decisioni cruciali vengono prese altrove. I problemi globali non potranno risolversi se
non con strumenti politici globali. L’organizzazione dello stato richiede radicali cambiamenti per
adattarsi a questo nuovo contesto caratterizzato da numerose relazioni intergovernative senza
limitarsi ai tradizionali rapporti di natura pattizia propri del diritto internazionale. Però gli stati
svolgono ancora un ruolo fondamentale nell’ambito della globalizzazione e la cessione di
sovranità avviene sempre con molte cautele giuridiche e in maniera del tutto reversibile.
2: La prima risposta alla crisi dello stato sovrano e ai problemi posti dalla globalizzazione non può
che essere il processo d’integrazione europea. Ma fino a che punto? Ci sono importanti novità
politiche e istituzionali ma anche limiti e contraddizioni. Una enorme conquista sul piano
sovrannazionale è la pace, indiscutibile traguardo dell’integrazione europea. Connesso alla pace
vi è la tutela dei diritti fondamentali della persona. Alcuni diritti appartengono agli esseri umani in
quanto tali e sono inviolabili dai poteri pubblici, ammettendo limitazioni alla sovranità. Questa
concezione si consolida con la nascita nel 1949 del Consiglio d’Europa. Per la prima volta sono
riconosciuti poteri di azione ai singoli individui e non più solo agli Stati. Sorge l’idea che tali diritti
fondamentali non possono essere violati nemmeno dagli stati. Consacrazione di questa
rivoluzione è rappresentata dalla creazione della Corte europea dei diritti dell’uomo.
3: Rispetto al dir. Internazionale, un’altra novità introdotta dall’ordinamento dell’Unione è il ruolo
attribuito alle persone, che si trovano in posizioni egualitaria rispetto agli stati membri e alle
istituzioni. La possibilità per il cittadino europeo di azionare i propri diritti dinanzi ad un giudice è
ciò che differenzia l’Unione da qualsiasi organizzazione intergovernativa. Tuttavia la Corte di
giustizia non ha il potere di annullare norme interne in contrasto con il diritto UE. La prevalenza del
diritto UE sul diritto interno sarà applicabile fintantochè gli stati lo consentiranno, è necessaria la
loro cooperazione. Tra i diritti riconosciuti al cittadino europeo spicca la possibilità di partecipare
alle elezioni europee. Però è da segnalare che tale status si ottiene attraverso vie diverse, es.
lunghi anni di stabile residenza o tramite acquisto come avviene a Malta. Ben altro rilievo
assumerebbe la cittadinanza UE se fosse attribuita tramite un’autonoma disciplina giuridica
prevista dall’ordinamento unionale. Il nesso tra nazionalità e diritti va ripensato in quanto rischia di
produrre esclusioni e conseguenze antidemocratiche. Ulteriore prodotto di questa integrazione è
la moneta unica, non priva di palesi criticità. Questa è in grado di funzionare in maniera equa ed
efficiente solo se integrata in una politica economica e fiscale unitaria dei 19 paesi dell’eurozona.
Si dovrebbero prendere scelte economiche caratterizzate dalla solidarietà, principio previsto nel
trattato di Lisbona, andando ad incidere sullo sviluppo delle zone più povere.
4: Non si può nascondere che il cammino verso un’integrazione politica fra gli stati membri risulta
essere tuttora impervio e ricco di ostacoli. Il trattato di Lisbona non ha modificato l’impianto politico
del sistema ancora fondato sul controllo degli stati nazionali. Come affermato dalla Corte Cost.
tedesca nel 2009 finchè gli stati nazionali rimangono i padroni dei trattati europei, sono essi che
stabiliscono ancora le regole del gioco di molte relazioni inter e intra statali. Il trattato di Lisbona in
verità rimane fondato sul principio di attribuzione per cui l’Unione agisce nei limiti rigorosi delle
competenze che le sono conferite. Il processo di unificazione non è quindi irreversibile (basti
pensare all’art.50 TUE). Gli stati membri rimangono liberi, a prescindere dalla volontà delle
istituzioni comunitarie, di riappropriarsi dei poteri che erano stati conferiti all’Unione.
5: E’ indubbio che negli ultimi decenni sono stati trasferiti importanti poteri all’Unione sottraendoli
al controllo delle istituzioni nazionali. Ma la qualità democratica della struttura istituzionale
comunitaria è sempre stata limitata, soprattutto per lo scarso rilievo assunto dal parlamento UE.
Comunque con il trattato di Lisbona c’è stato un progresso: è stata introdotta la procedura
legislativa ordinaria e sono stati estesi i poteri di codecisione attribuiti al Parlamento europeo, ad
eccezione della materia della PESC. E’ necessario ridisegnare la distribuzione di poteri non solo
tra le istituzioni ma soprattutto fra queste e gli stati. Il deficit democratico si riferisce alla necessità
di un governo concreto dei fenomeni sovrannazionali oltre che al tradizionale livello di democrazia
delle istituzioni europee. Negli ultimi decenni la capacità di governo dell’economia è venuta meno
e nello stesso tempo è entrato in crisi il modello di welfare state che nel dopoguerra aveva
segnato lo sviluppo socio-economico europeo. Una risposta efficace non può di certo provenire
dal singolo stato. L’impossibilità di fornire risposte adeguate ai problemi odierni porta gli stati non a
comprendere i propri limiti ma a resuscitare improbabili aspirazioni a rinchiudersi nei propri confini.
Tutto ciò è inutile e pericoloso, al punto da sfociare in ideologie e pratiche religiose fanatiche.
L’Europa per recuperare consensi deve dimostrare di essere indispensabile per superare la crisi
economica e di risolvere i conflitti e le problematiche internazionali. All’Europa spetta il compito di
costruire un progetto di società.
1: Ultima tappa del processo di integrazione europea, iniziato nel 1950 con la dichiarazione
Shuman, è stata il Trattato di Lisbona del 2007, entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Questo ha
dato vita al TUE, che definisce il quadro e le regole del sistema, e TFUE, che regola l’attività
dell’Unione determinando i settori, la delimitazione e le modalità di esercizio delle sue
competenze. Ex art.1 TUE hanno lo stesso valore giuridico. Con Lisbona si manda in pensione
l’espressione Comunità europea e si attribuisce personalità giuridica all’Unione. Aspetti positivi
sono rappresentati dalla cittadinanza europea, principi democratici, cooperazioni rafforzate, figura
del presidente del Consiglio europeo, procedura legislativa ordinaria, potenziamento capacità
d’azione dell’Unione in settori fondamentali quali energia, sanità e protezione civile. Infine
confermato il ruolo delle regioni e delle parti sociali quali componente del tessuto politico,
economico e sociale dell’Unione.
2: Il trattato di Lisbona introduce novità nell’assetto istituzionale del sistema. In passato mancava
la legittimazione democratica dei cittadini. E’ plausibile che l’abitudine a non eleggere i propri
rappresentanti a livello europeo abbia progressivamente allontanato i cittadini dalle istituzioni,
sentite come invasive e poco influenti. Il trattato di Lisbona cerca di dare un nuovo equilibrio al
rapporto tra diversi livelli di organizzazione del potere anche se la fonte giuridica dell’intero
processo risiede nei trattati ed il fondamento politico è sempre garantito dalla sovranità degli stati.
Non si può però parlare di trasferimento di porzioni di sovranità o di condivisione della stessa tra
stati e UE. E’ infatti singolare ipotizzare tale trasferimento ad un ente che in quanto a sovranità
non è ancora costituito; si viene a configurare una natura poliarchica dell’Unione, basata sulla
progressiva attribuzione ad essa di competenze da parte degli stati membri. Sotto questo profilo il
TUE è molto chiaro negli art. 1 e 5. L’Unione non è quindi titolare di una competenza generale ma
solo di quelle che le sono conferite dagli stati attraverso i trattati. Le aree di competenza attribuite
in via esclusiva all’Unione sono solo cinque indicate nell’art.3 TFUE. Mentre le competenze
concorrenti sono relative a tutti gli altri settori nei quali i trattati attribuiscano all’Unione qualche
competenza e gli stati esercitano la loro sempre nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la
propria. In altri settori è prevista una semplice competenza di sostegno, coordinamento e
completamento (art.6 TFUE). Infine una dimensione internazionalistica è evidenziata dalla PESC
e in tale contesto è da segnalare la nascita della figura dell’Alto Rappresentante.
3: Un ulteriore elemento internazionalistico è la clausola di recesso prevista negli art.50 TUE e
218 TFUE. Il trattato cessa di applicarsi allo stato interessato due anni dopo la notifica, salvo
ulteriore proroga concordata. Così le procedure di revisione o emendamento art.48 TUE si basano
sul criterio dell’unanimità per consentire qualsiasi modifica. Il problema politico è dato dal fatto che
l’Unione non è titolare del potere di revisione. Dovrebbe essere proiettato su scala europea lo
strumento del referendum di approvazione. Si tratterebbe dell’applicazione del principio della
democrazia partecipativa grazie al quale è già operato dal TUE il riconoscimento del diritto di
iniziativa popolare con cui 1 milione di cittadini europei di almeno sette paesi membri può invitare
la Commissione a presentare una proposta legislativa ai fini dell’attuazione dei trattati.
4: Non ci si trova quindi davanti ad uno stato federale o pre-federale ma nemmeno ad un super-
stato. Pero il trattato di Lisbona introduce alcune novità: sul piano istituzionale sono ridefinite le
funzioni del Parlamento europeo. L’art.4 TUE evidenzia il riequilibrio di poteri tra lo stesso e il
Consiglio prevedendo un esercizio congiunto di funzioni senza alcuna prevaricazione. Inoltre il
Parlamento elegge il presidente della Commissione. Così il parlamento e quindi gli elettori
esercitano un’influenza concreta sulla linea politica della Commissione. Anche la procedura di
bilancio rafforza i poteri del Parlamento eliminando la distinzione tra spese obbligatorie e non
obbligatorie.
5: Altre modifiche riguardano il Consiglio europeo, il cui presidente viene eletto dai capi di stato e
di governo a maggioranza qualificata per due anni e mezzo e possibilità di un unico rinnovo. Al
presidente si affianca la figura dell’Alto rappresentante che partecipa alle riunioni del Consiglio
europeo. Inoltre lo stesso è composto dai capi di stato o di governo degli stati membri e dal
presidente della commissione. Il consiglio europeo svolge compiti d’impulso e d’indirizzo politico,
senza esercitare funzioni legislative. Tuttavia adotta importanti decisioni, es. in materia di PESC,
di difesa comune, azione esterna, nomina della Commissione e dell’Alto rappresentante,
procedura di revisione ordinaria dei trattati. Il consiglio quindi risulta il vertice massimo del sistema
ed infatti gli è affidata funzione di appello-mediazione operando come seconda istanza rispetto al
Consiglio, qualora ci sia grave dissenso in quest’ultimo. Per quanto riguarda il Consiglio (dei
ministri 16 TUE) da segnalare è la nascita del Consiglio affari generali per garantire coerenza e
continuità dell’attività delle diverse formazioni dell’istituzione.
6: La Commissione europea è l’istituzione che subisce minori modifiche ma proprio per questa
risulta indebolita dal rafforzamento delle altre. Da sottolineare l’elezione del presidente, candidato
più suffragato nelle elezioni, da parte del Parlamento su proposta del Consiglio europeo e il potere
del presidente di obbligare un membro del collegio, tranne l’Alto rappresentante, a rassegnare le
dimissioni. Mantiene quasi il monopolio dei poteri di iniziativa.
7: per quanto riguarda il ruolo dei parlamenti nazionali, questi contribuiscono attivamente al buon
funzionamento dell’Unione (art. 12 TUE). Essi devono essere informati dalle istituzioni e ricevere
progetti di atti legislativi in funzione del rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.
Interessante è la procedura di allarme preventivo che consente ai parlamenti nazionali di
intervenire per chiedere alla Commissione di modificare la proposta che possa contrastare con
l’applicazione del principio di sussidiarietà. Inoltre sono poi coinvolti in specifiche materie, come
spazio di libertà sicurezza e giustizia.
8: Per le novità in tema di atti giuridici, è assunta come procedura legislativa ordinaria quella
fondata sull’adozione congiunta dell’atto da parte del parlamento e del Consiglio su proposta della
Commissione (art.289 TFUE).
9: Il trattato segna quindi una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più
stretta tra i popoli dell’Europa. E’ necessario ricercare una comune identità rintracciabile nei valori
propri dell’Unione che sono la dignità umana, la libertà, la democrazia, lo stato di diritto e rispetto
dei diritti umani. Bisogna mettere in pratica il motto Unità nella diversità. La carta di Nizza del 2000
ha segnato un momento di grande significato politico e simbolico.
10: Anche le politiche materiali di cui si occupa il TFUE sono state sottoposte a revisione. È stata
inserita una nuova norma con cui si stabilisce che l’Unione, nella definizione e nell’attuazione delle
sue politiche e azioni, tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello
di occupazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e
un elevato livello d’istruzione, formazione e tutela della salute umana. La gran parte delle
modifiche riguarda le procedure di adozione degli atti normativi con una estensione sia della
procedura legislativa ordinaria che della decisione a maggioranza del Consiglio.
11: Il processo di integrazione europeo deve misurarsi con il problema della cittadinanza e di un
popolo europeo. La cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale. Si tratta di
una seconda cittadinanza. Mentre la cittadinanza nazionale si fonda sul rapporto cittadino-stato,
quella europea sul rapporto cittadino-stato membro-Unione. Con il trattato di Lisbona la figura del
cittadino acquista maggiore risalto. Dopo il riconoscimento della cittadinanza all’art.9 TUE, il TFUE
enuclea otto diritti relativi alle elezioni amministrative e parlamentari europee, alla libera
circolazione, alla tutela diplomatica e consolare, alla petizione al Parlamento europeo, al
Mediatore ed ai rapporti epistolari con istituzioni ed organi dell’Unione, alla trasparenza e
all’accesso ai documenti.
12: In epoca di globalizzazione sarà sempre più difficile individuare realtà culturali omogenee.
Diviene fondamentale la condivisione di valori fondamentali posti alla base del vivere quotidiano
nella prospettiva di un reciproco riconoscimento delle differenze. Importante ruolo attribuito al
principio di solidarietà da perseguire nei rapporti tra stati membri rispetto alla coesione sociale,
economica e territoriale, oltre che nella costruzione della pace e del rispetto reciproco tra i popoli.
Inoltre la solidarietà deve essere osservata anche in materia di asilo, immigrazione e controllo
delle frontiere esterne.
13: Per quanto riguarda la Corte di giustizia, la sua giurisprudenza ha consentito di dare maggiore
coerenza ed efficacia all’ordinamento europeo. Da sottolineare il crescente ruolo attribuito al
Tribunale che dal 1988 ha assunto un progressivo rilievo fino alla riforma del trattato di Nizza. È
prevista una corte di giustizia dell’UE articolata al suo interno in corte di giustizia e tribunale. Non
si deve dimenticare che in base al principio di leale cooperazione l’Unione e gli stati membri si
rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati e gli
stati membri adottano ogni misura atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai
trattati. Per cui, il rispetto del diritto UE compete anzitutto ai tribunali nazionali.
14: La complessa realtà europea necessita una collaborazione integrata fra ordinamenti giuridici.
Però l’ampliamento dell’Unione rende probabile la circostanza che l’integrazione si sviluppi su
piani differenziati, come già avvenuto con l’euro. In questo contento molto importanti sono le
cooperazioni rafforzate attivabili da almeno 9 stati membri. Un indubbio vantaggio nel ricorso alle
cooperazioni rafforzate è dato dalla circostanza che esse beneficiano del coordinamento e del
sostegno della Commissione europea e delle sue risorse amministrative.
15: Un aspetto fondamentale è dato dall’acquisizione di piena centralità da parte dei diritti umani
fondamentali anche grazie al riconoscimento del valore della carta di Nizza 2001. Nonostante la
centralità e l’impatto degli tali diritti sulla giurisprudenza nazionale ed europea, si è assistito a
ripetute violazioni da parte del governo ungherese. Sia il trattato che la carta di Nizza dedicano
ampio spazio alla solidarietà. Ma raramente questa è stata messa in pratica negli ultimi anni,
soprattutto sul piano economico e dei migranti. Oggi l’Europa è attraversata da scontento e
insicurezza con i quali si animano pericolosi populismi e volontà di rinchiudersi in confini nazionali
con pulsioni secessionistiche. Il sogno europeo sembra non affascinare più e le spinte ideali
risultano ampiamente esaurite. L’unica risposta in grado di affrontare i problemi contemporanei
risulta l’unità politica. Dunque si deve andare oltre Lisbona!
Cap.5 CONCORRENZA:
A) Fondamenti della disciplina antitrust
1: La concorrenza si riferisce ad un mercato caratterizzato da ampie libertà di accesso all’attività
d’impresa, dalla possibilità di libera scelta per gli acquirenti ed i consumatori e dalla possibilità per
ciascuno di cogliere le migliori opportunità disponibili sul mercato. La tutela della concorrenza si
attua mediante una serie di norme, definite come antitrust, che disciplinano i rapporti tra
imprenditori e consentono un regolare svolgimento dei rapporti concorrenziali. Essa dovrebbe
indurre le imprese a offrire continuamente prodotti qualitativamente migliori ai prezzi più
convenienti nell’interesse dei consumatori ma anche del mercato stesso. La concorrenza può
essere atomistica, si privilegia il maggior numero di imprese sul mercato, o efficace, in cui la
diminuzione delle unità operanti sul mercato viene contemperato dal mantenimento del
funzionamento concorrenziale dello stesso. Il modello scelto a livello comunitario appare il
secondo. L’attività concorrenziale deve essere sufficiente a far ritenere che siano rispettate le
esigenze fondamentali e conseguite le finalità del trattato, in particolare creazione di un mercato
unico che offra condizioni analoghe a quelle del mercato interno. Però la concorrenza non è
sempre un meccanismo naturale poiché spesso le imprese ritengono più conveniente instaurare
intese. La prima legge antitrust moderna è lo Sherman Act USA del 1890, emanata allo scopo di
vietare le condotte cartellistiche e i tentativi di monopolizzazione del mercato. In Europa, per avere
un sistema di controllo antitrust unitario ed efficace bisogna attendere il 1957, con l’inserimento
nel trattato CEE di norme specifiche a tutela della concorrenza, focalizzate sulla disciplina delle
intese restrittive, sugli abusi di posizione dominante e degli aiuti di stato. Il regolamento
attualmente vigente in materia è il 139/2004. Il mercato interno ai sensi dell’art.3 TUE comprende
un sistema che assicura che la concorrenza non sia falsata. La relativa disciplina è contenuta
negli art.101-106 che riguardano le regole di concorrenza applicabili alle imprese e gli art. 107-109
TFUE sono relative a quelle applicabili agli stati.
2: Nozione di impresa: i trattati non offrono alcun aiuto; necessaria è l’interpretazione della corte di
giustizia ed la prassi decisionale della Commissione. L’impresa consiste in un complesso unitario
di elementi personali, materiale ed immateriali, facenti capo ad un soggetto giuridico autonomo e
diretto in modo durevole al perseguimento di un determinato scopo economico. Quindi vi rientra
qualsiasi soggetto che eserciti un’attività economica consistente nell’offerta di beni e servizi su un
determinato mercato a prescindere dallo status giuridico di questa entità e dalle sue modalità di
finanziamento. Non sono quindi considerati imprese quei soggetti che svolgono una funzione di
carattere esclusivamente sociale, sprovvista di ogni scopo di lucro.
B) Divieto di intese anticompetitive:
1: la prima norma che disciplina la libertà di concorrenza è l’art.101 TFUE secondo il quale “sono
incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di
associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra
Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della
concorrenza all'interno del mercato interno.” Ogni operatore economico deve determinare
autonomamente la propria condotta sul mercato verificando l’impatto negativo, reale o probabile,
su almeno uno dei parametri della concorrenza nel mercato quali prezzo, produzione, qualità e
varietà dei prodotti o innovazione. Le modalità per realizzare pratiche anticoncorrenziali sono le
seguenti: accordi tra imprese, si hanno quando le parti raggiungono un’intenzione comune di
limitare la loro libertà di azione nel mercato al fine di perseguire tale intenzione comune a danno
della concorrenza. L’accordo può essere esplicito o implicito, scritto o non scritto. Pratica di
concordato, si ha quando vi è un parallelismo di comportamenti tra le imprese interessate, una
forma di coordinamento tra di esse, che si riflette in un danno della concorrenza poiché limita il
grado di indipendenza economica di ciascuna delle imprese coinvolte. È molto più difficile da
provare a differenza dell’accordo. In realtà, i casi di intesa presentano spesso elementi sia dell’una
che dell’altra fattispecie; pertanto l’eventuale erronea classificazione non ha importanza, qualora
sia comunque dimostrato il concorso di volontà delle parti in violazione del 101. Infine c’è la figura
delle decisioni di associazioni di imprese, che si concretizza in atti apparentemente unilaterali con
i quali si deve intendere qualsiasi espressione di volontà collettiva manifestata da imprese riunite
in una comune struttura con una definita organizzazione corporativa. Tale sistema influenza
l’attività economica e il comportamento commerciale delle imprese che vi partecipano limitando la
concorrenza fra gli aderenti all’associazione.
2: l’art.101 indica le modalità tipiche attraverso le quali si determinano comportamenti
anticompetitivi, consistenti nel: fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di
vendita ovvero altre condizioni di transazione; limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo
sviluppo tecnico o gli investimenti; ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; applicare nei
rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da
determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza; subordinare la conclusione di
contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che per loro
natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.
Si tratta di un elenco non tassativo ma meramente esemplificativo.
3: il divieto di cui al 101 si applica esclusivamente se l’intesa posta in essere tra due o più imprese
possa pregiudicare il commercio tra stati membri ed abbia come oggetto o per effetto di impedire,
restringere o falsare la concorrenza nel mercato comune. Si tratta di due condizioni che devono
essere riscontrate contemporaneamente. La prima si riferisce a verificare le circostanze per le
quali, in relazione all’estensione territoriale dell’intesa ed alla sua ricaduta transfrontaliera, appare
improbabile il prodursi dell’effetto pregiudizievole. Tuttavia anche l’intesa ad oggetto la
distribuzione di prodotti in un solo stato membro potrebbe pregiudicare gli scambi fra paesi
membri, in quanto potrebbe ostacolare la compenetrazione economica e proteggere i prodotti
nazionali. Per poter esserci pregiudizio rilevante per il mercato, è necessario che una decisione,
un accordo o una pratica possano esercitare un’influenza, diretta o indiretta, attuale o potenziale,
sugli scambi tra gli stati membri in modo tale da far temere che possano ostacolare la
realizzazione di un mercato unico. La seconda condizione concerne il divieto di intese aventi ad
oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato interno.
L’alternatività tra oggetto ed effetto implica che in primo luogo si deve verificare la presenza di un
solo criterio, cioè l’oggetto dell’accordo. Solo in via subordinata, se l’analisi del tenore dell’accordo
non abbia rivelato un pregiudizio per la concorrenza di sufficiente entità, occorrerà esaminarne gli
effetti e per vietarlo, dovranno sussistere tutti gli elementi che provino che il gioco della
concorrenza sia stato impedito, ristretto o falsato in modo sensibile. Inoltre gli effetti restrittivi della
concorrenza devono essere considerati anche in ordine alle ripercussioni sulla situazione dei terzi
che potrebbero subire conseguenze negative.
4: La conseguenza sanzionatoria della violazione delle norme antitrust è la nullità di pieno diritto,
con efficacia retroattiva, degli accordi o decisioni. L’art.101, così come il 102, è considerato
direttamente applicabile e quindi qualsiasi singolo interessato può far valere questa nullità di fronte
al giudice nazionale. Ovviamente si deve dimostrare il nesso di causalità tra il danno subito e
l’intesa o pratica vietata. Esistono programmi di clemenza diretti a facilitare l’emersione di
pericolosi cartelli segreti, con i quali viene riconosciuta immunità dalla sanzione solo all’impresa
che per prima denuncia il cartello alle autorità di concorrenza. Una rapida conclusione della
procedura è data anche dalla transazione, che consente alcune agevolazioni alle imprese che
riconoscano di aver partecipato ad un cartello. Il carattere assoluto della nullità rende l’accordo, o
meglio le parti dello stesso che violino il 101, privo di effetti nei rapporti fra i contraenti ed
inopponibile a terzi.
5: Eccezioni: il divieto sancito al 101 è considerato inapplicabile in caso di accordi che
contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il
progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne
deriva, che non impongano restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi e
che non diano alle imprese interessate la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte
sostanziale dei prodotti. Queste quattro condizioni sono cumulative, per cui una volta stabilito che
una di queste non è soddisfatta, non è necessario esaminare le altre. Si presume che tali
condizioni sussistano comunque per gli accordi che rispettino i requisiti precisati nei regolamenti di
esenzione per categoria adottati dalla Commissione o dal Consiglio.
C) L’abuso di posizione dominante
1: l’art.102 dispone che “è incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa
essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o
più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.”
Si tratta di un ulteriore divieto antitrust fondato sul potere di mercato di un’impresa rispetto alle
altre. Tale potere non è di per sé illecito ma costituisce il presupposto indispensabile perché in
determinate circostanze si possa determinare l’abuso attraverso comportamenti volti ad escludere
dal mercato concorrenti egualmente efficienti. Per posizione dominante si intende una posizione di
potenza economica, grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la
persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato e ha la possibilità di tenere comportamenti
indipendenti nei confronti dei concorrenti, dei clienti e dei consumatori. Questa non coincide con il
monopolio, potendo sussistere anche in presenza di una qualche forma di concorrenza residua.
La posizione dominante può essere individuale o collettiva e di gruppo, quando c’è un insieme di
imprese affiliate che rispondono ad un’impresa madre responsabile. Più diffusa è la p.d. collettiva
che si ha quando due o più entità economiche indipendenti siano unite da vincoli economici e
detengano insieme una posizione dominante rispetto agli altri operatori sullo stesso mercato.
La p.d. prescinde dalla dimensione assoluta dell’impresa, dall’entità del suo fatturato o dal volume
delle attività in quanto deriva dalla concomitanza di più fattori.
2: il mercato geografico comprende l’area in cui le imprese interessate forniscono o acquistano
prodotti o servizi. Sotto il profilo merceologico, il mercato del prodotto rilevante comprende a sua
volta, tutti i prodotti e/o i servizi considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione
delle caratteristiche degli stessi, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati. Intercambiabili
quando altri fornitori sono in grado di modificare il loro processo produttivo in modo da fabbricare i
prodotti in causa e immetterli sul mercato rilevante; sostituibili quando i consumatori possono
passare prontamente ad un prodotto simile in risposta per esempio ad un piccolo aumento di
prezzo (5 o 10%). La definizione di mercato rilevante consente di individuare gli operatori attivi sul
mercato stesso. Si possono così calcolare le dimensioni complessive del mercato e le quote di
ciascun fornitore, a partire dalle loro vendite dei prodotti nella zona rilevante. È chiaro che le
probabilità che un’impresa divenga dominante sono tanto maggiori quanto più elevata è la sua
quota di mercato. Al contrario, per la Commissione europea una quota di mercato inferiore al 40%
rende improbabile la p.d. anche se possono esistere casi specifici al di sotto di tale soglia in cui i
concorrenti non sono in grado di limitare in modo effettivo il comportamento di un’impresa
dominante. Un’impresa dominante, tuttavia, potrebbe sempre sostenere che il suo comportamento
è necessario o produce efficienze considerevoli andando a compensare eventuali effetti
anticoncorrenziali sui consumatori, purchè se ne dimostri l’indispensabilità e la proporzionalità
rispetto allo scopo perseguito.
3: una volta accertata l’esistenza di una p.d. è necessario individuare l’esistenza di un abuso ai fini
della possibile dichiarazione di illiceità della stessa. Il 102 elenca una serie non esaustiva di
pratiche abusive consistenti: a) nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di
vendita od altre condizioni di transazione non eque;
b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;
c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni
equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;
d) nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di
prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun
nesso con l'oggetto dei contratti stessi.
L’abuso può quindi consistere in una pluralità di forme specifiche. Fra le più frequenti sono gli
accordi di esclusiva con cui un’impresa dominante può precludere il mercato ai suoi concorrenti
impedendo di vendere ai clienti grazie ad obblighi di acquisto esclusivo o sconti.
Un’atra forma è data dalle vendite abbinate e aggregate. Nel primo caso, i clienti che acquistano
un prodotto (principale) devono acquistarne anche un altro dell’impresa dominante (abbinato); nel
secondo caso, ci si riferisce al modo in cui i prodotti sono offerti dall’impresa dominante e in cui
essa ne fissa il prezzo.
Il comportamento predatorio si verifica quando un’impresa dominante sostiene deliberatamente
perdite o rinuncia a profitti a breve termine per precludere il mercato a uno o più dei suoi
concorrenti reali o potenziali allo scopo di rafforzare o mantenere il suo potere di mercato e
causando quindi un danno ai consumatori. Casi United Brands Company (banane) e Microsoft.
D) Le procedure di controllo della disciplina antitrust
1: con il regolamento 1/2003 è stata introdotta una nuova disciplina basata sul decentramento
della disciplina antitrust; questa modernizza radicalmente il sistema di controllo, che caratterizzava
il R. 17/1962, sostituendo il precedente sistema centralizzato di notificazione preventiva alla
Commissione. Si vuole quindi accrescere il ruolo delle autorità e giurisdizioni nazionali garanti
della concorrenza. La vecchia procedura infatti impediva alla Commissione di concentrarsi sulla
repressione delle infrazioni più gravi ed imponeva ingenti costi alle imprese. Oggi non occorre più
nessuna previa decisione della commissione sia per le intese vietate sia per quelle lecite, che
soddisfano le condizioni di cui al par.3 dell’art. 101 TFUE. Nel primo caso l’onere della prova
incombe sulla parte o autorità che asseriscano l’esistenza della violazione; nel secondo caso esso
spetta all’impresa o associazioni di imprese che affermino il rispetto delle condizioni. La
commissione mantiene comunque un ruolo centrale nelle procedure antitrust anche se opera
meno frequentemente rispetto al passato. Essa attiva la relativa procedura nel pieno
contraddittorio con le imprese interessate in seguito alla denuncia da parte di persone fisiche o
giuridiche che abbiano un legittimo interesse o d’ufficio. La procedura si conclude o con una
lettera di archiviazione o in caso di infrazione degli art. 101 e 102, con una decisione di infrazione
con l’obbligo per le imprese di mettere fine alla stessa. Si può imporre l’adozione di tutti i rimedi
comportamentali e strutturali proporzionati all’infrazione e necessari a farla cessare effettivamente.
Nel caso di sanzioni, queste non possono superare per ciascuna imprese il 10% del fatturato
totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente. La commissione può anche irrogare alle
imprese penalità di mora il cui importo può giungere fino al 5% del fatturato medio giornaliero
realizzato durante l’esercizio sociale precedente per ogni giorno di ritardo dalla data della
decisione. Es. il Tribunale ha inflitto un’ammenda di 860 milioni alla Microsoft. Per mitigare questo
regime sanzionatorio sono stati previsti dei programmi di clemenza diretti a facilitare l’emersione e
l’accertamento dei pericolosi cartelli segreti, con cui si riconosce immunità dalla sanzione o una
riduzione solo all’impresa che per prima denunci il cartello alle autorità di concorrenza, sempre
che queste ultime non lo abbiano già scoperto autonomamente. Questi programmi mirano a
innescare una corsa virtuosa al ravvedimento e alla collaborazione. È chiaro però che chi sia
danneggiato da un’infrazione e voglia conseguire il risarcimento del danno deve comunque essere
in grado di accedere ai documenti relativi ad un procedimento di clemenza riguardante l’autore di
tale infrazione. Spetta però ai giudici nazionali determinare le condizioni alle quali un simile
accesso venga autorizzato o negato, compiendo un bilanciamento tra gli interessi tutelati dall’UE.
Un’altra procedura è quella di transazione, che può essere attivata solo a seguito della fase
istruttoria che abbia rilevato un illecito. Si vogliono abbreviare i tempi del procedimento,
incentivando le parti a rinunciare consapevolmente all’esercizio del diritto di difesa e ad ammettere
la propria responsabilità, in cambio di una riduzione della sanzione pari al 10%. Questi sono
strumenti importanti per applicare il diritto della concorrenza dell’Unione.
2: l’aspetto più interessante del R. 1/2003 è la cooperazione che si instaura tra la Commissione e
le autorità garanti della concorrenza e le giurisdizioni nazionali. Alle autorità vengono attribuiti
poteri decisionali simili a quelli della Commissione con la differenza che in caso di insussistenza
delle condizioni per un divieto esse devono limitarsi a non intervenire. La constatazione
dell’assenza di violazione infatti impedirebbe un successivo intervento della Commissione. Quanto
alle giurisdizioni nazionali, queste hanno il potere di applicare direttamente art.101 e 102. Quindi
queste possono applicare la sanzione di nullità dell’intesa, previa la verifica dell’insussistenza
delle condizioni di deroga fissate al par.1 dell’art.101. Queste quindi svolgono un ruolo
complementare a quello delle autorità garanti della concorrenza degli stati membri. È necessario
in questo sistema uno scambio continuo di informazioni. Le autorità nazionali sono
automaticamente private della loro competenza qualora sia avviato un procedimento da parte
della Commissione. Inoltre le giurisdizioni nazionali e le autorità garanti se si pronunciano su
accordi, decisioni e pratiche già valutate dalla Commissione non possono prendere decisioni in
contrasto con quella della Commissione. In caso di dubbi tuttavia ci si può rivolgere alla corte di
giustizia.
3: con la direttiva 2014/104 l’UE si è dotata di norme comuni, sostanziali e procedurali, per
disciplinare le azioni di risarcimento promosso ai sensi del diritto nazionale per la violazione delle
disposizioni in materia antitrust. Si vuole agevolare l’attore nell’onere a volte complesso di provare
l’esistenza e l’entità del danno derivante dal comportamento anticompetitivo a causa
dell’inaccessibilità dei documenti relativi alle indagini svolte, disponibili unicamente ai colpevoli
dell’illecito e alle autorità antitrust che le hanno condotte. Si prevede pertanto la presunzione salvo
prova contraria che una ristretta categoria di accordi di particolare gravità, i cartelli, siano sempre
fonte di danni generici al mercato. Inoltre, le decisioni definitive delle autorità nazionali che
accertano l’illecito antitrust diventano vincolanti per il giudice ordinario, che dovrà trattarle quale
prova incontestabile dell’illecito, parificandole così a quelle della Commissione. In tema di
divulgazione delle prove, su istanza dell’attore i giudici nazionali potranno ordinare al convenuto o
a terzi la divulgazione delle prove rilevanti. In caso in cui l’infrazione sia compiuta da più imprese
che abbiano agito congiuntamente, queste sono responsabili in solido con la conseguenza che il
danneggiato potrà esigere il pieno risarcimento da ognuna di loro. Infine, gli stati membri devono
prevedere, per tutta la durata del procedimento, una sospensione sino a due anni del termine di
prescrizione previsto per intentare un’azione per il risarcimento del danno. Si viene così a creare
un quadro di maggiore trasparenza e certezza del diritto.
E) Le concentrazioni tra imprese:
1: le concentrazioni configurano situazioni di crescita esterna dell’impresa mediante l’acquisizione
del controllo su nuove attività. Tale risultato potrebbe essere raggiunto anche attraverso un
accordo che si distingue da quanto previsto nel 101, nella misura in cui venga mantenuta o meno
da uno dei soggetti contrattuali la propria indipendenza economica. La concentrazione può
realizzarsi in caso di fusione tra due o più imprese; nel caso si assunzione di controllo di una o più
imprese da parte di uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno un’impresa; nel caso di
costituzione di un’impresa comune da parte di due o più imprese. Tali operazione possono avere
aspetti sia positivi che negativi, ovvero mutamento struttura del mercato per giungere alla nascita
di posizioni dominanti oppure le concentrazioni possono generare riduzioni di costi per le imprese
coinvolte, mediante economie di scala o di varietà, e avere effetti benefici sul mercato. In passato
mancava qualsiasi riferimento a tali pratiche anche perché non si voleva pregiudicare la crescita
dell’industria europea ancora poco competitiva rispetto a quella USA. Poi fu adottato il R. 4064/89
fondato, ai fini del giudizio di liceità di un’operazione di concentrazione, sulla creazione o il
rafforzamento di una posizione dominante, definita tale sulla base di criteri geografici o
merceologici. Fu introdotta la nozione di operazioni di dimensione comunitaria. Ulteriori modifiche
nel 1997; l’obiettivo è quello di non consentire qualsiasi concentrazione che ostacoli una
concorrenza effettiva nel mercato interno o in una sua parte sostanziale. Viene poi adottato il R.
139/2004, che si applica alle concentrazioni per le quali il fatturato totale a livello mondiale
realizzato dall’insieme delle imprese è superiore a 5 miliardi di euro; e il fatturato totale realizzato
individualmente da almeno due imprese è superiore a 250 milioni di euro. Si va a rafforzare il
controllo delle concentrazioni introducendo per esempio il criterio di ostacolo significativo ad una
concorrenza effettiva quale parametro per l’esame delle operazioni di concentrazione e
aumentando le possibilità di rinviare i casi di concentrazione dagli stati membri alla Commissione
e viceversa. Le concentrazioni possono essere orizzontali, quando imprese concorrenti si fondono
o decidono di coordinare unitariamente le loro attività (es. controllo dei pacchetti azionari di
maggioranza). Invece nelle concentrazioni non orizzontali (verticali o conglomerali), fasi
successive del processo produttivo vengono a far capo a un unico centro decisionale. È chiaro
che il rischio per quelle verticali è che l’acquisto del controllo su un’impresa che opera nella stessa
filiera produttiva o commerciale possa facilitare la creazione di barriere all’ingresso a potenziali
concorrenti. Per le concentrazioni conglomerali, esse possono avere rilevanza quando riguardino
più imprese operanti su mercati distinti ma contigui.
2: il procedimento relativo alla concentrazione delle imprese di dimensione comunitaria è avviato
attraverso una comunicazione preventiva di siffatta operazione da parte delle imprese interessate
alla Commissione. L’obbligo di notifica deve concretizzarsi prima della realizzazione della
concentrazione, subito dopo la conclusione dell’accordo, o dell’acquisizione di una partecipazione
di controllo. La notifica è consentita anche prima della conclusione di un accordo vincolante. È
inoltre prevista la possibilità per le persone o imprese interessate di presentare alla Commissione
una pre-notifica, cioè una richiesta motivata di rinvio alle autorità nazionali prima della
presentazione della notifica. Si va così a segnalare alla Commissione che una determinata
concentrazione incide sulla concorrenza nel mercato di un singolo paese dell’Unione. Se entro 15
giorni decorrenti dalla ricezione della richiesta motivata, lo stato in questione non si dichiara
contrario, la Commissione ha 25 giorni per rinviare il caso alle autorità competenti del paese in
questione affinchè sia applicato il relativo ordinamento giuridico in materia di concorrenza. La
stessa procedura si verifica qualora una persona o un’impresa desideri richiamare l’attenzione
della Commissione sugli effetti transfrontalieri che una concentrazione potrebbe avere a livello
europeo. Nei casi complessi tale procedura può durare anche 90 giorni. La commissione potrà o
dichiarare la concentrazione compatibile con il mercato comune, se soddisfa i requisiti richiesti.
Tale decisione può essere revocata se ci siano state indicazioni inesatte da parte di una delle
imprese interessate o qualora siano state ottenute con frode. La commissione può infliggere
ammende in caso di violazione degli obblighi imposti dal regolamento il cui ammontare dipende
dal tipo, gravità e durata dell’infrazione. Anche in questo caso è prevista la penalità di mora
rispetto a vari ritardi nell’adempimento degli obblighi previsti. Dunque questo regime giuridico
appare meno repressivo rispetto a quello previsto per intese e abusi di posizione dominante.
F) Gli aiuti pubblici:
1: Gli aiuti pubblici o di stato svolgono un ruolo di grande rilievo nello sviluppo di un paese,
soprattutto in momenti di crisi economica. Tuttavia tali interventi sono sottoposti a particolare
monitoraggio per via della comprensibile tendenza degli stati ad utilizzare le relative misure per
proteggere alcuni settori produttivi o aziende altrimenti non in grado di competere autonomamente
sul mercato. Proprio per queste ragioni nel sistema WTO le sovvenzioni sono generalmente
vietate. È quindi necessaria una rigorosa limitazione giuridica degli aiuti pubblici anticompetiivi nel
mercato unico europeo e questo controllo è circostanza essenziale della politica di concorrenza a
tutela della libertà di scambio. Tutte queste norme si applicano non solo a imprese private ma
anche imprese pubbliche. La linea di demarcazione tra legittimità e illegittimità degli interventi
pubblici si fonda sulla non semplice qualificazione dell’aiuto di stato; ovvero, un beneficio di
qualsiasi natura che attribuito da un’autorità pubblica alteri l’equilibrio nei rapporti commerciali fra
due o più stati causando un danno rilevante all’economia di un settore produttivo o merceologico.
La compatibilità con il trattato è legata alla capacità di realizzare obiettivi di interesse comune e di
equità o alla correzione di disfunzioni del mercato. Il controllo di tale compatibilità è affidato in
primis alla Commissione.
2: Le politiche economiche UE si basano su un’economia di mercato aperta e in libera
concorrenza e sul mercato interno in uno spirito di leale cooperazione tra Unione e stati membri.
Ne deriva la sanzione d’incompatibilità, in linea di principio, degli aiuti di stato con il mercato
comune, ex art.107 TFUE. Questa incompatibilità si determina qualora essi siano in grado di
incidere sugli scambi interni e produrre l’effetto di falsare o minacciare di falsare la concorrenza,
presupposto fondamentale per l’operatività del divieto. Gli aiuti di esigua entità, de minimis, non
sono considerati nel divieto. Il requisito dell’incidenza sugli scambi e quello dell’effetto distorsivo
sulla concorrenza sono difficilmente scindibili in quanto il secondo viene assorbito dal primo.
Inoltre il controllo della Commissione opera sulla potenziale dannosità e non quindi sull’effettiva
incidenza sul mercato. La corte di giustizia li definisce come tutti quegli interventi disposti da
autorità pubbliche che in varie forme alleviano gli oneri che gravano sul bilancio di un’impresa e
che di conseguenza ne hanno la stessa natura e producono i medesimi effetti. Non rileva quindi la
forma dell’aiuto, poiché la sua erogazione può avvenire sia con legge sia con atto amministrativo o
addirittura un atto di natura privatistica. Bisogna poi definire la nozione di impresa: essa abbraccia
qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta
entità e dalle sue modalità di finanziamento. Non è nemmeno determinate il perseguimento dello
scopo di lucro. Pertanto qualsiasi operatore, pubblico o privato, viene considerato un’impresa
qualora svolga attività economica di offerta di beni o servizi. Altre caratteristiche dell’aiuto sono
l’onerosità del provvedimento a carico del soggetto pubblico e il vantaggio economico per
l’impresa beneficiaria. Le risorse statali sono tutti gli strumenti pecuniari che le autorità pubbliche
possono usare per sostenere le imprese, a prescindere dall’appartenenza al patrimonio dello stato
(es. riduzione tassi di interesse, servizi concessi a prezzi inferiori a quelli di mercato ecc.). Inoltre,
il vantaggio economico può determinarsi anche per via indiretta. È il caso del governo italiano per
l’acquisto o noleggio dei decoder in cui beneficiari diretti erano i consumatori finali e quelli indiretti
le emittenti televisive e i produttori di decoder. Un ulteriore profilo è dato dal carattere selettivo
dell’intervento, nel senso che suo beneficiario non è l’intera economia dello stato membro; non
deve trattarsi di misure generali applicabili a tutte le imprese in tutti i settori economici. La
selettività consiste nel favorire soltanto determinate imprese e produzioni, specifici settori
produttivi, particolari territori, alcune merci ad es. in funzione dell’esportazione.
L’aiuto sottoponibile a controllo si fonda sul criterio VIST che consta di quattro elementi: il
vantaggio economico per l’impresa beneficiaria; l’incidenza sul commercio nel mercato interno; la
selettività o specificità; il trasferimento di risorse pubbliche. Bisogna poi evitare ingiustificate
discriminazioni tra imprese pubbliche e private nell’applicazione delle regole di concorrenza. La
Corte in proposito ha elaborato il criterio dell’investitore privato in economia di mercato, fondato
sulla parità di trattamento tra proprietà pubblica e privata di cui al 345 TFUE. Occorre, in altri
termini, stabilire se nelle medesime circostanze un investitore privato avrebbe effettuato
conferimenti della stessa consistenza, evidenziando la legittimità dell’intervento o meno. Rileva
quindi il rispetto del principio del buon investitore privato operante nelle normali condizioni di
un’economia di mercato. Si tratta di un parametro di valutazione da applicare a tutte le imprese
anche se non si trovano in difficoltà finanziaria. Quello che conta è che la situazione finanziaria
dell’impresa beneficiaria dipenda non dalla forma della messa a disposizione di tale vantaggio ma
dall’importo di cui benefici. È evidente come il rapporto tra stato e imprese pubbliche deve essere
ispirato al principio di trasparenza.
3: l’art.107 vuole contemperare la tutela della concorrenza nel mercato unico e il potere dello stato
di calibrare la propria politica economica secondo una pluralità di interessi. Sono perciò previste
alcune deroghe al principio dell’incompatibilità degli aiuti, i quali possono a volte essere utili per
realizzare obiettivi di comune interesse e correggere alcuni fallimenti del mercato. Una prima
categoria di deroghe, oltre alla liceità attribuita ad ulteriori casi contemplati dai trattati (agricoltura,
trasporti, sicurezza nazionale), attiene agli aiuti compatibili di pieno diritto, a partire da quelli a
carattere sociale concessi ai singoli consumatori, purchè siano accordati senza discriminazioni
determinate dall’origine dei prodotti. In questo caso beneficiario è solo il consumatore finale. Poi
sono previsti aiuti destinati ad ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi
eccezionali. In passato anche previsti aiuti all’economia di alcune regioni della Germania che
risentivano della divisione. Una seconda categoria derogatoria riguarda gli aiuti potenzialmente
compatibili. Questi devono essere autorizzati attraverso una valutazione discrezionale della
Commissione o del Consiglio. Per esempio aiuti a finalità regionale, per favorire lo sviluppo
economico di regione ove il tenore di vita sia anormalmente basso. Altra fattispecie derogatoria
concerne gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune
interesse europeo oppure a porre rimedio a grave turbamento dell’economia di uno stato membro.
Ancora, con Maastricht è stata inserita la deroga relativa agli aiuti destinati a promuovere la
cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della
concorrenza nell’Unione (es. aiuti a produzione cinematografica e televisiva). Infine, sono previste
altre forme di aiuto determinate con decisione del Consiglio su proposta della Commissione. Nella
prassi della Commissione sono state individuati aiuti a finalità regionale, a finalità settoriale e gli
aiuti orizzontali. Questi riguardano misure che possono essere concesse su tutto il territorio
unionale e riguardano più settori. Vige per queste misure una presunzione di compatibilità con le
disposizioni del trattato.
4: le forme di aiuto diverse da queste misure sono sottoposte a una rigorosa procedura di
controllo. Ruolo centrale svolto dalla Commissione, che utilizza per fornire maggiore certezza ai
propri orientamenti lo strumento delle comunicazioni, atti giuridici non contemplati dal trattato ma
ormai costantemente utilizzati in materia per fornire agli interessati i propri criteri interpretativi. Gli
stati membri devono comunicare preventivamente alla Commissione ogni progetto diretto ad
istituire o modificare aiuti che intendono erogare. Tale notifica ex ante non consente quindi
l’esecuzione della misura prima dell’autorizzazione della Commissione; si tratta dell’obbligo di
standstill, in base al quale ogni aiuto è soggetto ad una clausola di sospensione. Il controllo è
quindi condizione legale di efficacia a carattere costitutivo del provvedimento iniziale che istituisce
l’aiuto. La violazione del relativo obbligo determina un vizio dello stesso, che viene considerato
automaticamente illegale. Due obblighi inscindibili per gli stati: quello di preventiva notificazione
dei progetti d’aiuto e quello consistente nel differire l’esecuzione di detti progetti sino a quando
non ci sia stata la pronuncia sulla compatibilità della misura con il mercato unico della
Commissione. Inoltre essa può attivare tale procedura anche a seguito di denunce provenienti da
qualsiasi fonte; ai denuncianti spetta l’onere della prova di essere parti interessate e di avere
quindi interesse legittimo a presentare la denuncia. Una formale revisione della procedura si è
avuta con il R. 734/2013. Esso prevede un intervento esecutivo dell’Unione solo quando la
concessione degli aiuti di stato procura restrizioni o distorsioni rilevanti alla concorrenza nel
mercato interno in diversi stati membri. Inoltre si migliora il trattamento delle denunce e si
garantisce una raccolta di informazioni di mercato efficace e affidabile. I controlli si articolano su
due distinte modalità: una più incisiva per gli aiuti di entità considerevole e con potenziali gravi
effetti distorsivi della concorrenza all’interno del mercato comune; un’altra, più semplificata, per i
casi che hanno effetti limitati sugli scambi tra gli stati membri ed esigue possibilità di provocare
gravi distorsioni concorrenziali. Inoltre, si esentano in blocco determinate categorie di aiuti a basso
potenziale distorsivo. La commissione se al termine della fase preliminare ritiene che un progetto
non sia compatibile con il mercato interno dà inizio alla procedura prevista al par.2 del 108,
indicando nella decisione i motivi che la inducono a nutrire dubbi circa la sua compatibilità col
mercato comune. Lo stato membro e le altre parti interessate entro un mese possono presentare
osservazioni. Il procedimento d’indagine formale si chiude mediante decisione con cui la
Commissione può affermare che il provvedimento notificato non costituisce un aiuto; oppure
ritenere dissipati i dubbi sulla compatibilità del provvedimento notificato con le norme del mercato
unico. Il provvedimento notificato, contenente il progetto di aiuto, non può invece essere messo in
atto se considerato incompatibile con il mercato comune. Prima della decisione definitiva, lo stato
membro può ritirare la notifica dell’aiuto o apportare modifiche ad una misura già notificata ed
approvata.
5: l’adozione da parte dello stato di un nuovo aiuto senza previamente notificarlo o la sua
attuazione in modo abusivo comportano la chiusura della procedura di controllo con un giudizio di
incompatibilità dell’aiuto con il mercato interno. Con la decisione la Commissione impone allo stato
di sopprimere o modificare l’aiuto nel termine da essa fissato. Lo stato dovrà attivare tutte le
misure idonee a recuperare l’aiuto illegittimamente percepito dal beneficiario. L’applicazione delle
connesse procedure nazionali è subordinata alla condizione che esse consentano l’esecuzione
immediata ed effettiva della decisione della Commissione. La soppressione di un aiuto illegittimo
mediante recupero è la logica conseguenza dell’accertamento della sua illegittimità. Con il
recupero dell’aiuto si vuole ripristinare rapidamente la situazione anteriore all’erogazione
eliminando l’effetto distorsivo della concorrenza. Inoltre, l’aiuto deve essere recuperato maggiorato
degli interessi che decorrono dalla data in cui l’aiuto illegale è divenuto disponibile per il
beneficiario fino alla data di recupero. È privo di pertinenza il fatto che lo stato membro abbia
comunicato alla Commissione le difficoltà riscontrate nel recupero di detti aiuti. Lo stesso ricorso di
annullamento presentato dinanzi al Tribunale contro una decisione che ordina il recupero di un
aiuto non ha effetto sospensivo sull’obbligo di dare esecuzione alla stessa. L’unica eccezione
all’obbligo di dare esecuzione alla decisione di recupero riguarda l’esistenza di circostanza
eccezionali da cui si desuma per lo stato l’impossibilità assoluta di dare corretta esecuzione alla
decisione. È il caso della sopravvenienza di difficoltà impreviste o imprevedibili. Tale eccezione
però va interpretata restrittivamente. Quindi questa non opera se lo stato non intraprende alcuna
vera iniziativa presso le imprese interessate al fine di recuperare l’aiuto, e si limita a comunicare
alla Commissione difficoltà giuridiche, politiche o pratiche dell’esecuzione della decisione. Le
imprese beneficiarie hanno spesso fatto riferimento al principio del legittimo affidamento,
invocabile da ogni singolo che si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’amministrazione
abbia suscitato nel medesimo aspettative fondate su informazioni precise, incondizionate e
concordanti provenienti da fonti autorizzate e affidabili; ma la Corte lo ha negato, considerato che
ogni operatore economico ha il dovere di accertarsi della regolarità dell’aiuto erogato mediante
normale diligenza. Tale principio d’altronde potrebbe diventare un ottimo escamotage per gli stati
privando di efficacia l’intera procedura di controllo. L’unico caso in cui può operare il principio di
legittimo affidamento è quando sia un atto della Commissione a far sorgere nel beneficiario di un
aiuto fondate aspettative che l’agevolazione sia concessa in conformità del diritto UE.
La commissione a supporto dell’effettività della sua decisione e di fronte alle resistenze o
inadempienze dello stato, ha titolo per aprire una procedura d’infrazione per ottenerne la
condanna.
6: Nell’ambito del regime di controllo degli aiuti, le competenze del giudice dell’Unione si svolgono
entro limiti ben definiti, individuati nel sindacato di legittimità sulle decisioni della Commissione
attraverso la verifica della presenza di vizi d’irregolarità nella procedura, errore manifesto,
insufficiente motivazione, sviamento di potere, dell’esattezza materiale dei fatti, nonché
dell’assenza di manifesti errori di valutazione e di sviamento di potere. La Corte di giustizia si
occupa dei ricorsi degli stati membri, il Tribunale di quelli delle persone fisiche e giuridiche. Contro
la decisione della Commissione, ogni stato membro e ogni istituzione dell’Unione possono
proporre ricorso in annullamento entro due mesi senza che si producano effetti sospensivi dell’atto
impugnato e fatti salvi i provvedimenti provvisori necessari. La decorrenza del termine rende la
decisione definitiva ed inattaccabile. L’impugnazione da parte dei privati è condizionata
dall’esistenza di un interesse diretto ed individuale rilevabile sia nell’impresa beneficiaria effettiva,
potenziale o mancata, sia nei terzi non beneficiari quali le imprese concorrenti se lese da un
pregiudizio sostanziale. Legittimata potrebbe essere anche un’associazione di categoria. La
decisione del Tribunale è oggetto di eventuale riesame da parte della Corte di giustizia per i soli
motivi concernenti la violazione di norme di diritto, con esclusione di qualsiasi valutazione dei fatti.
Oltre al ricorso in annullamento, può essere proposto un ricorso in carenza, qualora la
Commissione ometta di avviare la procedura in contraddittorio o nell’ipotesi in cui essa non si
pronunci entro un termine ragionevole. Ulteriore potere della Corte è previsto in caso di mancata
esecuzione di una precedente sentenza; essa può determinare sanzioni pecuniarie adeguate per
garantire l’esecuzione più rapida possibile della sentenza inadempiuta.
7: negli adempimenti connessi alla normativa sugli aiuti, si concreta il principio di leale
cooperazione per cui l’Unione e gli stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente
nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati. Tale cooperazione rimane saldamente nei poteri
della Commissione; a differenza di quanto avviene nella disciplina antitrust in cui questo ruolo è
attribuito alle autorità degli stati membri. Va rimarcato poi che il giudice nazionale non ha alcuna
competenza in ordine alla valutazione di compatibilità con l’aiuto. La sua funzione si limita ai casi
in cui l’aiuto sia stato concesso senza rispettare la clausola di sospensione oppure nell’esecuzione
delle decisioni di recupero o ancora in ordine alle domande di risarcimento danni causati dall’aiuto
di stato illegale a concorrenti del beneficiario e terzi. Quindi la Commissione ha competenza
esclusiva di valutazione della compatibilità degli aiuti; i giudici nazionali provvedono alla
salvaguardia dei diritti dei singoli in caso di inadempimento dell’obbligo di previa notifica degli aiuti
di stato alla Commissione. Ad essi è quindi affidato l’esercizio del potere di dichiarare illegittimi gli
aiuti non notificati e di richiederne il recupero sulla valutazione della loro illegalità anche nella
salvaguardia dei diritti delle imprese concorrenti e dei terzi controinteressati. Il giudice nazionale
deve attenersi alle comunicazioni della Commissione nonostante il loro carattere non vincolante?
Formalmente no, ma in realtà il giudice non può non farsi guidare, in materia, dall’istituzione che
costituisce secondo il trattato il dominus del settore. In caso di dubbio, il giudice potrebbe chiedere
chiarimenti alla Commissione sui vari profili interpretativi della misura. I dubbi interpretativi del
giudice interno possono comunque seguire la via generale del ricorso pregiudiziale.
Manca capitolo 6!
1: Nel trattato di Lisbona l’espressione bene culturale è assente nonostante la più ampia nozione
di cultura costituisce insostituibile perno del processo d’integrazione europea. Nel preambolo
invece si afferma che ci si ispira alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa da cui
sono sorti i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della
democrazia, dell’uguaglianza e dello stato di diritto e si desidera intensificare la solidarietà tra i
loro popoli rispettandone la storia, la cultura e le tradizioni. Negli art. 3 TUE, 167 TFUE e 22 Carta
di Nizza la maggiore attenzione è diretta al processo culturale in cui il pluralismo delle realtà
culturali europee esprime la ricchezza dell’intero progetto. Un riferimento più specifico ai beni
materiale e immateriali si rileva nell’art.167 TFUE che parla di patrimonio culturale di importanza
europea. Bisogna innanzitutto ricordare il contesto normativo internazionale in cui si è espressa la
nozione di bene culturale.
2: Nel diritto internazionale viene superata la tradizionale impostazione statalistica della protezione
dei bene culturali per lasciare posto alla nozione unitaria di patrimonio comune dell’umanità. I beni
culturali sono sempre beni pubblici in relazione alla loro funzione; infatti, sono diretti a consentirne
la fruizione ed il godimento delle persone della Comunità Internazionale. La Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo del 1948 rappresenta un vero spartiacque tra due epoche,
designando una Comunità Internazionale in grado di esprimere progressivamente forme e
modalità di organizzazione sovrannazionale su scala sia universale che regionale. (Vedere art.18,
22, 27). Con la Convenzione istitutiva dell’UNESCO del 1945 il bene culturale diviene oggetto
suscettibile di specifica normativa internazionale. È cruciale il collegamento alla sua funzione e al
suo valore quale espressione di cultura; diritto al bene culturale come vero e proprio diritto umano
fondamentale. Il b.c. è patrimonio che travalica spazio e tempo, appartiene a ciascuno e a tutti e
ogni generazione ha il dovere di trasmetterlo integro a quelle future. Il degrado o la perdita di un
bene del patrimonio culturale costituisce un impoverimento nefasto del patrimonio di tutti i popoli
del mondo. Vi è dunque il dovere dell’intera Comunità Internazionale di cooperazione.
3: In tempo di guerra la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato
del 1954 parla di attentati al patrimonio culturale dell’umanità intera, prevedendo un vero e proprio
obbligo per gli stati di perseguire i responsabili con sanzioni penali e disciplinari. Sorgono così
obblighi erga omnes posti a tutela di un interesse generale in ottica solidaristica. Nel primo
protocollo addizionale del 1977 viene considerato come crimine di guerra il fatto di dirigere
intenzionalmente un attacco contro monumenti storici, opere d’arte, luoghi di culto chiaramente
riconosciuti. Il secondo protocollo del 1999 stabilisce che queste norme si applichino anche ai
conflitti armati interni e istituisce un sistema di protezione rafforzata per beni culturali con le
seguenti caratteristiche: che siano patrimonio culturale della massima importanza per l’umanità;
siano protetti da adeguate misure giuridiche e amministrative nazionali; non siano usati per scopi
militari o per proteggere siti militari.
4: Il dovere di cooperazione serve a prevenire e reprimere il traffico illecito di beni culturali in
tempo di pace. Con la convenzione Unidroit sul ritorno dei beni culturali rubati o illecitamente
esportati viene giuridicizzato il convincimento che ogni paese ha il diritto di conservare i propri
beni culturali, i quali fanno parte della propria identità culturale e non possono essere confusi e
trattati alla stregua di normali beni mobili. Il b.c. costituisce testimonianza materiale di civiltà e
come tale acquisisce una dimensione pubblicistica.
5: Per quanto riguarda i b.c. immateriali (linguaggio, arti, consuetudini sociali, riti, tradizioni) nella
Convenzione Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 2003 è prevista
la lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale. Questi vengono equiparati ai b.c.
materiali; tutti infatti concorrono, pur nella loro identità plurale, a formare il patrimonio culturale
dell’umanità considerata la profonda interdipendenza fra il patrimonio culturale immateriale e il
patrimonio culturale materiale e i beni naturali.
6: Il problema della salvaguardia del patrimonio culturale immateriale è strettamente connesso al
tema della diversità culturale. Ci sono infatti diverse espressioni artistiche, letterarie, musicali,
teatrali delle varie comunità sociali. Tale tutela è diretta alla garanzia di una convivenza pacifica
tra i diversi gruppi sociali che producono le diverse forme di beni culturali immateriali. È
necessario proteggere e promuovere l’interculturalità, ovvero l’interazione tra le diverse culture
attraverso il dialogo ed il rispetto reciproco. La diversità culturale è fonte di grande ricchezza per
gli individui e le società, una condizione per uno sviluppo sostenibile a beneficio delle generazioni
presenti e future. Nell’epoca della globalizzazione, la salvaguardia del pluralismo delle identità
culturali diviene compito fondamentale della Comunità Internazionale. L’identità però non deve
trasformarsi in nazionalismo, vedendo nelle altre culture spettri di contaminazione. La
comprensione e il dialogo consentono la conoscenza e quindi l’interdipendenza dei b.c. in grado
così di assumere una destinazione universale. Il confronto tra i popoli e i rapporti economici
assumono valenza di pace e solidità solo se si realizzano attraverso i b.c. i quali sono un collante
robusto se utilizzati con il linguaggio della comprensione e della tolleranza. La tolleranza è ciò che
rende la pace possibile. Senza tolleranza non può esserci pace, e senza pace non vi è sviluppo o
democrazia.
7: Il processo di integrazione europea non poteva certo trascurare la più alta espressione delle
molteplici espressioni della cultura. Tuttavia solo a partire da Maastricht 1992 la cultura entra
formalmente tra le competenze dell’Unione. L’espressione b.c., come già detto, non compare in
nessuna disposizione dei trattati. Comunque l’art.3 TUE prevede che si vigili sulla salvaguardia e
sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo. Il modello europeo costituisce esempio unico di
coesistenza fra culture differenti ma al contempo affini. Nell’ottica dell’integrazione i singoli
patrimoni nazionali costituiscono una rete diretta ad evidenziare un carattere dell’identità europea.
È prevista apposita deroga al divieto degli aiuti di stato nell’art.107 TFUE, sono compatibili con il
mercato interno quelli destinati alla cultura e alla conservazione del patrimonio. Inoltre l’Unione
mette a disposizione enormi risorse finanziarie a sostegno delle politiche culturali tramite i già citati
Programmi. È stato anche istituito un marchio del patrimonio europeo con cui si vuole mettere in
evidenza i siti eminenti della storia, della cultura e dell’integrazione europea al fine di rafforzare il
senso di appartenenza dei cittadini nonché aiutare il dialogo tra le culture. Si possono candidare
monumenti, siti naturali, archeologici, i luoghi della memoria, i beni culturali che posseggano
almeno uno fra i seguenti requisiti: la portata europea della candidatura; l’avere svolto un ruolo
nella storia e nell’integrazione europea; ruolo nello sviluppo e nella promozione dei valori comuni
su cui si fonda l’Unione. La preselezione è affidata agli stati membri che possono scegliere un
massimo di due siti ogni due anni. L’elenco viene poi sottoposto ad un panel europeo di esperti
indipendenti; in base alle raccomandazioni del panel, la Commissione europea designa i siti che
otterranno il marchio.
8: I profili strettamente economici restano comunque prioritari nell’attuale fase dell’integrazione
europea. È quindi comprensibile che una più ampia disciplina sia dedicata ai beni culturali mobili
nell’ottica di conciliare la libera circolazione delle merci con le esigenze di protezione dei beni di
valore artistico, storico o archeologico. L’esportazione di b.c. al di fuori del territorio dell’Unione è
soggetta alla presentazione di una licenza di esportazione rilasciata dall’autorità competente dello
stato membro ed è valida in tutta l’Unione. Ulteriore oggetto di disciplina giuridica è il problema
delle restituzioni dei b.c. usciti illegalmente dal territorio di uno stato membro, disciplinato dalla
direttiva 93/7 che riguarda i b.c. classificati come patrimonio artistico, storico e archeologico
nazionale. La restituzione deve avvenire se il bene sia stato trasferito all’interno dell’Unione ed
anche ove sia stato esportato verso un paese terzo e successivamente importato in altro paese
membro. Spetta alle autorità centrali di ogni stato il compito di cooperare e favorire la
consultazione con le autorità competenti degli altri paesi membri per garantire la restituzione di un
bene culturale. In caso di restituzione, il possessore ha diritto ad un equo indennizzo, sempre che
dimostri di aver usato la dovuta diligenza in occasione dell’acquisto. Tale indennità deve essere
pagata dal paese, il quale può rivalersi sulle persone responsabili dell’uscita illegale. Questa
direttiva ha però mostrato negli anni una serie di debolezze. È stata poi approvata la direttiva
2014/60 che ha ampliato l’ambito di applicazione a qualsiasi bene culturale classificato da uno
stato membro quale patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale. È stato poi esteso da
due a sei mesi il termine entro il quale lo stato membro deve verificare se il bene costituisce un
b.c.. Infine è portato da uno a tre anni il termine entro il quale uno stato membro può chiedere al
giudice competente di altro stato membro la restituzione del bene uscito illegalmente dal proprio
territorio e ritrovato in quello di detto stato.
9: Tra le attività del Consiglio d’Europa va segnalato che fra i primi strumenti convenzionali
adottati c’è la Convenzione culturale europea del 1954. Essa segna l’avvio della cooperazione a
tutela del patrimonio culturale comune. Poi importanti sono la Convenzione di Londra del 1969
sulla protezione del patrimonio archeologico e la Convenzione di Granada del 1985 sulla
salvaguardia del patrimonio architettonico. Una particolare segnalazione merita la Convenzione
europea del paesaggio del 2000 con cui per la prima volta a livello internazionale compare uno
strumento interamente dedicato al paesaggio inteso in senso globale. Il paesaggio è considerato
come determinata parte di territorio il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e
dalle loro interrelazioni e la componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni,
espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale, nonché fondamento
della loro identità. La Convenzione si applica a tutto il territorio degli stati membri e riguarda gli
spazi naturali, rurali e urbani. Essa comprende i paesaggi terrestri, le acque interne e marine. La
maggiore novità è che il paesaggio è rappresentato come bene. L’obiettivo della Convenzione è
quello di far recepire alle amministrazioni locali, nazionali e internazionali provvedimenti e politiche
che sostengano il paesaggio con operazioni di salvaguardia, gestione e pianificazione dello stesso
per migliorare la qualità della vita delle popolazioni.
10: Più recentemente il Consiglio d’Europa ha prodotto la Convenzione di Faro del 2005 sul valore
del patrimonio culturale per la società. Si focalizza l’attenzione sulle persone, sul loro rapporto con
l’ambiente e sulla loro partecipazione attiva al processo di riconoscimento dei valori culturali. Il
patrimonio è fondamentale risorsa in una visione di sviluppo sostenibile e di promozione della
diversità culturale per la costruzione di una società pacifica e democratica. Il valore del patrimonio
culturale è misurato anche attraverso l’efficacia del suo contributo allo sviluppo umano e al
miglioramento della qualità della vita. Nel patrimonio è inclusa anche la dimensione paesaggistica.
Il patrimonio culturale viene quindi definito attraverso il suo legame con le comunità che passano
da mere consumatrici a produttrici del patrimonio stesso. Per la prima volta è poi inserita la
nozione di patrimonio comune d’Europa. Esso consiste in tutte le forme di patrimonio culturale che
costituiscono fonte condivisa di ricordo, comprensione, identità e creatività; e gli ideali, principi e
valori che promuovono lo sviluppo di una società pacifica e stabile, fondata sul rispetto dei diritti
dell’uomo, della democrazia e dello stato di diritto.
11: Tutti questi atti giuridici adottati nel secolo scorso dalla Comunità Internazionale paiono
progressivamente qualificare il diritto alla tutela, valorizzazione e fruizione dei b.c. come un diritto
umano fondamentale. Dunque ogni persona esercita un diritto individuale internazionalmente
riconosciuto alla tutela e alla protezione dei b.c. Ciascuno deve essere messo nelle condizioni di
veder preservato il patrimonio culturale, materiale e immateriale, che è parte della propria identità
storica e di poter accedere alla piena fruizione e comprensione dello stesso per divenirne parte
integrante. Le generazioni presenti dovranno assicurare la preservazione della diversità culturale
dell’umanità. Le generazioni presenti hanno la responsabilità di identificare, proteggere e
conservare il patrimonio culturale e di trasmetterlo alle generazioni future. La cultura è l’essenziale
condizione per un autentico sviluppo. Allora la nuova Comunità Internazionale deve assumersi il
compito e la responsabilità di costruire una società in grado di salvaguardare popoli e persone. Un
ordinamento internazionale che assumesse il diritto fondamentale ai b.c. quale perno e guida dei
propri contenuti sarebbe finalmente in grado di elaborare un diritto internazionale dal volto umano,
un diritto della pace e non più della guerra.