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QUANDO IL FASCISMO SI COLORA DI ROSSO

di Archivio Antifascista Venezia

Premessa

Si racconta che una volta Jack Kerouac presentò una sorta di programma politico-culturale della Beat
Generation che parlava della "volontà che unisce i nostri gruppi e che ci fa comprendere che gli uomini e le
donne devono apprendere il sentimento comunitario al fine di difendersi contro lo spirito di classe, la lotta delle
classi, l'odio di classe!" e che si concludeva con l'auspicio "Noi andiamo a vivere presto in comune la nostra vita
e la nostra rivoluzione! Una vita comunitaria per la pace, per la prosperità spirituale, per il socialismo".
Il pubblico composto da "alternativi" di sinistra ne fu entusiasta ma si raggelò subito apprendendo di aver
applaudito un discorso pronunciato da Adolf Hitler al Reichstag nel 1937.
Di simili provocazioni ci sarebbe ancora bisogno.
In tempi in cui molte cose si confondono, trascolorano e sembrano sempre più assumere contorni incerti, mentre
in politica la destra gioca la carta dello sfondamento a sinistra -emblematica l'affermazione elettorale del partito
nazional-populista di Haider quale primo "partito operaio" austriaco- e i partiti che si richiamano alla sinistra
rincorrono la destra per accreditarsi davanti ad un indistinto elettorato quale garanzia d'ordine, annullando in
questo modo la loro identità legata all'idea stessa di liberazione sociale, tutto si presenta come paralizzante
quanto sfuggente complessità e di conseguenza constatiamo, come sostiene un attento osservatore di tali
implicazioni, di non essere "più in grado di sorvegliare con attenzione la realtà"[1].
In un presente in cui è possibile riscrivere la storia, ossia la memoria della società, capovolgendo ruoli e parti,
col rischio di dover rivivere un passato che troppo in fretta era stato lasciato alle spalle, sta passando quasi
inosservata la ricomparsa di un fascismo rivoluzionario che, in contrapposizione anche con la destra borghese e
nostalgica, mantiene le sue radici nelle componenti più radicali dei movimenti nazionalisti che portarono al
potere Mussolini ed Hitler per poi finire da questi liquidate in quanto ormai incompatibili con il regime, e
riprende le esperienze teoriche e organizzative che tra gli anni `60 e `70 cercarono di ritrovare la rotta e nuove
sponde tra i marosi della ribellione sociale.
Anche se per il momento, il ritorno sulle scene europee di queste componenti variamente connotate come
nazionalrivoluzionarie, nazionalcomuniste o nazionalcomunitariste non sembra avere la forza per determinare
rilevanti cambiamenti negli attuali rapporti sociali, è altrettanto vero che queste avvertono il favorevole mutarsi
della situazione internazionale; da un lato infatti la prospettiva della Nazione Europea, da loro da sempre
auspicata ed intesa soprattutto come potenza economica-militare, è ormai un "luogo comune" che appartiene in
modo trasversale sia alla destra che alla sinistra politica ma, allo stesso tempo, questa comporta l'apertura di
nuovi conflitti per l'egemonia tra le varie nazioni e i diversi gruppi economici, così come si assiste ad
un'accelerazione delle tensioni tra gli Stati facenti parte dell'Unione Europea e gli USA che rendono tutt'altro che
stabile il tanto celebrato nuovo ordine mondiale seguito alla caduta dei regimi dell'Est.
In questo contesto infatti, la Germania "unificata" è tornata a giocare un ruolo centrale quale principale potenza
della Mitteleuropa con la missione storica di mantenere la coesione interna del Vecchio Continente;
contemporaneamente, la dissoluzione dell'Unione Sovietica e l'impetuosa ripresa del nazionalismo russo
permettono di immaginare la realizzazione di uno spazio geopolitico euro-asiatico così come avrebbero voluto i
nazionalbolscevichi tedeschi negli anni Trenta e come venne teorizzato nel dopoguerra da Jean Thiriart che, per
fondare il movimento di Jeune Europe poté contare anche su non trascurabili finanziamenti tedeschi.
Difficile prevedere quali sviluppi futuri e quali margini d'azione politica sullo scacchiere internazionale potranno
aprirsi per questa variante del fascismo che, sotto vario nome e con ogni mezzo necessario, persegue l'obiettivo
di un nuovo ordine europeo non lontano da quello prefigurato negli originali piani di dominio del Terzo Reich;
ma poichè la penetrazione ideologica e culturale, mirante a sostituire l'identità di classe con il mito della
comunità di "sangue e suolo" e a soffocare nel nazionalismo ogni ipotesi di liberazione sociale, è la condizione
necessaria per imporre nuove gerarchie e immutate logiche di sfruttamento, è più che mai necessario sviluppare
l'opposizione antiautoritaria e anticapitalista anche attraverso la ricerca storica e persino l'analisi filologica.
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Se dopo la loro lettura troverete queste pagine allarmanti, il loro intento potrà considerarsi almeno parzialmente
raggiunto.

IL PARADOSSO DELLA CONTRORIVOLUZIONE


La destra deve diventare sempre più di sinistra.
(Roberta Angelilli, già simpatizzante di Terza Posizione attualmente eurodeputata di Alleanza Nazionale)

Il panorama storico e politico del neofascismo è senz'altro complesso e per certi aspetti contraddittorio: vi sono
forze che siedono in parlamento ed altre extraparlamentari, si trovano gruppi che si dichiarano tradizionalisti,
altri che si professano rivoluzionari e vi sono persino quelli che si definiscono rivoluzionari conservatori o
"anarchici di destra"; alcune formazioni si rifanno ai fascismi e altre al nazismo; alcuni settori si accreditano
come strenui difensori dei valori cattolici, altri si dichiarano filoislamici, altri ancora sono attraversati
dall'esoterismo e vi sono pure quelli che parlano il linguaggio della New o della Next Age.
Premesso questo non deve sorprendere quindi il fatto che vi siano settori a cui va stretto l'abito della destra e che
conseguentemente affermano di collocarsi "oltre la destra e la sinistra", oppure che affermano persino di ritenersi
una componente storica del movimento operaio.
Emblematico a tal riguardo quando scritto solo pochi anni fa da un militante nazional-comunista:

Il fascismo italiano, quello nato come movimento il 23 marzo del 1919 a Milano, è una costola del
pensiero marxista. Esso riconosce l'esattezza delle teorie marxiste del plusvalore, che pensa di
restituire ai proletari socializzando le imprese. Esso però respinge l'internazionalismo proletario,
naufragato con lo scoppio della prima guerra mondiale, e vuole unire alla lotta sociale quell'Italia,
nazione proletaria, contro le potenze plutocratiche allora come oggi padroni del mondo. Esistono
varie tendenze in seno al marxismi: stalinisti, maoisti, operaisti, economicisti ecc. (...) Aggiungete
dunque i fascisti tra queste tendenze[2].

Nel più recente passato in Italia si sono peraltro registrati precedenti di questo tipo: basti pensare ai "nazi-
maoisti" e a Lotta di Popolo; alle teorizzazioni nazional-popolari di Franco Freda e Paolo Signorelli negli anni
'70; all'attività clandestina di gruppi quali i Nuclei Armati Rivoluzionari, Terza Posizione e Costruiamo l'azione
che, a cavallo degli anni '70 e '80, pur con impostazioni ideologiche diverse riprendevano almeno parte delle
posizioni teoriche del fascismo più radicale.

Prima vedevo -dirà Valerio Fioravanti, uno dei fondatori dei NAR- che vi erano tre forze che si
contrapponevano, e cioè i fascisti, i comunisti e lo Stato democratico, ritenevo che noi fascisti
dovessimo appoggiare lo Stato democratico contro i comunisti per poi affrontare il vincitore dello
scontro che sarebbe risultato indebolito. In seguito risultò molto più logico il contrario, e cioè
appoggiare i comunisti contro lo Stato democratico; (...) questo sia per una minor fiducia nei
fascisti, sia per una rivalutazione degli schemi rivoluzionari marxisti-leninisti [3].

Tutto questo può apparire soltanto un gioco di mascheramenti oppure l'espressione marginale di un ribellismo
inclassificabile; la questione invece è assai più seria e basta infatti conoscere un po' di storia per sapere che il
termine nazista era semplicemente la contrazione dell'aggettivo nazional-socialista scelto da Hitler per il suo
partito, così come aveva voluto la bandiera rossa quale sfondo per la svastica nera su cerchio bianco in quanto
doveva rappresentare "l'idea sociale del movimento" [4].

ALLA SINISTRA DI HITLER

La definizione che abbiamo dato del fascismo come rivoluzione di destra resta in sostanza comune a tutte le sue varianti.
(George L. Mosse) [5]

Il termine "nazionalbolscevismo" comparve per la prima volta in un opuscolo dal titolo omonimo, pubblicato
dopo la Prima Guerra Mondiale in Germania, scritto da un accademico di destra, tale Eltzbacher, che di fronte
alle sanzioni economiche e all'occupazione militare degli Alleati vittoriosi auspicava una Germania
bolscevizzata. Nel biennio 1919 - '20, i comunisti Wolffheim e Laufenberg ripresero queste teorizzazioni,
richiamandosi alle tesi di W. Rathenau per la "resistenza armata" di tutto il popolo contro l'imperialismo e,
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implicitamente, alle classiche tesi fichtiane sullo "Stato corporativo chiuso", battendosi per la collaborazione tra
"nazionalisti rivoluzionari" e Partito comunista, sia contro i capitalisti che contro la socialdemocrazia [6].
Secondo numerosi storici, soprattutto di scuola liberale, tale convergenza tra "opposti estremismi" contro la
democrazia non solo vide in seguito la luce ma fu la causa della morte della Repubblica di Weimar e, a supporto
di tale tesi si citano come prove il referendum contro il governo prussiano retto dal socialdemocratico Otto
Braun e lo sciopero dei trasporti pubblici di Berlino con la strana intesa tra le "camicie brune" delle SA
(Sturmabteilung) e la Lega dei combattenti del Fronte Rosso; in realtà però tale visione non tiene conto della
guerra civile combattuta strada per strada dai militanti comunisti del K.P.D., assieme agli anarcosindacalisti della
F.A.U. (Freie Arbeiter Union) e a settori operai socialdemocratici, contro le squadre naziste. Le responsabilità
della sinistra social-comunista tedesca furono semmai altre, a partire dal fallimentare progetto di costruzione di
un socialismo di Stato, in grado di eliminare le contraddizioni tra Capitale e Lavoro, fatto proprio dai nazisti e
poi usato da Hitler nella costruzione del suo Stato totalitario; inoltre rimane un'ombra inquietante la connivenza
di buona parte della sinistra tedesca di fronte al montante antisemitismo.
La questione centrale resta però in gran parte da indagare e riguarda l'identità "anticapitalista" e "antiborghese"
che la propaganda nazionalsocialista seppe costruire attorno al suo effettivo ruolo reazionario e antiproletario,
affermandosi anche in settori decisamente popolari; sovente infatti si tende a dimenticare che le prime SA
fondate nel '21 erano composte da operai, disoccupati e sottoproletari, e che i veri artefici dell'affermazione
nazista nelle roccaforti operaie di Amburgo, Berlino e Lipsia furono dei "filosovietici" come i fratelli Strasser[7]
assieme all'organizzazione delle cellule di fabbrica nazionalsocialiste (NSBO) di Reinhold Muchow [8].
Se si considerano le ricerche statistiche riguardanti la composizione sociale degli elettori del Partito Nazista, dei
suoi iscritti e dei membri delle SA c'è di che rimanere allibiti; bastino solo alcune cifre: gli operai dequalificati
costituivano tra il '25 e il '33 la categoria sociale più numerosa tra i membri del NSDAP (ossia del Partito
Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori) e il 62% circa degli squadristi SA erano lavoratori industriali e
agricoli [9].
L'estrazione popolare e proletaria di buona parte delle SA, assieme all'estremismo socialista di alcuni suoi
comandanti legati a Gregor Strasser, tra l'altro determinarono tra il dicembre `32 e il gennaio `33 autentici casi di
rivolta contro la direzione politica imposta da Hitler; nella Franconia Centrale buona parte delle 6/7.000
"camicie brune" sotto la guida del loro comandante Wilhelm Stegmann costituirono un'organizzazione
paramilitare indipendente affermando che le SA dovevano smettere di essere soltanto i "vigili del fuoco" o le
"guardie di palazzo". Analoga sedizione si registrò in Assia e a Berlino vi furono scontri tra SA e SS. Inoltre "in
diverse parti del paese membri delle SA delusi passarono ai comunisti, che li arruolarono prontamente nei propri
reparti paramilitari" [10].
La corrente "anticapitalista" del nazismo fu molto forte sino ai primi anni Trenta e, oltre che all'interno di ampi
settori delle SA, la sua influenza era avvertibile a diversi livelli della società tedesca.
Nel `33 il presidente dell'Alta Slesia, Bruckner, attaccò con forza i grandi industriali "la cui vita è una continua
provocazione". A Berlino, tale Koeler, della Federazione operaia nazista, ebbe a dichiarare: "Il capitalismo si
arroga il diritto esclusivo di dare lavoro alle condizioni da lui medesimo stabilite. Questo dominio è immorale e
dobbiamo spezzarlo", mentre Kube, capo del gruppo nazista al Landtag prussiano, se la prendeva con i
latifondisti ed il governo sollecitando la riforma agraria mediante la confisca prevista dal programma del partito.
Da tempo ormai però il führer aveva deciso altrimenti incaricando il principale capitalista tedesco, Krupp von
Bohlen, della riorganizzazione dell'industria tedesca, mentre il Consiglio generale dell'economia risultava
composto da 17 membri, comprendenti tutti i maggiori industriali e i più importanti banchieri della nazione che
avevano appoggiato la controrivoluzione nazista.
Dopo la conquista del potere Hitler, ormai Cancelliere del Reich, avviò pertanto un'opera di spietata
normalizzazione interna al fine di "mantenere l'ordine nelle strutture economiche (...) secondo le leggi originarie
radicate nell'umana natura"; l'apice di tale stabilizzazione venne raggiunto il 30 giugno 1934 durante "La Notte
dei Lunghi Coltelli", quando vennero sterminati un certo numero di politici conservatori scomodi, personalità
cattoliche e militari dissidenti, assieme alla "sinistra" del nazionalsocialismo facente capo al capi delle SA di
Roehm, e a settori di destra, capeggiati dall'ex-cancelliere generale von Schleicher, che tramavano contro Hitler
utilizzando tatticamente anche la corrente "rossa" del Partito nazista che si riconosceva in Gregor Strasser; ma il
senso principale del massacro fu quello descritto con precisione da Julius Evola:

Fra le SA, le Camicie Brune, il cui capo era Ernst Roehm, si era fatta largo l'idea di una "seconda
rivoluzione" o di un secondo tempo della rivoluzione; si denunciava il sussistere nel Reich di gruppi
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"reazionari", che erano quelli della Destra, e una combutta di Hitler coi "baroni dell'esercito e
dell'industria" (...) Ebbene, il 30 giugno 1934 valse essenzialmente come lo stroncamento di questa
corrente radicalista del partito e di un suo supposto complotto [11].

D'altra parte fu lo stesso Hitler, durante il discorso pronunciato al Reichstag il 13 luglio seguente, ad assumersi
la responsabilità di "giustiziere supremo del popolo tedesco" e a rivendicare la legittimità delle centinaia di
assassini compiuti dalle SS e dalla Gestapo che in questo modo avevano sventato una "rivoluzione
nazionalbolscevica" [12].
Sul finire del `34 e ai primi del `35 circa centocinquanta comandanti delle SS furono trovati uccisi; sui loro
cadaveri un cartoncino con le lettere R.R. per Roehms Rächer (Vendicatori di Roehm) farebbe pensare ad
un'estrema vendetta dei nazisti ormai nemici di Hitler; ma ormai per il Fronte Nero, per Opposizione e per gli
altri gruppi della Rivoluzione Conservatrice, su posizioni diverse ma accomunati dalla visione secondo cui
Germania e Unione Sovietica avrebbero dovuto dare vita ad un'alleanza anticapitalista in funzione anti-
Occidente, non rimaneva che scomparire in attesa di momenti più propizi che si sarebbero presentati sul finire
della Seconda Guerra Mondiale.
Interessante peraltro notare che anche una parte del fascismo russo avrebbe maturato simili convinzioni,
giungendo ad affermare che "le aspirazioni nazionali della Russia si sono espresse nell'azione del Partito
comunista e dei suoi dirigenti" e ritenendo che lo stalinismo avesse finito per riflettere le loro idee [13].
Il destino dei sospetti nazionalbolscevichi tedeschi, schedati e perseguitati dalla Gestapo [14], fu in alcuni casi
quello dell'eliminazione fisica o della deportazione nei lager [15], tanto che sono stati definiti come i "trotzkisti"
del nazionalsocialismo; ma così come difficilmente si può negare che Trotzky sia stato un comunista per il fatto
che venne fatto assassinare da Stalin, altrettanto difficilmente si può negare che i nazionalbolscevichi siano stati
solo la "sinistra" del movimento nazista e, paradossalmente, lo stesso Hitler fu a modo suo "nazionalbolscevico"
quando nel `39 Ribbentrop e Molotov firmarono l'infame patto di non-aggressione tra Germania ed URSS.

L'EREDITA' POLITICA DI J. THIRIART


Quando la vittoria non toccasse al Tripartito, i più dei fascisti veri che scampassero al flagello passerebbero al comunismo,
con esso farebbero blocco. Sarebbe allora varcato il fosso che separa le due rivoluzioni.
(P. Drieu La Rochelle, "Italia e Civiltà", 23.5.1944)

Negli ultimi anni, dopo la sua rifondazione, è tornato a far parlare di sé il ]Partito Comunitario Nazional-
europeo (PCN), costituendo un punto di riferimento sia teorico che organizzativo anche per i
nazionalcomunitaristi italiani che, dopo aver chiuso la loro esperienza come tendenza più o meno interna al
Fronte Nazionale di A.Tilgher, hanno costruito precisi rapporti con questo partito tanto che è andata formandosi
una "Rete di lingua italiana" ad esso collegata che pubblica "Nazione Europa", ossia la versione italiana della
testata storica del PCN "La Nation Européenne".
Le origini del PCN sono abbastanza note. All'inizio degli anni '60 ebbe una certa notorietà l'organizzazione
Jeune Europe con la sua omonima rivista, entrambe fondate e dirette dal belga Jean-François Thiriart (noto
anche con il nome di Jean Tisch), che andò sviluppandosi sino a contare undici sezioni europee, tra cui quella
italiana che fu tra le più consistenti e durature [16].
Ma chi era questo Jean Thiriart, già facente parte degli Amis du Grand Reich Allemand, che affermava di essere
disposto anche ad "allearsi col diavolo" e che per riferimenti storici aveva Federico II di Prussia e Stalin? E chi
erano i militanti di Jeune Europe che lui stesso definì come "i cavalieri dell'Apocalisse, gli uomini di una
situazione disperata"?
Nato a Liegi da una famiglia di tradizioni liberali, secondo i suoi biografi[17], Thiriart aderì in un primo tempo
alla Jeune Garde Socialiste e al Partito Comunista, ma con lo scoppio del Secondo Conflitto Mondiale e
l'occupazione tedesca entrò a far parte del Fichte Bund, una formazione legata al movimento nazionalbolscevico
di Wolfheim e Laufenberg, arruolandosi poi volontario nelle SS; processato e condannato a morte per
collaborazionismo fu quindi graziato e divenne imprenditore nel settore ottico.
Nel dopoguerra Thiriart fu tra i fondatori del Movement d'Action Civique di cui nel `60 divenne il principale
dirigente assieme al dott. Paul Teichmann; pur respingendo la definizione di fascista il MAC assunse subito
come proprio simbolo la croce celtica del movimento francese Jeune Nation e risultò essere, secondo lo studioso
Michel Géoris-Reitshof, "l'unico movimento fascista serio e organizzato".[18] Il suo organo di stampa si
chiamava "Nation Belgique" e proprio sulle sue pagine Thiriart, grazie all'apporto teorico di Henri Moreau, ex-
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socialista e antisemita, mutilato di guerra per aver combattuto in Russia con le Waffen-SS, cominciò a teorizzare
il "comunitarismo" come superamento del fascismo uscito dal conflitto mondiale. Forte della credibilità
acquisita in patria Thiriart si candidò, con la sua formazione, alla direzione del neofascismo europeo e, potendo
contare su consistenti finanziamenti da parte della Union Miniére belga e della finanziaria tedesca Misereor,
fondò Jeune Europe lanciando nel giugno `62 un Manifesto alla Nazione Europea che, significatamente, s'apriva
con lo slogan "Né Mosca né Washington" e in cui si faceva appello alla costruzione di "una grande patria
comune, una Europa unitaria, potente, comunitarista", "contro la partitocrazia, per la preminenza dell'individuo
sul termitaio, perchè l'Africa resti all'Europa".[19] Tra le prime iniziative politiche di Jeune Europe vi fu
l'appoggio incondizionato al regime portoghese impegnato in Angola e in Mozambico contro la guerriglia
anticolonialista, appoggio che Lisbona avrebbe ricambiato con generosi finanziamenti.
In breve tempo l'esperienza di Jeune Europe, quale "organizzazione per la formazione di un quadro politico"
cosÏ come amava definirsi, si rivelò molto importante rappresentando il tentativo più avanzato del neo-fascismo
europeo di uscire dalle posizioni nostalgiche e di mettersi in gioco all'interno dei sommovimenti politici, sociali
e culturali dell'epoca, recuperando sia parte dell'eredità storica del "nazionalbolscevismo" tedesco che le teorie di
D. La Rochelle e E. Malynski.
La critica del "mondialismo", successivamente sviluppata da Alain de Benoist e quindi oggi fatta propria da
quasi tutta la destra, ha proprio in Thiriart il primo teorico che, fin dai primissimi anni `60, aveva definito il
"mondialismo" come

espressione delle scadute concezioni dell'ideologia liberalborghese e dei suoi derivati che, partendo
dalla considerazione che gli uomini sono uguali, ritengono che sia possibile stabilire delle regole
generali, applicabili a tutti e in tutti i tempi [20].

In verità dal 1960 al `62, l'organizzazione si prestò a fornire appoggio politico e logistico, attraverso le sue
articolazioni in Belgio, Francia, Spagna, Italia e Germania, all'organizzazione filogolpista OAS che raccoglieva i
militari e i colonnelli francesi oltranzisti impegnati in Algeria contro la guerriglia di liberazione nazionale; tale
scelta, nettamente in contrasto con l'affermata volontà di schierarsi a fianco dei movimenti nazional-
rivoluzionari extraeuropei, venne in seguito motivata con ragioni tattiche francamente poco plausibili.
Su impulso di Thiriart, nel '62 sembrò che a livello europeo si andasse verso la costituzione di un Partito
Nazionale Europeo; nel protocollo costitutivo, rispettivamente firmato a Venezia dallo stesso Thiriart per ]Jeune
Europe, da Adolf von Thadden per il Deutsche Reichspartei, da sir Oswald Mosley per l'Union Movement e dal
conte Alvise Loredan per il Movimento Sociale Italiano [21], si poteva leggere la seguente solenne dichiarazione
d'intenti:

La data del 4 marzo 1962 deve essere ricordata. Essa segna il giorno della creazione di un Partito
nazionale nazionale europeo fondato sull'idea dell'unità europea. A differenza di tutti gli altri partiti
e movimenti cosiddetti europei, il nuovo partito non accetta che l'Europa sia un satellite degli Stati
Uniti e non rinuncia alla riunificazione dell'Europa e al recupero dei nostri territori orientali, dalla
Polonia alla Bulgaria, passando per l'Ungheria [22].

Il programma politico del Partito Nazionale Europeo fissava quindi questi obiettivi:
- la creazione di un governo europeo centrale rinnovabile ogni 4 anni;
- il ritiro immediato delle truppe sovietiche e americane dalle basi europee;
- la fine dell'ingerenza politica e militare dell'ONU nei problemi europei;
- la spartizione dell'Africa, in modo che per un terzo risultasse assegnata agli europei e per i rimanenti due terzi
agli africani;
- la riunificazione dell'Europa, da Brest a Bucarest.
I quattro partiti firmatari si guardarono bene dal mutare i loro nomi in quello di Partito Nazionale Europeo, come
era stato deciso dalla Conferenza veneziana e soltanto l'Union Movement adottò come nuovo simbolo la folgore,
facendo naufragare sul nascere questo processo di unificazione, poi ripreso anni dopo.
Nel `63 Jeune Europe proseguiva quindi da sola la sua strada, potendo contare su proprie numerose sezioni, per
un totale di circa 20.000 aderenti; oltre che in Belgio e in Europa aveva gruppi affiliati anche in Sud Africa e in
America Latina dove assunsero invece la denominazione Joven America [23].
Nonostante questo rilevante sviluppo internazionale, nell'estate del `63 Jeune Europe entrò in crisi, quando Jean

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Thiriart si trovò in posizione di minoranza sia a causa della sua intenzione di presentarsi come candidato alle
elezioni comunali nel `64 e a quelle legislative del `65, ma soprattutto si rivelò lacerante la questione dell'Alto
Adige; i nazionaleuropei belgi e italiani si trovarono infatti contrapposti ai camerati tedeschi-occidentali,
austriaci, olandesi e scandinavi, favorevoli alla creazione di uno Stato tirolese indipendente e solidali con i
gruppi terroristici che perseguivano tale obiettivo.
La contraddizione era evidente: da un lato i sostenitori della Nazione Europa, dall'altro gli oltranzisti delle
"piccole patrie"; le conseguenze di tale dissidio furono laceranti e le sezioni di diversi paesi abbandonarono
Jeune Europe dando vita ad un nuovo raggruppamento internazionale, denominato Europafront, sotto la
direzione dell'austriaco Fred Borth, ma di questa frazione si perderanno presto le tracce [24].
Successivamente, dopo aver liquidato nel `64 i dissidenti interni del gruppo franco-belga di Lecerf, Nancy e
Jacquart, e della corrente anticomunista di Teichman, le posizioni di Thiriart dal `65 in poi risulteranno sempre
più connotate in senso antiamericano ed è soprattutto a lui che il neo-fascismo deve la più estrema "denuncia
dell'Occidente e dei suoi lacchè, la designazione degli Stati Uniti come nemico principale dell'Europa, l'idea di
un'Europa indipendente ed unita da Dublino a Vladivostock e l'idea di un'alleanza con i nazionalisti ed i
rivoluzionari del Terzo Mondo" [25].
Allo stesso tempo Thiriart sviluppò le sue posizioni "nazional-comuniste" che individuavano nel Comunitarismo
la futura prospettiva del "socialismo nazionaleuropeo" e, coerentemente con tale impostazione, cercò e talvolta
stabilì rapporti politici con settori governativi della Yugoslavia di Tito, la Romania di Ceaucescu, la Germania
Orientale e la Cina popolare; sul piano organizzativo, dopo il superamento dell'esperienza di ]Jeune Europe,
Thiriart dette vita nell'ottobre `65 al Parti Communautaire Européen con "La Nation Européenne" quale giornale
di partito, diretto da Gérard Bordes, anche se formalmente espressione del Centre d'études politiques et sociales
européenne e fin dall'inizio sia su questa testata che sulla sua versione italiana "La Nazione Europea" non
mancheranno articoli, interviste e dichiarazioni di volta in volta a favore del Vietnam, delle lotte di liberazione in
America Latina da Peron a Che Guevara, del popolo palestinese, dei Paesi arabi e persino delle Pantere Nere in
USA [26].
Il progetto di un'alleanza tattica tra Cina e Europa in funzione anti-USA se non ebbe risultati concreti nonostante
un incontro avvenuto a Bucarest tra lo stesso Thiriart e il primo ministro Chou En-Lai nell'estate del `66, sul
piano della cosiddetta immagine servÏ moltissimo ad accreditare i "nazional-europei" presso alcuni gruppi e
partitini maoisti, di matrice marxista-leninista, presenti in Europa; tali "relazioni pericolose" non partorirono in
realtà iniziative significative, ma sicuramente videro il passaggio di un certo numero di militanti da una parte
all'altra, più o meno in buona fede [27].
Nel `68, i rivoluzionari nazional-europei viaggiarono molto cercando alleati contro l'imperialismo e il sionismo
in Algeria, Egitto, Libano, Siria, Palestina, Iraq, allo scopo di creare i presupposti politico-militari per la
costituzione di un Esercito Popolare di Liberazione dell'Europa; ma non riuscendo a trovare adeguati sostegni
economici, la loro rete organizzativa entrò in crisi: l'ultimo numero de "La Nation Européenne" uscì nel febbraio
`69, mentre le diverse sezioni europee si scioglieranno una dopo l'altra - ultima quella italiana nel giugno 1970.
Lo stesso Thiriart si ritirò dalla politica attiva, mentre una parte dei "quadri" nazional-europei nei primi anni `70
daranno vita ai diversi gruppi di ]Lutte du Peuple che sarà, a tutti gli effetti, l'erede delle sue teorie, così come
negli anni `80 con la rifondazione del Parti Communautaire Européen in Belgio e l'uscita in Francia del
periodico "Le Partisan Européen" si assisterà ad una loro nuova primavera, sull'onda anche delle alleanze sancite
in Russia tra nazionalisti e stalinisti che hanno fatto tornare Thiriart alla politica attiva sino alla sua morte,
avvenuta alla fine del `92.
Nel suo "testamento politico" sta scritto che

La vita politica di una Nazione si concentra in alcuni centri nervosi: informazione, sindacalismo,
movimenti giovanili. Introdursi in questi centri nervosi, progressivamente e silenziosamente,
permette di produrvi un giorno dei cortocircuiti.

Il fatto che lo abbiamo direttamente ripreso da "Nazione Europa" del 19 maggio 2000, ossia dalla nuova serie
del settimanale comunitarista del P.C.N., recante in prima pagina l'immagine simbolo del "Che" Guevara,
dimostra che il "testimone" di Thiriart è stato raccolto.

LA SINISTRA NAZIONALE IN ITALIA

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Se Lenin, che ho sempre stimato profondamente, fosse vissuto, il programma dell'Urss sarebbe stato diverso. Avremmo
visto con tutta probabilità Fascismo, Nazionalismo e Bolscevismo uniti contro l'altro nemico: la plutocrazia.
(N. Bombacci) [28]

Le correnti del socialismo nazionale e corporativo che si era riconosciute nella vagheggiata socializzazione delle
imprese durante la Repubblica di Salò, dopo la liberazione ebbero un ruolo importante nella ricostituzione del
movimento fascista, dando vita a diverse importanti testate.
Oltre a "Manifesto" di Pietro Marengo, anche "Rivolta Ideale" sviluppò immediatamente tematiche di sinistra,
repubblicane e mazziniane, apertamente filosocialiste, individuando in una "sinistra nazionale" la collocazione
del neofascismo unitariamente inteso. Sulla stessa linea "Meridiano d'Italia", al quale la direzione di Franco De
Agazio, dal giugno 1946 al marzo 1947, impresse una decisa sterzata a sinistra; e soprattutto "Rosso e Nero",
nato il 27 luglio 1946 e diretto da Alberto Giovannini [29].
Tale sinistra fascista "storica", decisa a non permettere che il neocostituito Movimento Sociale Italiano
assumesse posizioni conservatrici e reazionarie, riteneva che l'esperienza della R.S.I. avesse rappresentato una
netta cesura col fascismo-regime, nonchè con la monarchia, e condusse una lunga battaglia interna al partito
affinchè la sua identità non si confondesse nel coro dell'anticomunismo cattolico-moderato. Inoltre vi era un
altro gruppo su posizioni "di sinistra" composto da ex-repubblichini facenti capo a Stanis Ruinas e a "Il Pensiero
Nazionale", che rivendicavano l'eredità ideologica del fascismo rivoluzionario ma che avevano ben presto rotto
col M.S.I. ed anche con la sinistra missina.
Una volta sconfitte sia la linea moderata del M.S.I. sotto la guida di De Marsanich, Michelini e del più "duro"
Almirante, che comunque non abbandonò mai lo schieramento filoatlantico e l'aspirazione di andare al governo
con la Democrazia Cristiana, con il fallimento dell'operazione Tambroni sancito da una vera insurrezione
antifascista e l'avvento del centrosinistra, negli anni `60 parvero aprirsi nuovi spazi d'azione per i gruppi fascisti
della "sinistra nazionale" che ebbero come punto di riferimento la rivista "L'Orologio", espressione di una linea
nazionalpopolare con forti accenti anticlericali, fondata da Luciano Lucci Chiarissi [30].
La questione della nazione risultò centrale nell'elaborazione teorica de "L'Orologio", articolandosi sul piano
interno e su un livello, più vasto, di carattere europeo che diveniva il modo per trasferire in chiave continentale
un concetto di nazione uscito sconfitto dalla Seconda Guerra Mondiale. Conseguentemente il problema
dell'Europa-nazione portava alla ribellione nei confronti della sua spartizione sancita a Yalta, al rilancio
dell'Europa come terza potenza mondiale e al sostegno verso tutte quelle realtà nazionali o nazionaliste che
destabilizzavano il falso equilibrio internazionale e che si opponevano, in particolare, all'imperialismo
americano ritenuto più estraneo alla cultura europea del comunismo sovietico.
Il completo sganciamento dell'Europa dalla logica dei blocchi era possibile, secondo i nazionalpopolari,
attraverso l'uscita dalla NATO, il riarmo europeo, l'introduzione della moneta unica europea e un sistema
economico in cui si riproponevano sia il modello corporativo che accenti autarchici. Una non minore importanza
veniva data alla necessaria rivoluzione in ambito culturale che permise a tale rivista di schierarsi
incondizionatamente a fianco delle lotte studentesche culminate nel `68, dando vita ai Gruppi de "L'Orologio" e
fiancheggiando alcune formazioni missine che, disobbedendo alle direttive del partito, preferivano le barricate
dei "rossi" piuttosto che l'ordine democristiano.
La visita di Nixon, in piena guerra del Vietnam, in Europa e in Italia vide quindi oltre che violente dimostrazioni
antimperialiste promosse dai gruppi dell'estrema sinistra, anche la mobilitazione dei gruppi de "L'Orologio"
duramente polemici con la posizione filoamericana assunta dalla destra missina, come testimoniano vari
volantini diffusi a Pisa [31], firmati sia come Gruppi Nazional-Popolari che come I nazionalrivoluzionari de
"L'Orologio" in cui, tra l'altro, veniva affermato che:

La civiltà europea, la nostra rivoluzione non ha bisogno di bandiere stellate. Se la democrazia


puttaniera ha accettato una volta la tua "liberazione", adesso è ora di finirla. Diamo il benservito
all'alto protettore americano. Dimostriamo che l'Europa -da Brest a Bucarest- è in grado di
difendersi da sola con le sue forze economiche e militari, e, quel che più conta, di riprendere con
energie morali e rinnovata coscienza politica il suo posto alla guida del mondo.

Apparentemente tale impostazione poteva risultare non dissimile alla propaganda neofascista dell'epoca, ma in
realtà il riferimento alla rivoluzione europea, da Brest a Bucarest, dimostrava piuttosto la diretta parentela con le
tesi di Thiriart e di Jeune Europe, come peraltro confermato da alcuni slogan proposti in quei volantini quali:

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No alle ingerenze della CIA nei sindacati italiani

No agli agenti del MSI, PSI, PCI, DC, PLI, PRI, PSIUP

No al SIFAR agli ordini della Casa Bianca

No al condominio USA-PCI-VATICANO sulla socieà italiana

Slogan sicuramente incompatibili con la politica filoatlantica e filovaticana del Movimento Sociale Italiano e dei
gruppi alla sua destra, quali Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, oscillanti tra radicalismo, golpismo e
collusione con gli apparati di Stato.
Alla fine del `68, "L'Orologio" poteva quindi rivendicare come frutto dell'azione nazionalrivoluzionaria dei suoi
gruppi l'occupazione dell'ateneo di Messina in risposta ai tragici fatti di Avola; mentre altre agitazioni a Roma e
a Perugia avevano visto il protagonismo del Movimento Studentesco Europeo, altra emanazione universitaria
della rivista.
Confermando la propria avversione allo "spirito di Yalta", veniva quindi attaccato anche il P.C.I. in quanto
"gendarme del capitale USA per ordine dell'URSS", come si trova conferma in un volantino ancora del Gruppo
Nazional-popolare pisano, datato 2 aprile `69, in occasione della morte di Eisenhower:

I lacché dell'imperialismo americano piangono la scomparsa di chi, distruggendo l'indipendenza


dell'Europa, li ha insediati sui loro seggi di cartapesta. Anche i Comunisti, tanto antiamericani a
parole, certamente si associeranno al cordoglio. Ventiquattro anni fa Eisenhower non sottomise solo
l'Europa occidentale all'America ma anche quella orientale alla Russia. E i comunisti, da buoni servi
di Mosca, lo piangeranno.

Con il rifluire della contestazione sociale, tra repressione e stragi di Stato, e il ritorno di Almirante alla segreteria
del M.S.I., l'esperienza de "L'Orologio" finì per esaurirsi nel `73 mentre sul piano organizzativo, buona parte dei
Gruppi Nazional-Popolari sarebbe stata assimilata da Lotta di Popolo.

DAI NAZIMAOISTI A LOTTA DI POPOLO


La prima parte del nostro programma è così vasta, che alla sua attuazione può contribuire anche chi si schieri su posizioni
politiche avverse.
(F. Camon) [32]

Una delle formazioni meno conosciute della destra radicale italiana è senz'altro Lotta di Popolo che, dal `69 sino
al `73, anno in cui si autodissolse "per sfuggire alla repressione", si fece notare per le sue posizioni anomale,
tanto che i propri aderenti vennero definiti dalla stampa come "nazimaoisti", ricorrendo ad un termine
giornalistico apparso già durante il `68.
Il neonazista Franco "Giorgio" Freda in un'intervista ebbe a commentare tale definizione con le seguenti parole:

La formula paradossale del "nazimaoismo" - non del tutto falsa, ma anche non del tutto giustificata -
permette di scindere i suoi elementi costitutivi, perchè i comunisti mirano a rilevare l'aspetto ]nazi
per terrorizzare i compagni e i neofascisti del MSI mirano ad evidenziare gli aspetti maoisti per
impaurire i camerati [33].

In realtà le cose non erano così semplici e la presunta equidistanza di Lotta di Popolo tra destra e sinistra
apparve fin da subito quantomeno discutibile e venne pure rifiutata dai diretti interessati [34]; prima però di
analizzarne le posizioni è necessario fare un passo indietro per individuarne gli antecedenti.
Tutto si può far risalire alle lotte sociali che nel fatidico `68 anche in Italia cominciarono a sconvolgere assetti
politici e culture dominanti; dentro tali sommovimenti alcuni settori, senz'altro minoritari, dell'estrema destra
decisero di "cavalcare la tigre" della contestazione, vedendovi un importante momento di rottura e
destabilizzazione dentro cui potevano aprirsi nuovi spazi d'azione politica e penetrazione ideologica, soprattutto
nell'ambiente studentesco, preclusi alla tradizionale politica d'ordine portata avanti con forti accenti nostalgici
dal MSI.
Dietro questa scelta "movimentista" sicuramente vi erano propositi di infiltrazione e provocazione, sfruttati
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anche da ambigui personaggi -quali ad esempio Mario Merlino- in contatto o al servizio degli apparati di polizia;
ma vi erano anche esperienze di una qualche originalità ed elaborazioni frutto di apporti intellettuali assai
diversi, da Evola al situazionismo.
Fin dall'inizio degli anni `60, come si è visto, operava a livello europeo l'organizzazione Jeune Europe; il
pensiero e i programmi di Thiriart incontrarono anche in Italia un buon interesse tra militanti e teorici neo-
fascisti già in rotta col MSI, accusato di portare avanti una linea politica subalterna alla Democrazia Cristiana,
tanto che la sezione italiana della Jeune Europe sarebbe risultata come la più consistente; inoltre non mancarono
i collaboratori italiani (Claudio Mutti, Claudio Orsi, Franco Freda, Antonio Lombardo, tanto per citare i più noti
e rappresentativi [35] sia all'omonima rivista che, in un secondo momento, a "La Nation Européenne", organo
del Parti Communautaire Européen anch'esso fondato da Thiriart [36].
In Italia Jeune Europe ebbe inizialmente tre diverse sezioni: una facente capo alla preesistente Giovane
Nazione[37] (recapito Casella Postale 1056 Milano) col suo organo di stampa "Europa combattente", diretta da
Antonino De Bono, Spartaco Paganini, Pierfranco Bruschi, Cinquemani e Claudio Orsi che nel `63 a Ferrara si
costituì ufficialmente come Giovane Europa; l'altra era il Movimento Politico Ordine Nuovo presso la cui sede
romana in via della Pietra 84 per qualche tempo risultò esserci il recapito della sezione italiana di Jeune Europe
e il gruppo di "Quaderni Neri" di Salvatore Francia (recapito Casella Postale 332 Torino).[38].
Durante il `68, l'area militante che in Italia faceva riferimento a ]Jeune Europe, talvolta assieme ai gruppi romani
Primula Goliardica e Nuova Caravella[39], seguì le vicende del movimento studentesco, rivendicando -a
posteriori- d'essere stati a fianco dei "rivoluzionari" sia nelle occupazioni che durante gli scontri che avvennero
all'Università di Roma, nel febbraio contro i picchiatori guidati da Almirante e Caradonna e a marzo contro la
polizia a Valle Giulia.
Su questa partecipazione, nonostante i fiumi d'inchiostro versati per raccontare il `68, si sa molto poco ma
comunque, aldilà della partecipazione di alcuni nuclei militanti agli scontri di piazza e la comparsa di talune
scritte murali quali "Hitler e Mao uniti nella lotta" o "Viva la dittatura fascista del proletariato" comparse in quel
periodo che ispirarono appunto l'invenzione giornalistica dei "nazimaoisti" [40], non sembra essere stato un
fenomeno politico rilevante, solo in qualche rara circostanza i "nazional-europei" riuscirono a rompere
l'isolamento e la diffidenza che, non senza ragione, li circondava sia per la propria intrinseca ambiguità
ideologica sia in conseguenza dell'attività compiuta da alcuni specialisti della provocazione e della delazione
all'interno di queste dinamiche; inoltre con il declino a livello internazionale dell'organizzazione facente capo a
Thiriart -il trentesimo ed ultimo numero de "La Nation Européenne" è dell'inizio del `69- molti militanti
cominciarono ad arruolarsi nelle file di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale [41].
Per far fronte a questa situazione, nei primi giorni del `69 la neocostituita Organizzazione Lotta di Popolo
(O.L.P.), "iniziava il cammino verso la costruzione di un'avanguardia che puntasse, insieme ad altre forze, alla
creazione del partito rivoluzionario del popolo" (da un documento del gennaio 1970), raccogliendo i militanti
reduci di ]Jeune Europe e di altre esperienze quali il Movimento Studentesco Operaio d'Avanguardia, fondato
alla facoltà di Giurisprudenza di Roma da Serafino De Luia; parte di Primula Goliardica di Roma; Avanguardia
di Popolo di Pietro Golia a Napoli e altri preesistenti nuclei nazional-rivoluzionari legati a "L'Orologio",
sicuramente presenti in Lombardia, Toscana e Meridione, sotto sigle quali Movimento Studentesco Europeo,
Potere Europeo, Università Europea, etc.
Se la protesta anti-USA per la guerra in Vietnam e la critica sviluppata dal movimento studentesco contro
l'indirizzo riformista del PCI avevano rappresentato altrettante ghiotte occasioni in cui inserirsi ed intervenire
politicamente, sul piano ideologico il terreno della "rivoluzione culturale cinese" fu quello che si rivelò più
interessante per la nuova organizzazione che, da questo punto di vista, andò oltre persino la visione di Thiriart,
interessato alla Cina maoista soltanto come potenziale alleato nella "guerra di liberazione europea"; non fu
quindi un caso che i militanti di Lotta di Popolo scelsero tale nome, attingendo alla terminologia maoista
peraltro ben presente nell'immaginario dell'estrema sinistra, dai partitini "filo-cinesi" a Lotta Continua [42].
Usando la situazione di Pisa come punto d'osservazione, nell'aprile `69, i nazionalpopolari pisani che si erano
anche firmati come "compagni della Sinistra", ora sotto la firma La Lega del Popolo, intervennero con un
documentato volantino sull'uccisione a Battipaglia di due braccianti da parte della polizia, accusando la violenza
del "sistema" e i "borghesi complessati disturbati dai loro traffici di carne umana".
In un successivo volantino, datato 27 aprile `69, La Lega del Popolo spiegava l'abbandono della precedente
denominazione nei seguenti termini:

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"La sinistra" é il nome che ci ha seguito in questo periodo di lotta contro il sistema capitalista.
Fu scelto, questo, perché ci si voleva collegare ad una tradizione di lotte progressiste e
rivoluzionarie (...)
La borghesia in tutti i paesi elabora due sistemi di governo: due metodi di potere che ora si
contrappongono, ora si alternano, ora si intrecciano. Il primo é il metodo della violenza, del rifiuto
di ogni riforma (=fascisti, colonnelli, scelbini). Il secondo é il metodo del "liberalismo", dei cauti
passi in direzione dell'ampliamento (fasullo) dei diritti politici, delle (false) riforme, delle
concessioni (=partiti e governi democratici-borghesi).
"La sinistra" é diventato un termine integrato nel sistema e come tale lo rifiutiamo senza rimpianti.
Il mondo si muove e noi non stiamo fermi .
Ovviamente non é solo un nome che cambia, ma é tutta una prassi che si va perfezionando (...)
Come prima, come sempre il discorso che portiamo avanti é aperto a tutti...

In effetti, qualcosa della "linea" nazionalrivoluzionaria precedente stava cambiando e da quel momento tenderà
ad assumere connotati ancor più marcatamente sociali ed accenti anarchicheggianti, come testimonia un
volantino del 16 agosto `69 sul problema della casa, in cui si dichiarava che "il ricatto della casa e del fitto, non è
che un'altra faccia dello sfruttamento che soffriamo nelle fabbriche, negli uffici per colpa del sistema
capitalistico", volantino che si concludeva con i seguenti slogan

Nell'unità rivoluzionaria la vittoria.

Per una SOCIETA' LIBERTARIA E COMUNITARIA

Questa impostazione si continuerà a riscontrare anche nei mesi successivi, sia a livello nazionale che locale, e
nei primi mesi dell'anno seguente si registrerà un intenso attivismo, mentre ormai Lotta di Popolo si estendeva
anche fuori dell'Italia nel tentativo di ricostruire la precedente rete nazional-europea, con la nascita di proprie
sezioni in Francia, Germania, Spagna [43]; i nomi più accreditati quali dirigenti dell'organizzazione risultano
essere stati Sergio Donaudi, Gianni Marino, Aldo Guarino, Ugo Gaudenzi, Enzo Maria Dantini, Serafino Di
Luia, Franco Stolzo.
Per quanto riguarda l'Italia, Lotta di Popolo aveva una sua rilevanza militante soprattutto a Roma, incentrando la
sua attività nei dintorni dell'Ateneo e nel quartiere popolare e antifascista di S. Lorenzo, dove mantenne per
alcuni anni una sede in via G. Giraud 4 e un'altra in via dei Marrucini 8/A, scontrandosi più volte con studenti di
sinistra, attivisti del PCI e militanti della sinistra rivoluzionaria; inoltre risultava particolarmente attiva in
Lombardia, con una forte sezione in particolare a Bergamo, con sede in via S. Alessandro 80, dove comunque la
propria collocazione a destra risultava un fatto scontato, oltre che per la generalità della sinistra, anche per le
stesse autorità [44].
Altre sezioni erano presenti senz'altro a Napoli, con sede in salita S. Antonio a Tarsia 30; a Velletri dove veniva
stampato anche il giornale, a Milano, Cremona, Como, Imperia e in Lucania (Matera, Montalbano, Policoro)
[45]; secondo un'inchiesta pubblicata nel `71 sul settimanale "Panorama" Lotta di Popolo poteva contare su 500
aderenti in tutta Italia, di cui 100 in Lombardia.
Nel foglio omonimo "Lotta di Popolo", nel gennaio 1970, l'organizzazione farà il punto della situazione politica
generale, compresa una sintetica analisi critica dei gruppi della sinistra extraparlamentare (Il Manifesto, Potere
Operaio, Lotta Continua), descrivendo le proprie esperienze d'intervento all'interno delle scontro sociale,
soprattutto in ambito studentesco e in alcune zone del Sud.
Oltre alla denuncia della "vecchia tesi degli opposti estremismi (fascismo-antifascismo)", immancabili in tale
documento anche alcuni riferimenti alle "bombe di Milano" e "all'assassinio di Pinelli" avvenuti appena due
mesi prima; in realtà neanche Lotta di Popolo che sostenne l'innocenza sia di Freda che di Valpreda, fu indenne
da frequentazioni filogolpiste, come dimostrano sia la partecipazione in Italia e all'estero a convegni dove erano
presenti anche i rappresentanti di Ordine Nuovo, di Avanguardia Nazionale e del Fronte Nazionale di Junio
Valerio Borghese, sia le biografie tutt'altro che cristalline di alcuni suoi fondatori e dirigenti che mal si
coniugano con la denuncia della "strategia della tensione" fatta su "Lotta di Popolo" come una manovra
"richiesta dalla grande industria e sostenuta sul piano parlamentare dal PSI, dal PCI e dalla sinistra
democristiana per distrarre le forze popolari dalla lotta al sistema borghese" mentre "le piccole e le medie
industrie si appoggiano al PSDI e, in secondo ordine, alle forze della destra parlamentare" mirando

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"all'instaurazione di un governo forte, di tipo gollista, se non addirittura di tipo greco" [46].
Nei primi mesi del `70 si sarebbe quindi assistito ad una rinnovata attività contro la NATO, con la diffusione in
diverse città, di un volantino firmato dai Gruppi Nazional-Popolari in cui si tornava ad attaccare la divisione in
blocchi del mondo sancita a Yalta e il trattato di non proliferazione nucleare voluto da USA e URSS a scapito in
primo luogo dell'Europa la cui possibile indipendenza "attirerebbe inevitabilmente a sé anche le nazioni
dell'Europa Orientale, che attualmente mordono il freno sotto il giogo sovietico" [47]. Ai primi di febbraio a Pisa
La Lega del Popolo, dopo alcuni provvedimenti repressivi registrati nei Licei cittadini contro gli studenti,
diffondeva un volantino in cui tali episodi vengono inseriti nella "solita repressione che ha colpito e colpisce,
prima e ora, il movimento di lotta" ed indiceva un'assemblea-dibattito sul tema "Lotta di Popolo per una Società
Libertaria e Comunitaria contro il capitalismo e l'opportunismo", tentando di coinvolgere la locale Federazione
anarchica.
D'altra parte un altro volantino col significativo titolo "La fantasia al posto del potere", diffuso a Roma alla fine
del marzo `70 a firma Gruppo Nazional-Popolari - Lotta di Popolo, dalle iniziali posizioni filo-maoiste si nota
un'ulteriore mutazione ideologica in senso anarchico-situazionista.
In tale volantino, tra l'altro, si poteva leggere:

...e venga pure il caos se il caos è creativo.


Per questo noi non vogliamo il potere ma la distruzione del potere.
(...) SERVITE IL POPOLO, DIO O LA PATRIA PERCHE' SIETE DEI SERVI E SENZA
PADRONI NON SAPRESTE COSA FARE. LA VOSTRA E' LA LOGICA DEI DISOCCUPATI E
NON DI UOMINI LIBERI.
Un mondo senza capi finalmente, dove ogni individuo partecipi alla vita in comune, apportando la
propria collaborazione non come dovere ma come scelta consapevole.
Perché è tempo che l'uomo non comandi più sull'uomo, mascherando frustrazioni o meschine vanità
provinciali dietro verità sacre eterne proletarie divine o patriottiche.
Noi non conosciamo le classi ma solo uomini come individualità perché la società è un insieme di
individui e opprimere un individuo nella sua persona significa mutilare tutta la comunità, come pure
opprimere la comunità significa colpire l'individuo [48].

Come si può facilmente notare, il linguaggio era ora completamente cambiato e non meno decisamente sembra
superata la fase dell'innamoramento per Mao; da sottolineare che Servire il Popolo, a cui si allude, era il nome di
uno dei più importanti gruppi maoisti di quegli anni.
In un altro volantino, diffuso a Bergamo a firma Lotta di Popolo più o meno nello stesso periodo, con toni meno
ribellistici, veniva invece riaffermato che "antifascismo e anticomunismo sono false contrapposizioni create dal
sistema per incanalare le forze rivoluzionarie" e veniva rilanciata l'unità del popolo italiano "al di fuori e contro
le istituzioni" per liberarsi "dall'oppressione politica, economica e culturale dell'imperialismo russo-americano e
dei suoi alleati, Vaticano e sionismo internazionale." [49]
Nell'anno successivo nel `71, Lotta di Popolo, precisa la sua critica delle ideologie "strumenti in mano a chi
vuole il popolo diviso e contrapposto" e ridefinisce il suo programma, abbandonando le precedenti infatuazioni
sia filomaoiste che anarcoidi e tornando al nazional-comunitarismo di Thiriart, come si può facilmente
apprendere dal seguente brano, in cui peraltro non si perdeva occasione di citare come movimenti esemplari
l'IRA, Al Fatah, i Vietcong e il Black Panthers Party:

Occorre che i pochi elementi lucidi dei gruppi marxisti-leninisti si scrollino dalla testa - per amore o
per forza - le proprie illusioni e le proprie superficialità (...) è ormai un dato di fatto che la maggior
parte degli operai è del tutto integrata nella borghesia e ne ha accettato completamente la
concezione mercantile e consumistica della vita.
La realtà è ben diversa e molto lontana dalle "analisi di classe" tanto di moda di questi tempi: lo
stesso comunismo ha dimostrato in ogni tempo che le proprie possibilità di consolidarsi si sono
sempre identificate con i potenti imperativi di un popolo: lo capì per primo Stalin sia "russificando"
il comunismo malgrado l'opposizione, subito stroncata, sia di Trotsky, ricorrendo agli istinti
"nazionali" del popolo russo (...) è proprio questo potente richiamo alla comunità nazionale di un
popolo che è riuscito - o sta riuscendo - a modellare delle incerte istanze di libertà dallo
sfruttamento economico o razziale, in lotta armata contro gli oppressori. [50]

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Analoghi accenti si riscontrano in un pamphlet semi-clandestino diffuso nel luglio/agosto 1971, in cui il ruolo
dell'Europa torna ad essere centrale secondo la visione di Thiriart, assieme ad un'allusione al denaro e all'usura
facilmente interpretabile in chiave antiebraica [51].

Nella presente situazione storica l'unica realtà rivoluzionaria che sia in grado di affrontare e
sconfiggere il capitalimperialismo, e delineare la marcia di un ordine umano autentico, può essere
rappresentata da un'Europa liberata ed edificata attraverso una lotta di popolo.
Un'Europa che trovi la sua unità nella maturazione e nella convergenza rivoluzionaria dei Popoli
Europei: non Terzo Blocco teso a farsi terzo imperialismo, ma forza-guida di tutti i popoli oppressi e
sfruttati volta a spezzare la Santa Alleanza sovietico-statunitense ed a liberare l'uomo dalla
sopraffazione del denaro e del tecnicismo asservito all'Usura.

Meritevole di considerazione anche lo sforzo in tale documento di andare a definire non solo un'alternativa
culturale ma persino "un'etica nuova":

Bisogna abituare le masse alla lotta permanente e alla diffidenza sistematica nei confronti di tutto
ciò che Ë "ufficiale" e "tipico" di "questa" società e di questa" cultura (...) Tutte le azioni politiche,
sociali, culturali, sindacali, sono quindi valide quando servono ad accendere e mantenere uno stato
di tensione ideale e sociale in un senso rivoluzionario antiborghese, e la valutazione della loro utilità
prescinderà sempre dai risultati contingenti dell'azione stessa (...) La lotta rivoluzionaria pertanto,
contro ogni giudizio negativo basato sul metro del costume borghese o sull'interpretazione borghese
del diritto e della morale, possiede un alto contenuto etico.

Molto meno radicale appare invece la "Società integrale" teorizzata da Lotta di Popolo, una comunità organica
dove "il potere politico non sarà condizionato dal potere economico" in cui "il capitale quindi non sarà più il
motore ed il fine del moto sociale, ma solo uno strumento della civile convivenza sotto la coordinazione del
potere politico", affermazioni che rimandano al concetto di "soldati politici" cara a tutti i fascisti rivoluzionari
che, fatalmente, ne confermano la fedeltà alla gerarchia e allo Stato.
A conferma di tale orientamento vi sono lo stesso Manifesto programmatico dell'O.L.P. e un esteso documento
teorico del `72 in cui si contrapponeva al concetto "borghese" di classe quelli di popolo e, in primo luogo, di
comunità nazionale; conseguentemente "l'obiettivo politico della lotta è lo stato di popolo (...) al di fuori e contro
le false contrapposizioni ideologiche", in cui "l'autogestione significa coscienza popolare delle scelte politiche
ed economiche generali e partecipazione totale alla loro realizzazione" [52].

NAZIONALBOLSCEVICHI OGGI [53]


Questa Europa ha bisogno di costruttori dai pugni solidi e rudi. Ha cento volte più bisogno di soldati che di avvocati, cento
volte più bisogno di acciaio che di letteratura, cento volte più bisogno di capi che di riformatori.
(J. Thiriart)

Oltre che in Russia, anche in Europa - Italia compresa - negli ultimi anni si va assistendo ad una certa fioritura di
partiti, gruppi, giornali che si richiamano esplicitamente all'esperienza tedesca del "nazionalbolscevismo":
rifiutano d'essere collocati nello schieramento della destra borghese, si oppongono al capitalismo e alla
Globalizzazione, prospettano la creazione di uno "spazio euroasiatico" in funzione antiamericana, sostengono
tutti i movimenti antimperialisti e tutte le nazioni che si contrappongono agli USA, dall'Iraq alla Serbia alla
Corea del Nord.
In Italia tra le più "vecchie" testate di riferimento per questa area vanno segnalate la rivista "Orion", fondata agli
inizi degli anni '80 ed oggi collegata all'esperienza di Sinergie Europee ed alla Società Editrice Barbarossa che
recentemente ha pubblicato un saggio proprio sul Nazionalcomunismo; attorno ad "Orion" per un certo tempo si
formarono due gruppi, Nuova Azione di Marco Battarra e Forza Nuova (da non confondersi con l'omonima
formazione neofascista fondata nel `97), scioltisi e presumibilmente confluiti nel Movimento Antagonista -
Sinistra Nazionale, nato attorno al mensile "Aurora", uscito la prima volta nel 1988, su iniziativa di ex-rautiani
facenti capo alla Comunità Politica "B. Niccolai" con sede a Modigliana (Fo) e al Circolo "A. Romualdi" di
Cento (Fe).

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Tra gli animatori di "Orion" vi è Maurizio Murelli, vecchio arnese dello squadrismo fascista degli anni Settanta,
che all'indomani del crollo del socialismo reale in Russia affermava:

Per gli stalinisti, per i nazionalisti, per gli zaristi, per tutte le espressioni panslaviste e ortodosse, il
pericolo è l'Occidente, la sua cultura, la sua economia. Quindi una alleanza operativa è naturale, è
logica (...) Innaturale è invece la rigidità e l'ostilità dei veri comunisti nei confronti della destra che
si è allontanata dal MSI ed è tornata alle origini fasciste in senso antiamericano, anticapitalista [54].

Tra le firme più significative comparse invece su "Aurora" vi è quella del già citato teorico, convertito alla fede
musulmana, Claudio Mutti, autore tra l'altro di un testo dal titolo "Nazismo e Islam", in cui vi sono messe in
risalto le reciproche convergenze ed esaltata la storia della 13ma Divisione SS, formata da musulmani della
Bosnia-Erzegovina, che combatterono a fianco dei cattolicissimi Ustascia croati, contro i partigiani jugoslavi.
Dopo la nascita del Fronte Nazionale di Adriano Tilgher ('97), fuoriuscito dal Movimento Sociale Fiamma
Tricolore, sicuramente all'interno del neo-partitino vi era presente una non trascurabile componente e una buona
incidenza culturale "nazionalbolscevica"; interessante a riguardo il n. 10 dell'ottobre '98 di "Fronte Nazionale"
dove in prima pagina era possibile leggere un editoriale dal titolo emblematico "Da Mosca una speranza" e
all'interno vi veniva definito lo "Spazio Autarchico Europeo", comprendente "necessariamente la Russia e gli
Stati facenti parte dell'ex URSS", come orizzonte strategico della "federazione dei popoli europei contro il
globalismo finanziario".
Durante l'esperienza della "Linea comunitarista" all'interno del Fronte Nazionale è nato un nuovo periodico,
inizialmente "Bollettino del Fronte Olista", dal titolo accattivante "Rosso è Nero"; le ragioni del titolo sono
apertamente rivendicate nel richiamarsi ai cosiddetti "fascisti rossi" ossia a quella componente "socialistica"
propria del primo fascismo "diciannovista", poi riemersa durante i 600 giorni della Repubblica Sociale italiana
all'ombra dell'occupazione nazista [55], ma nella testata vi è da subito anche un'accentuata rivendicazione
dell'esperienza storica del nazionalbolscevismo tedesco degli anni '20 e `30, tanto che viene recuperato il
simbolo dell'aquila prussiana con la spada, la falce e il martello che compariva sulla rivista poi soppressa dal
regime hitleriano.
Il primo numero reca la data del novembre '98, non appare ideologicamente del tutto connotato, forse per
alimentare il dibattito in seno al Fronte Nazionale; infatti nel suo principale articolo viene esposta la posizione
"nazionalcomunitaria", partendo dal consueto superamento dei concetti di destra e sinistra:

Il fascista cattivo e nostalgico non mette paura a nessuno, anzi è utile e funzionale al sistema. Quello
che mette veramente paura è il rivoluzionario (...) Questo non significa certo diventare di sinistra,
perché questa sinistra ci disgusta quanto la destra. Significa oltrepassare i limiti imposti dalla cultura
borghese e creare una nuova concezione della politica

al fine di "articolare un fronte nazionale, popolare, socialista e libertario", riproponendo le stesse parole d'ordine
usate come abbiamo visto negli anni Settanta dai gruppi vicini a "L'Orologio" e a "Lotta di Popolo".
Accanto a questa dichiarazione d'intenti, nel giornale si trovavano altri contributi alquanto eterogenei, tra cui una
sconcertante divagazione "celtico-maremmano-western" di un collaboratore, che poi diventerà una presenza
costante sulle pagine del giornale, desideroso di

Fare un popolo con le sue città, un popolo a cavallo, uomini e donne nel sole e nel vento, con archi e
frecce, con dardi appuntiti di legno duro a caccia di cinghiali, da cuocere al fuoco nella festa del
sole, nel giorno sacro del raccolto ed in quello della semina.

Assai più inquietante era invece un articolo su Osama Bin Laden, che si concludeva con un'aperta apologia del
nazismo:

La Legione di Osama raccoglie elementi da tutte le nazioni arabe, come le SS da tutte le nazioni
ariane. L'esaltazione della spiritualità semita ricorda l'interesse nazionalsocialista per la spiritualità
ariana, soffocata nel sangue dall'intollerante eresia giudaica, trionfante nella confusione razziale a
Roma negli ultimi anni dell'Impero.

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3/2/2021 https://web.archive.org/web/20061024014230/http://www.intermarx.com/ossto/archivio.html

Nel secondo numero di "Rosso è Nero" (marzo '99), venivano pubblicati due articoli alquanto "istruttivi" che
affrontavano la questione dell'immigrazione dal punto di vista del Fronte Nazionale (impegnato in una
campagna nazionale "per il lavoro agli Italiani") e della sua componente "comunitarista". Vi si affermavano cose
che contrastano in modo evidente con l'attuale "rifiuto di ogni forma di razzismo e xenofobia" proclamato da
questi signori, appena un anno dopo. In particolare vi si poteva leggere che la "primaria emergenza storica
attuale" sarebbe

la rinascita nazionale, della difesa etnica e della identità e tradizione Euro-Italica, contro una
mondializzazione aggressiva ed imperante su tutto l'occidente europeo, dove fenomeni come
immigrazione e multirazzialità conseguente, sono strumento di un unico progetto Capital-massonico
planetario.

Tali tesi infatti, figlie dirette delle teorie "differenzialiste" di Alain de Benoist, risultano pressoché identiche a
quelle di tutta la propaganda anti-immigrati della Lega Nord, di Forza Nuova o di "Fiamma Tricolore" da cui i
nazionalcomunitaristi vorrebbero prendere le distanze. Nel successivo terzo numero (ottobre '99), veniva sancita
l'uscita-espulsione della componente comunitarista dal Fronte Nazionale, sostenendo che era ormai venuto il
momento che "l'area nazionalrivoluzionaria e nazionalcomunista può e deve intraprendere una necessaria
revisione dottrinaria ed ideologica (...) per trovare una sua strada del tutto autonoma" e richiamandosi
all'esperienza del Partito Comunitarista Nazionaeuropeo attivo in Belgio, Francia, Germania. Le ragioni del
"divorzio" dal Fronte Nazionale sembrano riconducibili alla linea politica scelta da Tilgher che lo ha riportato a
più tradizionali intese con "Fiamma Tricolore" di Rauti e a schieramenti elettorali a sostegno del tanto odiato,
ma sicuramente redditizio, Polo berlusconiano; per sottolineare la "svolta" in tale numero di "Rosso è Nero"
compariva una grande quantità di riferimenti "estremisti": dall'elaborazione antiautoritaria di A. Bihr al
subcomandante Marcos, dal comunista-anarchico Carlo Cafiero a Stalin celebrato quale "vero nazional
bolscevico", dal Mussolini socialista a Francesco Guccini. Dentro questo collage viene comunque inserito anche
un corposo intervento del noto Claudio Mutti sulla "guerra di civiltà che contrappone l'Europa all'Occidente" e,
in un altro articolo, il solito Paolo Seghedoni conferma la precedente linea in materia d'immigrazione, con
argomentazioni che non meritano commenti:

Solo chi ha compreso le leggi economiche che Marx ha insuperabilmente descritto e può quindi
seguire la linea di massa facendo comprendere ai lavoratori lo sfruttamento a cui sono soggetti, può
seguire tale linea cavalcando il bisogno delle masse di vivere in ordinate ed indipendenti Nazioni,
abbinando ai tradizionali temi della lotta di classe il recupero dell'indipendenza nazionale contro
l'immigrazione incontrollata, e una battaglia per l'ordine pubblico che preveda anche il frequente
ricorso alla pena di morte.

Inoltre sullo stesso numero viene abusivamente pubblicato un articolo tratto dal periodico nazionalitario
"Indipendenza", giornale guardato a sinistra con motivata diffidenza causa dell'ibrida presenza al suo interno di
ex-militanti di gruppi clandestini sia di destra che di sinistra.
Nel numero zero della nuova serie di "Rosso è Nero" (fine '99), oltre a dedicare grande spazio alla rivolta di
Seattle, venivano pubblicati vari documenti del Partito Comunitarista Nazionaleuropeo e vi si sottointendeva, fin
dalla titolazione, l'adesione del giornale a tale percorso; tra le altre varie "appropriazioni indebite" vanno citate la
riproduzione della copertina del periodico "Autonomia di Classe" (cordone di autonomi incappucciati con
bandiera USA in fiamme sullo sfondo) e due pagine dedicate alle biotecnologie tratte da un lavoro di
controinformazione pubblicato da un collettivo ambientalista-radicale.
Col 2000, l'adesione al Partito Comunitarista Nazional-europeo risulta ormai un dato di fatto; in tal senso "Rosso
è Nero" ha cambiato nome ed è diventato "Comunitarismo", quale "espressione sintetica della fusione di
"elementi comunisti ed elementi nazionaleuropei" e a questo si affianca il settimanale comunitarista del PCN
"Nazione Europa" che riporta le notizie delle varie sezioni del partito che, in Francia e Belgio, partecipa anche
alle elezioni. L'apparenza è ancora più marcatamente "antagonista", ma dedicando un po' di attenzione a quanto
vi viene sostenuto, non si può dire che la "rivoluzione comunitarista" rappresenti qualcosa di diverso rispetto al
passato, indipendentemente dal fatto che alcuni redattori proverrebbero da Rifondazione Comunista o che vi
siano anche elementi che credono realmente a quello che scrivono; inoltre, guarda caso, sembra essere nato un
certo feeling tra i "nazionalcomunitaristi" e "Rinascita. Quotidiano di liberazione nazionale", il cui direttore è

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Ugo Gaudenzi, ossia uno dei vecchi dirigenti di Lotta di Popolo e già direttore della testata omonima.
Tra l'altro, guardando soltanto alla situazione milanese, questi "sinistri" usano come punti di riferimento il
Palazzo delle Stelline in Corso Magenta e la Bottega del Fantastico in Via Plinio [56], ossia due luoghi
tradizionalmente legati al neofascismo milanese.
A conferma della effettiva collocazione di "Comunitarismo" (Redazione nazionale in Via Satrico a Roma) da
segnalare un articolo in cui si sostiene che "Classe e Nazione Europea sono interessi che coincidono", mentre in
altra pagina un redattore pisano afferma esplicitamente che "Il Comunitarismo è contrario alla lotta di classe" e
che "il lavoro sarà il criterio di valore per stabilire le nuove gerarchie (...) Ai lavoratori migliori e più esperti non
verranno dati maggiori guadagni, ma posizioni di potenza"; in altre parole torna a riproporsi l'idea nazista della
comunità basata su "Sangue e suolo" la cui la "forma statuale deve rispecchiare l'ordine di realtà superiori e
trascendenti" (dal n. 1 di "Rosso è Nero"), il che mostra il vero volto di un'area che si dichiara rivoluzionaria,
comunista e persino libertaria, ma che si guarda bene dal mettere in discussione l'idea di Stato nazionale -
interpretato beninteso in chiave europea- e la struttura gerarchica e autoritaria della società che sono parti
integranti del dominio del capitale sul lavoro.
Nell'ultimo numero consultato di "Comunitarismo", datato settembre/ottobre 2000 con il sottotitolo "Democrazia
diretta-Socialismo-liberazione", la veste e i contenuti risultano ancora in larga parte dedicati all'opposizione
contro "il ]moloch neoliberista" e nell'editoriale firmato Rete Italiana Circoli Comunitaristi viene fatto il bilancio
politico di "un anno di lotta" durante cui la proposta "per la costruzione di un fronte di sinistra europea
antagonista che si batte per il socialismo e che considera il dato nazionale un fattore imprescindibile" è stato
portato dai Comunitaristi all'interno del movimento "anti-globalizzazione" e tra le forze antimperialiste[57]; ma
ancora una volta, la questione immigrazione, affrontata nell'articolo "L'inganno multietnico", torna a mostrare
l'autentica matrice ideologica dei Comunitaristi che ripropongono le teorie "differenzialiste" di A. de Benoist,
come testimoniato in modo inequivocabile dai seguenti passaggi:

I fenomeni migratori mettono in gioco qualcosa di importante: la sopravvivenza delle culture e dei
popoli che di quelle culture sono esponenti (...) il progetto capitalista nella sua fase di
globalizzazione neoliberista vorrebbe annullare ogni differenza (...) per creare un tipo antropologico
senza storia e senza radici (...) Si comprende meglio allora, per tornare alla situazione che più da
vicino ci riguarda, come alcuni reati dei quali gli extracomunitari detengono il monopolio (come la
riduzione in stato di schiavitù di cui si sono rese colpevoli le bande albanesi e marocchine che
utilizzano i minorenni per l'elemosina) abbiano un impatto, anche culturale, devastante (...) in
nessun paese il "minestrone etnico" è stato un buon affare: dopo decenni o addirittura secoli di
convivenza le difficoltà non vengono diluite, ma si acuiscono e si sommano, senza peraltro condurre
alla "rivoluzione internazionalista del proletariato".

Per cui, dietro "la fusione di elementi socialisti con il senso dell'appartenenza identitaria e nazionale" e la "nuova
sintesi originale" rielaborata dai Comunitaristi, si scoprono linguaggi e argomenti continuamente agitati da tutte
le varianti di quella destra politica con cui si dice di non avere più niente in comune.
Oltre a questi Circoli Comunitaristi, legati all'esperienza "Rosso è Nero" e "Comunitarismo", vi sono altri gruppi
minori, di destra, che comunque si richiamano esplicitamente al comunitarismo; tra questi va citato il "Cantiere
delle Idee" di Ghedi (Bs) per una certa originalità nell'approccio a tale tematica; infatti questa associazione
sviluppa un'idea di comunità, quale alternativa a "decenni di individualismo metodologico e teorie utilitariste
nelle cattedre e utopie ideologiche", facendo proprie in modo integrale le elaborazioni teoriche sui diritti di
cittadinanza fatte in questi ultimi anni da alcuni settori della sinistra "moderna", e per comprendere che non si
tratta soltanto di "assonanze" si consideri il seguente pezzo, ripreso da "La Spina nel Fianco" giornale del Fronte
Nazionale

Partecipazione ed appartenenza sono concetti strettamente legati tra loro che si caratterizzano e
determinano a vicenda. La parola "cittadino" deve cessare di essere un astratto sinonimo di
"abitante" per diventare un termine che definisce colui che partecipa alla vita della città, della
comunità.
Cittadinanza come partecipazione, cittadinanza come appartenenza, tutto il contrario della
concezione apatica e sradicata della democrazia che è ormai entrata nel senso comune. Non sono le
istituzioni a fare la democrazia ma la partecipazione popolare ad esse, per cui la sovranità popolare

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si manifesta attraverso la partecipazione quotidiana di tutti alla vita pubblica.


Decentrare i luoghi delle decisioni, moltiplicarne le occasioni, referendum, consultazioni
autogestite. Consci però che il voto non esaurisce certo il ventaglio di diritti/doveri del cittadino.
Ritornare a popolare le piazze, le sale civiche, moltiplicare le occasioni di incontro tra i cittadini e
tra questi e le istituzioni è una condizione necessaria se si intende porre un freno al decadimento
costante della qualità della vita (...)
La comunità, cioè reti di rapporti sociali che veicolano valori condivisi, è la chiave di volta per
rafforzare legami sociali che mettono in relazione gli individui tra loro, che vincono isolamento ed
alienazione [58].

Si tratta, come è evidente, di cose che potrebbero essere state scritte da un socialdemocratico, da un ex-
autonomo ma anche da un leghista o da un ecologista, a dimostrazione di quanto sia importante parlare delle
categorie di analisi che si utilizzano, dando per scontato quello che non è, in quanto proprio grazie alla
liquidazione di strumenti critici frettolosamente ritenuti superati -vedi ad esempio la divisione in classi della
società- che l'ideologia fascista sta trovando terreno fertile [59].
Per completare il quadro va infine segnalata la comparsa a Parma di un Partito Nazionalcomunista (P.N.C.) [60];
difficile dire se si tratti di filiazione più o meno legittima dei nazional-comunitaristi, anche se in questa città vi è
una loro presenza "storica", di certo il simbolo da loro usato, falce e martello sovrapposti alla svastica, è più che
un segnale d'allarme.

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